18.11.2012 Views

Le Opere donate dagli Artisti - Delphi International

Le Opere donate dagli Artisti - Delphi International

Le Opere donate dagli Artisti - Delphi International

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

19<br />

<strong>Le</strong> <strong>Opere</strong><br />

<strong>donate</strong><br />

<strong>dagli</strong> <strong>Artisti</strong>


Cristina Anna Adani<br />

L’artista, modenese di nascita e centese di adozione,<br />

propone all’interno della scultura contemporanea<br />

uno spazio creativo originale di forte impatto visivo e<br />

cognitivo.<br />

La sua formazione scientifica e psicologica la porta a<br />

cogliere gli elementi archetipici delle figure femminili che<br />

modella nella terra oppure che fonde nel bronzo. È la<br />

plasticità della mente, della materia mnestica governata<br />

da segni e simboli, che rimanda alla potenzialità della<br />

materia plastica, duttile nella sapiente e reiterata manipolazione<br />

dello scultore.<br />

Donne, dee oppure ninfe vaganti è pur sempre<br />

l’immagine della femminilità che emerge in un gioco<br />

20<br />

compositivo, in un grumo pulsante di linee di forza, che<br />

cantano la bellezza infinita delle creature e riportano<br />

all’interno della materia il mistero della fertilità.<br />

La serie delle “Dee bianche” dell’anno 2006 permette<br />

al visitatore di cogliere il senso di questa ricerca che Adani<br />

continua con determinazione e con nuovo vigore ogni<br />

volta. <strong>Le</strong> sei dee in terra refrattaria hanno l’audacia della<br />

tradizione e la decisione del nuovo.<br />

I panneggi richiamano altri tempi delle divinità antiche,<br />

altri movimenti della danza dei corpi, altri spazi<br />

della prossemica. Bella, maestosa nella sua solitudine, la<br />

dea irradia da dentro le forze che tutto tengono assieme<br />

e legano, ostinate, i fili della vita. Eppure mai le dee ieratiche<br />

e impassibili del passato hanno potuto dichiarare<br />

l’autonomia della persona come solo Cristina Anna Adani<br />

riesce a loro infondere.


Dea bianca, 2006<br />

Terra refrattaria, cm 145x60x40<br />

21


Aurelio Alabardi<br />

L’artista è nato a Castelfidardo (Ancona), dove vive<br />

e lavora. Dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti di<br />

Macerata sotto la guida dello scultore Valeriano Trubbiani,<br />

Alabardi concretizza una sua attività espositiva<br />

come pittore e come scultore. Da anni gestisce, insieme<br />

alla moglie, l’azienda zeta arte studio, ditta rinomata<br />

in Italia e all’estero nel settore degli articoli da regalo in<br />

argento. A lui è affidata la progettazione e la realizzazione<br />

delle piccole sculture, dei bassorilievi e di ogni forma di<br />

plastica. Questi modelli testimoniano il livello di qualità<br />

raggiunto dal nostro artista.<br />

Nella sua pittura, <strong>dagli</strong> anni Settanta ad oggi, la natura<br />

morta, il paesaggio, la figura umana hanno assunto<br />

22<br />

valenze diverse, dando rilevanza specifica ora all’uno ora<br />

all’altro tema. Nell’ultimo decennio il fuoco attentivo<br />

dell’artista è volto soprattutto alla progressiva ricerca<br />

dello schiarimento del colore. Nel rendere il colore meno<br />

acceso, la purezza dei pigmenti non viene smorzata,<br />

acquista anzi una luminosità intrinseca che si diffonde<br />

sopra tutta la composizione.<br />

Alabardi realizza nelle sue opere una poetica della quotidianità.<br />

È, il suo, un occhio innamorato della realtà che<br />

ci circonda, che ci avvolge in un abbraccio creaturale, che<br />

ci rende consapevoli e partecipi di un comune destino.<br />

Due tondi di ceramica dipinta e una scultura rappresentano<br />

bene gli ambiti artistici in cui si esprime. Nelle<br />

due nature morte il bacile di terracotta smaltata all’interno,<br />

usato per l’acqua, ci porta sentori del passato e della<br />

sacralità dell’acqua dentro un mondo contadino del tutto<br />

perduto. <strong>Le</strong> forme dei fiori aprono altre riflessioni sulla<br />

bellezza: anche i fiori di campo posso essere belli al di<br />

là della loro classificazione botanica o del loro utilizzo<br />

commerciale.


Tondi<br />

Ceramica dipinta, cm 80 diametro<br />

23


Giovanni Ariano<br />

Artista complesso, amante delle tecniche e dei materiali<br />

diversi, Ariano è una figura di spicco tra i pittori<br />

e scultori del secondo Novecento in Campania. Vive e<br />

lavora a Sant’Anastasia (Napoli).<br />

La formazione autonoma in campo artistico lo ha<br />

indirizzato verso una forma di sperimentazione sulla<br />

materia con la quale continua a mantenere un rapporto<br />

vivo e significativo.<br />

<strong>Le</strong> variate esperienze del suo curricolo testimoniano<br />

la continuità di questo spirito di ricerca e dell’intimo<br />

rapporto che, nel descrivere la realtà del mondo, lega<br />

l’interiorità dei soggetti e la materia.<br />

La sua attività espositiva è di lunga data. Ha collabo-<br />

24<br />

rato anche come sceneggiatore all’allestimento in molti<br />

spettacoli nei teatri di avanguardia napoletani.<br />

Ariano sperimenta tecniche diverse e materiali diversi:<br />

è un artista polimaterico convinto. Accanto alla scultura<br />

compaiono non solo i collages e la calcografia ma anche<br />

dipinti tutti bianchi su cui navigano rare macchie di<br />

colore.<br />

Nelle composizioni rivela una sua curiosità immensa<br />

per tutto quanto lo circonda. I temi di attualità sono<br />

colti con una sua particolare intuizione e attenzione. La<br />

grande sensibilità dell’artista trova nella realtà delle cose<br />

una sorta di controcanto ad un processo di decantazione<br />

e di raffinamento che assomiglia alla ricerca della tradizione<br />

alchemica.<br />

L’opera donata è in questo senso significativa per<br />

esprimere gli elementi che legano arte, musica, alchimia<br />

e la ricerca del suono filosofale. Nella sua “Lira” le sette<br />

note fanno riferimento allo statuto particolare del numero<br />

sette. Quattro sono gli elementi: terra aria fuoco<br />

acqua ai quali si assomma il numero tre che rappresenta<br />

lo spirito trinitario che tutto regge. La musica inoltre ha<br />

come principio il suono primordiale e simbolico, il Logos.<br />

Entro questa prima griglia interpretativa si possono<br />

intessere infinite trame.


Lira<br />

Polimaterico cm 140x62x20<br />

25


Galeazzo Auzzi<br />

Artista fiorentino, felice di essere nato nel quartiere<br />

di San Frediano, dove ha abitato sino ai trent’anni, in<br />

un ambiente in cui arte e artigianato hanno saputo da<br />

sempre colloquiare in modo diretto e continuo sui saperi<br />

e le tecniche della tradizione.<br />

Ora vive e lavora in pieno centro a Firenze con una<br />

visione diretta sull’antico che affascina. Il suo studio<br />

spazia tra gli incanti dell’arte fiorentina. A ben capire, se<br />

i luoghi hanno un’anima, qui si è di certo in presenza di<br />

un luogo magico con un supplemento d’anima.<br />

Tutta l’opera di Auzzi si snoda tra acutezza di osservazione,<br />

volontà di ripresa e capacità di trasformazione. È,<br />

il suo, un occhio innamorato del mondo e della fiorenti-<br />

26<br />

nità, in particolare prende e trasforma, riportandole nel<br />

nostro quotidiano, tecniche e modalità del dipingere che<br />

sembravano appartenere ineludibilmente al passato e che,<br />

invece, tramite il suo intervento, riescono a colloquiare<br />

pienamente con la contemporaneità.<br />

La riproposizione della tecnica della pittura a muro, ad<br />

esempio, gli permette di studiare e di ristabilire una modalità<br />

a buon fresco che sembrava relegata al passato. Fare<br />

un affresco per Auzzi è saggiare il passato per descrivere<br />

il mondo attuale. Il codice espressivo può accogliere una<br />

richiesta di ascolto del presente, può prestarsi benissimo<br />

al gioco dell’arte di creare il sogno del passato... Eppure<br />

quella di Auzzi non è un’operazione di filologia utopica<br />

fine a se stessa ma ha in sé una tensione etica imprescindibile.<br />

È la volontà agente propria dell’uomo che sente il<br />

suo tempo, la società in cui vive e lavora, che ama e sogna<br />

ideali e che mai svia dai propri diritti e doveri.


Crocifissione sospeso nell’immenso (in ricordo di Mara)<br />

Affresco, cm 70x50<br />

27


Giorgio Balboni<br />

Giorgio Balboni è nato a Ferrara, dove vive e lavora.<br />

Nel 1966 si diploma Maestro d’Arte all’Istituto “Adolfo<br />

Venturi” a Modena. Da quel momento cerca i suoi<br />

Maestri nei musei, tra i grandi artisti del passato.<br />

Nel 1968 tiene la sua prima mostra alla Galleria “Schreiber”<br />

a Brescia, nel 1972 a Roma presso la “Galleria<br />

Valle Giulia”, nel 1978 al Palazzo dei Diamanti a Ferrara.<br />

Altre importanti esposizioni collettive da ricordare<br />

sono: nel 1987 alla “Galleria Forni” di Bologna, all’Arte<br />

Fiera a Milano, al Castello Estense con “La natura morta”,<br />

al Castello Estense di Mesola con “Il ritratto”<br />

Nel 2011 è stato invitato ad esporre al Padiglione Italia<br />

per la 54 a Mostra Internazionale d’Arte della Biennale<br />

28<br />

di Venezia.<br />

Balboni è il maestro riconosciuto di una figurazione<br />

dalla inquietante evidenza rappresentativa. <strong>Le</strong> sue opere<br />

ad olio su tela di grande formato rappresentano “figure”<br />

e “manichini come figure”. Il mondo che viene delineato<br />

dall’artista è ad un tempo realistico ed irreale. In effetti<br />

i soggetti rappresentati articolano posture e sentimenti<br />

rinvenibili solo nel melodramma, nelle soap-opera o nelle<br />

riviste patinate di moda. È proprio nella teatralizzazione<br />

del gesto “del personaggio” che si vuole esorcizzare la<br />

paura della scomparsa della “persona”.<br />

<strong>Le</strong> pennellate non evidenti sono di una grande sapienza<br />

e tensione. Nella sua esasperata chiarezza ogni cosa è<br />

meno certa nel suo apparente manifestarsi. <strong>Le</strong> sue figure<br />

vivono totalmente irrorate di luce sull’orlo di fondi del<br />

tutto scuri, quasi caravaggeschi. Seducenti, fluttuano nella<br />

scia luminosa dei riflettori. Tengono lo spazio come su di<br />

un proscenio in cui si rappresenta la virtualità della vita.


Senza titolo, 2007<br />

Olio su tela, cm 100x70<br />

29


Vincenzo Balsamo<br />

Nato a Brindisi, vive a Roma <strong>dagli</strong> inizi degli anni<br />

Cinquanta, solo recentemente è andato ad abitare a<br />

Corchiano (Viterbo).<br />

Un lungo, invidiabile curricolo artistico ha permesso<br />

a Balsamo di perfezionare al massimo grado un suo<br />

particolare linguaggio espressivo che riesce a mediare le<br />

istanze delle grandi correnti innovatrici con una componente<br />

lirica di grande qualità e originalità.<br />

Entrare nel suo lavoro di artista significa ritrovare<br />

visivamente accenni agli stilemi dei grandi astrattisti del<br />

Novecento, pur lasciando dei margini grandissimi di<br />

autonomia all’artista, che forse li ama più per il colore<br />

che non per le loro soluzioni estetiche.<br />

30<br />

Balsamo risolve le sue composizioni intercalando al<br />

flusso delle linee quello delle cromie che creano continui<br />

equilibri nelle forme. All’energia dei colori caldi del<br />

rosso e delle terre contrappone quella dei colori freddi.<br />

In realtà l’artista crea equilibri e tensioni all’interno delle<br />

superfici. Tutto sembra immobile e allo stesso tempo<br />

tutto è in movimento.<br />

Una perpetua metamorfosi si realizza carica di valenze<br />

operative e critiche insieme, ma soprattutto etiche. È<br />

come riconoscere in queste energie lineari, create dal<br />

pittore, le riflessioni sulla possibilità di una libertà che<br />

proprio nel movimento trova una sua giustificazione ed<br />

un limite.<br />

I suoi quadri sono una testimonianza dell’assoluta,<br />

empatica simbiosi che nasce tra l’artista e la superficie del<br />

supporto nel momento in cui valenze critiche ed operative<br />

moltiplicano le soluzioni proposte di volta in volta.<br />

L’attività creatrice di Balsamo combinando e ricombinando<br />

i suoi criptici accostamenti porta fuori la forma<br />

dalle secche dell’apparenza, la fa scorrere in una dimensione<br />

circolare ed infinita dove hanno senso le dicotomie<br />

(caldo-freddo, affermazione-negazione, maschile-femminile)<br />

ed i loro inesauribili giochi di rimandi. In questo<br />

gioco continuo, forse, l’artista riconosce il nostro comune<br />

cammino. La pittura di Vincenzo Balsamo diventa allora<br />

una serena, ma non per questo meno profonda, meditazione<br />

sul destino del mondo e dell’uomo.


Senza titolo<br />

Acqueforte e acquerellate a mano, cm 55x108, (la carta) esemp. 3165/75


Senza titolo<br />

Acquerellate a mano dall’artista, cm 50x70, esemp. 2/25<br />

32


Senza titolo<br />

Acquerellate a mano dall’artista, cm 70x50, esemp. 52/85<br />

33


Paolo Baratella<br />

Nato a Bologna da genitori ferraresi, nella città estense<br />

si trasferisce all’inizio della seconda guerra mondiale per<br />

rimanervi sino agli anni Sessanta quando si trasferisce<br />

a Milano. Inizia la sua attività espositiva a Milano, per<br />

proseguire in molte altre città italiane ed europee, quali<br />

Bonn, Parigi, Berlino, Barcellona, Basilea, Helsinki,<br />

Bruxelles, Mosca, oltre che a New York, San Francisco,<br />

Toronto e Montreal. Negli anni Settanta lavora in stretto<br />

contatto con Giangiacomo Spadari, Fernando De Filippi<br />

e Umberto Mariani, formando un gruppo che, senza<br />

intenti di convergenze formali, rappresenta una delle più<br />

interessanti esperienze artistiche e culturali di quel tempo.<br />

Nel 1973 espone al Palais des Beaux Arts di Bruxelles<br />

e nel 1974 al Musée d’Art Moderne de la Ville de<br />

Paris mentre, nel 1976, gli viene assegnata dal senato<br />

di Berlino la borsa del D.A.A.D. che darà luogo a una<br />

34<br />

serie di mostre in varie città tedesche. Il suo curricolo<br />

riempie molte pagine. Sviluppa la sua arte componendo<br />

vasti cicli pittorici ispirati al soggetto contemporaneo;<br />

vengono così realizzate serie di opere riunite sotto titoli<br />

significativi quali, per citarne alcuni: “Cronaca di un<br />

mal di testa” (1968), “Come se mi alzassi e prendessi<br />

coscienza” (1971), “Vita morte e miracoli di Joe Ditale”<br />

(1974), “Toccata e fuga da/per il potere” (1977), “Bach<br />

Hotel” (1980), “Il 1984 & l’officina ferrarese” (1983),<br />

“Oh specchio delle mie brame!” (1985), “Orfeo/Euridice”<br />

(1987), “Zarathustra: il viaggio di ritorno” (1988),<br />

“La parte mancante” (1989/90), “Fuga della scuola di<br />

Atene” (1992), “Achille e la tartaruga” (1999), “Nemici”<br />

(2000/2003), sino al recente “Canto del Capro nel giardino<br />

delle Esperidi”. A Baratella si deve la decorazione<br />

della nuova sagrestia del Duomo di Ferrara. Tutta la sua<br />

pittura è una riflessione sulla pittura, come linguaggio, e<br />

dei suoi rapporti con gli altri mezzi di comunicazione di<br />

massa, in un mondo che continua a darsi al riguardante<br />

come immagine-spettacolo della tecnica. Eppure la<br />

memoria della grande cultura occidentale si sovrappone<br />

continuamente alla contemporaneità. L’immaginazione<br />

dell’artista sembra fondarsi sul lavoro di queste associazioni.<br />

La preoccupazione fondante diventa allora, come<br />

dice Vittorio Fagone in un’intervista all’artista, quella<br />

di interrogarsi, con gli altri e per gli altri, sul presente<br />

e sul futuro del mondo: speranza, delusioni, utopie e<br />

spiegazioni più o meno praticabili, tutto questo dentro le<br />

metamorfosi di una immagine riconoscibile e permutante<br />

come oggi sono tutte le immagini che amano incrociarsi<br />

secondo modelli costitutivi che favoriscono il moltiplicarsi<br />

di un senso interpretativo”.


Centauromachia, 2011<br />

Tecnica mista su tela, cm 120x100<br />

35


Giuseppe Barone<br />

L’artista è nato a Palmi ma è ormai toscano di adozione:<br />

da anni, infatti, vive e lavora a Prato.<br />

Dopo una formazione scientifica e la laurea in Scienze<br />

Naturali, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Firenze,<br />

sotto la guida di Ferdinando Farulli, e il corso di nudo di<br />

Rinaldo Frank Burattin. Insegna successivamente Tecniche<br />

Calcografiche presso la scuola d’Arte “<strong>Le</strong>onardo”<br />

di Prato.<br />

Partecipa ad importanti concorsi di pittura e grafica<br />

ed espone in diverse città italiane e straniere. Si distingue<br />

anche nell’attività di illustratore. Nel 1990 illustra il poemetto<br />

“Calabria” di <strong>Le</strong>onida Rèpaci, edito dalla Grafica<br />

d’arte Lombardi di Roma. Grazie alla sua lunga attività<br />

36<br />

è presente nel Repertorio degli Incisori Italiani (volume<br />

III) Edit Faenza, 2001.<br />

Come argutamente ha sottolineato Franco Patruno<br />

«... Barone fortunatamente possiede quella che, anche<br />

nel greco biblico, è definita “dynamis”, “energia”. Nel<br />

contesto della letteratura tale terminologia designa sia il<br />

parlare con autorità che la forza dell’enunciato, cioè la sua<br />

naturale capacità di coinvolgere e di non lasciare il lettorespettatore<br />

in quella sospensione degli affetti che, per<br />

l’estetica fenomenologia, è naturale premessa per lasciare<br />

che l’opera sveli la sua verità senza pre-comprensioni».<br />

La sua pittura in effetti ha una carica di vitalità immensa.<br />

La forza delle cromie prorompe con la maestà di<br />

un fiume in piena. Tutto avvolge e tiene nel suo andare.<br />

Nel flusso che definisce la composizione il valore tonale<br />

dei pigmenti spinge avanti, sommerge e fa riemergere<br />

le forme. È allora un procedere di pulsioni naturali<br />

inarrestabili che sospingono la percezione visiva dello<br />

spettatore ad uscire dalle partiture delle tele e arrivare a<br />

vedere di nuovo il mondo.


Paesaggio, trittico<br />

Olio su tela, cm 170x300<br />

37


Clara Bartolini<br />

Nata a Venezia, vive a Milano. Oltre agli studi di psicologia<br />

e scenografia, fin dall’infanzia scrive poesie, disegna<br />

e fotografa. La partecipazione ai corsi di recitazione e<br />

di comunicazione, così come lo studio delle filosofie<br />

orientali le hanno permesso di sviluppare una creatività<br />

complessa ed estremamente ricca di sollecitazioni che<br />

le consentono di spaziare autonomamente in vari campi<br />

dell’arte. Lavora come scenografa per la pubblicità,<br />

collabora con importanti agenzie di pubblicità d’Italia e<br />

con famosi fotografi per la realizzazione di campagne,<br />

cataloghi e allestimenti fieristici. Cura e progetta mostre<br />

per artisti e gallerie; collabora con molte aziende internazionali<br />

per progettare eventi e manifestazioni.<br />

40<br />

La complessità cui si ispira la porta a elaborare soprattutto<br />

progetti creativi multimediali in cui la parola<br />

(poetica) si aggrega alla pittura, alla fotografia, al suono.<br />

La sollecitazione dei sensi le permette così di indagare<br />

aree di confine della sensorialità moderna più incline a<br />

perdere, a smorzare le nostre potenzialità piuttosto che<br />

affinarle. Non a caso Clara Bartolini fa parte del gruppo<br />

di artisti di “Arte da mangiare”.<br />

La sua attività espositiva, a partire dal 1984, testimonia<br />

una produzione di una grande libertà e intelligenza<br />

nell’affrontare le dinamiche del mondo contemporaneo<br />

di cui mette in luce le incongruenze, le dissonanze ma<br />

anche le molte fascinazioni. In questo senso l’installazione<br />

del mappamondo trafitto su di una sedia spagliata ci<br />

parla, a globo spento, di rappresentazioni dello spazio<br />

geografico e, a globo acceso, di frantumazioni geopolitiche<br />

continue. I giornali sparsi intorno diventano il<br />

sostrato mediatico di tutto questo parlare. L’insieme alla<br />

fine suggerisce la percezione di aspetti “interiori” rispetto<br />

alle sole superfici tangibili.<br />

È proprio nella sintesi artistica che Clara Bartolini<br />

crea gli aspetti esterni degli oggetti immediatamente colti<br />

che vengono scardinati e ricomposti, facendo emergere<br />

i significati segreti della simultaneità multidimensionale.


Senza titolo, installazione<br />

cm 95x95x100<br />

41


Nedda Bonini<br />

Nata a Bondeno (Ferrara), si diploma nel 1985 in<br />

Pittura con Concetto Pozzati all’Accademia di Belle<br />

Arti di Bologna, dove ha seguito le lezioni di Incisione<br />

di Luciano De Vita. Dal 1995 è docente di Tecniche<br />

dell’Incisione all’Accademia di Belle Arti, prima a Catania,<br />

poi a Macerata e a Venezia dove dal 2005 tiene i corsi<br />

di Editoria d’Arte, dal 2010 insegna a Bologna.<br />

Fin <strong>dagli</strong> inizi della sua attività artistica alterna la<br />

propria creatività nei campi della pittura, della grafica<br />

pubblicitaria, dell’incisione. La sua ricerca si è orientata<br />

soprattutto verso la sperimentazione della multimedialità<br />

della stampa d’arte, cogliendone i valori contenutistici,<br />

concettuali e comunicativi e fondendo discipline artisti-<br />

42<br />

che, senza preclusioni di sorta dal punto di vista tecnico.<br />

Anche questo diventa un modo di fare incisione fuori<br />

dalle modalità che la tradizione ci ha consegnato.<br />

L’uso di strumenti non canonici (trapani dei dentisti o<br />

strumenti degli orafi) e di tecniche no toxic le permette<br />

di cogliere sollecitazioni di altre professionalità e di percorrere<br />

nuove vie di ricerca. Allo stesso modo i materiali<br />

di recupero (ferri, legni, riporti di pelle, plexiglas), reperiti<br />

spesso casualmente, diventano forme che entrano nelle<br />

sue opere. La curiosità dell’occhio dell’artista apre insomma<br />

all’arte la possibilità di incrociare le complessità<br />

di altre operatività.<br />

Spesso è l’intervento di tecniche a monotipo a dare<br />

effetti sgranati alle sue opere lasciando trasparire nelle sovrapposizioni<br />

dei materiali effetti particolari di luminosità<br />

e di colore. L’opera acquista allora la tensione della visione,<br />

apre i visitatori al cambiamento, alla trasformazione<br />

della luce, alla percezione della trasparenza degli spessori.<br />

Segni e simboli creano un linguaggio universale che<br />

l’artista utilizza anche in modo trasversale, mediando<br />

forza dell’immagine e qualità estetica delle forme. Dentro<br />

alla sua poetica c’è sempre un richiamo, un ritorno costante<br />

all’immagine simbolica del cuore ed al significato<br />

che essa contiene.


Il volo, 2010<br />

Olio su tela, cm 140x130<br />

43


Gianni Cagnoni<br />

Nato a Rovigo, dove vive e lavora, risiede spesso a<br />

New York. Comincia giovanissimo a dipingere e fino agli<br />

anni Ottanta realizza numerosi lavori a tema figurativo.<br />

Dopo una intensa attività pittorica si dedica al disegno<br />

realizzando numerosi ritratti a matita e grafite dei<br />

personaggi che incontra durante lo svolgimento della<br />

sua attività professionale. Dal 2000 ritorna alla pittura.<br />

Nascono serie importanti come “Africa”, “Mutazioni”,<br />

le “Isole” e i “Rifiuti”.<br />

Sono cicli pittorici che, pur se ispirati a suggestioni<br />

naturalistiche, mediano esperienze di vita e rivelano<br />

aspetti antinaturalistici che portano l’occhio del riguardante<br />

a saggiare un mondo di emozioni, volizioni, ricordi<br />

44<br />

che spostano l’attenzione verso una sensibilità del tutto<br />

astratta.<br />

L’immagine segna allora il discrimine tra due ambiti:<br />

della soggettività dell’artista e quella della realtà del<br />

mondo.<br />

Cagnoni riesce molto bene a mediare tensioni e pulsioni<br />

realizzando il giusto equilibrio tra i fenomeni percettivi<br />

e la loro problematica rappresentazione.<br />

Specie nelle serie “Africa” e “Mutazioni” l’alterazione<br />

delle cromie, che sembra suggerire spazi della realtà,<br />

slitta invece verso un linguaggio più serrato, concettuale<br />

e mentale.<br />

Dagli impasti del colore emergono stranianti geologie<br />

in cui le striature per piani orizzontali sembrano alludere<br />

ad uno scavo interiore che porta ad un confronto fra<br />

l’interiorità del fluire della coscienza e l’esteriorità dei<br />

dati della vita.<br />

Sono come scrive il critico d’arte Giorgio Rizzi «pseudo<br />

paesaggi che ondeggiano tra sogni astrali e ghiacci<br />

preistorici, tra suggestioni lunari e nostalgie africane».


Africa, 2007<br />

Acrilico su tela, cm 70x100<br />

45


Francoise Calcagno<br />

L’artista, francese di origine, è ormai veneziana di<br />

adozione. Con la città lagunare ha instaurato un rapporto<br />

molteplice fatto di molte sfumature e di infinite<br />

sollecitazioni. La sua galleria-atelier nel quartiere ebraico<br />

del ghetto è anche un modo di instaurare un colloquiare<br />

apertamente vivo con la città, con la sua cultura, le sue<br />

istituzioni, le sue fascinazioni. La formazione stessa si<br />

compie a Venezia dove si diploma con Giovanni Soccol<br />

in scenografia all’Accademia di Belle Arti.<br />

Ben presto all’attività scenografica si accompagna<br />

quella pittorica e incisoria, tradizionale e sperimentale.<br />

Molti sono i riconoscimenti italiani ed internazionali che<br />

continuamente riceve.<br />

46<br />

<strong>Le</strong> sue opere sono come mappe della memoria che<br />

vengono tracciate sui terreni insidiosi della non-memoria.<br />

Come lei stessa afferma, nel suo lavoro cerca di lasciare<br />

una traccia del tempo, mette in evidenza la mutevolezza,<br />

l’instabilità, la perdita, creando strati di colore e materia<br />

che in parte celano, in parte svelano ciò che è sotto.<br />

In questa affermazione di poetica troviamo gli elementi<br />

fondanti la sua ricerca fatta di silenzi e di narrazioni,<br />

di materia e memoria, per citare un testo famoso di<br />

Bergson, ma anche di intelligenza del fare e di curiosità<br />

nello sperimentare. Non è a caso che l’artista ami tanto<br />

uno scrittore come Italo Calvino, al che viene un po’ da<br />

pensare quello che l’imperatore dei Tartari dice a Marco<br />

Polo ne “<strong>Le</strong> città invisibili”: Torni da paesi lontani e tutto<br />

quello che sai dirmi sono i pensieri che vengono a chi<br />

prende il fresco la sera sulla soglia di casa. A che ti serve,<br />

allora, tanto viaggiare?». Eppure in questa piccola eversione<br />

di segni e di sensi consiste tutto il viaggio dell’arte.


Grande verde<br />

Olio su tela, cm 140x100<br />

47


Cinzia Calzolari<br />

L’artista ferrarese, a partire <strong>dagli</strong> anni Novanta, si è<br />

dedicata in modo prevalente all’attività progettuale in<br />

ambito grafico-artistico. È docente all’Istituto “Dosso<br />

Dossi” di Ferrara e all’Istituto Superiore di Industrie<br />

<strong>Artisti</strong>che di Faenza. Presenta opere spesso realizzate a<br />

stampa su tela con oggetti e paesaggi che sono sempre,<br />

per l’artista, anche “paesaggi dell’anima”.<br />

Nelle sue opere realizza una sua precisa azione di<br />

mappatura di coinvolgente fattura. Per questa operazione<br />

Cinzia usa spesso l’intermediazione dell’immagine<br />

fotografica in bianco e nero.<br />

<strong>Le</strong> sue visioni-inquadrature si stendono sulla parete<br />

secondo possibilità diverse di sguardi che occhieggiano<br />

48<br />

il mondo interrogandolo e indagandolo.<br />

Sono indicazioni giocate sempre tra le istanze dei<br />

moduli grafici e la potenzialità dei fondi da velare, schermare,<br />

bucare, ma anche da tenere uniti con gli strumenti<br />

del cucito.<br />

Cinzia è una delle seguaci dell’arte lenta in cui le<br />

azioni tintorie o di ricamo hanno una valenza estetica<br />

determinata. <strong>Le</strong> stratificazioni dei pigmenti oppure delle<br />

carte danno come esito finale una visione che rifiuta una<br />

messa a fuoco cristallina e scientifica del reale.<br />

Quella che viene proposta al visitatore è piuttosto una<br />

visione velata del mondo. <strong>Le</strong> cose hanno un loro lato<br />

oscuro che nessuno strumento riuscirà mai a cogliere<br />

pienamente. L’artista sembra allora suggerire ad esempio<br />

che l’idea “di luogo in cui si vive” può essere non solo<br />

un “trovarsi” in un luogo fisico ma anche in un’azione<br />

del tutto mentale e che, allo stesso modo, la presenza<br />

di un oggetto naturale o artificiale libera sempre una<br />

narrazione di significati.


Senza titolo, dittico<br />

Tecnica mista su tela, cm 160x80<br />

49


Paola Campidelli<br />

Paola Campidelli nasce a Longiano (Forlì-Cesena)<br />

alla fine degli anni Quaranta e attualmente vive e<br />

lavora a Cesena. Si diploma al Liceo <strong>Artisti</strong>co di Ravenna<br />

e si dedica successivamente all’insegnamento.<br />

Dagli anni Ottanta si dedica completamente alla ricerca<br />

pittorica esponendo in Italia come all’estero: fra i tanti<br />

eventi che l’hanno vista protagonista, fondamentale per<br />

il successivo sviluppo delle sue opere sarà la mostra “In<br />

nuce noctis”, tenutasi nel 1993 presso la Galleria “San<br />

Fedele” di Milano. In quell’occasione sviluppa un ciclo<br />

pittorico legato al tema del volto umano che, tramite un<br />

uso violentemente espressionistico del colore, mette in<br />

scena un profondo disagio esistenziale.<br />

50<br />

In seguito, dopo il 1997, matura una pittura sempre<br />

più materica nei confronti della quale il critico e storico<br />

dell’arte Enrico Crispolti denota il «cercarsi e confessarsi<br />

attraverso l’immersione partecipe in un’organicità<br />

metamorfica, che si fa dunque anche corpo, ma che si fa<br />

anche in qualche modo orizzonte del tutto».<br />

Così dal monocromo espressionismo dei lavori iniziali<br />

ora Campidelli si esprime nella più piena trasfigurazione<br />

cromatica, compiendo forse non l’ultima delle sue brillanti<br />

evoluzioni pittoriche.<br />

Nel trittico proposto, la materia si fonde con il soggetto<br />

di ispirazione palustre, trasformando l’atmosfera<br />

in un liquido denso, dai colori brillanti e vitalistici: in una<br />

sorta di pulsazione amniotica, il colore stesso si fa linfa<br />

vitale da cui le forme della natura prendono vita, in cui<br />

terra, acqua e aria si mischiano. Di notevole interesse l’uso<br />

di contrasti cromatici freddi, che traspongono l’acqua<br />

in un blu quasi notturno, mentre i piccoli fiori gialli si<br />

accendono, quasi trattati come fonti di luce autonome.<br />

Così di colpo la pittura di Campidelli si fa acqua e cielo,<br />

comprendendo nell’attenzione per il microcosmo vegetale<br />

tutto il misticismo di un cielo stellato, in cui diviene<br />

impossibile non immergersi.<br />

(f.z.)


Ninfee, trittico, 2008<br />

Acrilico su tela, cm 80x240<br />

51


Mario Capuzzo<br />

Nato a Badia Polesine (Rovigo) nel 1902, Capuzzo è<br />

un artista ferrarese di adozione e codigorese per scelta<br />

dal 1953 sino alla morte avvenuta nel 1978. L’artista si<br />

sposta in continuazione in Italia e all’estero.<br />

Nel “primo” Capuzzo è presente la grande lezione<br />

della pittura ottocentesca che l’artista porta fin dentro alla<br />

seconda metà del Novecento in un intenzionale disimpegno<br />

dalle avanguardie. Come pittore rimane estraneo<br />

alle tensioni che percorrono le vicende del gruppo di<br />

“Novecento”, sponsorizzato a livello locale da Balbo e<br />

dal Corriere Padano e rappresentato da Achille Funi, per<br />

appoggiarsi alla committenza di Emilio Arlotti e della<br />

borghesia che gravita intorno alla sempre più fiorente<br />

52<br />

industria saccarifera.<br />

Capuzzo lascia Ferrara dopo “la lunga notte del 43”<br />

e resta per un lungo periodo a Portorose. <strong>Le</strong> difficili<br />

condizioni politiche istriane nel secondo dopoguerra lo<br />

costringono assieme alla moglie a rientrare definitivamente<br />

in Italia. Si sposta in varie città alla ricerca di una<br />

residenza. La scelta cade su Codigoro e lui e la moglie<br />

vivono su due peate venete sul Po di Volano. Nei primi<br />

anni Sessanta si trasferisce presso la vicina frazione di<br />

Pontemaodino. Il pittore conserva la residenza a Codigoro<br />

ma continua ad essere domiciliato a Milano dove<br />

vive e lavora.<br />

Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta<br />

Capuzzo modifica sensibilmente il modo di stendere il<br />

colore sul supporto utilizzando modalità fluenti delle<br />

mescole che stende a campiture strisciate, mentre l’organizzazione<br />

della composizione è sempre più essenziale.<br />

Nasce quella cifra stilistica caratteristica che il grande<br />

pubblico riconosce immediatamente e spesso identifica<br />

con l’intera opera del pittore.


Ritratto, 1954<br />

Olio su tela, cm 57x43 tavola<br />

Bozzetti di cavalli, 1960<br />

Olio su tela, cm. 50x70<br />

Deposito di attrezzi, 1971<br />

Olio su tela, cm 50x70cm. 70x50<br />

53


laura Caramelli<br />

Nata a Montelupo Fiorentino, alle porte di Firenze,<br />

famoso centro per la produzione della ceramica artistica.<br />

Fino dall’infanzia frequenta laboratori e fornàci.<br />

Nei primi anni Ottanta affronta, nello studio di Patrick<br />

Hamilton, il disegno dal vero ed in particolare del nudo,<br />

sia nella forma classica sia come indagine del movimento.<br />

Successivamente frequenta l’atelier di Marco Lisa dove<br />

viene attratta dall’uso degli stucchi metallici e dove riprende<br />

a modellare la terracotta.<br />

Nella stessa epoca segue per un biennio la scuola di<br />

ceramica di Montelupo Fiorentino, con specifico interesse<br />

per l’applicazione al tornio. L’incontro con Roger<br />

Partridge la indirizza alla scultura in pietra e in marmo<br />

54<br />

eseguita sia in atelier che alle cave di Pietrasanta.<br />

Per alcuni anni lavora con Frances Raynolds, artista<br />

a cui fa risalire il suo approccio al minimalismo e alla<br />

lavorazione del legno come materia primitiva.<br />

Collabora con Pietro Antonio Bernabei, antesignano<br />

della Bioarte europea, con lavori ed esposizioni in comune<br />

e successivamente con Primo Biagioni, scultore<br />

versatile nell’espressione e nelle tecniche. La sua ricerca<br />

attuale è distribuita equamente tra pittura e scultura.<br />

<strong>Le</strong> sue opere propongono uno stile nuovo in cui<br />

l’alleggerimento materico è compensato da un minimalismo<br />

formale di forte impatto simbolico e percettivo.<br />

La decantazione della materia e della forma alla fine di<br />

un lungo processo, che molti hanno interpretato come<br />

alchemico, portano un respiro vitale all’interno delle<br />

sue opere.


Pendolo, 1997<br />

<strong>Le</strong>gno, ferro e materiali vari (marmi, pietre, specchio ecc. per il pendolo), cm 55 336x40x40


daniela Carletti<br />

L’artista ferrarese affascina con la sua ricerca pittoricoplastica<br />

sul regno vegetale. Coglie aspetti della creazione<br />

del mondo che l’uomo contemporaneo ha trascurato o,<br />

forse, ha volutamente cercato di rimuovere.<br />

Con molto acume e sapienza porta alla ribalta nelle<br />

sue opere quello che non poteva essere confuso con<br />

altre esistenze e che, grazie al suo lavoro, torna a farsi<br />

vedere nella sua completezza. Il suo occhio ha esplorato,<br />

studiato, catalogato e fatto calchi di un mondo infinito di<br />

forme naturali e di vite silenziose, finite ai margini delle<br />

strade e dei canali.<br />

Daniela realizza affascinanti territori dell’ambiguità<br />

tra la scultura e la pittura in cui è possibile sconfinare<br />

56<br />

dalla certezza della mimesi e formulare altre incursioni<br />

nella convenzione delle forme “reali” che vengono paradossalmente<br />

proposte, tra reticenze e scavalchi, come<br />

“calchi” di quelle.<br />

Il piacere della lentezza diventa palpabile nella preparazione<br />

delle matrici, nel prendere consistenza dei<br />

materiali gessosi, nella variazione delle velature.<br />

<strong>Le</strong> sue manipolazioni colgono nuove dimensioni<br />

della temporalità. È il tempo della natura, dello scorrere<br />

ciclico delle stagioni ma anche dei movimenti dell’intuizione,<br />

della percezione viva delle forme e della loro<br />

realizzazione.<br />

Tra materia e memoria la nostra artista articola ritmi<br />

di calchi, di matrici, di rilievi di gesso, di imprimiture, di<br />

cromie che hanno la lentezza delle cose che decantano<br />

e che in quest’azione trovano senso. La forma ritorna<br />

ad essere “forma” con la leggerezza di un andante musicale<br />

in cui ogni sforzo viene annullato dalla volontà di<br />

compiere la partitura complessiva.


Grande impronta n. 2<br />

Gesso in rilievo e colori acrilici, cm 180x240x5<br />

57


Antonio Carotenuto<br />

Antonio Carotenuto di Boscotrecase (Napoli) si diploma<br />

in scultura all’Accademia di Belle Arti di Napoli,<br />

sotto la guida di Augusto Perez.<br />

La scultura però non è l’unica sua forma di espressione.<br />

L’artista, infatti, pratica contestualmente la pittura.<br />

I due ambiti espressivi gli permettono di esperire una<br />

visione dello spazio e delle forme che richiedono ambiti<br />

e codici sempre maggiori di manovra. È la stessa personalità<br />

dell’artista che non vuole sentirsi costretta da<br />

modalità definite già in partenza.<br />

Tutta la sua ricerca è volta quindi a sperimentare i due<br />

mezzi espressivi, della pittura e della scultura, che gli sono<br />

necessari per il grande coinvolgimento di energie che<br />

58<br />

esse comportano ma anche dei rischi cui esse portano.<br />

Scegliere o l’una o l’altra significa, infatti, toccare<br />

specificità e paradigmi diversi, negarsi o aprirsi alle autonomie<br />

del codice. Ci sono ritorni e passaggi nello spaziotempo.<br />

È però la ricerca del momento emozionante del<br />

fare arte a dare senso a tutto il percorso, spesso colto<br />

nello sguardo all’indietro verso il mondo dell’infanzia<br />

perduta.<br />

<strong>Le</strong> sue sculture in pietra lavica sono molto conosciute<br />

e apprezzate. È un materiale che fa parte della sua terra,<br />

delle sue origini: in questo modo l’artista riconosce la<br />

possibilità di un operare al di fuori degli schemi pur se<br />

di certi schemi rispettoso. Il rapporto con i materiali del<br />

territorio gli permette allora di far emergere un mare di<br />

emozioni, di percezioni, di volizioni che portano il sogno<br />

della vita all’interno del sogno dell’arte. Per Carotenuto è<br />

come ritrovare la linfa vitale alla quale sente di dovere la<br />

propria energia, la propria creatività, la propria ragione<br />

di uomo e di artista.


Crocefissione<br />

Ferro, cm 84x25x80<br />

59


Marcello Carrà<br />

È un giovane ingegnere-artista ferrarese che realizza<br />

disegni di grandi dimensioni a mano libera con la penna<br />

Bic. <strong>Le</strong> sue opere propongono immagini di animali. Icone<br />

che, dalla grotta di Lascaux in poi, conoscono fortune<br />

alterne sino ad approdare ai bestiari medievali, alle pagine<br />

illustrate dei volumi scientifici e ai rotocalchi. Sono,<br />

quelli di Carrà, animali posti comunque in difficoltà da<br />

una antropizzazione invasiva, eccessiva, spesso di rapina.<br />

I grandi rotoli di carta da scenografia hanno la misura<br />

standard di centocinquanta centimetri di altezza mentre<br />

la lunghezza è determinata unicamente dal fare dell’artista<br />

che traccia su di una quadrettatura a carboncino una<br />

prima bozza della forma.<br />

60<br />

Tutto il resto è frutto di un maniacale quanto entusiasmante,<br />

meticoloso procedere. È un itinerario visivo<br />

di straordinario nitore in cui si mediano le istanze tassonomiche<br />

della ricerca dell’entomologo, le pulsioni<br />

sadiche di un bambino, che vuole esperire il limite, e la<br />

libertà dell’artista che saggia i percorsi del ductus della<br />

penna a sfera.<br />

Eppure ogni pezzo è un pezzo unico che racconta<br />

una sua storia: di incontro di vita e di morte. Per questo<br />

motivo i titoli o le didascalie che accompagnano le sue<br />

opere segnano la fine tragica di questo incontro.<br />

Carrà rivoluziona la nostra rassicurante visione del<br />

mondo degli insetti che, un po’ come Gulliver tra i Lillipuziani,<br />

trattiamo dall’alto in basso, gasiamo e sterminiamo<br />

con spietata determinazione. È proprio partendo<br />

da questo fatto, per la maggior parte di noi assodato, che<br />

il nostro artista va all’avventura della sua realizzazione<br />

artistica.<br />

Il grande formato diventa allora la rivendicazione di<br />

uno statuto ontologico di prorompente vitalità. L’ingrandimento<br />

fuori scala serve a far tornare in equilibrio<br />

il piatto della bilancia.<br />

Carrà ha visto premiata la sua ricerca artistica con<br />

l’invito alla 54 a Biennale di Venezia - Padiglione Italia.


Arrostita da una lampada alogena<br />

Penna biro su carta, cm 150x237<br />

61


Flora Bellinazzi Cattabriga<br />

Nata a Gaiba (Ferrara) nel 1919, è stata allieva prima<br />

del professor Soriani e, successivamente, di Marcello<br />

Tassini per la pittura e di Laerte Milani per la scultura nei<br />

corsi tenuti presso l’Accademia di San Nicolò, organizzati<br />

dal Club Amici dell’Arte all’interno della sconsacrata<br />

chiesa di San Nicolò a Ferrara.<br />

Ha sempre vissuto e lavorato nella città estense sino<br />

alla morte avvenuta nel 2007.<br />

Ha al suo attivo molte personali e diverse mostre<br />

collettive in cui ha spesso conseguito premi e menzioni<br />

di merito.<br />

Ha distribuito la sua passione artistica in ugual misura<br />

tra pittura e scultura. È riuscita con un lungo lavoro<br />

62<br />

personale ad acquistare una sua riconoscibile autonomia<br />

espressiva.<br />

Se nelle tele è presente quel vibrante dialogo con il<br />

mondo della natura che tanto l’ha affascinata, nella scultura<br />

è soprattutto ad incantarla la figura umana declinata<br />

in mille modi.<br />

Armonia, percezione dello spazio, trattamento cromatico<br />

(sostituito nella scultura dalla patinatura o dalla<br />

doratura della terracotta) danno vita a un mondo di<br />

rappresentazioni e di percezioni di qualificata tensione.<br />

Come scultrice ha sempre amato la grande scultura<br />

che è stata la sua referenza iniziale. L’opera “Omaggio a<br />

Michelangelo”, data in donazione, ne è un bell’esempio.<br />

Eppure Flora Cattabriga con passione e studio è riuscita<br />

a sviluppare e ad accogliere momenti più sintetici nella<br />

realizzazione delle sue sculture.<br />

<strong>Le</strong> sue opere hanno la forza della strutturazione coerente<br />

di una grande spontaneità nell’operare, mediata<br />

dall’impulso dell’autocontrollo e dell’ironia.


Maternità<br />

Terracotta patinata, altezza cm 48x37x52<br />

63


Volto di donna<br />

Terracotta patinata, cm 53x30x19<br />

64<br />

Omaggio a Michelangelo<br />

Terracotta patinata, cm 50x30x25


Ferrara ferita<br />

Terracotta patinata, cm 47x35x46<br />

Cormorano del Golfo, 1992<br />

Terracotta patinata, cm 65 72x46x28


Gianni Cestari<br />

L’artista vive e lavora a Bondeno (Ferrara). Nella sua<br />

formazione due figure hanno giocato un ruolo importante:<br />

Marcello Tassini e Gianfranco Goberti. Il primo<br />

gli ha insegnato il mestiere di pittore a partire dall’utilizzo<br />

di pochissimi colori. Il secondo lo ha coinvolto nel gioco<br />

dell’ironia nel rapporto tra realtà e finzione. È il sodalizio<br />

quinquennale con Gianfranco Goberti, però, a segnare<br />

una vera svolta nella sua vicenda artistica.<br />

Tutta la ricerca del nostro artista è connotata dalla<br />

metamorfosi del sogno, dalla volontà di uscire da una<br />

condizione esistenziale complessa attraverso la forma<br />

liberatoria del segno. Il fantastico diventa allora una<br />

forma di conoscenza.<br />

66<br />

L’occhio dello spettatore è continuamente sollecitato<br />

a sovrapporre le percezioni, a cercare il significato del<br />

movimento nelle immagini e nel gesto stesso della mano<br />

dell’artista che disegna e dipinge le sue rappresentazioni.<br />

Cestari inventaria un repertorio infinito di uno spazio<br />

grafico e narrativo. Davanti ai nostri occhi si aprono<br />

mondi nuovi in cui vanno insieme (di)segno e poesia.<br />

Ogni creatura del suo “bestiario” oppure ogni brano di<br />

un suo “paesaggio” è come animato da una ritmica interna<br />

alla visione che rivendica alla fine l’aspetto poetico<br />

del mondo.<br />

La tensione che si realizza tra i due universi del sensibile<br />

e del figurativo è di un grande equilibrio, pieno<br />

di fascino e di capacità di stare al centro della visione<br />

e della narrazione. Sono alla fine le dimensioni segrete<br />

che ci portiamo dentro, sotto forma di affetti volizioni<br />

sogni, che ci aiutano ad affrontare le cose del mondo con<br />

maggiore adeguatezza e libertà.


Fari dopo la pioggia, dittico<br />

Acrilico su tela, cm 200x280<br />

67


Conte<br />

Conte (Luigi Colombi) nasce a Castelnuovo di Sotto<br />

in provincia di Reggio Emilia. Attualmente vive e<br />

lavora a Poviglio. La sua pittura si pone a ridosso della<br />

modalità Informale, attraverso pulsazioni cromatiche e<br />

paste materiche che si espandono sulla tela come onde<br />

sonore. Non a caso l’amore per la musica sembra essere<br />

il motivo trascinante della sua produzione: variazioni<br />

tonali, movimento strutturale, scale cromatiche, vibrati<br />

e stoccate fanno spesso delle sue tele una pulsazione<br />

quasi più sonora che visiva. Conte sa attuare soluzioni<br />

personali, scostandosi dalla mera tradizione informale,<br />

attraverso una concettualità che si esprime nelle tensioni<br />

e nelle variabili di tecniche miste abilmente controllate,<br />

68<br />

in grado di far emergere la più intima espressività.<br />

Commentando la sua produzione, il saggista e critico<br />

d’arte Paolo <strong>Le</strong>vi ha detto che l’intenzione espressiva<br />

dei suoi lavori è spirituale e drammatica, trasmettendo<br />

una concezione dello spazio pittorico come espansione<br />

macrocosmica di un pensiero filosofico.<br />

Conte stesso dichiara opportunamente che il punto<br />

centrale del proprio lavoro consiste nella dialettica tra<br />

moti interiori dell’animo e suggestioni esterne: a suo<br />

avviso l’artista è colui che sa reagire ai molteplici e frammentari<br />

impulsi esistenziali per conferire loro la logica<br />

del pensiero o per opporvi una reazione di carattere<br />

sentimentale.<br />

Nelle recenti opere presentate, Conte affronta ancora<br />

con più vigore la materia, che si fa sensuale e spessa, spaziale,<br />

lasciando emergere il colore in uno spazio ben poco<br />

virtuale: quello dello spettatore. L’emozionalità emanata<br />

è caricata anche dai titoli scelti che spesso si riferiscono<br />

a ricordi o immagini della vita privata dell’artista, simbolicamente<br />

espressa da paste e pigmenti e liberata sulla<br />

tela con energica concretezza.<br />

(f.z.)


Il colore contro il dolore, 2009<br />

Tecnica mista su tela, cm 100x150<br />

69


Marisa da Bondeno<br />

Marisa Frignani, nata a Stellata di Bondeno (Ferrara),<br />

è la vedova del pittore Mario Capuzzo che ha sposato<br />

giovanissima nel secondo dopoguerra.<br />

Continuatrice della memoria del marito, è la custode<br />

della sua arte; a lei si rivolgono i collezionisti per expertises<br />

delle opere di Capuzzo.<br />

Organizza ogni anno, prima a Codigoro ora a Bondeno,<br />

l’Aprile Capuzzianocon iniziative varie che nelle<br />

festività del mese di aprile servono a promuovere e salvaguardare<br />

la conoscenza dell’arte di Mario Capuzzo, a<br />

ricordarne gli interessi musicali e culturali e a raccogliere<br />

dei fondi destinati a fini umanitari (unicef).<br />

Durante la sua carriera Mario Capuzzo ha avuto molti<br />

70<br />

allievi nell’insegnamento privato. Marisa da Bondeno,<br />

come firma le sue opere, è la più coerente continuatrice<br />

della lezione capuzziana di fare della buona pittura.<br />

Gli stilemi del maestro sono rimasti a lungo presenti<br />

nei suoi quadri sino a quando ha evoluto una sua modalità<br />

originale di espressione.<br />

Il mondo che Marisa ama è quello della natura, dei<br />

paesaggi aperti e dei fiori. Ama soprattutto che lo sguardo<br />

si perda all’infinito. Ama la bellezza anche nelle piccole<br />

cose che il mondo quasi di nascosto ci offre.<br />

La sua tavolozza è densa, piena di intense cromie.<br />

L’uso del colore dato a pasta serve a sostenere la forma<br />

e a dare struttura a tutta la composizione.


Il ciliegio di San Antonio in Polesine, 1985<br />

Olio su tela, cm 60x80<br />

71


luce delhove<br />

Luce Delhove è nata a Uccle (Belgio). Trascorre la<br />

sua infanzia in Africa. A nove anni si stabilisce a Roma<br />

con la famiglia. Nella capitale compie i suoi studi in arte<br />

della stampa, all’Istituto d’Arte, e in decorazione, all’Accademia<br />

di Belle Arti.<br />

Vive e lavora tra Roma e Milano.<br />

Designer, incisore, pittrice e scultrice. È titolare della<br />

cattedra di Grafica d’arte presso l’Accademia di Belle<br />

Arti di Brera.<br />

Fin <strong>dagli</strong> esordi si occupa di incisione, approfondendone<br />

i linguaggi e le tecniche. Successivamente al<br />

1998 sperimenta nuovi materiali per la grafica e realizza<br />

sculture con carte stampate, cellulosa e materiale tessile.<br />

72<br />

Ha una lunga e ricca attività espositiva. Partecipa a<br />

collettive e realizza personali in Italia e all’estero.<br />

Dopo uno stage di lavorazione e sperimentazione<br />

dell’ardesia in Valle Argentina (Imperia), si dedica alla<br />

realizzazione di gioielli con metalli preziosi e pietre dure.<br />

È soprattutto la formazione legata all’arte dell’incisione<br />

a connotare tutta l’attività dell’artista. Tra materia<br />

e memoria, tra volontà cognitiva e tensione costruttiva,<br />

tutta la sua ricerca muove da “sensate esperienze” che<br />

invadono ora la bidimensionalità della lastra ora la tridimensionalità<br />

della scultura per spingere il riguardante a<br />

investire in percezioni visive, volizioni, desideri, sogni.


Senza titolo, 2002<br />

Acrilico su tessuto e legno, cm 150x150x10<br />

73


Giovanni Fabbri<br />

Nasce a Meldola (Forlì) alla fine degli anni Quaranta<br />

da una famiglia di mezzadri. A dodici anni interrompe<br />

gli studi quando la famiglia si trasferisce a Castiglione<br />

di Cervia nel ravennate. Dal 1960 per un decennio si<br />

dedica alla musica. Studia il clarinetto e il sax tenore e si<br />

esibisce in orchestra.<br />

Nel 1980 inizia la sua attività artistica: si iscrive<br />

all’Accademia di Belle Arti di Ravenna e segue i corsi di<br />

Umberto Folli. I compagni lo conoscono come “l’uomo<br />

della pioggia”, per la frequenza nei soli giorni di pioggia<br />

quando non può seguire i lavori di campagna.<br />

È una immersione totale nella pittura del Novecento<br />

con riflessioni e innamoramenti. La ricerca sulla natura<br />

74<br />

delle cose e la riflessione sulle cose della natura lo portano<br />

progressivamente a decantare le forme per arrivare ad<br />

una immagine sintetica, quasi astratta.<br />

Il sodalizio con il gallerista cesenate Albo Sirri lo<br />

introduce nel mondo delle gallerie, dei concorsi e delle<br />

fiere d’arte. Fabbri viene in contatto con i principali<br />

protagonisti dell’arte contemporanea. Sono relazioni che<br />

hanno positive ripercussioni sull’arte del nostro pittore e<br />

gli permettono di giungere ad una maturazione artistica<br />

del tutto originale.<br />

Il nostro artista ama molto la materia, ma ama soprattutto<br />

la vita che dalla materia si origina. La sua pittura è<br />

piena di esperienze attive e allo stesso tempo conosce la<br />

felicità di chi è riuscito a cogliere il lato poetico delle cose.<br />

<strong>Le</strong> sue opere sono come cosmogonie in cui gli elementi<br />

fondanti descrivono sulle malte cementizie dei supporti<br />

inesauribili narrazioni di pulsioni vitali, di ritorni ciclici,<br />

di pause e riprese.<br />

Vive e lavora a Castiglione di Cervia (Ravenna).


Valle, 2009<br />

Tecnica mista su tela, cm 150x130<br />

75


Fabbriano<br />

Fabbriano è nato a Ferrara dove vive e lavora. Come<br />

artista, intorno all’immagine disegnata, dipinta e mediatizzata<br />

ha sviluppato un suo originale curricolo e una sua<br />

particolare ricerca che non dimentica mai la lezione del<br />

passato, anzi da quello deriva gli archetipi senza tempo e<br />

le suggestioni che si prolungano sin dentro la modernità.<br />

La frequentazione negli anni Sessanta di gruppi quali<br />

l’Actionem Aktionismus o il Gruppo Sintesis Informale<br />

non ha mai disperso la direttrice classica di provenienza.<br />

Una piegatura del foglio, una pennellata che sgrana il<br />

colore, un frammento di immagine della storia dell’arte<br />

sono questi i punti di partenza per le sue tecniche miste.<br />

È un mondo, prodotto e riprodotto, che il nostro<br />

76<br />

artista utilizza per un viaggio all’interno della visione in<br />

cui coinvolgere lo spettatore. Lo tiene anzi legato con le<br />

seduzioni di una equilibrata partitura di segni e di sensi<br />

in una lenta alchimia di decantazioni e cambiamenti. In<br />

quello stesso spostamento dall’immagine creata sulla tela<br />

alla sua riproduzione che ritorna sulla tela, frantumata<br />

e scambiata di ruolo, si gioca una messa a distanza delle<br />

immagini nelle immagini.<br />

I lavori di Fabbriano vanno alla ricerca di un mondo<br />

immaginale futuro; sono sempre un’avventura, visiva e<br />

concettuale insieme. <strong>Le</strong> sue opere non hanno mai nulla<br />

di illustrativo o di simbolico da svelare. Vi è piuttosto<br />

una forza interiore che dolcemente, com’è d’altronde la<br />

personalità dell’artista, ma con molta decisione scardina,<br />

piega, sconvolge e ricompone pazientemente gli infiniti<br />

flussi delle immagini che le attraversano.<br />

È un modo di vedere che enfatizza gli stati operazionali,<br />

le sovrapposizioni dei passaggi continui, le sprezzature<br />

del colore, le fragilità ontologiche delle forme. È<br />

una visione non naturalistica che recupera ed allontana<br />

con la stessa cadenza di un respiro, di un battito cardiaco,<br />

del ritmo delle onde sulla spiaggia. Tutto parte dal<br />

quadro tutto a lui ritorna. Sono respiri visivi che hanno<br />

la forza delle maree.


Diesseits (al di qua)<br />

Tecnica mista, cm 81x95<br />

77


Alfredo Filippini<br />

Nato a Ferrara alla metà degli anni Venti, ama esprimersi<br />

indifferentemente nella pittura e nella scultura.<br />

Ha frequentato la “Libera Scuola di Nudo” presso l’Accademia<br />

di Belle Arti di Bologna. È stato allievo e successivamente<br />

collaboratore dello scultore Laerte Milani.<br />

Nel 1945 fonda assieme ad un gruppo di giovani<br />

aspiranti artisti ferraresi il Circolo <strong>Artisti</strong>co Dilettanti di<br />

cui viene aperta l’anno successivo una sezione a Cento.<br />

Artista dalla raffinata cultura tecnica, ama l’uso della<br />

materia pittorica che stende secondo la tradizione coloristica<br />

che discende dai veneti. Ha tra l’altro una notevole<br />

attività di copista, in particolar modo dal Tiepolo e da altri<br />

maestri antichi. Nella pittura ama soprattutto il paesaggio<br />

78<br />

della pianura padana che riprende secondo ascendenze<br />

tardo impressioniste. Il mondo delle fattorie perse nelle<br />

campagne, le boarie delle terre vecchie, la ciclicità delle<br />

stagioni hanno un posto determinante nella sua opera<br />

pittorica.<br />

Nella scultura è la figura a costituire il fondamento<br />

della sua poetica. La lezione di Milani viene rivissuta e<br />

rifondata sulla giusta mediazione tra le istanze dell’interiorità<br />

e le valenze simboliche che le diverse figure si<br />

portano appresso.<br />

Lo spazio che la figura tiene nel gioco delle posture<br />

e degli atteggiamenti si dilata a poco a poco sino a dare<br />

risalto a tutto l’impianto compositivo. Sono quelle del<br />

nostro artista figure che sembrano fiorire nello spazio,<br />

lasciando scorrere linfa vitale sotto le malte cementizie<br />

e le polveri di marmo di cui sono costituite.<br />

Filippini ha al suo attivo anche un valente curricolo<br />

di illustratore.<br />

È, fin dall’anno di fondazione, tra i soci del Club<br />

Amici dell’Arte alle cui collettive non ha mai mancato<br />

di partecipare.<br />

Vive e lavora a Ferrara.


Autunno sereno<br />

Olio su faesite, cm. 60x50<br />

79


Danza<br />

Cemento e polvere di marmo, altezza cm. 96x63x57<br />

80


Federica Finotti<br />

Nasce a Verona, dove vive e lavora, ereditando dal<br />

padre scultore, Novello Finotti, la passione per un’arte<br />

immaginifica, dettata dall’inconscio, espressa attraverso<br />

la pittura e l’oreficeria.<br />

Nel 2002 arriva terza al Concorso di Pittura di Bardolino<br />

Verona; nel 2003 espone alla Galleria d’Arte<br />

“Cortina” di Milano; l’anno successivo è a Carrara con<br />

una personale e nel 2007 è impegnata alla Galleria “Ecke<br />

Galerie” di Augsburg. Dal 2008 ad oggi vediamo il susseguirsi<br />

di una personale alla Galleria “Arianna Sartori” di<br />

Mantova, delle collettive nel Chiostro di Sant’Agostino<br />

a Marina di Pietrasanta e a Palazzo Ducale di Mantova.<br />

La pittura di Federica Finotti è intensa ed essen-<br />

82<br />

ziale, un racconto dell’io che si traduce in suggestioni<br />

cromatiche in grado di animare sottili ombre sulla tela,<br />

che l’artista produce senza l’uso del pennello. Finotti<br />

infatti dipinge direttamente con le mani o con pezzi di<br />

stoffa, quasi a voler eliminare ogni distanza tra lei e la<br />

tela, tra l’emozionalità più intima ed il momento della<br />

sua espressione.<br />

Nei suoi dipinti il colore assume un ruolo fondante,<br />

si fa portatore di percezioni rarefatte a cui Finotti affida<br />

la trasposizione dei suoi stati d’animo abbinando ad<br />

ogni variazione cromatica un differente livello emotivo.<br />

Ultimo punto di approdo in questa sua ricerca è l’uso<br />

dell’oro e del bronzo quasi per illuminare e purificare le<br />

forme che di volta in volta emergono o si rituffano nel<br />

flusso cromatico. «L’oro rappresenta il punto massimo<br />

dell’alchimia, del processo di purificazione, l’arrivo ad<br />

una profonda ed antica saggezza».<br />

(f.z.)


Presenza di luce, 2008<br />

Olio su tela, cm 100x100<br />

83


Novello Finotti<br />

Nato a Verona, lavorando tra la provincia veronese<br />

e la Lucchesia, Finotti conferma una lunga tradizione<br />

poetico-scultorea in bilico tra Toscana (Marino Marini)<br />

e Veneto (Arturo Martini). Si forma infatti a Pietrasanta,<br />

centro di scultura internazionale non molto distante da<br />

Carrara, e a soli ventisette anni espone già su invito un<br />

gruppo di opere alla 33 a Biennale Internazionale d’Arte<br />

di Venezia. Una decina di anni dopo, lo vediamo impegnato<br />

nel panorama internazionale, con esposizioni che<br />

vanno da Tel Aviv, a Ginevra, a New York, dal Festival<br />

dei Due Mondi alla FIAC - Foire <strong>International</strong>e d’Art<br />

Contemporain di Parigi.<br />

In una lunga carriera, con più di trentacinque anni<br />

84<br />

di esposizioni, Finotti sviluppa una scultura evocativa,<br />

in grado di segnare una rottura con il passato, con una<br />

produzione che ha il «coraggio, anzi il piacere della provocazione».<br />

Plasticità visionaria e metamorfica, dal sapore neosurrealista,<br />

Finotti fa di ogni sua opera un autentico<br />

amalgama visivo-concettuale, un condensato di realtà e<br />

sogno grazie ad una estrema libertà ideativa ed esecutiva.<br />

Nelle sue sculture si modellano con levità forme oniriche<br />

in cui ogni cosa può assumere la funzione di un’altra,<br />

anche quando le associazioni sembrano contraddittorie.<br />

La figura organica, sia umana che animale, emerge indistintamente<br />

dal freddo del marmo più nero come dal<br />

calore della terracotta, animandosi di una fisicità vitale,<br />

palpitante e sensuale.<br />

Nell’ultimo decennio, alla produzione privata Finotti<br />

affianca anche la realizzazione di importanti committenze<br />

pubbliche d’arte sacra, tra le quali si ricordano: l’intervento<br />

completo sulla facciata della Basilica padovana di<br />

Santa Giustina; il decoro in bronzo dorato per l’altare<br />

del Beato Giovanni XXIII nella Basilica di San Pietro<br />

in Roma; la grande figura in marmo bianco di Carrara<br />

di Santa Maria Soledad, collocata nella Basilica di San<br />

Pietro in Vaticano.<br />

Dal 2004 è inoltre possibile ammirare il suo monumento<br />

in bronzo dedicato al poeta veronese Berto<br />

Barbarani, collocato nella piazza delle Erbe della sua<br />

natia Verona.<br />

(f.z.)


Galli nella notte,1990<br />

Terracotta, cm 50x43x20<br />

85


ervardo Fioravanti<br />

Il pittore, nato a Calto (Rovigo) nel 1912, ma ferrarese<br />

di adozione, è stato una figura di intellettuale oltremodo<br />

interessante della cultura della seconda metà del Novecento<br />

a Ferrara. Come pittore, giornalista, docente<br />

e poeta ha stimolato l’ambiente culturale cittadino ad<br />

interrogarsi sulla società contemporanea. Lo ha fatto<br />

con arguzia, ironia, passione e serietà anche nei momenti<br />

più drammatici.<br />

La sua apertura verso la vita gli ha permesso di cogliere<br />

in profondità quanto ogni produzione del lavoro umano,<br />

anche la più semplice, costituisca sempre l’aspetto “serio”<br />

del destino delle generazioni. L’uso dei diversi codici gli<br />

è servito proprio per cogliere meglio, attaccandola da<br />

86<br />

fronti diversi, la complessità del mondo reale. Dal Polesine<br />

dell’infanzia alle lotte per l’occupazione del secondo<br />

dopoguerra, la sua attenzione è sempre stata pronta a<br />

sollecitare la sua mano di artista impegnato.<br />

A volte è appena il segno caratterizzante la postura dei<br />

corpi altre volte è la narrazione che si svolge a partire da<br />

poche schermature di colore. In ogni modo è presente<br />

un’analisi attenta e precisa delle vicende degli uomini e del<br />

loro mondo, dei desideri, dei sentimenti, delle volizioni,<br />

delle pulsioni vitali.<br />

Dai primi anni Cinquanta a tutti gli anni Ottanta: dai<br />

paesaggi della ricostruzione del secondo dopoguerra ai<br />

disegni su carta grossa di una sapida padana realtà, dalle<br />

figure declinate in tutta la complessità del loro essere<br />

alle opere grafiche di una finezza di segno notevole. In<br />

questo fluire della visione si coglie l’amore che l’artista<br />

ha sempre avuto per la sperimentazione delle tecniche<br />

così da adeguare il suo modo di comunicare ad un mondo<br />

in continuo cambiamento. Quanto resta di carica<br />

critica, di senso ironico o di burlesco, di immensamente<br />

drammatico nella sua pittura conferma ogni volta la sua<br />

adesione al reale ma la mette contemporaneamente in<br />

dubbio, lasciando al visitatore il compito di interrogarsi<br />

seriamente sul valore delle nostre rappresentazioni.


Ominidi, 1968<br />

Olio su tela, cm 100x100<br />

87


Franco Fontanella<br />

Nasce a Osimo, in provincia di Ancona, dove vive e<br />

lavora.<br />

Autodidatta e precoce, già a quindici anni si approccia<br />

alla pittura dando prova di innegabile disinvoltura, riproducendo<br />

i grandi maestri neoclassici e impressionisti e<br />

sperimentando con passionale curiosità le più svariate<br />

tecniche pittoriche.<br />

Un’innata predisposizione alla pittura lo porta ben<br />

presto alla sua prima personale a soli diciannove anni, la<br />

prima di numerose mostre ed eventi che si susseguiranno<br />

nei cinquanta anni della sua carriera.<br />

L’abilità pittorica di cui sa dare prova porta Fontanella,<br />

già <strong>dagli</strong> anni Novanta, da un vivace iperrealismo<br />

88<br />

pittorico, alla riscoperta dell’affresco – a lui congeniale<br />

per precisione nei dettagli e velocità d’esecuzione –, fino,<br />

negli anni recenti, a cimentarsi con la realizzazione di<br />

vetrate per edifici religiosi, istoriate a grisaille.<br />

Con l’eclettismo tecnico non va comunque confusa<br />

una sperimentazione poetica che si fa invece delle più<br />

coerenti e tenaci nel promuovere una pittura figurativa<br />

che Fontanella, così indagatore della disciplina, ripropone<br />

nei suoi soggetti pittorici madidi di citazionismo<br />

manierato della pittura di genere, culla della concezione<br />

moderna del quadro.<br />

<strong>Le</strong> sue nature morte, passando dalle vanitas della maniera<br />

nordica, alle escursioni ‘extrapittoriche’ del primo<br />

Seicento spagnolo, sanno bagnarsi, come nel caso dei<br />

“Girasoli”, di un’abbagliante luce contemporanea che li<br />

proietta nel mondo concreto; un mondo su cui Fontanella<br />

fa calare un occhio indagatore e chirurgico, in cui ogni<br />

bagliore non è mai lasciato al caso.<br />

Una realtà così vivida da farsi scenica, letteralmente<br />

“arte-fatta”, che Franco Fontanella sa portare alla ribalta<br />

per invitarci a godere della riscoperta di quei piccoli<br />

particolari che diversamente ci sfuggirebbero.<br />

(f.z.)


Girasoli, 2009<br />

Olio su tela, cm 102x72<br />

89


Flavia Franceschini<br />

Nelle serie di opere di periodi diversi che costituiscono<br />

il suo animato curricolo, l’artista ferrarese propone<br />

un filo rosso di continuità. All’interno della ricerca che<br />

da anni sta compiendo, pittura, scenografia, decorazione,<br />

scultura, calcografia delineano nuovi territori in cui<br />

diventa possibile movimentare ed esaltare le forme delle<br />

figure che si iscrivono nella magia della vita che vive.<br />

La bidimensionalità del supporto viene scavalcata da<br />

apporti di scagliola e dall’inserimento dei materiali più<br />

vari. Sono alla fine le sue opere come bassorilievi bloccati<br />

durante un processo di produzione/mutazione che<br />

ricorda i procedimenti degli alchimisti.<br />

È l’amore che l’artista porta per la materia a condurla<br />

90<br />

a studiarne i transiti di stato. È la passione infinita che<br />

ha nei confronti delle grande domande dell’essere nel<br />

mondo che la fa mettere in ascolto di tante voci interiori,<br />

la sua e quella degli altri.<br />

In modo particolare è il fascino della femminilità che<br />

viene colto, indagato, giocato in tutte le possibili variabili<br />

archetipiche. Flavia realizza un mondo di arcane follie e di<br />

struggente sapienza, abitato da figure volanti, da divinità<br />

lunari, da varianti assiro-babilonesi di divinità greche e<br />

molto altro ancora.<br />

Quello che affascina maggiormente nella sua arte<br />

è però il gioco sapiente del trattamento della materia<br />

e del colore. <strong>Le</strong> iridescenze delle cromie sono appena<br />

accennate, tanto da svelare ancora la trama della materia<br />

sottostante. I legni di cirmolo, di tiglio, i rialzi di scagliolasono<br />

impreziositi da velature leggere, insistite di quel<br />

tanto che basta a far cantare i toni ed a creare un effetto<br />

di indomabile vitalità.


Tutte le voluttà della terra(da Roland Barthes), 1991<br />

Tecnica mista, pannello di legno e scagliola dipinti con bassorilievi in legno di tiglio, cm 62x96<br />

Come era azzurro il cielo (da Roland Barthes), 1991<br />

Tecnica mista, pannello di legno e scagliola dipinti con 91 bassorilievi in legno di tiglio, cm 62x96


enzo Gentili<br />

Nato a Ferrara, ha avuto come maestri Giulio Soriani<br />

e Marcello Tassini per la pittura e Laerte Milani per<br />

la scultura. Proprio con Milani collabora fin dall’età di<br />

tredici anni alla realizzazione di cartoni animati per la<br />

“Pubblicine Ferrara”, casa cinematografica ferrarese<br />

specializzata in spot pubblicitari.<br />

Gentili frequenta scultura e pittura con uguale passione,<br />

distribuendo nel tempo opere dell’una e dell’altra<br />

sua creatività. Partecipa attivamente a molte collettive<br />

e personali realizzando in tal modo un buon curricolo<br />

espositivo confermato da premiazioni e riconoscimenti.<br />

Molte sue opere hanno una collocazione pubblica all’interno<br />

delle mura cittadine e nella provincia ferrarese.<br />

92<br />

Come artista Gentili propone una operatività dell’arte<br />

che si esplica con pari impegno e serietà nelle due forme.<br />

In quanto pittore e scultore sa ben governare le posture<br />

dei corpi e riesce a fare “tenere lo spazio” alle sue figure.<br />

La poetica del nostro artista consiste nella messa a<br />

fuoco del “fare”. È un intervento, apparentemente giocato<br />

sull’estrema semplicità dei materiali (la tempera, la<br />

terracotta patinata), che porta l’osservatore direttamente<br />

nell’officina di un artista che con determinazione raggiunge<br />

i risultati previsti.<br />

Il minimalismo dei materiali utilizzati rende ancora<br />

più evidente l’azione creativa del pittore e dello scultore.<br />

La luce fa risplendere le patine, esplode in scintillii<br />

improvvisi, si rifrange nelle figure dalle epidermidi<br />

lunari oppure sui corpi degli animali dalla muscolatura<br />

esemplare. Un sottile simbolismo aggrega le forme e le<br />

disperde all’interno della composizione in una infinita,<br />

straniante narrazione.


Autunno in valle<br />

Olio su tela, cm 100x80<br />

93


Il vento<br />

Terracotta patinata, cm 140x48x36<br />

94


Gianfranco Goberti<br />

Gianfranco Goberti nasce a Ferrara, dove intraprende<br />

già giovanissimo gli studi pittorici all’allora Istituto d’Arte<br />

“Dosso Dossi”, di cui in seguito sarà prima docente e<br />

poi direttore e dove, a diciassette anni, vince il primo<br />

premio di pittura “Il Pennello d’Oro”. Completa poi<br />

la sua formazione presso l’Accademia di Belle Arti di<br />

Bologna che, all’inizio degli anni Sessanta, si presentava<br />

come uno centri più fervidi del mondo artistico ed intellettuale<br />

italiano.<br />

A seguito del diploma nel 1965, partecipa alla Quadriennale<br />

di Roma sviluppando in questa prima fase della<br />

sua ricerca pittorica una riflessione che si colloca a metà<br />

tra la Nuova Figurazione e l’Espressionismo astratto.<br />

96<br />

Durante gli anni Settanta, la sua poetica si ‘raffredda’<br />

attingendo al territorio dell’arte concettuale, anche attraverso<br />

un approccio mediato dalle percezioni ‘optical’. Da<br />

qui in poi la sua attività è in piena ascesa ed i suoi lavori<br />

sono presto notati da grandi critici quali Gillo Dorfles o<br />

Pierre Restany, il grande teorico del Nouveau Realisme.<br />

Nel tempo Goberti concretizza una pittura sempre<br />

più impostata sullo spaesamento percettivo, sulle sollecitazioni<br />

ottiche, sull’oggettivazione di frammenti comuni,<br />

quasi banali, come poltrone o giacche, in cui si rincorre<br />

il motivo della linea o meglio della riga. Da qui i lavori di<br />

Goberti iniziano a caratterizzarsi per una fisica realtà, in<br />

cui i volumi degli oggetti acquistano letteralmente corpo,<br />

come nella bella serie delle “camicie”, quasi abitate da<br />

impalpabili ma presentissime entità che ci vengono anche<br />

suggerite dai titoli, come il “Ritratto d’Ignoto”.<br />

L’occhio anatomico di Goberti si fa vicinissimo, ingigantendo<br />

trame e tessuti che, se da un lato si dimostrano<br />

inquietantemente evocativi di una presenza che resta solo<br />

citata, in una “costante metafisica” propria della cultura<br />

ferrarese dechirichiana, dall’altro si traducono in segni<br />

autonomi, liberi di misurare la loro stessa portata pittorica,<br />

instaurando un dialogo continuo tra figura e sfondo.<br />

(f.z.)


Il mare, sei fasi, 1972<br />

Acrilico su tela, cm 120x170<br />

97


oberto Greco<br />

Roberto Greco nasce a Bengasi in Libia a metà degli<br />

anni Trenta da genitori italiani, formandosi poi artisticamente<br />

in Italia, prima al Liceo <strong>Artisti</strong>co di Firenze poi<br />

presso l’Accademia di Belle Arti della stessa città, dimostrando<br />

già da giovanissimo un grande amore per l’arte.<br />

Dagli anni Settanta inizia la sua carriera in ambito toscano<br />

esponendo, fra le altre, alla Galleria Cennini (1971)<br />

e alla Ken’s Art Gallery (1973) di Firenze.<br />

La piena maturità pittorica lo porterà ad abbandonare<br />

un atteggiamento inizialmente figurativo non senza passare<br />

per una corrente più impressionistica. Dopo varie<br />

ricerche pittoriche, condotte con una sperimentazione<br />

rigorosa, nel 1986 approda ad una pittura gradualmente<br />

98<br />

più informale, dando nuovo impulso all’attività espositiva<br />

che lo vede presente in ambito nazionale come ad<br />

Arte Fiera di Bologna, alle Fiere d’Arte Contemporanea<br />

di Padova o Firenze e all’estero, dove ritroviamo le sue<br />

opere in collezioni private e pubbliche.<br />

L’opera di Roberto Greco diviene così un percorso<br />

introspettivo nella ricerca delle infinite potenzialità della<br />

materia pittorica, che diviene docile mezzo espressivo<br />

di valori visivi e sensoriali, di umore e verità in grado<br />

di fondersi e di vibrare all’unisono, in un unico esistere.<br />

Il gesto, consumato nella ricerca nobile e appassionata<br />

all’interno delle forme in continuo divenire e dei materiali<br />

di cui si compongono, si distende e si amplifica, aggiunge<br />

luce al già luminoso assemblaggio cromatico, schiarisce<br />

e modula i toni, li veste di orecchiabili armonie, nella<br />

matura consapevolezza di avere raggiunto una chiarezza<br />

mentale ed espositiva tale da rendere sincero e profondo<br />

il dialogo con l’osservatore.<br />

(f.z.)


Senza titolo, 1992<br />

Olio su tela, cm 140x140<br />

99


Giovanni Gromo<br />

Nipote di Mario Gromo, scrittore, giornalista e critico<br />

cinematografico della prima metà del Novecento, Giovanni<br />

Gromo nasce a Torino alla fine degli anni Venti.<br />

Durante la sua prima infanzia, la famiglia si stabilisce<br />

ad Alassio, in Liguria, dove ancora giovanissimo conosce<br />

Carlo <strong>Le</strong>vi. Lo stesso Gromo ricorda quegli anni<br />

come «un’indigestione di quadri, di conversazioni sulla<br />

pittura, sull’arte» oltre che come l’inizio di un lungo e<br />

“fraterno”legame. Ma sarà solo anni dopo, durante il<br />

servizio militare a Vicenza, che Gromo coglie l’occasione<br />

per studiare la grande pitture veneta nei musei di Vicenza,<br />

Padova e Venezia, oltre che per venire a contatto con<br />

l’opera di De Pisis, di cui in quegli anni si teneva proprio<br />

100<br />

a Ferrara la prima grande retrospettiva.<br />

La formazione di Gromo si conferma così tutta museale<br />

e, dopo una parentesi romana ed un primo approccio<br />

al mestiere più affine alle attività decorative, torna in<br />

Liguria per dedicarsi più concretamente alla pittura e<br />

alla ceramica, fino ad arrivare all’attenzione della galleria<br />

“La Colonna” di Milano allora diretta da Renata Usiglio.<br />

Per tutti gli anni Sessanta si dedica principalmente<br />

all’attività plastica, instaurando con la tela e la pittura un<br />

rapporto quasi morboso che lo porterà a fare e letteralmente<br />

e a disfare ogni suo quadro di quel periodo. Ma<br />

alla soglia dei quarant’anni, Giovanni Gromo non può<br />

più rimandare una necessità, ancor più che una passione,<br />

e passa definitivamente alla pittura inaugurando una<br />

lunga carriera espositiva, con una personale, di nuovo<br />

a Milano, alla Galleria di Renzo Cortina, presentato<br />

dall’amico Carlo <strong>Le</strong>vi.<br />

Il temperamento di teorico e studioso delle Belle Arti<br />

si riflette da subito nella sua pittura, cauta e meditativa,<br />

ricca di introspezione, prediligendo un universo rurale,<br />

in contatto con la natura. Nei primi lavori non di rado<br />

ci si ritrova invischiati tra una pacata contemplazione e<br />

presenza (uomini o cose) ricche di un sentimento dolente<br />

e persino ‘ostile’.<br />

Un’atmosfera soffusa ed intima si dispiega invece nelle<br />

opere della piena maturità, in cui spesso le ombre giocano<br />

un contrappunto ancora più importante delle luci, sempre<br />

esterne ed estranee all’ambiente, nel disegnare scorci o<br />

nel lasciare emergere un racconto.<br />

(f.z.)


Musica di alcuni giovani, 2002<br />

Olio su tela, cm 80x100<br />

101


luigi Grossi<br />

Artista di origini napoletane, nel suo lavoro Luigi<br />

Grossi gioca con una maliziosa pregnanza semantica<br />

degli elementi che di volta in volta inscena. L’artista con<br />

“Mare” ci pone dinnanzi non certo uno studio sulla<br />

strutturazione astratta dello spazio-opera ma, come<br />

evoca nel titolo, ci sprona a riflette sulle valenze stesse<br />

del fare arte: il pittore non ci fa vedere quel che anche<br />

da soli avremmo visto nel mondo concreto, ma ce ne<br />

restituisce una visione inedita, ci mostra le cose con un<br />

occhio diverso da quello abituale.<br />

La pittura di Luigi Grosso, scoprendo alla nostra vista<br />

quel che ci sfuggiva, suscita lo stupore nel ritrovarci di<br />

fronte ad una pittura “naturalistica”, smentendo le facili<br />

102<br />

scelte di uno linguaggio “naturale” strutturato in base a<br />

mere convenzioni culturali.<br />

Così Grossi concretizza il pensiero platonico secondo<br />

il quale le idee, sensibilmente invisibili, solo grazie<br />

al lavoro e allo sforzo del pensiero, possono rendersi<br />

intelligibilmente visibili.<br />

«L’invisibile, che la pittura rende visibile, non è il<br />

‘fuori’ del mondo, ma al contrario è il suo ‘dentro’, la<br />

sua più propria intimità, che come tale non si trova mai<br />

platealmente esposta».<br />

L’opera di Grossi articola all’interno del quadro un<br />

gesto informale che anima la superficie del supporto,<br />

fuoriuscendone. La vibrazione materica di “Mare” si<br />

fa spazio tridimensionale, seppur breve, attraverso un<br />

concatenarsi di piani in cui la materia si dà con straordinaria,<br />

densa monocromia. <strong>Le</strong> stesure di pasta danno a<br />

‘vedere’ la strenua tensione di una pluralità di direttrici,<br />

portando Grossi non a rappresentare, come un improprio<br />

spettacolo, la natura, ma a far esistere dentro di noi,<br />

come nostro patire, la materia nuova nel momento della<br />

sua produzione.


Mare<br />

Zinco, cm 100x100<br />

103


Alessandro Guerrini<br />

Guerrini nasce a Porto Recanati alla metà degli anni<br />

Quaranta e, dopo un avvicinamento alla pittura da autodidatta,<br />

frequenta prima lo studio del pittore Mario<br />

Lupo a Grottammare e poi l’Accademia di Belle Arti di<br />

Macerata.<br />

Partendo dalla bipolarità che la ricerca artistica della<br />

perfezione estetica passi o dallo studio dell’eccellenza<br />

delle opere dei grandi maestri che ci hanno preceduto,<br />

o dallo studio della natura, di fronte alla quale l’artista è<br />

solo, il critico e storico dell’arte Massimo Bignardi, commentando<br />

l’opera di Guerrini, ci porta a considerare che<br />

in questa seconda via il paesaggio si carica di inquietudini<br />

fino a diventare il luogo delle espressioni individuali. Ed<br />

104<br />

è in quest’ottica che la natura nutre e riempie le tele di<br />

Alessandro Guerrini, «che ama la pittura così come la<br />

sua immagine riflessa […] ritmando l’impianto cromatico<br />

condotto da una pennellata nervosa, che si offre ai soffi<br />

del vento, che non guarda a nessuna regola compositiva».<br />

Guerrini capta e filtra ogni esperienza della quotidianità<br />

esterna per rielaborarla nell’intimità dello studio, dove<br />

immaginario e meditazione si rincorrono in una paesaggio<br />

che è spesso metafora di una più ampia cultura<br />

figurativa: dal Surrealismo lirico al concretismo plastico<br />

che fu prima di Cézanne e poi dei Cubisti, fino a riallacciarsi<br />

alla tradizione tutta italiana del secondo Futurismo.<br />

Da tele sature di oggetti reiterati in uno spazio caleidoscopico<br />

a nature morte di estremo rigore e semplicità,<br />

Guerrini non rinuncia ad assemblare immagini, come in<br />

un collage pittorico, che di volta volta ed indistintamente<br />

sa prelevare dal sogno come dalla realtà ed accostare in<br />

piena libertà espressiva, con un’apparente levità.<br />

«Quella di Guerrini è una pittura intrisa di poesia,<br />

di ansie, di incertezze esistenziali, di irrequietezza, di<br />

ripensamenti: è però un suo preciso e sentito modo di<br />

essere presente, di sentire la pelle vicina alla vita» (Massimo<br />

Bignardi).<br />

(f.z.)


Il drappo, 2009<br />

Olio su tela, cm 70x80<br />

105


Gianni Guidi<br />

Gianni Guidi originario di Bologna (classe 1942), vive<br />

e lavora da più di cinquant’anni a Ferrara, dove, all’assidua<br />

attività artistica, ha affiancato l’insegnamento fino<br />

alla fine degli anni Novanta con la cattedra di Discipline<br />

Pittoriche presso l’allora Istituto d’Arte “Dosso Dossi”.<br />

Da sempre figura tra gli artisti di spicco della città,<br />

ha esposto in più occasioni al PAC, Padiglione d’Arte<br />

Contemporanea di Ferrara, ed è attivo già <strong>dagli</strong> anni<br />

Settanta presso svariate galleria che lo vedono esporre da<br />

Roma, a Milano, Bologna o Venezia, dal centro Culturale<br />

di Knokke a quello di Anversa in Belgio, terra in cui da<br />

anni espone regolarmente.<br />

Durante il suo percorso artistico Gianni Guidi ha<br />

106<br />

saputo raccontare lo spazio attraverso opere a cui la sola<br />

definizione di scultura può non bastare; ma dalle grandi<br />

installazioni ‘aeree’ degli anni Novanta, in cui l’evocazione<br />

dell’elica conferiva alla pesantezza del ferro tutta la<br />

lirica del volo, fino alle recenti terrecotte, raccolte nella<br />

personale “Natura Naturans” alla Galleria del Carbone,<br />

il filo conduttore della poetica di Guidi è il sapiente dialogo<br />

tra una visione filosofica della genesi universale e<br />

le pulsazioni più intime dell’Io.<br />

Gli uomini-albero di Guidi nella sapida ruvidezza della<br />

terra refrattaria esprimono un vortice inarrestabile. È<br />

un continuum biologico che non conosce limiti. La trasformazione<br />

è un flusso, un gioco della materia: non c’è<br />

mai sforzo ma continuo nascente vigore della creatività.<br />

Così tra sciamaniche figure di tartarughe alate, immagine<br />

collassante l’ideologia della stabilità dell’universo, ed<br />

intrecci sinuosi tra l’ibridazione del mondo animale con<br />

quello vegetale, le opere di Gianni Guidi ci conducono<br />

su di un piano simbolico di enigmatica suggestione.<br />

(f.z.)


Senza titolo, 2008<br />

Terracotta patinata, altezza cm 64x21x21<br />

107


ernesto lombardo<br />

Nasce nel messinese negli anni Quaranta e, dopo<br />

la prima attività artistica giovanile in Sicilia, dalla fine<br />

degli anni Sessanta si trasferisce prima a Milano poi ad<br />

Albissola, in Liguria, ed infine a Roma dove attualmente<br />

vive e lavora.<br />

Nei dipinti degli anni Ottanta del maestro siciliano si<br />

ripetono similarmente tre cardini di tutta la sua pittura di<br />

paesaggio, come variazioni del medesimo tema: il mare<br />

in lontananza, una landa desolata e qualche tocco di<br />

vegetazione residua. Elementi questi che non mancano<br />

di caricarsi metaforicamente, così come avviene anche<br />

per la strutturazione dello spazio che si dà nelle tele di<br />

Lombardo con gradi inquadrature, a volo d’uccello, tut-<br />

108<br />

te a favore di una visione terrena, che limita altrettanto<br />

metaforicamente lo spazio aereo, mai visto come fuga.<br />

L’aspetto materico di una terra greve ed opaca si perde<br />

in una profondità che lascia lo sguardo incollato al suolo<br />

senza trovare conforto in un cielo spesso velato.<br />

I paesaggi di Lombardo si caricano di ulteriore tensione<br />

rivelandosi vuoti o, allorquando animati, restando<br />

sempre nel più imperioso silenzio, anche di fronte alla<br />

contraddizione che si gioca tutta nel titolo. Come in<br />

“Canto delle sirene” in cui l’unica presenza in una terra<br />

magmatica è un grammofono d’altri tempi, che si trova<br />

nella più completa inutilità dell’essere: per quanto plausibile<br />

l’ipotesi del suo funzionamento, non vi è anima<br />

viva che potrebbe udirlo. O come nella tela “Dal piccolo<br />

oracolo”, in cui ancora una volta l’unico elemento ad<br />

intromettersi nella natura è un manufatto: una piccola<br />

sfinge di pietra a cui il tempo o l’incuria hanno inesorabilmente<br />

distrutto la testa. Così la statua resta lì, carica<br />

di tutte le aspettative che l’umanità può averle riversato<br />

addosso, in cerca di risposte, di un oracolo appunto, che<br />

non verrà, lasciando imperare su tutto la natura.<br />

Il suo linguaggio pittorico contribuisce a rafforzare le<br />

ideologie delle tematiche: la mancanza di pittoricismi, o di<br />

ricorsi ad un romanticismo patemico, fanno della pittura<br />

di Lombardo una pittura senza “gesto”, tutta incentrata<br />

sul lucido calcolo e sulla struttura analitica della composizione.<br />

Anche il sapiente uso dei contrasti cromatici si<br />

piega ad un clima gelido, non fantasioso, bensì visionario<br />

che non abbandona mai una realtà di base.<br />

(f.z.)


Dal piccolo oracolo, 1989<br />

Olio su tela, cm 100x120<br />

109


Piero Maggioni<br />

(Monticello Brianza 1931 – Viganò 1995)<br />

Nel 1933, a causa della morte dei genitori, entra<br />

nell’Istituto Don Guanella di Como dove resterà sino al<br />

1944. All’inizio del secondo dopoguerra si iscrive al corso<br />

serale di disegno presso il Castello sforzesco. Dopo una<br />

esperienza come disegnatore di gioielli si dedica maggiormente<br />

all’arte ponendosi a cavallo delle due linee<br />

che in quel momento catalizzano il mondo dell’arte: il<br />

neorealismo e l’arte astratta.<br />

Negli anni Sessanta l’esperienza di Albissola gli permette<br />

di venire a contatto con un ambiente artistico<br />

particolarmente interessante. La coroplastica diventa il<br />

110<br />

naturale accesso al mondo della scultura.<br />

In quegli anni stringe amicizia con molti artisti famosi:<br />

tra gli altri si lega in particolare Wifredo Lam, l’artista cinese-cubano<br />

che sarà il principale fattore di cambiamento<br />

della pittura di Maggioni. L’incontro con Picasso, amico<br />

di Lam, porta il nostro artista a riflettere sul suo stile e la<br />

sua arte. È la scoperta della scomposizione geometrica<br />

a discapito della figurazione. L’ispessimento della trama<br />

materica segna anche la sua piena maturità pittorica.<br />

Maggioni comincia a riscuotere grandi consensi nazionali<br />

e internazionali e le sue opere si trovano in moltissime<br />

importanti gallerie pubbliche italiane ed estere.<br />

Negli anni Ottanta il tema sacro diventa prioritario<br />

con un conseguente ritorno al figurativo. Riprende un’attività<br />

intensa soprattutto in campo scultoreo. La pittura<br />

riprende nelle intermittenze della malattia negli anni<br />

Novanta con le “Microstorie ciclistiche”. La bicicletta è<br />

stata l’altra grande passione di Maggioni.<br />

Muore a Viganò nel 1995, sconfitto dalla malattia che<br />

lo tormentava da anni.


Oggiono<br />

Olio su tela, cm 40x50<br />

111


Valle, 1991<br />

Olio su tela, cm 25x70<br />

Autunno nella valle, 1990<br />

Olio su tela, cm 30x90<br />

112


113


Alessandro Marzetti<br />

Lo scultore è nato a Volterra (Pisa), dove vive e lavora.<br />

Dopo il diploma di maturità all’Istituto d’Arte di<br />

Volterra nella sezione alabastro, si diploma in scultura<br />

all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Ha un fornito<br />

curricolo come docente e scenografo.<br />

Nel 2001 partecipa come docente di scenografia ai<br />

corsi di formazione professionali annuali di teatro indetti<br />

dalla Provincia di Pisa. Dallo stesso anno è scenografo<br />

della Compagnia della Fortezza, diretta da Armando<br />

Punzo. Successivamente realizza una collezione di modelli<br />

di studi architettonici di “spaziologia” dell’architetto<br />

Vittorio Giorgini, noto rappresentante della scultura<br />

informale.<br />

114<br />

Vanta una intensa attività espositiva in Italia e all’estero.<br />

Partecipa a numerosi simposi di scultura nazionali e<br />

internazionali.<br />

L’opera donata è una installazione di alabastro e di<br />

ferro. La scultura fa parte della serie che l’artista chiama<br />

“disegni di pietra”. Al centro della ingabbiatura di ferro,<br />

in cui gabbia e piano formano un unico pezzo, un torso<br />

femminile di alabastro galleggia nella trasparenza della<br />

luce.<br />

Quella dei “disegni di pietra” è una sorta di disegno<br />

tridimensionale che Marzetti ama molto. Sono sculture<br />

in alabastro realizzate da un unico blocco di pietra che<br />

viene scarnificato fino all’esasperazione, fino a far rimanere<br />

visibile solo l’essenza del soggetto rappresentato.<br />

Il materiale asportato è di molto superiore a quello che<br />

rimane.<br />

È questo processo artistico un voluto portare all’eccesso<br />

la lavorazione manuale in un’epoca in cui l’arte<br />

dà molta importanza unicamente all’idea, al concetto,<br />

tralasciando spesso l’esecuzione che viene delegata<br />

all’artigiano.<br />

Nei suoi disegni di pietra è il vuoto che dà la forma;<br />

sono dei bellissimi nastri di pietra lavorata che racchiudono<br />

porzioni di vuoto. Come nello svolgimento di una<br />

partitura musicale anche nella scultura senza la pausa, il<br />

vuoto, la materia non avrebbe da sola il potere di rappresentare<br />

un’immagine.


Torso femminile<br />

Installazione in alabastro e ferro, cm 82x37,5x37,5<br />

115


dino Masella<br />

Nasce in provincia di Benevento nella metà degli anni<br />

Cinquanta, ma si trasferisce presto a Roma, subendo il<br />

fascino di un ambiente dove storia, archeologia e arte<br />

non hanno confini. È qui che a tutt’oggi vive e lavora,<br />

dividendo la sua passione per l’arte con la professione<br />

medica.<br />

Il suo approccio alla pittura è avvenuto tramite un<br />

lungo percorso, in cui anche la scoperta del variare dei<br />

toni all’interno di un colore ha avuto il sapore di uno<br />

straordinario traguardo.<br />

Sarà l’incontro con Marcello Venturoli, autorevole<br />

critico d’arte, giornalista e saggista, a fargli superare<br />

ogni residua incertezza e a sviluppare in lui una maggior<br />

116<br />

consapevolezza della pratica artistica.<br />

La pittura di Dino Masella si svolge nella sfera esistenziale<br />

dell’individuo, tenta di dar luce alle motivazioni<br />

dell’essere attraverso una espressione affine alla grande<br />

stagione informale americana, come quella che possiamo<br />

ritrovare nell’opera di Mark Tobey.<br />

Nelle sue tele lo spazio riemerge in una superficie<br />

continua, in una dinamica, in una ritmica che proiettano<br />

la tela nella mondanità contemporanea. <strong>Le</strong> linee graffite<br />

si dispiegano con una persistenza organica, quasi di<br />

scrittura interiore, priva di inizio come di fine e incidono<br />

il colore-materia con una ossessiva ricerca di equilibrio.<br />

Masella affronta l’aspetto cromatico delle sue tele<br />

con sfumature piene, in densi strati, con cui esplora il<br />

mondo poetico ed irrazionale dell’immaginazione, in<br />

dipinti dalla grande carica interiore tendente ad affermare<br />

una realtà “altra”, una realtà spirituale. La forza di alcuni<br />

dei suoi quadri risiede proprio nella capacità di arrivare<br />

all’osservatore e di incoraggiare la meditazione, pur senza<br />

alcun riferimento visibile al mondo reale, grazie alla loro<br />

grande carica gestuale.


Senza titolo, 2008<br />

Olio su tela, cm 100x140<br />

117


Adriana Mastellari<br />

Adriana Mastellari, ferrarese, dopo aver frequentato<br />

la Scuola del Libro di Urbino, l’Istituto d’Arte “Dosso<br />

Dossi” di Ferrara, si diploma in scultura all’Accademia<br />

delle Belle Arti di Bologna dove ha avuto come maestri<br />

Umberto Mastroianni e Dante Carpigiani.<br />

Dai busti e dai ritratti degli esordi, alle sculture sulla<br />

ritualità del potere degli anni Ottanta, dai paesaggi<br />

dell’anima degli anni Novanta alle grandi sculture<br />

simbolico-evocative degli anni Duemila, tutto testimonia<br />

la straordinaria vitalità espressiva e la qualificata abilità<br />

tecnica che la nostra scultrice possiede in alto grado.<br />

Quella che emerge nell’arte di Adriana, come ama farsi<br />

conoscere, è la permanenza di una grande intelligenza<br />

118<br />

dello spazio che viene indagato con infinita passione,<br />

senso d’ironia e di autentica convinzione creativa. La<br />

sua è veramente una coscienza agente sempre presente<br />

a se stessa.<br />

<strong>Le</strong> figure femminili sono preminenti nelle sue opere.<br />

Tensioni diverse aprono lo spazio concettuale del suo<br />

mondo secondo modulazioni che indagano il rapporto<br />

problematico che l’individuo organizza con lo spazio<br />

che lo circonda. Uno spazio che, occorre ricordare, non<br />

è solo naturalistico ma anche sociale, politico, culturale<br />

e religioso.<br />

Si comprendono in questo senso gli slittamenti di<br />

segno tra le tensioni del potere e le pulsioni individuali.<br />

Anche l’urlo disperato e autentico di rivendicazione<br />

dell’unità della persona assume allora pienamente il suo<br />

significato.


L’urlo, 1980<br />

Bronzo, cm 52x21x57<br />

119


terry May<br />

Terry May nasce alla fine degli anni Sessanta, si forma<br />

presso l’Accademia di Belle Arti di Roma con il Maestro<br />

Enzo Brunori. Trasferitasi a Ferrara, instaura uno stretto<br />

legame con la città, che cita spesso nei suoi lavori, come<br />

‘luogo’ per eccellenza, e dove da alcuni anni ha avviato<br />

la “Terry May Home Gallery”.<br />

Il titolo del suo lavoro qui presentato, estremamente<br />

biografico, si riferisce alla cagnolina nota come Laika che<br />

fu, suo malgrado, uno dei protagonisti della conquista<br />

spaziale da parte dell’umanità: i sovietici la lanciarono in<br />

orbita nello spazio il 3 novembre del 1975 a bordo della<br />

capsula spaziale Sputnik 2.<br />

Terry May le rende omaggio attraverso la piccola<br />

120<br />

immagine di un aereo e una stella cometa, ottenuta dal<br />

frottage di un oggetto puerile, come un vecchio campanello<br />

per bicicletta. La stessa May confessa di essere<br />

molto affascinata da questa storia, tanto che questo<br />

riferimento compare in più di una sua opera e apre un<br />

ciclo pittorico dedicato appunto a Laika.<br />

Sfondo all’evocazione di questo personaggio lost in<br />

space, un frammento della mappa della città di Ferrara,<br />

nel particolare del castrum bizantino, zona di residenza<br />

della stessa autrice, in cui al posto delle nomenclature<br />

delle vie sono stati sostituiti altrettanti frottage presi da<br />

lapidi sacre presenti negli stessi luoghi, sotto forma di<br />

preghiere e raccomandazioni per l’anima.<br />

«L’unica frase che ho voluto aggiungere è quella che<br />

recita: - perché la terra è nuova e non si sa come camminarla<br />

- .Volevo far sì che ci si affidasse alle parole che<br />

si trovano, alle strade già segnate». Il lavoro lascia così<br />

trapelare il desiderio di ridisegnare il significato dei gesti<br />

quotidiani, anche con un semplice intervento pittorico<br />

libero da qualsivoglia ipocrisia.<br />

(f.z.)


Laika, 2010<br />

Tecnica mista, cm 172x141<br />

121


elio Mazzella<br />

Nato a Napoli, Elio è il minore dei fratelli Mazzella<br />

che costituiscono una presenza particolarmente attiva e<br />

preziosa nel complesso scenario artistico contemporaneo<br />

napoletano. Elio Mazzella (classe 1938) segue studi<br />

umanistici e si laurea in giurisprudenza. Eppure la sua<br />

pulsione verso il mondo dell’arte lo induce a seguire le<br />

orme del padre, Mariano, pittore e restauratore, allievo<br />

di Michele Cammarano. È in questo contesto parentale<br />

che Elio matura il suo tirocinio artistico.<br />

<strong>Le</strong> sue prime prove vengono accolte positivamente<br />

<strong>dagli</strong> artisti che frequentano d’abitudine lo studio paterno.<br />

<strong>Le</strong> potenzialità del giovane Mazzella trovano la giusta rispondenza<br />

nel mecenatismo di Armando D’Abundo che<br />

122<br />

ne favorisce l’esordio nel mondo dell’arte. Elio partecipa<br />

a mostre collettive e personali.<br />

Altro significativo incontro per la sua vita professionale<br />

è quello con Palma Bucarelli, direttrice della Galleria<br />

d’Arte Moderna di Roma e ascoltata critica d’arte, che<br />

ne apprezza il talento e interviene più volte a segnalare<br />

l’artista in varie occasioni.<br />

In particolare è proprio la ricerca sui “cementi” a interessare<br />

la critica. Il cemento nell’eleganza del monocromo<br />

bianco segna come la messa a nudo del significante.<br />

Elio Mazzella vuole con questa sua scelta nell’ambito<br />

dell’Informale spogliare la sua pittura dei significati stabiliti,<br />

non tanto per operare una rivelazione di un senso<br />

nascosto quanto per agire in una esplorazione insistita<br />

dei costituenti del segno.<br />

Dal 1990 si dedica anche alla scultura. Realizza con “I<br />

fantasmi della guerra” delle opere che recuperano reperti<br />

bellici della seconda guerra mondiale. Come giustamente<br />

scrive Mimma Sardella. «La forma e l’armonia appaiono<br />

nei manichini del maestro come un progetto virtuoso,<br />

eseguito con perizia d’autore. Al di là del materiale che<br />

le compone, le figure portano dentro e fuori le loro fattezze<br />

mimate, rese con i reperti bellici, ma con la dignità<br />

taumaturgica che solo un esperto curatore può conferire».<br />

L’artista che ha nel suo curricolo numerose mostre<br />

personali e collettive in Italia e all’estero, nel 2011 ha<br />

partecipato alla 54 a Biennale di Venezia.<br />

Vive e lavora a Napoli e Roma.


Senza titolo, 2006<br />

Tecnica mista, cm 100x125<br />

123


luigi Mazzella<br />

Nato a Napoli, Luigi è il secondo per età dei tre<br />

fratelli Mazzella che costituiscono una presenza particolarmente<br />

attiva e preziosa nel complesso scenario<br />

artistico contemporaneo napoletano. A partire dal 1970<br />

la loro presenza diventa sempre più significativa in ambito<br />

nazionale e internazionale, a dimostrazione di quanto il<br />

processo autonomo e originale delle loro ricerche sappia<br />

rinnovare continuamente una produzione di alta qualità<br />

tecnica e poetica.<br />

Luigi Mazzella (1936) a Napoli vive e lavora. È allievo<br />

di Ennio Tomai (L’Aquila 1893-Napoli 1969) che comprende<br />

le inclinazioni del giovane allievo e le asseconda.<br />

La lezione è duplice sia a livello delle acquisizioni tecniche<br />

124<br />

sia sul grado di affinamento del gusto e del sentire.<br />

Si dedica anche all’insegnamento mentre prosegue la<br />

sua ricerca nel mondo complesso della scultura del Novecento.<br />

È nello studio di Villa Haas, lasciatogli in eredità<br />

dal suo adorato maestro, che persegue la sua battaglia con<br />

la materia e la sua natura polimorfa. Inerzia e dinamicità<br />

segnano il ritmo delle azioni da compiere per cogliere le<br />

dinamiche dello spazio e delle tensioni.<br />

Il bronzo, il legno, l’argento, la ceramica, il ferro, il<br />

marmo e la pietra ma anche il piombo servono al nostro<br />

artista per esprimere quanto la scultura, pur partendo<br />

dal reale, riesca ad esprimersi senza darsi uno statuto<br />

figurativo.<br />

Eppure Palma Bucarelli osserva come «il sentimento<br />

di una forma primaria piena e monumentale è così intrinseco<br />

al suo pensiero che certe sue piccole sculture si<br />

potrebbero facilmente immaginare in grandi dimensioni<br />

in un contesto urbano». Quello che interessa al nostro<br />

artista è proprio la contestualizzazione nella scultura di<br />

un sentire diffuso e partecipato.<br />

Luigi Mazzella prosegue la sua attività con molte<br />

mostre personali e collettive in Italia. Nel 2011, su invito,<br />

partecipa alla 54 a Biennale di Venezia.


Forma<br />

Bronzo, cm 65x25x15<br />

125


osario Mazzella<br />

Nato a Napoli (1932), dove vive e lavora, Rosario è il<br />

maggiore dei tre fratelli Mazzella che costituiscono una<br />

presenza particolarmente attiva e preziosa nel complesso<br />

scenario artistico napoletano contemporaneo. Dopo aver<br />

lavorato insieme per un ventennio, <strong>dagli</strong> anni Sessanta<br />

agli anni Ottanta, dal 2011 i tre fratelli hanno ripreso a<br />

lavorare e ad esporre insieme.<br />

La formazione artistica di Rosario avviene presso<br />

l’Istituto d’Arte “Filippo Palizzi” di Napoli dove ha<br />

come docenti Carlo Striccoli, Alberto Chiancone e Pietro<br />

Barillà. In effetti è l’ambiente stesso di famiglia che<br />

motiva la sua scelta: il padre, Mariano Mazzella, pittore<br />

e restauratore, è stato allievo di Michele Cammarano.<br />

126<br />

Versato alla figurazione, sin dalle prime prove lascia<br />

intendere lo sviluppo della sua arte. Si trasferisce dopo<br />

il diploma a Pozzuoli per rientrare a Napoli intorno alla<br />

fine degli anni Cinquanta. Viene nominato docente di<br />

Discipline pittoriche nello stesso Istituto d’Arte in cui<br />

era stato studente.<br />

Nel mondo di sollecitazioni dei movimenti del secondo<br />

dopoguerra il nostro artista «assume una cifra<br />

autonoma, affatto distante dalle più spinte esercitazioni<br />

della ricerca. Si avvale di tecniche raffinate, dalla pittura<br />

postimpressionistica, al simbolismo e all’espressionismo<br />

europeo senza dimenticare il classicismo e il secentismo<br />

puro» (Giuliana Albano). Quella di Rosario è un’arte<br />

che coniuga impegno e poesia. La scena pittorica che la<br />

sua visione del mondo squaderna davanti agli occhi del<br />

riguardante testimonia la confluenza di fonti diverse e del<br />

tutto eterogenee tra loro che trovano un loro equilibrio<br />

sullo spazio della tela. Dalle istanze della classicità alla<br />

cultura delle saracinesche dipinte, tutto nelle sue opere<br />

vi compare di più istintivo, fluido e lucido al massimo<br />

grado. È una lettura intelligente del mondo in piena<br />

metamorfosi; è la cosciente presa d’atto della memoria<br />

storica della città. Questo contesto gli permette di sviluppare<br />

quella modalità espressionistica che lo condurrà<br />

all’astrattismo informale.<br />

Partecipa a numerose mostre personali e collettive in<br />

Italia e all’estero. Nel 2011 partecipa, su invito, alla 54 a<br />

Biennale di Venezia.


Sinopia di edicola urbana<br />

Tecnica mista su iuta, cm 138x110<br />

127


Mario Minarini<br />

Nasce a Firenze, dove vive e lavora. Qui, ripercorrendo<br />

la tradizione fiorentina che da sempre vede giovani<br />

artisti, in primis Sandro Botticelli, sviluppare il senso del<br />

disegno e della composizione d’arte grazie alla formazione<br />

in botteghe orafe, Minarini si diploma in oreficeria<br />

presso l’Istituto d’Arte della sua città.<br />

Agli inizi del millennio fa il suo ingresso nel mondo<br />

espositivo anche grazie al pittore Valerio Mirannalti,<br />

artista con il quale condividerà un ininterrotto percorso<br />

tematico. La sua formazione prosegue studiando pittura<br />

ad olio con il Maestro Alessandro Berti, oltre che Figura<br />

disegnata alla Scuola Libera del Nudo dell’Accademia di<br />

Belle Arti di Firenze, con Sandra Batoni.<br />

128<br />

Nel 2005 entra nel Gruppo Mazzon, dove frequenta<br />

il maestro Osvaldo Curandai. Da allora i riconoscimenti<br />

non tardano ad arrivare, ricevendo nel 2008 il Fiorino<br />

d’Argento al “Premio Firenze”, con l’opera “Manichino”,<br />

mentre nel 2010 viene pubblicato in catalogo Alinari con<br />

una menzione speciale per il concorso “Premio Vittorio<br />

Alinari”.<br />

Minarini trasmette nei suoi dipinti tutto il mestiere<br />

sapiente della precisione artigiana, affrontando la tecnica<br />

pittorica e disegnativa con ossessiva diligenza, senza<br />

trascurarne il racconto figurativo.<br />

I suoi lavori, raggruppabili in grandi serie tematiche,<br />

vanno dai primi paesaggi toscani in cui si evince il suo<br />

rapporto con la terra d’origine e la sua storia, alla ritrattistica<br />

in cui, grazie alla precisione derivante dall’esperienza<br />

orafa, Minarini sa eccellere rubando l’intima psicologia<br />

di ogni soggetto, tra cui si ricorda la serie omaggio al gallerista<br />

ferrarese Renzo Melotti, fondatore dell’omonimo<br />

Studio già nel 1978 e personaggio di spicco nel mondo<br />

artistico, che con il suo lavoro a Ferrara ha contribuito<br />

alla diffusione di artisti di fama internazionale.<br />

(f.z.)


Ritratto di Renzo Melotti, 2009<br />

Olio su tela, cm 70x50<br />

129


Natura morta<br />

Olio su faesite, cm 82x112<br />

Ritratto di Renzo Melotti, 2009<br />

Olio su tela, cm 70x50<br />

130


131


Valerio Mirannalti<br />

Valerio Mirannalti è un giovane artista fiesolano che<br />

unisce all’operatività del grafico multimediale quella del<br />

pittore e dello scultore. La manualità diventa una sorta<br />

di gioco di compensazione della virtualità dell’immagine<br />

che nasce sul supporto. Creare un luogo per essere. La<br />

natura dipinta dal nostro artista non è tanto volta alla<br />

ricerca della mimesi fine a se stessa quanto piuttosto alla<br />

sollecitazione di un gioco in cui il ricordo di incidenze e<br />

stilemi riportano alla tradizione macchiaiola.<br />

Quello di Mirannalti diventa insomma un corteggiamento<br />

del mondo circostante da parte di un occhio<br />

affascinato, pronto a rilevare pieni e vuoti, silenzi e ritmi<br />

delle cromie. Con l’opera “Faggi alla Colla” l’artista<br />

132<br />

movimenta il supporto facendolo diventare quasi un<br />

bassorilievo. Lo splendido bosco di faggi del Passo della<br />

Colla, sull’Appennino toscano, sopra Borgo San Lorenzo<br />

(Firenze), diventa un’occasione per saggiare una nuova<br />

frontiera della pittura.<br />

Il supporto, costituito dalle pagine gialle degli elenchi<br />

telefonici incollate sulla tela, assume il ruolo o, come<br />

suggerisce l’artista, diventa anche un modo di raccontare<br />

una sua storia. Non più supporto inerte e fungibile, si fa<br />

parte importante della narrazione. Diventa esso stesso<br />

“racconto” nella storia che l’artista ci rappresenta per<br />

immagini.<br />

Il bosco autunnale con la precaria stabilità delle foglie<br />

viene reso con tagli rinforzati che escono dalla dimensionalità<br />

del supporto per permettere allo spettatore di<br />

entrare in una realtà frantumata e ricomposta dall’occhio<br />

dell’artista e del riguardante. La tecnica mista di tempera,<br />

olio con rialzi di gessetto e di acrilico rende bene la sinfonia<br />

cromatica dell’autunno. Pittura-scultura, l’opera segna<br />

il passaggio alla nuova fase creativa dell’artista segnata da<br />

una stagione di sculture di grandi dimensioni.


Faggi alla Colla<br />

Tecnica mista su tela, cm 120x120<br />

133


Matteo Nannini<br />

Nato a Bologna, vive e lavora a Cento (Ferrara). È il<br />

fratello minore del pittore Nicola Nannini.<br />

Si diploma presso il liceo artistico “F. Arcangeli” di<br />

Bologna e successivamente presso l’Accademia di Belle<br />

Arti di Bologna. Dal 1998 insegna disegno e pittura presso<br />

la Scuola di Artigianato <strong>Artisti</strong>co di Cento. Dal 2001 è<br />

insegnante di disegno e pittura presso il Club delle Arti<br />

di Finale Emilia (Modena).<br />

Tagli fotografici e suggestioni proprie della comunicazione<br />

di massa rappresentano una sorta di smodata<br />

variante dell’uomo come personaggio. In un continuo<br />

corteggiare o negare gli stilemi dell’illustrazione, gli<br />

stereotipi, i vissuti del nostro tempo il nostro artista<br />

134<br />

esplora un suo spazio totalmente aperto alle problematiche<br />

esistenziali.<br />

Quasi scatti di un movimento franto e ripreso al rallentatore,<br />

quella di Matteo Nannini è una approfondita<br />

riflessione sulla pittura figurativa nel nostro tempo. Ogni<br />

suo personaggio descrive una ritmica sequenza di azioni<br />

colte con il fermo-immagine. <strong>Le</strong> sue serie sono una<br />

messa a fuoco dell’azione del dipingere. La variazione<br />

della materia pittorica, infatti, è costruita in parallelo al<br />

variare del dislocamento e della distribuzione del corpo<br />

illuminato nei diversi stati della materia in cui si trova.<br />

La serie delle “discariche”, di cui l’opera donata fa<br />

parte, è una personale riflessione dell’artista sul nostro<br />

periodo storico. Anche se non esplicitamente espressa,<br />

la serie è la narrazione visiva delle critiche di Zygmunt<br />

Bauman alla moderna società liquida. A Matteo Nannini<br />

interessa soprattutto la meditazione sull’attuale condizione<br />

in cui versa lo spirito umano, incurante e alla deriva,<br />

totalmente governato da regie occulte. In realtà tali<br />

regie sono ancor più subdolamente oscure visto che lo<br />

“smistamento dei rifiuti” (o lo stoccaggio per categorie)<br />

avviene alla luce del sole.


Area 51, 2008<br />

Olio su tela, cm 150x240<br />

135


Nicola Nannini<br />

Nato a Bologna, vive e lavora a Cento (Ferrara). È<br />

il fratello maggiore del pittore Matteo Nannini. Dopo<br />

il liceo classico frequenta l’Accademia di Belle Arti di<br />

Bologna.<br />

Conosciuto dal grande pubblico e <strong>dagli</strong> specialisti soprattutto<br />

per i suoi “Notturni”, il pittore non dimentica<br />

quella che è stata la sua passione iniziale per la figura. <strong>Le</strong><br />

sue figure navigano in uno spazio che possiede lo straniamento<br />

della familiarità. <strong>Le</strong> istanze del reale colloquiano<br />

con precise coordinate cognitive per una riformulazione<br />

del fenomeno percettivo che coinvolge insieme il pittore<br />

e l’osservatore.<br />

Quella di Nicola Nannini è una pittura colta, per<br />

136<br />

ascendenze e referenze. <strong>Le</strong> sue passioni per la pittura<br />

nordica, in particolare mitteleuropea, sono note e lasciano<br />

testimonianze e margini di riprese continue nelle<br />

sue composizioni. È la volontà di creare un “vedere di<br />

nuovo” che non rinnega mai i saperi della tradizione,<br />

ma non esclude la riflessione della pittura sul labirinto<br />

del mondo.<br />

Nannini riformula sulle tele “cose” che sono piccoli<br />

spaccati di mondi antropologicamente in bilico tra la<br />

rivendicazione di uno statuto di autonomia e il rischio<br />

della perdita di identità personale. La vera difficoltà della<br />

vita è di provare la sensazione di essere sempre cacciati<br />

fuori da un Eden perduto e mai pronti a riformularne<br />

uno nuovo.<br />

<strong>Le</strong> figure che il nostro artista delinea nelle grandi tele<br />

si giocano la partita della vita mentre galleggiano in uno<br />

spazio in cui solo gli oggetti sembrano definire precisi<br />

ambiti di appartenenza.<br />

Giochi di ruolo, di potere, di status rinviano ad una<br />

dimensione della vita dove non si smette mai d’imparare,<br />

deviando da altre direzioni dell’esistenza.<br />

La finezza delle cromie equilibra la prontezza delle<br />

pennellate, ora più evidenti ora totalmente fuse nelle<br />

mestiche. La capacità della composizione si apre di volta<br />

in volta ad una narrazione figurata di grande impatto<br />

emotivo e visivo, continuamente sospesa tra attrazione e<br />

timore per le infinite aperture che il “possibile” consente.


Interno, 2003<br />

Olio su tela, cm 200x150<br />

137


olando Nicodemi<br />

Nasce nei primi anni Venti a Ferrara, dove vive e<br />

lavora. Fino dall’infanzia si dimostra appassionato del<br />

disegno e della pittura. Autodidatta, nella seconda metà<br />

degli anni Quaranta inizia a interessarsi sistematicamente<br />

di pittura. Dipinge en plein air sulle rive del Po.<br />

La sua prima mostra collettiva, insieme a Masotti,<br />

De Stefani e Sfarzi, è del 1961 alla Galleria “Isonzo”<br />

di Ferrara, seguita nel 1967 dalla prima personale alla<br />

Galleria “La Linea”, sempre nella città estense. Altra<br />

tappa importante nel suo percorso la personale del 1970<br />

alla Galleria “Borgo dei <strong>Le</strong>oni”. Inizia un curricolo che<br />

lo vede ugualmente impegnato come scultore e come<br />

pittore.<br />

138<br />

Fino a pochi anni fa il nostro autore gestiva una<br />

galleria-atelier molto frequentata da artisti amici e da<br />

estimatori.<br />

Nell’opera di Nicodemi oltre alla lezione di Morandi<br />

sono presenti altre voci di artisti che hanno significato<br />

molto e l’impronta dei quali è ancora ben visibile. Possono<br />

essere citati Degas e Toulouse-Lautrec, per fare un<br />

esempio, ma anche altri francesi contemporanei, come<br />

Balthus.<br />

Dopo moltissime personali e collettive di successo in<br />

molti luoghi espositivi italiani, Nicodemi matura una sua<br />

cifra stilistica che lo ha reso famoso e stimato ovunque.<br />

<strong>Le</strong> sue opere come tarsie di legni chiari e preziosi<br />

descrivono un mondo che è insieme familiare e surreale,<br />

quotidiano e straniante. La luce estenuata nei toni viene<br />

esaltata dal colore dato a corpo.<br />

È uno stile tutto suo, in cui la leggerezza, l’eleganza<br />

cromatica e la onnipresenza di una luce diffusa divengono<br />

le chiavi identificative della sua espressività.<br />

Una lucida tensione trascorre in queste epifanie<br />

dell’esistere. Il passato e il presente nel fluire degli attimi<br />

prendono forma. L’arte e la vita congiungono nelle figure<br />

parvenze infinite di finzioni e di statuti di realtà.


Il pittore e la modella<br />

Olio su tela, cm 130x160<br />

139


Bimba con melograni<br />

Terracotta patinata, cm 115x42x35<br />

140


141


teresa Noto<br />

L’artista è nata a Palermo, vive e lavora nella sua casastudio<br />

a Correggio Micheli, nel Parco del Mincio, nel<br />

comune di Bagnolo San Vito, in provincia di Mantova.<br />

Al suo attivo si contano numerose mostre personali<br />

e collettive, in Italia e all’estero, che documentano una<br />

ben determinata operatività e una volontà di mettersi in<br />

gioco ogni volta per stabilire nuovi traguardi e raggiungere<br />

nuove mete nel percorso che sta intraprendendo.<br />

<strong>Le</strong> figure giganti sono una caratteristica della sua<br />

modalità di artista. Dal periodo iniziale a quello più recente<br />

il colloquio con il corpo è diventato una cifra ben<br />

riconoscibile del suo curricolo.<br />

In queste figure fuori scala si possono anche vedere<br />

142<br />

delle affinità con la Transavanguardia, ma è attraverso<br />

tappe successive che l’impatto visivo di quei corpi si è a<br />

poco a poco smorzato nella esplosione vitale delle forme.<br />

È prevalsa, infatti, un’altra istanza quella, cioè, dell’insopprimibile<br />

fisicità del corpo, ora visto come un corpo/<br />

pietra, ora statua ora come ritaglio di cielo.<br />

In questa ricerca sugli statuti del corpo è proprio la<br />

conoscenza dei materiali e delle materie pittoriche a suggerire<br />

alla fine l’approccio tecnico più adatto ad affinare<br />

nuove modalità espressive.<br />

Come scrive Vittorio Sgarbi, la nostra pittrice è<br />

«l’artista maieuta, che asseconda la materia, la legge, la<br />

interpreta, stabilisce un rapporto vitale con essa, senza<br />

mai dimenticarsi di considerarla come “grande madre”».<br />

La materia contiene in sé la prima luce della creazione.<br />

Spetta proprio all’artista con le sue manipolazioni, con<br />

le sue arti portare fuori, allo scoperto, quanto di più delicato<br />

possa esserci nei nostri rapporti con la realtà fisica<br />

e psichica del mondo.


Torso, 2005<br />

Olio su tela, cm 140x140<br />

143


Marisa occari<br />

Carolina Marisa Occari, nata nella transpadana estense,<br />

vive e lavora a Ferrara. L’artista appartiene alla linea<br />

più bella della storia dell’incisione del nostro secondo<br />

Novecento e di questo primo decennio del nuovo millennio.<br />

Non tutti sanno quanto il burbero Giorgio Morandi,<br />

suo maestro all’Accademia di Bologna, sia stato prodigo<br />

di attenzioni per questa allieva che avrebbe dovuto essere<br />

la sua assistente alla cattedra d’incisione. La personalità<br />

riservata di Marisa ha deciso altrimenti, anteponendo le<br />

ragioni della famiglia a quelle della carriera.<br />

Eppure l’opera incisoria che è riuscita a realizzare ci<br />

parla di una qualità altissima della mano, di una estrema<br />

144<br />

finezza dell’occhio che guarda e di una sapiente visione<br />

e conoscenza del mondo della calcografia. I luoghi del<br />

Polesine e del delta del Po sono i luoghi della famiglia,<br />

della quotidianità dei sentimenti, ma sono pure i “luoghi<br />

dell’anima”, della sua anima. Sono come sublimazioni<br />

della sua passione incisoria; è insieme l’intensità e la<br />

purezza di un segno che canta sullo spazio della lastra la<br />

sua raggiunta autonomia. I registri del bianco, del nero e<br />

del grigio rivendicano allora lontane ascendenze di una<br />

tradizione alta, riportata nella modernità con il vigore<br />

della leggerezza.<br />

C’è però in tutta l’opera di Marisa Occari una sorta<br />

di dolcissima “sprezzatura”. Accanto alle conoscenze<br />

delle tecniche tradizionali convivono i colpi d’ala del suo<br />

modo originalissimo di porsi nello scoprire il lato segreto<br />

delle cose. È nella dolcezza del ricordo che lo sguardo<br />

dell’artista si fa più incisivo e capace di cogliere il senso<br />

del fluire della vita.


Pestasale con rose secche, 1996<br />

Acquaforte, mm 310x300, esemplare XIX/XX<br />

145<br />

Cactus con ciotola, 1996<br />

Acquaforte, mm 300X150, esemplare X/X


Grande pioppo sul Po, 1999<br />

Acquaforte, mm 235x320, esemplare XV/XX<br />

Vecchio ciliegio e colombaia, 1991<br />

Acquaforte, mm 180x329, esemplare<br />

146


Frutti autunnali, 1998<br />

Acquaforte, mm 210x300, esemplare 9/40<br />

Porta degli Angeli, 1997<br />

Acquaforte, mm 127x240, esemplare 14/60<br />

147


Villa Camerini controluce, 1989<br />

Acquaforte, mm 150x287, prova di stampa<br />

Alla foce, 1995<br />

Acquaforte, mm 115x284, esemplare 35/60<br />

148


149


Maria l. onestini<br />

Allieva del maestro ferrarese Giorgio Balboni, Maria<br />

Luisa Onestini presenta una dozzina di coloratissimi oli<br />

su tela di grande formato. Il tema ricorrente è la bellezza<br />

naturale della fauna alata che popola, “libera”, le acque<br />

interne oppure costiere. Il cielo aperto che le ospita viene<br />

come riflesso nelle posture che ce le rendono visibili.<br />

La nostra pittrice, accanto ad un lavoro di filologica<br />

adeguatezza, propone sempre le istanze della pitturapittura:<br />

l’occhio dello scienziato e del poeta possono<br />

finalmente trovarsi d’accordo. L’avifauna che l’Onestini<br />

delinea nelle sue tele ha proprio il fascino della mimesi<br />

della realtà ed insieme l’irrealtà di un impianto scenografico<br />

di contestualizzazione.<br />

150<br />

Nella realizzazione del suo teatro naturale del mondo<br />

alato le specie vivono come su di un palcoscenico della<br />

visione. Del tutto inconsapevoli, si concedono all’ammirazione<br />

dell’occhio dell’osservatore.<br />

In questi ultimi anni Maria Luisa Onestini, ferrarese<br />

pur se nata in Argentina, dedica agli animali un suo<br />

sguardo attento, puntuale e, direi, empatico. La cura con<br />

cui realizza, attraverso un uso prezioso della pennellata<br />

non evidente, il piumaggio degli uccelli oppure le loro<br />

posture nell’ambiente palustre richiama alla mente dello<br />

spettatore la necessità di superare una visione puramente<br />

ottica di questi “amici” per arrivare a cogliere un insieme<br />

di percezioni che riguardano un essere in carne ed ossa,<br />

pieno di paure, tensioni ed istinti. Ed è questa un’operazione<br />

mai neutrale, perché richiede una decostruzione del<br />

nostro modo di porci nei confronti del mondo naturale<br />

senza egoismi e sopraffazioni. Guardare gli animali diventa<br />

un nuovo modo per ricollocarci nel mondo.


“Pellicani” - Olio su tela, cm. 80x80<br />

151<br />

“Gheppio” - Olio su tela, cm. 80x80


Nemesio orsatti<br />

Nato a Pontelagoscuro (Ferrara) il 28 agosto del<br />

1912, frequenta l’Istituto d’Arte “Dosso Dossi” sotto la<br />

guida di Angelo Longanesi Cattani e, successivamente,<br />

l’Accademia di Belle Arti di Bologna con Virgilio Guidi.<br />

Dal 1950 entra a far parte del corpo docente del “Dosso<br />

Dossi”.<br />

L’attività espositiva di Orsatti è ricchissima, comincia<br />

nel 1934, quando è ancora studente, mentre l’ultima sua<br />

personale si tiene nel 1985, tre anni prima della morte.<br />

Quello che affascina sempre nella sua sicurezza di<br />

espressione è la capacità di muoversi attraverso le diverse<br />

tecniche artistiche con indifferenziata bravura. La calcografia<br />

non ha segreti per lui, così come l’affresco. Allo<br />

152<br />

stesso modo alla pittura si accompagna la scultura. È un<br />

potenziale immaginativo enorme che si attua secondo<br />

codici diversi.<br />

In tutte queste sue realizzazioni Orsatti coglie l’importanza<br />

della figura umana e dello spazio in cui essa vive.<br />

La Figura è l’elemento fondante della sua poetica. Ogni<br />

cosa comincia dal modo in cui la figura tiene lo spazio.<br />

Eppure i labirinti testuali dei corpi attivano una sorta di<br />

materializzazione di uno spazio narrativo che racconta<br />

il movimento interno ed esterno di essere nel mondo.<br />

<strong>Le</strong> opere <strong>donate</strong> connotano il luogo natale lungo le<br />

rive del Po. È un mondo anfibio di acque e terre che il<br />

grande fiume crea e distrugge. <strong>Le</strong> quattro incisioni sono<br />

un esempio di questa attenzione a partire dalla vecchia<br />

dogana (testimone di un tempo in cui il fiume era confine<br />

tra stati diversi) alle capanne in valle quando il fiume indugia<br />

a gettarsi in mare. <strong>Le</strong> terre bonificate sotto gli argini<br />

hanno la vitale importanza di cogliere la vita delle stagioni.<br />

<strong>Le</strong> acquaforti “Nevicata” e “Campagna ferrarese”<br />

richiamano le terre emerse al di qua e al di là del grande<br />

fiume. Allo stesso modo la tela con le aringhe riporta<br />

certe fascinazioni del realismo del secondo dopoguerra.


Natura morta con aringhe, 1954<br />

Olio su tavola, cm 50x60<br />

153


Campagna ferrarese, 1955<br />

Acquaforte, mm 180x246, esemplare 9/15<br />

Vecchia dogana, 1956<br />

Acquaforte, mm 190x245, esemplare 60/60<br />

154


Fattoria sotto la neve 1956<br />

Acquaforte, mm 80x246, esemplare<br />

Villaggio di pescatori, 1956<br />

Acquaforte, mm 780x255, esemplare 21/50<br />

155


Paolo Pallara<br />

Nato a Ferrara, dove vive e lavora, da molti anni<br />

sperimenta una pittura materica nella quale tensioni<br />

informali si accompagnano ad una matrice figurativa<br />

mai dimenticata.<br />

La sua pittura si presenta come un’avventura dello<br />

spirito in cerca di ragioni per l’esistenza e in questo<br />

andare trova immagini che mettono a fuoco i momenti<br />

fondamentali.<br />

Pallara ama la serialità. Ha bisogno, infatti, di ritornare<br />

ad approfondire, a scrutare le minime modificazioni<br />

degli aspetti indagati, tante e tali sono le variazioni dello<br />

spirito e del cuore, tanto numerose sono le sfaccettature<br />

dell’identità personale, tanto infinito è il lavoro di analisi<br />

156<br />

che come artista continuamente compie.<br />

All’interno del tema principale sono diverse le serie<br />

di approfondimento, complice non solo la scansione<br />

spaziale dei luoghi ma anche degli argomenti toccati. In<br />

tal modo la figura simbolo diventa riflessione di una più<br />

ampia considerazione sugli stati d’animo, sulle pulsioni<br />

di vita di ognuno di noi.<br />

<strong>Le</strong> sue opere, in quanto interpretazioni dei sentimenti<br />

provati dall’artista nei vari periodi della sua vita, sollecitano<br />

nello spettatore momenti di identificazione.<br />

Alcune serie sono maggiormente improntate al segno<br />

e meno al gioco delle sovrapposizioni o sottrazioni di<br />

materiali e smalti, dei piccoli inserti di carta o di garza,<br />

altre esaltano una sequenzialità che ricorda scansioni<br />

affettive, pulsioni, desideri ed emozioni.<br />

La pittura si fa in ogni caso meditazione del segmento<br />

di esistenza che spetta ad ognuno di noi, alla nostra<br />

piccola storia. Eppure la possibilità di creare legami con<br />

il destino di tutti offre una modalità di difesa di fronte<br />

alle forze della vita, alle sue problematiche ed ai suoi<br />

giochi di potere.


Il sentiero degli erranti, dittico, 2009<br />

Olio su tela, cm 95x209<br />

157


Stefania Palumbo<br />

Nasce in provincia di Brindisi. Attualmente vive e<br />

lavora a Carrara dove, oltre ad essersi specializzata in<br />

Mosaico <strong>Artisti</strong>co Pavimentale, ha conseguito il Diploma<br />

di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti.<br />

Negli anni ha partecipato a simposi internazionali di<br />

scultura, a mostre collettive ed esposizioni personali. È<br />

possibile ammirare alcune sue opere scultoree in spazi<br />

pubblici come ad esempio nei comuni di Fontanarosa, in<br />

provincia di Avellino, a San Pietro a Sieve, in provincia<br />

di Firenze, o come nel Parco Nazionale del Gran Sasso.<br />

La poetica del lavoro di Palumbo si pone al di là di<br />

ogni semplice artificio, cercando nella scultura l’essenza<br />

delle forme e delle cose, ricorrendo spesso alla rievoca-<br />

158<br />

zione di simboli atavici come la spirale, ma anche degli<br />

archetipi formanti utilizzati dall’uomo per lasciare le<br />

prime tracce della propria esistenza come il cerchio, il<br />

triangolo, l’ovale, tutti elementi che Palumbo utilizza per<br />

rievocare la base di ogni creazione naturale.<br />

La sua scultura è nitida, pervasa da rigore e semplificazione<br />

formale, unendo la passione per il marmo alla<br />

lavorazione delle pietre dure, utilizzate spesso come brevi<br />

inserti cromatici atti a sottolineare le parti più morbide<br />

dei modellati, come preziose lumettature materiche che<br />

emergono dalle superfici opache del marmo, come a<br />

sottolineare gli andamenti ascendenti, o i ritmi interni.<br />

(f.z.)


Dimora dei sogni<br />

Marmo di Carrara, cm 80x46x25 159 Retro scultura


Massimo Patroni Griffi<br />

Nato alla metà degli anni Cinquanta a Roma, si stabilisce<br />

a Formia in provincia di Latina, dove a tutt’oggi<br />

vive e lavora.<br />

Artista che ha saputo distinguersi non solo nel panorama<br />

partenopeo, annovera tra i suoi riconoscimenti,<br />

la presenza nell’Archivio Storico per l’Arte Italiana del<br />

Novecento per il Kunsthistorisches Institut in Florenz,<br />

nell’Archivio CID –Centro di Informazione e Documentazione<br />

per le Arti Visive – del Museo d’Arte Contemporanea<br />

di Prato, oltre che in altri numerosi cataloghi.<br />

Nel 2007 partecipa a Roma, in occasione del Centenario<br />

Viscontiano, alla stesura della monografia del Maestro<br />

Luchino Visconti; sempre nello stesso anno a Casal di<br />

160<br />

Principe, in provincia di Caserta, è chiamato a realizzare<br />

un’importante commissione pubblica, con l’opera monumentale<br />

“Albero della <strong>Le</strong>galità” primo monumento<br />

contro le mafie; nel 2009 cura la regia dell’opera “La<br />

Tosca” per la stagione lirica di Terni.<br />

Evidente quindi come la personalità di Patroni Griffi<br />

abbia saputo nel tempo spaziare indistintamente dalla<br />

scultura alla scenografia, dal teatro al design e alla pittura,<br />

dimostrando l’estro esuberante della sua spiccata<br />

capacità produttiva. Da sempre il suo approccio all’arte<br />

si concretizza nell’uso dei materiali più disparati tra loro<br />

in piena dialettica con le forme non-oggettivanti di volta<br />

in volta tratte, o meglio create.<br />

Spaziando da un astrattismo geometrico di forme<br />

pure, concettuali, capaci di un complesso gioco di riflessioni<br />

e di speculazioni, Massimo Patroni Griffi sa<br />

poi affrontare la pittura anche in termini di un forte<br />

impeto creativo, piegando il colore a compenetrazioni e<br />

strutturazioni spaziali, in grado di «comunicare l’urgenza<br />

immediata di una senso assoluto e profondo di libertà».<br />

L’effetto complessivo è quello di un’opera strutturata<br />

e densa di riferimenti dove la materia vissuta, pulsata è<br />

esibita attraverso un gesto potente e carico di energia.<br />

(f.z.)


L’attimo è stato fermato, 2009<br />

Tecnica mista su legno, ottone e tela resinata, cm 60x183<br />

161


Maurizio Previtali<br />

Lo scultore Maurizio Previtali nasce a Palazzolo<br />

sull’Oglio, tra Bergamo e Brescia, terra in cui ancora<br />

oggi vive e lavora dividendosi tra l’attività in studio e la<br />

didattica.<br />

Ha all’attivo numerosissime mostre, che lo hanno visto<br />

esporre sia nel natio territorio bergamasco-bresciano,<br />

che nel panorama nazionale. Diversi i riconoscimenti<br />

ricevuti: è tra i vincitori, per ben quattro anni consecutivi<br />

dal 1999 al 2002, nella sezione scultura del Concorso G.<br />

Greppi di Bergamo.<br />

Previtali ha anche dato prova di grande sensibilità<br />

installativa, realizzando molte opere per spazi pubblici.<br />

Nel corso della sua lunga attività scultorea, caratteriz-<br />

162<br />

zata da un’intensa attività in studio, Previtali ha elaborato<br />

e sviluppato svariate forme stilistiche passando sovente<br />

dal figurativo all’astratto, facendo della metamorfosi organica<br />

della forma una ricerca costante nella sua poetica:<br />

la figura umana si fitomorfizza e viceversa, in processi<br />

generativi in continua evoluzione, in continuo divenire.<br />

Nelle pietre alabastrine come nei marmi del nostro<br />

artista le forme si aprono e si estendono in uno spazio<br />

in continua evoluzione in cui il flusso vitale di un arto<br />

si sviluppa nelle radici di un albero o dove «un nudo<br />

femminile emerge imponente dalla propria crisalide».<br />

<strong>Le</strong> sculture di Previtali appaiono sovente come nuove<br />

forme organiche, embrionali, in fase di crescita, così in<br />

grado di far nascere una nuova specie ibrida tra uomo,<br />

animale o natura: sono per tanto figure primigenie della<br />

vita, irradiano la loro poetica allo spazio circostante, riassumono<br />

la linfa di tutto il lavoro scultoreo dell’artista.<br />

(f.z.)


Parto<br />

Alabastro, cm 35x40x20<br />

163


elio roberti<br />

Nasce a Lavenone in provincia Brescia. <strong>Le</strong> sue opere si<br />

trovano oggi in importanti collezioni pubbliche e private<br />

sia in Italia che all’estero.<br />

Già a vent’anni inizia a dipingere perfezionandosi in<br />

seguito presso l’Associazione <strong>Artisti</strong> Bresciani. Negli<br />

anni di formazione il suo punto di riferimento saranno i<br />

pittori bresciani quali Togni, Garosio e Solaro. Dopo aver<br />

sperimentato prove vicine alle avanguardie informali e<br />

cubiste, la svolta avviene verso il 1980 dopo un periodo<br />

di lavoro a contatto con alcuni pittori livornesi.<br />

Dopo questa esperienza di transizione, Roberti torna<br />

ad una pittura figurativa, attualizzando, in una matrice<br />

del tutto personale, il genere del paesaggio.<br />

164<br />

Elio Roberti è stato definito «pittore della natura nel<br />

senso che nei suoi quadri ogni volta ingaggia un duello<br />

virtuoso con la realtà, per mostrarla nella sua vera essenza,<br />

per far parlare il colore».<br />

L’aspetto cromatico è infatti uno degli stilemi di<br />

questo artista che fa di ogni superficie una campitura<br />

carica e luminosa, quasi di frutta matura, irradiante una<br />

compartecipazione dei sensi che fa dei suoi quadri opere<br />

da gustare oltre che da guardare. Pennellate larghe, metodiche<br />

danno una consistenza solida ad ogni soggetto<br />

che sembra formarsi sotto il pennello almeno quanto i<br />

suoi contorni paiono sfaldarsi sotto la luce.<br />

Interessante anche le composizioni dei suoi paesaggi,<br />

che rispondono sottilmente alle armoniche di verticali e<br />

orizzontali, quasi una ricostruzione ideale della natura, in<br />

cui la linea dell’orizzonte interseca in perfetti equilibri i<br />

pochi elementi verticali, ma ascendenti per antonomasia,<br />

come gli alberi. Tutta sembra giocarsi nel posizionamento<br />

della linea dell’orizzonte, nella visione sferoidale che ne<br />

deriva lasciando ampio spazio a campi di grano che si<br />

fanno infuocati nel loro ampliarsi a dismisura.<br />

(f.z.)


Verso Sancino, 2009<br />

Olio su tela, cm 100x50<br />

165


Ragoli veduta da Saone<br />

Olio su tela, cm 100x100<br />

166


Rogazioni propiziatorie verso Canignone<br />

Oio su tela, cm 100x100<br />

167


enzo romagnoli<br />

Nasce a Castelfidardo (Ancona). Dimostra ben<br />

presto una vera passione per l’arte. Frequenta la scuola<br />

del Maestro Antonio Gasparri da cui apprende i primi<br />

rudimenti dell’arte.<br />

Il desiderio di sperimentare nuove tecniche lo porta a<br />

modificare l’impianto figurativo dei suoi scorci panoramici<br />

della riviera del Conero e delle colline marchigiane,<br />

per impegnarsi in opere di carattere religioso come la<br />

"Crocefissione" nella chiesa di San Benedetto o la grande<br />

pala dedicata ai santi patroni SS. Vittore e Corona,<br />

collocata nella cripta della Collegiata di Santo Stefano.<br />

Dal 1980 inizia una attività di modellazione scultorea,<br />

applicata al settore argentiero. I primi modelli decorativi<br />

168<br />

diventano ben presto vere e proprie sculture.<br />

Ha anche commissioni pubbliche come quella del<br />

Monumento ai Caduti della sezione Marche dell’Associazione<br />

Nazionale Alpini, con figure a grandezza naturale.<br />

Dalle lastre d’argento passa alla fusione in bronzo con<br />

cera persa. La ricerca del nuovo e la ripresa di antiche<br />

tradizioni possono benissimo convivere.<br />

La sua produzione attuale risente dell’amore per la<br />

sperimentazione delle tecniche e dei materiali ma rivela<br />

una profonda riflessione sul destino dell’uomo contemporaneo.<br />

La complessità dei vissuti, la continua sollecitazione<br />

al cambiamento conducono allo smarrimento di<br />

quella necessaria forza interiore che occorre per abitare la<br />

vita. È pertanto quella di Romagnoli una serena, convinta<br />

ed etica affermazione dell’umana dignità.


Ostacoli - dittico<br />

Olio su tela e collage, cm 75x150<br />

169


Natale rosselli<br />

Nasce negli anni Quaranta a Empoli, dove vive e<br />

lavora.<br />

Approcciandosi liberamente alla pittura e al disegno,<br />

iniziando fin da subito un rapporto con la natura en<br />

plein air e non tardando ad arrivare riconoscimenti ed<br />

esposizioni, Rosselli comprende presto la necessità di<br />

approfondire le proprie conoscenze tecniche e visive<br />

delle arti figurative. Si dedica, con sempre maggior assiduità,<br />

allo studio del paesaggio, che resterà tra i suoi<br />

temi prediletti. Del 1992 la sua prima personale presso il<br />

Palazzo Comunale di Empoli e l’anno successivo espone<br />

già al Palazzo Ghibellino della stessa città. Nel 1994<br />

viene inserito nel catalogo “Pittori in Toscana” curato da<br />

170<br />

Giorgio Calandra, Raffaele De Rosa ed Enrico Ugolini.<br />

Da allora le esposizioni sia collettive che personali si sono<br />

susseguite numerose.<br />

La pittura di Rosselli si conferma come un coerente<br />

e rigoroso discorso attorno alla poesia del paesaggio<br />

toscano, riassunto in chiave simbolica e gusto moderno.<br />

Definendo un ristretto nucleo di elementi autoctoni,<br />

Rosselli li affronta con una tecnica pittorica particolarmente<br />

materica, ricca di densità cromatiche, di colore<br />

puro: è un viaggio territoriale privato ed intimistico che<br />

non ammette intrusioni, tant’è che nelle sue tele è rigorosamente<br />

assente ogni possibile personaggio umano,<br />

imponendoci la visione del paesaggio, attraverso le sue<br />

variazioni temporali, come il tentativo di ricostruire le<br />

diverse emozioni della vita quotidiana, dei suoi accadimenti<br />

improvvisi.<br />

Il mondo poetico di Rosselli si muove con armonia<br />

tra luoghi conosciuti ed amati: colline senesi, scogliere,<br />

l’aspra maremma, gli alberi evocati nella luce toscana. La<br />

sua è una pittura di sentimenti e grande forza cromatica<br />

che si colloca nella tradizione della più alta arte contemporanea<br />

italiana con esponenti come Ennio Morlotti,<br />

Carlo Mattioli, Sergio Statizzi.<br />

(f.z.)


Paesaggio toscano<br />

Olio su tela, cm 130x105<br />

171


Ada ruberti<br />

Nata a Quistello (Mantova) nel 1929, l’artista incrocia<br />

la città estense in più momenti della sua vita professionale:<br />

a Ferrara si laurea e lavora per anni. Dal punto di<br />

vista espositivo è attiva <strong>dagli</strong> anni Ottanta con mostre<br />

personali e collettive continuativamente sino all’anno<br />

della sua scomparsa, avvenuta nel 2004.<br />

Una recente mostra alla Galleria del Carbone, curata<br />

da Laura Gavioli e da Renzo Margonari, ha presentato al<br />

grande pubblico un’antologica dei temi che compaiono<br />

nella sua pittura dell’ultimo ventennio.<br />

Artista solitaria ed isolata, riesce ad avere riscontri<br />

critici qualificati della sua attività. Nelle sue opere il<br />

visitatore coglie una intelligente visione e riflessione sul<br />

172<br />

mondo. È proprio questa capacità percettiva che la porta,<br />

come osserva Margonari nel catalogo della mostra citata,<br />

ad «indagare lenticolarmente il dettaglio di una forma<br />

vegetale o restringere il campo spaziale sin quasi a far<br />

sparire il connotato generale, oppure riassumere l’idea<br />

complessiva di un paesaggio riducendone la struttura<br />

ad una linea portante».<br />

<strong>Le</strong> grandi dimensioni del supporto (cm 100x100) le<br />

consentono da un lato una distribuzione delle pennellate,<br />

ben cariche di colore, dall’altro le permettono di lasciare<br />

chiaramente leggibile la gestualità della mano che dipinge.<br />

Nel gioco delle campiture Ada Ruberti allude e ricrea<br />

altre spazialità di luoghi e di cieli infiniti. In tutta la sua<br />

carriera legge sempre la lezione dei maestri e utilizza una<br />

sua messa a fuoco originale che mette fuori scala quanto<br />

viene rappresentato e lascia sospesi i confini tra l’astrazione<br />

e la realtà pure se a quest’ultima bene si vincola.


Paesaggio verde, 1998<br />

Olio su tela, cm 90x70<br />

173


Studio di minerali, 2-99,1999<br />

Olio su tela, cm 90x80<br />

174


Paesaggio di canne, 2-99, 1999<br />

Olio su tela, cm 90x80<br />

175


Gennaro Sardella<br />

Nasce a Napoli e attualmente vive e lavora sulla suggestiva<br />

costa di Sorrento. Fin da giovanissimo dimostra una<br />

predisposizione per il disegno che unita ad un carattere<br />

insofferente ed inquieto lo porteranno a spostarsi tra<br />

Roma, Venezia, Firenze. Durante questi anni di “libero<br />

vagabondaggio” i suoi disegni e i suoi acquerelli si<br />

arricchiscono di ritratti, vedute paesaggistiche e scorci<br />

cittadini come se si trattasse di un diario per immagini<br />

delle sue esperienze vissute.<br />

Così, in questo clima di assoluta libertà, l’artista<br />

prosegue entusiasta la sua attività, arricchendo presto i<br />

sui disegni di storie e racconti, che apriranno la strada<br />

ad un percorso che esploderà solo più tardi, portando<br />

176<br />

alla ribalta il mondo fantasioso e grottesco di Sardella,<br />

pervaso da una profonda forza espressiva, venato di<br />

lirismo ed ironia.<br />

Sarà infatti solo con il ritorno a Napoli nel 1975 e<br />

l’incontro con il pittore Roberto Carignani che Sardella<br />

arriverà alla maturità tecnica e conoscitiva della pittura,<br />

che lo porterà ad incontrare maestri come De Chirico o<br />

Pietro Annigoni.<br />

La sua pittura testimonia palesemente un processo<br />

creativo in cui la realtà subisce una profonda metamorfosi<br />

a favore di una sua completa alterazione e deformazione.<br />

I suoi dipinti rivelano, sotto assolati e brillanti panorami<br />

del Sud, il caos e le tensioni di un surreale mondo contemporaneo,<br />

assieme a momenti di alto lirismo e infinita<br />

dolcezza. Ogni forma, ogni figura antropomorfa è collegata<br />

l’una all’altra in un intreccio di relazioni che passano<br />

dallo stato psichico allo stato fisico. Ogni elemento sulle<br />

tele di Sardella si anima, ogni tocco è luminoso e vibrante<br />

come un mosaico prezioso o come il riverbero del mare<br />

in una giornata di sole, riportando letteralmente ad una<br />

joie de vivre di matissiana memoria.<br />

(f.z.)


Non mi dice mai quello che pensa, 2008<br />

Olio su tela, cm 150x150<br />

177


Anna Seccia<br />

Nata a Ortona (Chieti), vive e lavora a Pescara, città<br />

nella quale ha compiuto gli studi artistici e dove è stata<br />

titolare della cattedra di Discipline Pittoriche e Plastiche<br />

presso il locale Liceo <strong>Artisti</strong>co.<br />

A partire dal 1960 svolge un’intensa attività espositiva<br />

condivisa, fino all’inizio degli anni Ottanta, con l’insegnamento.<br />

Partecipa a prestigiose rassegne, mostre e fiere. È<br />

presente alla 54 a Esposizione Internazionale d’Arte della<br />

Biennale di Venezia, per la Sezione Regionale Abruzzo,<br />

curata da Vittorio Sgarbi.<br />

Dal 1994 inizia una sua innovativa ricerca artistica<br />

(Globalart) volta alla creazione di un progetto di arte<br />

sociale, collaborativa e partecipativa, denominato “La<br />

178<br />

Stanza del Colore”, legato ad una concezione dell’arte<br />

come attivazione di processi per la realizzazione, attraverso<br />

happening-performance, di opere pittoriche di grandi<br />

dimensioni con persone di tutte le età che diventano<br />

coautori dell’opera stessa.<br />

In questo senso nel marzo di quest’anno a Pescara<br />

è stato presentato “L’uovo della collettività”, percorso<br />

ideato dalla nostra artista per i 150 anni dell’Unità d’Italia.<br />

Attraverso l’interazione con l’artista le sinergie di<br />

diverse personalità si incontrano dando origine ad un<br />

momento corale. Cambiano completamente i rapporti tra<br />

l’opera d’arte e i riguardanti che diventano protagonisti<br />

oppure collezionisti delle opere collettive.<br />

È proprio attraverso la pittura connettiva di Anna<br />

Seccia che l’arte si rinnova ed ogni singola voce riesce a<br />

sentirsi alla pari degli altri nella dinamicità creativa della<br />

composizione finale.


Migrazione, 2003<br />

Tecnica mista su tavola, cm 80x145<br />

179


Gabriella Soavi<br />

Originaria di Portomaggiore (Ferrara), vive lavora da<br />

sempre a Ferrara, dove dal 1985 è docente presso il Liceo<br />

<strong>Artisti</strong>co "Dosso Dossi". Ha collaborato spesso con<br />

associazioni ed enti pubblici, anche in qualità di docente<br />

di Tecniche Calcografiche e Tecniche Pittoriche.<br />

Gabriella Soavi si forma presso l’Accademia di Belle<br />

Arti di Bologna, sviluppando il proprio linguaggio artistico<br />

nella commistione tra le tecniche della pittura e quelle<br />

dell’incisione e della grafica d’arte, professionalizzandosi<br />

anche come graphic designer e visualizer, attività che la<br />

vede impegnata presso alcune agenzie pubblicitarie a<br />

cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta.<br />

Ha esposto in numerose mostre collettive in Italia e<br />

180<br />

all’estero, spaziando dall’originaria Ferrara a Parigi, fino<br />

a Kuala Lumpur, Bristol o Mosca.<br />

Negli anni ha saputo spaziare da opere installative<br />

tridimensionali alle più eteree tecniche calcografiche,<br />

dimostrando grande levità in entrambi i campi, portando<br />

avanti con coerenza una personale poetica, fatta di intimi<br />

richiami, di ricordi accennati, di un racconto delicato del<br />

proprio vissuto.<br />

<strong>Le</strong> opere di Soavi spesso si pongono come scorci di<br />

diari personali, frammentari visivi che accennando ad<br />

una storia mai completamente leggibile, ma pur sempre<br />

toccante, lasciano all’osservatore il compito di ripercorrerne<br />

il vissuto. Come nell’opera “Hai riso”?, esposto per<br />

la prima volta nell’esposizione promossa dall’udi “Libere<br />

per immagini - <strong>Opere</strong> di artiste ferraresi & manifesti”, il<br />

cui titolo allusivo si riferisce in realtà ai ritratti enigmatici<br />

di quattro mondine ferraresi.<br />

(f.z.)


Hai riso?, 2005<br />

Tecnica mista su alluminio (lastre offset di recupero), cm 59x48<br />

181


Jessica Steri<br />

Nata in un’isola del sud-ovest della Sardegna, da parecchi<br />

decenni vive a Ferrara. La pittura governa da tempo la<br />

rotta della nave di Jessica Steri nel mare agitato della vita.<br />

<strong>Le</strong> sue opere sono espressione della sua interiorità,<br />

delle sue emozioni vitali. La dinamicità del vivere in un<br />

continuo agitarsi, in un trasformarsi perenne di ritmi e di<br />

condizioni affascina da sempre la nostra pittrice.<br />

La consapevolezza della forza dei colori è una costante<br />

della sua ricerca pittorica. È la percezione vitale della<br />

forza-colore che Jessica declina nelle sue tele, tono su<br />

tono sino alla monocromia.<br />

I piaceri dell’immaginazione sovrappongono spesso<br />

l’isola natale di San Pietro in Sardegna e il padano mare<br />

182<br />

di nebbia della sua città adottiva.<br />

Jessica guarda il mondo con la meravigliosa follia del<br />

suo desiderio di vivere nella luce: ora solare ora annebbiata,<br />

non importa; sempre pronta a creare ogni volta sulla<br />

tela sue private cosmogonie, alchimie perturbanti e rotte<br />

segrete. La sua scoperta del mondo nasce e si sviluppa<br />

totalmente su questa partizione binaria acqua-terra. Una<br />

presenza fatta di consistenze equoree in cui fluttuano gli<br />

elementi, in cui lucori e chiarori forano il velo che si pone<br />

davanti agli occhi del visitatore, lasciando testimonianze<br />

sulla tela di passaggi, di separazioni e di rigenerazioni.<br />

Nella materia zuppa d’acqua, stilante per giorni di<br />

nebbia prolungata, ogni cosa è avvolta come da un<br />

pulviscolo di luce. In chiave compositiva, se da un lato<br />

provoca un abbassamento del livello di realtà mimetica<br />

dall’altro, per contro, produce un innalzamento lirico<br />

della pulsione espressiva.


Senza titolo<br />

Olio su tela, cm 100x100<br />

183<br />

Casolare ferrarese<br />

Olio su tela, cm 100x120


Gianni tarli<br />

Nato a Solothurn, la città svizzera capitale del cantone<br />

omonimo, si trasferisce adolescente in Italia a Teramo.<br />

Comincia a partecipare alle prime esperienze artistiche.<br />

Dopo la scuola superiore si trasferisce a Cattolica dove<br />

apre una sua galleria anche se continua a prediligere luoghi<br />

espositivi in contesti di frequentazione quotidiana.<br />

Dal 1996 abbandona l’attività commerciale e dedica tutto<br />

il suo tempo alla ricerca artistica in pittura, scultura e<br />

attività performative. Vive e lavora a Teramo.<br />

Partecipa ad Arte Fiera di Bologna nel 1996, al Premio<br />

Roma nel 2000, ad Arte Fiera di Bari e di Parma,<br />

alla Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea di<br />

Firenze, tanto per citarne alcune. Ha una intensa attività<br />

184<br />

espositiva in Italia e all’estero.<br />

Nella sua ricerca si libera progressivamente dal peso<br />

materico privilegiando superfici fluide e tecniche nuove.<br />

Nella sua pittura è presente una forma di neo-espressionismo<br />

astratto che diventa ben presto la sua cifra distintiva.<br />

Importante per il suo curricolo è il sodalizio con il<br />

regista Flavio Sciolè che aumenta la volontà del nostro<br />

artista di sperimentare il discrimine tra segno e immagine<br />

e segno-parola.<br />

Sono presenti nella sua attività progettazioni di design<br />

e realizzazioni di oggetti di uso comune in cui la sua<br />

ricerca si sposa alla funzionalità.<br />

L’opera donata è una grande scultura, una installazione<br />

alta cm 250, in cui la costruzione in legno fa da<br />

supporto al suo interno ad una scultura luminosa di<br />

policarbonato, che riprende la struttura del DNA. La<br />

splendida lavorazione del legno introduce alla presenza<br />

pregnante della luce. È una bellissima reazione al mondo<br />

contemporaneo. In questa narrazione, in presentia,<br />

dell’autonomia di ogni possibile variabile lo statuto della<br />

scultura fiorisce nel momento stesso della sua percezione.


Clessidra, 2009<br />

<strong>Le</strong>gno, policarbonato e altri materiali, cm 250x80185


Nani tedeschi<br />

Originario della provincia di Reggio Emilia, nelle cui<br />

campagne tutt’ora vive e lavora, Nani Tedeschi nasce alla<br />

fine degli anni Trenta.<br />

Laureatosi in Medicina, non abbandona mai la sua<br />

prima passione per il disegno e la pittura a cui dedica<br />

ogni momento libero iniziando ad esporre dalla metà<br />

degli anni Sessanta. Il successo internazionale non<br />

tarda ad arrivare e nel 1972 è invitato alla 36 a Biennale<br />

di Venezia, a seguito della quale lascia definitivamente<br />

la professione medica per l’attività artistica che si farà<br />

sempre più intensa. Negli anni espone a Nevers, Vienna,<br />

186<br />

Spalato, Hannover, Amburgo, Berlino, New York, Tokio.<br />

Sue personali si sono tenute nelle principali città italiane<br />

in gallerie private e musei dal Palazzo dei Diamanti di<br />

Ferrara, a Palazzo Braschi di Roma, al Castello Sforzesco<br />

di Milano, alla Fortezza del Priamar di Savona.<br />

Molti sono i cicli cui si è dedicato negli ultimi quarant’anni<br />

e i libri che ha illustrato, dall’Orlando Furioso<br />

a <strong>Le</strong> avventure di Pinocchio.<br />

Nei suoi lavori Nani Tedeschi dimostra una straordinaria<br />

abilità di disegnatore, quasi genetica, come<br />

estensione del rapporto con la sua terra, di una pianura<br />

segnata dalla presenza del Po, in cui lo sguardo può spingersi<br />

fino all’orizzonte, in cui ogni spazio è molto più<br />

aereo che terreno. Tuttavia, accanto all’utilizzo sapiente<br />

della linea, non possono essere dimenticate le invenzioni<br />

coloristiche e grafiche ottenute anche con il collage che,<br />

assieme alla pittura a forti contrasti di colore, segna una<br />

costante nelle sue opere fin <strong>dagli</strong> esordi. <strong>Le</strong> sue tavole<br />

sono così il risultato di uno squisito equilibrio in cui la<br />

pittura si accompagna, con molta naturalezza, al disegno<br />

a matita, a china, al pastello, in grado di ricreare ogni volta<br />

gli accordi poetici di una delicatissima favola.<br />

(f.z.)


Volo sul fiume, 2012<br />

Acrilico su tavola, cm 100x70<br />

Studio del Guercino<br />

187 Tempera e collage su tavola, cm 80x60


Filippo Maria topi<br />

Attivo dalla fine degli anni Novanta, Filippo Maria<br />

Topi nasce a Firenze dove attualmente vive e lavora e<br />

dove si forma negli anni Ottanta presso la Scuola d’Arte<br />

del Maestro Mario Nuti, che nell’immediato dopoguerra<br />

fece prima parte del gruppo Arte d’Oggi e nel 1950 fu tra<br />

i firmatari del manifesto del primo Astrattismo classico.<br />

Non è arduo quindi comprendere in quale ambiente,<br />

prettamente non figurativo, Topi getta la basi per una<br />

pittura concreta, capace di generarsi attraverso le riflessioni<br />

sul proprio linguaggio e sugli elementi della propria<br />

grammatica.<br />

A completarne la formazione, un fruttuoso periodo<br />

a New York durante gli anni Novanta, in cui viene a<br />

188<br />

diretto contatto con la pittura di Keith Haring e l’underground<br />

graffitista della City. A questo periodo risalgono<br />

alcune delle poche opere figurative di Topi, in bilico tra<br />

l’eclettismo anni Ottanta ed un rinnovare gusto Pop per<br />

la mercificazione dell’immagine.<br />

Di ritorno in Italia, dall’inizio del millennio prosegue<br />

la sua riscoperta a ritroso dell’arte americana contemporanea,<br />

con particolare attenzione all’informale gestuale<br />

di Franz Kline di cui riprende la strutturazione spaziale<br />

a grandi impalcature nere, come nella serie “Trame”<br />

del 2005. Fino ai recenti lavori, come la serie “Made in<br />

Italy”in cui l’azione evocata dalle spatolate veloci lascia<br />

via via spazio all’aumentato spessore della pasta cromatica<br />

che sovente si combina di poche e calde tonalità<br />

lumettate dal lavoro in togliere dei segni graffiti. In ogni<br />

tela, al flusso vitalistico della composizione di grande<br />

istintività organica fa da perno l’introduzione di un segno<br />

iconico e artificiale come quello di un numero stampigliato<br />

con cui Topi ripercorre un’altra tappa della storia<br />

dell’arte contemporanea, rievocando un gusto newdada<br />

nell’uso della scrittura dipinta al pari di un oggetto concreto<br />

introdotto sulla tela.<br />

(f.z.)


106, trittico, 2009<br />

Tecnica mista su tela, cm 150x150<br />

189


388:188, trittico, 2009<br />

Tecnica mista su tela, cm 150x150<br />

190


Particolari<br />

191


Vittorio Vecchi<br />

Nato a Ferrara, dove vive e lavora, da sempre ha amato<br />

cimentarsi in esperienze artistiche.<br />

All’inizio degli anni Ottanta mette a fuoco il rapporto<br />

materia-segno-colore con il contributo di tre maestri ferraresi:<br />

Maurizio Bonora per la scultura, Paola Bonora per<br />

l’acquerello e le tecniche ad acqua ed infine Gianfranco<br />

Goberti per la pittura.<br />

Sviluppa da questo momento una sua originale cifra<br />

espressiva in cui la ricerca della sintesi fra l’informale della<br />

materia e gli schemi di organizzazione del materiale da<br />

memorizzare trova un suo felice equilibrio.<br />

La sua ricerca, libera di aprirsi alle molte sollecitazioni<br />

del comunicare, esplora segni e simboli della modernità,<br />

192<br />

ne saggia le alchimie, sollecita percorsi creativi in continua<br />

evoluzione.<br />

Ha al suo attivo un ricco curricolo espositivo con<br />

mostre personali e collettive in Italia e all’estero (Lasko<br />

in Slovenia, Madrid, New York, Orlando e Gainesville in<br />

Florida, Cork in Irlanda e Gulpen nei Paesi Bassi tanto<br />

per citarne alcune). Molte sue opere sono esposte in<br />

collezioni pubbliche e private italiane ed estere.<br />

L’opera donata è costituita da un trittico in cui sono<br />

raffigurati tre momenti della religiosità dei Maya. Il primo<br />

pannello, a partire da sinistra, è dedicato a Itzamna, dio<br />

creatore degli aspetti celesti e terrestri della vita, inventore<br />

della scrittura e signore del giorno e della notte. Il<br />

pannello centrale è quello del dio serpente, Kukulkan,<br />

creatore del calendario e della stella del mattino. Il pannello<br />

a destra riunisce le divinità legate alla medicina<br />

(Sakal Ix’chel, Ahau Chamahez, Cit Bolum Tum). Come<br />

afferma lo stesso artista, «l’opera propone un’allegoria<br />

dell’esperienza quotidiana dell’uomo nel partecipare<br />

alla vita ed allo scorrere dei giorni, mentre i personaggi<br />

evocati emergono dall’oblio del tempo in tutta la loro<br />

luminosa cromaticità che l’accumulo dei detriti della<br />

storia non ha potuto assolutamente scalfire».


Arcaiche presente, trittico, 2009<br />

Tecnica mista su legno, cm140x260<br />

193


Particolari<br />

194


Segnali del tempo, 04, 2004<br />

Tecnica mista su legno, cm 30x30<br />

195


Paolo Volta<br />

Nato nella città estense, dove vive e lavora, dopo<br />

essersi diplomato all’Istituto d’Arte “Dosso Dossi” di<br />

Ferrara, frequenta il corso di Pittura all’Accademia di<br />

Belle Arti di Bologna.<br />

Dal 2000 è il direttore artistico della Galleria del Carbone<br />

di Ferrara che rappresenta una punta di eccellenza<br />

nel quadro espositivo cittadino. In questi anni ha organizzato<br />

oltre centottanta mostre di maestri dell’arte italiana<br />

e di giovani artisti di interessante qualità e di promettente<br />

carriera. La Galleria è anche l’espressione di un gruppo di<br />

artisti che operano in associazione, collaborando con altre<br />

realtà internazionali in Germania, Ucraina,Venezuela,<br />

Texas, Cile, e che intendono valorizzare le peculiarità<br />

196<br />

delle espressioni dell’arte contemporanea.<br />

Ha partecipato a diverse mostre collettive in Italia<br />

e all’estero, suoi lavori sono presso il Museo di Arte<br />

Orientale e Occidentale di Odessa.<br />

L’attività di gallerista non gli fa trascurare quella di<br />

pittore che, anzi, viene rafforzata dai frequenti contatti<br />

con altre creatività. Come pittore preferisce la pittura<br />

figurativa ed in special modo le architetture industriali o<br />

di “passaggio” dell’attività umana. Utilizza un linguaggio<br />

espressivo che rivisita le istanze della Metafisica e del<br />

Razionalismo.<br />

L’attività pittorica di Volta si struttura in special modo<br />

sulla osservazione di forme e di colori immersi in territori<br />

in cui l’uomo interviene con risultati alterni. <strong>Le</strong> sue<br />

archeologie industriali, ad esempio, sono di grande forza<br />

narrativa, compositiva e concettuale.<br />

L’opera donata ha come criptico titolo: “Sezione<br />

aurea”.<br />

È un’indagine spaziale che, partendo in modo inconscio,<br />

si realizza attraverso il piacere di costruire linee<br />

perfette, equilibrate e di stendere le mestiche attraverso<br />

ripetute sovrapposizioni cromatiche, in questo tutto<br />

simili al gesto del muratore che di fila in fila, di mattone<br />

in mattone, forma l’edificio. In tal modo l’artista vuole<br />

dimostrare che solo con una più razionale osservazione<br />

dell’opera le geometrie latenti possono emergere.


Sezione aurea, 1996<br />

Olio su tela, cm 80x80<br />

197


laura Zampini<br />

Nata a Occhiobello (Rovigo), vive e lavora a Ferrara.<br />

È cresciuta in una grande famiglia d’arte: la madre,<br />

Carolina Occari, è conosciuta per le splendide incisioni, il<br />

fratello Luigi è pittore e disegnatore, l’altro fratello, Luca,<br />

è fotografo, la sorella, Licia, è la curatrice dell’archiviazione<br />

delle opere, le nipoti Giuliana Zampini e Tosca Zampini<br />

sono la prima ceramista, l’altra illustratrice e grafica.<br />

Come in un’antica bottega d’arte o in una ritrovata<br />

“officina” queste operatività diverse segnano il passaggio<br />

delle generazioni e della permanente motivazione ad<br />

esplorare incessantemente il mondo dell’arte nelle varie<br />

sfaccettature e modalità tecniche.<br />

La nostra artista si diploma in restauro di dipinti e<br />

198<br />

dorature a Firenze. Frequenta, in seguito, vari corsi di<br />

ceramica e pittura. Tra l’altro è allieva della Scuola di<br />

Nudo presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze.<br />

La passione creativa per l’arte figurativa e per l’arredamento<br />

la porta alla realizzazione di opere, in questi<br />

due ambiti, nei quali è conosciuta per le sue qualità di<br />

interior designer.<br />

Ha al suo attivo diverse esposizioni.<br />

Tutta la famiglia Occari-Zampini è legata al grande<br />

fiume non solo perché tra la transpadana estense e Ferrara<br />

trova gli affetti di una vita ma anche perché il grande<br />

fiume è una costante della poetica di queste generazioni<br />

di artisti.<br />

<strong>Le</strong> opere <strong>donate</strong> sono due tecniche miste su cartone<br />

che rappresentano due momenti sul fiume Po.


Momento del grande fiume I<br />

Tecnica mista su cartone, cm 70x100<br />

Momento del grande fiume II<br />

Tecnica mista su cartone, cm 70x100<br />

199


Sergio Zanni<br />

Sergio Zanni è nato a Ferrara, dove vive e lavora.<br />

Diplomatosi all’Istituto d’Arte “Dosso Dossi” di<br />

Ferrara, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Bologna.<br />

Possiede un ricchissimo curricolo di mostre ed esposizioni<br />

in Italia e all’estero. Ha visto premiata la sua ricerca<br />

artistica con l’invito alla 54 a Biennale di Venezia.<br />

Inizialmente predilige l’uso della terracotta per passare<br />

successivamente alla sperimentazione di materiali più<br />

leggeri dove i suoi personaggi raggiungono dimensioni<br />

ciclopiche. L’artista stesso scrive a riguardo del suo itinerario<br />

artistico: «Il mio “mestiere” mi permette viaggi<br />

continui alla scoperta di “terre sconosciute”. Queste “terre”<br />

si sono materializzate in una miriade di personaggi:<br />

200<br />

eremiti, signori della pioggia, assassini, monumenti ai<br />

caduti, diavoli, custodi delle pianure, zingare, osservatori,<br />

camminatori. Palombari, attendisti, figure senza davanti,<br />

piloti, cacciatori di nuvole, Oblomov, fumatori, pittori<br />

di guerra, angeli misteriosi, canti delle sirene eccetera,<br />

fino agli ultimi lavori, equilibristi, Ulisse e altri viandanti.<br />

Verso la fine del XX secolo mi sono posto il problema<br />

di realizzare lavori di grandi dimensioni: l’amata terracotta<br />

è purtroppo pesante e fragile. In un certo senso<br />

sono stato obbligato a sperimentare materiali più pratici<br />

e molto meno nobili della terra. Ha quindi avuto inizio<br />

in quest’ultima fase l’esperienza con il polistirolo ricoperto<br />

con criptonite e iron ball (materiali molto recenti<br />

da scenografia), vetroresina, tondino di ferro e assemblaggi<br />

sempre con oggetti di ferro. Da questi materiali<br />

sono nati i miei lavori più grandi: i kamikaze, il carro<br />

dei vincitori, la foto di gruppo con i sei piloti bianchi, il<br />

grande viandante».<br />

In effetti mai come in queste grandi figure Zanni è<br />

riuscito ad esaltare la “leggerezza” della materia utilizzata<br />

e la pertinenza del senso del soggetto rappresentato. Il<br />

codice oggettuale dell’artista riesce però a cogliere non<br />

solo le dinamiche di differenziazione delle singole opere<br />

ma anche, nello stesso tempo, a riportarle ad una vicenda<br />

di identificazione comune con il riguardante. La possibilità<br />

di creare legami con il destino di tutti offre una<br />

modalità di difesa di fronte alle forze della vita, alle sue<br />

problematiche sociali e ai suoi giochi di potere.


Palombaro<br />

Terracotta patinata, altezza cm 39x100x41<br />

201


ermanno Zanotti<br />

Ermanno Zanotti (Bologna 1938-2011) ha fatto della<br />

coroplastica la passione dominante della sua vita. Non c’è<br />

momento in cui non abbia smesso di modellare o abbozzare<br />

forme, femminili soprattutto. Si portava appresso<br />

una formella d’argilla con la stessa naturalezza di chi porta<br />

con sé un album di schizzi o la macchina fotografica.<br />

Zanotti si è formato una cultura artistica autonoma.<br />

È strano però che questa sua vocazione non gli abbia<br />

mai fatto incrociare un maestro che la incanalasse e che<br />

rendesse meno faticosa la scoperta di quelle modalità<br />

espressive che solo la lunga pratica gli ha reso “naturali”.<br />

La mano che afferra, impasta e crea diventa pensiero,<br />

si fa riflessione sul mondo e sul destino dell’uomo in un<br />

202<br />

sereno, ironico ed empatico coinvolgimento.<br />

L’esplorazione della sua mano sui corpi è governata<br />

da una leggerezza e da una sapienza del tocco infinita.<br />

Anatomie e torsioni gli appartengono per una lunga<br />

meditazione sulle forme e sulla ricerca degli spazi che<br />

esse occupano. Soprattutto gli appartiene l’intelligenza di<br />

declinare attraverso il movimento il linguaggio del corpo<br />

nelle sue infinite interazioni.<br />

Flessuose, intriganti, sensuali le terrecotte patinate<br />

di Ermanno Zanotti tengono splendidamente lo spazio.<br />

Lo riempiono di linee che fluiscono dalle curvature dei<br />

corpi, mentre i continui movimenti degli occhi, che le<br />

inseguono, disegnano instancabili percorsi in un cosmo<br />

infinito. Il nudo femminile raggiunge allora una connotazione<br />

stilistica del tutto particolare, quasi che tra<br />

il modello e l’artista si generasse un gioco continuo di<br />

rimandi e di seduzioni.


Sensualità<br />

Terracotta patinata, altezza cm 76x70x37<br />

203


Maternità<br />

Terracotta patinata, altezza cm 107x60x24<br />

204


205


Patrizio Zona<br />

Nato a Napoli negli anni Cinquanta, fin da piccolo<br />

sente il fascino della manualità e dell’intelligenza delle<br />

mani. Inizia ad occuparsi di artigianato ma ciò che lo<br />

interessa davvero è la scultura in quanto è il contatto<br />

diretto con la materia ad attrarlo. Frequenta le fonderie<br />

e i laboratori artistici.<br />

Da autodidatta sperimenta la lavorazione della pietra,<br />

del marmo, del legno, del bronzo. Comincia a partecipare<br />

a mostre collettive, a premi d’arte. I primi riconoscimenti<br />

della sua arte lo incoraggiano a continuare nella ricerca<br />

intrapresa. Patrizio Zona vive e lavora a Napoli ed è direttore<br />

artistico del Parco delle Sculture della Valdichiana<br />

di Poggio Sant’Angelo a Farneta di Cortona.<br />

206<br />

<strong>Le</strong> opere di Patrizio Zona producono le stesse fluttuazioni<br />

nei corpi della materia che i moti del vento nell’aria.<br />

<strong>Le</strong> forme sono incessantemente percorse da correnti e<br />

da flussi che le plasmano e le modellano. Come costruite<br />

dall’aria, riportano i ritmi della terra, del fuoco, dell’acqua<br />

e degli infiniti mondi che compongono l’universo. In queste<br />

scansioni ognuno riconosce il flusso della sua anima<br />

aerea, della sua vita, circolante nelle vene e nei nervi. La<br />

scultura fissa un ritmo e nel contempo ne suggerisce la<br />

prosecuzione nello spazio e nel tempo.<br />

Nelle sue sculture sono presenti evocazioni di spazi<br />

fisici, ma vi sono anche dei paesaggi mentali che riportano<br />

il mondo ad un livello superiore di elaborazione, fatto<br />

di forze motrici e di limitazioni. Eppure le spinte infinite<br />

del mondo interiore riconducono sempre all’enigma<br />

nascosto nel suo centro. Soltanto qui hanno un senso<br />

le energie presenti, qui soltanto si producono tutte le<br />

trasformazioni della materia e del nostro essere. I moti<br />

dell’aria e quelli dell’animo accompagnano i nostri atti,<br />

le nostre azioni, le nostre libertà.


Archetipo di un volo frenato<br />

<strong>Le</strong>gno di samba Africana, 207 cm 183x18x21

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!