Mercati finanziari contro l'economia reale Financial markets against ...

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Il presidente di Indicam insiste: “Contro i falsi l’Europa faccia di più” - The Indicam president insists: “Europe must do more against fakes”
I DATI DELL’ITALIA, I RISCHI E L’AUMENTO VERTIGINOSO
Italy’s statistics, the risks and the soaring increase
Contraffatti almeno 7
prodotti su 100, ma per il
tessile e la pelletteria la
percentuale sale al 20
“Passi avanti in Italia, ma
l’Europa continua a sottovalutare
il problema della contraffazione”.
E’ questo il
grido d’allarme lanciato da
Carlo Guglielmi, presidente
di Indicam, l’organismo che
riunisce le industrie di marca
produttrici di beni di consumo
che vanno dall’alta
gamma al largo consumo, le
aziende fornitrici di servizi di
anticontraffazione, gli studi
di consulenza, e che opera
all’evoluzione della legislazione
in materia.
Indicam, che ha sede a Milano,
lavora a stretto contatto
con la Magistratura, la Guardia
di Finanza e la Direzione
dell’Agenzia delle Dogane e
sa bene come prolifera il
mercato dei falsi. Lo sa così
bene da fornire numeri,
naturalmente indicativi, di
un settore che per sua definizione
è sommerso e che
sfugge a qualsiasi catalogazione.
Perchè l’industria
della contraffazione non
pubblica i propri bilanci.
Tuttavia la rilevanza del
fenomeno è valutata tra il 7
e il 9% del commercio mondiale.
Una ricerca dell’Ocse del
2007 calcola in 200 miliardi
di dollari i prodotti che
hanno attraversato qualche
frontiera tra il posto di produzione
e il consumo, ma se
si calcolano quelli che restano
nella stessa area doganale,
la cifra raddoppia.
E’ falso il 20% circa degli
articoli tessili, di abbigliamento
e moda, il 25% degli
audiovisivi e il 35% del
software, mentre solo il 5%
degli orologi risulta contraffatto.
Ma il punto è che la
produzione di falsi aumenta
in modo vertiginoso: si stima
che l’incremento mondiale
della contraffazione dei prodotti
negli ultimi 12 anni sia
stata del 1850%.
Oltre la metà dei tarocchi
arriva dal Sud-est asiatico e
circa il 60% di questi prodotti
è destinato all’Europa. E’
importante riflettere sul fatto
che il 35% circa della produzione
mondiale di falsi provenga
dal bacino del Mediterraneo
con destinazione
Europa, Stati Uniti, Africa,
Est Europeo; paesi leader
L’Italia, la Spagna, la Turchia,
il Marocco, ma sempre
più spesso componenti di
provenienza cinese arrivano
in Italia attraverso altre
dogane.
Ma veniamo alle dimensioni
del fenomeno in Italia. Il
giro d’affari stimato è di 3,7
miliardi di euro, il 60% dei
quali realizzati con articoli
falsi di moda, in particolare
con articoli tessili, con la
pelletteria e calzature.
L’industria della contraffazione
è diffusa in tutta la Penisola
con punte elevate in
Campania, Toscana, Lazio e
Marche oltre al Nord est.
Cosa manca Ben poco, e
nessun sito industriale sembra
essere escluso, ma il
pericolo sociale più che
economico sembra sfuggire,
specialmente all’estero. Sì,
perché - almeno per i falsi -
pare proprio che la Politica
italiana sia più attenta di altri
Paesi europei.
Guglielmi ha recentemente
svolto una riflessione di
grande rilevanza: “Il fatto
che un incarico rilevante
come quello del Commissario
Europeo sia ricoperto da
Mandelson che, di fatto, è
portavoce degli interessi
soprattutto di paesi più
orientati al commercio che
alla produzione, conferma
una sensibilità al problema
più apparente che reale”.
At least 7 out of 100
products are fakes, but the
percentage for textiles and
leather goods rises to 20.
“Italy has made progress, but
Europe continues to underestimate
the imitation problem.”
This is the alarm raised
by Carlo Guglielmi, president
of Indicam, the organisation
that gathers together brand
industries, manufacturers of
consumer goods that go from
high-range to mass consumption,
companies supplying
anti-imitation services and
consultation studies, and
that is working towards the
development of legislation on
this subject. Indicam, with its
head office in Milan, works
side by side with the magistracy,
the Customs service
and the Management of the
Customs Agency and is well
aware of how the imitation
market is proliferating. In
fact it can supply figures,
indicative of course, for a
sector that by definition is
submerged and escapes any
kind of classification;
because the imitation industry
doesn’t publish its balance-sheets.
Nonetheless, the
importance of the phenomenon
is estimated between 7
and 9% of world trade.
Research carried out by Ocse
in 2007 calculates 200 million
dollars’ worth of products
crossed some frontier or
other from the place of production
to the consumption.
However, if products that
remain in the same customs
area are calculated, the figure
doubles.
About 20% of textile articles,
clothing and fashion, 25% of
TVs and hi-fis and 35% of
software is fake, while only
5% of watches are fake. The
point is, that the production
of fakes is soaring: it is estimated
that imitation goods
on a world scale over the last
12 years has increased by
1850%. More than half of the
fake goods come from southeast
Asia and about 60% of
these products is destined for
Europe: it is important to
consider that about 35% of
the world production of fakes
comes from the Mediterranean
basin with Europe,
the United States, Africa and
Eastern Europe as its destination.
Which are the leading
countries Italy, Spain,
Turkey and Morocco but
more and more often components
from China arrive in
Italy through other customs
houses.
But let’s get to the size of the
phenomenon in Italy. The
estimated volume of business
is 3.7 billion Euros, 60% of
which regards fake fashion
articles, particularly textiles,
leather goods and shoes. The
imitation industry is evident
throughout the Peninsular
with high levels in the regions
of Campania, Tuscany, Lazio
and Le Marche as well as the
North East. What’s missing
Very little and no industrial
site seems to be excluded, but
the social danger rather than
the economic one seem to go
unnoticed, especially abroad.
Yes, because – at least for the
fakes - it seems that Italian
policy is more attentive than
other European countries.
Guglielmi recently made a
very important comment:
“The fact that such an important
appointment as European
Commissioner was
given to Mandelson who is
above all, the spokesperson
for the interests of countries
aimed at trade rather than
production, confirms a
rather more apparent than
real sensitivity to the problem.”
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