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INTRODUZIONE<br />
ALBERTO CARAMELLA O DEL SAPERE TRAGICO [1]<br />
E noi che pensiamo la felicità<br />
come un’ascesa, ne avremmo<br />
l’emozione<br />
quasi sconcertante<br />
di quando cosa ch’è felice, cade.<br />
RILKE<br />
Tenterò di spiegare l’opera caramelliana attraverso l’analisi di una prosa, Resurrezione, apparsa in<br />
Pulizia, [2] ultima fatica dell’autore. Essa ben illustra come una delle costanti in C., sia l’assidua<br />
ricerca di un ordine sempre, tuttavia, deluso e tradito.<br />
Nelle pagine citate l’autore mette in atto con estrema acutezza e finezza il procedimento<br />
analitico per svelare l’enigma celato dietro una epigrafe («<strong>Alberto</strong> <strong>Caramella</strong> Domenico Barberis<br />
Marchese Clavesana / annuncia in proprio il proprio interramento / lieto, se lascia libero il posto o<br />
forse due»). Si tratta di investigare il proprio passato alla ricerca di una certa e sicura identità, ma<br />
quello che invece si sperimenta è un continuo scacco della memoria che non riesce a trattenere i<br />
frammenti dell’io, così come non è possibile trattenere l’acqua di eraclitea memoria. Se, infatti, fino<br />
ad un certo punto il lettore viene condotto per mano nei sentieri dell’indagine, dell’inchiesta, fino ad<br />
una probabile ricostruzione, il concludersi della vicenda nega tutto ciò. Questo risulta chiaro<br />
dall’ultimo corsivo: uno scoiattolo si allontana «con la garbata agilità del suo moto», [3] C. deve<br />
terminare i suoi appunti. Prima dello scoiattolo, nel parco, l’autore aveva osservato (e noi con lui) la<br />
«libera competizione, necessaria e bellissima in natura» [4] di alcuni uccelli, poi le anatre che «si<br />
tuffano disegnando i segni concentrici del loro provvisorio regno subacqueo e riemergono in quel<br />
mobile confine». [5] Insomma, ciò che si evidenzia è tutta una natura che ha accettato il moto (le<br />
anatre si trovano addirittura a proprio agio in quell’acqua simbolo, da sempre, di mutevolezza)<br />
come parte costitutiva del proprio essere. E si sa che gli animali non si interrogano: dunque<br />
interrompere gli appunti, interrompere l’analisi, farne carta straccia da gettare nel cestino e obbedire<br />
(«obbedisco» dice il capitano, nella lirica Nemo e ancora: «Obbedisci. Eliminare scientificamente<br />
l’io. Accantonare l’identità per darsi fiduciosamente alla Regola. Come hanno fatto i mistici. La<br />
religione è l’accettazione convinta della morte, che comporta la Fede»), [6] obbedire ad una Regola<br />
senza interrogazione, a un Ordine sapiente e perfetto a cui gli animali già si confanno. Ma l’uomo è<br />
un transfuga, un deviante, un ibrido: e se Resurrezione si conclude con l’esigenza di terminare gli<br />
appunti, gli appunti non terminano. Di più: l’inchiesta memoriale continua serratamente nelle<br />
pagine seguenti.<br />
Ebbene, a me sembra che quanto detto per il frammento Resurrezione valga anche per<br />
l’intera opera caramelliana strutturata, e prendo a prestito un famoso verso montaliano della Lettera<br />
a Malvolio, su di un «ossimoro permanente». [7] Lo stesso scrivere poetico vive di questa insoluta<br />
tensione. C., infatti, ha dedicato un intero libro ad interrogare la poesia, ha proposto diverse<br />
definizioni di essa, ma esse sono così tante e varie che la pagina stessa si propone come vero e<br />
proprio gomitolo inestricabile. E questo perché la poesia è «ciò che manca»; [8] vive, cioè,<br />
paradossalmente: la sua presenza è situata nell’assenza. Ma l’assente non è ciò che non è più: è,<br />
invece, colui che ab-est: è, tuttavia, in quell’altrove. Di qui il tentativo del poeta di avvicinarsi, di<br />
definire ed il suo continuo scacco.