Domenico A. Nesci, Tommaso A. Poliseno ... - Doppio Sogno
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Diceva un mio amico, Pulcinella, un amico immaginario, con cui ho passato molti<br />
anni della mia vita, che altro è parlare di morte altro è morire. Per il semplice fatto<br />
che la morte è troppo grande per poterla pensare e, per fortuna, voi siete terapeuti e<br />
io, in qualche modo, mi assimilo a voi. Ogni volta che si vedono le persone soffrire il<br />
compito è quello di diminuire la pressione della sofferenza, del dolore, della<br />
sofferenza degli uomini, per fortuna, non di riflettere sulla morte in sè. Allora,<br />
questa è la questione, il tema centrale, e allora penso che questo film aiuti, anche se<br />
l ho trovato troppo didattico; non è vero che c è sempre un lieto fine, perché si<br />
capisce chiaramente che quella morirà è molto didattico, proprio una lezione fatta<br />
a persone che stanno diventando terapeuti, perché lo schema è molto semplice: c è<br />
una famiglia che non va, lacerata: figli contro la matrigna, la matrigna contro la<br />
madre e così via sono rapporti umani guasti. Poi succede qualcosa, e non è<br />
qualcosa di bello, è qualcosa di tragico. Allora la situazione si rovescia totalmente:<br />
dove c è acredine, amarezza, invidia e aggressività, invece nasce dolcezza umana,<br />
comprensione, quindi tolleranza. E quindi mi viene una parola che può sembrare<br />
fuori posto: la bellezza del morire, l unica senza estetismo. Esiste anche questo.<br />
Bene, che cosa è accaduto Che la malattia ha provocato, ha rimescolato, i mondi<br />
interiori di ognuno, ecco, ha modificato le persone: le persone sono diventate<br />
un altra cosa. E questo è il miracolo della malattia. Ma la malattia è sciagura, è<br />
perdita, ma la cultura è stata inventata per rimediare, attraverso il rito, attraverso<br />
l immaginazione, attraverso l invenzione della vita. Ma questo senso di perdita, se<br />
noi ci lasciamo prendere da questo senso di perdita, finisce che facciamo i sogni che<br />
andiamo in macchina e la macchina non va, non si ferma, non cammina oppure non<br />
si arresta. Prevalgono i nostri incubi sul nostro bisogno di vita. Ecco perché il<br />
bisogno di vita non è soltanto nell ammalato ma anche di chi assiste l ammalato: c è<br />
uno scambio, una simbiosi che può essere interessante, se si supera questo<br />
momento, il senso della perdita ecco perché l ammalato modifica anche gli altri.<br />
Ma perché questo accada occorre una condivisione che a nostro giudizio è totale:<br />
non è vero che se ci si immedesima alla fine non sei in grado di aiutarli; bisogna<br />
capire cosa si intende per immedesimazione. Io la intendo come un fatto che al<br />
tempo stesso è emotivo e razionale, e l emozione è guidata dalla ragione che non fa<br />
penetrare dentro un universo, un alterità che è segnata da una diversità assoluta.<br />
Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 7 copyright©2005 1