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Università degli Studi di Sassari SCUOLA DI DOTTORATO DI ...

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1<br />

Università <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Sassari</strong><br />

<strong>SCUOLA</strong> <strong>DI</strong> <strong>DOTTORATO</strong> <strong>DI</strong> RICERCA<br />

Scienze e Biotecnologie dei Sistemi Agrari,<br />

Forestali e delle Produzioni Alimentari


Volumi pubblicati<br />

1. Giuseppe Pulina, etic@scienza.edu. Breviario <strong>di</strong> etica per scienziati in formazione, 2010


etic@scienza.edu<br />

Breviario <strong>di</strong> etica per scienziati in formazione<br />

Giuseppe Pulina


Pulina, Giuseppe<br />

Etic@scienza.edu : breviario <strong>di</strong> etica per scienziati in formazione / Giuseppe Pulina. -<br />

Pisa : Plus-Pisa university press, c2010<br />

(Scuola <strong>di</strong> dottorato <strong>di</strong> ricerca in scienze e biotecnologie dei sistemi agrari, forestali e<br />

delle produzioni alimentari ; 1)<br />

174.95 (21.)<br />

1. Scienze e morale<br />

CIP a cura del Sistema bibliotecario dell’Università <strong>di</strong> Pisa<br />

© Copyright 2010 by Copyright E<strong>di</strong>zioni PLUS/Scuola <strong>di</strong> Dottorato <strong>di</strong> Ricerca in Scienze<br />

e Biotecnologie dei Sistemi Agrari, Forestali e delle Produzioni Alimentari dell’Università<br />

<strong>di</strong> <strong>Sassari</strong><br />

Stampa: E<strong>di</strong>zioni Plus - Pisa University Press<br />

Lungarno Pacinotti, 43<br />

56126 Pisa<br />

Tel. 050 2212056 – Fax 050 2212945<br />

info.plus@adm.unipi.it<br />

www.e<strong>di</strong>zioniplus.it<br />

Member of<br />

ISBN 978-88-8492-726-2<br />

Questo libro, eccetto dove <strong>di</strong>versamente specificato, è rilasciato nei termini della licenza Creative<br />

Commons Attribuzione - Non Commerciale - Con<strong>di</strong>vi<strong>di</strong> allo stesso modo 2.5 Italia il cui testo integrale<br />

è <strong>di</strong>sponibile alla pagina web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/legalcode (si<br />

invita il lettore a prenderne visione).<br />

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% <strong>di</strong> ciascun<br />

volume/fascicolo <strong>di</strong> perio<strong>di</strong>co <strong>di</strong>etro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4<br />

e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.<br />

Le riproduzioni effettuate per finalità <strong>di</strong> carattere professionale, economico o commerciale o<br />

comunque per uso <strong>di</strong>verso da quello personale possono essere effettuate a seguito <strong>di</strong> specifica<br />

autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso <strong>di</strong> Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail segreteria@<br />

aidro.org e sito web www.aidro.org


Dell’Etica<br />

dettato insigne,<br />

che amore<br />

toglie o<strong>di</strong>o.<br />

Attraverso<br />

magnifiche armonie,<br />

risiede intatto<br />

nell’anima


Premessa<br />

La scienza è un’impresa umana e, come tutte le attività dell’uomo,<br />

è assoggettata al giu<strong>di</strong>zio circa il comportamento <strong>di</strong> coloro che vi<br />

operano, gli scienziati. Di solito ciò che è bene fare e non fare è<br />

materia <strong>di</strong> addestramento precoce nelle società, ma nella comunità<br />

<strong>degli</strong> scienziati l’appren<strong>di</strong>mento può durare per tutta la vita. Infatti,<br />

a fianco a prescrizioni semplici e intuitive, quali quelle che non<br />

consentono <strong>di</strong> falsificare i risultati <strong>di</strong> un esperimento, oppure <strong>di</strong><br />

copiare un lavoro <strong>di</strong> un altro ricercatore, l’avanzamento delle conoscenze<br />

e la maturazione <strong>di</strong> una particolare sensibilità nella società<br />

per i temi della scienza pongono nuovi problemi etici con i quali<br />

la comunità scientifica ha il dovere <strong>di</strong> confrontarsi. Attualmente, la<br />

bioetica, la ecoetica e la e-tica sono fra i temi maggiormente <strong>di</strong>battuti<br />

sia sotto l’aspetto filosofico che sotto quello giuri<strong>di</strong>co e rappresentano<br />

la base culturale su cui si fondano nuove norme implicite<br />

ed esplicite che orientano il lavoro <strong>degli</strong> scienziati.<br />

La rilevanza me<strong>di</strong>atica che è riservata al cattivo comportamento<br />

da parte <strong>di</strong> alcuni scienziati rappresenta un vulnus alla cre<strong>di</strong>bilità<br />

che la società depone nella comunità scientifica nel suo complesso.<br />

I casi <strong>di</strong> conflitto <strong>di</strong> interesse, quasi sempre per ragioni legate a<br />

motivi economici, <strong>di</strong> manipolazione <strong>di</strong> dati per il raggiungimento<br />

<strong>di</strong> posizioni <strong>di</strong> preminenza in ambito scientifico o <strong>di</strong> trattamento<br />

non umano <strong>di</strong> animali, rappresentano comportamenti che gettano<br />

<strong>di</strong>scre<strong>di</strong>to sulla scienza e che minano in profon<strong>di</strong>tà il ruolo che gli<br />

scienziati devono esercitare nella società.<br />

Questo manualetto ha la forma <strong>di</strong> un breviario organizzato per<br />

lemmi e ha lo scopo <strong>di</strong> fornire un supporto per i corsi <strong>di</strong> etica della<br />

scienza impartiti ai ricercatori in formazione rappresentati dai<br />

dottoran<strong>di</strong> <strong>di</strong> ricerca. Data la vastità e la complessità della materia,<br />

i principali temi <strong>di</strong> riflessione dell’etica della scienza sono soltanto<br />

accennati e le prescrizioni per un comportamento morale nella<br />

pratica scientifica, soltanto riassunte. Il capitolo iniziale è de<strong>di</strong>cato<br />

alle malefatte <strong>degli</strong> scienziati, i due successivi tratteggiano l’impor-


8<br />

tanza dell’etica in una scienza che ha <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> impresa sociale.<br />

I capitoli 4 e 5 sono de<strong>di</strong>cati al mestiere dello scienziato nonché<br />

ai principali problemi etici che egli deve affrontare e riprendono<br />

tratti significativi della Carta europea del ricercatore e del rapporto<br />

“On being a scientist: a guide to responsible conduct in research”<br />

della National Academies (U.S.) (Committee on Science, Engineering<br />

and Public Policy); il capitolo 6 tratta brevemente dei temi <strong>di</strong><br />

bioetica, fra i quali quello preminente dell’impiego <strong>degli</strong> animali<br />

negli esperimenti. Alla fine è riportato un decalogo <strong>di</strong> prescrizioni<br />

ad usum <strong>degli</strong> scienziati. Il capitolo dell’approfon<strong>di</strong>mento, firmato<br />

da Giuseppe Pulina, filosofo, omonimo dell’autore del testo, è de<strong>di</strong>cato<br />

all’etica sotto il profilo storico del pensiero filosofico.<br />

Speriamo che questo breviario aiuti i futuri scienziati a <strong>di</strong>stinguere<br />

non solo ciò che è lecito da ciò che non è lecito fare nella<br />

pratica della professione <strong>di</strong> ricercatore, ma anche da ciò che è <strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevole,<br />

poco raccomandabile o soltanto poco elegante.<br />

<strong>Sassari</strong>, giugno 2010


In<strong>di</strong>ce<br />

Capitolo 1<br />

Le malefatte della scienza 11<br />

Capitolo 2<br />

Quin<strong>di</strong> ci vuole un’etica della scienza 23<br />

Capitolo 3<br />

La scienza, un’impresa sociale 25<br />

Capitolo 4<br />

Il mestiere <strong>di</strong> scienziato<br />

e la carta europea dei ricercatori 35<br />

Capitolo 5<br />

Per un’etica nella ricerca scientifica 47<br />

Capitolo 6<br />

Brevi <strong>di</strong> bioetica 65<br />

Capitolo 7<br />

Ri-Etica-pitolando 73<br />

Approfon<strong>di</strong>menti<br />

Breve <strong>di</strong> etica nel breviario<br />

(<strong>di</strong> Giuseppe Pulina, filosofo) 77<br />

Bibliografia 91<br />

Ringraziamenti 95


Capitolo 1<br />

Le malefatte della scienza<br />

1. In questo breviario ricorreranno due termini, etica e scienza,<br />

tanto che nel resto del breviario useremo sempre il termine<br />

etica quale sinonimo <strong>di</strong> etica nella scienza. Alcuni avvisi per<br />

i naviganti: a) Il breviario è organizzato per lemmi che possono<br />

essere considerati compiuti anche autonomamente dal<br />

testo che li circonda. b) Il breviario non contiene note, come<br />

d’uso nella letteratura scientifica. c) Il breviario rimanda per gli<br />

approfon<strong>di</strong>menti ad una selezione della letteratura e riporta<br />

anche le fonti citate nel testo. d) Il breviario non è un testo<br />

<strong>di</strong> filosofia, né <strong>di</strong> scienza, tantomeno <strong>di</strong> scienza della filosofia<br />

(o <strong>di</strong> filosofia della scienza); è una base <strong>di</strong>dattica per insegnamenti<br />

ufficiali <strong>di</strong> “Etica della Ricerca Scientifica” impartiti nei<br />

corsi <strong>di</strong> dottorato <strong>di</strong> ricerca che speriamo possa costituire un<br />

vademecum per il resto della carriera dei dottori <strong>di</strong> ricerca.<br />

2. Sebbene sia <strong>di</strong>fficile definire univocamente cosa sia un cattivo<br />

comportamento in ambito scientifico, la fabbricazione o la manipolazione<br />

dei dati e il plagio rappresentano tre gravi violazioni<br />

<strong>degli</strong> standard della ricerca universalmente riconosciute;<br />

mentre le prime due creano <strong>di</strong>storsioni nel corpus delle conoscenze,<br />

la terza riguarda solo la carriera dei singoli ricercatori.<br />

Nel capitolo 5 approfon<strong>di</strong>remo tutti i temi etici e analizzeremo<br />

altri casi <strong>di</strong> cattiva condotta scientifica, fra i quali i conflitti <strong>di</strong><br />

interesse e la <strong>di</strong>scriminazione.<br />

All’inizio <strong>di</strong> questo manuale ci doman<strong>di</strong>amo se il non rispetto<br />

della deontologia della professione <strong>di</strong> scienziato sia un insieme<br />

<strong>di</strong> casi isolati e se la (relativa) facilità della loro in<strong>di</strong>viduazione<br />

e le conseguenti sanzioni che la comunità scientifica commina<br />

ai contravventori, rappresentino ancora oggi una garanzia<br />

dell’affidabilità del sistema <strong>di</strong> ricerca nel patto che lo lega alla<br />

società? Oppure se le cattive condotte professionali accertate e<br />

sanzionate rappresentino solo la punta <strong>di</strong> un iceberg e il malaf-


12<br />

fare scientifico sia più esteso <strong>di</strong> quanto correntemente si creda?<br />

A leggere la letteratura de<strong>di</strong>cata si <strong>di</strong>rebbe che la mala pianta<br />

ha ra<strong>di</strong>ci più profonde ed estese del previsto. La cattiva condotta<br />

<strong>degli</strong> scienziati è <strong>di</strong>ventato, infatti, un genere letterario. Fra i<br />

libri più famosi e<strong>di</strong>ti in Italia citiamo Le bugie della scienza <strong>di</strong><br />

Federico <strong>di</strong> Troccio (1993), Le balle <strong>di</strong> Newton. Tutta la verità<br />

sulle bugie della scienza <strong>di</strong> Tom Bethell (2007) e The practice<br />

of nursing research: conduct, critique, and utilization <strong>di</strong> Susan<br />

K. Grove (2005), che dalla pagina 205 analizza più <strong>di</strong> 1000<br />

segnalazioni e 150 casi accertati <strong>di</strong> mala condotta scientifica,<br />

fra quelli e<strong>di</strong>ti all’estero.<br />

3. In una recente review, Daniele Fanelli (2009), attraverso l’impiego<br />

<strong>di</strong> un raffinato modello <strong>di</strong> meta-analisi dei dati <strong>di</strong> 18<br />

indagini sulla mala condotta <strong>degli</strong> scienziati pubblicate su riviste<br />

con referee, ha tentato <strong>di</strong> rispondere alla questione controversa<br />

su quanti scienziati fabbricano o manipolano i dati<br />

delle proprie ricerche. Nelle 7 indagini basate sulla risposta<br />

<strong>di</strong>retta <strong>degli</strong> interessati, la me<strong>di</strong>a pesata del complesso dei dati<br />

mostra che circa il 2% (con un intervallo <strong>di</strong> confidenza, C.I., al<br />

95% compreso fra 0,86% e 4,45%) <strong>degli</strong> scienziati ha ammesso<br />

<strong>di</strong> avere costruito, falsificato o mo<strong>di</strong>ficato i dati sperimentali<br />

almeno una volta, mentre oltre il 33% ha riconosciuto <strong>di</strong> aver<br />

commesso nell’attività <strong>di</strong> ricerca altre pratiche non esattamente<br />

ortodosse. Nelle 12 indagini basate su domande relative al<br />

comportamento <strong>di</strong> colleghi, i dati sono risultati decisamente<br />

superiori: il 14,1% (C.I. 95%: 9,9%-19,7%) per la falsificazione<br />

e fino al 72% per gli altri comportamenti scorretti. Questa <strong>di</strong>fferenza,<br />

peraltro attesa in quanto si è più propensi a denunciare<br />

un cattivo comportamento <strong>di</strong> un collega piuttosto che<br />

ammetterne uno proprio, è particolarmente allarmante se è<br />

vero che più <strong>di</strong> 7 scienziati su 10, a detta dei colleghi, hanno<br />

mantenuto un comportamento quantomeno poco raccomandabile<br />

almeno per una volta nella loro carriera scientifica. Fanelli<br />

conclude che, tenuto conto che le indagini utilizzate nella<br />

review erano basate su domande “sensibili”, è probabile che<br />

queste stime siano conservative e che il fenomeno della mala<br />

condotta dei ricercatori sia più <strong>di</strong>ffuso <strong>di</strong> quanto riportato dai<br />

lavori analizzati.


4. Pren<strong>di</strong>amo ora in esame alcuni dei casi più famosi <strong>di</strong> mala<br />

condotta scientifica. Fra i più recenti, spicca il caso <strong>di</strong> Hwang<br />

Woo Suk, scienziato Sud Coreano e falso clonatore <strong>di</strong> cellule<br />

staminali umane. Nel 2005 la comunità scientifica internazionale<br />

aveva iniziato a sospettare che i risultati delle sue ricerche,<br />

nelle quali asseriva <strong>di</strong> essere riuscito a clonare cellule sane da<br />

malati affetti da patologie incurabili, fossero contraffatti. I dati<br />

sperimentali erano comunque già stati pubblicati su due numeri<br />

della rivista Science, ma l’Università <strong>di</strong> Seul aveva attivato<br />

un’indagine interna fino ad arrivare a smascherare la frode<br />

scientifica. Nel 2007 lo stato della Corea del Sud, dopo averne<br />

bloccato le ricerche l’anno precedente, ha avviato un proce<strong>di</strong>mento<br />

giu<strong>di</strong>ziario a carico del ricercatore con l’accusa <strong>di</strong> frode,<br />

peculato e violazione delle leggi sulla bioetica. Al termine del<br />

processo, durato tre anni, Hwang Woo Suk è stato condannato<br />

a due anni <strong>di</strong> prigione (pena sospesa) in quanto è stato considerato<br />

colpevole <strong>di</strong> peculato per aver sottratto 700.000 dollari<br />

<strong>di</strong> finanziamenti governativi e <strong>di</strong> violazione della legge sul<br />

commercio <strong>di</strong> ovociti. Il fatto rilevante è però che il tribunale<br />

non ha ritenuto <strong>di</strong> doversi esprimere sulla frode scientifica,<br />

lasciando correttamente il giu<strong>di</strong>zio su questo aspetto alla comunità<br />

scientifica.<br />

5. Pren<strong>di</strong>amo in esame, fra i tanti, altri tre esempi riportati da<br />

Jennifer Couzin e Katherine Junger (2006) in un articolo su<br />

Science nel quale si analizzano le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> verificare la bontà<br />

dei dati <strong>di</strong> un lavoro scientifico già pubblicato, ma sospettato<br />

<strong>di</strong> frode, e i relativi insopportabili costi per la rivista e per la<br />

comunità scientifica.<br />

Il primo caso si riferisce ad Eric Poehlman, ricercatore presso<br />

il College of Me<strong>di</strong>cine dell’Università del Vermont, che aveva al<br />

suo attivo 204 lavori sulla menopausa, l’obesità e l’invecchiamento<br />

al momento in cui fu scoperta la frode. L’indagine, iniziata<br />

nel 2000 a cura del U.S. Office of Research Integrity at the<br />

University of Vermont guidato da Tracy Russell, ha verificato<br />

che 10 pubblicazioni contenevano dati falsificati e, <strong>di</strong> queste,<br />

8 sono state successivamente ritirate dalle riviste in cui erano<br />

state pubblicate. Poehlman è stato licenziato dall’Università del<br />

Vermont.<br />

13


14<br />

Il secondo caso riguarda Friedhelm Herrmann, ricercatore presso<br />

tre istituzioni scientifiche tedesche, coautore <strong>di</strong> 347 lavori<br />

riguardanti l’effetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse sostanze sulle cellule cancerose.<br />

Ulf Rapp, capo del panel investigativo, dopo aver analizzato<br />

oltre 600 pubblicazioni, ha scoperto che 94 lavori <strong>di</strong> Herrmann<br />

contenevano dati falsi o manipolati e, <strong>di</strong> questi, 19 sono stati<br />

ritirati dalle riviste in cui erano stati pubblicati e 2 sono stati<br />

corretti. Il dr. Herrmann attualmente esercita la professione <strong>di</strong><br />

oncologo a Monaco.<br />

Il terzo, e forse più famoso, caso riguarda Jan Hendrik Schön,<br />

fisico e ricercatore presso i Laboratori Bell, il quale fra gli anni<br />

2000 e 2002 pubblicò oltre 20 lavori sulle riviste più prestigiose<br />

(fra cui Nature e Science) su argomenti riguardanti le proprietà<br />

elettroniche <strong>di</strong> materiali non usuali (quali plastiche), “aprendo<br />

la strada”, secondo lui, alla elettronica molecolare, un campo <strong>di</strong><br />

ricerca che permetterebbe <strong>di</strong> comprimere un chip in un’unica<br />

molecola. Il sospetto che qualche cosa non girasse per il giusto<br />

verso sorse quando nel 2002 si scoprì che 2 <strong>degli</strong> articoli pubblicati<br />

contenevano lo stesso grafico, ma soprattutto quanto<br />

la comunità scientifica iniziò a domandarsi come facesse un<br />

ricercatore, seppure brillante e dotato <strong>di</strong> imponenti mezzi tecnici<br />

e finanziari, a pubblicare ben 7 lavori in un anno sulle più<br />

prestigiose riviste internazionali. Malcolm Beasley, a capo della<br />

commissione <strong>di</strong> inchiesta dei Bell Labs, prese in esame 25 lavori,<br />

<strong>degli</strong> oltre 90 pubblicati da Schön, e trovò che 17 <strong>di</strong> questi<br />

contenevano dati falsi ed altre fro<strong>di</strong> scientifiche. Il giorno che<br />

furono rese pubbliche le conclusioni della commissione, Schön<br />

fu licenziato dai laboratori Bell e l’Università <strong>di</strong> Costanza gli<br />

revocò il titolo <strong>di</strong> Ph.D.<br />

6. La scienza ha risvolti sociali negativi anche quando contravviene<br />

ad altri principi etici, quali quello dello scambiare l’autorità<br />

con l’autorevolezza. Troppe volte i cosiddetti “esperti” – termine<br />

che andrebbe ban<strong>di</strong>to nel linguaggio scientifico in quanto<br />

in<strong>di</strong>cante una categoria <strong>di</strong> soggetti con conoscenze esperienziali,<br />

e sostituito con “stu<strong>di</strong>osi” che meglio si ad<strong>di</strong>ce al lavoro<br />

<strong>degli</strong> scienziati – parlano ex cathedra senza tenere conto<br />

<strong>di</strong> quanto riportato dalla letteratura, soprattutto da quella più<br />

recente, su un determinato argomento. E questa condotta è


ancora più riprovevole se non mira ad una semplice affermazione<br />

personale, ma coinvolge pregiu<strong>di</strong>zi ideologici. Il caso più<br />

eclatante, che ha lasciato un lungo strascico <strong>di</strong> polemiche e ha<br />

fortemente indebolito la cre<strong>di</strong>bilità della comunità scientifica<br />

agli occhi della opinione pubblica, è quello della Encefalopatia<br />

spongiforme bovina (BSE), patologia neourodegenerativa<br />

cronica sostenuta da agenti infettivi non convenzionali detti<br />

prioni, che fece la sua comparsa nel Regno Unito a fine anni<br />

’80 dello scorso secolo. Quando agli inizi del decennio successivo<br />

la curva epidemica inizio a salire vertiginosamente, molti<br />

iniziarono a chiedersi se la patologia non potesse essere trasmessa<br />

ai consumatori attraverso la carne ed, eventualmente,<br />

il latte prodotto da animali infetti. Il Governo britannico, per<br />

bocca <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong>osi interpellati allo scopo in qualità <strong>di</strong> consulenti<br />

delle autorità sanitarie, rispose che non c’era nulla da<br />

preoccuparsi e che il rischio era nullo o minimo. Questo atteggiamento,<br />

ovviamente, contribuì ad aumentare lo scetticismo<br />

nel pubblico. Sempre nel 1990 l’e<strong>di</strong>tor <strong>di</strong> “British Journal Nature”<br />

commentò la posizione governativa asserendo che “nulla<br />

ci <strong>di</strong>ce che non vi sia un pericolo, ma il problema è calcolare il<br />

rischio… e niente <strong>di</strong>ce che questo rischio sia trascurabile fino<br />

a quando chi vi ascolta non con<strong>di</strong>viderà la vostra filosofia <strong>di</strong><br />

vita”. Questo avvertimento purtroppo si rivelò profetico. Il 21<br />

marzo de 1996 furono annunciati 10 casi <strong>di</strong> morbo <strong>di</strong> Creutzfeld-Jakob<br />

(CJD) in pazienti non a rischio e molto più giovani<br />

<strong>di</strong> quelli nei quali questa patologia naturalmente si manifesta.<br />

La figura 1.1 mostra l’andamento dell’incidenza dei decessi<br />

dovuti alla variante del morbo <strong>di</strong> Creutzfeld-Jakob (vCJD) imputabili<br />

alla trasmissione del prione dalla carne all’uomo, sul<br />

totale dei morti per questa patologia nell’ultimo ventennio, e<br />

la caduta <strong>di</strong> tale proporzione a seguito delle drastiche misure<br />

<strong>di</strong> prevenzione assunte dalle autorità sanitarie del Regno Unito.<br />

In totale, si stima che dei 1476 decessi per CJD accertati nel<br />

Regno Unito dal 1990 all’inizio del 2010, 168 siano dovuti alla<br />

variante infettiva derivante dalla BSE, mentre nel mondo i casi<br />

accertati <strong>di</strong> decesso da vCJD nello stesso periodo sono stati<br />

pari a 270.<br />

15


16<br />

Figura 1.1. Incidenza percentuale dei casi <strong>di</strong> variante del morbo <strong>di</strong> Creutzfield-Jakob<br />

(vCJD) sul totale dei decessi per CJD nell’ultimo ventennio nel<br />

Regno Unito (UK National CJD Surveillance Unit, 2010).<br />

7. Il caso italiano più famoso <strong>di</strong> mala-scienza è forse quello che ha<br />

coinvolto il dottor Luigi Di Bella e il suo presunto metodo per<br />

la cura del cancro. Questa vicenda mette in luce i pericoli che si<br />

corrono ogni qual volta pseudo scienziati cercano <strong>di</strong> occupare<br />

la scena me<strong>di</strong>atica reclamando scoperte eclatanti o portando alla<br />

evidenza collettiva meto<strong>di</strong> “miracolosi” per la cura <strong>di</strong> malattie<br />

rare e ad esito nefasto. In una pubblica opinione, già orientata<br />

a dare largo ascolto a maghi e cartomanti tanto da procurarne<br />

un giro d’affari da capogiro, una posizione assunta contro la<br />

cosiddetta scienza ufficiale è un sicuro viatico <strong>di</strong> successo personale<br />

e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgrazia per coloro che credono in simili fandonie.<br />

Più <strong>di</strong> ogni altro commento è però istruttivo leggere il rapporto<br />

finale dell’Istituto Superiore <strong>di</strong> Sanità (ISSN 1123-3117, Rapporti<br />

ISTISAN 99/12) rilasciato alla fine della sperimentazione sul<br />

“metodo Di Bella”. Riportiamo in sintesi il caso Di Bella, così<br />

come commentato dai me<strong>di</strong>a (RAI 3 del 31 maggio 2000) al<br />

momento della pubblicazione dei risultati del rapporto ISTISAN.<br />

“La sperimentazione del metodo anticancro del professor Luigi<br />

Di Bella viene ufficialmente avviata con un decreto d’urgenza<br />

(decreto-legge del 17 febbraio 1998 convertito in legge l’8 aprile<br />

1998). È raro, per non <strong>di</strong>re unico, nella storia della sperimentazione<br />

clinica che un farmaco o un insieme <strong>di</strong> farmaci vengano<br />

sperimentati non per una esigenza e un interesse scientifico, ma


sotto la spinta dell’opinione pubblica e dell’intervento delle forze<br />

politiche che ne è derivato. La sperimentazione si articola in<br />

due fasi: la prima che arruola 386 pazienti e deve valutare la<br />

capacità antitumorale del metodo Di Bella (MDB), la seconda è<br />

uno stu<strong>di</strong>o osservazionale che ne arruola 769. La prima fase è<br />

durata da marzo a novembre 1998 (risultati ufficializzati il 23<br />

luglio e definitivamente il 13 novembre 1998) anche se la durata<br />

me<strong>di</strong>ana del trattamento per ogni singolo paziente è stata<br />

<strong>di</strong> circa due mesi (secondo i critici della sperimentazione troppo<br />

pochi per valutare l’attività antitumorale del MDB, sebbene<br />

si siano seguiti protocolli e meto<strong>di</strong> standar<strong>di</strong>zzati). Nello stu<strong>di</strong>o<br />

osservazionale sono stati inclusi gli stessi tipi e sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> tumori<br />

inclusi nello stu<strong>di</strong>o sperimentale, ma l’obiettivo era valutare la<br />

sopravvivenza dei malati e gli effetti tossici della cura, per questo<br />

lo stu<strong>di</strong>o è durato <strong>di</strong> più (il primo rapporto dei risultati è stato<br />

pubblicato a <strong>di</strong>cembre 1999, facendo riferimento a un ultimo<br />

controllo effettuato a maggio 1999). Sono stati coinvolti 60 centri<br />

<strong>di</strong> riferimento oncologico, lo Stabilimento chimico farmaceutico<br />

militare <strong>di</strong> Firenze che aveva il compito <strong>di</strong> preparare la soluzione<br />

ai retinoi<strong>di</strong> e la melatonina (le altre me<strong>di</strong>cine della terapia<br />

venivano già prodotte industrialmente). Il coor<strong>di</strong>namento della<br />

sperimentazione è stato affidato all’Istituto Superiore <strong>di</strong> Sanità<br />

che ha monitorato il lavoro dei 72 centri coinvolti. In sintesi<br />

questa è la valutazione finale dei due stu<strong>di</strong> paralleli: ‘Dall’analisi<br />

dell’insieme dei 1155 pazienti inclusi negli stu<strong>di</strong> sperimentali<br />

(386 pazienti) e osservazionali (769 pazienti), non emerge<br />

alcuna evidenza che il trattamento MDB sia dotato <strong>di</strong> qualche<br />

attività antitumorale <strong>di</strong> interesse clinico’ (dal Rapporto ISTISAN<br />

99/12, Risultati della sperimentazione del Multitrattamento Di<br />

Bella [MDB], stu<strong>di</strong>o osservazionale)”. I guasti della pseudoscienza<br />

non si fermano ai danni <strong>di</strong>retti creati nella società. Il caso Di<br />

Bella ha continuato a occupare la scena fino al 2008 quando la<br />

Cassazione, confermando una sentenza dalla Corte d’Appello <strong>di</strong><br />

Roma, ha negato il risarcimento danni per la morte <strong>di</strong> un malato<br />

<strong>di</strong> tumore al quale era stato consegnato in ritardo il cocktail <strong>di</strong><br />

farmaci della cura Di Bella: la motivazione della sentenza è basata<br />

sul generale <strong>di</strong>scre<strong>di</strong>to che tale metodo aveva raggiunto nella<br />

comunità scientifica <strong>di</strong> riferimento.<br />

17


18<br />

8. Una delle più importanti indagini sui cattivi comportamenti<br />

scientifici maturati nell’ambiente accademico è il famoso lavoro<br />

che Swazey, Anderson e Lewis (1993) hanno condotto per<br />

l’“Aca<strong>di</strong>a Institute Project on Professional Values and Ethical<br />

Issues in the Graduate Education of Scientists and Engineers”,<br />

grazie al contributo finanziario della National Science Foundation.<br />

La vasta indagine, che ha coinvolto 2000 dottoran<strong>di</strong> e<br />

2000 loro professori <strong>di</strong> 99 fra i maggiori <strong>di</strong>partimenti statunitensi<br />

attivi nelle <strong>di</strong>scipline della chimica, ingegneria civile,<br />

microbiologia e sociologia, ha riguardato la loro esperienza <strong>di</strong>retta<br />

relativamente a 15 comportamenti eticamente <strong>di</strong>scutibili<br />

o riprovevoli. Questi sono stati classificati in tre categorie sulla<br />

base delle linee guida della National Academy of Sciences che<br />

vedremo meglio nel capitolo 5: a) categoria 1, mala condotta<br />

nella ricerca comprendente la fabbricazione e la falsificazione<br />

dei dati e il plagio nella proposta <strong>di</strong> progetti <strong>di</strong> ricerca o nella<br />

pubblicazione <strong>di</strong> risultati scientifici; b) categoria 2, azioni<br />

riprovevoli quali la negligenza nel raccogliere e trattare i dati<br />

oppure nel permettere l’authorship onoraria; c) altre cattive<br />

pratiche quali le molestie sessuali o la non osservanza delle<br />

leggi o delle norme in tema <strong>di</strong> ricerca scientifica.<br />

Gli autori dell’indagine partono con la considerazione che una<br />

gran parte del <strong>di</strong>battito attorno alla mala condotta dei ricercatori<br />

riguarda l’impatto che essa provoca sulla cre<strong>di</strong>bilità che la<br />

scienza ha nei confronti del pubblico. Infatti, ogniqualvolta gli<br />

scienziati sono interpellati circa una probabile cattiva condotta <strong>di</strong><br />

un ricercatore, essi sono portati a ritenere che i me<strong>di</strong>a abbiano<br />

enfatizzato il problema, a temere che la fede pubblica sull’integrità<br />

della scienza sia indebolita e a paventare, quale conseguenza,<br />

una riduzione dei finanziamenti pubblici alla ricerca. L’atteggiamento<br />

<strong>di</strong>fensivo <strong>degli</strong> scienziati, pur comprensibile, è riprovevole<br />

e può portare all’innesco <strong>di</strong> un circolo vizioso nel quale la paura<br />

della lesione <strong>di</strong> un interesse personale spinge i ricercatori ad allentare<br />

la guar<strong>di</strong>a sul comportamento dei loro pari e, alla lunga,<br />

a minare la cre<strong>di</strong>bilità dell’impresa scientifica nel suo complesso.<br />

9. Riportiamo <strong>di</strong> seguito alcuni <strong>degli</strong> interessanti risultati della ricerca<br />

<strong>di</strong> Swazey, Anderson e Lewis (1993). I grafici, traduzione<br />

<strong>di</strong> quelli originali dell’articolo, sono <strong>di</strong>visi in due parti: una ri-


19<br />

porta gli esiti relativi alle domande somministrate ai professori,<br />

che riguardano se stessi e gli studenti; l’altra parte gli esiti delle<br />

domande somministrate, nella stessa guisa, agli studenti.<br />

La prima domanda sulla falsificazione dei dati mostra una maggiore<br />

sensibilità <strong>degli</strong> studenti, ma un certo equilibrio fra le<br />

due componenti (figura 1.2).<br />

Il plagio rappresenta invece un grave problema per i docenti, anche<br />

nel caso che a commetterlo siano gli studenti, mentre questi<br />

ultimi sono più magnanimi, forse perché nella pratica corrente il<br />

“copiare” un compito o un elaborato non è ritenuto un comportamento<br />

così grave (figura 1.3). Nel complesso è preoccupante la<br />

fama <strong>di</strong> plagiatori raggiunta dai professori <strong>di</strong> ingegneria.<br />

Le molestie sessuali sono invece materia dei dottoran<strong>di</strong> e professori<br />

<strong>di</strong> sociologia, come è evidente dai risultati riportati<br />

nella figura 1.4, così come la pratica <strong>di</strong> comportamenti <strong>di</strong>scriminatori<br />

(figura 1.5). È bizzarro notare che, negli Stati Uniti,<br />

le malefatte scientifiche che riguardano la sfera dei rapporti<br />

umani siano più frequenti negli stu<strong>di</strong>osi delle scienze sociali<br />

così come preoccupa la minore soglia <strong>di</strong> percezione <strong>di</strong> questo<br />

comportamento negli studenti rispetto ai professori.<br />

Figura 1.2. Quante volte ha visto falsificare dati? A sinistra le risposte dei professori,<br />

a destra quelle <strong>degli</strong> studenti (Swazey et al., 1993).


20<br />

Figura 1.3. Quante volte ha visto copiare un lavoro o parte <strong>di</strong> un lavoro? A sinistra<br />

le risposte dei professori, a destra quelle <strong>degli</strong> studenti (Swazey et al., 1993).<br />

Figura 1.4. Quante volte hai assistito o sentito parlare <strong>di</strong> molestie sessuali<br />

nell’ambiente <strong>di</strong> lavoro? A sinistra le risposte dei professori, a destra quelle<br />

<strong>degli</strong> studenti (Swazey et al., 1993).


21<br />

Figura 1.5. Quante volte hai assistito o sentito parlare <strong>di</strong> atti <strong>di</strong>scriminatori<br />

compiuti nell’ambiente <strong>di</strong> lavoro? A sinistra le risposte dei professori, a destra<br />

quelle <strong>degli</strong> studenti (Swazey et al., 1993).<br />

Figura 1.6. Quante volte hai osservato un cattivo uso delle risorse assegnate<br />

per la ricerca? A sinistra le risposte dei professori, a destra quelle <strong>degli</strong> studenti<br />

(Swazey et al., 1993).


22<br />

Lo spreco delle risorse messe a <strong>di</strong>sposizione dei ricercatori<br />

sembra che sia uno dei maggiori problemi portati in luce<br />

dall’indagine. I professori mostrano, infatti, un’altissima percezione<br />

<strong>di</strong> questa mala condotta rispetto agli studenti, con una<br />

soglia che sfiora il 60% <strong>degli</strong> intervistati per quanto attiene al<br />

comportamento dei ricercatori <strong>di</strong> ingegneria (figura 1.6).<br />

10. Swazey et al. (1993) concludono che i loro risultati in<strong>di</strong>cano<br />

che la mala condotta scientifica, che includa esclusivamente il<br />

plagio e la falsificazione dei dati, si presenta meno frequentemente<br />

<strong>di</strong> altri comportamenti eticamente sbagliati o <strong>di</strong>scutibili<br />

sia nei professori che negli studenti <strong>di</strong> dottorato. Allo stesso<br />

tempo, l’esposizione della comunità scientifica statunitense al<br />

plagio e alla falsificazione dei dati non è trascurabile, anche se<br />

i dati mostrano chiaramente che studenti e professori devono<br />

far fronte ad altri tipi <strong>di</strong> mala condotta e a una varietà <strong>di</strong> pratiche<br />

<strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevoli nell’attività quoti<strong>di</strong>ana svolta dai ricercatori.<br />

11. In sintesi, le cattive condotte scientifiche rilevabili con relativa<br />

facilità, seppure con alti costi economici e umani, sono quelle<br />

che riguarda la falsificazione o manipolazione dei dati e il plagio,<br />

mentre restano nascoste altre cattive pratiche quali quelle<br />

della <strong>di</strong>scriminazione, del conflitto <strong>di</strong> interesse e delle molestie<br />

sessuali. Nonostante la spora<strong>di</strong>cità dei casi rilevati pubblicamente,<br />

i dati delle inchieste condotte all’interno della comunità<br />

scientifica restituiscono un quadro inquietante del livello<br />

<strong>di</strong> rispetto della deontologia professionale sia negli scienziati<br />

maturi che, sfortunatamente, anche in quelli in formazione.


Capitolo 2<br />

Quin<strong>di</strong> ci vuole un’etica della scienza<br />

1. Gli esempi <strong>di</strong> mala condotta scientifica riportati nel precedente<br />

capitolo, insieme ai mille altri casi che si potrebbero ricordare,<br />

costituiscono una base sufficiente per poter giustificare la<br />

necessità <strong>di</strong> un insieme <strong>di</strong> norme che <strong>di</strong>stinguano dal punto <strong>di</strong><br />

vista morale i comportamenti corretti da quelli condannabili o<br />

soltanto <strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevoli, cioè <strong>di</strong> un’etica della ricerca scientifica. Il<br />

ricorso al termine etica non apparirà pretenzioso se teniamo<br />

presente il suo significato originario <strong>di</strong> comportamento, costume<br />

o consuetu<strong>di</strong>ne.<br />

2. Ve<strong>di</strong>amo alcune definizioni <strong>di</strong> etica.<br />

a) L’etica (dal greco antico e[qo~ [o hvqo~], “èthos”, comportamento,<br />

costume, consuetu<strong>di</strong>ne) è quella branca della filosofia<br />

che stu<strong>di</strong>a i fondamenti oggettivi e razionali che permettono<br />

<strong>di</strong> assegnare ai comportamenti umani uno status<br />

deontico ovvero <strong>di</strong>stinguerli in buoni, giusti, o moralmente<br />

leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente<br />

inappropriati (Wikipe<strong>di</strong>a, 2010).<br />

b) L’etica, termine introdotto da Aristolele (ethiketheoria),<br />

in<strong>di</strong>ca quella parte della filosofia che stu<strong>di</strong>a la condotta<br />

dell’uomo, i criteri in base ai quali si valutano i comportamenti<br />

e le scelte (Vattimo, 2004).<br />

c) L’etica può essere considerata una <strong>di</strong>sciplina tecnica che<br />

sta al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> tutte le <strong>di</strong>scipline tecniche umane con<br />

una regolamentazione che si estende a tutte quante (Husserl,<br />

2004).<br />

d) L’etica è una dottrina o riflessione speculativa intorno al<br />

comportamento pratico dell’uomo che intende in<strong>di</strong>care<br />

quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo,<br />

i doveri morali verso sé e gli altri e i criteri per giu<strong>di</strong>care<br />

la moralità delle azioni umane (Istituto della Enciclope<strong>di</strong>a<br />

Italiana, 1997).


24<br />

Per più ampia <strong>di</strong>samina dello sviluppo dell’etica nel pensiero<br />

filosofico, facciamo riferimento al capitolo <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento<br />

“Breve <strong>di</strong> etica nel breviario” posto alla fine <strong>di</strong> questo trattatello.<br />

3. La scienza ha un’etica interna, i doveri verso la comunità scientifica,<br />

ed un’etica esterna, i doveri della comunità scientifica nei<br />

confronti della società. Noi ci limiteremo a questi due termini,<br />

anche se siamo consapevoli che ne esiste un terzo relativo agli<br />

obblighi che la società, attraverso la scienza, ha nei confronti<br />

dell’umanità e dell’ambiente naturale. Concor<strong>di</strong>amo con Edgar<br />

Morin (2005) quando afferma che “la scienza moderna si<br />

è fondata sulla <strong>di</strong>sgiunzione tra giu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> fatto e giu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong><br />

valore, cioè tra la conoscenza da una parte e l’etica dall’altra.<br />

L’etica del conoscere per conoscere, alla quale la scienza sembrerebbe<br />

obbe<strong>di</strong>re, è cieca nei confronti delle gravi conseguenze<br />

che oggigiorno producono le formidabili potenze <strong>di</strong> morte e<br />

<strong>di</strong> manipolazione suscitate dai progressi scientifici. Lo sviluppo<br />

tecnico, inseparabile dagli sviluppi scientifici ed economici, ha<br />

consentito il sovrasviluppo della razionalità strumentale che<br />

può essere messa al servizio dei fini più immorali”. Pertanto,<br />

pur essendo la conoscenza il fine etico della scienza, questa<br />

non può che essere traguardata che con la lente dei valori <strong>di</strong><br />

equità, giustizia e solidarietà, gli unici in grado <strong>di</strong> sostenere il<br />

patto fra gli uomini, entro e fra generazioni, e fra gli uomini e<br />

la natura <strong>di</strong> cui fanno parte e che li accoglie.<br />

4. Essendo pertanto l’etica della ricerca scientifica una forma <strong>di</strong><br />

riflessione sulla scienza, è in primo luogo necessario avere<br />

chiaro in che cosa consiste e come si articola oggi il complesso<br />

delle attività responsabili della produzione della conoscenza<br />

scientifica. Alla maturazione <strong>di</strong> tale consapevolezza sono de<strong>di</strong>cati<br />

i sue successivi capitoli.


Capitolo 3<br />

La Scienza, un’impresa sociale<br />

1. pavuta rJei'o~ potamos (pànta rèi òs potamòs, tutto scorre come<br />

il fiume). La famosa frase <strong>di</strong> Eraclito, il quale 2000 anni A.C.<br />

(Avanti Cartesio) aveva osservato che niente della realtà resta<br />

costante tanto che non ci si può bagnare due volte nella stessa<br />

acqua <strong>di</strong> un fiume, ci mette <strong>di</strong> fronte alla più straor<strong>di</strong>naria sfida<br />

per l’intelletto umano: raccogliere la realtà per darne un senso<br />

e una spiegazione. Il primo compito spetta alla filosofia e il<br />

secondo, non meno impegnativo, alla scienza.<br />

La frase <strong>di</strong> Eraclito 2500 anni dopo potrebbe risuonare più o<br />

meno così:<br />

La realtà e la vita<br />

È acqua che scorre fra le <strong>di</strong>ta<br />

Poiché l’uomo non può viver senza<br />

Coglie l’acqua col bicchiere e la realtà con la scienza.<br />

2. Che cosa è la scienza? Fra le tante, troppe, definizioni ne tentiamo<br />

una noi, ad uso esclusivo del tema <strong>di</strong> questo breviario, l’etica.<br />

“La scienza è una impresa collettiva e pubblica, basata su fatti<br />

e riscontri empirici, che ha lo scopo <strong>di</strong> rendere intellegibile la<br />

realtà con finalità sia teoretiche (generali per induzione) che<br />

pratiche (particolari per deduzione)”.<br />

Gli attori <strong>di</strong> questa particolare impresa sono gli Scienziati i<br />

quali sono definiti dalla Raccomandazione della Commissione<br />

Europea dell’11 marzo 2005 riguardante la Carta Europea<br />

dei Ricercatori e un Co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Condotta per l’Assunzione dei<br />

Ricercatori nel seguente modo: “Professionisti impegnati nella<br />

concezione o nella creazione <strong>di</strong> nuove conoscenze, prodotti,<br />

processi, meto<strong>di</strong> e sistemi nuovi e nella gestione dei progetti<br />

interessati”. Approfon<strong>di</strong>remo questi aspetti nel capitolo 4 nel<br />

quale formuleremo anche una descrizione più ampia del significato<br />

<strong>di</strong> professione e <strong>di</strong> mestiere nell’ambito della scienza.


26<br />

3. La scienza si può praticare e <strong>di</strong> scienza si può anche parlare.<br />

Secondo Tagliagambe (2009), la conoscenza della scienza in<strong>di</strong>ca<br />

le aree del sapere riguardanti il mondo naturale e fa riferimento<br />

alla fisica, alla chimica, alle scienze biologiche e alle<br />

scienze della Terra e dell’Universo, oltre che alla tecnologia. La<br />

conoscenza sulla scienza intende in<strong>di</strong>care la piena comprensione<br />

dei mezzi (indagine scientifica) e dei fini (spiegazione <strong>di</strong><br />

carattere scientifico) della scienza. Rientrano in questo ambito<br />

le conoscenze relative al metodo scientifico e alle procedure<br />

d’indagine, alle caratteristiche dei dati e dei risultati, ai problemi<br />

legati alla misurazione, alle caratteristiche tipiche <strong>di</strong> una<br />

spiegazione scientifica, al rapporto tra osservatore e osservato,<br />

alla relazione tra dati osservativi e teoria, alla natura delle leggi<br />

scientifiche. Si tratta <strong>di</strong> una conoscenza <strong>di</strong> carattere epistemologico<br />

che, rispetto alla conoscenza della scienza, si colloca a<br />

un livello metalinguistico.<br />

4. Analizziamo più da vicino la definizione <strong>di</strong> scienza del lemma<br />

2 <strong>di</strong> questo capitolo. Iniziamo dal carattere <strong>di</strong> impresa che si<br />

estrinseca sia sotto il profilo <strong>di</strong> investimento <strong>di</strong> tempo e <strong>di</strong><br />

energie da parte dei ricercatori per esplorare una o più aree<br />

<strong>di</strong> interesse, sia sotto l’aspetto economico in quanto la ricerca<br />

è <strong>di</strong>ventata, soprattutto nell’ultimo mezzo secolo, una attività<br />

che consuma risorse importanti e che è in grado <strong>di</strong> generare<br />

notevoli profitti. Ad esempio, la cosiddetta big science, che interessa<br />

in particolare campi quali la fisica delle alte energie,<br />

l’astronomia, la biome<strong>di</strong>cina, la farmaceutica, le scienze aerospaziali,<br />

è possibile solo grazie a gruppi <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> centinaia<br />

o migliaia <strong>di</strong> scienziati e all’impegno <strong>di</strong> ingenti risorse in investimenti<br />

<strong>di</strong> grande rilievo, <strong>di</strong> solito a carattere sovranazionale.<br />

5. La scienza è un’impresa collettiva e pubblica. Dagli albori della<br />

filosofia della natura, come era chiamata la scienza ai tempi<br />

<strong>di</strong> Galileo, i ricercatori hanno sempre avuto quale riferimento<br />

del proprio agire una comunità <strong>di</strong> pari, ai quali in<strong>di</strong>rizzavano<br />

i propri scritti (prima lettere e poi pubblicazioni) per avere<br />

riconoscimento e approvazione del lavoro svolto, ma anche<br />

critiche e suggerimenti. Poiché i primi scienziati in<strong>di</strong>rizzavano<br />

il proprio agire al fine del miglioramento della conoscenza della<br />

(e per la) società della quale facevano parte, gli esperimenti


che essi compivano nel XVII e XVIII secolo erano pubblici, anche<br />

se per pubblico si intendeva l’insieme della buona società,<br />

mentre il popolo era relegato al rango <strong>di</strong> lontano osservatore<br />

delle “mirabolanti <strong>di</strong>mostrazioni” che si compivano nelle piazze,<br />

negli anfiteatri e nei gabinetti <strong>di</strong> chimica. In questo clima<br />

preilluministico, l’aumento delle controversie sulla paternità <strong>di</strong><br />

importanti scoperte nei vari campi della matematica e delle<br />

scienze spinse le comunità <strong>di</strong> scienziati a dotarsi <strong>di</strong> regole per<br />

l’attribuzione della paternità dei lavori (authorship). Queste regole<br />

prevedevano due momenti: la <strong>di</strong>scussione pubblica dei<br />

risultati davanti ad un consiglio <strong>di</strong> Pari (board of Peers) e la<br />

stampa <strong>di</strong> una memoria. A tale scopo furono fondate le società<br />

scientifiche, prima fra tutte nel 1603 l’Accademia dei Lincei a<br />

Roma, provvista <strong>di</strong> biblioteca, <strong>di</strong> gabinetto <strong>di</strong> storia naturale<br />

con annesso un orto botanico, ad opera del principe Federico<br />

Cesi; nel 1645 iniziò l’attività la Royal Society of London for<br />

the Promotion of Natural Knowledge seguita nel 1666 dalla<br />

Académie Royale des Sciences in Francia. Le Accademie, fenomeno<br />

tipicamente secentesco con lo scopo <strong>di</strong> rendere pubblici<br />

i risultati della ricerca scientifica al <strong>di</strong> fuori del potere<br />

esercitato dalle Università, accre<strong>di</strong>tavano fra i loro membri gli<br />

scienziati in attività presso le rispettive nazioni e, con adunanze<br />

pubbliche destinate alla <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> contributi scientifici<br />

dei propri membri o <strong>di</strong> esterni e la pubblicazione perio<strong>di</strong>ca <strong>di</strong><br />

Atti, rendevano possibile il riconoscimento della correttezza e<br />

dell’originalità del lavoro dello scienziato. In tal modo, il lavoro<br />

scientifico si è configurato fin dalle origini aperto alla critica e<br />

soggetto al giu<strong>di</strong>zio dei pari, ma in<strong>di</strong>rizzato al pubblico.<br />

I risultati <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong> hanno sempre una paternità e il maggiore<br />

compenso per uno scienziato è quello <strong>di</strong> vedere il proprio<br />

nome legato ad una scoperta fondamentale. La priorità <strong>di</strong> una<br />

scoperta è solitamente attestata dalla sua pubblicazione su una<br />

rivista previo parere <strong>di</strong> pari che, nel caso specifico, hanno una<br />

funzione <strong>di</strong> arbitri (referees) che agiscono in nome e per conto<br />

della comunità scientifica. Una volta pubblicato, il risultato <strong>di</strong><br />

uno stu<strong>di</strong>o scientifico <strong>di</strong>viene parte integrante del corpus <strong>di</strong><br />

conoscenza <strong>di</strong> una determinata <strong>di</strong>sciplina ed è a <strong>di</strong>sposizione<br />

<strong>di</strong> tutti, a patto che sia citata la fonte dalla quale si è attinto (la<br />

27


28<br />

rivista), gli autori della pubblicazione e l’anno. In definitiva,<br />

la conoscenza scientifica per sua natura riconosce gli autori<br />

attraverso il filtro collettivo della comunità scientifica, ma è<br />

pubblica cioè a <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> tutti.<br />

6. La scienza si basa su fatti e riscontri empirici. La conoscenza<br />

scientifica esplora e deco<strong>di</strong>fica il mondo del reale attraverso la<br />

misura e la classificazione dei fenomeni naturali. La sua base<br />

è pertanto rappresentata dai dati sperimentali, misure quantitative<br />

o qualitative <strong>di</strong> una determinata porzione <strong>di</strong> realtà. La<br />

produzione <strong>di</strong> dati secondo un determinato <strong>di</strong>segno sperimentale,<br />

la loro raccolta, la loro analisi ed elaborazione e la verifica<br />

empirica della loro vali<strong>di</strong>tà, sono tutti elementi fondamentali<br />

del metodo scientifico. L’assunto della regolarità e dell’intelligibilità<br />

dei fenomeni naturali ha fondato, già dagli albori della<br />

scienza, la regola della ripetibilità <strong>degli</strong> esperimenti sotto le<br />

stesse con<strong>di</strong>zioni: se un determinato fenomeno risponde ad<br />

una legge naturale, allora esso deve essere riproducibile date<br />

le stesse con<strong>di</strong>zioni sperimentali. Il principio della replicabilità<br />

<strong>degli</strong> esperimenti è considerato uno dei capisal<strong>di</strong> della ricerca<br />

e la non riproducibilità <strong>di</strong> un determinato risultato sperimentale<br />

da parte <strong>di</strong> scienziati esperti è considerata la prova aurea<br />

della falsità dei dati ottenuti.<br />

7. La scienza ha lo scopo <strong>di</strong> rendere intellegibile la realtà. Raccogliere<br />

dati sperimentali è oggigiorno <strong>di</strong>ventato facilissimo grazie<br />

all’ausilio <strong>di</strong> apparecchiature automatiche e alla capacità <strong>di</strong><br />

immagazzinare una impressionante mole <strong>di</strong> informazioni nelle<br />

memorie dei computer; per elaborali occorre invece un criterio,<br />

ossia un filtro <strong>di</strong> conoscenze pregresse sul fenomeno stu<strong>di</strong>ato<br />

che consenta <strong>di</strong> scegliere il modello matematico-statistico più<br />

opportuno per la loro classificazione. In altre parole, il piano<br />

sperimentale in base al quale sono raccolti i dati deve essere<br />

<strong>di</strong>segnato in coerenza con l’analisi statistica prescelta in modo<br />

tale che sia in grado <strong>di</strong> mettere in evidenza le informazioni<br />

cercate Elaborare i dati significa operare una compressione algoritmica<br />

tale che la stringa ottenuta sia in grado <strong>di</strong> contenere<br />

nel minore spazio la maggiore quota <strong>di</strong> informazione residente<br />

nei dati stessi. La stringa interpretativa deve necessariamente<br />

essere dotata <strong>di</strong> “senso”, deve in sostanza essere in grado <strong>di</strong>


endere intellegibile quella determinata fetta <strong>di</strong> realtà esplorata<br />

attraverso i dati sperimentali. In definitiva, la realtà produce<br />

un numero praticamente infinito <strong>di</strong> informazioni, la scienza ne<br />

raccoglie una parte ritenuta rappresentativa del fenomeno in<br />

stu<strong>di</strong>o, i dati così ottenuti sono elaborati al fine <strong>di</strong> separare il<br />

segnale regolare (la parte intellegibile), dal rumore <strong>di</strong> fondo (la<br />

parte casuale) del fenomeno. Da quanto detto risulta evidente<br />

che la scienza non afferma “il vero”, inteso come un attestazione<br />

<strong>di</strong> veri<strong>di</strong>cità <strong>di</strong> un determinato fenomeno, ma elabora<br />

schemi interpretativi della realtà in grado <strong>di</strong> spiegarne e prevederne<br />

il comportamento.<br />

8. La scienza ha finalità teoretiche (generali per induzione) e<br />

pratiche (particolari per deduzione). La conoscenza scientifica,<br />

come ogni altra conoscenza, avanza per processi <strong>di</strong> generalizzazione.<br />

Il metodo scientifico universalmente adottato, denominato<br />

“ipotetico-deduttivo”, si basa su un circolo virtuoso<br />

rappresentato schematicamente nella figura 3.1. Senza entrare<br />

nei dettagli, che spettano ad altre <strong>di</strong>scipline quali la Storia e la<br />

Filosofia della Scienza alle quali si rimanda per i doverosi approfon<strong>di</strong>menti,<br />

possiamo affermare che la conoscenza scientifica<br />

inizia con l’osservazione <strong>di</strong> una “realtà fenomenica” oppure<br />

con la formulazione <strong>di</strong> una “ipotesi”. Il passaggio dal primo<br />

al secondo passo è sempre filtrato da una “teoria scientifica”<br />

che rappresenta la conoscenza standard <strong>di</strong> quel dato fenomeno<br />

accre<strong>di</strong>tata dalla comunità <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> quella determinata<br />

porzione della realtà (<strong>di</strong>sciplina scientifica o campo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>).<br />

La formulazione dell’ipotesi porta alla deduzione <strong>di</strong> determinate<br />

conseguenze osservative secondo un modello interpretativo<br />

della realtà (materia <strong>di</strong> cui si occupa la Modellistica), le quali<br />

sono sottoposte a verifica sperimentale per produrre dati che<br />

collimino o meno con le osservazioni e che siano in grado<br />

così <strong>di</strong> corroborare (accettare) o confutare (respingere) l’ipotesi<br />

sperimentale formulata. La scienza è, perciò, una raccolta in<br />

progress <strong>di</strong> teorie, sempre rafforzate da fatti empirici per induzione,<br />

dalle quali è possibile ricavare per deduzione dati utili<br />

per interpretare e prevedere la realtà e per sottoporre la teoria<br />

stessa a nuova verifica sperimentale.<br />

29


30<br />

Figura 3.1. Rappresentazione schematica del metodo scientifico “ipoteticodeduttivo”<br />

(da Tagliagambe, 2010).<br />

9. Riassumendo, la scienza: a) si fonda sui fatti per elaborare le<br />

teorie, b) usa le teorie per generare o spiegare i fatti, c) non<br />

consente che le teorie possano essere impiegate per confermare<br />

altre teorie (e neanche se stesse), d) non consente <strong>di</strong> usare i<br />

fatti per spiegare altri fatti (e neanche se stessi). In altri termini,<br />

la conoscenza scientifica non è autoreferenziale in quanto impiega<br />

i fatti per migliorare e confermare, oppure per indebolire<br />

e demolire, le teorie scientifiche standard (oppure ancora per<br />

far prevalere la migliore nel caso in cui coesistano teorie scientifiche<br />

rivali). La scienza impiega invece le teorie per spiegare<br />

e prevedere (generare fatti) la realtà fenomenica.<br />

10. Potremmo a questo punto tentare una collocazione della scienza<br />

nel sistema <strong>degli</strong> interessi legati alle sfere delle competenze<br />

razionali-emotive proprie del pensiero umano. La figura 3.2<br />

schematizza gli ambiti del pensiero umano delimitando lo spazio<br />

cartesiano nelle <strong>di</strong>rettrici della creatività e passionalità e<br />

nell’origine della razionalità. Il piano così composto in<strong>di</strong>vidua<br />

le coor<strong>di</strong>nate delle Idee (massimo della creatività, me<strong>di</strong>a fra<br />

razionalità ed emotività), delle Opinioni (massimo della passio-


31<br />

nalità, me<strong>di</strong>a fra razionalità e creatività) e dei Pareri (massimo<br />

della razionalità e minimo delle emotività e della creatività). In<br />

questa rappresentazione risultano chiari i significati dei pre<strong>di</strong>cati<br />

che reggono questi sostantivi: le Idee si “vedono”, le Opinioni<br />

si “sentono” e i Pareri si “rendono”. Le Idee appartengono<br />

all’ambito della Estetica, le Opinioni a quello della Politica e i<br />

Pareri a quello della Scienza.<br />

Figura 3.2. Una schematizzazione per la collocazione del pensiero scientifico<br />

nell’ambito della sfera dell’attività intellettuale umana.<br />

11. Le Idee contribuiscono allo spazio razionale dei Pareri con le<br />

Euristiche, e ne ricevono le Analogie; esse donano alle Opinioni<br />

le Visioni e ne ricevono le Ideologie; infine, le Opinioni<br />

si connettono allo spazio scientifico attraverso le Ipotesi e viceversa<br />

attraverso le Tesi. Questo <strong>di</strong>agramma (figura 3.2) consente<br />

<strong>di</strong> comprendere la profonda <strong>di</strong>fferenza fra il formulare<br />

opinioni su un determinato argomento e rendere pareri sullo<br />

stesso: le prime si basano su pregiu<strong>di</strong>zi, ma possono ricevere<br />

un conforto anche da informazioni empiriche; le seconde<br />

si fondano esclusivamente sull’analisi razionale della realtà tipica<br />

del metodo scientifico. Lo scienziato, nell’esercizio della<br />

propria professione, si occupa <strong>di</strong> rendere pareri scientifici nel<br />

caso si trovi in presenza <strong>di</strong> teorie ben consolidate. Ma lo stesso


32<br />

scienziato può accalorarsi in accese <strong>di</strong>spute, e sostenere perciò<br />

le proprie opinioni, all’interno della comunità scientifica, nel<br />

caso <strong>di</strong> teorie controverse, oppure in contesti più generali che<br />

coinvolgano altri attori sociali, nel caso in cui il proprio parere<br />

scientifico su un determinato argomento intersechi il piano<br />

della <strong>di</strong>sputa politica (o peggio ancora, religiosa).<br />

12. L’attività intellettuale dello scienziato ha un risvolto sociale<br />

e si colloca su due livelli: quello della comunità scientifica<br />

<strong>di</strong> riferimento, alla quale il ricercatore si rivolge per ottenere<br />

il consenso sulla vali<strong>di</strong>tà e sull’originalità dei risultati sperimentali,<br />

e quello della società, alla quale il ricercatore si rivolge<br />

quale obiettivo finale della propria attività. La figura 3.3<br />

illustra i doveri interni ed esterni dello scienziato: egli deve<br />

correttezza alla comunità scientifica <strong>di</strong> riferimento e ne riceve<br />

i riconoscimenti per il lavoro svolto; egli deve lealtà alla<br />

società, per ricavarne uno status particolare (in<strong>di</strong>pendenza,<br />

libertà, ecc.).<br />

Figura 3.3. Le relazioni fra scienziato, comunità scientifica e società impongono<br />

regole <strong>di</strong> condotta e il riconoscimento <strong>di</strong> un’etica della ricerca scientifica.<br />

La comunità scientifica a sua volta intrattiene rapporti con la<br />

società verso la quale ha un dovere <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità e ne riceve in<br />

cambio la fiducia. Il <strong>di</strong>agramma evidenzia chiaramente l’interme<strong>di</strong>azione<br />

della comunità scientifica nei confronti della società<br />

e pone in chiaro la responsabilità collettiva dei risultati della


icerca scientifica. La buona condotta scientifica è perciò una<br />

materia <strong>di</strong> competenza del gruppo dei pari che costituiscono la<br />

comunità scientifica in quanto il <strong>di</strong>scre<strong>di</strong>to causato dalla cattiva<br />

condotta <strong>di</strong> uno o più scienziati getta un’ombra sul lavoro <strong>di</strong><br />

tutti e mina la fiducia che il pubblico ripone nell’operato del<br />

mondo della scienza.<br />

Questo insieme <strong>di</strong> rapporti e la necessità <strong>di</strong> un controllo<br />

sull’operato <strong>di</strong> un singolo ricercatore e sull’insieme dei ricercatori<br />

rendono in<strong>di</strong>spensabile l’adozione <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> comportamento<br />

e lo sviluppo <strong>di</strong> un’etica della ricerca scientifica. I prossimi<br />

capitoli tratteranno appunto del mestiere <strong>degli</strong> scienziati,<br />

<strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> comportamento e delle frontiere etiche nella pratica<br />

della professione <strong>di</strong> scienziato.<br />

33


Capitolo 4<br />

Il mestiere <strong>di</strong> scienziato e la carta europea<br />

dei ricercatori<br />

1. Lo Scienziato pratica un mestiere o esercita una professione?<br />

Secondo il Vocabolario della Treccani (Istituto dell’Enciclope<strong>di</strong>a<br />

Italiana, 1997), per Mestiere (lat. Ministerium = funzione <strong>di</strong><br />

Minister) si intende ogni attività <strong>di</strong> carattere prevalentemente<br />

manuale appresa con la pratica e il tirocinio; il termine definisce<br />

la parte strettamente pratica <strong>di</strong> qualsiasi professione, anche<br />

intellettuale. La Professione (lat. Professio-onis, <strong>di</strong>chiarare,<br />

professare) è invece una aperta e pubblica <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong><br />

un’idea, opinione, appartenenza, fede e in<strong>di</strong>vidua anche una<br />

attività intellettuale (o manuale) esercitata in modo continuo<br />

per guadagno.<br />

2. Lo Scienziato è una Professione con annidato al suo interno un<br />

Mestiere. Possiamo perciò parlare del “Mestiere” <strong>di</strong> scienziato<br />

quando ci riferiamo all’aspetto più pratico dell’attività sperimentale<br />

<strong>di</strong> campo, <strong>di</strong> laboratorio o clinica o semplicemente<br />

speculativa, che si apprende con la pratica o con il tirocinio.<br />

Ci riferiremo invece al termine “Professione” per in<strong>di</strong>care il carattere<br />

prevalentemente intellettuale e rivolto alla pubblica utilità<br />

della pratica scientifica. Per inquadrare meglio il carattere<br />

professionale dell’attività scientifica, faremo ampio riferimento<br />

all’analisi del filosofo sociale Pierre Bour<strong>di</strong>eu (2003). Prenderemo<br />

in esame in particolare il concetto centrale <strong>di</strong> campo<br />

scientifico e quelli derivati <strong>di</strong> comunità scientifica, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

accesso e <strong>di</strong> permanenza nella stessa, nonché quelli <strong>di</strong> generazione<br />

del fatto scientifico e <strong>di</strong> sua convalida.<br />

3. Secondo Bour<strong>di</strong>eu, gli scienziati sono gli attori del “campo<br />

scientifico”. La teoria dei campi, mutuata dall’elettromagnetismo,<br />

è il para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> riferimento <strong>di</strong> questo autore il quale asserisce<br />

che i ricercatori non si muovono liberamente all’interno<br />

<strong>di</strong> specifici ambiti sociali, bensì, al pari <strong>di</strong> particelle elementari,


36<br />

sono soggetti a delle forze definite da un campo. Il campo<br />

scientifico è, pertanto, un campo <strong>di</strong> forze sociali (secondo la<br />

definizione data da Kurt Lewin nel 1943) che formano un dominio<br />

caratterizzato da “autonomia” e “<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> ingresso”. Il<br />

campo (o i campi) è abitato dalle comunità scientifiche che<br />

rappresentano i soggetti a cui appartiene il monopolio della<br />

rappresentazione legittima della realtà oggettiva.<br />

4. La comunità scientifica è il gruppo <strong>di</strong> riferimento (e <strong>di</strong> appartenenza)<br />

<strong>di</strong>sciplinare dello scienziato. Essa è costituita dai Pari<br />

(Peers) ed è socialmente <strong>di</strong>stinta attraverso la creazione <strong>di</strong> associazioni<br />

scientifiche, organizzate come delle vere e proprie<br />

corporazioni o università, attraverso le quali gli scienziati si<br />

danno rappresentanze ufficiali che conferiscono loro visibilità<br />

sociale e <strong>di</strong>fendono autonomamente i loro interessi in un processo<br />

<strong>di</strong> professionalizzazione della scienza. In tale contesto<br />

allo scienziato spetta la generazione del “fatto scientifico” e alla<br />

comunità scientifica la sua attestazione-validazione.<br />

5. Il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> ingresso al campo è stabilito dal livello della competenza<br />

<strong>di</strong>sciplinare che l’aspirante scienziato ha acquisito e<br />

rappresenta il capitale scientifico che egli ha guadagnato attraverso<br />

lo stu<strong>di</strong>o, gli esami, la pratica scientifica e la <strong>di</strong>scussione<br />

pubblica dei propri risultati. La permanenza nel campo<br />

deve esser mantenuta attraverso la continuità scientifica: in tal<br />

modo la comunità scientifica <strong>di</strong>fferisce dalle corporazioni tra<strong>di</strong>zionali,<br />

o da altri gruppi organizzati secondo or<strong>di</strong>namenti<br />

autonomi, in quanto riconosce i suoi appartenenti non solo in<br />

base alla maturazione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> accesso, rappresentato<br />

dal raggiungimento <strong>di</strong> un livello minimo <strong>di</strong> maturità scientifica,<br />

ma anche dal continuo contributo fornito dal singolo ricercatore<br />

al progresso scientifico in uno o più campi. In sostanza,<br />

per appartenere ad una comunità scientifica non basta aver<br />

stu<strong>di</strong>ato da scienziato, ma occorre continuare a produrre un<br />

accettabile livello <strong>di</strong> ricerca, essere in altre parole uno scienziato<br />

attivo (active scientist). Un altro aspetto <strong>di</strong>stintivo delle comunità<br />

scientifiche è che esse sono popolate da in<strong>di</strong>vidui che<br />

praticano nello stesso tempo la cooperazione e la concorrenza:<br />

cooperazione in quanto interessati al miglioramento apportato<br />

allo stato della <strong>di</strong>sciplina dai singoli contributi; concorrenti in


quanto agenti contemporaneamente su risorse economiche <strong>di</strong><br />

solito limitate e sulla esigenza <strong>di</strong> primazia nel riconoscimento<br />

dei contributi originali.<br />

6. L’insieme delle conoscenze <strong>di</strong> un definito settore della scienza<br />

è il capitale scientifico <strong>di</strong> quel determinato campo <strong>di</strong>sciplinare.<br />

Il capitale scientifico <strong>di</strong> un campo <strong>di</strong>sciplinare è una proprietà<br />

collettiva alla cui accumulazione ogni scienziato concorre con<br />

contributi originali che i pari-concorrenti certificano come valido<br />

e che riconoscono come apporto <strong>di</strong>stintivo <strong>di</strong> quel ricercatore.<br />

Una <strong>di</strong>sciplina è definita dal possesso <strong>di</strong> un capitale collettivo<br />

<strong>di</strong> meto<strong>di</strong> e <strong>di</strong> concetti specializzati il cui controllo costituisce<br />

l’oggetto delle norme che regolano la comunità scientifica <strong>di</strong><br />

riferimento per quella <strong>di</strong>sciplina. La comunità, sulla base dei<br />

para<strong>di</strong>gmi standard e delle regole <strong>di</strong>sciplinari, provvede alla<br />

validazione dei fatti scientifici prodotti dai propri affiliati. La<br />

convalida <strong>di</strong> un fatto scientifico comporta, pertanto, l’obbligo<br />

da parte del ricercatore <strong>di</strong> sottomettere le proprie esperienze<br />

(protocolli, calcoli, inferenze, deduzioni) all’esame critico<br />

dei Pari, <strong>di</strong> impegnarsi a rispondere del proprio pensiero in<br />

modo responsabile e <strong>di</strong> piegarsi così ai principi pratici <strong>di</strong> un<br />

éthos dell’argomentazione. La <strong>di</strong>alettica costituisce in tal modo<br />

la pratica su cui si fonda la comunità scientifica: qualsiasi fatto<br />

scientifico deve obbligatoriamente essere sottoposto alla<br />

<strong>di</strong>scussione fra Pari e i rilievi che in questo processo sono<br />

sollevati, lungi dall’intaccare la cre<strong>di</strong>bilità dell’azione del ricercatore,<br />

al contrario la rinforzano in quanto rappresentano la<br />

via maestra attraverso cui il singolo contributo <strong>di</strong>venta parte<br />

del capitale collettivo della <strong>di</strong>sciplina. L’azione <strong>di</strong> revisione dei<br />

lavori sottoposti alle riviste scientifiche e quella <strong>di</strong> analisi critica<br />

delle comunicazioni ai congressi è un’attività obbligatoria<br />

<strong>degli</strong> scienziati e deve essere svolta con la mente sgombra da<br />

pregiu<strong>di</strong>zi e da animosità preconcette.<br />

In sintesi, la conoscenza scientifica si <strong>di</strong>stingue dalle altre in<br />

quanto è basata non sulla prevalenza dell’opinione soggettiva<br />

<strong>di</strong> un singolo in<strong>di</strong>viduo (principio <strong>di</strong> autorità), ma sull’esperienza<br />

collettiva regolata da norme <strong>di</strong> comunicazione e <strong>di</strong> argomentazione<br />

(principio <strong>di</strong> autorevolezza).<br />

37


38<br />

7. La professione <strong>di</strong> scienziato è riconducibile ad un’attività intellettuale,<br />

svolta in uno o più campi <strong>di</strong>sciplinari, <strong>di</strong> creazione <strong>di</strong> “fatti<br />

scientifici”, con una forte componente <strong>di</strong> mestiere (senso pratico<br />

dei problemi da trattare e dei mo<strong>di</strong> più adeguati per trattarli);<br />

i “fatti” vanno poi presentati alla comunità scientifica specifica<br />

per ciascuna <strong>di</strong>sciplina per ottenerne la validazione con il fine <strong>di</strong><br />

incrementare il capitale scientifico del campo <strong>di</strong> riferimento. La<br />

professione <strong>di</strong> scienziato è perciò regolata da norme il cui rispetto<br />

ricade nell’osservanza <strong>di</strong> una deontologia professionale.<br />

L’etica scientifica è lo stu<strong>di</strong>o dei comportamenti <strong>degli</strong> scienziati<br />

nell’esercizio teorico e pratico della ricerca e funge da sfondo<br />

al giu<strong>di</strong>zio morale sulla loro professione.<br />

8. L’Unione Europea riconosce allo scienziato uno status professionale.<br />

Come già ricordato al lemma 2 del capitolo 3, la Raccomandazione<br />

della Commissione Europea dell’11 marzo 2005 riguardante<br />

la Carta Europea dei Ricercatori e un Co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Condotta<br />

per l’Assunzione dei Ricercatori, definisce gli scienziati<br />

(scienziati e ricercatori sono considerati sinonimi) nel seguente<br />

modo: “Professionisti impegnati nella concezione o nella creazione<br />

<strong>di</strong> nuove conoscenze, prodotti, processi, meto<strong>di</strong> e sistemi<br />

nuovi e nella gestione dei progetti interessati”. In particolare,<br />

al numero 4 dei considerata del documento è riportata la seguente<br />

prescrizione: “Gli Stati membri s’impegnino a recepire<br />

questi principi generali e requisiti rientranti nel loro ambito <strong>di</strong><br />

competenza, nel quadro normativo e regolamentare nazionale<br />

o nei principi e orientamenti settoriali e/o istituzionali (carte<br />

e/o co<strong>di</strong>ci per i ricercatori). Così facendo, dovrebbero tenere<br />

conto della molteplicità <strong>di</strong> leggi, regolamenti e pratiche che, nei<br />

vari paesi e nei vari settori, determinano il percorso, l’organizzazione<br />

e le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong> una carriera nel settore<br />

della ricerca e sviluppo (R&S)”.<br />

9. La Carta Europea dei Ricercatori ricorda inizialmente quale è<br />

il fine che gli scienziati devono perseguire attraverso la loro<br />

attività: “I ricercatori dovrebbero orientare le loro attività <strong>di</strong><br />

ricerca al bene dell’umanità e all’ampliamento delle frontiere<br />

della conoscenza scientifica, pur godendo della libertà <strong>di</strong> pensiero<br />

ed espressione, nonché della libertà <strong>di</strong> stabilire i meto<strong>di</strong><br />

per risolvere problemi, secondo le pratiche e i principi etici ri-


conosciuti”. Il principio <strong>di</strong> libertà della ricerca è la con<strong>di</strong>zione<br />

necessaria per il raggiungimento del fine della scienza (il bene<br />

universale), ma esso trova il proprio limite nel rispetto dei canoni<br />

<strong>di</strong>sciplinari e nell’adesione ai principi etici sia generali<br />

della professione <strong>di</strong> scienziato che particolari dello specifico<br />

ambito <strong>di</strong>sciplinare.<br />

La libertà della ricerca, unitamente a quella dell’insegnamento,<br />

costituiscono i capisal<strong>di</strong> delle autonomie riconosciute dagli<br />

stati moderni ai ricercatori e alle loro associazioni. Nel caso<br />

dell’Italia, la Costituzione della Repubblica riconosce in vari<br />

passaggi l’importanza della ricerca scientifica e tecnologica e<br />

del suo insegnamento; in particolare, l’articolo 9 recita “La Repubblica<br />

promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica<br />

e tecnica”, l’articolo 33 afferma che “La scienza e l’arte<br />

sono libere e libero ne è l’insegnamento… Le istituzioni <strong>di</strong> alta<br />

cultura, università e accademie hanno il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> darsi or<strong>di</strong>namenti<br />

autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”<br />

e l’articolo 34 stabilisce il principio del <strong>di</strong>ritto allo stu<strong>di</strong>o per<br />

tutti i citta<strong>di</strong>ni meritevoli e le modalità <strong>di</strong> sostegno economico<br />

finalizzato al raggiungimento dei più alti gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> istruzione.<br />

10. Oltre ai vincoli <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne generale a cui abbiamo accennato<br />

nel punto precedente, nella pratica della ricerca gli scienziati<br />

potrebbero trovarsi a sottostare ad altri obblighi. La Carta ricorda<br />

infatti che: “I ricercatori dovrebbero, tuttavia, riconoscere<br />

i limiti <strong>di</strong> tale libertà che potrebbero derivare da circostanze<br />

particolari <strong>di</strong> ricerca (compresi la supervisione, l’orientamento<br />

e la gestione) o da vincoli operativi, ad esempio per motivi <strong>di</strong><br />

bilancio o <strong>di</strong> infrastruttura o, soprattutto nel settore industriale,<br />

per motivi <strong>di</strong> tutela della proprietà intellettuale. Tali limiti<br />

non devono tuttavia contravvenire alle pratiche e ai principi<br />

etici riconosciuti cui i ricercatori devono conformarsi”.<br />

11. Poiché, come detto nei punti precedenti, il lavoro dello scienziato<br />

è assimilabile ad una vera e propria professione, la Carta<br />

pone l’accento sul fatto che “I ricercatori dovrebbero aderire<br />

alle pratiche etiche riconosciute e ai principi etici fondamentali<br />

applicabili nella o nelle loro <strong>di</strong>scipline, nonché alle norme<br />

etiche stabilite dai vari co<strong>di</strong>ci etici nazionali, settoriali o<br />

istituzionali. I ricercatori dovrebbero garantire che, nel caso<br />

39


40<br />

<strong>di</strong> delega <strong>di</strong> un elemento qualsiasi del loro lavoro, la persona<br />

delegata abbia la competenza necessaria”. Di norma, gli or<strong>di</strong>namenti<br />

<strong>degli</strong> Stati moderni non prevedono che gli scienziati<br />

che esercitano la loro attività in istituzioni pubbliche o private<br />

debbano prestare qualche forma <strong>di</strong> giuramento allo Stato, nel<br />

primo caso, o <strong>di</strong> promessa <strong>di</strong> fedeltà, nel secondo caso, né le<br />

società scientifiche richiedono una adesione formale ad un co<strong>di</strong>ce<br />

deontologico. Cionon<strong>di</strong>meno, le regole etiche che improntano<br />

il comportamento <strong>degli</strong> scienziati sono note ed accettate<br />

universalmente e il riconoscimento dello status <strong>di</strong> scienziato<br />

comporta una adesione implicita al co<strong>di</strong>ce etico del ricercatore<br />

e il continuo rispetto delle norme comportamentali.<br />

12. Con la finalità <strong>di</strong> meglio dettagliare i doveri dei ricercatori e<br />

definirne la responsabilità professionale, la Carta entra nel merito<br />

<strong>di</strong> alcune prescrizioni basate su principi etici che vedremo<br />

meglio nel capitolo 5. In questo passo, la Carta prende in<br />

esame la necessità dell’utilità e dell’originalità dei lavori e il<br />

problema del plagio: “I ricercatori dovrebbero impegnarsi a<br />

garantire che i loro lavori siano utili per la società e non riproducano<br />

ricerche già effettuate altrove. Dovrebbero evitare<br />

il plagio e rispettare il principio della proprietà intellettuale e<br />

della proprietà congiunta dei dati nel caso <strong>di</strong> ricerche svolte in<br />

collaborazione con uno o più supervisori e/o altri ricercatori.<br />

L’esigenza <strong>di</strong> convalidare le nuove osservazioni <strong>di</strong>mostrando<br />

che gli esperimenti sono riproducibili non dovrebbe essere considerato<br />

plagio, a con<strong>di</strong>zione che i dati da convalidare siano<br />

espressamente menzionati”.<br />

13. Un altro aspetto del comportamento professionale considerato<br />

nella Carta riguarda il fasti<strong>di</strong>o con il quale molti ricercatori intrattengono<br />

i rapporti formali con la struttura <strong>di</strong> appartenenza,<br />

nonché il <strong>di</strong>sinteresse per gli aspetti finanziari e burocratici<br />

che rendono possibili i loro stu<strong>di</strong>. Vale la pena ricordare che,<br />

a parte i rari casi <strong>di</strong> benestanti che de<strong>di</strong>cano il proprio tempo<br />

e impegnano le loro sostanze in attività <strong>di</strong> ricerca, quasi tutti<br />

gli scienziati possono inseguire le personali curiosità perché<br />

qualcun altro lo rende possibile sotto il profilo organizzativo<br />

e finanziario. Da ciò consegue che “I ricercatori dovrebbero<br />

conoscere gli obiettivi strategici che regolano il loro ambiente


<strong>di</strong> ricerca nonché i meccanismi <strong>di</strong> finanziamento e dovrebbero<br />

chiedere tutte le autorizzazioni necessarie prima <strong>di</strong> avviare<br />

le loro attività <strong>di</strong> ricerca o <strong>di</strong> accedere alle risorse fornite.<br />

Dovrebbero informare i loro datori <strong>di</strong> lavoro, finanziatori o<br />

supervisori del ritardo, mo<strong>di</strong>fica o completamento del progetto<br />

<strong>di</strong> ricerca o avvertire se il loro progetto deve terminare prima<br />

del previsto o essere sospeso per una ragione qualsiasi”.<br />

14. Sotto il profilo della condotta etica <strong>degli</strong> scienziati nei confronti<br />

della collettività, la Carta è molto severa nel richiamare la<br />

loro responsabilità sia in termini <strong>di</strong> qualità e utilità dei risultati<br />

raggiunti, sia sotto il profilo della correttezza della spesa delle<br />

risorse, in particolare <strong>di</strong> quelle pubbliche. In analogia con il<br />

principio <strong>di</strong> Einstein secondo cui “nell’Universo non esiste un<br />

pasto gratuito”, la Carta ricorda che “I ricercatori devono essere<br />

consapevoli del fatto che sono responsabili nei confronti dei<br />

loro datori <strong>di</strong> lavoro, finanziatori o altri organismi pubblici<br />

o privati collegati e, in misura maggiore sul piano etico, nei<br />

confronti della società nel suo insieme. In particolare, i ricercatori<br />

finanziati con fon<strong>di</strong> pubblici sono responsabili anche<br />

dell’utilizzo efficace del denaro dei contribuenti e pertanto<br />

dovrebbero aderire ai principi <strong>di</strong> una gestione finanziaria solida,<br />

trasparente ed efficace e cooperare in caso <strong>di</strong> au<strong>di</strong>t autorizzati<br />

sulla loro ricerca, effettuati dai loro datori <strong>di</strong> lavoro/<br />

finanziatori o da comitati etici”. Il principio <strong>di</strong> trasparenza<br />

dei protocolli e risultati scientifici è esteso alla gestione amministrativa<br />

e la Carta in<strong>di</strong>ca che “I meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> rilevazione e<br />

<strong>di</strong> analisi dei dati, i risultati e, se del caso, le informazioni<br />

dettagliate concernenti tali dati dovrebbero essere accessibili<br />

a esami tanto interni che esterni, qualora necessario e su richiesta<br />

delle autorità competenti”.<br />

15. Uno <strong>degli</strong> aspetti che sta maggiormente a cuore ai legislatori<br />

dell’Unione Europea, è il problema della sicurezza nei luoghi<br />

<strong>di</strong> lavoro e nel trattamento dei dati. In molti casi, l’ansia della<br />

prestazione scientifica o l’imminenza del perseguimento <strong>di</strong> un<br />

obiettivo <strong>di</strong> conoscenza atteso da molto tempo, comporta un<br />

abbassamento del livello <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a da parte <strong>degli</strong> operatori. I<br />

turni <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong>ventano massacranti con sessioni al computer<br />

quasi al limite della sopportazione (anche da parte della<br />

41


42<br />

macchina), i livelli <strong>di</strong> attenzione in laboratorio tendono ad abbassarsi<br />

con la stanchezza, i rischi nelle esplorazioni <strong>di</strong> pieno<br />

campo sono a volte trascurati. Per richiamare l’attenzione su<br />

un comportamento responsabile per se e per i propri collaboratori,<br />

la Carta ci ricorda che “I ricercatori dovrebbero adottare<br />

sempre procedure <strong>di</strong> lavoro sicure, conformi alla legislazione<br />

nazionale e, in particolare, prendere le precauzioni necessarie<br />

sotto il profilo sanitario e <strong>di</strong> sicurezza, anche per evitare le<br />

conseguenze d’incidenti gravi legati alle tecnologie dell’informazione,<br />

ad esempio istituendo strategie <strong>di</strong> back up adeguate.<br />

Dovrebbero inoltre essere al corrente dei vigenti requisiti legali<br />

nazionali per quanto riguarda la protezione dei dati e della<br />

riservatezza, e adottare le misure necessarie per sod<strong>di</strong>sfarli in<br />

qualsiasi momento”.<br />

16. Il carattere collettivo e pubblico della ricerca, richiamato al<br />

lemma 5 del capitolo 3, rende in<strong>di</strong>spensabile la <strong>di</strong>ffusione dei<br />

risultati scientifici all’interno della comunità dei ricercatori e<br />

all’esterno verso la società. La comunicazione dei propri risultati<br />

scientifici è, perciò, uno <strong>degli</strong> obblighi del ricercatore<br />

e le specifiche tecniche della comunicazione dovrebbero<br />

rappresentare una materia <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o obbligatoria nella formazione<br />

<strong>degli</strong> scienziati. A questo proposito la Carta ci ricorda<br />

che “Tutti i ricercatori dovrebbero accertarsi, conformemente<br />

alle prescrizioni contrattuali, che i risultati delle loro ricerche<br />

siano <strong>di</strong>ffusi e valorizzati, ossia comunicati, trasferiti in altri<br />

contesti <strong>di</strong> ricerca o, se del caso, commercializzati. I ricercatori<br />

<strong>di</strong> comprovata esperienza sono particolarmente tenuti ad<br />

accertarsi che le ricerche siano proficue e che i risultati siano<br />

valorizzati o resi accessibili al pubblico (o entrambe le cose)<br />

laddove possibile”.<br />

Il ruolo <strong>di</strong> miglioramento del contesto sociale, anche sotto il<br />

profilo culturale, nel quale gli scienziati vivono e operano, impone<br />

una continua <strong>di</strong>vulgazione dei risultati delle loro attività.<br />

Purtroppo, anche questo impegno è guardato dalla maggior<br />

parte dei ricercatori con fasti<strong>di</strong>o o, peggio ancora, con supponenza<br />

nella convinzione (errata) che i frutti della loro attività<br />

siano comprensibili solo ad un ristretto numero <strong>di</strong> iniziati e<br />

che il resto dell’umanità si debba “fidare” della bontà <strong>di</strong> quanto


da loro prodotto. Il mancato collegamento fra i sistemi della<br />

ricerca e la società è il principale pericolo che corre la scienza<br />

moderna in quanto la non comprensione del lavoro dei ricercatori<br />

mina alla base il rapporto fiduciale fra le comunità scientifiche<br />

e l’opinione pubblica. La Carta, infatti, ricorda che “I<br />

ricercatori dovrebbero assicurare che le loro attività <strong>di</strong> ricerca<br />

siano rese note alla società in senso lato, in modo tale che possano<br />

essere comprese dai non specialisti, migliorando in questo<br />

modo la comprensione delle questioni scientifiche da parte<br />

dei citta<strong>di</strong>ni. Il coinvolgimento <strong>di</strong>retto dell’opinione pubblica<br />

consentirà ai ricercatori <strong>di</strong> comprendere meglio l’interesse del<br />

pubblico nei confronti della scienza e della tecnologia e anche<br />

le sue preoccupazioni”.<br />

17. Uno <strong>degli</strong> aspetti meno considerati nel mondo della ricerca<br />

è quello relativo alla fase <strong>di</strong> formazione delle nuove leve. La<br />

Carta mette in luce che, soprattutto nella fase <strong>di</strong> formazione<br />

corrispondente al conseguimento del dottorato o del Ph.D.,<br />

l’adeguamento <strong>degli</strong> allievi alla deontologia professionale, che<br />

in questo caso si sostanzia principalmente con gli obblighi inerenti<br />

i rapporti con i supervisori e la struttura ospitante, è <strong>di</strong><br />

grande rilevanza ai fini <strong>di</strong> una più compiuta maturazione dello<br />

scienziato. In tal senso, la Carta <strong>di</strong>ce che “I ricercatori, durante<br />

la loro fase <strong>di</strong> formazione, dovrebbero stabilire rapporti<br />

regolari e strutturati con i loro supervisori e rappresentanti <strong>di</strong><br />

facoltà/<strong>di</strong>partimento in modo da trarre il massimo beneficio<br />

da tale relazione. Ciò significa anche conservare traccia dei<br />

progressi del lavoro svolto e <strong>degli</strong> esiti delle ricerche, e ricevere<br />

un feedback sotto forma <strong>di</strong> relazioni e seminari, tenendo conto<br />

<strong>di</strong> tale feedback e lavorando secondo le scadenze, le tappe, le<br />

consegne e i risultati della ricerca convenuti”.<br />

18. Infine, anche il ruolo <strong>di</strong> tutore dei ricercatori in formazione (attività<br />

da considerare un obbligo morale dei senior nei confronti<br />

delle generazioni future <strong>di</strong> scienziati) è soggetto a prescrizioni<br />

da parte della Carta: “Per quanto riguarda il loro ruolo <strong>di</strong><br />

supervisori o mentori dei ricercatori, i ricercatori <strong>di</strong> comprovata<br />

esperienza dovrebbero stabilire un rapporto costruttivo e<br />

positivo con i ricercatori nella fase iniziale <strong>di</strong> carriera al fine<br />

<strong>di</strong> creare le con<strong>di</strong>zioni per un efficace trasferimento delle co-<br />

43


44<br />

noscenze e per uno sviluppo continuo e positivo della carriera<br />

dei ricercatori”.<br />

19. La Carta è stata imme<strong>di</strong>atamente recepita dal sistema della ricerca<br />

italiana. Il 1° luglio del 2005 a Camerino, i rettori <strong>di</strong> 77<br />

università italiane hanno adottato il documento; il 13 <strong>di</strong>cembre<br />

dello stesso anno, promossa dall’ENEA, gli enti <strong>di</strong> ricerca italiani<br />

riuniti in Campidoglio a Roma hanno siglato un documento<br />

nel quale si impegnano a rispettare i principi della raccomandazione<br />

europea. Ad un anno <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dal primo evento,<br />

sempre a Camerino, la Conferenza permanente dei rettori delle<br />

università italiane (CRUI) lanciava un osservatorio sulla Carta<br />

e sulla mobilità dei ricercatori; sfortunatamente questo strumento,<br />

attivato sulla piattaforma dell’Unione Europea, è stato<br />

rifornito soltanto fino al 2008 e speriamo possa riprendere a<br />

funzionare quanto prima. Dal canto suo l’UE ha attivo e ben<br />

rifornito il sito http://ec.europa.eu/euraxess/index_en.cfm che<br />

riporta, oltre alla Carta, le opportunità <strong>di</strong> lavoro e i servizi alla<br />

mobilità dei ricercatori in ambito comunitario ed extracomunitario.<br />

20. Nel caso delle Regioni, soltanto la Sardegna e la Provincia Autonoma<br />

<strong>di</strong> Trento hanno esplicitamente assunto i principi della<br />

Carta quale parte integrante <strong>di</strong> <strong>di</strong>sposizioni normative riguardanti<br />

la ricerca. Per la Regione Sardegna essa è citata in 3 leggi,<br />

fra le quali la più rilevante è la legge n. 7 del 7 agosto 2007 che,<br />

all’articolo 1, recita “La Regione autonoma della Sardegna,<br />

nell’esercizio della propria potestà legislativa in materia <strong>di</strong> ricerca<br />

scientifica e tecnologica a sostegno all’innovazione per i<br />

settori produttivi prevista dall’articolo 117, comma terzo, della<br />

Costituzione e al fine <strong>di</strong> esercitare le funzioni ad essa conferite<br />

inerenti la realizzazione <strong>di</strong> programmi per la ricerca, l’innovazione<br />

ed il trasferimento tecnologico al sistema produttivo,<br />

ai sensi dell’articolo 1 del decreto legislativo 17 aprile 2001, n.<br />

234, in coerenza con i principi stabiliti dall’Agenda <strong>di</strong> Lisbona<br />

in tema <strong>di</strong> valorizzazione delle politiche per la conoscenza,<br />

l’innovazione e il capitale umano e in armonia con i principi<br />

contenuti nella raccomandazione della Commissione europea<br />

n. 251 dell’11 marzo 2005, riguardante la Carta europea dei<br />

ricercatori e un co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> condotta per l’assunzione dei ricer-


catori, con la presente legge intende promuovere, rafforzare e<br />

<strong>di</strong>ffondere la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica”.<br />

Per quanto riguarda la Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento, la legge<br />

n. 14 del 2 agosto 2005 all’articolo 13 richiama la Carta per<br />

quanto attiene ai rapporti della contrattazione collettiva <strong>degli</strong><br />

enti <strong>di</strong> ricerca controllati: “La Provincia concorre con le fondazioni<br />

e le organizzazioni sindacali rappresentative alla stipula<br />

<strong>di</strong> un’intesa riguardante l’in<strong>di</strong>viduazione dei contratti collettivi<br />

applicabili al personale ricercatore, insegnante e amministrativo<br />

<strong>di</strong>pendente delle fondazioni, mantenendo l’anzianità<br />

maturata negli enti <strong>di</strong> provenienza, nel pieno rispetto della<br />

raccomandazione 2005/251/CE della Commissione, dell’11<br />

marzo 2005, riguardante la Carta europea dei ricercatori e un<br />

co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> condotta per l’assunzione dei ricercatori”. Nel resto<br />

d’Italia, silenzio <strong>di</strong> tomba sull’argomento, almeno finora.<br />

45


Capitolo 5<br />

Per un’etica nella ricerca scientifica<br />

1. Abbiamo a questo punto il materiale sufficiente per sviluppare<br />

la nostra riflessione <strong>di</strong> etica nella ricerca scientifica. Nella stesura<br />

<strong>di</strong> questo capitolo ci ispireremo, con i dovuti adattamenti<br />

e le necessarie integrazioni relativi alle realtà europea ed italiana,<br />

in larga parte alla terza e<strong>di</strong>zione del rapporto “On Being<br />

a Scientist. A guide to responsible conduct in research”, stilato<br />

dal Commitee on Science, Engineering and Public Policy delle<br />

National Academies (2009).<br />

Prima <strong>di</strong> iniziare, tuttavia, è bene far presente che la scienza ha<br />

anche un fine metaetico, vale a <strong>di</strong>re un’etica che guarda all’etica<br />

scientifica, quando il campo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> è in<strong>di</strong>rizzato verso la<br />

conoscenza dei meccanismi neurali che fondano la percezione<br />

del “se”. Gli stu<strong>di</strong> sul cervello aprono prospettive inaspettate<br />

riguardanti la manipolazione <strong>di</strong>retta, per via farmacologica, o<br />

in<strong>di</strong>retta, per via psicologica, della mente e pongono profon<strong>di</strong><br />

e inquietanti interrogativi sulla autenticità come valore basilare<br />

della personalità e sulle conseguenze relative alle responsabilità<br />

in<strong>di</strong>viduali rispetto alle scelte operate su scala morale.<br />

Neil Levy (2007) sostiene che la neuroetica può rappresentare,<br />

in definitiva, la metaetica scientifica in grado <strong>di</strong> guidarci nel<br />

<strong>di</strong>fficile campo <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong> sulla mente e delle loro eventuali<br />

applicazioni tecnologiche e implicazioni politiche. Levy però<br />

ci avverte che le <strong>di</strong>seguaglianze nelle capacità cognitive sono<br />

conseguenze dell’uso non solo <strong>di</strong> trattamenti neurologici, ma<br />

anche delle con<strong>di</strong>zioni economiche e sociali dei primi anni<br />

della vita, a partire da quella intrauterina. Infatti, l’accumularsi<br />

<strong>di</strong> evidenze sperimentali che mostrano come la deprivazione<br />

ambientale agisce sulla mente ci porta a considerare che la<br />

struttura e il funzionamento dei nostri cervelli non solo <strong>di</strong>pendono<br />

dalla base genetica che ere<strong>di</strong>tiamo dai nostri progenitori,<br />

ma che questi organi possono subire profonde mo<strong>di</strong>ficazioni


48<br />

per effetto <strong>di</strong> stressor ambientali oltre che <strong>di</strong> malattie, me<strong>di</strong>cine<br />

o droghe. Circostanze sociali ed economiche particolarmente<br />

avverse possono impattare negativamente sul cervello dei bambini<br />

influenzando in particolare lo sviluppo dell’ippocampo<br />

con conseguenti <strong>di</strong>seguaglianze a volte permanenti dell’attività<br />

cognitiva.<br />

La scienza, perciò, ha quale compito etico primario, quello <strong>di</strong><br />

contribuire alla lotta alla povertà, alla fame e all’in<strong>di</strong>genza e<br />

quin<strong>di</strong> all’annullamento delle <strong>di</strong>seguaglianze <strong>di</strong> opportunità su<br />

scala globale: le asimmetrie generate dal benessere si possono<br />

convertire in vantaggi anche cognitivi a scapito della povertà<br />

che, in aggiunta a misere con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento,<br />

può favorire l’insorgenza <strong>di</strong> deficit neurologici permanenti.<br />

2. Per meglio analizzare gli aspetti salienti <strong>di</strong> una condotta responsabile<br />

nella ricerca scientifica, abbiamo sud<strong>di</strong>viso la trattazione<br />

in 4 aree omogenee: a) la supervisione e la guida del<br />

ricercatore; b) la creazione e la manipolazione dei dati, la loro<br />

falsificazione, gli errori e le negligenze nella ricerca; c) il plagio,<br />

l’authorship, la con<strong>di</strong>visione dei risultati della ricerca, l’allocazione<br />

dei meriti (cre<strong>di</strong>ts) e la proprietà intellettuale; d) il<br />

conflitto <strong>di</strong> interesse. Le sperimentazioni che possono avere un<br />

impatto negativo sull’ambiente o che richiedono la partecipazione<br />

<strong>di</strong> esseri umani oppure che sono compiute con l’ausilio<br />

<strong>di</strong> animali, saranno trattate brevemente nel capitolo 6 sulla bioetica<br />

nella ricerca scientifica.<br />

3. Un aspetto cruciale per il corretto funzionamento della macchina<br />

della scienza riguarda le modalità con cui trattare il sospetto<br />

<strong>di</strong> violazione <strong>degli</strong> standard della professione <strong>di</strong> scienziato. La<br />

comunità scientifica si autoregola e rappresenta la fonte <strong>degli</strong><br />

standard e delle pratiche a cui ci si aspetta il ricercatore debba<br />

aderire. Le decisioni circa la condotta professionale sono perciò<br />

assunte da Pari (Peers) senior, ricercatori anziani nel ruolo,<br />

<strong>di</strong> specchiata condotta scientifica, dotati <strong>di</strong> grande esperienza,<br />

anche nella gestione del capitale umano e altamente qualificati<br />

nella <strong>di</strong>sciplina. Perché il meccanismo <strong>di</strong> autogoverno funzioni,<br />

i ricercatori devono essere <strong>di</strong>sposti a riferire ad altri ricercatori<br />

ogni fatto che sia sospetto <strong>di</strong> violazione <strong>degli</strong> standard professionali<br />

o <strong>di</strong>sciplinari. È del tutto evidente che questa pratica


non è facile: fin da bambini siamo stati abituati a mantenere<br />

la coesione interna <strong>di</strong> un gruppo a patto <strong>di</strong> tacerne le malefatte,<br />

e “fare la spia” viene considerato a livello subliminale un<br />

comportamento <strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevole. La delicatezza dell’aspetto impone<br />

una certa cautela (per non incorrere in accuse senza prove,<br />

dannose per le parti e per la scienza), che però non deve essere<br />

eccessiva onde evitare il propagarsi <strong>di</strong> errori scientifici o<br />

pratiche dannose o scre<strong>di</strong>tanti il mondo scientifico.<br />

4. Nonostante le <strong>di</strong>fficoltà oggettive e, a volte, soggettive, chiunque<br />

sia testimone <strong>di</strong> una cattiva condotta scientifica da parte <strong>di</strong><br />

un collega ha l’obbligo <strong>di</strong> agire. Di solito le istituzioni <strong>di</strong> ricerca<br />

hanno una procedura co<strong>di</strong>ficata per affrontare questi casi e un<br />

corpo <strong>di</strong> ispettori ai quali affidare la responsabilità e la <strong>di</strong>screzione<br />

che questo tipo <strong>di</strong> indagine richiede. Di norma i co<strong>di</strong>ci<br />

deontologici attivati presso le <strong>di</strong>fferenti istituzioni includono<br />

fattispecie simili, quali la falsificazione dei dati, il plagio, le<br />

<strong>di</strong>scriminazioni, ecc., ma possono essere <strong>di</strong>fferenti per quanto<br />

attiene alle procedure da attivare per la verifica della veri<strong>di</strong>cità<br />

della segnalazione ricevuta.<br />

Anche fra campi scientifico-<strong>di</strong>sciplinari <strong>di</strong>versi vi possono essere<br />

<strong>di</strong>fferenze nella in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> pratiche sconvenienti: ad<br />

esempio, alcune <strong>di</strong>scipline condannano la pratica del “Salami<br />

publishing” che consiste nel <strong>di</strong>videre una ricerca nell’unità minima<br />

pubblicabile per aumentare artificiosamente il numero<br />

<strong>di</strong> pubblicazioni, mentre altre lo considerano soltanto un comportamento<br />

scientificamente poco elegante e <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>oso.<br />

5. È consuetu<strong>di</strong>ne che qualora un ricercatore sospetti che qualche<br />

cosa nel comportamento <strong>di</strong> un collega non sia corretto,<br />

tale sospetto sia inizialmente oggetto <strong>di</strong> una chiacchierata con<br />

i colleghi più vicini per acquisirne un parere confidenziale. In<br />

seguito, una volta valutata la gravità del comportamento sospetto<br />

anche alla luce del risultato dei colloqui informali con le<br />

persone <strong>di</strong> fiducia, il ricercatore testimone <strong>di</strong> un presunto misfatto<br />

dovrebbe rivolgersi alle autorità accademiche o al corpo<br />

ispettivo a cui spetta l’obbligo istituzionale <strong>di</strong> effettuare le indagini<br />

sui sospetti casi <strong>di</strong> frode o mal-comportamento scientifici.<br />

Nel caso ci capitasse una situazione del genere, per quanto<br />

sgradevole ci possa apparire, occorre restare oggettivi, cortesi<br />

49


50<br />

e mostrare luci<strong>di</strong>tà e <strong>di</strong>stacco. Va sempre tenuto presente che,<br />

trattandosi <strong>di</strong> informazioni sensibili, i fatti, le procedure e le<br />

persone coinvolte devono essere trattati in modo confidenziale<br />

e, soprattutto inizialmente, i casi dovrebbero essere illustrati a<br />

gran<strong>di</strong> linee, quasi si trattasse <strong>di</strong> situazioni per assurdo o del<br />

tutto teoriche, senza rivelare dettagli che potrebbero condurre<br />

i nostri interlocutori ad in<strong>di</strong>viduare imme<strong>di</strong>atamente il soggetto<br />

del nostro <strong>di</strong>scorso.<br />

6. Una domanda sorge spontanea: perché dovremmo impegolarci<br />

in una segnalazione se tutti, in fondo, “teniamo famiglia”? Gunsalus<br />

(1998), in un articolo dall’accattivante titolo “Come fare<br />

una soffiata e continuare ad avere una carriera dopo”, detta<br />

sei regole auree per una “soffiata responsabile” nell’ambiente<br />

scientifico (e non solo): a) considera una spiegazione alternativa<br />

(prima fra tutte che tu stia sbagliando); b) sulla base del<br />

punto precedente, fai domande e non addossare colpe; c) tieni<br />

conto <strong>di</strong> quale documentazione può supportare i tuoi dubbi<br />

e dove è collocata fisicamente; d) separa le tue preoccupazioni<br />

personali da quelle professionali; e) stabilisci lucidamente i<br />

tuoi obiettivi; f) cerca buoni consigli e, soprattutto, ascoltali. In<br />

tutti i casi lasciati sempre una via <strong>di</strong> fuga e agisci con grande<br />

limpidezza e, soprattutto, con estrema pazienza.<br />

Il tratto più <strong>di</strong>fficile nell’esercizio pratico dell’etica scientifica<br />

riguarda il controllo sociale dei misfatti: così come è dovere<br />

del citta<strong>di</strong>no denunciare i contravventori della Legge, è obbligo<br />

<strong>di</strong> ogni scienziato vigilare sul comportamento dei colleghi. Un<br />

misfatto verso la scienza rappresenta un comportamento lesivo<br />

della Fede scientifica.<br />

7. Pren<strong>di</strong>amo ora in esame il primo punto del lemma 2 <strong>di</strong> questo<br />

capitolo: la supervisione e la guida del ricercatore e il comportamento<br />

che deve assumere un ricercatore in formazione nei<br />

confronti dello scienziato che funge da guida. Tutti i ricercatori<br />

hanno avuto un tutore, i più fortunati un Maestro. Essere<br />

tutori o Maestri è una delle più belle esperienze nella vita <strong>di</strong><br />

uno scienziato. Questa pratica incoraggia la coesione sociale<br />

dell’ambiente scientifico e rende forte questa professione: ciascun<br />

ricercatore, nel corso dei vari sta<strong>di</strong> che costituiscono la<br />

propria carriera, dovrebbe essere tutore <strong>di</strong> un altro ricercatore


in formazione o più giovane. Inoltre, è utile che un ricercatore<br />

in formazione possa contare su <strong>di</strong>versi tutori in quanto uno<br />

solo <strong>di</strong> solito non è in grado <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare tutte le esigenze culturali<br />

e le curiosità scientifiche che animano qualsiasi percorso<br />

<strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento alla ricerca.<br />

Il ruolo principale <strong>di</strong> un tutore è quello <strong>di</strong> aiutare il ricercatore<br />

a percorrere una carriera produttiva e <strong>di</strong> successo; egli, attraverso<br />

i propri standard <strong>di</strong> condotta, guadagna l’autorità morale<br />

per richiedere che anche gli altri, in primis il proprio allievo, si<br />

comportino allo stesso modo.<br />

Anche i ricercatori in formazione hanno una serie <strong>di</strong> responsabilità<br />

verso i loro tutori che si riassumono nel dovere <strong>di</strong><br />

rispettare gli impegni loro assegnati e <strong>di</strong> portare avanti con la<br />

maggiore autonomia possibile il lavoro. È bene a questo proposito<br />

rilevare che ai giovani ricercatori la comunità scientifica<br />

richiede un atteggiamento <strong>di</strong> lealtà verso il tutore, ma mai la<br />

fedeltà né verso costui né nei confronti <strong>di</strong> chiunque altro. La<br />

libertà della ricerca non solo è una necessità, ma è anche un<br />

<strong>di</strong>ritto sancito dalle carte costituzionali e dalle leggi dei regimi<br />

democratici: la naturale conseguenza è che ai ricercatori<br />

non può essere richiesto alcun giuramento o espressione <strong>di</strong><br />

fedeltà a principi o autorità, ma che essi devono rispondere<br />

responsabilmente del loro operato in relazione ai co<strong>di</strong>ci <strong>di</strong><br />

comportamento frutto dell’autodeterminazione della comunità<br />

scientifica.<br />

8. Iniziamo ora l’esame del secondo punto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> questo<br />

capitolo che racchiude un insieme <strong>di</strong> comportamenti ritenuti<br />

fra i più lesivi dell’esercizio pratico della professione <strong>di</strong><br />

scienziato: la creazione, la falsificazione e la manipolazione dei<br />

dati, gli errori e le negligenze nella pratica della ricerca.<br />

La raccolta ed il successivo trattamento dei dati sperimentali<br />

sono fra gli aspetti più importanti della professione <strong>di</strong> scienziato.<br />

I ricercatori che falsificano o che manipolano i loro dati<br />

al fine <strong>di</strong> ingannare altri, anche se la manipolazione sembra<br />

loro insignificante, violano i valori fondamentali dello standard<br />

professionale <strong>degli</strong> scienziati. Infatti, dati manipolati rispetto<br />

ai risultati sperimentali, o peggio ancora costruiti ad arte, introducono<br />

nel mondo scientifico un insieme <strong>di</strong> informazio-<br />

51


52<br />

ni che possono risultare pericolose, soprattutto nei casi della<br />

me<strong>di</strong>cina, dell’alimentazione, dell’ambiente e della sicurezza,<br />

e che minano la cre<strong>di</strong>bilità che la società ripone nel mondo<br />

scientifico. Se quest’ultimo aspetto ha da sempre rappresentato<br />

un vulnus nel corpo <strong>di</strong> conoscenze consolidate <strong>di</strong> una<br />

determinata <strong>di</strong>sciplina, con l’avvento <strong>di</strong> internet le informazioni<br />

malevolmente manipolate si <strong>di</strong>ffondono con straor<strong>di</strong>naria<br />

velocità e possono risultare non più controllabili da parte<br />

della comunità scientifica. Dati falsi o manipolati, in definitiva,<br />

hanno assunto oggi la pervasività dei virus e sono in grado<br />

<strong>di</strong> infettare profondamente i corpi <strong>di</strong>sciplinari prima che, con<br />

grande <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> risorse e a danni già evidenti, gli anticorpi<br />

della comunità scientifica possano entrare in funzione, in<strong>di</strong>viduarli<br />

e neutralizzarli.<br />

9. Anche la negligenza nell’affrontare il duro lavoro <strong>di</strong> ricerca e<br />

la <strong>di</strong>sciplina che esso impone comporta potenziali pericoli. Infatti,<br />

dati fuorvianti o raccolti con scarsa accuratezza possono<br />

ugualmente creare vasti danni alla conoscenza e, in definitiva,<br />

alla società nel suo complesso. Al fine <strong>di</strong> rendere possibili<br />

gli in<strong>di</strong>spensabili controlli nei casi in cui ciò sia necessario o<br />

semplicemente richiesto, i ricercatori hanno l’obbligo <strong>di</strong> creare,<br />

mantenere e rendere permanentemente accessibile l’insieme<br />

dei dati sperimentali. Questo obbligo si estende oltre il semplice<br />

controllo della qualità e della veri<strong>di</strong>cità dei dati, ma può<br />

essere <strong>di</strong> grande aiuto sia per coloro che intendano replicare la<br />

ricerca sia per chi è interessato ad elaborazioni meta-analitiche<br />

per le quali i dati originali derivanti dai protocolli sperimentali<br />

sono uno strumento in<strong>di</strong>spensabile <strong>di</strong> lavoro. In alcuni casi i ricercatori<br />

vogliono (o sono obbligati contrattualmente a) tenere<br />

i dati riservati, ma, una volta pubblicato il lavoro, i dati e tutto il<br />

materiale devono essere resi <strong>di</strong>sponibili su richiesta. Al fine <strong>di</strong><br />

favorire l’accesso pubblico agli archivi dati dei ricercatori, utile<br />

anche per un più adeguato controllo ex post della qualità dei<br />

lavori pubblicati, alcune riviste scientifiche (soprattutto quelle<br />

che hanno optato per la pubblicazione open access) hanno iniziato<br />

a pubblicare obbligatoriamente i data-set completi delle<br />

ricerche e gli output dei modelli matematico-statistici impiegati<br />

nella elaborazione dei dati sperimentali.


10. Tutto nella scienza è soggetto ad errore. Quando ci si avvicina<br />

alla frontiera della conoscenza, il segnale è <strong>di</strong>fficilmente separabile<br />

dal rumore e anche le domande scientifiche che sono<br />

alla base delle ipotesi sperimentali possono essere non ben<br />

definite. Anche il più responsabile dei ricercatori può commettere<br />

errori nel programmare un esperimento, calibrare uno<br />

strumento, raccogliere e riportare i dati, interpretare i risultati.<br />

Fortunatamente il lavoro <strong>di</strong> ricerca si svolge oggigiorno all’interno<br />

<strong>di</strong> gruppi, per lo più costituiti da ricercatori dotati <strong>di</strong><br />

competenze <strong>di</strong>fferenti, per cui i dati sperimentali dovrebbero<br />

essere vagliati e le analisi matematico-statistiche approvate da<br />

tutti i componenti in quanto corresponsabili del lavoro.<br />

Per quanto attiene l’aspetto della responsabilità, è importante<br />

ricordare che le analisi e le inferenze statistiche (ma anche<br />

la produzione dei dati sperimentali) devono essere patrimonio<br />

del gruppo <strong>di</strong> ricerca: è una grave mancanza “acquistare”<br />

competenze dall’esterno (o per meglio <strong>di</strong>re recuperare risorse<br />

finanziarie e girarle ad altri per produrre lavori in campi<br />

nei quali non si hanno le necessarie competenze scientifiche e<br />

strumentali) e farle proprie all’interno <strong>di</strong> un lavoro sperimentale<br />

se non si tratta <strong>di</strong> analisi o <strong>di</strong> procedure standard. In altre<br />

parole, i gruppi <strong>di</strong> ricerca non devono trasformarsi in comitati<br />

<strong>di</strong> affari de<strong>di</strong>ti esclusivamente alla caccia <strong>di</strong> risorse e pronti<br />

ad accre<strong>di</strong>tarsi, attraverso la firma <strong>di</strong> pubblicazioni scientifiche<br />

<strong>di</strong> cui non siano intellettualmente proprietari, non per meriti<br />

scientifici, ma per abilità nel reperire i fon<strong>di</strong>.<br />

In definitiva, al fine <strong>di</strong> evitare che si producano errori non voluti,<br />

anche nei casi <strong>di</strong> procedure particolarmente <strong>di</strong>fficili, tutti i<br />

risultati scientifici devono essere preparati accuratamente, sottoposti<br />

al vaglio dei Pari ed esaminati minuziosamente anche<br />

dopo la pubblicazione.<br />

11. A questo punto, pren<strong>di</strong>amo in esame il terzo <strong>degli</strong> aspetti relativi<br />

alla condotta dei ricercatori: il plagio, l’authorship, la<br />

con<strong>di</strong>visione dei risultati della ricerca, l’allocazione dei cre<strong>di</strong>ts<br />

e la proprietà intellettuale. I problemi <strong>di</strong> comportamento che<br />

tratteremo <strong>di</strong> seguito nascono dalla constatazione che pur essendo<br />

la scienza una costruzione collettiva, il suo principale<br />

motore è il riconoscimento del contributo originale reso dal<br />

53


54<br />

singolo ricercatore. La carriera scientifica, la notorietà accademica,<br />

la possibilità <strong>di</strong> accesso ai finanziamenti, il riconoscimento<br />

dell’autorevolezza nelle associazioni scientifiche e, non da<br />

ultimo, l’eventuale vantaggio economico derivante da una o<br />

più innovazioni, <strong>di</strong>pendono strettamente dalle modalità con<br />

cui i lavori sono firmati, le citazioni sono riportate e il lavoro<br />

<strong>degli</strong> altri riconosciuto. Per questi motivi, e tenuto conto del<br />

connotato essenziale dell’impresa scientifica che è il <strong>di</strong>sinteresse<br />

per i ritorni materiali del proprio impegno, il plagio, il<br />

mancato riconoscimento dei contributi precedenti, l’esclusione<br />

dall’autorship e l’elusione della proprietà intellettuale rappresentano<br />

gravi violazioni <strong>degli</strong> standard del mondo scientifico.<br />

12. Il plagio è l’appropriazione delle idee, dei processi, dei risultati<br />

o delle parole <strong>di</strong> un’altra persona senza renderle il dovuto<br />

riconoscimento; in termini tecnici si tratta <strong>di</strong> un furto bello e<br />

buono, senza alcuna attenuante. Il plagio è, fra le cattive condotte<br />

scientifiche, una delle più <strong>di</strong>ffuse: alcune volte è praticato<br />

subdolamente, come nel caso del furto da parte <strong>di</strong> un referee<br />

delle idee scientifiche contenute in un progetto <strong>di</strong> ricerca o in<br />

un lavoro che gli è stato sottoposto da un organismo finanziatore<br />

o da una rivista; in altri casi il plagio è palese, come<br />

la copiatura <strong>di</strong> parti <strong>di</strong> articoli o <strong>di</strong> libri, ed è favorito anche<br />

dall’accesso libero ad archivi o a testi per mezzo <strong>di</strong> internet.<br />

Fortunatamente questo genere <strong>di</strong> plagio è ormai facilmente<br />

rilevabile con i comuni motori <strong>di</strong> ricerca e, se scoperto da un<br />

comitato e<strong>di</strong>toriale <strong>di</strong> una rivista, può portare al pubblico lu<strong>di</strong>brio:<br />

un esempio para<strong>di</strong>gmatico è il caso riportato da Robinson<br />

et al. (2009) riguardante il plagio effettuato da Wang et<br />

al. (2009) in un articolo pubblicato sulla rivista Animal Feed<br />

Science and Technology; Liu (2009), coautore e ricercatore anziano<br />

dell’equipe che ha pubblicato l’articolo incriminato, è<br />

stato costretto a rendere pubbliche scuse sullo stesso numero<br />

della rivista in cui il plagio era stato denunciato.<br />

13. L’authorship è il riconoscimento della paternità intellettuale <strong>di</strong><br />

un lavoro scientifico. Per questo motivo, la lista <strong>degli</strong> autori <strong>di</strong><br />

una pubblicazione dovrebbe elencare esclusivamente coloro<br />

che hanno contribuito in maniera originale a tutto o a una parte<br />

del lavoro. Sebbene le convenzioni possano variare molto


fra le varie <strong>di</strong>scipline, riviste e istituzioni <strong>di</strong> ricerca, <strong>di</strong> norma il<br />

primo autore (che è quello che sarà sempre riportato in caso<br />

<strong>di</strong> citazione) è colui che ha apportato il maggiore contributo in<br />

termini <strong>di</strong> idee e lavoro e, a volte, l’ultimo autore è il ricercatore<br />

senior del gruppo, colui cioè che ha supervisionato l’attività<br />

dalla quale è scaturita la pubblicazione e ha procurato o garantito<br />

la <strong>di</strong>sponibilità dei mezzi tecnici ed economici per la sua<br />

realizzazione. Gli altri sono elencati <strong>di</strong> norma per importanza<br />

del contributo apportato o in or<strong>di</strong>ne alfabetico. In altri casi, chi<br />

ha fatto la ricerca (ad esempio, l’attuale o allora studente <strong>di</strong><br />

dottorato) viene inserito per primo, il suo tutor (o il professore<br />

che ha partecipato più attivamente alla ricerca) per secondo, e<br />

gli altri autori vengono messi in or<strong>di</strong>ne decrescente <strong>di</strong> importanza.<br />

Recentemente è emersa anche la possibilità <strong>di</strong> fornire un<br />

terzo livello <strong>di</strong> visibilità <strong>di</strong> un autore all’interno <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong><br />

cofirmatari qualora costui sia in<strong>di</strong>cato come autore corrispondente,<br />

colui cioè che ha intrattenuto i rapporti fra il gruppo <strong>di</strong><br />

ricerca e la rivista e al quale occorre rivolgersi nei casi <strong>di</strong> richiesta<br />

<strong>di</strong> informazioni sull’articolo o per riceverne una copia.<br />

Alcune riviste richiedono che venga evidenziato esplicitamente<br />

il tipo e/o livello <strong>di</strong> contributo che ciascun autore ha dato alla<br />

pubblicazione.<br />

Alcuni problemi possono sorgere nei casi <strong>di</strong> lavori inter<strong>di</strong>sciplinari:<br />

è bene in tali circostanze definire amichevolmente,<br />

possibilmente attraverso un gentlemen agreement da assumersi<br />

all’inizio della collaborazione, l’or<strong>di</strong>ne <strong>degli</strong> autori e delle istituzioni<br />

coinvolte. È norma, comunque, che l’istituzione che per<br />

prima ha proposto l’idea, che ha coor<strong>di</strong>nato <strong>di</strong> fatto il lavoro<br />

dei vari gruppi e che, per questo, ha investito maggiori risorse<br />

umane e materiali, sia rappresentata dal primo autore.<br />

14. Il problema del numero massimo <strong>degli</strong> autori che è bene firmino<br />

un articolo scientifico ricorre sempre più <strong>di</strong> frequente nel <strong>di</strong>battito<br />

sulla valutazione <strong>di</strong> una istituzione <strong>di</strong> ricerca o della carriera<br />

<strong>di</strong> un ricercatore. Dalle origini della scienza fino agli anni venti<br />

del secolo scorso, i lavori firmati da un unico autore erano la<br />

regola. Oggi, invece, la collaborazione <strong>di</strong> molti ricercatori ad una<br />

pubblicazione è prassi comune nella maggior parte delle <strong>di</strong>scipline<br />

accademiche, con l’eccezione delle <strong>di</strong>scipline umanistiche<br />

55


56<br />

e matematiche, in cui la paternità esclusiva è ancora il modello<br />

predominante. Papers con più <strong>di</strong> 100 autori, una volta dominio<br />

della fisica delle alte energie, sono ormai comuni anche in me<strong>di</strong>cina<br />

e in biologia: un articolo pubblicato sul “New England<br />

Journal of Me<strong>di</strong>cine” nel 1993, riferito a uno stu<strong>di</strong>o clinico denominato<br />

GUSTO-I sulle strategie per combattere l’infarto miocar<strong>di</strong>co<br />

condotto in 1081 ospedali in 15 paesi <strong>di</strong>versi per un totale<br />

<strong>di</strong> 41.021 pazienti, è stato firmato da 972 autori (primo autore<br />

Topol E., il coor<strong>di</strong>natore dello stu<strong>di</strong>o) e l’authorship è stata elencata<br />

in appen<strong>di</strong>ce al lavoro sud<strong>di</strong>videndo gli autori per nazionalità<br />

<strong>di</strong> appartenenza; nell’estate del 2008, è stato pubblicato dal<br />

“Journal of Instrumentation” (primo autore Aad G.) un articolo<br />

in fisica delle alte energie firmato da 2.926 autori provenienti da<br />

169 istituti <strong>di</strong> ricerca che descrive il “Large Hadron Collider”, il<br />

più grande acceleratore <strong>di</strong> particelle al mondo, lungo più <strong>di</strong> 27<br />

miglia che attraversa il confine franco-svizzero. Nonostante questi<br />

esempi monstre, il buon gusto impone <strong>di</strong> non eccedere con i<br />

firmatari <strong>di</strong> un lavoro, specialmente qualora si tratti <strong>di</strong> semplici<br />

comunicazioni a convegni e, peggio ancora, <strong>di</strong> poster. Il trovarsi<br />

<strong>di</strong> fronte ad uno scritto nel quale la maggior parte dello spazio è<br />

stato occupato dall’elenco <strong>degli</strong> autori è semplicemente ri<strong>di</strong>colo<br />

ed è oggetto della più feroce satira che colpisce il malcostume<br />

nella ricerca scientifica.<br />

15. Come già più volte accennato, un lavoro scientifico è nella stragrande<br />

maggioranza dei casi un’impresa <strong>di</strong> gruppo. Poiché la<br />

firma <strong>di</strong> un lavoro rappresenta il principale bagaglio utilizzabile<br />

da un ricercatore per la carriera scientifica, è essenziale sapere<br />

chi deve firmare il lavoro e chi deve essere semplicemente<br />

ringraziato. Inlinea <strong>di</strong> principio, gli autori <strong>di</strong> una pubblicazione<br />

sono coloro che hanno apportato contributi significativamente<br />

innovativi al lavoro in termini <strong>di</strong> ipotesi sperimentale, messa<br />

a punto <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> nuovi per la raccolta dei dati, elaborazione<br />

dei dati e spiegazione dei risultati, arricchimento del para<strong>di</strong>gma<br />

scientifico <strong>di</strong> riferimento. Coloro che hanno revisionato<br />

il lavoro solamente sotto il profilo e<strong>di</strong>toriale, che hanno eseguito<br />

procedure (analitiche, statistiche, ecc.) <strong>di</strong> tipo standard<br />

senza apportare alcuna innovazione <strong>di</strong> processo o <strong>di</strong> risultato,<br />

che hanno riletto criticamente la bozza senza aver apporta-


to un contributo intellettuale o hanno contribuito alla riuscita<br />

dell’esperimento in modo non innovativo possono (e in molti<br />

casi devono) essere ringraziati nella sezione che le riviste de<strong>di</strong>cano<br />

agli Acknowledgments. Occorre, in questi casi, evitare il<br />

ragionamento marginale che rende possibile la concatenazione<br />

per cui a partire dall’inclusione <strong>di</strong> un tecnico <strong>di</strong> laboratorio fra<br />

i firmatari del lavoro si può arrivare, passo dopo passo, inclusione<br />

dopo inclusione, a inserire fra i firmatari anche l’addetto<br />

alle pulizie della caldaia per il riscaldamento che, con il suo<br />

contributo, ha reso più confortevole l’ambiente <strong>di</strong> lavoro!<br />

16. Qualche volta capita che fra gli autori <strong>di</strong> una pubblicazione sia<br />

compreso un “ospite” (guest author), cioè sia inserito il nome<br />

<strong>di</strong> un ricercatore che non ha apportato alcun contributo alla ricerca.<br />

I motivi <strong>di</strong> questa azione <strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevole sono molteplici, ma<br />

<strong>di</strong> norma si è inclini a praticare la guest authorship: a) qualora<br />

il nome ospitato è <strong>di</strong> una grande personalità scientifica, tale da<br />

conferire prestigio agli altri autori; b) se il gruppo dei coautori<br />

vuole “tirare la volata” all’ospite, ovvero aumentare artatamente<br />

il numero e la qualità dei lavori <strong>di</strong> un autore nell’imminenza<br />

<strong>di</strong> un concorso o <strong>di</strong> una promozione in cui ciò sia rilevante.<br />

Tuttavia può anche succedere, purtroppo non <strong>di</strong> rado, che il<br />

nome dell’ospite sia imposto dal capo dall’istituzione o, peggio<br />

ancora, dal politico <strong>di</strong> turno. La pratica del guest author<br />

andrebbe sempre contrastata in quanto animata da fini contrari<br />

agli standard professionali dello scienziato, ma deve essere<br />

senz’altro denunciata nel caso questa derivi da una costrizione:<br />

costringere chi ha lavorato a <strong>di</strong>videre il proprio frutto con coloro<br />

che non hanno titolo rappresenta un vero e proprio sopruso<br />

e un furto ai danni <strong>di</strong> tutti coloro, firmatari e collaboratori, che<br />

hanno partecipato correttamente alle ricerca ed hanno contribuito<br />

alla riuscita <strong>degli</strong> esperimenti.<br />

Capita anche che esistano <strong>degli</strong> autori fantasma (ghost authors):<br />

i lavori, una volta abbastanza frequenti ma oggi sempre<br />

più rari, presentanti alle riviste e non firmati, ma ritenuti da<br />

queste scientificamente vali<strong>di</strong> e degni <strong>di</strong> pubblicazione, vanno<br />

attribuiti sotto il profilo bibliografico ad Anomimo.<br />

Di ben altro spessore è l’esclusione volontaria <strong>di</strong> un autore,<br />

<strong>di</strong> solito il più debole o il più giovane, da un lavoro: si tratta<br />

57


58<br />

<strong>di</strong> una pratica esecrabile, contraria allo standard scientifico,<br />

soprattutto se questa esclusione è finalizzata a “fare spazio” ad<br />

un guest author imposto come descritto nel precedente lemma.<br />

Un ultimo aspetto dell’authorship riguarda la firma congiunta<br />

<strong>di</strong> congiunti più o meno ufficiali. Troppo spesso si vedono<br />

lavori co-firmati da padri e figli, da consorti, da amanti, da<br />

parenti <strong>di</strong> ogni or<strong>di</strong>ne e grado, soprattutto qualora tali parenti<br />

lavorino nella stessa istituzione; questa pratica rappresenta un<br />

livello <strong>di</strong> degrado nell’ambiente scientifico e getta un’ombra<br />

sul reale contributo apportato dal “protetto” al lavoro dei ricercatori.<br />

A parte i Bach e i Bernoulli, casi unici <strong>di</strong> <strong>di</strong>nastie che<br />

hanno apportato contributi straor<strong>di</strong>nari nei campi della musica<br />

e della matematica, la trasmissione della competenza scientifica<br />

all’interno della stessa famiglia non risponde ai criteri <strong>di</strong><br />

ere<strong>di</strong>tarietà e può comportare, come detto meglio in seguito,<br />

una profonda <strong>di</strong>storsione della sana competitività che sta alla<br />

base dell’impresa scientifica.<br />

17. L’inter<strong>di</strong>sciplinarietà ha allargato e reso complessa la rete: alla<br />

fine tutti gli scienziati sono connessi in qualche modo con tutti,<br />

una <strong>di</strong>mostrazione empirica dell’unitarietà della scienza! Attraverso<br />

la co-authorship è possibile, infatti, costruire una rete <strong>di</strong><br />

relazioni che, nel connettere i cofirmatari <strong>di</strong> un articolo, assomiglia<br />

ad una struttura <strong>di</strong> parentela (figura 5.1).<br />

Le scuole <strong>di</strong> dottorato si sono rivelate uno dei veicoli principali<br />

<strong>di</strong> allargamento e <strong>di</strong> riconnessione della rete. Gli scienziati in<br />

formazione, a cui è in<strong>di</strong>rizzato questo breviario, devono essere<br />

consapevoli che i perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o spesi presso altre istituzioni<br />

scientifiche rispetto a quella nella quale stanno maturando la<br />

loro formazione non rappresentano soltanto un’occasione <strong>di</strong><br />

crescita per se stessi, ma costituiscono uno dei meccanismi<br />

fondamentali che favoriscono l’interconnessione del mondo<br />

scientifico nel suo complesso.<br />

18. Chiunque abbia la competenza e desideri occuparsi <strong>di</strong> un aspetto<br />

della conoscenza dovrebbe essere accolto con grande <strong>di</strong>sponibilità<br />

da gruppi <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong> consolidata esperienza in quel<br />

campo. Al contrario, costituire e rinsaldare gruppi che escludono<br />

sistematicamente altri gruppi dall’acquisizione <strong>di</strong> fon<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

ricerca, dalla pubblicazione <strong>di</strong> numeri monografici <strong>di</strong> riviste o


59<br />

Figura 5.1. La rete che lega gli scienziati fra <strong>di</strong> loro me<strong>di</strong>ante la co-authorship.<br />

Questo <strong>di</strong>agramma rappresenta un grosso network calcolato sulla base<br />

dei lavori firmati in comune da 555 scienziati (Krempel, 2005).<br />

da importanti commesse legate all’espressione <strong>di</strong> pareri scientifici<br />

<strong>di</strong> importanza strategica per alcune politiche <strong>di</strong> settore (si<br />

pensi all’ambiente, agli OGM, alla clonazione, ecc.), rappresenta<br />

una grave violazione collettiva <strong>degli</strong> standard scientifici. Purtroppo,<br />

uno <strong>degli</strong> aspetti più inquietanti della scienza moderna<br />

è il passaggio dalla rete <strong>di</strong> relazioni alla relazione nella rete.<br />

Tuttavia, l’analisi della rete dei coautori consente <strong>di</strong> verificare<br />

i fenomeni <strong>di</strong> “cluster” e, conseguentemente, del consolidarsi<br />

<strong>di</strong> strutture <strong>di</strong> tipo sindacale de<strong>di</strong>te alla eventuale inclusione, o<br />

esclusione, <strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong> ricerca o <strong>di</strong> singoli scienziati.<br />

19. Il problema della co-authorship non affliggeva sicuramente<br />

Paul Erdős (1913-1996, figura 5.2.) considerato il matematico<br />

che ha maggiormente collaborato con i suoi colleghi e ha cambiato<br />

il modo <strong>di</strong> lavorare <strong>di</strong> molti matematici trasformandoli<br />

da solitari intellettuali ad animali sociali. La sua produzione<br />

scientifica comprende 509 lavori cofirmati con <strong>di</strong>versi matematici<br />

così che è nata l’usanza scherzosa, probabilmente inventata<br />

dall’analista Casper Goffman nel 1969 nel suo articolo


60<br />

And what is your Erdős number?, <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care quale numero <strong>di</strong><br />

Erdős la <strong>di</strong>stanza fra un certo autore ed Erdős medesimo così<br />

computata: coloro che hanno firmato almeno un articolo con<br />

Erdős hanno il numero 1, coloro che hanno firmato almeno un<br />

lavoro con un autore cha ha il numero 1 hanno un numero <strong>di</strong><br />

Erdős 2, e così via. Alla fine, tenuto conto del noto modello del<br />

“Mondo piccolo” <strong>di</strong> Milgram (1967) secondo il quale bastano<br />

sei passaggi per raggiungere chiunque nel pianeta, tutti coloro<br />

che hanno pubblicato in collaborazione con un gruppo inter<strong>di</strong>sciplinare<br />

hanno un numero <strong>di</strong> Erdős, per quanto grande<br />

questo possa essere.<br />

Figura 5.2. Paul Erdős, autore <strong>di</strong> 509 lavori matematici in collaborazione<br />

con colleghi.<br />

20. Essere citati rappresenta per un ricercatore il più importante<br />

riconoscimento del lavoro svolto. I principali in<strong>di</strong>ci bibliometrici,<br />

quali l’impact factor (IF), il numero h <strong>di</strong> Hirsch (2005),<br />

ecc., sono infatti misure quantitative dell’entità delle citazioni<br />

riportate da un determinato articolo, autore, rivista o istituzione<br />

<strong>di</strong> ricerca. Non citare i lavori <strong>di</strong> ricercatori concorrenti (o <strong>di</strong><br />

colleghi antipatici) per indebolirne le ambizioni <strong>di</strong> carriera o


per migliorare la propria posizione per i finanziamenti, citare<br />

viceversa eccessivamente quelli <strong>degli</strong> “amici” o <strong>degli</strong> “alleati”,<br />

indulgere nell’autocitazione, non leggere o leggere senza il dovuto<br />

approfon<strong>di</strong>mento i lavori citati, citare lavori estratti da<br />

altre bibliografie, non aggiornare le bibliografie <strong>di</strong> lavori seriali<br />

sullo stesso argomento, rappresentano tutte, seppure su piani<br />

<strong>di</strong> gravità <strong>di</strong>versi, forme <strong>di</strong> cattiva condotta scientifica.<br />

21. Un ulteriore aspetto relativo alla paternità dei lavori scientifici<br />

è quello riguardante la proprietà intellettuale. Poiché la ricerca<br />

scientifica può generare scoperte <strong>di</strong> grande valore sia per<br />

l’avanzamento della conoscenza, che per i governi o per le<br />

industrie, i ricercatori devono essere coscienti del valore delle<br />

loro idee e proteggere se stessi, la loro istituzione e i potenziali<br />

utilizzatori da un uso improprio, <strong>di</strong>storto o speculativo<br />

delle loro scoperte. In alcuni casi la possibilità, o la necessità,<br />

<strong>di</strong> trarre beneficio da nuove idee o scoperte richiede la protezione<br />

dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> proprietà intellettuale attraverso il deposito<br />

<strong>di</strong> brevetti, la registrazione <strong>di</strong> copyright o la secretazione dei<br />

risultati della ricerca.<br />

Brevetti e copyright applicati alla scienza sono meccanismi legali<br />

che hanno lo scopo <strong>di</strong> bilanciare i guadagni privati e i<br />

pubblici benefici derivanti da una scoperta, una nuova idea<br />

o un proce<strong>di</strong>mento innovativo. Questi meccanismi non sono<br />

però <strong>di</strong> solito sufficienti <strong>di</strong> per sé a proteggere appieno la proprietà<br />

intellettuale: il semplice deposito <strong>di</strong> un brevetto, infatti,<br />

non mette al riparo dall’eventuale impiego abusivo dell’innovazione<br />

da parte <strong>di</strong> terzi. L’aspetto più importante riguarda la<br />

capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere il brevetto in sede legale e far valere le<br />

proprie ragioni in giu<strong>di</strong>zio. Per questo motivo, è sempre consigliabile<br />

far transitare questo tipo <strong>di</strong> protezione attraverso una<br />

struttura (università, istituzione <strong>di</strong> ricerca, impresa) capace <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fendere opportunamente il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà intellettuale<br />

nelle giuste se<strong>di</strong>.<br />

La protezione <strong>di</strong> un’idea scientifica o <strong>di</strong> una innovazione tecnologica<br />

con brevetti può potenzialmente ritardare la pubblicazione<br />

<strong>di</strong> un lavoro. Sebbene la materia sia <strong>di</strong> solito regolata<br />

da specifici contratti, un eventuale ritardo nel rendere pubblici<br />

i risultati <strong>di</strong> una ricerca non deve comunque ledere gli interessi<br />

61


62<br />

<strong>di</strong> coautori o <strong>di</strong> istituzioni scientifiche coinvolte. Il lavoro in<br />

base al quale è stato conseguito un brevetto o una registrazione<br />

deve comunque essere pubblicato entro un ragionevole<br />

arco <strong>di</strong> tempo secondo gli standard scientifici della <strong>di</strong>sciplina<br />

al fine <strong>di</strong> non ledere il principio <strong>di</strong> trasparenza della scienza e<br />

<strong>di</strong> porre la comunità scientifica in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> controllare la<br />

qualità della ricerca.<br />

22. Quando parliamo <strong>di</strong> “conflitto <strong>di</strong> interessi” nel campo della<br />

scienza ci riferiamo a quelle situazioni in cui i ricercatori presentano<br />

interessi che possono interferire con il loro giu<strong>di</strong>zio<br />

professionale. Qualora i potenziali conflitti <strong>di</strong> interessi coinvolgano<br />

aspetti legati al guadagno in moneta o in altri benefit per<br />

il ricercatore, tali situazioni devono essere analizzate con una<br />

attenzione particolare in quanto capaci <strong>di</strong> influenzare il lavoro<br />

dello scienziato per quanto attiene la correttezza del piano sperimentale<br />

o l’interpretazione dei risultati che possono essere<br />

<strong>di</strong>storti e volti a favore del finanziatore della ricerca.<br />

Anche le relazioni personali possono creare conflitto <strong>di</strong> interesse.<br />

Come già detto, a parte i Bernoulli e i Bach, nel mondo intellettuale<br />

è raro trovare famiglie che, generazione dopo generazione,<br />

producano menti creative al massimo livello nello stesso<br />

campo (Maor, 1994): è meglio che i figli(e) si tengano (o siano<br />

tenuti) lontani dai laboratori in cui lavorano i padri o le madri.<br />

Anche le relazioni romantiche possono interferire con il regolare<br />

lavoro scientifico ed essere potenzialmente foriere <strong>di</strong> molestie<br />

sessuali; per questo le relazioni fra professori e studenti (solitamente<br />

i primi maschi e le seconde femmine) sono malviste e,<br />

<strong>di</strong> solito, proibite dai co<strong>di</strong>ci comportamentali delle Università:<br />

i casi del consorte (a qualsiasi titolo) dalla carriera fulminante<br />

sono tristemente famosi in Italia (ma non solo) e contribuiscono,<br />

più <strong>di</strong> ogni altra azione, a squalificare l’immagine pubblica delle<br />

istituzioni scientifiche, come è <strong>di</strong>mostrato dalla vasta letteratura<br />

fiorita sull’argomento (Simone, 1993; Perotti, 2008; Gar<strong>di</strong>ni,<br />

2009; Carlucci e Castaldo, 2009; Sylos Labini e Zapperi, 2010).<br />

Anche le credenze o i pregiu<strong>di</strong>zi manifestati dai ricercatori<br />

possono generare un potenziale conflitto: ecologismo, animalismo,<br />

fondamentalismo religioso (e altre ideologie o fe<strong>di</strong>) possono<br />

<strong>di</strong>storcerne la pratica scientifica e influenzare la serenità


<strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio <strong>degli</strong> scienziati. Come accennato nel lemma 11 del<br />

capitolo 3 (figura 3.2), la scienza appartiene alla sfera razionale<br />

e pertanto le passioni, seppure legittime e necessarie per<br />

il completamento della personalità dell’uomo, vanno lasciate<br />

fuori dai laboratori. I conflitti <strong>di</strong> coscienza sono perciò cosa<br />

<strong>di</strong>fferente dai conflitti <strong>di</strong> interesse e vanno posti su piani <strong>di</strong>versi:<br />

per i primi il livello del <strong>di</strong>scorso è in<strong>di</strong>viduale e morale,<br />

i secon<strong>di</strong> è pubblico ed etico.<br />

Al fine <strong>di</strong> contrastare questi comportamenti, le istituzioni pubbliche<br />

e private, gli enti finanziatori della ricerca e le riviste<br />

scientifiche richiedono esplicitamente sempre con maggior frequenza<br />

che i ricercatori coinvolti in ricerche collettive o che<br />

siano chiamati a svolgere il compito <strong>di</strong> referee <strong>di</strong>chiarino i potenziali<br />

conflitti <strong>di</strong> interesse, la sussistenza <strong>di</strong> relazioni personali<br />

fra gli attori in campo e gli eventuali casi <strong>di</strong> coscienza generati<br />

da affiliazioni ideologiche o da cre<strong>di</strong> religiosi. L’International<br />

Committee of Me<strong>di</strong>cal Journal E<strong>di</strong>tors (2009) ha varato delle<br />

linee guida alle quali gli autori delle pubblicazioni scientifiche<br />

devono attenersi al fine <strong>di</strong> evitare eventuali conflitti <strong>di</strong> interesse,<br />

sud<strong>di</strong>videndoli in tre aggregati: quelli legati agli aspetti personali,<br />

quelli riguardanti al finanziamento del progetto <strong>di</strong> ricerca<br />

e quelli attinenti all’e<strong>di</strong>tor, ai referee o allo staff della rivista.<br />

23. La scienza è un’impresa collettiva e pubblica che, fin dalle origini,<br />

ha costituito una grande avventura transnazionale, transreligiosa<br />

e transculturale. La comunità scientifica ha infatti<br />

rappresentato l’unico canale <strong>di</strong> comunicazione aperto fra gli<br />

uomini anche nel corso dei peggiori conflitti che hanno sconvolto<br />

l’umanità negli ultimi secoli. Per questi motivi, il mondo<br />

scientifico aborre le <strong>di</strong>scriminazioni <strong>di</strong> etnia, <strong>di</strong> genere, <strong>di</strong> età,<br />

<strong>di</strong> appartenenza politica o religiosa. Gli scienziati <strong>di</strong>stinguono<br />

soltanto fra chi è uno scienziato (esercita la professione <strong>di</strong> ricercatore<br />

e rispetta la deontologia della comunità scientifica)<br />

e chi, pur professandosi tale, non lo è in quanto non coltiva la<br />

cultura scientifica e la tolleranza come metodo. Qualsiasi <strong>di</strong>scriminazione,<br />

intolleranza, molestia (anche e soprattutto sessuale),<br />

non solo è moralmente esecrabile, ma è dannosa per la<br />

scienza (sottrae risorse e inquina il contesto) e per l’immagine<br />

della sua comunità scientifica agli occhi dell’intera società.<br />

63


Capitolo 6<br />

Brevi <strong>di</strong> bioetica<br />

1. La bioetica è una <strong>di</strong>sciplina che indaga i problemi morali e<br />

normativi prevalentemente in ambito biome<strong>di</strong>co. Tuttavia, i<br />

temi <strong>di</strong>battuti in bioetica riguardano anche altri campi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

quali la tutela dell’ambiente, l’ingegneria genetica, ma anche<br />

l’impiego <strong>degli</strong> animali nella sperimentazione, per cui de<strong>di</strong>cheremo<br />

brevi riflessioni a tali ambiti, rimandando per gli<br />

approfon<strong>di</strong>menti alla ricca letteratura e alle specifiche leggi e<br />

norme previste nei co<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> comportamento per gli scienziati<br />

che vogliono cimentarsi in questi campi.<br />

2. L’etica dell’ambiente, o ecoetica, è la <strong>di</strong>sciplina della filosofia<br />

che stu<strong>di</strong>a le relazioni morali <strong>degli</strong> esseri umani con l’ambiente<br />

e anche il valore e lo stato morale dell’ambiente compreso il<br />

contesto non umano. L’etica della ricerca ambientale dovrebbe<br />

puntare soprattutto alla non enfatizzazione o alla sottovalutazione<br />

strumentali a qualsiasi obiettivo che esuli dalla semplice<br />

conoscenza dei quesiti scientifici e delle inferenze sui dati relativi<br />

allo stato <strong>di</strong> un determinato ecosistema. Fra i temi più rilevanti<br />

dell’ecoetica possono essere annoverati quelli relativi ai<br />

cambiamenti climatici, alla desertificazione e all’impiego <strong>degli</strong><br />

organismi geneticamente mo<strong>di</strong>ficati (OGM) in agricoltura. Su<br />

quest’ultimo tema, si <strong>di</strong>rà nei lemmi seguenti; sui primi è doveroso<br />

precisare che, essendo ambiti <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o scientificamente<br />

molto controversi, esistono due nette correnti <strong>di</strong> pensiero: una<br />

secondo cui le manipolazioni umane dell’ambiente provocano<br />

inevitabilmente un danno agli equilibri naturali per cui, in tempi<br />

più o meno lunghi, queste possono provocare <strong>di</strong>struzioni irreversibili<br />

<strong>degli</strong> ecosistemi e dell’intero pianeta; l’altra secondo<br />

cui la resilienza dei sistemi fisici e biologici della terra è tale<br />

che le perturbazioni create dall’uomo, seppure <strong>di</strong> magnitu<strong>di</strong>ne<br />

elevata, rientrano nella capacità <strong>di</strong> reazione <strong>degli</strong> ecosistemi i<br />

quali sono in grado <strong>di</strong> trovare un nuovo equilibrio. È evidente


66<br />

che questi temi coinvolgono interessi colossali da un lato, e<br />

pregiu<strong>di</strong>zi ideologici o religiosi, dall’altro, per cui è molto <strong>di</strong>fficile<br />

per lo scienziato impegnato in questi campi mantenere<br />

un profilo <strong>di</strong> equa valutazione dei riscontri scientifici nell’alveo<br />

<strong>di</strong> un’ecoetica della scienza. Un esempio para<strong>di</strong>gmatico è<br />

quello relativo allo scandalo montato dai me<strong>di</strong>a sulla presunta<br />

manipolazione dei dati sul riscaldamento globale da parte dei<br />

ricercatori dell’Università dell’Est Anglia (Moore, 2009). Sfortunatamente,<br />

i temi ambientali <strong>di</strong>vidono profondamente le coscienze<br />

delle società con le quali devono confrontarsi i ricercatori;<br />

tuttavia, la ferma attenzione ai principi <strong>di</strong> comportamento<br />

delineati nel capitolo 5 può mettere il ricercatore al riparo dai<br />

rischi <strong>di</strong> pesanti conflitti <strong>di</strong> interessi o, peggio ancora, da quello<br />

<strong>di</strong> operare al servizio <strong>di</strong> una parte e non della collettività.<br />

3. La biologia molecolare e la manipolazione genetica sono la<br />

frontiera della ricerca non solo nel settore biome<strong>di</strong>co e farmaceutico,<br />

ma anche nelle filiere agroalimentari e nel campo<br />

ambientale Gli scienziati hanno il ruolo speciale <strong>di</strong> reintrodurre<br />

l’etica nella catena alimentare destinata a nutrire gli esseri<br />

umani, svincolando per quanto possibile questo contesto dalle<br />

pressanti richieste economiche che nei decenni recenti hanno<br />

trasformato queste attività in una delle facce del global business.<br />

Seppure la resistenza dei consumatori europei all’utilizzo<br />

dei transgeni in agricoltura deve essere tenuta in debito conto,<br />

le posizioni scientifiche espresse in questo ambito devono<br />

essere chiare, motivate, non viziate da pregiu<strong>di</strong>zi e prive <strong>di</strong><br />

potenziali conflitti <strong>di</strong> interesse.<br />

Secondo John Hodges (2009), la biologia molecolare presenta<br />

due caratteristiche fondamentali: a) è un campo altamente<br />

complesso in cui la conoscenza è ancora minima e b) il proprio<br />

universo <strong>di</strong> indagine è legato al cuore dei processi della vita.<br />

Sfortunatamente, sostiene Hodges, i nostri modelli interpretativi<br />

del funzionamento dei geni sono inadeguati e i processi che<br />

portano al rilascio <strong>di</strong> un organismo geneticamente mo<strong>di</strong>ficato<br />

nel settore agroalimentare sono costellati <strong>di</strong> fallimenti che raramente<br />

sono oggetto <strong>di</strong> pubblicazione nella letteratura scientifica<br />

in quanto, nella maggior parte dei casi, ottenuti in laboratori<br />

privati. Se poi una determinata ricerca porta l’ottenimento <strong>di</strong>


un animale transgenico, emergono ulteriori questioni etiche,<br />

quali il controllo della seconda generazione e la necessità <strong>di</strong><br />

occuparsi <strong>di</strong> animali creati appositamente con gravi problemi<br />

<strong>di</strong> salute. L’impiego <strong>di</strong> transgeni o <strong>di</strong> animali con geni knockout<br />

(<strong>di</strong> solito topi o cavie) può essere <strong>di</strong> grande aiuto nelle<br />

ricerche biome<strong>di</strong>che o farmaceutiche. Ma in questi casi, in cui<br />

abbiamo creato artificialmente animali destinati a contrarre<br />

malattie o ad essere geneticamente pre<strong>di</strong>sposti a <strong>di</strong>sfunzioni e<br />

stati carenziali, i soggetti vanno trattati con particolare umanità<br />

onde evitate loro le sofferenze conseguenti al loro stato patologico<br />

cronico, come <strong>di</strong>remo meglio nel lemma successivo.<br />

4. L’interazione fra le tecnologie <strong>di</strong> ricombinazione o mo<strong>di</strong>ficazione<br />

del DNA e l’ambiente è il nodo centrale della <strong>di</strong>scussione<br />

sulla ricerca in agricoltura. Piana (2005) affronta il problema<br />

sotto il profilo teleologico (da télos = fine) con l’impiego <strong>di</strong> un<br />

modello etico basato sulla misurazione del rapporto esistente<br />

tra il fine che la ricerca e la successiva applicazione perseguono<br />

(che hanno ovviamente il primato) e gli effetti negativi<br />

derivanti dal mezzo (o dai mezzi) usato per perseguirlo. Il modello,<br />

<strong>di</strong> natura consequenziale, afferma che le manipolazioni<br />

sono legittime quando le conseguenze positive sono maggiori<br />

<strong>di</strong> quelle negative e illegittime in caso contrario. Le voci a confronto,<br />

anche all’interno della comunità scientifica, sono <strong>di</strong>vise:<br />

da un lato, alcuni affermano che l’impiego <strong>di</strong> OGM in agricoltura<br />

sia potenzialmente pericoloso per l’ambiente in quanto le<br />

tecnologie per la loro produzione sono fondate su conoscenze<br />

incerte (ve<strong>di</strong> lemma precedente) e gli ecosistemi sono strutture<br />

talmente complesse che è molto <strong>di</strong>fficile generare modelli,<br />

dotati <strong>di</strong> una qualche atten<strong>di</strong>bilità, che possano cioè prevedere<br />

l’evoluzione <strong>degli</strong> ecosistemi interessati dall’introduzione <strong>di</strong><br />

OGM su scala iperstorica; dall’altro, singoli ricercatori e intere<br />

comunità scientifiche, attraverso documenti pubblici (consenus<br />

documents), ritengono che le tecnologie per la produzione e<br />

il rilascio <strong>degli</strong> OGM nell’ambiente siano mature e che vi sia<br />

sostanziale equivalenza fra organismi naturali e manipolati per<br />

quanto attiene gli impatti ambientali anche nel lungo periodo.<br />

Noi concor<strong>di</strong>amo pienamente con quanto <strong>di</strong>ce Piana (2005)<br />

quando afferma che “Due con<strong>di</strong>zioni sembrano allora irrinun-<br />

67


68<br />

ciabili se si vuole esercitare una reale influenza sugli sviluppi<br />

<strong>degli</strong> OGM e consentire l’avanzamento della ricerca e la sua<br />

positiva applicazione negli ambiti segnalati: la prima è il controllo<br />

del settore pubblico sulle modalità <strong>di</strong> gestione dei brevetti;<br />

la seconda è la trasparenza e la <strong>di</strong>ffusione delle informazioni<br />

come garanzia <strong>di</strong> democraticità dei processi decisionali.<br />

L’adempimento <strong>di</strong> tali con<strong>di</strong>zioni è legato all’affermarsi <strong>di</strong> un<br />

potere politico autorevole, che sappia intervenire con precise<br />

<strong>di</strong>rettive anche in campo economico, e alla creazione <strong>di</strong> un<br />

proficuo interfaccia tra scienza e società, tale da rendere possibile<br />

la promozione <strong>di</strong> conoscenze aggiornate e la messa in atto<br />

<strong>di</strong> scelte collettive seriamente ponderate”.<br />

5. Secondo Mary Fitzgerald, coor<strong>di</strong>natore dell’Unità L3, Governance<br />

e Etica, del VII Programma Quadro per la ricerca scientifica<br />

dell’Unione Europea, occorre chiedersi se l’impiego <strong>degli</strong><br />

animali negli esperimenti sia realmente necessario per il<br />

raggiungimento <strong>di</strong> risultati vali<strong>di</strong> oppure se vi siano altre vie,<br />

ugualmente efficaci, quali ad esempio l’impiego <strong>di</strong> colture cellulari<br />

o <strong>di</strong> modelli fisici o matematici in grado <strong>di</strong> simulare in<br />

modo accettabile il comportamento del sistema biologico animale.<br />

Occorre premettere che gli animali possono essere impiegati<br />

fondamentalmente per tre tipi <strong>di</strong> sperimentazione: a) in<br />

quanto tali, per ricerche relative alla loro anatomia, fisiologia,<br />

comportamento e salute; b) in sostituzione dell’uomo e come<br />

modello per lo stesso, per ricerche biome<strong>di</strong>co-chirurgiche o<br />

chimico-farmaceutiche; c) quali soggetti produttivi e collettivi,<br />

per ricerche nei settori agricolo, alimentare e ambientale.<br />

In tutti i casi, l’approccio alla ricerca sugli e con gli animali<br />

deve ra<strong>di</strong>carsi sull’applicazione delle tre regole fondamentali<br />

della Sostituzione, della Riduzione e della Ridefinizione.<br />

In termini generali, ogniqualvolta si pensi <strong>di</strong> impiegare <strong>degli</strong><br />

animali per una sperimentazione occorre domandarsi se la<br />

procedura <strong>di</strong> ricerca prevista può procurare danni ai ricercatori<br />

e, in caso <strong>di</strong> risposta positiva, bisogna prendere in considerazione<br />

l’ipotesi che lo stesso effetto negativo possa manifestarsi<br />

sugli animali.<br />

La Sostituzione fa riferimento, qualora sia possibile, alla preferenza<br />

verso l’uso <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> non implicanti l’impiego <strong>di</strong> animali


per raggiungere gli stessi risultati scientifici ottenibili con gli<br />

stessi; la Riduzione riguarda i meto<strong>di</strong> che consentono ai ricercatori<br />

<strong>di</strong> ottenere livelli comparativi <strong>di</strong> informazioni da un<br />

minor numero <strong>di</strong> animali, o <strong>di</strong> ottenere più informazioni dallo<br />

stesso numero <strong>di</strong> animali; la Ridefinizione, infine, consiglia <strong>di</strong><br />

ricorre a meto<strong>di</strong> che possano alleviare o annullare il dolore, la<br />

sofferenza ed il tormento <strong>degli</strong> animali e contemporaneamente<br />

accrescere il loro benessere.<br />

6. Qualora sia in<strong>di</strong>spensabile l’impiego <strong>degli</strong> animali negli esperimenti,<br />

qual è il numero <strong>di</strong> soggetti da utilizzare? Sebbene<br />

paradossale, è possibile che l’uso <strong>di</strong> un determinato numero<br />

<strong>di</strong> animali possa essere giustificato in un esperimento o in una<br />

proposta <strong>di</strong> progetto <strong>di</strong> ricerca e considerato eccessivo in un<br />

altro caso. Ciò è dovuto alle finalità scientifiche e al contesto in<br />

cui sono svolti gli esperimenti e, come caso limite, potrebbe essere<br />

considerato non etico perfino l’uso <strong>di</strong> un minor numero <strong>di</strong><br />

animali qualora i risultati ottenuti fossero modesti e un elevato<br />

numero <strong>di</strong> soggetti garantisse il raggiungimento <strong>di</strong> informazioni<br />

<strong>di</strong> importanza vitale in tempi ridotti.<br />

In tutti i casi, sia nelle proposte <strong>di</strong> progetti <strong>di</strong> ricerca che nei lavori<br />

scientifici, tutte le scelte operate devono essere rese esplicite<br />

in modo completo. In tal senso devono essere chiaramente<br />

specificati i dettagli relativi alle specie, alle razze e all’origine<br />

dei soggetti impiegati, e fornita una accurata spiegazione del<br />

perché sono stati scelti tali animali. In aggiunta, va resa una<br />

chiara giustificazione dei benefici attesi dall’uso <strong>degli</strong> animali<br />

nella sperimentazione proposta o conclusa e del perché del<br />

non utilizzo <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> alternativi. Inoltre, deve essere sempre<br />

specificato il numero <strong>di</strong> animali coinvolti nella sperimentazione,<br />

analizzata sotto l’aspetto dei costi-benefici la scelta operata<br />

per l’esperimento e affrontate in profon<strong>di</strong>tà tutte le questioni<br />

dell’eventuale dolore e della sofferenza che la pratica sperimentale<br />

può infliggere ai soggetti interessati. Un aspetto bioeticamente<br />

rilevante riguarda infine il destino <strong>degli</strong> animali a fine<br />

esperimento: saranno coinvolti in altri esperimenti o saranno<br />

soppressi? Anche a questo quesito ricercatori devono essere in<br />

grado <strong>di</strong> rispondere con coerenza e tenendo sempre a mente la<br />

priorità delle garanzie del minimo o nullo dolore per gli anima-<br />

69


70<br />

li e l’obbligo <strong>di</strong> trattarli con la maggiore umanità tecnicamente<br />

possibile.<br />

7. In Italia la materia dell’utilizzazione <strong>degli</strong> animali negli esperimenti<br />

è normata dal Decreto legislativo 27 gennaio 1992, n.<br />

116, Attuazione della <strong>di</strong>rettiva (CEE) n. 609/86 in materia <strong>di</strong><br />

protezione <strong>degli</strong> animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri<br />

fini scientifici. La norma recepisce la <strong>di</strong>rettiva europea in<br />

merito e specifica che la sperimentazione animale può essere<br />

effettuata solo: a) per lo sviluppo, la produzione e le prove <strong>di</strong><br />

qualità, <strong>di</strong> efficacia e <strong>di</strong> innocuità dei preparati farmaceutici,<br />

<strong>degli</strong> alimenti e <strong>di</strong> quelle altre sostanze o prodotti che servono<br />

per la profilassi, la <strong>di</strong>agnosi o la cura <strong>di</strong> malattie, <strong>di</strong> cattivi<br />

stati <strong>di</strong> salute o <strong>di</strong> altre anomalie o dei loro effetti sull’uomo,<br />

sugli animali o sulle piante; b) per la valutazione, la rilevazione,<br />

il controllo o le mo<strong>di</strong>ficazioni delle con<strong>di</strong>zioni fisiologiche<br />

nell’uomo, negli animali o nelle piante; c) la protezione<br />

dell’ambiente naturale nell’interesse della salute e del benessere<br />

dell’uomo e <strong>degli</strong> animali.<br />

Tutte le istituzioni <strong>di</strong> ricerca pubbliche e private hanno istituito<br />

Comitati Etici sulla Sperimentazione Animale (CESA) ai quali<br />

devono essere obbligatoriamente sottoposti i protocolli delle<br />

ricerche che implicano l’impiego <strong>di</strong> animali e che devono rilasciare<br />

una regolare autorizzazione allo svolgimento dell’esperimento.<br />

8. Tutti gli scienziati che conducono ricerche che coinvolgano<br />

esseri umani come partecipanti, devono proteggerne gli interessi,<br />

attraverso la minimizzazione dei rischi in confronto con<br />

i vantaggi ottenibili dall’attività sperimentale. In tutti i casi i<br />

soggetti coinvolti in una attività sperimentale devono essere<br />

compiutamente informati sulla prova a cui hanno scelto <strong>di</strong> sottoporsi<br />

in modo tale da poter fornire un esplicito e consapevole<br />

consenso (il c.d. consenso informato).<br />

I principi etici orientatori della ricerca su soggetti umani sono<br />

contenuti nella Dichiarazione <strong>di</strong> Helsinki, elaborata dall’Associazione<br />

Me<strong>di</strong>ca Mon<strong>di</strong>ale, il cui obiettivo è stato quello <strong>di</strong> fornire<br />

in<strong>di</strong>cazioni ai me<strong>di</strong>ci e agli altri partecipanti alla ricerca<br />

me<strong>di</strong>ca nel caso in cui coinvolga i soggetti umani, materiale<br />

umano o dati identificabili.


9. In Italia la Ricerca biome<strong>di</strong>ca e la sperimentazione sull’uomo<br />

sono regolate dall’articolo 46 del co<strong>di</strong>ce deontologico della<br />

professione me<strong>di</strong>ca che recita: “La ricerca biome<strong>di</strong>ca e la sperimentazione<br />

sull’Uomo devono ispirarsi all’inderogabile principio<br />

dell’inviolabilità, dell’integrità psicofisica e della vita della<br />

persona. Esse sono subor<strong>di</strong>nate al consenso del soggetto in<br />

esperimento, che deve essere espresso per iscritto, liberamente e<br />

consapevolmente, previa specifica informazione sugli obiettivi,<br />

sui meto<strong>di</strong>, sui benefici previsti, nonché sui rischi potenziali<br />

e sul suo <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> ritirarsi in qualsiasi momento della sperimentazione.<br />

Nel caso <strong>di</strong> soggetti minori o incapaci è ammessa<br />

solo la sperimentazione per finalità preventive e terapeutiche<br />

a favore <strong>degli</strong> stessi, il consenso deve essere espresso dai legali<br />

rappresentanti. Ove non esistano finalità terapeutiche è vietata<br />

la sperimentazione clinica su minori, su infermi <strong>di</strong> mente o su<br />

soggetti che versino in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> soggezione o <strong>di</strong>etro compenso<br />

<strong>di</strong> qualsiasi natura. La sperimentazione deve essere programmata<br />

e attuata secondo idonei protocolli nel quadro della<br />

normativa vigente e dopo aver ricevuto il preventivo assenso da<br />

parte <strong>di</strong> un comitato etico in<strong>di</strong>pendente”.<br />

71


Capitolo 7<br />

Ri-Etica-pitolando<br />

1. Arrivati a questo punto, come per ogni breviario che si rispetti,<br />

proviamo a fornire un decalogo <strong>di</strong> prescrizioni ad uso<br />

generale <strong>degli</strong> scienziati in formazione, e non solo. In esso<br />

sono sintetizzati i principali temi esposti finora: il significato<br />

<strong>di</strong> etica, le cattive condotte <strong>degli</strong> scienziati, l’attenzione da<br />

de<strong>di</strong>care ai protocolli sperimentali e ai dati raccolti, il rispetto<br />

verso i maestri, gli allievi e i soggetti coinvolti negli esperimenti,<br />

siano essi uomini o animali. La struttura del decalogo<br />

ricalca quella delle ben più note tavole bibliche, ma ciascun<br />

ricercatore può esercitarsi a ottenerne uno <strong>di</strong>verso per or<strong>di</strong>ne<br />

o per contenuti.<br />

2. Primo: Non avrai un’etica ad uso personale. Ciò che è bene da<br />

ciò che è male nella pratica scientifica sono frutto <strong>di</strong> un’etica<br />

con<strong>di</strong>visa dalla comunità dei ricercatori. Farne parte significa<br />

che ad una domanda etica si deve rispondere sempre con una<br />

deontologia professionale comune e non con l’impiego <strong>di</strong> scorciatoie<br />

fondate su <strong>di</strong>scutibili valori personali o, ancora peggio,<br />

su ideologie <strong>di</strong> matrice laica o religiosa.<br />

3. Secondo: Non parlare <strong>di</strong> etica a vanvera. L’etica, anche se ristretta<br />

al campo scientifico, è una materia vasta e <strong>di</strong>fficile che<br />

richiede stu<strong>di</strong>o e applicazione. La lettura <strong>di</strong> questo breviario<br />

può fornire alcune basi <strong>di</strong> riflessione, ma per <strong>di</strong>rsi esperti <strong>di</strong><br />

etica occorre leggere i tanti filosofi e scienziati che <strong>di</strong> essa<br />

hanno scritto e me<strong>di</strong>tare sugli innumerevoli casi pratici e sulle<br />

soluzioni escogitate dalle comunità scientifiche per affrontarli.<br />

4. Terzo: Ricordati <strong>di</strong> rispettare le occasioni e le se<strong>di</strong> del <strong>di</strong>battito<br />

scientifico. Le assise scientifiche rappresentano l’occasione<br />

principale nella quale può svolgersi un <strong>di</strong>battito franco e costruttivo<br />

sui temi della ricerca. Non obiettare verso una mancanza<br />

para<strong>di</strong>gmatica, non rilevare un errore <strong>di</strong> metodo, <strong>di</strong> elaborazione<br />

o <strong>di</strong> interpretazione dei dati, o per altro verso, stron-


74<br />

care un lavoro senza alcuna buona ragione, rappresentano tutti<br />

comportamenti irrispettosi del consesso e dei convenuti.<br />

5. Quarto: Onora i maestri e i mentori (e viceversa). Troppe volte<br />

gli allievi si sbarazzano dei loro maestri in una reinterpretazione<br />

nanometrica del dramma <strong>di</strong> Giove e Crono. Forse i maestri<br />

non sono stati dei buoni padri, come non lo fu d’altra parte<br />

Crono, ma sicuramente gli allievi non sono minimamente paragonabili<br />

a Giove. Per altro verso i maestri, per <strong>di</strong>rsi tali, dovrebbero<br />

tenere in massimo conto il bene <strong>degli</strong> allievi e non<br />

utilizzarli per il raggiungimento <strong>di</strong> scopi personali.<br />

6. Quinto: Non tentare <strong>di</strong> stroncare la carriera dei competitori<br />

scientifici. La scienza è una impresa in cui coesistono collaborazione<br />

e competizione. Lo sfavorire un competitore attraverso<br />

il non citarne i lavori, il ritardarne la pubblicazione con pretesti<br />

qualora si sia revisori, l’escluderlo dai canali <strong>di</strong> finanziamento<br />

o il non riconoscerne il valore scientifico in caso <strong>di</strong> concorsi,<br />

sono tutte azioni che avvelenano lentamente la vita dello scienziato<br />

che le compie, oltre che la carriera <strong>di</strong> chi le subisce e, in<br />

definitiva, intossicano tutto l’ambiente scientifico.<br />

7. Sesto: Non molestare sessualmente i collaboratori o i colleghi.<br />

La posizione <strong>di</strong> dominio intellettuale acquisita dagli scienziati,<br />

negli ambiti me<strong>di</strong>atici e accademici, può generare anche una<br />

pretesa <strong>di</strong> dominio sui corpi dei collaboratori. Richiedere e, a<br />

volte, pretendere favori sessuali, in cambio <strong>di</strong> facilitazioni <strong>di</strong><br />

carriera, <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o o <strong>di</strong> lavoro, è uno <strong>degli</strong> aspetti più esecrabili<br />

del comportamento <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo, sia esso uno scienziato<br />

che, come è molto più probabile, non lo sia (proprio per questo<br />

motivo).<br />

8. Settimo: Non rubare il lavoro <strong>degli</strong> altri. Il plagio è uno dei<br />

più <strong>di</strong>ffusi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> furto del lavoro scientifico <strong>degli</strong> altri, ma<br />

non è il solo. La cleptomania intellettuale è estesa soprattutto<br />

nei campi <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> maggior <strong>di</strong>namicità e a maggiori ricadute<br />

sia economiche che accademiche. La tentazione <strong>di</strong> copiare<br />

<strong>di</strong>venta così una raffinata arte del riprodurre, con una rielaborazione<br />

<strong>di</strong> copertura, le idee <strong>degli</strong> altri e tali azioni sono tanto<br />

più da condannare quanto più sono perpetrate ai danni <strong>di</strong> giovani<br />

in formazione o <strong>di</strong> ricercatori che occupano una posizione<br />

<strong>di</strong> debolezza nella gerarchia accademica.


9. Ottavo: Non mentire e non falsificare i dati o i giu<strong>di</strong>zi scientifici.<br />

Se le bugie sono il sale della vita, per la scienza sono il<br />

veleno. Truccare i dati o, peggio ancora, inventarli è uno dei<br />

peccati mortali per i ricercatori perché veicola all’interno dei<br />

para<strong>di</strong>gmi scientifici corpi estranei, a volte rilevabili solo dopo<br />

che hanno provocati danni in profon<strong>di</strong>tà nella conoscenza comune.<br />

Falsi e menzogne sono atti gravissimi qualora ci sia in<br />

gioco la vita e la sicurezza delle persone, la lesione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti<br />

inalienabili dell’uomo o aspetti legati alla salvaguar<strong>di</strong>a dell’ambiente<br />

naturale.<br />

10. Nono: Non lasciare che l’eventuale invi<strong>di</strong>a per i colleghi influenzi<br />

il tuo giu<strong>di</strong>zio sul loro lavoro. L’invi<strong>di</strong>a scientifica è<br />

l’opposto della competizione. La prima è cieca, la seconda<br />

fertile. Poiché i successi dei colleghi sono, in fin dei conti, il<br />

successo della comunità scientifica a cui tutti i ricercatori appartengono,<br />

in linea <strong>di</strong> principio l’invi<strong>di</strong>a non dovrebbe avere<br />

posto nel mondo della ricerca, ma purtroppo così non é.<br />

11. Decimo: Non favorire accademicamente le persone a cui sei<br />

legato da vincoli sentimentali o <strong>di</strong> parentela. È questo uno dei<br />

casi più frequenti e noti <strong>di</strong> conflitto <strong>di</strong> interesse a cui sembrano,<br />

sfortunatamente, non sottrarsi neppure scienziati <strong>di</strong> alto<br />

valore. La tentazione <strong>di</strong> considerare la posizione lavorativa<br />

ricoperta come un feudo personale e, pertanto, trasmissibile<br />

ere<strong>di</strong>tariamente, porta molti scienziati ad adoperarsi affinché<br />

quanto da essi costruito nella vita <strong>di</strong> ricercatore possa essere<br />

goduto da figli o da parenti. Un aspetto collaterale <strong>di</strong> questa<br />

convinzione, riguarda il favorire le carriere <strong>di</strong> persone a cui si<br />

è legati sentimentalmente, comportamento che genera una forte<br />

asimmetria <strong>di</strong> opportunità nella comunità scientifica e può<br />

portare a una irreparabile per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> intelligenze.<br />

12. La professione <strong>di</strong> scienziato, come ogni altra attività dell’uomo,<br />

è soggetta a negligenze, errori e misfatti. Il comportamento<br />

etico dello scienziato è racchiuso nella deontologia della scienza,<br />

che rappresenta l’insieme delle norme sui doveri e sulle<br />

responsabilità del ricercatore. Occorre in fin dei conti tenere<br />

presente che, <strong>di</strong> solito, ciò che è male nelle altre attività umane<br />

lo è anche nella pratica scientifica: la <strong>di</strong>fferenza è che gli scienziati,<br />

anche nello sbagliare, si applicano con metodo.<br />

75


Approfon<strong>di</strong>menti<br />

Breve <strong>di</strong> etica nel breviario<br />

(Giuseppe Pulina, filosofo)<br />

1. Si può considerare l’etica come una delle <strong>di</strong>mensioni che meglio<br />

caratterizzano l’identità umana. Nelle tante definizioni <strong>di</strong> “uomo”<br />

date dai filosofi nel corso dei secoli (Anassagora: “il più intelligente<br />

<strong>degli</strong> animali perché in possesso delle mani”; Aristotele:<br />

“animale politico”; Boezio: “sostanza in<strong>di</strong>viduale <strong>di</strong> natura razionale”;<br />

Cassirer: “animale simbolico”; Schopenhauer: “animale<br />

metafisico”; Nietzsche: “animale non stabilizzato”) viene sempre<br />

data per scontata la capacità dell’essere umano <strong>di</strong> elevarsi<br />

dall’or<strong>di</strong>naria cura delle occupazioni materiali. All’uomo non si<br />

chiede, infatti, solo <strong>di</strong> sapere sod<strong>di</strong>sfare i suoi bisogni primari,<br />

ma anche <strong>di</strong> prenderne coscienza e <strong>di</strong> ispirarne la sod<strong>di</strong>sfazione<br />

ad un insieme <strong>di</strong> regole che possano essere valide per tutti. La<br />

morale, in senso stretto, sarebbe proprio il repertorio <strong>di</strong> regole<br />

che dovrebbero <strong>di</strong>sciplinare gli atti dell’uomo. L’uomo viene generalmente<br />

considerato in grado non solo <strong>di</strong> agire, ma anche <strong>di</strong><br />

far precedere e seguire le azioni che compie da atti riflessivi, valutando<br />

conseguenze (rischi e vantaggi) e opportunità <strong>di</strong> quanto<br />

può essere ascritto all’esercizio della sua libera volontà. Quello<br />

morale è, d’altronde, un bisogno che viene imme<strong>di</strong>atamente recepito<br />

e co<strong>di</strong>ficato dalla riflessione filosofica. È sufficiente leggere<br />

i frammenti <strong>di</strong> Eraclito <strong>di</strong> Efeso (535-475 a.C.) o Democrito<br />

<strong>di</strong> Abdera (460-360 a.C.) per avere un’idea <strong>di</strong> che cosa sarebbe<br />

opportuno fare o no per agire correttamente. I filosofi antichi<br />

smisero <strong>di</strong> essere semplici <strong>di</strong>spensatori <strong>di</strong> precetti etici quando il<br />

<strong>di</strong>scorso intorno al bene, alla virtù e alla felicità <strong>di</strong>ventò una parte<br />

essenziale dei loro sistemi teorici. Questo accadde a partire<br />

da Socrate (filosofo che non lasciò scritti e <strong>di</strong> cui si sanno molte<br />

cose grazie a Platone) ed ebbe sviluppi sempre più ricchi con le<br />

filosofie <strong>di</strong> Platone (che, quin<strong>di</strong>, non si limitò a trascrivere, come<br />

un bravo copista, la lezione del maestro) e Aristotele.


78<br />

2. Il tema attorno al quale, in materia <strong>di</strong> morale, ruota la riflessione<br />

<strong>di</strong> Socrate, Platone e Aristotele è la virtù (aretè), intesa come<br />

la capacità dell’uomo <strong>di</strong> orientare la propria azione verso un<br />

fine che, una volta raggiunto, dovrebbe appagare chi lo consegue.<br />

La virtù è così una sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>sposizione tipicamente umana,<br />

volta all’acquisizione <strong>di</strong> qualcosa che è bene per l’uomo.<br />

Valore e forza della virtù <strong>di</strong>pendono allora da ciò che s’intende<br />

per “bene”. Non a caso è intorno alla questione della natura<br />

del bene che la riflessione dei filosofi antichi (da Socrate alle<br />

scuole ellenistiche) si è soprattutto concentrata.<br />

Identificando la virtù con la scienza (in questo caso, il sapere<br />

universale), Socrate dava una definizione negativa e intellettualistica<br />

del male, intendendolo come ignoranza del bene. La conoscenza<br />

del bene, secondo questo filosofo del IV secolo a.C.,<br />

renderebbe l’uomo felice, tanto che, per un uomo veramente<br />

virtuoso, sarebbe impossibile fare consapevolmente del male,<br />

considerato che la massima aspirazione morale <strong>di</strong> un uomo è<br />

la felicità. Per nessuna ragione al mondo, secondo il punto <strong>di</strong><br />

vista <strong>di</strong> Socrate (tanto rigore si potrà trovare forse solo nell’etica<br />

<strong>degli</strong> Stoici), l’uomo rinuncerebbe alla felicità.<br />

3. Minore è la fiducia <strong>di</strong> Platone nella capacità dell’uomo <strong>di</strong> rendersi<br />

felice senza nuocere agli altri uomini. Solo in una società<br />

perfettamente or<strong>di</strong>nata, dove le parti che la compongono contribuiscono<br />

tutte al buon funzionamento dell’insieme, la felicità<br />

è possibile. La filosofia <strong>di</strong> Platone (sulla cui formazione incise<br />

non poco il tragico destino del maestro Socrate condannato a<br />

morte per la strenua <strong>di</strong>fesa delle sue idee) è il solco sul quale<br />

s’innesteranno tante altre concezioni olistiche della vita morale.<br />

Se per Socrate l’uomo che vuole <strong>di</strong>ventare virtuoso deve<br />

donare tutto sé stesso alla ricerca e alla realizzazione del bene,<br />

per Platone (e qui basterebbe ricordare il triste epilogo del<br />

mito della caverna raccontato nel libro VII della Repubblica)<br />

ad ostacolarne i buoni propositi ci penseranno sempre gli altri<br />

uomini, dai quali, quin<strong>di</strong>, dovrà sempre guardarsi. Non è perciò<br />

esagerato <strong>di</strong>re che, per Platone, la politica sia il necessario<br />

completamento della morale, perché solo un buon citta<strong>di</strong>no,<br />

rispettoso della funzione sociale che gli è stata attribuita, potrà<br />

vivere secondo giustizia e sentirsi adeguatamente gratificato.


4. L’uomo virtuoso <strong>di</strong> cui parlano Socrate e Platone assembla i<br />

tratti migliori del saggio e del sapiente. Sarà Aristotele a <strong>di</strong>stinguere<br />

finalmente saggezza e sapienza, phronesis e sophia, pur<br />

essendo entrambe due virtù <strong>di</strong>anoetiche. Quella aristotelica è<br />

un’etica eudemonistica (“eudemonia” è parola greca composta<br />

da eu-, “buono”, e daimon, “demone”, “genio”, e può in<strong>di</strong>care<br />

lo stato <strong>di</strong> chi, ispirato dal “buon genio”, aspira alla felicità<br />

come fine principale dell’esistenza). L’agire morale dell’uomo<br />

deve essere, per Aristotele, finalizzato al conseguimento della<br />

felicità. Anche per Aristotele, le virtù sono i mezzi ideali per<br />

raggiungerla. Tutti gli uomini possono agire correttamente e vivere<br />

così un’esistenza felice se si tengono <strong>di</strong>stanti dagli eccessi.<br />

Aristotele non pre<strong>di</strong>ca l’assoluta sobrietà della vita morale, ma<br />

la moderazione, concepibile come la misura dell’opportunità,<br />

del kairos sociale, che si esprime nelle virtù etiche. Un esempio<br />

<strong>di</strong> virtù etica è il coraggio, stile comportamentale che occupa<br />

una posizione me<strong>di</strong>ana tra la pusillanimità e la temerarietà.<br />

Superiori alle virtù etiche e caratterizzanti lo stile <strong>di</strong> vita dell’uomo<br />

contemplativo (para<strong>di</strong>gma esistenziale che ha spesso goduto<br />

<strong>di</strong> grande considerazione tra i filosofi <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse epoche<br />

storiche, come, ad es., Spinoza) sono le virtù <strong>di</strong>anoetiche. Con<br />

Aristotele si è ormai alle soglie del pensiero ellenistico e l’uomo<br />

dell’antica Grecia, alle soglie <strong>di</strong> una nuova, avanzante età,<br />

si allontana sempre più dalla passione per la politica (e questo<br />

può essere considerato uno dei punti <strong>di</strong> massima <strong>di</strong>stanza da<br />

Platone) e confida nelle risorse dell’indagine razionale per raggiungere<br />

la felicità. La politica verrà, semmai, sempre più vista<br />

come una fonte <strong>di</strong> turbamento.<br />

5. Non tutte le vie portano alla felicità, e, se ciò potesse accadere,<br />

alcune sarebbero pur sempre preferibili ad altre. È questo il<br />

grande nodo che contrappose Epicureismo e Stoicismo, scuole<br />

filosofiche che misero ra<strong>di</strong>ci nell’antica Europa me<strong>di</strong>terranea<br />

ormai vicina all’avvento del Cristianesimo. Per gli allievi<br />

<strong>di</strong> Epicuro <strong>di</strong> Samo (341-271 a.C.), l’aspirazione dell’uomo alla<br />

felicità non solo è legittima, ma va anche incoraggiata. Prova<br />

del raggiungimento dello stato <strong>di</strong> felicità è il piacere, canone (e<br />

non unità <strong>di</strong> misura) <strong>di</strong> una vita morale appagante. Gli epicurei<br />

pongono al centro della loro ricetta per la ricerca della felicità<br />

79


80<br />

il rapporto tra l’uomo e gli dei. Contrariamente a quanto a volte<br />

si sente <strong>di</strong>re, non ne negano l’esistenza. Il filosofo epicureo<br />

non è tecnicamente un ateo; più semplicemente, non crede che<br />

gli dei si occupino <strong>degli</strong> uomini. Avere paura <strong>di</strong> dei in<strong>di</strong>fferenti<br />

sarebbe perciò un’azione insensata. Il non avere timore <strong>degli</strong><br />

dei è uno dei quattro principi del pharmakon epicureo della<br />

felicità. Gli altri tre consistono nel non avere paura della morte<br />

(perché quando c’è lei, non ci siamo noi, e viceversa), nel prendere<br />

coscienza che il dolore ha sempre una durata limitata nel<br />

tempo e che può, quin<strong>di</strong>, essere superato, e che il piacere, in<br />

quanto assenza del dolore, è raggiungibile dall’uomo. L’uomo<br />

epicureo può <strong>di</strong>rsi veramente felice (e questo vale anche per la<br />

filosofia stoica) quando raggiunge l’atarassia e l’aponia, vale<br />

a <strong>di</strong>re la mancanza <strong>di</strong> turbamento e <strong>di</strong> dolore.<br />

Più che sulla felicità, secondo gli stoici, bisognerebbe far leva<br />

sulla virtù. La <strong>di</strong>fferenza tra le due scuole filosofiche, Epicureismo<br />

e Stoicismo, sembra <strong>di</strong> scarsa consistenza, ma non è così.<br />

Per gli stoici, l’uomo virtuoso è quello che, cercando <strong>di</strong> vivere<br />

la vita secondo natura, pratica incon<strong>di</strong>zionatamente il dovere.<br />

Questo consiste nell’assecondare l’or<strong>di</strong>ne della natura, prendendo<br />

la necessaria <strong>di</strong>stanza da passioni e stati d’animo che<br />

possono viziare e con<strong>di</strong>zionare l’imperturbabilità del sapiente.<br />

Il dovere è avvertito come un’istanza etica che non ammette<br />

<strong>di</strong>lazioni, perché nella natura è presente un or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>vino, razionale<br />

e perfetto che è opportuno seguire. La stessa conservazione<br />

dell’esistenza (che potrebbe sembrare un precetto inelu<strong>di</strong>bile<br />

per i filosofi morali <strong>di</strong> tutti i tempi) non è giustificabile<br />

se l’adempimento del dovere viene ostacolato e impe<strong>di</strong>to da<br />

quello che comunemente chiamiamo “istinto <strong>di</strong> sopravvivenza”.<br />

Per questo motivo, gli stoici giustificano il suici<strong>di</strong>o, dando<br />

una valenza morale all’anticipazione della morte. Saranno pochi<br />

i filosofi che daranno una veste filosofica alla giustificazione<br />

del suici<strong>di</strong>o, e tra questi si possono ricordare Leopar<strong>di</strong><br />

(quello dello Zibaldone che viene ingiustamente oscurato dai<br />

Canti) e Cioran.<br />

6. Malgrado le evidenti <strong>di</strong>fferenze, le filosofie morali dei pensatori<br />

dell’antica Grecia rimangono tutte entro l’orizzonte dell’immanenza.<br />

Ciò significa che la <strong>di</strong>mensione che ne delimita, cir-


coscrive e accoglie l’azione è sempre legata all’uomo e ad una<br />

ben precisa prospettiva della temporalità. È con le prime forme<br />

della filosofia cristiana che s’introduce una <strong>di</strong>versa prospettiva<br />

del tempo, che non sia quella <strong>di</strong> una inesauribile ciclicità <strong>degli</strong><br />

eventi: da Anassimandro agli stoici non è infatti mai venuta<br />

l’idea che il tutto perisca per poi rigenerarsi ancora una volta.<br />

7. Il mondo occidentale deve ad Agostino d’Ippona (356-433), il<br />

filosofo della Patristica e autore <strong>di</strong> uno dei più gran<strong>di</strong> bestseller<br />

della letteratura filosofica <strong>di</strong> tutti i tempi, le Confessioni, l’idea<br />

che il tempo dell’uomo non si esaurisca e annulli in una catena<br />

ciclica <strong>di</strong> eventi che ne vanificherebbero la libertà dell’azione.<br />

L’opera in cui Agostino elabora la concezione <strong>di</strong> un tempo<br />

verticale (che non va confuso con l’eternità <strong>di</strong> Dio) è la Città<br />

<strong>di</strong> Dio. In quest’opera, Agostino propone un confronto tra<br />

due mon<strong>di</strong>, quello della classicità pagana ormai agli epigoni<br />

e quello del “nuovo” uomo cristiano che le autorità politiche<br />

stavano sempre più riconoscendo. L’opera nasce, quin<strong>di</strong>, in un<br />

contesto <strong>di</strong> crisi, e questa fa da humus alla visione innovativa<br />

<strong>di</strong> Agostino <strong>di</strong> una storia aperta ad esiti trascendenti. La conseguenza<br />

sarà quella <strong>di</strong> un uomo che deve orientare la propria<br />

azione morale in vista <strong>di</strong> un fine superiore. La morale cristiana<br />

si configura così come una propedeutica per la beatitu<strong>di</strong>ne,<br />

in cui, comunque, anche alla città terrena, e non solo a quella<br />

celeste, occorre riconoscere la giusta importanza. “Il mondo è<br />

il più grande <strong>degli</strong> esseri visibili – scrive Agostino nella Città <strong>di</strong><br />

Dio – Dio è il più grande <strong>degli</strong> esseri invisibili. Ma che il mondo<br />

esista lo percepiamo, che esista Dio lo cre<strong>di</strong>amo. […] Dove<br />

abbiamo u<strong>di</strong>to la sua voce? In nessun luogo frattanto così bene<br />

come nelle Scritture sante, in cui un suo Profeta ha detto: Nel<br />

principio Dio creò il cielo e la terra”.<br />

8. Con i filosofi cristiani me<strong>di</strong>evali entrò a pieno titolo nella riflessione<br />

morale il tema della volontà. La preoccupazione centrale<br />

fu quella <strong>di</strong> ricondurre l’agire umano al principio del libero arbitrio.<br />

Come fa presente Remo Bodei, “L’idea <strong>di</strong> ‘libero arbitrio’,<br />

<strong>di</strong> una scelta assolutamente possibile in qualsiasi circostanza,<br />

non appartiene al mondo pre-cristiano. Nell’Etica Nicomachea<br />

Aristotele intende la volontà come un assecondamento del<br />

desiderio e concepisce la deliberazione (houlesis) in analogia<br />

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82<br />

con il voto nelle assemblee, dove si soppesa il pro e il contro<br />

prima <strong>di</strong> qualsiasi decisione. Manca in lui l’elemento <strong>di</strong> drammaticità,<br />

dell’aut-aut delle scelte che si ritrova nel cristiano, il<br />

quale sa che – in caso <strong>di</strong> morte improvvisa in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

peccato mortale – la sua anima sarà dannata per sempre”. In<br />

quali ambiti allora, per il filosofo cristiano, può compiutamente<br />

esplicarsi la libertà dell’uomo? Ci sono atti <strong>di</strong> cui può non essere<br />

considerato responsabile? Quando, poi, il suo libero agire<br />

s’infrange irreparabilmente contro la morale religiosa? Quanto<br />

il peccato originale può averne con<strong>di</strong>zionato la capacità <strong>di</strong> scelta?<br />

Contano più le azioni e i loro effetti o l’intenzione che governa<br />

un determinato atto? A molte <strong>di</strong> queste domande si propose<br />

<strong>di</strong> dare risposta il francese Pietro Abelardo (1079-1142),<br />

una delle più geniali personalità intellettuali <strong>di</strong> tutto il Me<strong>di</strong>o<br />

Evo. Si può parlare <strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong> responsabilità umana solo<br />

se si rimane dentro i confini della ragione. Se un uomo agisce<br />

in modo errato perché dominato dall’istinto, il suo agire non<br />

può <strong>di</strong>rsi veramente libero. Per essere responsabili dell’atto<br />

<strong>di</strong> cui si è materialmente autori occorre esserne anche consapevoli.<br />

La trasgressione si configura così quando l’azione non<br />

ancora portata a termine è predefinita intenzionalmente. Come<br />

scrivono Abbagnano e Fornero, è sufficiente “l’intenzione a determinare<br />

il peccato, l’azione peccaminosa che ne segue non<br />

aggiunge nulla all’atto con cui l’uomo consente all’inclinazione<br />

e <strong>di</strong>sprezza il volere <strong>di</strong>vino”.<br />

9. Nell’elaborazione <strong>di</strong> una morale religiosa non sono determinanti<br />

solo le fonti <strong>di</strong> natura filosofica. La morale co<strong>di</strong>fica atteggiamenti,<br />

stili, convenzioni e consuetu<strong>di</strong>ni che possono trovare<br />

la loro legittimazione nella sfera delle relazioni sociali. Il modello<br />

etico in<strong>di</strong>cato dal monaco olandese Tommaso da Kempys<br />

nel De Imitatione Christi ebbe, ad esempio, nell’Europa del<br />

XV secolo un seguito straor<strong>di</strong>nario, che avrà riscontri notevoli<br />

anche nei secoli successivi, tanto da essere, dopo la Bibbia, il<br />

testo cristiano più letto e <strong>di</strong>ffuso nel pianeta. L’Imitatio Christi<br />

in<strong>di</strong>ca il percorso <strong>di</strong> una perfezione ascetica che ha nell’uniformità<br />

alla vita <strong>di</strong> Gesù la sua principale regola. Certo, il De Imitatione<br />

Christi non è un’opera <strong>di</strong> filosofia morale, ma il rilievo<br />

che ha avuto nella formazione spirituale <strong>di</strong> tante generazioni


è stato ragguardevole. E ciò ci porta ad interrogarci finalmente<br />

sul rapporto tra morale laica e morale religiosa. La <strong>di</strong>fferenza<br />

cruciale può essere rilevata nell’esigenza della morale religiosa<br />

<strong>di</strong> dotarsi <strong>di</strong> una struttura dogmatica. Tipica della morale laica<br />

è invece la possibilità <strong>di</strong> ridefinire criticamente la propria assiologia.<br />

In questo senso, un campione della morale laica può<br />

essere considerato Michel de Montaigne che nei Saggi delineò<br />

un modello <strong>di</strong> uomo capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere, apprezzare e valorizzare<br />

le <strong>di</strong>verse culture, ideando così un sistema etico aperto.<br />

10. Montaigne (1533-1592) è l’iniziatore del pensiero morale moderno,<br />

e lo è perché pone al centro delle sue analisi l’uomo.<br />

Già altri, prima <strong>di</strong> Montaigne, avevano intrapreso questa via,<br />

ma è con questo filosofo francese del ’500 che la riflessione<br />

morale prende una piega schiettamente autobiografica. Non a<br />

caso, Montaigne scrive nei Saggi <strong>di</strong> essere lui l’argomento delle<br />

sue analisi. È una novità <strong>di</strong> non poco conto rispetto anche al<br />

recente passato, perché l’uomo va ad occupare uno spazio che<br />

prima era sempre stato assegnato a Dio. Non fa eccezione l’uomo<br />

<strong>di</strong> Agostino, altro avvincente soggetto autobiografico, che<br />

raccontava <strong>di</strong> sé in rapporto al Dio che voleva prima <strong>di</strong> ogni<br />

altra cosa conoscere e da cui si sentiva attratto. Con Montaigne,<br />

la morale, per così <strong>di</strong>re, tende ad immanentizzarsi, a relazionarsi<br />

sempre più strettamente all’uomo, incanalandosi lungo la<br />

<strong>di</strong>rezione tracciata da gran<strong>di</strong> personalità dell’Umanesimo come<br />

Pico della Mirandola che esalta la <strong>di</strong>gnità dell’uomo <strong>di</strong>ventato<br />

artefice del proprio destino. Il relativismo <strong>di</strong> Montaigne non ha<br />

bisogno <strong>di</strong> fondarsi sulle certezze <strong>di</strong> una prospettiva trascendentale.<br />

Ad un Montaigne in chiave religiosa potrebbe allora<br />

far pensare la filosofia <strong>di</strong> Blaise Pascal, che nei Pensieri si serve<br />

<strong>di</strong> uno stile <strong>di</strong>retto, personale e sferzante simile a quello<br />

dell’autore dei Saggi. In Pascal, l’esigenza <strong>di</strong> definire l’identità<br />

dell’uomo è tutt’uno con l’urgenza <strong>di</strong> assegnare un senso ben<br />

definibile all’esistenza. È su questo versante che, secondo Pascal,<br />

tutte le filosofie sono cadute in fallo, soprattutto quelle<br />

che stavano segnando gli esor<strong>di</strong> della modernità e che, sulla<br />

scorta del successo delle teorie cartesiane e delle nuove conquiste<br />

della scienza, si stavano lasciando improntare dall’esprit<br />

de geometrie. Pascal punta allora l’in<strong>di</strong>ce contro la costruzione<br />

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84<br />

<strong>di</strong> sistemi geometricamente or<strong>di</strong>nati in cui la vulnerabilità e la<br />

vera natura dell’uomo non hanno posto. Misconoscendo la natura<br />

dell’uomo, definito variamente come “mostro incomprensibile”,<br />

“canna pensante”, “desiderio frustrato”, “re spodestato”,<br />

Pascal ne sottolinea l’ambigua duplicità, perché l’uomo è un<br />

essere precario per costituzione (basterebbe anche una goccia<br />

d’acqua per annientarlo, ammonisce Pascal) che poco vale<br />

nella scala <strong>degli</strong> enti che popolano il mondo. Rispetto a questi<br />

ha però la capacità <strong>di</strong> prendere coscienza dei propri limiti. La<br />

sua grandezza starebbe perciò nel sapere <strong>di</strong> essere profondamente<br />

misero. Tipico dell’uomo sarebbe l’orrore per la morte,<br />

per risparmiarsi la quale l’uomo sarebbe capace delle cose più<br />

in<strong>di</strong>cibili, e anche delle meno nobili. Ma è nella morte, nella<br />

caducità strutturale dell’essere umano che, per Pascal, l’uomo<br />

può trovare il senso della propria esistenza. Come dare senso<br />

ad un evento – la morte – che sembra essere proprio l’evento<br />

che annulla, sino al punto <strong>di</strong> renderlo vano, qualsiasi tentativo<br />

<strong>di</strong> ricercare un senso nelle cose? Quale senso può avere il tutto,<br />

se poi, con la morte (la nostra, e non quella <strong>degli</strong> altri, che ci<br />

lascerebbe comunque in vita, tra rimpianti, progetti sospesi e<br />

prospettive mutilate) ogni cosa dovrà avere fine? La sola soluzione<br />

ammessa e considerata accettabile da Pascal è il cristianesimo,<br />

religione che, rispetto alle altre, avrebbe un fondo <strong>di</strong><br />

maggiore “ragionevolezza”, perché in grado <strong>di</strong> spiegare (ma<br />

forse sarebbe meglio <strong>di</strong>re “raccontare” o “illustrare”) la finitezza<br />

umana votata alla morte. Il racconto biblico del Dio che<br />

scende sulla Terra, muore sulla croce, soffre come un uomo<br />

per una morte ingiusta e risuscita dopo il terzo giorno per<br />

risalire in cielo è la storia della caduta dell’uomo. Se anche un<br />

Dio è morto, ciò significherà che la mortalità è una con<strong>di</strong>zione<br />

re<strong>di</strong>mibile, un “male” al quale è possibile porre rime<strong>di</strong>o.<br />

11. In nome <strong>di</strong> una certezza assoluta, Pascal intende liberare l’uomo<br />

dall’angoscia <strong>di</strong> una vita logorata dal dubbio. È, invece, sul<br />

dubbio che va a fondarsi la filosofia <strong>di</strong> Cartesio, l’autore <strong>di</strong> quel<br />

“cogito ergo sum” sotto il cui segno andrà a svilupparsi il pensiero<br />

moderno. Conosciuto soprattutto per le sue “me<strong>di</strong>tazioni<br />

metafisiche” (e questo è anche il titolo <strong>di</strong> una sua opera molto<br />

importante) e per gli stu<strong>di</strong> matematici, Cartesio è anche l’idea-


tore <strong>di</strong> una filosofia morale che procede con coerenza dall’impianto<br />

generale della sua filosofia. Dopo aver legittimato la<br />

vali<strong>di</strong>tà del dubbio (e la sua veri<strong>di</strong>cità in chiave esistenziale),<br />

Cartesio si allontana dallo scetticismo fondando e riconoscendo,<br />

lungo la strada battuta dalla sua indagine, numerose certezze.<br />

Si tratta <strong>di</strong> certezze che riguardano <strong>di</strong>versi or<strong>di</strong>ni della<br />

realtà: l’esistenza dell’uomo, <strong>di</strong> cui non si può dubitare grazie<br />

proprio al dubbio; Dio, la cui esistenza è innegabile grazie alla<br />

forza del concetto che lo definisce; e il mondo esteriore e corporeo,<br />

la cui esistenza è garantita e in un certo senso dedotta<br />

dall’esistenza <strong>di</strong> Dio. Perciò solo apparentemente transitorio<br />

si può considerare il valore che deve essere assegnato alle tre<br />

regole della morale, esposte nel Discorso sul metodo (1637),<br />

che Cartesio definisce “provvisorie”. E questo non solo perché<br />

le tre regole, non essendo state sostituite da una morale assoluta<br />

e definitiva, hanno <strong>di</strong> fatto conservato tutto il loro valore<br />

prescrittivo. Le tre regole cartesiane sono come una bussola<br />

che in<strong>di</strong>ca una <strong>di</strong>rezione da seguire, ma che non può mai sostituirsi<br />

alla meta che si vuole raggiungere. Si tratta <strong>di</strong> regole<br />

che hanno un chiaro valore strumentale. Con queste Cartesio<br />

chiede 1) “<strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re alle leggi e ai costumi del proprio paese,<br />

serbando fede alla religione nella quale Dio ci ha fatto la grazia<br />

<strong>di</strong> essere educati sin dall’infanzia”; 2) “<strong>di</strong> essere fermi e risoluti,<br />

per quanto sia possibile, nelle azioni, e <strong>di</strong> seguire anche le<br />

opinioni più dubbie, una volta che si è deciso <strong>di</strong> accettarle”;<br />

3) “<strong>di</strong> vincere sempre piuttosto sé stessi che la fortuna, e <strong>di</strong><br />

voler mo<strong>di</strong>ficare i propri desideri che l’or<strong>di</strong>ne delle cose del<br />

mondo”. L’intento <strong>di</strong> Cartesio è evidente: fondare razionalmente<br />

una morale che esiga coerenza nell’azione e non pretenda<br />

dall’uomo ciò che non rientra nelle sue capacità.<br />

12. Anche se non la pone al centro della sua riflessione morale,<br />

Cartesio, tuttavia, non sottovaluta la questione della felicità, la<br />

cui rilevanza è stata riconosciuta da tante filosofie premoderne.<br />

Il tema della felicità ri<strong>di</strong>venta centrale nella morale <strong>di</strong> Immanuel<br />

Kant, la cui opera porta a compimento, sotto molti aspetti,<br />

la grande stagione culturale dell’Illuminismo e le speranze <strong>di</strong><br />

un’epoca, il cosiddetto secolo delle rivoluzioni, portatrici <strong>di</strong><br />

profonde e ra<strong>di</strong>cali trasformazioni. La felicità <strong>di</strong>venta un <strong>di</strong>ritto<br />

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86<br />

riconosciuto nelle <strong>di</strong>verse Dichiarazioni dei <strong>di</strong>ritti che faranno<br />

da prelu<strong>di</strong>o ad altri documenti. L’aspirazione alla felicità è destinata<br />

però a rimanere sulla carta se non viene in<strong>di</strong>cata la via<br />

da seguire per raggiungerla. Via che, secondo Kant, le filosofie<br />

morali dei secoli passati avevano sì tentato <strong>di</strong> tracciare, ma<br />

con risultati insod<strong>di</strong>sfacenti, perché avevano fatto <strong>di</strong>pendere la<br />

qualità e l’incisività dell’azione morale dell’uomo da agenti e<br />

principi esterni che ne limitavano l’autonomia. Per Kant, non<br />

può darsi rigorosamente una morale adatta all’uomo se non si<br />

riconosce a questo il ruolo principale. L’uomo non può essere<br />

solo un semplice esecutore <strong>di</strong> un catalogo <strong>di</strong> leggi; perché la<br />

legge morale lo vincoli con la necessaria forza (e qui Kant non<br />

intende chiamare in soccorso nessuna forma <strong>di</strong> coercizione se<br />

non quella del dovere per il dovere), occorre che questa abbia<br />

la sua fonte <strong>di</strong> emanazione nello stesso uomo. Anche la religione,<br />

in campo morale, rischia <strong>di</strong> costituire un impe<strong>di</strong>mento<br />

alla piena formazione morale dell’uomo. Questo è nello stesso<br />

tempo sud<strong>di</strong>to e legislatore, destinatario e mittente della legge<br />

morale. Spetterà all’uomo (e da ciò si capisce quanta fiducia<br />

riponesse Kant nella razionalità umana) costruire una morale<br />

universale, tale cioè da valere per tutti gli esseri umani. Vincendo<br />

le pulsioni egoistiche che tendono ad isolare l’uomo dal<br />

contesto etico del quale è parte, il soggetto kantiano, servendosi<br />

della sola ragione, potrà giungere alla formulazione <strong>di</strong> imperativi<br />

che ne guideranno l’azione. Kant li chiama “categorici”,<br />

perché il rispetto che impongono non ha alternativa se si vuole<br />

realmente far parte <strong>di</strong> una comunità morale. Questi chiedono<br />

all’uomo <strong>di</strong> “agire in modo che la massima della nostra volontà<br />

possa sempre valere come il principio <strong>di</strong> una legislazione universale”<br />

e <strong>di</strong> “considerare l’uomo mai come un mezzo e sempre<br />

come un fine”. Si tratta <strong>di</strong> precetti altamente raccomandabili,<br />

che, se pienamente messi in pratica, in<strong>di</strong>rizzerebbero l’uomo<br />

verso la santità. I critici <strong>di</strong> Kant (Max Scheler, in particolare)<br />

lamenteranno, comunque, l’eccessivo formalismo delle regole.<br />

13. Ma che cosa è la felicità per Kant? Nella Critica della ragion<br />

pratica e nella Fondazione della metafisica dei costumi, opere<br />

che raccolgono le riflessioni morali <strong>di</strong> Kant, la felicità è parte<br />

del “sommo bene”. Non è tutto il sommo bene, ma una sua con-


siderevole parte. Il sommo bene, che Kant considera come il<br />

fine al quale deve tendere l’azione morale dell’uomo, è sintesi<br />

<strong>di</strong> felicità e virtù; ciò significa che non potrà darsi felicità senza<br />

virtù e viceversa, contrariamente a quanto avevano invece sostenuto<br />

alcune scuole filosofiche dell’antichità che, separando<br />

felicità e virtù, privilegiando l’una o l’altra, avevano dato luogo<br />

ad un’autentica antinomia. La morale kantiana ha le sue basi<br />

nella legalità e nell’autonomia. Dire “legalità” significa in un<br />

certo senso <strong>di</strong>re “libertà”, perché non si può riconoscere valore<br />

a leggi che devono il loro rispetto esclusivamente al timore che<br />

incutono. Solo se è libero, l’uomo può sentirsi responsabile<br />

delle proprie azioni. Per chiarire la posizione <strong>di</strong> Kant potrebbe<br />

essere sufficiente provare a dare risposta al seguente quesito:<br />

se un bambino <strong>di</strong> pochi giorni dovesse provocare danni a<br />

terzi perché ha azionato un congegno pericoloso che ne aveva<br />

attirato la curiosità, dovremmo condannarlo a causa delle<br />

gravi conseguenze provocate dal suo gesto? Ovviamente no, e<br />

questo perché – senza voler incoraggiare tendenze e costumi<br />

fondati sulla <strong>di</strong>ssimulazione – si è responsabili <strong>di</strong> quel che si<br />

fa solo quando si è consapevoli <strong>di</strong> quello che si fa. Un ostacolo<br />

alla piena esplicazione della libertà dell’uomo è la sua <strong>di</strong>mensione<br />

naturale.<br />

14. Come Kant sapeva, nell’uomo non c’è solo la ragione. Parte<br />

delle azioni <strong>di</strong> cui dovremmo sentirci responsabili hanno il<br />

loro movente in una <strong>di</strong>mensione della nostra vita che ha a che<br />

fare con l’impulsività e la passione. Questa <strong>di</strong>mensione può<br />

ostacolare il primato della ragione, costituendo un limite da<br />

superare. Per rimarcarne l’irriducibilità alla ragione umana, un<br />

filosofo vicino a Kant (il più kantiano <strong>degli</strong> idealisti tedeschi),<br />

Fichte, chiamerà questa <strong>di</strong>mensione con il nome <strong>di</strong> “non-io”,<br />

intendendo con questa espressione molto tecnica la natura e<br />

quanto si contrappone all’Io. L’azione morale viene così spiegata<br />

come il superamento del non-io da parte dell’Io, e la libertà<br />

sarebbe una con<strong>di</strong>zione morale che non potrà mai esaurirsi<br />

perché l’azione dell’Io che supera il non-io non potrà mai avere<br />

fine. Per questo, secondo Kant, sarà necessario ammettere<br />

l’esistenza <strong>di</strong> un’anima immortale, essendo necessario un tempo<br />

senza fine per conseguire l’assoluta perfezione morale.<br />

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88<br />

15. L’uomo <strong>di</strong> Kant e Fichte vive una profonda lacerazione che nel<br />

campo dei valori e dell’azione, secondo quanto sosterrà Hegel,<br />

è possibile sanare solo attraverso l’inveramento della morale<br />

nell’etica. Se prima <strong>di</strong> Hegel “morale” ed “etica” sembravano<br />

essere <strong>di</strong>ventati termini quasi equivalenti (che solo la <strong>di</strong>versa<br />

ra<strong>di</strong>ce – il greco “ethos” e il latino “mos” – rendevano <strong>di</strong>versi<br />

nella forma), ora (e ci troviamo nella prima metà dell’800) tra<br />

le due parole s’instaura una netta contrapposizione. Quando<br />

Hegel parla <strong>di</strong> “moralità” intende, infatti, lo spazio umano in<br />

cui si esercita la legge interiore, che, per guadagnare efficacia,<br />

deve assumere il valore <strong>di</strong> una legge vera e propria. Questo<br />

<strong>di</strong>venta possibile con la famiglia, la società civile e soprattutto<br />

lo Stato, entità in cui la legge interiore del singolo conta<br />

meno <strong>di</strong> quella dell’organismo <strong>di</strong> cui fa parte. È nello Stato e,<br />

in piccolo, anche nella famiglia che, per Hegel, il bene privato<br />

si eleva alla pubblica utilità, oltrepassando l’ultima barriera<br />

dell’egoismo in<strong>di</strong>viduale. Detto altrimenti: è all’interno <strong>di</strong> uno<br />

Stato, uniformandosi alle sue leggi, che la libertà <strong>di</strong>venta concreta,<br />

smettendo <strong>di</strong> essere un’aspirazione impossibile. Risulta<br />

evidente che ad Hegel non andasse a genio la filosofia morale<br />

<strong>di</strong> Kant, che faceva leva sulla contrapposizione tra “essere” e<br />

“dover essere” e che nello Stato, considerato alla stregua <strong>di</strong><br />

Thomas Hobbes come una sorta <strong>di</strong> “<strong>di</strong>o mortale”, non avrebbe<br />

mai fatto così tanto affidamento.<br />

16. Un’alternativa all’hegelismo in campo morale è l’utilitarismo<br />

<strong>di</strong> Jeremy Bentham. Questo filosofo inglese, contemporaneo<br />

<strong>di</strong> Hegel, non crede che l’elevazione morale dell’uomo debba<br />

avere come necessaria garanzia e premessa lo Stato. Secondo<br />

Bentham, l’uomo è spontaneamente rivolto al conseguimento<br />

della felicità, <strong>di</strong> cui sa darsi una misura concreta attraverso il<br />

piacere. Le azioni che produrranno effetti piacevoli verranno<br />

ricercate e reiterate, mentre quelle che allontanano l’uomo dal<br />

piacere verranno evitate. Occorre, quin<strong>di</strong>, un calcolo (cosa <strong>di</strong><br />

cui l’uomo sarebbe capace) delle conseguenze dell’azione per<br />

valutare bene l’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> felicità che con quella si può ottenere.<br />

La felicità non è, infatti, per Bentham un bene astratto<br />

(un’istanza noumenica, si potrebbe <strong>di</strong>re con il linguaggio <strong>di</strong><br />

Kant), ma un bene concreto e pratico. Necessariamente, se-


condo Bentham, l’azione buona in<strong>di</strong>viduale avvantaggerà tutti,<br />

perché la felicità del singolo non potrà mai andare a detrimento<br />

dell’insieme dei soggetti morali. Il presupposto è quello su<br />

cui si fonda il liberalismo, <strong>di</strong> cui, non a caso, Bentham fu più o<br />

meno in<strong>di</strong>rettamente uno dei principali ispiratori: consentire la<br />

massima libertà del singolo, favorirne l’emancipazione e promuoverne<br />

l’azione verso il raggiungimento <strong>di</strong> un bene da cui<br />

più soggetti potranno trarre giovamento.<br />

17. Nel corso del ’900, sulla scia del pensiero <strong>di</strong> Friedrich Nietzsche<br />

(la cui morte, sarà bene ricordare, risale al 1900), prende<br />

corpo un processo <strong>di</strong> revisione della filosofia morale. Non è<br />

un’affermazione esagerata perché è con Nietzsche che il <strong>di</strong>scorso<br />

filosofico si fa genealogico in campo morale, andando<br />

alla ricerca dei principi primi che hanno orientato l’agire umano<br />

nella storia. Poco importa qui stabilire se le conclusioni<br />

cui giunge Nietzsche siano accettabili o no; quel che interessa<br />

è il metodo impiegato e la finalità che lo ispira: andare alle<br />

ra<strong>di</strong>ci della macchina (che sarebbe poi la storia dell’umanità)<br />

che ha prodotto i valori morali, definendo le nozioni <strong>di</strong> “bene”<br />

e “male”. Secondo Nietzsche, i valori su cui si regge la civiltà<br />

occidentale, figlia della razionalità greca e del Cristianesimo,<br />

sarebbero il frutto del ressentiment <strong>di</strong> quella genia <strong>di</strong> uomini<br />

che hanno subito la superiorità e la forza dei signori e che, per<br />

puro spirito <strong>di</strong> rivalsa, hanno concepito una morale della rinuncia,<br />

facendo sbocciare le religioni e le nozioni <strong>di</strong> “peccato”<br />

e <strong>di</strong> possibili mon<strong>di</strong> trascendenti. Ma non è una determinata<br />

morale storica a venire negativamente giu<strong>di</strong>cata da Nietzsche;<br />

è la morale in sé che viene posta sotto processo, perché considerata<br />

come l’invenzione <strong>di</strong> un uomo che, come si legge in<br />

Umano troppo umano, “non si è ancora stabilizzato”.<br />

18. La filosofia morale contemporanea ha ere<strong>di</strong>tato le gran<strong>di</strong> questioni<br />

del passato, che ha adattato e riferito ai tempi presenti.<br />

Si può <strong>di</strong>re che sia cresciuta la complessità <strong>di</strong> molte questioni<br />

e che le vicende della contemporaneità abbiano reso ancor più<br />

problematica la delineazione <strong>di</strong> un modello etico ideale. Le<br />

trage<strong>di</strong>e del Novecento, la globale trasformazione dei sistemi<br />

sociali e politici del pianeta, l’avanzante dominio della tecnica<br />

(che non va più considerata come una semplice applicazione<br />

89


90<br />

delle teorie e delle scoperte scientifiche) e l’emergenza sempre<br />

meno sottovalutabile <strong>di</strong> un ecosistema in crisi sono tutti temi <strong>di</strong><br />

cui non può non occuparsi la filosofia morale. Così è stato per<br />

Hans Jonas, teorico <strong>di</strong> un principio <strong>di</strong> responsabilità (e questo<br />

è anche il titolo della sua più importante opera), che rivolge<br />

all’uomo un appello che non può rimanere senza risposta e<br />

che chiama in causa anche la figura dello scienziato. L’errore<br />

o il limite che ha caratterizzato la morale sta, secondo Jonas,<br />

nell’avere circoscritto all’uomo del presente e ad una ristretta<br />

cerchia <strong>di</strong> affini (parenti, amici, concitta<strong>di</strong>ni, connazionali) la<br />

preoccupazione per un mondo migliore. Non aver pensato alle<br />

generazioni che seguiranno e che dovranno ere<strong>di</strong>tare il mondo<br />

che lasceremo loro in pegno: questo è stato, per Jonas, l’errore<br />

compiuto. L’appello <strong>di</strong> Jonas non contiene un principio<br />

escatologico (tipico <strong>di</strong> molte teorie rivoluzionarie), una speranza<br />

trascendente, e nemmeno intende costituirsi sul deterrente<br />

della paura. È però vero che “per tutelare l’integrità dell’uomo<br />

si dovranno apprendere nuovamente il rispetto e l’orrore per<br />

tutelarci dagli sbandamenti del nostro potere (ad esempio dagli<br />

esperimenti sulla natura umana). Il paradosso della nostra<br />

situazione consiste nella necessità <strong>di</strong> recuperare dall’orrore il<br />

rispetto perduto, dalla previsione del negativo il positivo: il<br />

rispetto per ciò che l’uomo era ed è, dall’orrore <strong>di</strong>nanzi a ciò<br />

che egli potrebbe <strong>di</strong>ventare, <strong>di</strong>nanzi a quella possibilità che<br />

ci si svela inesorabile non appena cerchiamo <strong>di</strong> prevedere il<br />

futuro”. E<strong>di</strong>ficando una nuova euristica della paura, dovremmo<br />

essere in grado <strong>di</strong> fare nostro e onorare un imperativo che<br />

Jonas così formula: “Agisci in modo che le conseguenze della<br />

tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita<br />

umana sulla terra”. È una semplice raccomandazione, eppure<br />

sembra avere più forza <strong>di</strong> tanti precetti etici.


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Ringraziamenti<br />

Ringrazio gli amici e colleghi Ana Helena Dias Francesconi, che ha<br />

effettuato la revisione e<strong>di</strong>toriale del testo, e Aldo Cappio-Borlino e<br />

Corrado Dimauro per i preziosi consigli che mi hanno dato per il<br />

suo miglioramento. Un grazie anche alla dottoranda Maura Lovicu<br />

per l’adattamento delle figure del capitolo 3.


Finito <strong>di</strong> stampare nel mese <strong>di</strong> ottobre 2010<br />

da Tipografia Monteserra S.n.c. - Vicopisano<br />

per conto <strong>di</strong> E<strong>di</strong>zioni PLUS - Pisa University Press

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