La Toscana - Dicembre 2012

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Bruno Chiarini di Daniela Pronestì l’eclettico sperimentatore L’artista fiorentino, adottato ormai da Tavarnuzze, esprime attraverso le sue opere una dedizione assoluta alla pittura, senza per forza ricercare il consenso a tutti i costi Bruno Chiarini, artista fiorentino che da anni vive a Tavarnuzze, è un esempio di dedizione assoluta alla pittura, dedizione mai risolta in una forma di schiavitù ad un registro stilistico o formale, ma espressa sempre nei termini di un’assoluta libertà d’invenzione. Ripercorrendo le tappe del suo percorso, iniziato fin dai tempi in cui ancora giovanissimo frequentava l’Istituto Geografico Militare a Firenze e studiava da privatista per diventare geometra, scopriamo le tante anime di un artista sensibile e capace. <strong>La</strong> sua ricchezza ispirativa è il segno evidente di una vivacità interiore che gli ha impedito di accogliere in maniera acritica e passiva l’eredità artistica del Novecento per spingerlo, invece, ad interrogarsi sulle conquiste formali ed espressive delle avanguardie cercando di capirle dall’interno, quindi non rifacendole 26 Bruno Chiarini
L ’infinito <strong>La</strong> giostra delle stelle immane ruota sulla mia testa; in un silenzio strepitoso, il rombo di un Dio vulcanico, mi preme nella fantasia e là, dove la luce di una stella non brilla, in quello spazio nero, avverto tutto l’infinito sprofondare in un abisso cieco e sento una vertigine folle tremarmi addosso. Prima di Galileo, le stelle stavano accese nel loro cielo, come un palloncino di carnevale, nero sforacchiato, e di là da quello, il “Paradiso” luminoso e la sua luce attraverso quei fori dava luce alla notte a dar sollievo e guida ai notturni viandanti in attesa del nuovo sole. Fu Galileo che salì sul palloncino, rischiando il rogo, come era costume per i disobbedienti e gli impiccioni, curiosi, ficcanaso, che le cose del cielo vanno a curiosare. E scoprì che non c’era il palloncino, né i fori, e le stelle erano proprio stelle, luminose, più grandi e più piccine, più lontane e più vicine, in uno spazio che non aveva fine e le stelle erano tante, tante più di quelle che gli occhi nostri possano vedere. E allora Cosa si mise a fare allor la gente Col naso in su si misero a contarle, per fare a chi ne contava di più …e sono ancora Tutti col naso in su, contando sulle dita, delle mani e dei piedi facendosene prestare dai parenti di casa e dagli amici. Ricordo di stato d’animo in un’atmosfera dilatata Non temere l’ansia che guida le migrazioni Il remare d’ali fuggitive più non sollecita auspici ma interpretandole. Passare dalla figurazione all’astrazione, dal realismo simbolico allo strutturalismo geometrico avendo cura di non disperdere in alcun caso la forza ispirativa e il senso del colore, gli ha permesso di alimentare la sua vitalità artistica e di sottrarsi al rigore delle definizioni che spesso ingabbiano lo spirito e mortificano la creatività. Bruno Chiarini ha fatto della sperimentazione il criterio informatore della sua pittura mettendosi alla prova su fronti espressivi e soggetti diversi, che vanno dalla figura al paesaggio alla natura morta fino all’incastro ritmico e non descrittivo di forme e colori. Un artista eclettico, uno sperimentatore d’eccezione che non ha mai barattato la libertà della ricerca con la sicurezza troppo facile del consenso. Non solo pittore, ma anche poeta e critico d’arte, spirito colto e raffinato che gli anni e il tempo non hanno scalfito ma reso più forte. L’ultima mostra che l’ha visto protagonista della rassegna di arte contemporanea che dal mese di settembre ha luogo nell’elegante Rotonda Barbetti di via il Prato 4, è stato l’ennesimo tributo al talento di un uomo che consegna al nuovo millennio il valore ineludibile della sua eredità artistica. I nuovi Dei nei consigli d’amministrazione hanno miti che già condizionano il fato ho voglia solo di non lasciarmi corrompere da questo invadente compenetrarsi di rumori ora è convulsa l’aggressione febbricitante ora velenosa come lenta invasione di lepidotteri ho voglia solo di gridare al silenzio impersonale e geometrizzato degli stabilimenti ai muri al di sopra dell’immaginazione hanno limiti e le nevrosi del cielo ai muri con nomi assonometrici come immensi scolari di cemento che svelano disumane dimensioni nel consumarsi delle prospettive non la ridda dei ripensamenti sconvolge lo sperpero delle possibilità ultima redenzione a chi osa scegliersi nella sclerotica cancrena delle periferie non più bianche lenzuola distese alla crepuscolare invasione di strade incontaminate di verde il turbamento è un ritmo assillante di elementi che si ripete convulso fulminato nelle strutture madri senza pietà s’ergono freddamente determinate nei loro rigidi schemi sono solo a seminare passi imprevedibili tentando un recupero trascendentale di presentimenti sono solo a non sentirmi più il medesimo nel freddo prodursi di sentimenti leggeri Bruno Chiarini 27
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