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Untitled - Caramella, Alberto

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iconduca tutto ad una compiutezza, ad un’organica unità. Collocandosi, invece, sul piano<br />

dell’opposizione, essa ha lo scopo di palesare il dissidio, l’infinità, l’incompletezza del pensiero e<br />

del mondo. Dunque, non orrore del labirinto, ma bellezza dell’arabesco, bellezza di un labirinto<br />

senza minotauro, luogo, cioè, di un’esperienza al di fuori della dimensione sacrificale. Una<br />

dimensione sacrificale che C. ha vissuto sin da piccolo e che, evidentemente, adesso rifiuta. Mi<br />

riferisco al tema dell’amore madre-figlio che percorre tante pagine caramelliane. Se il poeta scrive<br />

poesia per non morire («Ed ora invece / per non morire un poco / bisogna pur morire. / Bisogna<br />

pubblicare» in Contraggenio, 5-8), certamente lo ha fatto anche per sfuggire a un amore materno fin<br />

troppo oppressivo, cannibale, per ritagliarsi uno spazio di libertà e creatività al di fuori della<br />

passività del rapporto madre-figlio. La stessa opera continua di costruzione/decostruzione di siti e di<br />

versi può essere letta come espressione di un impulso a fare, a creare, da parte di un homo faber che<br />

esplica così tutto il suo dominio e la sua libertà creativa, il suo slancio verso l’aperto. Ma sul<br />

rapporto scrittura-amore-gioco rimanderei senz’altro alle pagine di Adelia Noferi [27] (e alla lettura di<br />

liriche quali Mille scuse per esistere, L’invito, Ombrelloni per citarne alcune).<br />

L’amore in C., non è possesso: è l’amore che divide, che distingue gli esseri e plasma, che<br />

dà voce alle minutissime forme dell’universo (cfr. Disgelo), che celebra «Le vite accanto libere e<br />

distinte…» (L’invito, 13). In questa poesia d’amore (amore non come virtus unitiva ma come<br />

complexio oppositorum) anche l’insignificante finisce per acquistare diritto di cittadinanza,<br />

assurgendo ad elemento centrale della composizione; vi appaiono così varie creature viventi:<br />

dall’albero di Giuda, al tarassaco, alla granseola, al ragnetto di mare. [28] Chi ha colto la forza di<br />

questo sapere deve rinunciare al brutale potere del possesso, per guardare e ascoltare: la poesia<br />

caramelliana si configura così come ascolto, un ascolto spesso comunicato con la stessa semplicità<br />

della lode e della preghiera. [29] Ed è anche una poesia che dà voce al dolore (cfr. Sagrada familia o<br />

Inno al dolore) non solo perché la pesanteur (nei termini della gravità della pietra) non è separabile<br />

dalla gioia, ma anche soprattutto perché attraverso la sventura l’uomo compie un atto di decreazione<br />

che «spoglia le cose dagli atti di violenza utilitaristica e ne scopre la luce interiore, la<br />

bellezza che vi è nascosta, che è lo splendore della contraddizione non risolta violentemente, in cui i<br />

contraddittori coesistono, significano nella loro tensione e nella loro differenza». [30] Scrittura come<br />

intrigo di differenze, espressione di irriducibile alterità, arabesco. La stessa presenza di liriche<br />

bilingui o addirittura tutte in lingua straniera – in francese, per esser precisi – così come la<br />

traduzione poesia-prosa [31] o le traduzioni delle proprie liriche in francese o inglese, fino alla<br />

presenza dell’Amico, sono tentativi di dar voce a questa polifonia, all’inesprimibile, sono modi di<br />

narrarsi, raccontando(si) storie con il fine di dare sempre nuove interpretazioni del proprio essere e<br />

del proprio agire.<br />

La poesia caramelliana insegna: insegna ad amare quest’ebete vita con le sue gioie e con i<br />

suoi dolori, con le sue catene e le sue liberazioni, con i suoi passaggi e le sue maree. A cogliere<br />

sempre e dovunque il giorno, la Biancaluce.

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