PROFESSIONISTI Podio tutto straniero nella 100 a edizione della Classicissima di Primavera di Massimo Rodi Cavendish, la prima è da fuoriclasse All’esordio nella Milano-Sanremo, premiata la caparbietá del britannico che beffa Haussler al fotofinish dopo una straordinaria rimonta tutta di potenza. Terzo Hushovd. Petacchi, quinto, è il primo italiano. Tardivi gli attacchi sul Poggio di Rebellin e Pozzato VENI, VIDI, VICI. Novello “Cesare”, Mark Cavendish ha corso la sua prima Sanremo, ha visto e sentito che era nella sue corde e, inevitabilmente, ha vinto. Come si temeva, come sperava il giovanissimo inglese dell’isola di Man, per entrare definitivamente nell’olimpo dei velocisti. Il più grande, al momento. Su questo nessun dubbio. La sua progressione, dopo 300 chilometri di battaglia, ha impressionato tutti, a cominciare da Mario Cipollini che di velocisti qualcosa ne capisce. In una volata dove il lavoro dei “treni” - LPR per Petacchi, solo quinto, Liquigas per Bennati, sesto, Quick Step per Boonen, addirittura 15° - non ha portato nessun vantaggio, Cavendish ha sfruttato tutta l’esperienza del pistard - è campione del mondo in carica nell’americana in coppia col fenomenale Bradley Wiggins - lanciandosi all’inseguimento del tedesco Haussler, che aveva sorpreso tutti con uno scatto all’interno dopo l’ultima curva. In quegli ultimi 300 metri di tutti contro tutti, dove ogni disegno tattico si era annullato, crederci fino in fondo è stata la parola magica che ha aperto la grotta del tesoro. E su quel fatidico ultimo metro, la sua ruota, per soli dieci centimetri - dieci centimetri dopo 300 km, davvero un battere di ciglia - ha preceduto quella di Haussler, riavvolgendo il filo rosso di un dejà-vu che Erik Zabel, il suo mentore, chissà quante volte gli avrà ricordato, visto che lui stesso nel 2004 fu la vittima di un epilogo simile: già a braccia alzate sul traguardo, fu bruciato dal colpo di reni di HAUSSLER GUARDA PERPLESSO CAVENDISH SUBITO DOPO L’ARRIVO DI SANREMO (FOTO SIROTTI) Oscar Freire. Insomma, alla prima venuta, in una Sanremo che festeggiava l’edizione numero 100, il non ancora 23enne Cavendish ha vinto imitando un certo Eddy Merckx nel ‘66 (anche lui all’esordio, però non aveva neanche 21 anni) andando ad iscrivere sull’albo d’oro il nome di un britannico, 45 anni dopo quello di Tommy Simpson, trionfatore nel lontano 1964. Se i meriti di Cavendish sono straordinari, non si fa peccato di lesa maestà, se ai nostri ragazzi, viene rimproverato il fatto di avergli messo la vittoria su un piatto d’argento. La misura della sconfitta italiana è nell’ordine d’arrivo, con il sesto posto di Petacchi come migliore piazzamento davanti all’altro velocista di razza Bennati. E gli attaccanti che dovevano fare la corsa - i vari Rebellin, Pozzato, in primis - ancora più indietro, troppo titubanti nelle loro iniziative, velleitari negli allunghi sul Poggio. Ma l’errore va ricercato sulle salite delle Mànie e Cipressa, dove, una volta riassorbita la fuga di otto corridori, il gruppo arrivava compatto. Lì Scarponi e Garzelli alzavano il ritmo, ma è mancato il supporto di altri attaccanti. In troppi sono rimasti sulla scia e la salita è andata su senza troppi scossoni, visto che certo non si poteva far conto sulle quadre dei velocisti che avevano tutto l’interesse a che Cavendish, Petacchi, Bennati e il Mondo del Ciclismo n.13 3