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Torino è la mia città 2008-2009: Figomania - Ferrarotti, Maurizio

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MAURIZIO FERRAROTTI<br />

TORI�O È LA MIA CITTÀ <strong>2008</strong>-<strong>2009</strong><br />

<strong>Figomania</strong> e figofobia<br />

Mexia


La scorsa stagione ho impiegato quasi sei mesi a trovare un filo conduttore a.k.a. argomento per il<br />

mio blog. A questo giro <strong>la</strong> musica cambia, e come. Precisamente, il tema principale del mio diario<br />

in rete <strong>2008</strong>-<strong>2009</strong> sarà già dal primo post “il rapporto uomo-donna nel ventunesimo secolo”. Il<br />

titolo: <strong>Figomania</strong> e figofobia. Titolo secondario implicito: “Come diavolo abbiamo fatto noi uomini<br />

a ridurci così?” Suvvia, non fate gli occhi a pal<strong>la</strong>, amici miei lettori e potenziali clienti! (Soprattutto<br />

questi ultimi.)<br />

In una calda e tediosa serata di metà agosto scorso mi ritrovai seduto a un tavolino di un noto discobar<br />

di Piazza Vittorio Veneto in compagnia di certi conoscenti, età media 35 anni, più o meno tutti<br />

trasudanti scazzo cosmico per l’impossibilità economica (o <strong>la</strong>vorativa, o vatte<strong>la</strong>ppesca) a levare le<br />

ancore da <strong>Torino</strong> <strong>città</strong> <strong>mia</strong>smatica. Sotto i portici era tutto uno sfi<strong>la</strong>re di ragazze mediamente molto<br />

giovani e attraenti, con sporadici <strong>la</strong>mpi di eccellenza. C<strong>la</strong>ssica trita situazione da girlwatching,<br />

quantunque io non abbia necessità ormai di piantare gli occhi a mo’ di chiodi da nove pollici su una<br />

bel<strong>la</strong> figlio<strong>la</strong> transeunte per più di tre secondi, né di commentarne le grazie. C’<strong>è</strong> chi per contro si<br />

trasforma all’istante in una tomografia assiale umanizzata; quanto ai commenti… Ecco un succinto<br />

campionario di ciò che mi toccò sentire dai miei estemporanei compagni di bevuta:<br />

“Bel culetto quel<strong>la</strong> biondina, ci farei volentieri un po’ di spanking.”<br />

“Io invece le verrei sui capelli e in bocca. La sborra che co<strong>la</strong> tutta fuori…”<br />

“Che corpicino da schianto. La <strong>mia</strong> fuck buddy ideale.”<br />

“Fuck cosa?”<br />

“Fuck buddy. Trombamica.”<br />

“Ammazza che bocce <strong>la</strong> brunetta! Ci ficcherei in mezzo <strong>la</strong> <strong>mia</strong> mazza turgida.”<br />

“Io me <strong>la</strong> scoperei a sangue sul tavolo da cucina, nuda ma coi sandali.”<br />

“Sì, sì. Anch’io sono un feticista dei piedi.”<br />

Intendiamoci mooolto bene: io sono tutt’altro che un angioletto. Nessun uomo lo <strong>è</strong>. Ma dopo un’ora<br />

abbondante di scurrilità a go-go e birra come se piovesse, mentre si era in fase di tras<strong>la</strong>zione verso<br />

un altro bar del<strong>la</strong> piazza, mol<strong>la</strong>i <strong>la</strong> combricco<strong>la</strong>: “Arrivederci a tutti, me ne vado a casa.” Non ne<br />

potevo più. Suppongo che <strong>la</strong> serata di quei personaggi sarà proseguita sul<strong>la</strong> medesima falsariga.<br />

In macchina, credo per <strong>la</strong> cinquecentomillesima volta negli ultimi dieci anni, ho riflettuto sul<strong>la</strong><br />

spirale discendente del rapporto uomo-donna e le sue molteplici cagioni. Misoginia. Anorgas<strong>mia</strong>.<br />

Ansia da prestazione. Carrierismo sfrenato. Cafoneria. Desertificazione culturale. Omologazione.<br />

Pornodipendenza. Dismorfofobia. Network generalisti. Telefoni cellu<strong>la</strong>ri, iPod e paraphernalia<br />

Bluetooth. E così, un mese dopo, eccomi accomodato dinanzi a questo notebook Aspire 3100 per<br />

offrire al popolo internettiano <strong>la</strong> <strong>mia</strong> personale visione dello zeitgeist, sorbendo grappa al moscato.<br />

“Perché quel titolo?” <strong>Figomania</strong> <strong>è</strong> un capitolo del Lamento di Portnoy (Philip Roth, Newark, 1933)<br />

in cui il tormentato protagonista ci sve<strong>la</strong> tutta <strong>la</strong> sua insanabile fissazione per il sesso. <strong>Figomania</strong><br />

perché il mondo d’oggi, che si viva nel New Jersey ebraico delirando per le shiksas o nel cattolico<br />

quartiere torinese di Santa Rita a <strong>Torino</strong> sognando Rosario Dawson, <strong>è</strong> figomaniaco. La ciorgna <strong>è</strong> il<br />

tormento(ne) del terzo millennio. Un tormento pressoché onnipresente nell’universo televisivo:<br />

propaganda (dalle creme abbronzanti alle linee erotiche), giochi a premio, videoclip, telegiornali,<br />

tribune sportive, talk show, reality, fiction, format in generale. E in quello reale, peraltro saldamente<br />

interfacciato col catodico: marciapiedi, parchi, sedicenti saloni di massaggi, night club, discoteche,<br />

fiere, vernissage, paddock. La gnocca, intesa come oscuro ‘oggetto’ mercantile del desiderio, <strong>è</strong> il<br />

messaggio. Bombardiamoli d’immagini figoniche e li avremo tutti sotto controllo. Il mondo <strong>è</strong> un<br />

sessologramma.<br />

2


Figofobia <strong>è</strong> il disturbo che colpisce colui il quale, per inettitudine verbale al baccaglio e/o senso<br />

d’inadeguatezza fisica, crollo verticale dell’autostima in seguito all’ennesimo insuccesso amoroso<br />

ecc., rinuncia completamente al<strong>la</strong> sottile schermaglia del<strong>la</strong> seduzione per rinchiudersi in una ciste<br />

egosintonica. Un pensiero peculiare del figofobiaco <strong>è</strong>: “Perché sbattersi ancora a corteggiare una<br />

femmina, tanto si sono tutte imputtanite, oggigiorno ormai vanno in calore soltanto per gli sbruffoni<br />

palestrati e i provoloni con <strong>la</strong> macchina di grossa cilindrata e lo status sociale consolidato.” Pure,<br />

non si può eliminare del tutto l’erotismo dal<strong>la</strong> propria vita, <strong>è</strong> insalubre. E allora ecco entrare in<br />

gioco gli ersatz, i surrogati virtuali o in carne e ossa: vale a dire calendari, sfondi per il telefonino e<br />

il desktop, Dvd e .mpeg zozzi, belle di notte e di giorno. Prodotti sostitutivi, appunto.<br />

“Surrogati?” obietterebbe un mio conoscente piuttosto fissato con le peripatetiche. “Ma a me piace<br />

<strong>la</strong> passera, sia vera sia digitale. Il fatto che non nutra alcun desiderio d’intraprendere una re<strong>la</strong>zione<br />

normale con una donna non fa certo di me un figofobiaco.” Il dibattito <strong>è</strong> ufficialmente aperto,<br />

signore e signori.<br />

Per quanto mi riguarda, figomania e figofobia sono il dramma bifronte del maschio moderno,<br />

sempre più incapace a negoziare una re<strong>la</strong>zione soddisfacente sotto il profilo affettivo e sessuale,<br />

“c<strong>la</strong>ssica”, con l’altro sesso. Ma non vorrei essere tacciato di parzialità: settati i giusti parametri,<br />

questo discorso vale anche per le donne. E io mi sforzerò immensamente di essere il più equanime<br />

possibile nelle opinioni. Pertanto, amiche mie adorate, considerate pure come se questo blog fosse<br />

altresì intito<strong>la</strong>to: �erchiomania e nerchiofobia.<br />

Romeo Pastura<br />

Romeo Pastura, al secolo Gianpiero Perone, <strong>è</strong> il più grande seduttore di tutti i tempi. Almeno sul<br />

palco di Colorado Café. Fondatore dell’Istituto Magistrale Parificato di Seduzione “Pippe Bye<br />

Bye”, Pastura ci sve<strong>la</strong> i segreti del<strong>la</strong> seduzione con un look da sistemista informatico e un modo di<br />

fare che i cinefili più smaliziati ravviseranno essere stato apertamente ispirato da Frank T.J. Mackie,<br />

l’autore del sistema “Seduce & Destroy” per portarsi a letto caterve di donne interpretato da Tom<br />

Cruise in Magnolia. Essendo che il personaggio di Frank Mackie si rifà a sua volta a Ross Jeffries,<br />

un commediografo americano realmente esistente ideatore del<strong>la</strong> “Speed Seduction” – uno zibaldone<br />

pro-scopereccio di programmazione neuro-linguistica e varie tecniche ipnotiche. Ma Romeo Pastura<br />

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si svinco<strong>la</strong> bril<strong>la</strong>ntemente dai propri modelli grazie a un nevrotico, scoordinatissimo battimento di<br />

palpebre cui nessuna femmina sul pianeta può resistere.<br />

Secondo il mio <strong>la</strong>cero Dizionario Garzanti del<strong>la</strong> Lingua Italiana, “pastura” significa pascolo, nonché<br />

in modo figurato ogni cosa con cui si nutra il corpo e <strong>la</strong> mente. Esiste tuttavia un ulteriore contenuto<br />

semantico, ossia “cibo o sostanza atta ad attirare il pesce nel<strong>la</strong> zona di pesca”, mutuato diversi anni<br />

fa dallo s<strong>la</strong>ng urbano per indicare colui (o coloro) che va a caccia di femmine: “ehi, gente, andiamo<br />

a pasturare?” Traducesi: a spargere un po’ del nostro sex-appeal (ammesso che se ne possegga) nel<br />

grande mare mosso del<strong>la</strong> nightlife per far abboccare qualche bel<strong>la</strong> pesciolina. Non mi <strong>è</strong> mai piaciuto<br />

questo modo di dire.<br />

Io, per me, sono l’anti-seduttore. La <strong>mia</strong> “tecnica” consiste nel non fare assolutamente alcunché per<br />

farmi notare; difatti, il 99% delle volte passo totalmente inosservato. Ma <strong>è</strong> proprio in quell’esiguo<br />

margine restante che <strong>Maurizio</strong> Bassura si gioca tutto. Se in un locale stracolmo di belle ventitreenni<br />

che neanche vi si sodomizzano perché gli ricordate troppo quel perdente artistoide vetero-comunista<br />

che sbarca il lunario tracciando ritratti di Marx Lenin Stalin Krusciov Breznev Che Guevara Fidel<br />

Castro e Mao coi gessetti colorati sul marciapiede davanti a Pa<strong>la</strong>zzo Nuovo (per quanto voi siate<br />

sempre stati antipolitici e ascoltiate i Subsonica e vi <strong>la</strong>viate e flossiate i denti anche quattro volte al<br />

giorno, ma oggigiorno basta mettersi addosso una T-shirt che non sia griffata per farvi catalogare<br />

come un mitilo), ce n’<strong>è</strong> una magari meno appariscente delle altre ma comunque attraente che vi<br />

posa gli occhi addosso con uno scintillio nello sguardo (quasi certamente <strong>la</strong> pupa studia Psicologia)<br />

per più di due secondi… Be’, che ve lo dico a fare. Carpe diem o pippe con Redtube.<br />

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Posted 15/09/<strong>2008</strong> h 10.50 a.m., CET. Nel<strong>la</strong> pagina precedente, il paginone centrale di P<strong>la</strong>yboy del<br />

novembre 1972 con l’immagine senza veli (ma piuttosto casta se paragonata a certi nudi attuali)<br />

del<strong>la</strong> meravigliosa model<strong>la</strong> svedese Lena Sjööblom. In quel tempo una squadra di scienziati del<strong>la</strong><br />

University of Southern California, nell’ambito del progetto militare “Arpanet” (il progenitore di<br />

Internet), incominciò a studiare <strong>la</strong> digitalizzazione delle immagini: il risultato dei loro sforzi fu <strong>la</strong><br />

creazione dei formati Mpeg e Jpeg. Come immagine campione quei cervelloni scelsero proprio <strong>la</strong><br />

foto del<strong>la</strong> bellissima Lena. Ancora oggi il suo soave nordico fondoschiena <strong>è</strong> uno degli standard più<br />

usati per testare gli algoritmi di compressione degli immagini.<br />

Del<strong>la</strong> cosiddetta “zona erogena mutevole”, o virtù callipigia, insomma del posteriore, si occupò in<br />

maniera infinitamente più aspra e bisessuale anche Norman Mailer nel suo thriller psicologico I duri<br />

non bal<strong>la</strong>no. Il protagonista Tim Madden ricorda così il suo primo amplesso con <strong>la</strong> sensuale e<br />

malvagia Patty Lareine, che poi diventerà sua moglie: “Quel<strong>la</strong> Patty aveva un corpo degno d’una<br />

model<strong>la</strong> diciannovenne di P<strong>la</strong>yboy, e ce l’avevi in carne e ossa innanzi a te, roba da non credere, e<br />

ingaggiammo una romantica battaglia liceale, vale a dire, io continuavo a indur<strong>la</strong>, spingendo, a<br />

mettere <strong>la</strong> bocca in luoghi che giurava di non avere mai toccato finora con le <strong>la</strong>bbra, e quindi<br />

stavamo sempre l’uno nell’area di rigore dell’altra, e mettevamo in atto ogni sorta di prese, così<br />

intime e maligne e sempre più ardite e perverse e, come dicono in California, superpiacevolissime.<br />

Dio, Patty Erlene era in gamba, potevi scopar<strong>la</strong> fino a morirne.” Verso lo scioglimento dell’intricata<br />

vicenda Wardley, il nuovo marito di Patty Lareine, rivelerà a Madden: “Patty ti odiava al<strong>la</strong> follia.<br />

Sai, certi uomini, per accontentare <strong>la</strong> parte femminile di sé, inducono le loro donne a speciali<br />

pratiche di sesso orale. Patty Lareine lo faceva, per me. Anzi, <strong>è</strong> così che mi indusse a sposar<strong>la</strong>.<br />

Nessuno mi aveva mai fatto certe cose meglio di lei. Poi, dopo sposati, smise. Fredda. Quando le<br />

feci capire che avrei gradito che quelle nostre pratiche continuassero, mi disse: ‘Wardley, non<br />

posso. Ogni volta che vedo <strong>la</strong> tua faccia, adesso, mi ricorda il tuo didietro.’”<br />

Ne La novel<strong>la</strong> del mugnaio, facente parte del celeberrimo poema di Geoffrey Chaucer I Racconti di<br />

Canterbury (XIV secolo), il rapporto sessuale fra Alison e l’amante Nicho<strong>la</strong>s <strong>è</strong> disturbato dall’altro<br />

spasimante Absalon, che dal<strong>la</strong> finestra richiede un bacio come pegno d’amore. Allora Alison sporge<br />

il sedere nudo fuori del<strong>la</strong> finestra affinché Absalon lo baci (“But with his mouth he kiste hir naked<br />

ers.”). Ciò lo fa arrabbiare moltissimo, di modo che fornitosi di un ferro rovente si ripresenta presso<br />

<strong>la</strong> finestra e richiede un altro bacio. Questa volta <strong>è</strong> Nicho<strong>la</strong>s a ripetere lo scherzo aggiungendovi<br />

però una sonora scoreggia in faccia al rivale, per <strong>la</strong> quale meritatamente si becca <strong>la</strong> marchiatura a<br />

fuoco. Da lì deriva l’espressione s<strong>la</strong>ng anglosassone kiss my ass (“baciami il culo”), in gaelico póg<br />

mo thóin, e un formidabile gruppo di folk-punk: i Pogues.<br />

Anche il sottoscritto, come tutti gli uomini anche se <strong>la</strong> maggior parte di essi obnubi<strong>la</strong>ta dall’eccesso<br />

di testosterone non lo ammetterebbe neppure con un paio di elettrodi piantati nei testicoli, ha una<br />

parte femminile. Dopotutto il cromosoma maschile <strong>è</strong> un cromosoma femminile incompleto, e non<br />

soltanto perché lo sosteneva Valerie So<strong>la</strong>nas, quel<strong>la</strong> sciroccata che sparò ad Andy Warhol. Pertanto<br />

nell’intimità non mi dispiacciono le carezze sui glutei. Ricordo con piacere le mani seriche di una<br />

ragazza basca con cui ebbi una fugace ma intensa re<strong>la</strong>zione tredici anni fa. Ricordo anche che ebbe<br />

il dettaglio di chiamarmi alle 23.00 di un lunedì tra i più bestiali dal punto di vista <strong>la</strong>vorativo che io<br />

ricordi difatti ero lì già mezzo tra le braccia di Morfeo per comunicarmi che non ce <strong>la</strong> faceva più a<br />

sopportare <strong>la</strong> lontananza fra noi e per di più non mi aveva mai veramente amato benché in otto mesi<br />

me lo avesse scritto e detto almeno centoventi volte e quindi mi mol<strong>la</strong>va e che per favore non <strong>la</strong><br />

odiassi. “Goizalde l’aveva addentrato negli abissi dell’anima femminile. Con lei, aveva appreso a<br />

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leggere tra le righe, a decifrare i messaggi. Talvolta un ‘ti amo’ poteva significare ‘ti amo da<br />

impazzire’, ‘sto cercando di convincermi che ti amo’ o ‘no, non ti amo, anzi mi fai pure un po’<br />

schifo’.” Kiss my ass goodbye.<br />

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Posted 23/09/<strong>2008</strong> h 10.50 a.m., CET. Quel<strong>la</strong> di presentare un racconto con un brano che parli di<br />

chi o cosa ti ha ispirato a scriverlo e di altre cose <strong>è</strong> una moda molto americana. Taluni in Europa <strong>la</strong><br />

considerano assai leziosa. A me non dispiace, a patto che non se ne faccia uso smoderato. Eccomi<br />

allora a scrivere per i miei (pochi, ma buoni) lettori una stringata introduzione a PUD (Piccole<br />

Unità Disoccupate). È un racconto sul<strong>la</strong> mastodontica bufa<strong>la</strong> dei corsi di formazione professionale<br />

in Italia, nonché sul<strong>la</strong> predisposizione decisamente autolesionista dell’uomo moderno a innamorarsi<br />

delle donne sbagliate. Ogni allusione a persone, cose o enti esistenti nel<strong>la</strong> realtà <strong>è</strong> puramente voluta.<br />

Non avertene a male, Elena. Ti desidero ancora.<br />

PUD (PICCOLE U�ITÀ DISOCCUPATE)<br />

In una fredda giornata d’inverno un gruppo di porcospini si rifugia in una grotta e per proteggersi dal freddo<br />

si stringono vicini. Ben presto però sentono le spine reciproche e il dolore li costringe ad allontanarsi l’uno<br />

dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li porta di nuovo ad avvicinarsi si pungono di nuovo. Ripetono<br />

più volte questi tentativi, sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non trovano quel<strong>la</strong> moderata<br />

distanza reciproca che rappresenta <strong>la</strong> migliore posizione, quel<strong>la</strong> giusta distanza che consente loro di scaldarsi<br />

e nello stesso tempo di non farsi male reciprocamente.<br />

Schopenauer<br />

Mi sono già pentito di aver passato le selezioni per partecipare a questo corso di formazione<br />

finanziato dal Fondo Sociale europeo per “Addetti al commercio estero”. Per me <strong>è</strong> un molesto déjà<br />

vu questo subisso di dispense cartacee colme di diagrammi, epigrammi, esagrammi e fottigrammi<br />

cui si viene sottoposti da creature zoomorfe con <strong>la</strong>urea magna cum <strong>la</strong>ude in psicologia e master in<br />

(cattiva) gestione delle risorse umane. Mentre <strong>la</strong> quasi totalità dei miei speranzosi compagni<br />

d’avventura (o di sventura) <strong>è</strong> ancora al<strong>la</strong> ricerca dell’Arca, pardon del<strong>la</strong> prima occupazione, io ho<br />

perduto l’illibatezza <strong>la</strong>vorativa ben dodici anni fa. E da allora ho “fornicato” come un grillo.<br />

Ciononostante al momento sono disoccupato, perché e percome non ve lo rivelerò neanche sotto<br />

scopo<strong>la</strong>mina; sicché eccomi qua, ultratrentenne, a farmi di nuovo prendere per i fondelli con <strong>la</strong><br />

propedeutica al <strong>la</strong>voro. Giuro sul<strong>la</strong> <strong>mia</strong> testaccia di cavolo che <strong>è</strong> l’ultima volta.<br />

Il formatore, anzi <strong>la</strong> formatrice del modulo Manager e Managerialità <strong>è</strong> una scrofa rubizza coi denti<br />

sporgenti e un fare inquisitorio nazistoide. “Frau Finotti!”, e i cavalli nitriscono <strong>la</strong>ggiù nelle<br />

maleodoranti stalle del Centro Uffici Direzionali (ma direzzzionali de ghe?, se <strong>è</strong> lecito saperlo).<br />

Scomodando un altro eminente pensatore germanico, Herr Martin Heidegger, affermerei che <strong>la</strong><br />

Dottoressa Finotti <strong>è</strong> pagata per mostrarci <strong>la</strong> strada verso <strong>la</strong> Betriebliche Lichtung, l’eliminazione<br />

delle remore mentali per una fluente comunicazione nell’ambito aziendale. Ripensando alle mie<br />

scorse esperienze <strong>la</strong>vorative in ambienti perlopiù caratterizzati da rapporti umani pressoché autistici<br />

e circostanze del genere “<strong>la</strong> mano destra non sa cosa fa <strong>la</strong> sinistra”, mi viene da sorridere ma anche<br />

voglia di scappare a fumarmi uno spinello da qualche parte, magari sotto il monumento a Vittorio<br />

Emanuele II del quale da questo stanzone frigido s’intravede <strong>la</strong> statua.<br />

Il primo Re d’Italia.<br />

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L’ASSERTIVITÀ<br />

Riguarda <strong>la</strong> sicurezza di sé che significa:<br />

• Avere un atteggiamento positivo verso se stessi e gli altri<br />

• Essere leali con se stessi e con gli altri<br />

• Rispettare se stessi e gli altri<br />

Quando si <strong>è</strong> sicuri di sé e il proprio comportamento <strong>è</strong> assertivo si <strong>è</strong> aperti<br />

agli altri e ai loro punti di vista anche quando possono essere diversi<br />

Stupenda questa combinazione di testo centrato ed elenco puntato in carattere Times New Roman<br />

dimensione 20. Sa d’annul<strong>la</strong>mento del<strong>la</strong> personalità.<br />

Grufo<strong>la</strong>ndo <strong>la</strong> moquette bigia, <strong>la</strong> scrofa si dirige verso Rossana Valleri, senza confronti <strong>la</strong> ragazza<br />

più attraente dell’au<strong>la</strong>. Ho già sondato il terreno con costei, concludendo che più ne sto lontano,<br />

meglio <strong>è</strong>: appartiene al<strong>la</strong> specie delle Universitarie Brodoso-Labirintiche. Peccato, perché ha i<br />

medesimi occhi di Nicole Kidman e un culo da schianto.<br />

“Lei <strong>è</strong> assertiva, signorina Valleri?”<br />

“Assertiva?” Rossana trascolora divenendo uno splendido ectop<strong>la</strong>sma. Quel facocero siculo del<strong>la</strong><br />

Impellitteri, che l’odia visceralmente per il suo profilo di cammeo e <strong>la</strong> schiena mirabilmente<br />

inarcata sul paiolo, se <strong>la</strong> ride sotto i baffi al<strong>la</strong> Franco Causio. Reprimo a stento l’impulso di tirarle in<br />

un occhio il mio Tratto Clip.<br />

“Sì, assertiva”, svasticheggia Frau Finotti. Iiiih!<br />

Rossana: “Ehm, io penso, o meglio credo di avere un atteggiamento molto positivo nei confronti<br />

degli altri, meno verso me stessa.”<br />

“Perché?” La é accelerata oltre il limite di Einstein come certe note di Jimi Hendrix in Electric<br />

Lady<strong>la</strong>nd. I nostri volti iperborei di piccole unità disoccupate s’illuminano fugacemente di un gelido<br />

azzurro cherenkov.<br />

“Perché mi manca totalmente l’autostima” conclude Rossana da un punto a metà strada fra il<br />

Sistema So<strong>la</strong>re e Proxima Centauri.<br />

“Ah” squittisce <strong>la</strong> Finotti. “Brutta cosa. Peeessima cosa. Come farai allora a proporti in un contesto<br />

aziendale se non ti senti sicura di te?” Si rivolge al resto del<strong>la</strong> truppa. “Ricordati, anzi ricordatevi<br />

che non si ha due volte l’occasione di fare una buona impressione.”<br />

Questo lo so già, cochinil<strong>la</strong>. Al mio primo colloquio di <strong>la</strong>voro, per un lercio posto da impiegato<br />

tecnico, io mi presentai in dolcevita granata, giubbotto di pelle nera e stivaletti di finto pitone. Per di<br />

più, nel momento topico, ebbi <strong>la</strong> bril<strong>la</strong>nte pensata di snoccio<strong>la</strong>re a quell’algida tagliatrice di teste in<br />

minigonna e tacchi a spillo le mie preferenze musicali e letterarie, apertamente antisistema. Poco ci<br />

mancava che le dicessi che di tanto in tanto facevo uso di droghe.<br />

Mi assunsero giusto perché usufruivo di un bel calcio nel sedere; pure, volta esauritosene l’effetto<br />

fecero di tutto e di più per sbattermi fuori. Ma al<strong>la</strong> fine fui io a dare le dimissioni. Eccezionalmente<br />

sicuro di me.<br />

DIFESA DELL’EGO Risposte mirate a difendere se stessi, il proprio ego inteso come stima di se stessi (es.<br />

“Mi scusi, …).<br />

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DOMI�A�ZA DELL’OSTACOLO Risposte in cui si cerca in un evento esterno <strong>la</strong> causa di ciò che <strong>è</strong><br />

avvenuto (“Non ho potuto contattare quel fornitore perché <strong>la</strong> stampante si <strong>è</strong> rotta”).<br />

PERMA�E�ZA DEL BISOG�O Risposte che cercano di dare una risposta al problema.<br />

Fuori fa un freddo becco, ho un’emicrania da cineteca e quel<strong>la</strong> slide <strong>la</strong> metterei in un forno a<br />

microonde con <strong>la</strong> manopo<strong>la</strong> girata sul grill. Il proposito di Frau Finotti (Iiiih!) di ottundere tutti gli<br />

spigoli del<strong>la</strong> nostra ingombrante individualità per i nidi di vipere che ci attendono, sempre ammesso<br />

che dopo lo stage qualcuno ci faccia <strong>la</strong> carità di assumerci, <strong>è</strong> oggi fin troppo scoperta.<br />

Ai tempi del mio primo contratto di formazione e <strong>la</strong>voro ci rompevano sovente i marroni con <strong>la</strong><br />

cosiddetta “ottica aziendale”, in cui essendo in pieno “edonismo reganiano” <strong>la</strong> direttiva primaria era<br />

l’aspetto formale. Al presente <strong>è</strong> di moda l’analisi transazionale dei comportamenti. E domani?<br />

“Avrei bisogno di un campione del suo Dna, signore. L’analizzeremo ed entro pochi giorni le<br />

faremo sapere.” E fra duecento anni? La risorsa sintetica. E…<br />

Tocca di nuovo al<strong>la</strong> troia: “Orbene, Valleri.” È ormai <strong>la</strong> sua vittima designata. “Io faccio irruzione<br />

nel tuo ufficio e ti rampogno sonoramente per non aver trasmesso in tempo utile quel dato fax al<br />

nostro fornitore principale. Tu come mi ribatti?”<br />

“Io? Ehm… le rispondo: Mi scusi…”<br />

“Ah! Ah! Non così! Niente scuse!” �o excuses: a mio parere, <strong>la</strong> canzone più bel<strong>la</strong> degli Alice In<br />

Chains.<br />

“Allora… senta, io…”<br />

“O.K., fa niente. Mastrogiacomo, che cosa mi rispondi tu?”<br />

Pino Mastrogiacomo da Matera, col suo bel faccione quadrato: “Sono davvero spiacente per questa<br />

<strong>mia</strong> negligenza, Dottoressa. Le assicuro che non si ripeterà più.”<br />

La scrofa rimane ritta a capo chino in mezzo all’au<strong>la</strong>, stringendosi il naso tra il pollice e l’indice.<br />

Poi annuisce: “Non male, Mastrogiacomo. Non male.”<br />

Stomacato e non solo per l’alcol ancora in raffinazione nelle vasche del mio metabolismo, faccio<br />

per chiedere il permesso di andare al cesso. Mal me ne incoglie. “Oh, ecco il tenebroso Faletti che si<br />

offre volontario per una simu<strong>la</strong>zione di dialogo!”<br />

Qualcuno ridacchia, i futuri leccapiedi. “In verità, Dottoressa, io le volevo chiedere gentilmente il<br />

permesso di andare in bagno.”<br />

Lei me lo nega. “Prima <strong>la</strong> scenetta. La pipì può attendere un minuto.”<br />

Riaccomodo il mio culetto stizzito sul<strong>la</strong> poltroncina. “Va bene.” Allora mettiti in ginocchio e<br />

spa<strong>la</strong>nca <strong>la</strong> bocca che ti faccio una bel<strong>la</strong> doccia di succhi gastrici, ringhio nel mio gorgogliante<br />

dominio interno. E quindi…<br />

“Faletti!”, strepita quel<strong>la</strong> tossica di grappa. “L’avevo avvertita che esigevo quel capito<strong>la</strong>to per<br />

richiesta d’offerta sul<strong>la</strong> <strong>mia</strong> scrivania entro le dieci di questa mattina!”<br />

Tratto un profondo respiro, <strong>la</strong>ncio <strong>la</strong> <strong>mia</strong> granata. “Non me lo sono scordato, Dottoressa. Purtroppo,<br />

stamani intorno alle otto e quaranta, una fazione terroristica d’area anarco-insurrezionalista ha<br />

inondato <strong>la</strong> nostra rete locale con un impulso elettromagnetico che ha mandato a quel paese tutto<br />

l’hardware dell’azienda. Il mio <strong>la</strong>ptop ha addirittura preso fuoco.”<br />

La prima a sganasciarsi <strong>è</strong> Rossana, <strong>la</strong> più vicina al<strong>la</strong> cattedra. Poi l’onda d’i<strong>la</strong>rità si propaga in<br />

modo diseguale lungo i tre <strong>la</strong>ti del<strong>la</strong> stanza occupati da noi monadi in cerca d’impiego. Gli aspiranti<br />

cortigiani, che prima se <strong>la</strong> ghignavano come dei deficienti di guerra, adesso sorridono appena.<br />

Giorgio Brondini di Brondini, una specie d’al<strong>la</strong>mpanato Rain Man del<strong>la</strong> scienza giuridica, <strong>è</strong> l’unico<br />

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a rimanere impassibile, con quel<strong>la</strong> barba antracite il cipiglio da predicatore battista.<br />

“Brutta idea, signor Faletti, non prendere sul serio queste pratiche”, <strong>mia</strong>go<strong>la</strong> <strong>la</strong> Finotti, zittendo<br />

all’istante <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse. “Pessima idea.”<br />

Figlia di puttana.<br />

• CARATTERISTICHE FISICHE<br />

A�ALISI TRA�SAZIO�ALE<br />

A = Adulto, il pensato<br />

Informazione<br />

Apprendimento, acquisizione di tecniche<br />

Riflessione<br />

E<strong>la</strong>borazione<br />

Deduzione<br />

Previsione<br />

Decisione<br />

• Espressioni facciali attente, vigili e partecipative<br />

• Posizioni ed espressioni spontanee e non studiate<br />

• Mobilità fisica e gestuale<br />

• Espressioni di rapporto con ambiente e persone<br />

• Voce espressiva naturale<br />

• CARATTERISTICHE VERBALI<br />

• Espressioni di ricerca (perché? cosa? dove? quando? chi? come?)<br />

• Espressioni di misura (abbastanza, prevalentemente, in egual misura…)<br />

• Espressioni re<strong>la</strong>tivizzanti (credo, secondo me, probabilmente…)<br />

• Convinzioni<br />

• Teorizzazioni di esperienze<br />

Stravedo per Robert Fripp. Per me, <strong>è</strong> il miglior chitarrista di sempre. Ne scoprii i talenti grazie a un<br />

nastro su cui un fricchettone che poi purtroppo morì in un incidente di motocicletta mi registrò il<br />

debutto dei King Crimson, ma fu Exposure a farmene innamorare.<br />

Gli assoli che il gentiluomo ha inciso per questo disco di David Bowie, Scary Monsters, che io e <strong>la</strong><br />

flessuosa Rossana dalle virtù callipige stiamo ascoltando barricati nel<strong>la</strong> <strong>mia</strong> auto sotto casa sua,<br />

sono semplicemente non umani.<br />

Come in Teenage Wildlife. “Senti che sca<strong>la</strong> ga<strong>la</strong>ttica si spara adesso, <strong>è</strong> incredibile!”<br />

“Sì, <strong>è</strong> proprio un portento” concorda Rossana, ripassandomi <strong>la</strong> canna. “Benché non sia <strong>la</strong> <strong>mia</strong><br />

musica preferita.”<br />

“Che sarebbe?”<br />

“Cure, Tori Amos, P.J. Harvey. Cose così.” Ci avrei scommesso un dito.<br />

Al termine di una giornata più che mai soporifera, poiché era ancora in corso uno sciopero dei<br />

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mezzi pubblici, mi sono offerto di accompagnar<strong>la</strong> a casa, rimangiandomi i precedenti propositi di<br />

non accostamento. Strada facendo ci siamo fermati in un locale a prendere un aperitivo: due per<br />

ciascuno, a dire il vero. Se tiro altre due boccate di quest’erba finirò per provarci: dopo tutto, che<br />

l’ho portata qui a fare? A prendere un calco del suo strepitoso sedere per farne una scultura pop da<br />

mettermi in camera da letto?<br />

Riecco Rossana: “Secondo te, <strong>la</strong> nasona <strong>è</strong> fidanzata?”<br />

La “nasona” sarebbe <strong>la</strong> nostra tutor, Giovanna De Rossi. Rossana n’<strong>è</strong> letteralmente ossessionata: <strong>è</strong> il<br />

suo frippertronics.<br />

Faccio una smorfia possibilista. “Perché no. Può darsi che qualcuno <strong>la</strong> consideri attraente.” Picco<strong>la</strong>,<br />

esile, nasuta, gambe arcuate, amabile come uno sciame di zanzare dopo un temporale: be’, fatemi<br />

conoscere quel qualcuno!<br />

“Sarà una bomba del sesso.”<br />

“Da venti megatoni. Attenzione al<strong>la</strong> ricaduta di estrogeni radioattivi.”<br />

Rossana ride. Ha un incisivo verdastro, una picco<strong>la</strong> pecca nel giglio. “Secondo me se <strong>la</strong> intende con<br />

quel formatore italo-o<strong>la</strong>ndese, Vandernoot, o come diamine si chiama.”<br />

“Vanenburg. Gerald Vanenburg.” Spengo lo spinello nel portacenere.<br />

“Gerald?”<br />

<strong>Torino</strong>, Bar Fi<strong>la</strong>delfia, 25 giugno 1988. Prendo un’acqua e menta e mi vado ad accomodare davanti<br />

al televisore; si sta giocando <strong>la</strong> finale degli Europei, O<strong>la</strong>nda-Urss. Al 32' Ruud Gullit porta in<br />

vantaggio i tulipani: stacco perentorio e pulsazione medusoide dei suoi dreadlocks. Al 54' Marco<br />

Van Basten inventa <strong>la</strong> silurata del decennio e dal<strong>la</strong> meraviglia quasi mi scappa dal<strong>la</strong> mano il terzo<br />

bicchiere consecutivo di additivo per acquari. Tra i due gol tante sapienti giocate di Gerald<br />

Vanenburg, esterno destro dal tocco soave con le cornee di uno squalo.<br />

Gli oranje alzano <strong>la</strong> Coppa Europa al cielo e finalmente arrivano quegli impuniti di Steve e Gianni:<br />

“Allora, si va in montagna?”<br />

E io: “Ma andate un po’ a cagare! Sono più di due ore che vi aspetto. Comunque al<strong>la</strong> faccia vostra<br />

mi sono goduto una partita da sballo.” E un’a<strong>la</strong> tornante fenomenale.<br />

“Giuliano. Si chiama Giuliano.”<br />

“Giuliano chi?” Il ricordo o<strong>la</strong>ndese scoppia come una bol<strong>la</strong> di sapone. “Ah, già. Quel biondino<br />

dinocco<strong>la</strong>to con le mani di fata. Li vedo bene a letto insieme.”<br />

Rossana rimane zitta. Forse in lei scorre una vena lesbica e il pensiero di quei due abbracciati le ha<br />

scatenato dentro un tifone di gelosia. La chitarra acustica di Pete Townshend introduce Because<br />

You’re Young con un riff pregno di tensione emotiva, certamente più adatto a un film noir che al<strong>la</strong><br />

commedia romantica che potrei scrivere con questa bel<strong>la</strong> ragazza. Tutt’a un tratto Faletti estrasse<br />

dal<strong>la</strong> tasca del giubbotto una pezzuo<strong>la</strong> imbevuta di cloroformio…<br />

Rossana guarda l’ora. “Cazzaro<strong>la</strong>, sono le otto passate. E sono bel<strong>la</strong> fusa. Speriamo che Celestino<br />

non mi sgami.”<br />

Mi cadono le palle sul tappetino sotto i piedi. “Ti vedi con lui… stasera?” Con quello zerbinotto<br />

d’ingegnere dal nome ridicolo, il tuo fidanzato di cui dici sempre peste e corna?<br />

“Sì. Sai, <strong>è</strong> un salutista, lui.”<br />

E io il solito scalcinato ghostbuster di spettri femminili. “Be’, allora… ci vediamo domani.”<br />

Lei apre <strong>la</strong> portiera con un gesto torpido. “Se mi sveglio…” Richiudi <strong>la</strong> portiera. Guardami con<br />

occhi pieni di desiderio. Mangiami <strong>la</strong> bocca.<br />

“Ti stavo dicendo, se mi sveglio, ci vediamo al<strong>la</strong> macchinetta del caff<strong>è</strong>.” Smonta un po’ a fatica<br />

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dal<strong>la</strong> macchina. “Ciao, Fede, e divertiti.” S<strong>la</strong>m. Rumore di tacchi in spostamento verso il rosso<br />

sull’asfalto.<br />

Per un minuto abbondante rimango immobile come un insetto preistorico intrappo<strong>la</strong>to nell’ambra.<br />

Secondo il buon vecchio punto di vista del<strong>la</strong> volpe nei riguardi dell’uva acerba, ho scampato un<br />

pericolo. Ma <strong>è</strong> davvero così? Non pensi che per lei potresti essere tu lo scampato pericolo?<br />

Ovverosia: “Federico Faletti mi piace, ma <strong>è</strong> più suonato di me, sicché mi conviene rimanere con<br />

Tonno Celestino?”<br />

Seghe. Nient’altro che seghe mentali. Crollo il capo, giro <strong>la</strong> chiavetta dell’accensione e parto ad<br />

affrontare l’ennesima serata da uomo solo: in più, strafatto come un babà.<br />

It’s no game.<br />

Più in dettaglio, gli stakeholder si dividono in:<br />

STAKEHOLDER<br />

Individuo o gruppo<br />

che <strong>è</strong> portatore<br />

di interessi obiettivi riferiti all’impresa,<br />

ovvero nei confronti del quale<br />

l’impresa nutre un interesse legittimo<br />

In altri termini, individuo o gruppo<br />

che <strong>è</strong> influenzato, o può influenzare,<br />

il comportamento dell’organizzazione.<br />

1. Interni. Soggetti che agiscono all’interno del sistema impresa.<br />

2. Esterni. Soggetti che esercitano dall’esterno un’influenza sulle vicende dell’impresa.<br />

3. Primari. Soggetti che hanno con l’impresa una formale re<strong>la</strong>zione contrattuale.<br />

4. Secondari. Soggetti che in modo indiretto possono influenzare o essere influenzati dalle attività<br />

dell’impresa.<br />

Frau Finotti (Iiiih!) ha ceduto <strong>la</strong> cattedra al Dottor Carlo Varapelli. Uno dei prototipi del nuovo<br />

fascino maschile che fanno <strong>la</strong> giocondità e le fortune degli esperti di marketing: non molto alto ma<br />

robusto, occhi verdi gatteschi, capelli ricci un po’ scompigliati, occhiali dal<strong>la</strong> montatura di corno,<br />

par<strong>la</strong>ntina sciolta, gran viaggiatore. Tutte le marmocchie del corso se lo mangiano con gli occhi.<br />

Nel coffee break delle dieci e trentacinque, al distributore automatico d’ulcera duodenale, Rossana<br />

ha dichiarato a un gruppetto di ciamporgne che “quello <strong>è</strong> proprio il mio tipo”, ricevendo una raffica<br />

di gravi assensi. Per un istante <strong>è</strong> stato come se qualcuno mi avesse de-energizzato. Poi però mi sono<br />

ripreso e ho sorriso, immaginando una probabile futura re<strong>la</strong>zione fra l’accattivante educatore e quel<br />

tonico sederino problematico. Auguri e terapisti maschi!<br />

Comunque Varapelli <strong>è</strong> un sollievo dopo <strong>la</strong> Finotti. Chiunque fosse un minimo affabile lo sarebbe.<br />

Ma <strong>è</strong> solo una sospensione temporanea del bombardamento; l’affascinante dottorino sarà seguito<br />

certamente da un altro insopportabile simu<strong>la</strong>cro dall’oratoria anfetaminica o mesmerizzante.<br />

Il vero dilemma <strong>è</strong> che il 90% di questo pastone di nozioni con cui c’imboccano quotidianamente<br />

nemmeno fossimo dei bambini in fase di svezzamento non serve a una beatissima fava. Appena<br />

entrerai in azienda il primo basi<strong>la</strong>re compito che ti appiopperanno sarà di fotocopiare le ricette di<br />

cucina del<strong>la</strong> moglie del capufficio. Step two, imparerai a rispondere a due-tre telefonate nello stesso<br />

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tempo. Step three, chi conta e chi no, per chi devi correre non appena emette un sospiro e chi conta<br />

meno del due di picche. Passata qualche settimana qualcuno ti prenderà da parte e dopo un orribile<br />

caff<strong>è</strong> comincerà a spiegarti che cosa si fa lì e come, liquidando tutto questo popò di teoria come “un<br />

mucchio di stronzate che non servono a un cazzo”. Amen.<br />

“In altri termini, individuo o gruppo che <strong>è</strong> influenzato, o può influenzare, il comportamento<br />

dell’organizzazione”. Mio Dio, che razza d’italiano; avrebbe bisogno di un super-risciacquo e<br />

centrifuga+antipiega, altro che Arno.<br />

Rossana mi ha chiesto se uscivo a pranzare con lei e altri due sedani, ma io le ho risposto che non<br />

avevo fame. C’<strong>è</strong> rimasta maluccio. Pazienza, due bicchieri di vino e le passerà. Ho qui con me il<br />

lettore CD portatile e Here Come The Warm Jets di Brian Eno. In Baby’s On Fire Robert Fripp<br />

suona un assolo da paura.<br />

Robert Fripp <strong>è</strong> stato uno stakeholder esterno al fenomeno new wave. Subito dopo aver impreziosito<br />

Heroes di David Bowie con stranianti pennel<strong>la</strong>te post-umane, il chitarrista britannico volò a New<br />

York dove, parole sue: “Nessuno se <strong>la</strong> tirava da grande star del rock’n’roll. La gente m’incontrava<br />

per strada o al bar e mi chiedeva se fossi impegnato al momento e, se no, m’invitava a far musica<br />

con loro.” Fu così che Fripp si ritrovò a suonare coi Blondie sul palco dello storico CBGB’s per il<br />

Johnny Blitz Benefit (Johnny Blitz era il batterista dei Dead Boys: si era preso una sventagliata di<br />

coltel<strong>la</strong>te al torace in una rissa per strada).<br />

Evidentemente preso bene dal<strong>la</strong> band del<strong>la</strong> sexy Deborah Harry, il genio compose dei terrificanti<br />

passaggi chitarristici per Fade Away And Radiate, fascinosissima sintesi di pulsazioni interstel<strong>la</strong>ri e<br />

inquietudini urbane con un’inaspettata coda reggaeggiante. Coloro che accusavano i Blondie di<br />

essersi svenduti con Heart Of G<strong>la</strong>ss erano serviti.<br />

Mi <strong>è</strong> tornata una gran voglia di suonare <strong>la</strong> chitarra. Stasera riscatterò Gli accordi a prima vista<br />

dall’immeritato oblio al salnitro e riprenderò a esercitarmi sui giri armonici. Giro di DO, Do-La m-<br />

Re m-Sol7. Giro di SOL, Sol, Mi m-La m-Re7. Lou Reed <strong>è</strong> dietro l’angolo, <strong>la</strong> sempiterna sigaretta<br />

in bocca: “I Velvet potevano essere estremamente dissonanti o graziosissimi. Ed erano sempre<br />

canzoni di due o tre accordi. Per una band alle prime armi che ha bisogno di farsi un repertorio il<br />

mio materiale <strong>è</strong> ottimo, perché <strong>è</strong> facile da suonare.”<br />

Era stampato in una slide del<strong>la</strong> porcellona: Il tempo <strong>è</strong> una risorsa. Limitata. Incontrol<strong>la</strong>bile.<br />

Irrecuperabile. Invariabile. Indivisibile.<br />

Io vi aggiungo una citazione da Bronx: non c’<strong>è</strong> niente di peggio nel<strong>la</strong> vita che il tempo sprecato.<br />

Appunto per questo ora abbandonerò questo corso. E buona fortuna a tutti. Perfino all’irsuta e<br />

biliosa Impellitteri. Quanto a Rossana… mi farà piacere una sua telefonata.<br />

Fuori c’<strong>è</strong> aria di neve. Nelle cuffiette, On Some Faraway Beach. Mi accendo una paglia e guardo in<br />

alto. Vittorio Emanuele II <strong>è</strong> sempre <strong>la</strong>ssù, verdognolo e solenne. Chissà se amava <strong>la</strong> musica.<br />

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“Silicone Grown”. Ilustrazione di <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, <strong>2008</strong>.<br />

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Posted 30/09/<strong>2008</strong> h 05.23 p.m., CET. Nel<strong>la</strong> sua rubrica su <strong>Torino</strong>sette Il pensiero debole, Luciana<br />

Littizzetto scrive: “Niente. Che destino beffardo e crudele. Anni che faccio questo mestiere<br />

(purtroppo per noi, �ota del Blogger) e vigliacco se una volta mi sia capitato di incrociare George<br />

Clooney. Ma mai. L’ho mancato perfino da Fazio. E dire che lo sapevo due mesi prima che sarebbe<br />

venuto ospite. (…) Comunque George <strong>è</strong> anche un buon attore. Mi fa impazzire <strong>la</strong> faccia che fa<br />

quando quel<strong>la</strong> stacca con <strong>la</strong> spada le balle al toro per mettergli il ghiaccio nel Martini. Una faccia da<br />

Oscar. Dove li trovi dei maschi così? Il maschio comune avrebbe fatto ‘no, no, no, no… basta<br />

basta…’ Più adatto, sicuro, nel<strong>la</strong> parte del toro con <strong>la</strong> moglie che gli fa saltare gli amici di Maria<br />

con <strong>la</strong> stecca da biliardo.” Maschi così ne trovi eccome, cara Luciana. Un po’ mimetizzati nel<strong>la</strong><br />

giung<strong>la</strong> del<strong>la</strong> vita, ma esistono. Però tu non te li puoi permettere. Probabilmente <strong>è</strong> per questo che a<br />

un certo punto del<strong>la</strong> tua esistenza sabauda sei voluta assurgere a Santa Protettrice Caustica delle<br />

Ciospe contro l’Empietà G<strong>la</strong>mour delle Strafiche e dei Ganimedi. Nondimeno che colpa ne hanno<br />

Pao<strong>la</strong> e Chiara di essere così carine? (D’accordo che come cantanti sono risibili, ma tu sprizzi<br />

risentimento verso l’avvenenza femminile da tutti i pori.)<br />

Car<strong>la</strong> Signoris, attrice, presentatrice e moglie del comico <strong>Maurizio</strong> Crozza, ha di recente pubblicato<br />

un libro: Ho sposato un deficiente. Sottotitolo: dietro ogni uomo c’<strong>è</strong> sempre una donna che alza gli<br />

occhi al cielo! Premettendo che un giorno, quando e se m’avanzerà un minuto di tempo, andrò a<br />

cercarlo in biblioteca (mi riservo di spendere i miei pochi soldi per ben altri testi), mi si conceda di<br />

controbattere per par condicio che di frequente per ogni donna, o crocchio di donne traviate da Sex<br />

& The City, che alza gli occhi al cielo c’<strong>è</strong> un uomo che se n’allontana tirando un bel sospiro di<br />

sollievo, magari pensando: “Deo gratia, non ne potevo più di queste quattro ciamporgne frustrate!”<br />

Un paio d’anni fa al compleanno del chitarrista solista di un noto gruppo torinese io sentii una tizia<br />

che conoscevo da poco annunciare alle sue amiche: “Quest’estate me ne vado in vacanza nei<br />

Caraibi e mi carico un bel mu<strong>la</strong>tto, tanto qua non ne vale più <strong>la</strong> pena, gli uomini torinesi ci trattano<br />

tutte come puttane.” Al che decisi di pedinar<strong>la</strong> con somma discrezione in giro per locali, scoprendo<br />

in breve che tra le sue più intime conoscenze costei annoverava buttafuori afflitti da eccesso di<br />

testosterone, baristi cocainomani e metal<strong>la</strong>ri falliti. Non propriamente dei Don Juan de Marco,<br />

Maestro d’Amore. Non appena <strong>la</strong> rividi dopo che fu tornata dalle vacanze, le chiesi a bruciapelo:<br />

“Allora, hai beccato?” E lei: “Macché. Laggiù sono tutti brutti come il peccato!”<br />

La settimana scorsa il Comune di <strong>Torino</strong> ha fatto frettolosamente rimuovere dai muri del<strong>la</strong> <strong>città</strong> il<br />

nuovo manifesto facente pubblicità alle Circoscrizioni (nel<strong>la</strong> pagina seguente, yummy!). Madamine<br />

piemunteise, politicanti ultrasinistroidi e giovani studentesse complessate si erano schierate in un<br />

fronte compatto contro il nudo del<strong>la</strong> splendida (e finora misconosciuta, Dio ne benedica il prosieguo<br />

del<strong>la</strong> carriera) model<strong>la</strong> estone Eugenia Nevonen, giudicato troppo audace. Cio<strong>è</strong>, i Dvd porno appesi<br />

all’edico<strong>la</strong> del giorna<strong>la</strong>io di fiducia non urtano <strong>la</strong> sensibilità di nessuno e nei calendari le modelle<br />

assumono certe pose neanche aspettassero l’arrivo di uno Scud, mentre un bel nudo casto, una rosa<br />

baltica dal sorriso scioglicuori e <strong>la</strong> pelle di madreper<strong>la</strong>, scatena addirittura livori veterofemministi.<br />

Insomma, qual <strong>è</strong> <strong>la</strong> storia? Facciamo pena noi o sono esaurite loro?<br />

Domenica mattina scorsa ho suonato un CD antologico degli Stone Roses, senz’altro il gruppo più<br />

emblematico del fenomeno Madchester. Certe loro canzoni sono squisitamente belle: per esempio, I<br />

Wanna Be Adored. Su una cadenza ipnotica e un drone monolitico di chitarra Ian Brown bisbiglia in<br />

tono malinconico un testo parco di parole e sibillino: “Io non ho bisogno di vendere <strong>la</strong> <strong>mia</strong> anima /<br />

Egli <strong>è</strong> già in me / Io voglio essere adorato /Adorami.”<br />

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Si riferisce al demonio? A un’amante volubile? Importa poco. Anch’io voglio essere adorato, ma<br />

non come un idolo fallico. Voglio essere adorato come uomo nello stesso modo in cui mi sento<br />

capace di adorare una donna, cio<strong>è</strong> con tutto me stesso. Io, per me, non ho mai trattato le donne<br />

come puttane, neanche le puttane stesse; quindi non tollero che le donne mi valutino uno zero senza<br />

neanche essersi sforzate di conoscermi a fondo. Questo vale per tutte: discotecare, presentatrici,<br />

sedicenti comiche.<br />

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Posted 11/10/<strong>2008</strong> h 05.23 p.m., CET. Vi sembrerà una barzelletta, ma giuro sul mio onore che <strong>è</strong><br />

<strong>la</strong> sacrosanta verità: in quel<strong>la</strong> fabbrica sita a Basse di Stura (TO), nell’epoca in cui vi <strong>la</strong>voravo io,<br />

un certo ente affidava <strong>la</strong> propria rassegna stampa a un’operaia di mezz’età se<strong>mia</strong>nalfabeta per <strong>la</strong><br />

quale, lo sentii con queste orecchie che finiranno in pasto ai lombrichi, un’unghia incarnita era “il<br />

doppio unchio”. Il ragionamento al<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> sua incorporazione era stato: “Preleviamo una tizia<br />

dall’officina e le appioppiamo ogni giorno una pi<strong>la</strong> di giornali e riviste da cui lei dovrà ritagliare<br />

accuratamente e mettere in un dossier qualsiasi articolo nel quale sia scritto l’acronimo del<strong>la</strong> ditta.<br />

Elementare, no? Perfino per una terrona avvitabulloni con le varici. Quanto al mensile e il livello<br />

d’inquadramento, nema problema: resteranno entrambi invariati, con buona pace del nostro budget.<br />

Di’, dovrebbe baciare il terreno che calpestiamo soltanto per aver<strong>la</strong> tolta dal<strong>la</strong> fogna!”<br />

Ed era soltanto una fra le tante piccole-grandi efferatezze consumate in quel <strong>la</strong>ger metalmeccanico.<br />

Ripensandoci, nel mio ultimo giorno d’azienda avrei potuto motteggiare quei meschini aziendali,<br />

magari facendo loro trovare sul<strong>la</strong> scrivania a mo’ di com<strong>mia</strong>to <strong>la</strong> <strong>mia</strong> personale rassegna… sperma.<br />

Col titolo: Questo <strong>è</strong> ciò che mi fate voi e tutti gli altri <strong>la</strong>cché di questo serpentario: un tortiglione.<br />

Agur.<br />

Lo spruzzo deve necessariamente atterrare sul<strong>la</strong> faccia del<strong>la</strong> donna, che dovrà protendersi a bocca<br />

aperta. Certi registi sprecano il momento illuminando troppo o troppo poco <strong>la</strong> scena, e allora si<br />

perde <strong>la</strong> traiettoria del<strong>la</strong> sborrata, il ruscel<strong>la</strong>re giù dal<strong>la</strong> faccia, <strong>la</strong> leggera scivo<strong>la</strong>ta sul collo.<br />

L’ideale sarebbe non far risaltare troppo il bianco dello sperma con il rosa o il nero del<strong>la</strong> pelle,<br />

come succede spesso nei giornali e nei film di scarsa qualità.<br />

Edoardo Nesi, Fughe da fermo.<br />

(Ritaglia, Carme<strong>la</strong>, ritaglia. Ma stai attenta alle unchie. Piccolo appunto al buon Edoardo riguardo a<br />

taluni passaggi del suo libro, che peraltro apprezzo moltissimo: nel<strong>la</strong> controversa scena di violenza<br />

sessuale inizialmente ‘consenziente’ de Il cane di paglia, Susan George non “bacia e chiava il suo<br />

vecchio fidanzato col maglione di <strong>la</strong>na ruvida”. All’inizio Amy indossa un accappatoio, poi, nei cut<br />

successivi, soltanto una T-shirt bianca. E sul torrido Venere non piove metano bensì acido solforico<br />

né circo<strong>la</strong> ammoniaca in grandi quantità nell’atmosfera. Scusa, neh.)<br />

Eravamo a tu per tu da un minuto appena, quando Libertad allungò le dita sul<strong>la</strong> patta dei miei<br />

pantaloni. Non entrerò nei partico<strong>la</strong>ri: basti dire che lei esibì tanta sensibilità per i miei mutevoli<br />

stati di tumescenza che non arrivammo all’offertorio finché non si udì lo scroscio dello sciacquone,<br />

annunciante l’imminente ritorno di Chevi, e lei, nel frattempo, mi aveva portato su e giù per una<br />

pista a ostacoli con tante lunghe e <strong>la</strong>nguide curve, salite, discese. Eiacu<strong>la</strong>i, con mio stupore,<br />

dolorosamente. I lombi mi dolevano quando fu finita e io mi riabbottonai <strong>la</strong> patta al<strong>la</strong> svelta, mentre<br />

lei si leccava le <strong>la</strong>bbra, ostentatamente, come se lo sperma fosse panna montata; mi diede poi una<br />

stretta di mano e baciò Chevi, con trasporto, sul<strong>la</strong> bocca, quand’egli tornò.<br />

Norman Mailer, Il fantasma di Harlot.<br />

(Libertad detta “La Lengua” – chissà come mai – <strong>è</strong> in realtà un transessuale. Un giorno di questi<br />

<strong>la</strong>ncerò il seguente sondaggio: “Vi siete mai fatti fare un servizietto da un trans al<strong>la</strong> Crocetta? Sì,<br />

�o, Una volta e mi <strong>è</strong> piaciuto un sacco ciononostante non mi sento un ricchione.”)<br />

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Ma con il primo fiotto sopravvenne il traumatico risveglio. Ange<strong>la</strong> Sterling si tolse di bocca il<br />

membro, lo fissò incredu<strong>la</strong>, spa<strong>la</strong>ncando gli occhi, con un rivolo sottile di sperma che luccicava in<br />

un angolo del<strong>la</strong> bocca, mentre nel<strong>la</strong> sua energica presa l’organo nero e possente <strong>la</strong>sciò schizzare il<br />

getto principale… e questa volta diritto sul<strong>la</strong> bel<strong>la</strong>, nuova acconciatura dello studio.<br />

Terry Southern, Blue Movie.<br />

(Che sarà mai un ingoio… Sylvia Saint usa <strong>la</strong> sborra perfino per pulire i mobili, come fosse Legno<br />

Vivo del<strong>la</strong> Johnson Wax.)<br />

Be’… alcuni anni fa a Bilbao in un dopocena annaffiato di patxaran si discuteva schiettamente fra<br />

etero e gay per l’appunto di blow job, irrumation, facial, bukkake e via discorrendo. L’ossessione<br />

orospermatica dell’Anima Mundi. Ciascuno diceva <strong>la</strong> sua e venne il turno di una certa Itziar, che<br />

storse <strong>la</strong> bocca in una smorfia di disgusto: “Ingoiare? �i hab<strong>la</strong>r. Ci ho provato una volta so<strong>la</strong> e mi <strong>è</strong><br />

venuto mal di stomaco.” Essendo che composizione e sapore del liquido seminale maschile variano<br />

secondo il regime alimentare, forse il suo partner mangiava troppo chorizo a <strong>la</strong> sidra.<br />

Susan George: voglio, non voglio, vogliooo!<br />

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“KKKrista”. Illustrazione di <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, <strong>2008</strong>.<br />

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Posted 20/10/<strong>2008</strong> h 10.23 a.m., CET. Avanti, guys, tirate fuori <strong>la</strong> vostra partaccia misogina. Chi <strong>è</strong><br />

<strong>la</strong> donna che odiate di più al momento? Valeria Marini, con quel faccione sformato dagli innesti<br />

sottocutanei, <strong>la</strong> boccona da celenterato e <strong>la</strong> vociaccia al cannonau? Melita Toniolo, <strong>la</strong> Diavolita tutta<br />

sesso e trasgressione ma zero cultura che, intervistata da Berluschina Toffanin a Verissimo, manco<br />

sapeva chi fossero i candidati democratici al<strong>la</strong> Casa Bianca? (“Clinton?”, ha azzardato alfine, con<br />

gli occhi a pal<strong>la</strong>.) Barbara D’Urso, che fa i gesti dell’ombrello in diretta? Maria De Filippi, sempre<br />

più marito di <strong>Maurizio</strong> Costanzo? Antonel<strong>la</strong> ‘Mafalda’ Clerici? Mara Carfagna? Lindsay Lohan?<br />

Paris Hilton? Maria Grazia Sestero? La puttana di vostra sorel<strong>la</strong>?<br />

Io, per me, metterei le mani al collo di cigno del<strong>la</strong> creatura ritratta a pag. 23: Romina Minadeo, il<br />

‘volto’ di Mediaset Premium. Ma non per lei: Dio, <strong>è</strong> uno splendore, incantevole perfino nel nome e<br />

cognome, per <strong>la</strong> prossima edizione dello Zanichelli io proporrei un thumbnail mostrante i suoi<br />

lineamenti perfetti a mo’ di capolettera interno al testo del<strong>la</strong> voce carino(a). È quello che costei<br />

rappresenta a scatenarmi l’impulso omicida ogni qual volta vi piombo su col telecomando Strong:<br />

The Great Mediaset Digital Swindle.<br />

Sarò breve. Il 29 agosto scorso ho sborsato ben 179 euro per il pacchetto Gallery+Premium Calcio,<br />

quest’ultimo per vedere il Toro. Lo spot rec<strong>la</strong>mizzava col solito stile ditirambico “tutte le partite del<br />

Toro in casa e in trasferta”. Il primo pezzo dell’asteroide precipita sul<strong>la</strong> <strong>mia</strong> testolina al primo turno<br />

infrasettimanale di campionato, allorché apprendo da Premium Calcio che Chievo-<strong>Torino</strong> non sarà<br />

trasmessa in diretta. Mediaset si giustifica che il numero di canali a disposizione non <strong>è</strong> sufficiente a<br />

coprire l’intera giornata pallonara, essendo essa non spezzettata come di consueto in anticipi e<br />

posticipi. Mando giù il boccone e vado a sborsare 5€ per vedere un match da travaso di bilirubina al<br />

bar sotto casa, nel quale per maggiore ignominia trasmettono anche <strong>la</strong> partita dei gobbi. Meno male<br />

che avevano <strong>la</strong> Menabrea. Il resto del pianetino mi spappo<strong>la</strong> definitivamente il cervello quando<br />

neanche Udinese-<strong>Torino</strong> viene trasmessa: ciononostante, ne vengono mostrati i riflessi filmati al<br />

termine dei collegamenti. E io bestemmio come un portuale. A velocità fotonica Mediaset Paccum<br />

molto opportunamente modifica lo spot: non più “tutte le partite del Toro”, bensì “tutte le partite del<br />

Toro sui campi Mediaset Premium”. A-haaaa! Al<strong>la</strong> faccia del<strong>la</strong> pubblicità ingannevole.<br />

In definitiva, cara Romina, nel caso ti capitasse mai di leggere questo post, non ti arrabbiare. Sopra<br />

stavo scherzando. Sei eccezionalmente carina, simpatica e spigliata, e in un mondo parallelo più<br />

giusto tu saresti <strong>la</strong> madre dei miei figli. Ma, ti prego, vai a fare <strong>la</strong> testimonial per un altro network!<br />

O<br />

mofobia xerox. La quinta puntata de L’iso<strong>la</strong> dei rognosi <strong>è</strong> stata contrassegnata dal vivace<br />

confronto fra V<strong>la</strong>dimir Luxuria e Rossano Rubicondi, reo quest’ultimo di aver definito faggot<br />

(“frocio”) un noto coreografo. Nel contempo andava in onda su Italia 1 quel<strong>la</strong> coglionata di Grey’s<br />

Anatomy (a proposito, sempre voi misoginetti cari: chi detestate di più fra Meredith Grey e Cristina<br />

Yang? Non fate un pochino il tifo per l’infermiera Rose?) dal cui cast <strong>è</strong> stato di recente allontanato<br />

l’attore afroamericano Isaiah Washington per aver dato del fag a T.R. Knight, alias Doc O’Malley,<br />

gay dichiarato e contento. Qui scopiazzatura per lite orchestrata ci cova… e non sarebbe <strong>la</strong> prima<br />

volta nel<strong>la</strong> storia di ’sti reality show del<strong>la</strong> malora. Qua non siamo più al<strong>la</strong> natura che imita l’arte, ma<br />

all’arte (virgolettata, nel caso di Grey’s Anatomy) p<strong>la</strong>giata dal<strong>la</strong> spazzatura.<br />

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Un giorno ero alle prove quando arrivò una telefonata. Era Lee Childers che mi disse: “Devi tornare<br />

subito a casa. Sable si <strong>è</strong> chiusa in camera tua e minaccia di uccidersi. Io pensai: che cazzo di storia <strong>è</strong><br />

questa? Non <strong>è</strong> che fossimo innamorati o roba simile. Era bello farsi succhiare il cazzo al mattino<br />

appena svegli, tutto qui.<br />

Ron Asheton, chitarrista degli Stooges, par<strong>la</strong>ndo di Sable Starr in Please Kill Me.<br />

Romina Minadeo: she’s so lovely.<br />

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Posted 03/11/<strong>2008</strong> h 10.23 a.m., CET. Donne uniche. Donne come non ne nascono più su questa<br />

terra. Donne che sono ogni donna. Il “breve saggio in lode di Nico” che segue <strong>è</strong> tratto dal libro di<br />

Victor Bockris e Gerard Ma<strong>la</strong>nga Up-Tight. The Velvet Underground Story. Christa Päffgen,<br />

“Nico”. Colonia, 16 ottobre 1938 – Ibiza, 18 luglio 1988. R.I.P.<br />

Se esiste una bellezza così universale da essere indiscutibile, Nico <strong>la</strong> possiede.<br />

Il volto non ha un difetto. I lineamenti sono impeccabili: <strong>la</strong> bocca <strong>è</strong> ben delineata, il naso dritto e<br />

finemente cesel<strong>la</strong>to, i limpidi occhi in delicato equilibrio. Capelli di un biondo pallido fungono da<br />

cornice. Le proporzioni sono inverosimilmente perfette. Non una caratteristica s’impone, eppure<br />

prevalgono tutte. E mentre <strong>la</strong> simmetria solitamente annoia, Nico attira l’attenzione, fa trasalire,<br />

cattura. L’apparizione di un sorriso, di un broncio, di una <strong>la</strong>crima pare assolutamente incongrua.<br />

Ancor più incongruo, poi <strong>è</strong> lo sguardo, che il più delle volte focalizza l’impercettibile.<br />

Superstar e chanteuse insieme, viene osservato di continuo che <strong>è</strong> paradossale il rapporto che vi <strong>è</strong> fra<br />

<strong>la</strong> sua bellezza e <strong>la</strong> funzione che essa svolge – che contrasto fra <strong>la</strong> Nico sullo schermo alle spalle dei<br />

Velvet Underground, che sgranocchia <strong>la</strong>nguidamente qualcosa in un bar o distrattamente si pettina<br />

in Chelsea Girls, e <strong>la</strong> Nico sul palco, che “piegata su un microfono geme <strong>la</strong>mentosa, senza fine,<br />

emettendo suoni di un alce amplificati”. Più evidente ancora <strong>è</strong> <strong>la</strong> dicoto<strong>mia</strong> fra <strong>la</strong> Nico monel<strong>la</strong> e<br />

svampita de La dolce vita e quel<strong>la</strong> che sorride malignamente dal<strong>la</strong> copertina di Esquire e <strong>la</strong> Nico<br />

che <strong>la</strong>scia il palcoscenico dopo una performance, ridendo ambiguamente. Però <strong>la</strong> paradossale<br />

convivenza, individuata dai critici, di un’innocenza evidente e naturale nei film e di una presenza<br />

scenica, dal vivo, quanto mai lugubre non <strong>è</strong> che una manifestazione secondaria del vero enigma: gli<br />

occhi.<br />

Per il suo impatto come insieme tridimensionale Nico potrebbe essere efficacemente rappresentata<br />

più che da un quadro da una scultura, ma nemmeno il più profondi degli artisti potrebbe catturare <strong>la</strong><br />

qualità strana e inesplicabile dei suoi occhi. Che incantano, ma non fanno segnali; ignorano, ma non<br />

possono essere dimenticati; riflettono <strong>la</strong> realtà interiore, ma non offrono una chiave per penetrar<strong>la</strong>.<br />

L’espressione, o <strong>la</strong> mancanza di un’espressione comprensibile, che hanno sfugge alle categorie<br />

entro le quali può essere catalogata <strong>la</strong> sua bellezza. Gli occhi di Nico sembrano scrutare un grande<br />

mistero, ce<strong>la</strong>to dall’indifferenza, di cui vorrebbero che nessuno conoscesse l’esistenza. Che un<br />

mistero ci sia davvero o no, quegli occhi che paiono ignorare ciò che li circonda eclissano <strong>la</strong><br />

perfezione dei lineamenti e contribuiscono grandemente a fare di Nico una presenza magnetica.<br />

Proprio questo magnetismo, distaccato, invio<strong>la</strong>bile, fa inserire Nico nel<strong>la</strong> tradizione Garbo/Dietrich<br />

e <strong>la</strong> eleva da comune bellezza nordica all’olimpo di un inavvicinabile misticismo.<br />

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�ico, 1962.<br />

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Posted 10/11/<strong>2008</strong> h 11.00 a.m., CET. Da cinque anni ormai <strong>la</strong> <strong>mia</strong> prima serata del venerdì – o il<br />

giorno che <strong>la</strong> volubile Mediaset designi – <strong>è</strong> consacrata a C.S.I. Come molti teleutenti, prediligo <strong>la</strong><br />

serie di Las Vegas a New York e Miami, che sta cominciando a dare segni di stanchezza ma resta<br />

comunque enormemente più interessante che qualsiasi dei suoi innumerevoli succedanei. Mi sto<br />

gradualmente appassionando anche a Life: Da<strong>mia</strong>n Lewis <strong>è</strong> bravo e simpatico (sento parecchia<br />

affinità con Charlie Crews, come lui anch’io mi sono aggrappato a un libro, anzi a una biblioteca<br />

intera per non uscire di senno… nonché a un migliaio di canzoni rock) e le puntate fi<strong>la</strong>no via in<br />

scioltezza, per di più musicate in modo eccellente. Proprio come le fiction nostrane, le quali inoltre<br />

risultano per <strong>la</strong> stragrande maggioranza inintelligibili qualora si sia sprovvisti di cornetto acustico –<br />

o background trasteverino.<br />

L’episodio di venerdì scorso s’intito<strong>la</strong>va Morte di una tata. Stavo ancora cercando <strong>la</strong> postura idonea<br />

sul divano quando nel<strong>la</strong> tito<strong>la</strong>zione in dissolvenza del cast <strong>è</strong> comparso questo nome: Lorena Bernal.<br />

“Par<strong>la</strong>pà!” ho esc<strong>la</strong>mato in piemontese. “Era l’ora che ’sta bonazza arrivasse a Hollywood!”<br />

In My nanny (questo il titolo originale) <strong>la</strong> “bonazza” ricopre il ruolo di una perfida balia. Ed <strong>è</strong> in<br />

forma smagliante. Quando <strong>la</strong> vidi per <strong>la</strong> prima volta su ETB, <strong>la</strong> televisione autonoma basca, ne<br />

rimasi folgorato. I frequentatori più assidui del mio sito ricorderanno che tempo fa le dedicai una<br />

galleria, che poi rimossi in un c<strong>la</strong>ssico raptus da webmaster affetto dal<strong>la</strong> sindrome del<strong>la</strong> tabu<strong>la</strong> rasa<br />

digitalizzata. Ora vado a riproporve<strong>la</strong> corredata di una succinta biografia.<br />

Lorena Pascual Bernal <strong>è</strong> nata a Tucumán, Argentina, ventisei anni fa, in una famiglia di origini<br />

basche, croate e italiane. Poco prima che compiesse un anno <strong>la</strong> sua famiglia decise di trasferirsi a<br />

Donostia-San Sebastián. Nel 1999 fu eletta Miss España in una cerimonia celebrata a Jaén. È stato il<br />

volto di grandi firme del<strong>la</strong> moda spagno<strong>la</strong> quali Oro Vivo e Pepe Jeans, e ha sfi<strong>la</strong>to per i maggiori<br />

stilisti iberici; nello stesso tempo, seguendo l’esempio d’innumerevoli altre colleghe, si <strong>è</strong> prestata<br />

al<strong>la</strong> televisione. Dopo aver studiato arte drammatica per due anni, <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> e determinata Lorena ha<br />

dapprima ottenuto una parte nel<strong>la</strong> serie televisiva El Señorío de Larrea; in seguito ha <strong>la</strong>vorato nel<strong>la</strong><br />

soap opera El secreto e anche in ¡A<strong>la</strong>…dina!, Luna negra, La sopa boba e El Comisario. Inoltre ha<br />

presentato vari programmi; tra questi, una serie di documentari sul<strong>la</strong> BBC trasmessi da ETB, lo<br />

Speciale di Natale di Telecinco nel 1999, il Gran Ga<strong>la</strong> di Capodanno nel 2002 e il Ga<strong>la</strong> La Rioja<br />

Universal nel 2004. Ama <strong>la</strong> pal<strong>la</strong>volo, <strong>la</strong> poesia (il suo autore preferito <strong>è</strong> Becquer) e il ballo.<br />

Attualmente <strong>è</strong> fidanzata con Mikel Arteta, centrocampista basco dell’Everton, uno dei talenti più<br />

sottovalutati dell’attuale panorama calcistico mondiale. Fanno proprio una bel<strong>la</strong> coppia.<br />

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Lorena Vintage.<br />

Lorena Contour.<br />

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Lorena Facet.<br />

Lorena Writing-Paper.<br />

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Lorena Morphing.<br />

Lorena Chrome.<br />

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Posted 17/11/<strong>2008</strong> h 10.30 a.m., CET. Oggi, giusto per spernacchiare quell’internauta basco che<br />

commentando un articolo de El tardato vascofilo mi ha dato dello “sconclusionato”, salterò più<br />

volte di palo in frasca. Tié.<br />

Potenza del<strong>la</strong> gnocca. Passato quasi un anno da quando li pubblicai su Youtube, i miei tre video<br />

hanno racimo<strong>la</strong>to complessivamente 847 visite: il mio ultimo jeu d’esprit dedicato a Lorena Bernal,<br />

80 in neanche una settimana. Quasi quasi mollo per sempre ’sta pseudoattività e mi butto nel porno<br />

on line: che creatività imprenditoriale, eh?<br />

Io prenderei anche molto sul serio l’outing di Gianluigi Buffon sulle proprie scorse malinconie, se<br />

non mi citasse “<strong>la</strong> frustrazione per le mancate vittorie del<strong>la</strong> Giuve in Champions League” quale<br />

possibile concausa! In calce all’articolo La Stampa (Il Foglio degli Elkanni) riporta le fotografie di<br />

altri tre sportivi smarritisi nei <strong>la</strong>birinti del<strong>la</strong> mente: Sebastian Deisler, Jennifer Capriati e il povero<br />

José Maria Jiménez Sastre, che riposi in pace. Ma Deisler, ex centrocampista d’attacco del Bayern e<br />

del<strong>la</strong> Nazionale tedesca, cadde in depressione e si ritirò a soli 27 anni per i gravi infortuni che<br />

subiva a ripetizione. Sfido io. Mica tutti hanno il carattere in lega di titanio di Carletto Ancelotti.<br />

Uhm. Antonio Cassano si <strong>è</strong> scopato 700 donne? Chissenefrega! Uno dei tanti mali che tormentano<br />

l’umanità <strong>è</strong> l’invidia. Io non <strong>la</strong> contemplo nel mio modo di pormi al mondo: almeno, non adesso<br />

che ho una visione più chiara di me stesso e delle cose che mi circondano. Altri ci sguazzano e se ne<br />

beano pure. Siete mai andati in vacanza con certi soggetti che sul<strong>la</strong> spiaggia passano tutto il loro<br />

tempo a far girare lo sguardo invidiando le donne degli altri? “Guarda quel panzone che bel legno<br />

che si ritrova”, “Guarda quel<strong>la</strong> zoccolona in topless che si fa accarezzare le tette da quel<strong>la</strong> <strong>la</strong>trina<br />

d’uomo” e così stucchevolmente via? Io sì, e ci schiumavo come un pitbull. L’invidiometro, lo ha<br />

denominato un mio amico. A qualcuno sarà andato fuori sca<strong>la</strong> leggendo quel<strong>la</strong> dichiarazione di<br />

Cassano. “Diocristo, ma c’ha <strong>la</strong> faccia più butterata di quel satellite di Saturno, Teti!” Chiamasi<br />

Culto del<strong>la</strong> Personalità, uomini di Dio: vengo a letto con te perché sei ricco e famoso. Senza contare<br />

l’esagerazione editoriale a fini merceologici. Comunque, ripeto: chissenefrega. Non vivete le vostre<br />

vite per procura! Diversamente fate il gioco di quei fottuti spacciatori di sogni e miti p<strong>la</strong>stificati.<br />

Come fedelmente riportato in un passo del mio libro Lady Godivatron, Sam Peckinpah sosteneva<br />

che: “ci sono due tipologie di femmine: quelle che hanno <strong>la</strong> costanza di seguirti anche se ti allontani<br />

da te stesso, e le gattine in calore.” Fosse vissuto per un po’ a <strong>Torino</strong>, forse ne avrebbe descritta una<br />

terza: quelle che non ti salutano manco se pratichi loro una tracheoto<strong>mia</strong> seduta stante. Le conosci<br />

una sera, ci parli, magari ci scherzi piacevolmente, poi qualche sera dopo le ribecchi finanche nello<br />

stesso posto ma fanno finta di non vederti. Un c<strong>la</strong>ssico sabaudo. In realtà questo atteggiamento <strong>è</strong><br />

diffuso in ogni parte del pianeta. Anche le donne di Bilbao passano per screanzate; Elena, attraente<br />

co-gestrice di un disco-bar, m’ignorava olimpicamente nonostante svariate conoscenze in comune<br />

fino al<strong>la</strong> notte in cui mi vide folleggiare in una discoteca con una congrega di gay suoi amici (che<br />

consti che io sono etero al 120%!!!). Come se avessi passato una specie d’esame d’approvazione.<br />

Parafrasando il professor Juan Pereira, “se una donna non ti caga significa che gli interessi molto,<br />

un pochino o per nul<strong>la</strong>.”<br />

Par condicio avevo promesso e par condicio sarà. Per tutte le gentili signore e signorine che tifano<br />

Toro, ecco un breve profilo di Blerim Dzemaili. 22 anni, macedone di nascita ma svizzero di<br />

nazionalità, debutta con lo Zurigo e a soli vent’anni ne diviene capitano. Nel 2007 si trasferisce in<br />

Premier League al Bolton Wanderers ma si lesiona i legamenti del ginocchio prima che <strong>la</strong> Premier<br />

prenda il via; riesce a collezionare una so<strong>la</strong> presenza in FA Cup e quelli del Bolton decidono di<br />

cederlo. Il 31 agosto <strong>2008</strong>, al termine di una trattativa che non era iniziata sotto i migliori auspici,<br />

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Dzemaili firma con il <strong>Torino</strong> FC: il talentuoso centrocampista arriva in prestito con un riscatto da<br />

parte del Toro fissato a due milioni di euro. Io speriamo che Cairo lo riscatti a fine stagione.<br />

Ultimo salto. Mentre limavo gli spigoli ortografici del mio blog basco ho scoperto questa bellissima<br />

figlio<strong>la</strong> donostiarra. Piuttosto che salvarne una foto e farmi poi rincorrere da un ringhiante abokatu<br />

per tutto il globo terracqueo per aver<strong>la</strong> pubblicata senza permesso o robe del genere, vi segnalo il<br />

suo sito personale: www.barbaragoenaga.com. Cliccate e innamoratevene.<br />

Blerim Dzemaili.<br />

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Posted 05/12/<strong>2008</strong> h 10.40 a.m., CET. Al principio del<strong>la</strong> settimana<br />

scorsa io stavo in biblioteca a conferire gli ultimi ritocchi al testo in Word<br />

2000 che diverrà il mio quarto libro, L’ultima birra e andiamo a casa<br />

(forse), quando alzando gli occhi per un istante dal mio notebook Acer ho<br />

incontrato il libro de I Ching, l’oracolo del<strong>la</strong> saggezza cinese: qualche<br />

genialoide l’aveva riposto nel<strong>la</strong> scansia dedicata alle scienze bibliotecarie.<br />

Essendo che desideravo consultarlo da molto tempo, per <strong>la</strong> precisione da<br />

diciannove anni quando lessi per <strong>la</strong> prima volta La svastica sul sole di<br />

Philip K. Dick (un libro le cui situazioni sono orchestrate da due libri, I<br />

Ching, appunto, e il best-seller del momento, La cavalletta ci opprime,<br />

vietato in tutti i paesi del Reich che, secondo <strong>la</strong> visione allucinata di Dick,<br />

ha vinto <strong>la</strong> Seconda Guerra Mondiale grazie al<strong>la</strong> bomba atomica e si<br />

spartisce l’America con Giappone), ho fatto che prenderlo in prestito fino a Santo Stefano.<br />

Non voglio dilungarmi sui principi che stanno al<strong>la</strong> base di questo testo millenario – Tao, Yin e<br />

Yang, sincronicità degli eventi universali. Da quando <strong>è</strong> entrato in casa <strong>mia</strong>, l’ho interrogato tre volte<br />

consecutive per una ragazza (che <strong>è</strong> rimasta sorpresa dal<strong>la</strong> pressoché perfetta simmetria dei responsi<br />

con <strong>la</strong> sua vita attuale, piuttosto complicata) e per sapere cos’avrebbe fatto il <strong>Torino</strong> FC a Siena<br />

(soprassediamo).<br />

Ora rivolgerò a I Ching una domanda speciale: vi <strong>è</strong> una possibilità che io possa un giorno conoscere<br />

Francesca Mazza<strong>la</strong>i di persona, portar<strong>la</strong> a cena fuori e far<strong>la</strong> innamorare perdutamente di me?<br />

(Per conoscere meglio Francesca Mazza<strong>la</strong>i, quello splendido sorriso immorta<strong>la</strong>to nel<strong>la</strong> foto in alto a<br />

sinistra, attuale conduttrice del programma At<strong>la</strong>ntide-Storie di Uomini e di Mondi su La7, consultate<br />

Wikipedia o il suo sito personale, www.francescamazza<strong>la</strong>i.com.)<br />

Coi Sigur Rós in sottofondo, definisco con chiarezza <strong>la</strong> domanda nel<strong>la</strong> <strong>mia</strong> mente. La scrivo su un<br />

foglio. Prendo le monete, mi ri<strong>la</strong>sso, respiro profondamente. Eteree risonanze chitarristiche nel mio<br />

studio. Agito le monete nel<strong>la</strong> mano e le <strong>la</strong>ncio sul<strong>la</strong> scrivania. Con gesti misurati le ordino in una<br />

colonna verticale e mi rivolgo al<strong>la</strong> tabel<strong>la</strong> riprodotta all’interno del<strong>la</strong> copertina de I Ching per<br />

individuare il numero del mio esagramma.<br />

Esagramma 55. Pienezza, Raccolto, Abbondanza. Ogni cosa si svolge secondo i vostri desideri.<br />

E’ il vostro momento di gloria, l’opportunità di fare centro. Quest’occasione potrebbe non<br />

ripresentarsi. Siate decisi. Provocate gli eventi. Buttatevi.<br />

Wow!<br />

Linea 1 Incontrare il vostro compagno, bene per dieci giorni.<br />

Una persona importante vuole aiutarvi. Se usufruirete di questa generosità, considerate l’eventualità<br />

che possa volere qualcosa in cambio.<br />

Be’, carissima Francesca, se mi procurerai un impiego a La7 anche solo come uomo delle pulizie, io<br />

diverrò tuo schiavo per sempre!<br />

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Ancora Francesca... in tutto il suo imperfetto splendore.<br />

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Posted 26/01/<strong>2009</strong> h 10.40 a.m., CET. Che cosa ho fatto a Capodanno e in generale durante tutto<br />

questo tempo in cui non ho scritto sul blog? Andate sul mio Facebook e lo saprete. Qui si par<strong>la</strong> di<br />

cose serie. Sto ascoltando War Girl dei Pink Fairies, <strong>la</strong>tin soul extraterrestre, Santana su Titano coi<br />

mustacchi e <strong>la</strong> chitarra Yamaha SG 3000S Goldtop. “Donna di guerra, ti mette sottosopra. Donna di<br />

guerra, ti confonde. Io non so perché <strong>è</strong> così, ma l’amo tanto. Donna di guerra, ti tratta malissimo.<br />

Donna di guerra, ti tratta di merda. Io non so perché si comporta così, ma ne sono innamorato cotto.<br />

Donna di guerra, ha molto da mostrarti. Donna di guerra, ha molto da darti. Io non so perché <strong>è</strong> così<br />

stronza, ma l’amo da impazzire.”<br />

Poi succede che vuoi startene a casa per non peggiorare raffreddore e mal di go<strong>la</strong> e quei gaglioffi di<br />

Mediaset Premium non ti propongono altra scelta – tutto il resto <strong>è</strong> déja vu – che un’americanata: Io<br />

vi dichiaro marito e… marito. Il cast <strong>è</strong> di prim’ordine: Adam Sandler, Kevin James, Ving Rhames,<br />

Steve Buscemi, Richard Chamber<strong>la</strong>in, Dan Aykroyd… e Jessica Biel. Attualmente <strong>la</strong> donna più<br />

bel<strong>la</strong> del mondo, secondo il magazine Esquire e legioni di fan allupati. Sarà: <strong>la</strong> conosco poco. Il<br />

film <strong>è</strong> una scoreggia, comicità nordamericana di bassa lega con finale politically correct, ma quando<br />

<strong>la</strong> Biel entra in scena e sorride a tutto tondo, mirabile incrocio di sangue franco-ir<strong>la</strong>ndese-inglesetedesco-choctaw,<br />

<strong>è</strong> come se ti fosse esplosa una supernova in salotto. Il suo fondoschiena, arioso di<br />

esercizio quotidiano e genetica autostima, rasenta <strong>la</strong> perfezione: per di più, malgrado <strong>la</strong> scipitezza<br />

del copione, sembra abbastanza brava a recitare, naturale. Uno schianto di donna, insomma. E allora<br />

andiamo a vio<strong>la</strong>re le leggi sul copyright per l’ennesima volta.<br />

Il 6 gennaio <strong>è</strong> mancato Ron Asheton, chitarrista e bassista degli Stooges. I media generalisti se ne<br />

sono disinteressati, perfino sui loro fottuti Televideo dove per contro sovrabbondano i dettagli sul<strong>la</strong><br />

<strong>la</strong>vanda gastrica cui <strong>è</strong> stata sottoposta Nina Moric dopo che… non fatemi continuare per carità… e<br />

le tette di quel<strong>la</strong> lì e <strong>la</strong> vaginop<strong>la</strong>stica di quel<strong>la</strong> là e i peli del deretano di Mourinho e i pensieri<br />

epistemologici di Kakà. NIENTE. Peraltro neppure i format musicalisti hanno sprecato molto fiato<br />

sul decesso di colui che ha composto alcuni fra i più trascinanti riff del<strong>la</strong> storia del rock. Andassero<br />

tutti quanti a cagare nel<strong>la</strong> carbonel<strong>la</strong>. Please Kill Me <strong>è</strong> il “testo zero” cui trarre spunti per omaggiare<br />

<strong>la</strong> memoria di Ron. Ecco: “Il primo giorno che ero lì a Londra, incontrai David Bowie. Arrivò al<strong>la</strong><br />

casa ubriaco, insieme a due ragazze giamaicane con lo stesso taglio di capelli color carota di Bowie,<br />

e tutti insieme se ne andarono nel<strong>la</strong> sa<strong>la</strong> da pranzo a bere vino. Io non partecipai in alcun modo.<br />

David si perse un po’ all’interno del<strong>la</strong> casa, così lo accompagnai al<strong>la</strong> porta principale, poi lui mi<br />

afferrò per il culo e mi baciò. Il mio braccio si sollevò all’indietro per stenderlo, poi pensai: wow,<br />

non posso farlo. Così non lo stesi.” R.I.P., Kerosene Man.<br />

I Can’t Quit Ya!<br />

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Jessica...<br />

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…and Ron, with Iggy.<br />

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Posted 19/02/<strong>2009</strong> h 05.40 p.m., CET. Torno a martoriare questo foglio elettronico dopo vari<br />

impegni personali e un trip gripedelico bisettimanale per uscire dal quale ho dovuto fare ricorso a<br />

una santabarbara di medicinali: Grindtus, Drosetux, Levoxacin e Cardiazol-Paracodina. Grindtus e<br />

Drosetux sono due sciroppi, il secondo dei quali omeopatico, e non mi hanno fatto un kaiser Franz.<br />

Il Levoxacin, compresse da 500 mg rivestite con film, principio attivo levofloxacina con una ridda<br />

d’eccipienti tra i quali il diossido di titanio a.k.a. E 171, <strong>è</strong> un antibatterico appartenente al gruppo<br />

dei fluorochinolonici, in parole potabili un’arma antibiologica – <strong>è</strong> bastato un blister da cinque<br />

bombardoni a ridurmi un ghoul. La Cardiazol-Paracodina, anche questo un bellissimo nome da libro<br />

di Chuck Pa<strong>la</strong>hniuk, gocce orali, soluzione, <strong>è</strong> un sedativo del<strong>la</strong> tosse composto di pentetrazolo,<br />

diidrocodeina modanato (le modanature del<strong>la</strong> nuova Cinquecento…), menta e polisorbato 80: roba<br />

per tossici a rota o sotto metadone – ne prendevo venti gocce prima di coricarmi e in un paio di<br />

minuti ero bell’e che partito! Ci credo che nelle precauzioni d’impiego <strong>è</strong> fortemente sconsigliata<br />

l’assunzione contemporanea d’alcol.<br />

I primi sei giorni d’influenza, afflitto da una tosse squassante, gli orifizi nasali più intasati delle<br />

strade attigue all’Oval all’uscita da una manifestazione e una temperatura media interna intorno ai<br />

38°, mi sono attaccato al<strong>la</strong> televisione mattino pomeriggio e sera come neanche quand’ero piccolo<br />

(erano venticinque anni e rotti che non mi amma<strong>la</strong>vo così), sorbendomi puttanate che normalmente<br />

sorvolerei olimpicamente col telecomando tipo Everwood, Veronica Mars o Una mamma per<br />

amica. Nondimeno The Great Mediaset Digital Swindle sta attualmente replicando sul canale Steel<br />

U.F.O., <strong>la</strong> <strong>mia</strong> serie feticcio, e allora ’fanculo ai batteri, <strong>è</strong> tutta vita rock’n’roll e Base Luna!<br />

Negli episodi sono state reintegrate tutte le scene sforbiciate 38 anni fa dai censori del Vaticano<br />

(Mammina RAI mandava in onda U.F.O. nell’ambito del<strong>la</strong> “TV dei ragazzi”…), in versione<br />

originale con sottotitoli in italiano. Superfluo commentare quanto oggigiorno appaia pateticamente<br />

anacronistica siffatta premura catonica, al<strong>la</strong> luce di quanto ci viene correntemente propinato dai<br />

canali pubblici e privati (ma dov’e più <strong>la</strong> differenza? Il canone? Permettetemi di ridere!) perfino<br />

nel<strong>la</strong> fascia cosiddetta ‘protetta’: cose da un altro mondo democristiano. Che diamine, veramente un<br />

bambino rischiava di rimanere traumatizzato a vita guardando lo ‘spogliarello’ del Tenente Ellis,<br />

l’asfissia di Straker nello Skydiver naufragato, <strong>la</strong> rimozione delle lenti protettive dagli occhi<br />

dell’alieno con <strong>la</strong> pelle verde per il liquido antiaccelerazione, gli sguardi allupati <strong>la</strong>nciati da Alec<br />

Freeman ai bei fondoschiena delle assistenti S.H.A.D.O.?<br />

In una delle puntate che ho rivisto sotto antibiotico, Il posto delle decisioni, il Comandante deve<br />

fare i conti con una fascinosa spia industriale, tal Josephine Fraser; per comprenderne le intenzioni<br />

criminose a salvaguardia del<strong>la</strong> segretezza dell’organizzazione anti-alieni, egli decide d’invitar<strong>la</strong> a<br />

cena nel<strong>la</strong> sua confortevole dimora postmoderna. La ragazza <strong>è</strong> provocante e il granitico Straker non<br />

puccia il biscotto dai tempi del divorzio: pertanto, quando sono entrambi seduti sul divano, non<br />

resiste al<strong>la</strong> tentazione di baciar<strong>la</strong>. Dopodiché Miss Spy s’introduce nel<strong>la</strong> camera da letto <strong>la</strong>sciandosi<br />

dietro uno sguardo assassino. Straker <strong>la</strong> raggiunge e se <strong>la</strong> ritrova mezza nuda accanto all’alcova…<br />

per meglio dire, in reggiseno e mutandine e stivaloni, pronta a farsi sbattere fino all’alba; qua tutt’a<br />

un tratto spunta fuori il tagliente accento newyorkese – di Brooklyn – di Ed Bishop. Questa scena<br />

‘spinta’ fu rispar<strong>mia</strong>ta a centinaia di migliaia di bambini nel 1971 (io allora avevo sei anni) in una<br />

ridente domenica all’ora del<strong>la</strong> merenda, per non guastar loro lo sviluppo. Dio, fa quasi tenerezza.<br />

In ogni modo, <strong>la</strong> prossima volta che mi verrà l’influenza – scusate, ma mi tocco – voglio provare a<br />

strafarmi di Cardiazol appena sveglio e in quello stato simil-stupefatto saltabeccare per tutta una<br />

giornata da un programma trash all’altro: Grande Fratello, Uomini e donne, Verissimo, Amici…<br />

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Magari <strong>è</strong> <strong>la</strong> volta buona che mi ci appassiono. « In un certo senso, avere una dipendenza <strong>è</strong> sinonimo<br />

di intraprendenza.»<br />

Base Luna a Controllo SHADO: fa un caldo quassù…<br />

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Posted 02/03/<strong>2009</strong> h 10.00 a.m., CET. Uno scrittore cannibalizza <strong>la</strong> propria vita: tutto ciò che<br />

abbiamo da raccontare sono le percezioni di noi stessi e le nostre esperienze, che corrono in<br />

parallelo alle percezioni ed esperienze degli altri. Il racconto incluso nel post del 23/09/<strong>2008</strong>, PUD<br />

(Piccole Unità Disoccupate) <strong>è</strong> una c<strong>la</strong>ssica dimostrazione di cannibalizzazione/truccatura letteraria<br />

di un’esperienza personale. Non per capriccio di mezz’età ne suggel<strong>la</strong>i l’introduzione con queste<br />

parole: “Ogni allusione a persone, cose o enti esistenti nel<strong>la</strong> realtà <strong>è</strong> puramente voluta. Non avertene<br />

a male, Elena. Ti desidero ancora.”<br />

Da Elena, di cui ho perso le tracce da dieci anni, ricevetti un due di picche talmente devastante che<br />

il cratere da esso provocato nel mio-miocardio scotta ancora di radiazioni. Elena, per gli amici<br />

“Nena”, ha gli occhi del medesimo colore di Olivia “13” Wilde, ma per il resto somiglia più a<br />

Charlotte Rampling quand’era giovane, gli stessi tratti lunari e capelli biondo cenere e il figurino<br />

svelto e nervoso – spalle dritte e sottili, seni piccoli ma sodi, gambe ben tornite, fondoschiena da<br />

discesista; quanto ai piedi, el<strong>la</strong> li definisce “stravaganti. Me li sono rotti entrambi da picco<strong>la</strong>.” Gli<br />

alluci sono recisamente grossi. Norman Mailer commenterebbe: «come in molte belle donne, le dita<br />

dei piedi sono <strong>la</strong> parte peggiore del<strong>la</strong> sua anato<strong>mia</strong>.» La sua mise preferita <strong>è</strong>, o per lo meno era<br />

quando ci vedevamo: jeans attil<strong>la</strong>ti sopra stivaletti col tacco basso, giacca o giubbotto di pelle nera<br />

o marrone, golfino a collo di cigno. Si depi<strong>la</strong> le sopracciglia: “Non lo facessi, sembrerei Elio delle<br />

Storie Tese.” Non fuma né beve né fa uso di droghe. Naturalmente le piace far sesso, di cui però<br />

pare apprezzare soprattutto l’effetto anestetizzante: “Le dormite che mi faccio dopo averlo fatto…”<br />

A vent’anni ha avuto una storia con un “bastardo. Andava pazzo per Arancia Meccanica e gli<br />

piaceva legarmi i polsi al<strong>la</strong> testata del letto. E io non avevo mai il coraggio di negarglielo: a esserti<br />

sincera, un po’ mi piaceva.” Nelle giornate ‘sì’ <strong>è</strong> adorabilmente faceta, in quelle ‘no’ va in riserva<br />

d’autostima e sovraccarico d’esistenzialismo: “Sto affacciata al<strong>la</strong> finestra del<strong>la</strong> vita e osservo”,<br />

scrisse in uno di quei bigliettini che mi passava in continuazione quando ci sedevamo vicini, manco<br />

fossimo ancora alle elementari. Le piacciono molto gli U2 e Tori Amos, alquanto P.J. Harvey e gli<br />

Skunk Anansie, questi ultimi più per <strong>la</strong> personalità debordante di Skin che per <strong>la</strong> musica che<br />

suonano – suonavano, essendosi sciolti da un pezzo. Non ama partico<strong>la</strong>rmente le discoteche di<br />

tendenza: quando bal<strong>la</strong> sembra, o meglio vuole sembrare una fa<strong>la</strong>bracca da sit-com, Debra Messing<br />

dell’Astigiano, ti fa scassare dalle risate. All’inizio del 1999 era fidanzata con uno studente-sportivo<br />

modello con gli occhiali, una caratteristica figura da Politecnico, prossimo a partire per il servizio<br />

militare. Le mancava un’eternità di esami a prendere <strong>la</strong> <strong>la</strong>urea in Lingue e Letterature Straniere.<br />

Sognava di andare a vivere in Germania e con ogni probabilità l’ha fatto, mol<strong>la</strong>ndo Mr Nice Guy ai<br />

suoi logaritmi. Adesso ha 36 anni. Me l’immagino a giocare con un pargolo biondissimo ascoltando<br />

Björk, o <strong>la</strong> sua zuccherosa epigona estone, Kerli, a Monaco di Baviera o Ulm o vatte<strong>la</strong>ppesca.<br />

E io, caro lettore internauta, mi sono preso una solenne scuffia per questa ragazza. Passato neanche<br />

un mese dall’inizio di quel fottuto inutile corso Cpf finanziato dal Fondo sociale europeo, lei per me<br />

era divenuta l’unica valida motivazione per continuare a frequentarlo. So<strong>la</strong>mente quello schizzato di<br />

fondamentalista cristiano di Brondelli non aveva ancora realizzato che ci stavano prendendo tutti<br />

quanti per il culo. Non me ne fregava un cazzo; io frequentavo solo più per veder<strong>la</strong>, par<strong>la</strong>rle, ridere<br />

insieme, respirare <strong>la</strong> stessa aria. Se per qualche ragione – sonno, dentista, università – lei non veniva<br />

a lezione io provavo dentro una sconfinata sensazione di vuoto. Verso <strong>la</strong> fine del secondo mese io,<br />

lei e altre anime disincantate prendemmo a riunirci una volta <strong>la</strong> settimana in un locale a scelta per<br />

berci un birrino e analizzare <strong>la</strong> nostra situazione: poi ci facevamo delle lunghe camminate. Sotto i<br />

portici di questa stupenta super<strong>città</strong> ovviamente piemontese Elena spesso mi prendeva a braccetto, e<br />

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ogni volta che ciò succedeva io mi sentivo come Fortunato Torrisi da Melito di Porto Salvo dopo<br />

aver segnato in semirovesciata il gol del 3-2 in quell’irripetibile derby Toro-Giuve del 27 marzo<br />

1983.<br />

Un bel mattino di maggio scesi al fioraio d’angolo e feci recapitare ad Asti – stavamo svolgendo lo<br />

stage ma lei era momentaneamente tornata all’ovile – un mazzo di rose rosse d’alta qualità, tot.<br />

spesa £ 100.000. Elena ne rimase parecchio turbata. Mi disse: “Tu sei matto da legare. Mi hai fatto<br />

piangere, sai? Anche il mio ragazzo c’<strong>è</strong> rimasto di sale.” Sfido io. Al<strong>la</strong> prima licenza si ritrovava già<br />

a vivere il peggior incubo del najone: <strong>la</strong> fidanzata in stato d’assedio. Comunque come il tonno fece<br />

ritorno al corso AUC e lei si stabilì di nuovo a <strong>Torino</strong> io le diedi appuntamento in un bar del centro:<br />

là, dopo aver bevuto un caff<strong>è</strong> e un bicchiere d’acqua minerale <strong>la</strong>ddove piuttosto avrei ingol<strong>la</strong>to un<br />

Laphroaig in due sorsate – lei non prese nul<strong>la</strong> –, le dichiarai tutto il mio amore. In risposta Nena mi<br />

congelò il sangue nelle vene con <strong>la</strong> sentenza di prammatica, “Mauri io ti considero un grande amico<br />

e niente più”, ma senza emettere segnali di cinismo sul<strong>la</strong> frequenza dell’estrone, contrariamente a<br />

milioni d’altre femmine umane quand’<strong>è</strong> ora di liquidare i kamikaze dell’amore non ricambiato, anzi<br />

pareva sinceramente addolorata. Dopo l’accompagnai fin sotto l’alloggio che spartiva con altri due<br />

studenti universitari. Jump cut. Lei accennò una carezza al mio viso rattristato ma quasi all’istante<br />

ritrasse <strong>la</strong> mano (Elena adorava il contatto fisico, intrecciava le dita con chiunque, fosse il fidanzato<br />

un amico intimo o un ir<strong>la</strong>ndese rubicondo appena conosciuto a una festa che per questo si sentì in<br />

dovere di provarci ma anch’egli si prese e portò nel Connemara il suo bel fante). Lì avrei dovuto<br />

provare a sfondare le barricate del<strong>la</strong> sua fedeltà – “Ho questo grosso difetto: sono fedele.”, soleva<br />

ripetere –, aprire le porte del suo viso, appiccare il fuoco al<strong>la</strong> sua bocca. Ma non lo feci. La salutai e<br />

alzai i tacchi. ’Fanculo.<br />

Riguardando tutto ciò dal<strong>la</strong> postazione dei miei 44 anni appena compiuti, megalitri d’acqua passata<br />

sotto i ponti e una visione dell’esistenza più enormemente più spassionata, mi domando se in buona<br />

sostanza Elena non fosse che una spiritosa – ancorché incline allo spleen e all’autof<strong>la</strong>gel<strong>la</strong>zione –,<br />

intelligente, ginnica e amabile stuzzicacazzi (in inglese, prick teaser: ragazza o donna che veste o<br />

agisce provocativamente e ostenta <strong>la</strong> sua sessualità per ottenere l’attenzione del maschio con il solo<br />

scopo di gratificare il proprio ego. Per gentile concessione di www.urbandictionary.com).<br />

Cara Nena, qualora ti capitasse di leggere queste cose, torno a ripetere, non avertene a male. Sono<br />

uno scrittore. Uso <strong>la</strong> gente, nonché me stesso, per scrivere. Vivo e mi ubriaco di parole: anche le più<br />

triviali. Dopo tutto anch’esse fanno parte del vocabo<strong>la</strong>rio. Un bacione e tante buone cose.<br />

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Olivia “13” Wilde.<br />

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Posted 12/03/<strong>2009</strong> h 04.00 p.m., CET. Scrivono che fino a un mesetto fa non facesse nemmeno <strong>la</strong><br />

model<strong>la</strong> e vivesse nel Bronx. Un bel giorno il fotografo di moda Shameer Kahn l’ha notata in strada<br />

a New York – Midtown Manhattan, per <strong>la</strong> precisione – e ha deciso di portar<strong>la</strong> all’agenzia Elite,<br />

dove le hanno fatto subito firmare un contratto. Diandra Forrest <strong>è</strong> altissima, nera e albina. Dice<br />

Khan: “L’ho portata all’Elite perché <strong>è</strong> diversa da tutte le altre e perché un sacco di gente forse non<br />

ha neanche mai visto una ragazza come lei.”<br />

Effettivamente, negli USA e in Europa, <strong>la</strong> prevalenza complessiva dell’albinismo totale – il tipo più<br />

comune che colpisce i peli, i capelli, <strong>la</strong> pelle e gli occhi – <strong>è</strong> bassa: meno di 5 persone su 10.000. Ciò<br />

nondimeno <strong>è</strong> molto maggiore in altre parti del mondo: per esempio, nel<strong>la</strong> Nigeria meridionale, circa<br />

20 persone su 100.000. Io, per me, avrò incontrato non più di nove-dieci albini in tutta <strong>la</strong> <strong>mia</strong> vita, e<br />

nessuno di origini afroamericane. Dopotutto, non ho mai scambiato neanche due parole all’autogrill<br />

con gente di Vipiteno o Spinazzo<strong>la</strong> od offerto un bicchiere di marsa<strong>la</strong> stravecchio a una sensuale<br />

carme<strong>la</strong> cucinottesca in un baruccio polveroso di Femmina Morta, provincia di Messina. E non so<br />

ancora identificare i nuovi arrivati nel<strong>la</strong> sca<strong>la</strong> 34 del pa<strong>la</strong>zzo dove vivo: potrebbero anche essere<br />

alieni provenienti dal sistema del Centauro, o viaggiatori nel tempo. Curioso come nell’epoca del<strong>la</strong><br />

globalizzazione e del<strong>la</strong> connessione Internet a banda <strong>la</strong>rga si stenti perfino a guardarsi negli occhi in<br />

ascensore, se non a letto. Non ci si meraviglia più di niente. Con studiata compunzione Cristina<br />

Parodi dà notizia dell’ennesimo stupro di gruppo suscitando in noi il più vivo sdegno, ma neanche<br />

quindici minuti dopo il match di Champions League fagocita ogni nostro pensiero come un’ameba a<br />

forma di coppa con le orecchie. Essere trasgressivi <strong>è</strong> ormai <strong>la</strong> norma e l’autentica trasgressione <strong>è</strong><br />

essere normali; basti a esempio <strong>la</strong> sensazione che sta provocando Arisa (nom de plume per Rosalba<br />

Pippa da Pigno<strong>la</strong>, provincia di Potenza), <strong>la</strong> cantante rive<strong>la</strong>zione dell’ultimo Festival di Sanremo: in<br />

un LCD Worldsystem che trabocca di glorificatissimi puttanoni rovinafamiglie, ecco spuntare dal<br />

nul<strong>la</strong> Calimero/a Pop, candida rappresentante del<strong>la</strong> Maggioranza Silente – composta di femmine<br />

“ordinarie” che non si rivoltano come un guanto ogni mattina presto per sembrare strafighe da party<br />

in Costa Smeralda. E il Gotha degli anchormen nazionalpopo<strong>la</strong>ri va in fibril<strong>la</strong>zione; sbattiamo il<br />

mostriciattolo in prima pagina, pardon in tv <strong>la</strong> domenica dopo pranzo, chiediamole se ci <strong>è</strong> o ci fa, se<br />

si veste così pure a casa sua, se ha uno straccetto di fidanzato, se fa sesso con gli occhiali o senza,<br />

mentre tutt’intorno le (semi) divinità con le <strong>la</strong>bbra e i décolleté gonfiati e le microgonne da urlo di<br />

Munch grondano purissimo disprezzo nemmeno Arisa fosse colpevole di hybris – trasgressione o<br />

vio<strong>la</strong>zione dei limiti connessi con <strong>la</strong> propria condizione di provinciale bruttina e senza prospettive.<br />

Il mio timore adesso <strong>è</strong> che i markettari teratonnivori le si scaraventino addosso per trasformar<strong>la</strong> in<br />

un’altra stucchevole antignocca al<strong>la</strong> Littizzetto. Purtroppo succederà.<br />

Da dov’ero partito? Ah, Diandra Forrest. Niente da eccepire: <strong>è</strong> bel<strong>la</strong>, bellissima, meravigliosa, rara.<br />

Sicuramente, <strong>è</strong> nata una stel<strong>la</strong> nel firmamento del<strong>la</strong> moda. Nondimeno, le auguro caldamente di non<br />

mettersi insieme a un rapper egomaniaco e lesto di mano. Ma neanche a una pseudo-rockstar dedita<br />

al crack. Non se ne può proprio più di questa gentaglia.<br />

P.S. Non sarò mai stato a Vipiteno né a Femmina Morta, che pure dista pochi chilometri dal paese<br />

natio di <strong>mia</strong> nonna materna Maria – che riposi in pace –, ma a Quintanil<strong>la</strong> del Monte (provincia di<br />

Zamora, comunità autonoma di Castiglia e León, Spagna) sì. E colà sono entrato nell’unico bar al<br />

mondo col pavimento inclinato a 45°, come certe riprese nei telefilm di Batman degli anni Sessanta.<br />

Sì, viaggiare, e di notte con i fari illuminare.<br />

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Diandra Forrest.<br />

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Posted 19/03/<strong>2009</strong> h 05.15 p.m., CET. Chiunque, almeno una volta nel<strong>la</strong> propria vitaccia, ha<br />

idoleggiato un divo/a del piccolo o grande schermo. O si <strong>è</strong> fortemente immedesimato in un ruolo<br />

da lui/lei interpretato. In quest’ultimo rispetto, potrei citarvi minimo trenta personaggi che mi<br />

hanno preso nel cervello: Charlie Crews, protagonista del serial Life, <strong>è</strong> l’ultimo arrivato.<br />

L’altro ieri, nel corso di una piacevolissima conversazione telefonica al ca<strong>la</strong>r del<strong>la</strong> tiepida sera –<br />

finalmente <strong>è</strong> arrivata <strong>la</strong> primavera! – con <strong>la</strong> personcina che mi sta (moltissimo) a cuore, mi <strong>è</strong> uscita<br />

di bocca questa cosa: “Sai, con gli anni ho imparato a convivere serenamente coi miei difetti fisici,<br />

<strong>la</strong> calvizie il naso a cammello e tutto il resto, ma se potessi cambiare completamente il mio aspetto<br />

con un trattamento rivoluzionario o un patto col diavolo, mi farei trasformare in un anglosassone<br />

s<strong>la</strong>nciato, prestante e coi capelli rossi, naturalmente folti.” Come Da<strong>mia</strong>n Lewis, per l’appunto.<br />

(Qualche centinaia di sere fa al VB di Via delle Rosine l’ex fidanzata di un mio conoscente mi<br />

disse: “Ah, <strong>Maurizio</strong> mio caro, se tu oltre a un cervello scintil<strong>la</strong>nte avessi pure il corpo di un<br />

anglosassone…” Of corse, dear. E se tu fossi meno pretenziosa e scassacazzi…)<br />

Pour parler. Pur tuttavia io e Crew/Lewis, quantunque messi a confronto parremmo Bob Rock<br />

(versione pelotari sabaudo) e A<strong>la</strong>n Ford, qualcosa in comune l’abbiamo. Anch’io come Charlie,<br />

un detective che si <strong>è</strong> fatto dodici anni in galera per un crimine che non ha commesso, ho dovuto<br />

combattere a lungo per non perdere il senno; soltanto che <strong>la</strong> <strong>mia</strong> prigione era mentale, non fisica.<br />

Gli scarabocchi sulle pareti biancastre del<strong>la</strong> <strong>mia</strong> cel<strong>la</strong> rive<strong>la</strong>vano mancanza d’autostima, difficoltà<br />

di comunicazione col prossimo, sensi di colpa generati dal<strong>la</strong> morte di <strong>mia</strong> sorel<strong>la</strong> Danii per quel<br />

male bastardo figlio di puttana il cui nome i media sono ancora riluttanti a pronunciare: cancro,<br />

cancro, CANCROOOO!<br />

Charlie Crews si <strong>è</strong> aggrappato a un libercolo zen trovato in gattabuia per sopravvivere; tornato in<br />

libertà n’applica i precetti al<strong>la</strong> sua nuova vita, sia pure sui generis. Io, <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, bevo<br />

birra gustandone ogni singolo sorso, gioco a pelota basca, compro e scarico musica a tonnel<strong>la</strong>te,<br />

corteggio femmine giovani carine e occupatissime: poi, c’<strong>è</strong> Stop allo stress.<br />

Ho rinvenuto questo libretto nel bidone per <strong>la</strong> raccolta di carta e cartone del mio pa<strong>la</strong>zzo; in origine<br />

era allegato a un numero del<strong>la</strong> rivista Viversani & belli. Quest’ultima <strong>è</strong> uno di quei mensili salutisti<br />

nei quali per recuperare <strong>la</strong> linea dopo i bagordi natalizi ti si consiglia una dieta a base di melone e<br />

acqua minerale naturale per dieci giorni e prima di partire per le vacanze estive frul<strong>la</strong>ti di guaranà e<br />

scolopendra indiana, <strong>la</strong> quale per di più si dice possieda virtù anti-ictus. In ogni modo, Stop allo<br />

stress si <strong>è</strong> rive<strong>la</strong>to tutt’altro che una boiata. Scritto con <strong>la</strong> consulenza di una nota neuropsichiatra<br />

bergamasca, <strong>è</strong> prodigo di consigli su come affrontare gli stressor (così vengono genericamente<br />

chiamate tutte le situazioni di stress). Io, per me, prediligo l’auto-shiatsu.<br />

Lo shiatsu (paro<strong>la</strong> composta di shi = dito e atsu = pressione), <strong>è</strong> una tecnica giapponese risalente al<br />

VI secolo, quando i monaci buddisti importarono nel paese del Sol Levante i principi del<strong>la</strong><br />

medicina tradizionale cinese che ne costituiscono il fondamento teorico. Consiste nell’esercitare<br />

con le dita una moderata pressione in alcuni punti strategici del corpo, risvegliandone <strong>la</strong> forza di<br />

autoguarigione. Nonostante ora nel nostro paese sia molto in voga (di recente ho visto affissa al<strong>la</strong><br />

pensilina di una fermata d’autobus una locandina rec<strong>la</strong>mizzante un “salone rumeno di massaggi<br />

shiatsu e Tai Chi”!), nessuna istituzione universitaria si <strong>è</strong> ancora impegnata a studiarne gli effettivi<br />

benefici. Italica normalità.<br />

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Charlie Crews/Da<strong>mia</strong>n Lewis.<br />

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Posted 07/04/<strong>2009</strong> h 09.50 a.m., CET. Ho un amico che soffre d’ipoacusia da hardcore punk; vale<br />

a dire, dopo essersi martoriato le orecchie per più di un quarto di secolo con gruppi come i B<strong>la</strong>ck<br />

F<strong>la</strong>g, i Circle Jerks, gli Zero Boys e le sinfonie per chitarra di Glenn Branca, non ci sente più. E ha<br />

soltanto quarantadue anni. Tempo fa eravamo a cena in una pizzeria e poco prima che ci portassero<br />

i caff<strong>è</strong> io gli ho detto: “Mi sono rotto i coglioni di andare a correre. Ora per tenermi in forma gioco<br />

a squash.” E lui, crol<strong>la</strong>ndo il capo: “Ah sì, Stefano Accorsi. Non sapevo fosse un fan dei Rush.”<br />

Un attimo di sospensione ed entrambi siamo scoppiati a ridere come dei fessi da corsa.<br />

Per il popolo <strong>è</strong> capire cioca per broca. Per noi <strong>è</strong> diventato una specie di spassoso gioco dada. Io<br />

dico una cosa e lui novanta volte su cento ne capisce un’altra, ma va bene così, ci divertiamo. Non<br />

so quanto ci si divertano le sue fidanzate: non per niente, le sue re<strong>la</strong>zioni sentimentali non durano<br />

mai più di sei mesi, e sono sempre loro a piantarlo.<br />

Pensa a loro due mentre fanno sesso, lui sopra, lei sotto. Lei: “Sì, dài, non fermarti, sì!” Lui invece<br />

si blocca dentro di lei, riprende fiato un attimo, <strong>la</strong> guarda in faccia inarcando un sopracciglio e<br />

dice: “Fermo? Ma non eri nata a Pesaro?”<br />

Glenn Branca, o Glenn Brancamenta secondo Dante (così si chiama il mio amico duro d’orecchi) <strong>è</strong><br />

un influente compositore avant-garde e chitarrista americano famoso per le sue chitarre scordate e<br />

dissonanti. Nei primi anni Ottanta questo genialoide del<strong>la</strong> Pennsylvania compose diverse sinfonie<br />

per orchestre di chitarre elettriche e percussioni, che misce<strong>la</strong>vano ripetitive cacofonie industriali e<br />

microtonalità con quasi-misticismo e matematiche avanzate. La specie di ‘musica’ per <strong>la</strong> quale<br />

potreste ricevere una sventagliata di ka<strong>la</strong>shnikov sul cofano qualora <strong>la</strong> ascoltiate ad alto volume<br />

parcheggiati sotto i balconi di una casa popo<strong>la</strong>re – mentre con Santino Samperi o Micu Taglia<strong>la</strong>te<strong>la</strong><br />

potreste ricevere un invito a pranzo o addirittura a entrare in un c<strong>la</strong>n mafioso. Figuriamoci poi se <strong>la</strong><br />

propinaste a una sciampista: garantito al limone che non ve <strong>la</strong> mollerebbe manco le deste il codice<br />

segreto del vostro bancomat: “Tieni, svuotami pure il conto corrente, ma fa’ l’amore con me, ti<br />

prego!”<br />

Dimmi che musica ascolti e ti dirò chi sei. Sempre che tu non lo sappia già.<br />

Nove giorni fa <strong>è</strong> terminato il mio lungo inseguimento al film La ragazza con l’orecchino di per<strong>la</strong>.<br />

Era una vita che desideravo vederlo. Mi era già sfuggito al cinema e sui canali nazionali, però<br />

stavolta l’ho quagliato, per di più in un orario inusuale, le cinque del pomeriggio. Cose del digitale<br />

terrestre Mediaset. Diamine, me lo sono proprio goduto, nonostante i piagnucolii e le esc<strong>la</strong>mazioni<br />

di giubilo o disappunto di quel microcefalo quattordicenne del figlio dei vicini e il suo amichetto<br />

altrettanto provolone: <strong>la</strong> P<strong>la</strong>ystation <strong>è</strong> <strong>la</strong> nurse del<strong>la</strong> Generazione Nul<strong>la</strong>, e insieme il primo step del<br />

rincoglionimento giovanile pianificato. Come se non fosse già abbastanza il pischello <strong>è</strong> tifosissimo<br />

del<strong>la</strong> Juve e va pazzo per ogni reality show possibile e immaginabile, di cui non si perde neanche<br />

una stramaledettissima puntata in prime time. Step two and three.<br />

La ragazza con l’orecchino di per<strong>la</strong> non <strong>è</strong> esattamente il tipo di film che piacerebbe all’inquilino<br />

standard di quel condominio dal quale vi bersaglierebbero di proiettili se ascoltaste musica postminimalista<br />

nel cortile. Non c’<strong>è</strong> Boldi né De Sica né <strong>la</strong> sgallettata gonfiabile di turno, e neppure<br />

Vapodiris e i suoi lucchetti del<strong>la</strong> minchia, o Vincenzo Diesel che pure a me sta molto simpatico<br />

oltreché vorrei avere una musco<strong>la</strong>tura dirompente come <strong>la</strong> sua. C’<strong>è</strong> <strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> realizzazione di<br />

uno dei più bei quadri mai dipinti da mano umana, Ragazza con turbante di Jan Vermeer, tratta e<br />

sceneggiata da un libro di Tracy Chevalier, una scrittrice statunitense di romanzi storici. Sembra<br />

che l’artista o<strong>la</strong>ndese lo abbia dipinto tra il 1665 e il 1666. Ragazza con turbante raffigura una<br />

fanciul<strong>la</strong> volta di tre quarti verso il pittore, l’espressione <strong>la</strong>nguida e ammaliante, <strong>la</strong> testa fasciata da<br />

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un turbante color blu fiordaliso e giallo pallido, un orecchino di per<strong>la</strong> a forma di goccia appeso al<br />

lobo dell’orecchio sinistro. Bellissima. Nonché erotica da paura.<br />

Nel libro del<strong>la</strong> Chevalier, <strong>la</strong> model<strong>la</strong> del quadro si chiama Griet; poiché <strong>la</strong> sua famiglia versa in<br />

difficili condizioni economiche, el<strong>la</strong> per atto di carità <strong>è</strong> ammessa a casa Vermeer in qualità di serva<br />

per otto stuiver al giorno. Nel film di Peter Webber Griet <strong>è</strong> interpretata, superbamente, da Scarlett<br />

Johansson: Vermeer, dall’ottimo Colin Firth, un attore misurato, mai sopra le righe.<br />

Scarlett Johansson. Come suona bene.<br />

“Ehi, Dante, ma a te <strong>è</strong> mai piaciuto Marilyn Manson?”<br />

“Come? Ah, sì, Scarlett Johansson: <strong>è</strong> un’attrice straordinaria.”<br />

Se per qualche o una sfilza di motivi in questo mondo malriuscito ti capita di perdere totalmente <strong>la</strong><br />

pazienza, fai ciò che va fatto. Dai un manrovescio allo stronzo malcagato che ti <strong>è</strong> passato davanti<br />

in coda all’ufficio postale, manda definitivamente a quel paese il tuo partner, vai con una zocco<strong>la</strong><br />

da 500 euro a botta se <strong>è</strong> troppo tempo che non pianti il piccone, cambia <strong>città</strong>, nazione, continente,<br />

pianeta. Ma vedi di riempire di nuovo, e più in fretta possibile, il serbatoio. Chiamalo, se vuoi, zen,<br />

o buonsenso. Sempre che tu non voglia morire giovane.<br />

Davanti a me ora c’<strong>è</strong> un motivo basso, bruttino e grassottello per perdere <strong>la</strong> brocca; <strong>la</strong> signora delle<br />

cento schedine del Lotto. Mi tocca una volta su quattro che vado al tabaccaio d’angolo per giocare<br />

i miei otto pannelli di numeri al Superenalotto. Presumo che costei avrà azzeccato un misero ambo<br />

in tutta <strong>la</strong> sua vita miseranda – dopo tutto <strong>è</strong> un gioco di puro fondello, potresti vincere giocando i<br />

numeri che ti ha abbaiato il tuo cane al parco in una mattina ventosa –, eppure almeno una volta <strong>la</strong><br />

settimana viene qua e intasa il terminale Lottomatica, nonché i marroni di chi viene dopo di lei,<br />

con le sue speranze di una vita meno grama.<br />

Per <strong>la</strong> precisione il Super Enalotto si gioca mediante un altro terminale, ma vigliaccaccia <strong>la</strong> miseria<br />

se il ciccione che gestisce l’esercizio e l’altra commessa, una tartara anoressica e tabagista il cui<br />

abbigliamento preferito <strong>è</strong> pantaloni mimetici e T-shirt apologizzanti il consumo di droghe, si fanno<br />

vedere. Così <strong>la</strong> tediosissima incombenza spetta tutta a questa ragazza siciliana con <strong>la</strong> pancia in<br />

bel<strong>la</strong> mostra e un anellino all’ombelico. Colei al<strong>la</strong> quale ogni giovane stallone e rugoso satirone<br />

dell’iso<strong>la</strong>to sogna di fare qualunque cosa, in primis ficcarle l’uccello in quel<strong>la</strong> bel<strong>la</strong> bocca tumida.<br />

Io, benché mi spacci per romantico postmoderno, “settantasette chili d’ossa e muscoli ed empatia”<br />

mi sono descritto una volta a una tipa brodosa che fa <strong>la</strong> scenografa, non faccio eccezione.<br />

“Succhia, succhia <strong>la</strong> <strong>mia</strong> minchiazza nobbile.” Che razza di <strong>la</strong>voro, fare il doppiatore di film<br />

pornografici.<br />

L’aggeggio del<strong>la</strong> Lottomatica non ha letto neppure metà delle schedine. Alle mie spalle un tamarro<br />

col viso segnato da trent’anni di catena di montaggio bisbiglia un’imprecazione. Centoschedine<br />

manco se ne cura, completamente assorbita com’<strong>è</strong> dall’operazione di stampa delle ricevute. Devo<br />

far viaggiare <strong>la</strong> mente, <strong>è</strong> soltanto martedì pomeriggio e non voglio finire già in riserva. Le sbronze<br />

rituali di fine settimana richiedono una condizione fisica smagliante.<br />

Facciamo che <strong>la</strong> pazienza <strong>la</strong> perdo <strong>la</strong> settimana prossima, per qualche altra ragione. Tanto qui <strong>è</strong><br />

una battaglia persa in partenza.<br />

Dunque, Vermeer, o Ver Meer, o Van der Meer. Nato nel 1632 a Delft, un paese poco distante da<br />

l’Aia, e mortovi nel 1675, forse non solo pittore ma anche tessitore e mercante d’arte. Nel 1653<br />

sposò Catharina Bolenes, una ricca ereditiera (nel<strong>la</strong> scena madre del film Catharina, in <strong>la</strong>crime,<br />

costringe il marito a mostrarle il quadro, giudicandolo poi ‘osceno’) e nello stesso anno fu accolto<br />

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nel<strong>la</strong> gilda pittorica del<strong>la</strong> sua <strong>città</strong>. Senz’altro quel<strong>la</strong> donna visse tutto il suo huwelijk (in o<strong>la</strong>ndese,<br />

matrimonio) col talentuoso Johannes in uno stato d’inquietudine, con quel viavai di giovanissime e<br />

attraenti modelle – Giovane assopita, Giovane donna leggente, Lattaia, Fanciul<strong>la</strong> che legge una<br />

lettera, Ragazza con turbante. Ma che poi Vermeer se le facesse oltre a ritrarle <strong>è</strong> tutto da scoprire,<br />

forse non lo scopriremo mai e al<strong>la</strong> fin fine non dovrebbe importarcene un accidente, fu un pittore<br />

immenso e basta. ’Sto minchia di assillo giudaico-cristiano circa l’integrità morale dell’artista…<br />

“Zio fa che palle” si <strong>la</strong>menta l’operaio dietro di me.<br />

Anita Pallenberg. Smashing Pumpkins. Blusa di percalle.<br />

Una festa decisamente importante per gli o<strong>la</strong>ndesi <strong>è</strong> Sinterk<strong>la</strong>as (San Nico<strong>la</strong>) che si celebra il 5/6<br />

dicembre con parecchio folclore e che coinvolge grandi e piccini. I bambini ricevono regali che<br />

Sinterk<strong>la</strong>as, passando sui tetti con il suo cavallo bianco, ca<strong>la</strong> personalmente nei camini delle case.<br />

Gli adulti invece s’improvvisano tutti poeti, accompagnando lo scambio di doni con ogni tipo di<br />

scherzo e poesie spiritose, molto personalizzate. Tutta quel<strong>la</strong> bellissima gente a divertirsi per le<br />

leggiadre strade d’O<strong>la</strong>nda, par<strong>la</strong>ndo una lingua di ardua comprensione del<strong>la</strong> quale io posseggo un<br />

manuale di conversazione con pronuncia figurata da cui mi diverto a estrapo<strong>la</strong>re parole e frasi per<br />

fare <strong>la</strong> figura del figaccione poliglotta con gente che nemmeno sa par<strong>la</strong>re correttamente <strong>la</strong> propria<br />

lingua madre. Come il montatore di motori a scoppio che mi sta fiatando sul collo. Come questa<br />

carinissima ragazzetta meridionale di nome Debora. Debbora.<br />

Centoschedine ghermisce in un solo gesto schedine, ricevute e resto e si ficca il tutto in tasca, poi<br />

esce senza salutare. Debora <strong>la</strong> segue con lo sguardo, storce <strong>la</strong> bocca ma poi <strong>la</strong> rimodel<strong>la</strong> in un<br />

sorriso per me: “Ciao, Fede.”<br />

E io: “Ciao, mooie meisje.”<br />

E lei: “Eh?”<br />

Più tardi siamo a berci un aperitivo nel bar di fianco al<strong>la</strong> tabaccheria. Un bar come altri diecimi<strong>la</strong><br />

in questa <strong>città</strong>: inserviente scazzata, tossici di videopoker relegati in fondo al<strong>la</strong> sa<strong>la</strong>, stuzzichini<br />

ricic<strong>la</strong>ti da un giorno all’altro, qualità del caff<strong>è</strong> espresso oscil<strong>la</strong>nte tra mediocre e pessima. Se sono<br />

qui dentro <strong>è</strong> solo perché mi va di conoscere meglio questa Debora.<br />

Non che lei abbia molto da raccontare. Ventidue anni e qualche mese, un fratello di diciannove,<br />

genitori entrambi originari di Raffadali, provincia di Agrigento (lo stesso paese dov’<strong>è</strong> nato il Mago<br />

Gabriel, quello degli “gnomini col naso appizzuto stupentemente colorati”) trasferitisi a Volpiano<br />

all’inizio degli anni Settanta, licenza media, Laura Pausini anche in bagno mentre si fa i capelli, da<br />

buona napuli tifosa del<strong>la</strong> Juve – che ci volete fare, <strong>è</strong> un virus –, fino a quattro mesi fa andava in<br />

palestra quattro sere su sette poi tra i soldi e altre cose…, ha trovato questo <strong>la</strong>voretto in tabaccheria<br />

grazie a uno zio che <strong>è</strong> amico d’infanzia del ciccione. Il resto <strong>è</strong> un corpicino dalle forme voluttuose,<br />

capelli corvini lunghi e lisci e un volto da filmino .avi amatoriale; nessuno, dico proprio nessuno<br />

degli habitué riesce a stare venti secondi di fi<strong>la</strong> senza sbirciarne le mirifiche natiche a mandolino e<br />

le tette da calendario. Credo che certe donne abbiano sacrosantamente ragione quando dicono che<br />

noi uomini siamo dei morti di figa inveterati. Ma credo altrettanto che <strong>la</strong> loro maniacale ricerca<br />

dell’uomo perfetto le renda so<strong>la</strong>mente ridicole agli occhi dell’universo. Salvo prossime c<strong>la</strong>morose<br />

smentite del principio di indeterminazione di Heinsenberg e i traversoni di C<strong>la</strong>udio Sa<strong>la</strong> per Ciccio<br />

Graziani e Pupigol, <strong>la</strong> perfezione non <strong>è</strong> di questo mondo.<br />

Suca, suca. Peccato che non ti posso fottere.<br />

“Ma tu davvero sai l’o<strong>la</strong>ndese?” mi domanda Debora, e prende un sorso del suo drink analcolico.<br />

48


“Lo sto studiando per <strong>la</strong>voro” mento con noncuranza. “Certo <strong>è</strong> una lingua tutt’altro che facile, ha<br />

dei suoni sconosciuti al<strong>la</strong> lingua italiana…”<br />

“Ah sì? Quali?”<br />

“Be’, per esempio, ui.” L’ho letto giusto mezz’ora prima di scendere al bar. “È molto difficile da<br />

riprodurre. Ti ci avvicini al<strong>la</strong> pronuncia unendo <strong>la</strong> ö del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> francese peu, poco, al<strong>la</strong> i staccata.”<br />

“Facci un esempio.” Plurale maiestatico siculo.<br />

“Tuin. Töìn. Vuol dire giardino.”<br />

“Toin. Tuuin.” Per come piega <strong>la</strong> bocca nel tentativo di pronunciare quel dittongo, me lo fa venire<br />

duro. Si scioglie in una risata: “Cazzaro<strong>la</strong>, non ci riesco proprio. Ma come par<strong>la</strong> quel<strong>la</strong> gente <strong>la</strong>ssù?<br />

Io a Davids l’ho sempre solo sentito par<strong>la</strong>re l’italiano. Però che importa, era un fico da urlo, ho una<br />

collezione di foto sue a casa, troppo idolo. Tu ci sei stato in O<strong>la</strong>nda? Raccontami com’<strong>è</strong>.”<br />

Durante gli anni Sessanta, vari movimenti di protesta si svilupparono nei Paesi Bassi. Le forze che<br />

capeggiavano l’opposizione erano i provos – un nomignolo o<strong>la</strong>ndese per coloro che deliberatamente<br />

provocavano <strong>la</strong> polizia e altre autorità. I provos insorsero molte volte, specialmente in occasione di<br />

due matrimoni reali con stranieri impopo<strong>la</strong>ri. Nel 1964, <strong>la</strong> Principessa Irene di Orange-Nassau si<br />

convertì al cattolicesimo e sposò il Principe Carlo Ugo di Borbone-Parma. Nel 1966, <strong>la</strong> Principessa<br />

Beatrice dei Paesi Bassi sposò C<strong>la</strong>us Von Amsberg, un diplomatico del<strong>la</strong> Germania Occidentale:<br />

costui era stato un soldato dell’esercito tedesco durante <strong>la</strong> Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia nel<br />

1967 <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>rità reale fu <strong>la</strong>rgamente ripristinata dopo che Beatrice ebbe dato al<strong>la</strong> luce un figlio,<br />

Guglielmo-Alessandro, il primo maschio del<strong>la</strong> stirpe a ereditare il trono dal 1884.<br />

Sempre in quell’anno, <strong>la</strong> rock band psichedelica londinese Tomorrow compose un brano, My White<br />

Bicycle, ispirandosi al “programma di bicicletta collettiva” attuato dai provos ad Amsterdam: essi<br />

possedevano delle biciclette bianche e le <strong>la</strong>sciavano in giro per <strong>la</strong> <strong>città</strong>, e chiunque dovesse andare<br />

da qualche parte e avesse bisogno di una bici, avrebbe potuto prender<strong>la</strong> e andare dove voleva e<br />

<strong>la</strong>sciar<strong>la</strong> là per qualcun altro – l’antenato dell’odierno bicycle sharing. Tra una peda<strong>la</strong>ta e l’altra non<br />

era evento insolito l’avvistamento di una decappottabile sul cui sedile posteriore era sistemata una<br />

bombo<strong>la</strong> di protossido di azoto: al vo<strong>la</strong>nte, Simon Winkenoog, scrittore poeta e traduttore del<strong>la</strong> Beat<br />

Generation; accanto, sua moglie Reineke e nientemeno che Mr Ken Kesey – uno dei padri del<strong>la</strong><br />

psichedelia californiana, autore di quel libro fantastico che <strong>è</strong> Qualcuno volò sul nido del cuculo. Il<br />

terzetto attingeva dal<strong>la</strong> bombo<strong>la</strong> senza requie.<br />

Tutto ciò a Debora non lo racconto. Piuttosto, sintonizzandomi sul<strong>la</strong> sua bassa frequenza culturale,<br />

le parlo di coffee shop, discoteche electro ed ecstasy, mulini a vento, tulipani, zoccoletti di legno e<br />

margarina, Ruud Gullit e Marco Van Basten, insomma una sgranatura di topoi oranje come neanche<br />

il peggior depliant turistico del<strong>la</strong> più sgalfa agenzia di viaggi del quartiere. C’<strong>è</strong> stato un tempo in cui<br />

io mi sentivo una specie di pa<strong>la</strong>dino del<strong>la</strong> cultura che combatteva <strong>la</strong> sua personale crociata contro<br />

l’ignoranza. Poi un bel giorno ho realizzato che era tutta fatica sprecata.<br />

Sul ponte svento<strong>la</strong> bandiera bianca.<br />

Eccoti arrivato al momento cruciale. Chiedile di uscire. Strappale ’sto fottuto gancio. Va’ all’attacco<br />

delle sue mutandine.<br />

Scoprirai se <strong>è</strong> depi<strong>la</strong>ta o hairy.<br />

Prenderai <strong>la</strong> tua bandiera e <strong>la</strong> pianterai sul suo monte di Venere.<br />

Le farai assaggiare il tuo ricco <strong>la</strong>tte.<br />

“Ti va di uscire insieme domani sera?”<br />

49


All’istante, tutti i presenti tendono l’orecchio ad ascoltare <strong>la</strong> risposta. Facitivi li cazzi vostri, ringhio<br />

dentro di me.<br />

La <strong>mia</strong> bicicletta bianca…<br />

Lei abbassa lo sguardo. Scuote <strong>la</strong> testa. “Non posso, Fede. Cio<strong>è</strong>, esco col mio fidanzato.”<br />

L’eco delle sue parole rimbomba lisergicamente nel<strong>la</strong> <strong>mia</strong> testa tutt’a un tratto fattasi grande come<br />

una caverna. Esco col mio fidanzato, fidanzato, idanzato, danzato, anzato, nzato, zato, ato, tooo…<br />

I presenti: Gli ha dato il due di picche, picche, icche, che, eee… ah ah ah, ah ah ah, AH AH AH!<br />

E io divento bianco, bianco, anco, nco, cooo.<br />

“È… osceno” mormora Catharina Bolenes, il bel volto fiammingo rigato di <strong>la</strong>crime. Si capisce. Per<br />

<strong>la</strong> rigida morale dell’epoca, era un gesto inaudito che una giovanetta posasse per un ritratto con le<br />

<strong>la</strong>bbra sensualmente dischiuse e uno sguardo da mol<strong>la</strong>-quel-pennello-e-scopami. Era il 1666, per <strong>la</strong><br />

miseria. Ma oggi, nono anno del ventunesimo secolo, ha ancora senso codesto aggettivo? Esiste<br />

ancora il senso del pudore nell’epoca del filo intercu<strong>la</strong>re e degli yogurt escatologici?<br />

Il video, amatoriale, rating quattro stellette, inizia ex abrupto con un cunnilingus in una spiaggia<br />

nudista basso-californiana o brasiliana, chi lo sa. Lei, biondina, carina, le snelle gambe divaricate, i<br />

gomiti piantati nel<strong>la</strong> sabbia grigia, fa roteare più volte lo sguardo fingendo imbarazzo; lui, gattoni,<br />

prestante, scuro di carnagione, le lecca a<strong>la</strong>cremente il grilletto. Come da trito e ritrito copione porno<br />

<strong>la</strong> donzelletta gli restituisce il favore orale con un pompino ipercinetico, mentre sullo sfondo reso<br />

indistinto dalle termiche le rare comparse, o semplici aficionados del bagno au naturel coinvolti<br />

loro malgrado nel<strong>la</strong> ripresa, ostentano indifferenza. Dopodiché Nelson e Regina, chia<strong>mia</strong>moli così,<br />

passano a unire i loro cervelli nel<strong>la</strong> posizione del sessantanove. Infine si giunge al<strong>la</strong> trombata vera e<br />

propria, dapprima lei a cavalcioni su di lui come un fantino, poi doggy style e così via, ripresi da<br />

diverse ango<strong>la</strong>zioni. Il sonoro, l’ho disattivato, che volete ci sia da ascoltare in un film porno se non<br />

gemiti e mugolii simu<strong>la</strong>ti o, peggio ancora, muzak da supermercato rionale.<br />

E come volete che vada a terminare questo masterwork del<strong>la</strong> moderna cinematoscoponia: Nelson<br />

Arantes Do Fottimiento spara il suo sperma in faccia a Regina e lei se lo lecca ostentatamente, come<br />

fosse orzata o panna montata, guardando in macchina. Rep<strong>la</strong>y Video & Find A Fuck Buddy In Your<br />

Town.<br />

In o<strong>la</strong>ndese, “fare l’amore” si può tradurre in due modi: vrijen e met elkaar naar bed gaan, che<br />

peraltro presumo significhi letteralmente “andare a letto con qualcuno”.<br />

La domanda <strong>è</strong>: se voi quel giorno vi foste trovati a prendere il sole nudi bruchi su quel<strong>la</strong> spiaggia<br />

del<strong>la</strong> Baja California, Florianopolis, Lido di C<strong>la</strong>sse, o Cydonia su Marte dopo il terraforming, come<br />

volete, e vi fosse toccato assistere a quel<strong>la</strong> roba, come avreste reagito? Vi sareste girati dall’altra<br />

parte per l’indignazione? Vi sareste fatti una grassa risata e avreste ripreso a leggere il vostro libro<br />

per l’estate? Vi sareste armati di bastone e avreste messo in fuga quegli svergognati?<br />

O piuttosto: vi sareste messi a pancia molle per nascondere l’eccitazione, sbirciando invidiosi quei<br />

giovani corpi avvinti nell’amplesso e il gaglioffo del cineoperatore? O, se foste stati in compagnia,<br />

avreste preso a stimo<strong>la</strong>re i genitali del vostro partner per pura mimesi sensuale? Oppure, se soli e<br />

con <strong>la</strong> faccia come il didietro di un elefante, sareste andati a chieder loro di partecipare?<br />

Vizi privati, pubbliche virtù.<br />

Che avrei fatto io, dite? Non ho voglia di dirvelo. Ma vi dico che tra poco mi scaricherò un altro<br />

video di sesso sul<strong>la</strong> spiaggia.<br />

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Dietro al bancone di questo bar in riva al fiume <strong>la</strong>vora <strong>la</strong> ragazza con gli occhi più belli del<strong>la</strong> <strong>città</strong>.<br />

Si chiama Luana. Non ha una figura partico<strong>la</strong>rmente rigogliosa, anzi <strong>è</strong> piuttosto minuta, ma quegli<br />

immensi oogen cenerini trascendono ogni sua manchevolezza in centimetri e forme muliebri. Se gli<br />

habitué del bar a fianco del tabaccaio si perdono nelle natiche di Debora, quelli di questo locale si<br />

smarriscono negli occhi stupendi di Luana. Davanti a lei rimangono come inebetiti. E <strong>la</strong> guardano.<br />

E incespicano, e sfugge loro di mano lo scontrino. Lei, perfettamente conscia di piacere ma agli<br />

antipodi dal tirarse<strong>la</strong> per questo, <strong>è</strong> sempre garbata e sorridente con tutti: “Ciao! Dimmi.”<br />

Ik wil graag een biertje. Vorrei una birra. E coprire di baci quegli occhi tra lenzuo<strong>la</strong> immaco<strong>la</strong>te e<br />

profumate di <strong>la</strong>vanda fino al<strong>la</strong> fine del mondo.<br />

La musica, non forte, <strong>è</strong> new soul e rhythm’n’blues. Io ultimamente ascolto tonnel<strong>la</strong>te di Wire e loro<br />

epigoni quali Guided By Voices, Manic Street Preachers, E<strong>la</strong>stica e Blur. Vorrei che mi mandassero<br />

in rep<strong>la</strong>y per tutta <strong>la</strong> serata Outdoor Miner – un soave esempio di pop minimalista: 1:44! Ma non <strong>è</strong><br />

proprio il tipo di musica preferito dal DJ, o che <strong>è</strong> solito proporre in giro per i disco-bar del<strong>la</strong> <strong>città</strong>.<br />

Magari <strong>la</strong> provo<strong>la</strong> possiede tutta <strong>la</strong> discografia dei Wire e dei GBV, e mette John Legend e Beyoncé<br />

e Kanye West so<strong>la</strong>mente a scopo di lucro.<br />

Ecco Dante con due bicchieri di caipirinha de cerveja, una novità da queste parti. Trattasi di birra<br />

con limone, ghiaccio, zucchero e sale sul bordo del bicchiere, come nel margarita. Assai dissetante.<br />

Prevedo che stasera ce ne faremo almeno cinque a testa.<br />

Dante <strong>la</strong>vora per un’azienda specializzata in nanotecnologie con sede a Mi<strong>la</strong>no. Si stanno facendo<br />

dei progressi straordinari in questo campo. All’Istituto Nazionale di Scienze Industriali di Tokyo,<br />

per esempio, il team di Yuichi Hiratsuka ha convinto un microrganismo lungo un milionesimo di<br />

millimetro, il Mycop<strong>la</strong>sma mobile, ad agire come pi<strong>la</strong> per alimentare una macchina microscopica:<br />

avvolto di vitamina B, che agisce da col<strong>la</strong>, questo batterio fa girare un minirotore a una velocità<br />

equivalente a oltre trenta chilometri l’ora. Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Chimica<br />

dell’Università di Bologna ha realizzato Nanospider, una macchina composta di due sole molecole<br />

ma che può sviluppare una forza di 200 piconewton; fatte le dovute proporzioni, <strong>è</strong> come se essa<br />

fosse in grado di sollevare l’equivalente di tremi<strong>la</strong> miliardi di volte il suo peso – come se un uomo<br />

potesse sollevare, da solo, un’intera montagna. L’esercito americano ha utilizzato in Afghanistan <strong>la</strong><br />

cosiddetta bomba tagliamargherite: un bidone di polvere nanometrica d’alluminio che, messa tutta e<br />

all’improvviso a contatto con l’ossigeno atmosferico, esplode con risultati paragonabili a quelli di<br />

una bomba atomica in miniatura.<br />

Okay, torniamo a par<strong>la</strong>re di gnocca.<br />

Dice Dante: “Mercoledì scorso Giuliana mi ha <strong>la</strong>sciato.”<br />

E te pareva, vorrei commentare io. Invece dico: “Ci sono miliardi di donne al mondo.” Sbirciando<br />

Luana spil<strong>la</strong>re disinvolta un boccale di birra rossa d’abbazia.<br />

“Già. Milioni di milioni, <strong>la</strong> stel<strong>la</strong> di Negroni.”<br />

“Non te <strong>la</strong> prendere.”<br />

“E chi se <strong>la</strong> prende.” Invece gli rode, e come. “E tu, Fede? Ti stai spupazzando qualcuna?”<br />

“Come un riccio! Ho appena ricevuto un bel due di picche.” Mal comune, o simile, mezzo gaudio.<br />

Misery loves company.<br />

Dante sgrana gli occhi azzurri. “Stai facendo ficchi ficchi? Come si chiama <strong>la</strong> sfortunata?”<br />

Ieri pomeriggio, sul tardi, ho visto per <strong>la</strong> prima volta il fidanzato di Debora. È andata così: volevo<br />

andare in macchina fino al centro commerciale per acquistare una pen drive scontata, ma appena<br />

imboccato il breve tratto di controviale che corre davanti al tabaccaio ho scorto Debora scambiarsi<br />

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effusioni con uno; sono passato oltre e ho accostato <strong>la</strong> vettura al marciapiede otto-dieci metri più in<br />

là, per poterli spiare con lo specchietto retrovisore; Debora ha dato un ultimo bacio sul<strong>la</strong> bocca al<br />

suo verloofde ed <strong>è</strong> entrata al <strong>la</strong>voro; lui si <strong>è</strong> incamminato giusto verso di me, cosicché con crescente<br />

definizione dei partico<strong>la</strong>ri ho potuto ammirarne il ceffo da bullo di periferia, i capelli ingomminati<br />

sparati in tutte le direzioni, i jeans al<strong>la</strong> scagassa, <strong>la</strong> felpa di D&G, <strong>la</strong> camminata da cercopiteco… e<br />

un orecchino di grandi dimensioni a forma di goccia penzo<strong>la</strong>nte dall’orecchio sinistro.<br />

Una paro<strong>la</strong> <strong>è</strong> apparsa in forma intermittente nel<strong>la</strong> <strong>mia</strong> testa: sacrilegio.<br />

Il fatto <strong>è</strong> che oggi sono andato a giocare le mie otto colonne ingiallite: di mattina presto stavolta, per<br />

evitare <strong>la</strong> signora Centoschedine. Infatti, non c’era nessuno. Ho salutato Debora senza partico<strong>la</strong>re<br />

entusiasmo e le ho sporto le schedine. Lei le ha prese con un sorrisetto, si <strong>è</strong> ravviata i capelli… ed<br />

eccolo di nuovo, il grande orecchino a goccia. Oggi ce l’aveva lei.<br />

È il nuovo trend: indossare i vestiti del fidanzato per fare shopping. Donne VIP che vanno a spasso<br />

per negozi à <strong>la</strong> page con indosso il camicione scozzese da falegname, e di conseguenza i feromoni,<br />

del proprio uomo. Più sono sfondati più si comportano da zoticoni, verrebbe da commentare.<br />

La domanda <strong>è</strong>: ma i maschietti di nuova generazione sono così scimuniti da portare orecchini così?<br />

Ipotesi più probabile: <strong>la</strong> goccia <strong>è</strong> di Debora, che lo ha dato al suo scimmiotto come pegno d’amore a<br />

tempo determinato. Che romantico.<br />

Fanculo.<br />

Ho intascato le ricevute, le ho detto “ciao, buona giornata” e sono uscito. Forse lei si aspettava che<br />

io mi fermassi a scambiare quattro chiacchiere. Forse no.<br />

Dodici ore dopo, metabolizzata cerebralmente soltanto una descrizione di Debora e del suo diniego,<br />

Dante chiede al<strong>la</strong>rmato a Federico: “Non ti starai mica preso una scuffia per quel<strong>la</strong> truzzetta?”<br />

Io vuoto il bicchiere in un sorso e incrocio lo sguardo neutronico di Luana. Con due dita, le faccio il<br />

gesto che nel linguaggio internazionale significa due. Altre due caipirinha de cerveja, per favore,<br />

che <strong>la</strong> notte <strong>è</strong> ancora giovane.<br />

Luana sorride, fa di sì con <strong>la</strong> testolina e si mette subito all’opera. Che bocconcino.<br />

Rispondo a Dante: “Macché. Piuttosto me lo ficco dentro un boccale di soda caustica.”<br />

E Dante: “Scarlett Johansson.”<br />

Appunto.<br />

Il diciassettesimo secolo fu l’Età dell’Oro dei Paesi Bassi. La nazione divenne <strong>la</strong> principale potenza<br />

navale del mondo e sviluppò un grande impero navale, colonizzando ciò che più tardi divennero le<br />

Indie O<strong>la</strong>ndesi – ora Indonesia –, <strong>la</strong> punta meridionale dell’Africa, una manciata di isole nel Mar<br />

dei Caraibi e parte dell’odierno stato di New York, New Jersey, Connecticut e De<strong>la</strong>ware.<br />

È probabile che <strong>la</strong> per<strong>la</strong> raffigurata nel dipinto di Vermeer provenisse dalle nuove colonie o<strong>la</strong>ndesi<br />

nell’estremo oriente; pure, alcuni studiosi ritengono che un esemp<strong>la</strong>re di così grandi dimensioni in<br />

natura non esisterebbe. Può essere che Vermeer ne abbia accresciuto le dimensioni a bel<strong>la</strong> posta;<br />

dopo tutto, sembra che egli compisse esperimenti con le prime camere oscure. Cosicché potremmo<br />

considerare Ragazza con turbante come il primo esempio di fotoritocco nel<strong>la</strong> storia dell’umanità.<br />

Photoshop ante litteram.<br />

Gli o<strong>la</strong>ndesi sono sicuramente un popolo creativo. Lasciamo perdere <strong>la</strong> Endemol. All’Università di<br />

Eindhoven un team di genietti ha realizzato Blue Eye, un tavolo trasparente su cui le immagini di un<br />

oggetto possono essere spostate, modificate o unite ad altre semplicemente trascinandole con un<br />

dito. Come basta un dito per archiviarle dentro il folder digitale di un computer a esso collegato,<br />

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secondo il tipico meccanismo del drag’n’drop ormai noto a ogni utilizzatore di computer: il tutto<br />

grazie a una telecamera montata sopra il “tavolo intelligente”, in accoppiata con un proiettore e uno<br />

specchio fissati sotto di esso.<br />

Sì, <strong>è</strong> quell’affare che si vede in Minority Report e C.S.I. Miami. Grosso modo.<br />

Ne vedremo di cose nei decenni a venire. Celle so<strong>la</strong>ri che imitano <strong>la</strong> fotosintesi. Tracciatura digitale<br />

delle comunicazioni tra i neuroni per scoprire i meccanismi delle ma<strong>la</strong>ttie mentali. Onde terahertz<br />

per identificare gli organismi e i materiali. Riprogrammazione nucleare delle cellule per risolvere i<br />

problemi etici generati dall’utilizzo delle cellule staminali. Microcomputer incorporati in un muro<br />

per riconoscere <strong>la</strong> persona che entra nel<strong>la</strong> stanza e, per esempio, attivare <strong>la</strong> sua musica preferita.<br />

Delfini a motore. Aerei privati a decollo verticale. Soldati che si prestano le prime cure da soli<br />

grazie a bendaggi magnetici e venti<strong>la</strong>tori d’emergenza e vaccini che bloccano <strong>la</strong> trasmissione del<strong>la</strong><br />

sensazione dolorifica tra il tessuto colpito e i nervi.<br />

Il progresso tecnologico fi<strong>la</strong> come un treno ad alta velocità. Vivremo sempre più a lungo: magari<br />

mangiando pane e cipol<strong>la</strong> transgenica, ma camperemo centoventi, perfino centotrenta anni. Il nostro<br />

attuale Presidente del Consiglio ne <strong>è</strong> fermamente convinto: più di tutto perché Lui vuole camparne<br />

duecento.<br />

Magari anche mille. Perché mille anni si potrebbe vivere secondo il biogerontologo dell’Università<br />

di Cambridge Aubrey de Grey, se si seguisse il suo programma in sette punti: terapia a base di<br />

cellule staminali o fattori di stimolo del<strong>la</strong> divisione cellu<strong>la</strong>re per contrastare <strong>la</strong> perdita e/o l’atrofia<br />

di cellule, completa inibizione del<strong>la</strong> produzione di telomerasi, spostamento a livello nucleare del<strong>la</strong><br />

sintesi delle 13 proteine mitocondriali, stimo<strong>la</strong>zione del sistema immunitario a eliminare le cellule<br />

di grasso e/o senescenti, rottura farmacologia mirata dei legami incrociati tra proteine extracellu<strong>la</strong>ri<br />

che provocano <strong>la</strong> perdita di e<strong>la</strong>sticità delle pareti arteriose, estrema limitazione mediante vaccino<br />

dell’accumulo di materiale extracellu<strong>la</strong>re responsabile di patologie quali l’arteriosclerosi e il morbo<br />

di Alzheimer, aiuto enzimatico esterno per aiutare i lisosomi a degradare il materiale intracellu<strong>la</strong>re.<br />

Berlusconi che sbarca sul secondo pianeta del sistema di Vega per il Congresso di fondazione del<br />

Popolo del<strong>la</strong> Libertà Interstel<strong>la</strong>re… cari pronipoti, non v’invidio.<br />

Ok, torniamo a par<strong>la</strong>re di me.<br />

Mentre una ventata di chitarra distorta soffia da un altopar<strong>la</strong>nte all’altro – sto ascoltando My White<br />

Bicycle – io penso: Vermeer <strong>è</strong> schiattato a 43 anni per lo stress delle pressioni finanziarie. Tu ora<br />

hai 43 anni appena compiuti. Mica vorrai morire di crepacuore per una sciacquetta?<br />

La volpe e l’uva acerba…<br />

Ma no. Che volpe e che uva del cacchio. Il concetto <strong>è</strong>: non sprecare <strong>la</strong> tua vita.<br />

Ho appena letto su un quotidiano un’affermazione di Albert Einstein: se vuoi una vita felice, devi<br />

dedicar<strong>la</strong> a un obiettivo, non a delle persone o delle cose.<br />

Sante parole. Be’, a qualche persona ti ci puoi dedicare. Ogni tanto.<br />

Una vita felice.<br />

Allora, crea. Fatti prendere dal fuoco sacro del<strong>la</strong> creatività artistica. Dipingi, componi musica,<br />

scolpisci <strong>la</strong> materia. Scatta fotografie.<br />

Non permettere che il disincanto abbia il sopravvento su di te. Riscopri il desiderio di conoscere, di<br />

capire, di vivere <strong>la</strong> vita. Non inacidirti a denigrare chi ha meno cultura di te.<br />

Evolviti.<br />

E pianta<strong>la</strong> di guardare tutti quegli balordi esibizionisti che si fanno riprendere da una videocamera<br />

mentre scopano. Stanno lì solo a farti buttar via tempo, soldi, seme e autostima. Loro fottono, e tu ti<br />

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fotti l’esistenza mentre loro fottendo si fottono <strong>la</strong> loro. Va’ in cerca d’emozioni autentiche, invece<br />

di strafarti di surrogati emozionali.<br />

Lancia granate di positività contro il mondo.<br />

Monta in sel<strong>la</strong> al<strong>la</strong> tua bicicletta bianca e peda<strong>la</strong> verso il sole nascente.<br />

Your White Bicycle. Jouw Witte Fiets.<br />

Il marchingegno del<strong>la</strong> Lottomatica non ha letto neppure metà delle schedine. Alle mie spalle c’<strong>è</strong> di<br />

nuovo il tamarro col volto raggrinzito da trent’anni di duro <strong>la</strong>voro in fabbrica. “Zio fa, ma sempre<br />

questa qui mi becco” si <strong>la</strong>menta, ad alta voce questa volta. La signora Centoschedine, ni puto caso,<br />

come se al mondo esistesse soltanto quel<strong>la</strong> stampante.<br />

Io non ho fretta. Ho <strong>la</strong> mente tersa come una bel<strong>la</strong> giornata di primavera. Non sono venuto qua per<br />

giocar le mie solite due schedine. Non me le sono neanche portate dietro. Ho portato tutt’altra roba<br />

con me. Cosa sono venuto a fare, lo scoprirete tra poco.<br />

Chiama<strong>la</strong> coincidenza. Chiama<strong>la</strong> sincronicità. Chiamalo destino. Chiamalo come ti pare. Fatto sta<br />

che oggi Debora porta una fascia per capelli <strong>la</strong>rga color blu fiordaliso e i capelli legati in una coda<br />

di cavallo che le si arriccia sul<strong>la</strong> spal<strong>la</strong> sinistra. L’avevo già notata stamani dal balcone, quando ha<br />

parcheggiato <strong>la</strong> sua Smart gial<strong>la</strong> nel mio cortile – non potrebbe farlo giacché <strong>è</strong> proprietà privata,<br />

ma tant’<strong>è</strong> – ed <strong>è</strong> andata al bar per prendersi un caff<strong>è</strong> prima di attaccare col rusco.<br />

Caretta caretta. Cave canem. Gnarls Barkley.<br />

Centoschedine artiglia schedine, ricevute e resto e si ficca tutto in tasca, poi saluta e se ne va. Oggi<br />

<strong>è</strong> davvero una giornata speciale.<br />

“Ciao, Fede. Scusami, ma devo scappare un attimo nel retro. Torno subito.” Ha ancora l’orecchino<br />

a forma di goccia appeso al lobo.<br />

Io dico: “Aspetta, Griet.”<br />

Debora si volge di tre quarti verso di me. Dice: “Eh?”<br />

E in quel preciso istante io le scatto una foto con <strong>la</strong> <strong>mia</strong> Pentax Optio E20, da me preventivamente<br />

rego<strong>la</strong>ta in modalità di ripresa “Ritratti” e col f<strong>la</strong>sh in modalità “riduzione occhi rossi”. Poi le dico<br />

semplicemente “grazie, Debbie” e alzo i tacchi, <strong>la</strong>sciando lì basiti sia lei sia l’operaio consunto.<br />

L’importazione dell’immagine dal<strong>la</strong> fotocamera al notebook <strong>è</strong> terminata. Faccio clic per due volte<br />

sull’icona.<br />

Debora <strong>è</strong> venuta molto bene. L’espressione dolcemente stupita, <strong>la</strong> fascia e <strong>la</strong> coda di capelli che<br />

insieme danno l’impressione visiva di un copricapo esotico, il grosso monile a forma di goccia.<br />

Bellissima. Bloedmooi.<br />

La ragazza con l’orecchino del pir<strong>la</strong>.<br />

Questo racconto <strong>è</strong> una flebile imitazione dello stile di Chuck Pa<strong>la</strong>hniuk in 32.336 caratteri,<br />

spazi inclusi.<br />

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Mol<strong>la</strong> quel pennello…<br />

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Da buoni animali notturni, non potevamo accontentarci di un turbinio di birre e doppi, un juke-box coi<br />

vecchi pezzi dei Thin Lizzy e l’immancabile concerto di sean nos (motivi tradizionali ir<strong>la</strong>ndesi). Ma quando<br />

una sera provammo a entrare in un locale storico di Dublino, McGonagles, <strong>la</strong> cui programmazione musicale<br />

da noi letta nel tardo pomeriggio su un flyer prometteva scintille (sound del 1977 e derivati), fummo<br />

rimbalzati come palline da squash per “non avere il look adatto”. Figuratevi: due skinhead, un modernista e<br />

uno sbirro infiltrato nel<strong>la</strong> ma<strong>la</strong> ir<strong>la</strong>ndese di Hell’s Kitchen (il sottoscritto, che prima di partire si era sparato<br />

Stato di grazia in Vhs fino al<strong>la</strong> nausea. Adoro Sean Penn, Ed Harris e Gary Oldman. Ma anche Robin<br />

Wright…). Più adatti di così! Ciò nondimeno i due buttafuori dallo spiccato accento brogue si dimostrarono<br />

persone perbene informandoci che <strong>la</strong> soirée sucessiva sarebbe stata più appropriata alle nostre tendenze:<br />

baggy e shoegazer… ah ah ah. In qualunque modo ci ripresentammo e fu divertente, per me un’autentica<br />

epifania musicale. Divenni un fan di quel<strong>la</strong> roba psico-rock-danzereccia edonistica: EMF, Carter USM, Jesus<br />

Jones, Soup Dragons, Ride, My Bloody Valentine, The Wonder Stuff, Curve, Stone Roses, Happy<br />

Mondays… e B<strong>la</strong>ck Grape. [<strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, L’ultima birra e andiamo a casa (forse).]<br />

Posted 29/04/<strong>2009</strong> h 05.50 a.m., CET. Lo shoegaze, o shoegazing, <strong>è</strong> un genere musicale<br />

sviluppatosi nel Regno Unito nel<strong>la</strong> seconda metà degli anni Ottanta che deve il suo nome (guardare<br />

le scarpe) al<strong>la</strong> curiosa tendenza dei chitarristi di guardare in basso mentre suonavano, come se<br />

stessero guardandosi le scarpe. In realtà questo atteggiamento era dovuto basi<strong>la</strong>rmente all’esigenza<br />

di control<strong>la</strong>re gli effetti del<strong>la</strong> chitarra, il cui uso e abuso creava quel muro sonoro di distorsioni che<br />

caratterizza il genere. Fondatori del movimento sono certamente i Jesus & Mary Chain, ma altre<br />

influenze sul genere provenivano dalle <strong>la</strong>ncinanti dissonanze chitarristiche degli statunitensi Sonic<br />

Youth, Dream Syndicate (i dischi in cui suona il geniale Karl Precoda) e Butthole Surfers. Molto<br />

citati dai musicisti shoegazer erano altresì i Cocteau Twins.<br />

In Ir<strong>la</strong>nda ci andai nel 1991; allora ascoltavo già da diversi anni i Jesus & Mary Chain e <strong>la</strong> Gioventù<br />

Sonica, nonché Spacemen 3 e Loop, due gruppi appartenenti al<strong>la</strong> corrente più cupa ed eroinomane<br />

dello shoegazing. Ma io non conoscevo ancora questa definizione, sinceramente me n’ero sempre<br />

sbattuto i marroni delle etichette, per me erano tutti semplicemente figli degli Stooges e dei Velvet<br />

Underground. Comunque appena tornato a <strong>Torino</strong> mi attaccai a MTV e a Rockeril<strong>la</strong> nel tentativo<br />

d’associare nomi di band e tendenze a quei pezzi che avevo ascoltato, apprezzandoli, nei locali di<br />

Dublino e Wexford. Sulle prime riuscii a identificare i Jesus Jones come autori di Info Freako, Soup<br />

Dragons/Lovegod, Stone Roses/Elephant Stone, Ned’s Atomic Dustbin/Kill Your Television, Happy<br />

Mondays/Kinky Afro, La’s/There She Goes, The Wonder Stuff/Unbearable… Nessuno di questi<br />

gruppi si poteva definire shoegazer. Dal momento in cui l’ebbi letta e compresone il significato,<br />

questa paro<strong>la</strong> mi s’installò nel<strong>la</strong> testa come un parassita e non ne uscì più.<br />

Un pomeriggio a 120 Minutes comparve una meravigliosa creatura gorgheggiando un brano che a<br />

me suonò come il redde rationem di una donna fatale a tinte allucinogene: Horror Head. Essa era,<br />

<strong>è</strong>, Toni Halliday. Il gruppo si chiamava Curve. Il giorno dopo andai al negozio di dischi più vicino e<br />

acquistai <strong>la</strong> cassetta di Döppelganger. Per me <strong>è</strong> uno degli album più riusciti del genere, se non<br />

addirittura del pop-rock inglese degli ultimi due decenni. Toni <strong>è</strong> al presente impegnata in un nuovo<br />

progetto musicale, Chate<strong>la</strong>ine. Si <strong>è</strong> fatta bionda. È sempre fascinosissima. (Il link per il video di<br />

Horror Head <strong>è</strong>: http://www.youtube.com/watch?v=_4xMR7mYPWU.)<br />

Yasuko Nagazumi era un’attrice giapponese che interpretò ruoli minori nel film di James Bond Si<br />

vive solo due volte – alquanto stiracchiato, ma colonna sonora spaziale – e nel<strong>la</strong> serie sci-fi Spazio:<br />

1999, ora in replica su Steel. Durante le riprese del film di 007 (luglio 1966-Marzo 1967) Yasuko si<br />

scoprì incinta, e proprio nel mese dell’ultimo ciak diede al<strong>la</strong> luce una bambina, Miki. Vent’anni<br />

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dopo Miki, portando il cognome del padre ungherese, Berenyi, avrebbe fondato i Lush. Quando feci<br />

ascoltare Untogether al mio amico Luca sul<strong>la</strong> strada per Sope<strong>la</strong>na – una ridente località balneare in<br />

provincia di Bilbao – <strong>la</strong>ddove secondo un rituale ormai consolidato ci saremmo spazzo<strong>la</strong>ti tutti i<br />

bar, egli reagì: “Cos’<strong>è</strong> ’sta roba?” Non perché gli facesse schifo il pezzo. Essendo un appassionato<br />

di new-wave anni Ottanta in tutte le sue sfaccettature, colorite od oscure che fossero, quello era il<br />

suo modo peculiare di trasmettermi che aveva percepito delle sonorità familiari: Cocteau Twins in<br />

primis, poi Siouxsie & The Banshees, Jesus & Mary Chain, Wire. Dopotutto Miki era del<strong>la</strong> nostra<br />

stessa età, già a 14 anni era una fanatica di musica punk e post-punk che recensiva gruppi insieme<br />

al<strong>la</strong> sua amica – e più tardi compagna di schitarrate e rarefatte armonie vocali nei Lush – Emma<br />

Anderson sul<strong>la</strong> fanzine Alphabet Soup. Spooky <strong>è</strong> l’unico album che ho dei Lush. Molti ritengono<br />

che lo zenit del<strong>la</strong> loro carriera sia Lovelife, uscito nel 1996, ma comprarlo non rientra né rientrerà<br />

mai nel mio personale elenco delle cento cose da fare prima di morire – tu che ne pensi, Giorgio?<br />

Viceversa, mi berrei volentieri un paio di Guinness con Miki in un pub a Londra!<br />

(Link per un’intervista a Miki Berenyi del <strong>2008</strong> corredata di magnifiche fotografie di Miki e dei<br />

Lush in tour: http://vonpipmusicalexpress.wordpress.com/<strong>2008</strong>/01/25/sweetness-and-light-the-mikiberenyi-interview-<strong>2008</strong>/.)<br />

Ma mi scolerei qualche cocktail anche con Rachel Goswell e Alison Shaw. Rachel ha cantato e<br />

suonato <strong>la</strong> chitarra per sette anni negli Slowdive, un band <strong>la</strong> cui parabo<strong>la</strong> <strong>è</strong> un c<strong>la</strong>ssico esempio di<br />

come dagli anni Cinquanta ai giorni nostri i media musicali d’oltremanica siano progressivamente, e<br />

perversamente, divenuti una vertigine di nomi e mode senza tregua. Dio solo sa quanti gruppi sono<br />

stati posti sugli altari e precipitati nel<strong>la</strong> polvere nel tempo di un concerto dal �ME o dal Melody<br />

Maker. In ogni modo le mode passano ma <strong>la</strong> buona musica rimane, e Souv<strong>la</strong>ki <strong>è</strong> un gran bel disco.<br />

Mentre Rachel era in tour con gli Slowdive nel 1993, uno dei suoi timpani si ruppe, e da allora le ha<br />

sempre dato dei problemi in forma di infezioni persistenti, sordità parziale e atassia <strong>la</strong>birintica – un<br />

disturbo consistente nel<strong>la</strong> progressiva perdita del<strong>la</strong> coordinazione musco<strong>la</strong>re che conseguentemente<br />

rende difficoltoso eseguire i movimenti volontari. Azz.<br />

Chia<strong>mia</strong>mo<strong>la</strong> sindrome del<strong>la</strong> tabu<strong>la</strong> rasa. Tutt’a un tratto ti prende di fare una sporta di tutti i tuoi<br />

dischi heavy-metal e buttarli nel cassonetto dell’immondizia. Di fare un falò di tutte le fotografie da<br />

ieri in giù. Di cancel<strong>la</strong>re <strong>la</strong> cartel<strong>la</strong> Documenti senza farne il dovuto backup. Campé tut via. Vittime<br />

designate dei miei ATB sono proprio i supporti fonografici. Uno dei tanti fu Jewel dei Cranes, nel<strong>la</strong><br />

versione remixata da Sua Oscurità Robert Smith. Alison Shaw mi aveva sedotto coi suoi riccioloni e<br />

<strong>la</strong> voce infantile, arrivando vicina a usurpare il trono di Toni Halliday, l’allora Regina di Sexoniria<br />

Mauriziana. Poi nel 1995 Shirley Manson e i suoi Netturbini invasero il regno e Toni dovette<br />

abbassarsi a ricoprire <strong>la</strong> carica di cortigiana di lusso: e Alison finì in the garbage con le sue Gru e<br />

altra roba. Sorry.<br />

(Link per un blog dedicato ai Cranes: http://djtalbotlikesugar.blogspot.com/<strong>2008</strong>/10/new-self-titledalbum-cranes-avai<strong>la</strong>ble.html.)<br />

L’intera carriera dei My Bloody Valentine ha ruotato intorno al rumore di chitarra perfetto che Kevin Shields<br />

ha nel<strong>la</strong> sua testa: una pulsazione di suono puro, caldo, androgino ma profondamente sessuale. Loveless <strong>è</strong><br />

travolgente, con le voci e le chitarre di Shields e Bilinda Butcher fondendosi le une nelle altre fino a divenire<br />

un’orchestra distante, <strong>la</strong> sezione ritmica sgambante in maestosa simultaneità, e occasionali esplosioni di ritmi<br />

danzabili (come nel singolo Soon) a sostenere <strong>la</strong> trama e l’impulso degli strumenti live. Furiosamente<br />

rumoroso ma seducente piuttosto che aggressivo, l’album scorre come un fiume di <strong>la</strong>va da un brano all’altro,<br />

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inglobando ogni cosa nel mix nel suo felice ruggito, e pulsando come il corpo di un amante. (Doug<strong>la</strong>s Wolk,<br />

Amazon.com.)<br />

Lo shoegaze si era estinto ormai. In Inghilterra i gruppi che ne avevano fatto parte o si erano sciolti<br />

o, come i Lush e i Ride ma anche i Blur di She’s So High, erano saliti sul carrozzone variopinto del<br />

Britpop – i sottovalutati Catherine Wheel si erano dati invece a un sound più sguaiato e ormonale,<br />

quasi grindcore, i Curve all’industrial. I Radiohead avevano metabolizzato alcuni dei precetti dello<br />

shoegaze e li riproponevano alle masse in forma angst-pop. Mogwai e Sigur Rós erano ancora<br />

un’idea. In America gli Smashing Pumpkins e i Dandy Warhols, due band assai influenzate agli<br />

esordi dal sound ‘guardascarpe’, se n’erano decisamente affrancate. Io facevo scorrere lo sguardo su<br />

e giù per le scansie del negozio di dischi senza un’idea precisa. Finché non incontrai Loveless. “Ora<br />

o mai più”, mi dissi. “È delittuoso continuare a ignorarti, senza neppure una ragione precisa.” Al<strong>la</strong><br />

cassa poco mancò che l’effeminato commesso coi capelli rosa venisse a darmi un bacio sul<strong>la</strong> bocca:<br />

“Dopo una sfilza di sorcini e vascomani, tu sei come un raggio di sole che squarcia un cielo pieno di<br />

nuvole.” Be’, fossi stato gay anch’io, l’avrei invitato a cena.<br />

Così come i Lush, anche <strong>la</strong> line-up originale dei MBV comprendeva due donne: Bilinda Butcher e<br />

Debbie Googe. A cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, Butcher e Kevin Shields ebbero una re<strong>la</strong>zione;<br />

Butcher ora ha tre bambini e una cintura verde in taekwondo. Dopo aver <strong>la</strong>sciato i MBV nel 1995<br />

per sopravvenuta mancanza di stimoli artistici, Googe per un breve periodo guidò un taxi, poi tornò<br />

al<strong>la</strong> musica formando gli Snowpony con l’allora sua ragazza, l’ex Stereo<strong>la</strong>b Katharine Gifford. Nel<br />

2007 i My Bloody Valentine si sono ricostituiti. Nel <strong>2008</strong> hanno suonato in vari festival in giro per<br />

il mondo, e al presente stanno progettando di completare il terzo album: con comodo, neh, metteteci<br />

pure altri quattro o cinque anni!<br />

(Per ingannare l’attesa, qualche foto: http://www.<strong>la</strong>stfm.it/music/My+Bloody+Valentine/+images.)<br />

Marzullianamente (ah ah ah): ma siamo noi che guardiamo le scarpe o sono le scarpe che guardano<br />

noi? <strong>Ferrarotti</strong>anamente: chi sono le shoegazing o, per dir<strong>la</strong> al<strong>la</strong> maniera del NME, le nu-gazing<br />

chicks del terzo millennio? Hai voglia. Io evidenzierei soprattutto Ritzy Bryan, Lie<strong>la</strong> Moss e Juanita<br />

Stein, rispettivamente front women di The Joy Formidabile, The Duke Spirit e Howling Bells, tre<br />

band molto diverse tra loro ma che condividono una malce<strong>la</strong>ta passione sonora per quell’era fatata.<br />

E tre fanciulle carinissime che faranno battere all’impazzata i vostri cuori. Giovanissimi o stagionati<br />

musicomani che siate.<br />

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Rachel Goswell.<br />

Howling Bells.<br />

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Titgazing (new movement).<br />

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Posted 19/05/<strong>2009</strong> h 09.40 a.m., CET. Il film più app<strong>la</strong>udito del<strong>la</strong> sezione ufficiale dell’ultimo<br />

Festival del Cinema di Ma<strong>la</strong>ga <strong>è</strong> stato Pagafantas. Il regista Borja Cobeaga, nato a Donostia-San<br />

Sebastián trentadue anni fa, lo ha descritto così all’inviato di un quotidiano bilbaino: “Pagafantas <strong>è</strong><br />

un dramma sociale giacché par<strong>la</strong> del vero problema basco. Lo abbiamo girato a Bilbao perché il<br />

Comune ci ha dato alcune agevo<strong>la</strong>zioni, ma avrebbe potuto essere ambientato anche a Donostia,<br />

un’altra <strong>città</strong> dove i bar chiudono presto e si fa poco sesso.” Un eminente Gorka Otxoa, giovane<br />

attore emergente nel panorama spagnolo, prova un desiderio ardente per una ragazza argentina che<br />

lo vede solo come amico (Sabrina Garciarena). “Il messaggio <strong>è</strong> chiaro: si deve fuggire dal<strong>la</strong> zona<br />

amica, perché altrimenti non te <strong>la</strong> farai mai.” Naturalmente non mancano i cenni autobiografici: “Io<br />

venivo dal<strong>la</strong> Lapponia sessuale, dal Polo Nord del<strong>la</strong> libido, dal reparto surge<strong>la</strong>ti dell’ONU. Credevo<br />

che tutto il mondo fosse così, pertanto Madrid mi sembrò L’Avana quando mi ci trasferii. Verificai<br />

che potevo conoscere una ragazza e baciar<strong>la</strong> quel<strong>la</strong> stessa notte. Nei Paesi Baschi s’inizia ad avere<br />

indizi d’apertura, ma <strong>la</strong> rivoluzione sessuale non <strong>è</strong> ancora arrivata: credo abbia molto a che vedere<br />

coi sensi di colpa gesuitici instal<strong>la</strong>ti nel<strong>la</strong> corteccia cerebrale. Pure, si <strong>è</strong> accettato il meticciato. Può<br />

essere che qualcuno da fuori becchi <strong>la</strong> prima notte perché non comprende i meccanismi (<strong>è</strong> così e<br />

vale per ogni parte del mondo, Borja!, �.d.B.). Tanto gli uomini come le donne siamo passati per il<br />

pagafantismo nelle re<strong>la</strong>zioni amorose, di <strong>la</strong>voro, d’amicizia. Per come <strong>la</strong> vedo io nelle re<strong>la</strong>zioni tra<br />

uomini e donne c’<strong>è</strong> un eccesso di verborrea. Parliamo molto ma non diciamo nul<strong>la</strong>. Una re<strong>la</strong>zione<br />

sentimentale vive di molti fronzoli e poca chiarezza. Se fossimo più diretti vi sarebbero meno<br />

problemi.”<br />

Vero. Verissimo. Ma che vuol dire codesta paro<strong>la</strong>, pagafantas? Sembra che sia Youtube il maggior<br />

catalizzatore di questa nuova denominazione. L’apparizione di un video intito<strong>la</strong>to El pagafantas y<br />

<strong>la</strong> metalera ha causato molta sensazione fra gli utenti del suddetto portale. In buona sostanza, il<br />

pagafantas <strong>è</strong> “l’amico del<strong>la</strong> ragazza”, il tizio che sta tutto il giorno incol<strong>la</strong>to a una bel<strong>la</strong> figlio<strong>la</strong> e<br />

che <strong>la</strong> conso<strong>la</strong>, l’accompagna, <strong>la</strong> cocco<strong>la</strong> ma non ha alcuna possibilità sentimentale e/o sessuale con<br />

lei. Lui vuole qualcosa, ma lei lo vede come un amico, peggio ancora come un fratello. Pagafantas<br />

perché le paga le aranciate, le fantas de naranja che lei beve e beve per annientare <strong>la</strong> resaca<br />

alcolica e/o sentimentale – <strong>la</strong> sera prima <strong>la</strong> chica <strong>è</strong> andata a cena fuori col suo capufficio e i due<br />

hanno bevuto in forma abbondante prima durante e dopo il pasto e poi fornicato come schistosomi<br />

per tutta <strong>la</strong> notte ma ora lei <strong>è</strong> tormentata dall’emicrania e dai rimorsi, oppure su novio oficial le ha<br />

dato il benservito e lei quindi <strong>è</strong> andata a sbronzarsi con Paqui o Amaia o Pi<strong>la</strong>r o tutt’e tre insieme<br />

per i locali del centro storico, al terzo o quarto cocktail ha dato di stomaco e dopo ha cercato via<br />

cellu<strong>la</strong>re il pagafantas e una volta rintracciatolo ha aperto gli aspersori sul<strong>la</strong> sua spal<strong>la</strong>, metaforica o<br />

reale. Tutto sta nel vedere fino a che livello di umiliazione il cotecchione <strong>è</strong> disposto ad abbassarsi<br />

per vedere se accade qualcosa.<br />

Proprio a Bilbao, nel popoloso quartiere di Santutxu, ho assistito per anni a un caso di pagafantismo<br />

da manuale. Lei, Begoña – pressoché identica a Rachel Tyrell, l’androide coi falsi ricordi d’infanzia<br />

interpretata dal<strong>la</strong> dolcissima Sean Young in B<strong>la</strong>de Runner, quando costei si scioglie i capelli per<br />

andare a letto con Rick Deckard. Lui, Aitor (nome di fantasia, quello vero sinceramente non lo<br />

rammento) un orangutan brufoloso coi capelli biondastri pettinati a carciofo. A onor del vero<br />

Begoña era/<strong>è</strong> più ben fatta di Sean Young nel 1982: s<strong>la</strong>nciata, spalle <strong>la</strong>rghe e sottili, quarta di<br />

reggiseno, schiena mirabilmente inarcata, sedere a mandolino, gambe lunghe e ben tornite che per<br />

nostro turbamento – mio e del<strong>la</strong> quadril<strong>la</strong> di farabutti a cui mi accompagnavo – amava accaval<strong>la</strong>re<br />

con disinvoltura sui braccioli delle sediacce di p<strong>la</strong>stica nei dehors del barrio con un bicchiere<br />

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d’aranciata o mosto in mano. E b<strong>la</strong> b<strong>la</strong> b<strong>la</strong> b<strong>la</strong> b<strong>la</strong>, con una voce profonda e leggermente roca,<br />

immaginarse<strong>la</strong> mentre geme di piacere a cavalcioni su di te come un fantino, c’<strong>è</strong> di che ritrovare <strong>la</strong><br />

fede in un essere superiore, creatore del Cielo, <strong>la</strong> Terra e, soprattutto, <strong>la</strong> donna! E l’orangofantas ad<br />

ascoltar<strong>la</strong> con lo sguardo fisso sulle punte delle All Stars, struggendosi interiormente d’amore non<br />

corrisposto, sperando. D’altronde, Harry e Sally ci hanno impiegato più di dieci anni e svariati<br />

fallimenti sentimentali a realizzare che erano fatti l’uno per l’altra.<br />

Diciamocelo schietto: noi uomini nutriamo un terrore sacro per il pagafantismo. Perfino coloro che<br />

ne sembrano immuni, gli sciupafemmine inveterati, in realtà lo temono come <strong>la</strong> peste suina. Visto<br />

da fuori, ci fa divertire in modo crudele; ma vissuto in prima persona… Io, nel<strong>la</strong> <strong>mia</strong> vita, me <strong>la</strong><br />

sono data a gambe levate da un paio di situazioni che definirei protopagafantistiche. Pur avendo<br />

compreso che con <strong>la</strong> tal ragazza non ce n’era non mi ci rassegnavo, sicché perseveravo nel voler<strong>la</strong><br />

vedere sperando che al<strong>la</strong> lunga le mie premure l’avrebbero sciolta in una pozza d’umori vaginali.<br />

Ma a un certo punto sopravveniva l’amor proprio e allora mol<strong>la</strong>vo <strong>la</strong> presa e tanti saluti. Ribadisco<br />

che Borja Cobeaga ha messo in dito nel<strong>la</strong> piaga: tra gli uomini e le donne d’oggi ci sono troppe<br />

chiacchiere e pochissimi fatti. Un bacio sul<strong>la</strong> bocca sortisce più effetto di un fantastiliardo di parole.<br />

Positivo o negativo che sia.<br />

Barbara Goenaga.<br />

Quante aranciate sareste disposti a pagarle?<br />

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Posted 29/05/<strong>2009</strong> h 11.05 a.m., CET. Ab ovo, usque ad ma<strong>la</strong> come sempre, ma pro bona causa<br />

facimus. Come alcuni fra <strong>la</strong> <strong>mia</strong> picco<strong>la</strong> schiera di lettori ben sapranno, <strong>Figomania</strong> <strong>è</strong> il titolo del<br />

quarto capitolo di Lamento di Portnoy, il terzo straordinario romanzo di Philip Roth, colui che per<br />

interposto personaggio un altro gigante del<strong>la</strong> letteratura nordamericana, Mordecai Richler, definì<br />

“l’ebreo antisemita”. Alex Portnoy ripercorre con l’analista, in un monologo-fiume, <strong>la</strong> propria vita.<br />

<strong>Figomania</strong> <strong>è</strong> <strong>la</strong> fase in cui il tormentato protagonista si scopre ossessionato sessualmente dalle<br />

ragazze non ebree, le famigerate shiksas, incubo in carne ossa e umori vaginali di ogni buona mame<br />

ebrea. Un neologismo di vecchio conio – passatemi l’ossimoro – che mediante touch-screen neurale<br />

ho clonato, virato al negativo e accostato all’originale componendo così il tema di questo blog:<br />

<strong>Figomania</strong> e figofobia, ovvero, come scrissi nel post introduttivo, il dramma bifronte del maschio<br />

moderno.<br />

Domenica 17 maggio i Boss Hog del chitarrista-decostruzionista Jonathan Spencer e del<strong>la</strong> sua<br />

conturbante compagna Cristina Martinez, da poco ritornati sulle scene per un tour mondiale che essi<br />

definiscono “<strong>la</strong> nostra personale, ma<strong>la</strong>ta celebrazione del ritorno al<strong>la</strong> libertà negli Stati Uniti dopo<br />

gli anni oscuri sotto il regime di George W. Bush”, sono approdati allo Spazio 211 di <strong>Torino</strong>.<br />

Essendo un grande fan del<strong>la</strong> band ma ancor più di Cristina, come potevo mancare! Giunto al locale<br />

di Via Cigna in <strong>la</strong>rgo anticipo e fornitomi dell’imprescindibile birra media, ho montato di pattuglia,<br />

ma Cristina M. si <strong>è</strong> fatta vedere nelle vicinanze del palco soltanto al termine del<strong>la</strong> performance delle<br />

volenterose fin<strong>la</strong>ndesi Micragirls – nel frattempo io mi ero sco<strong>la</strong>to altre due birre ed era arrivata <strong>la</strong><br />

<strong>mia</strong> combricco<strong>la</strong>. Non appena <strong>è</strong> partita <strong>la</strong> locomotiva rock degli Hogs mi sono messo all’opera con<br />

<strong>la</strong> <strong>mia</strong> Optio E20, ma o per le batterie mezze scariche – nel pomeriggio avevo <strong>la</strong>vorato e non avevo<br />

avuto né il tempo materiale né l’impulso di metterle sotto carica – o per imperizia inveterata non<br />

sono riuscito a ottenere una foto degna di tal nome. Fuck. Purtuttavia <strong>la</strong> maledetta fotocamera si <strong>è</strong><br />

fugacemente ravvivata pochi momenti dopo <strong>la</strong> fine del concerto, a mio modestissimo parere molto<br />

bello, quindi ho potuto immorta<strong>la</strong>re l’amico Vampeta insieme con <strong>la</strong> brava e affabile batterista dei<br />

Boss Hog, Hollis Queens. Poi l’insigne giornalista Andrea Pavan mi <strong>è</strong> venuto in soccorso scattando<br />

una foto a me e Cristina... And now I’m in Seventh Heaven. (Posso immaginare i commenti di certi<br />

drogoni di bytes quando vi s’imbatteranno: “Who’s that fuckin’ bald ugly wanker with Cristina<br />

Martinez?” Ahahahaha. Rosicate.)<br />

Naturalmente ho postato tutta quel<strong>la</strong> roba su Facebook – mi rifiuto categoricamente di crearmi un<br />

account anche su Flickr, di social network addiction me ne basta e avanza una – in cui per di più da<br />

qualche tempo ho aperto una finestra su questo blog, così per ridondanza, alternandone i post con<br />

link ai video e agli articoli più disparati e le mie sgangherate gallerie di foto. Fatto sta che, vuoi per<br />

i contenuti di F&F, vuoi per una certa <strong>mia</strong> qual propensione a postare video di rockeuses, vuoi in<br />

ultimo perché ho pubblicato <strong>la</strong> foto di me e Cri nel<strong>la</strong> home di Faccialibro per sette giorni di seguito,<br />

qualche giorno fa una signorina di <strong>mia</strong> fresca conoscenza se n’<strong>è</strong> uscita con un commento assai poco<br />

lusinghiero sul sottoscritto: in pratica, mi ha dato del figomane berlusconiano. Per serio e/o faceto<br />

che fosse, mi ha <strong>la</strong>sciato basito. “Cio<strong>è</strong>, sarei simile al Berlusca perché mi piacciono le donne e mi<br />

piace dissertare per iscritto su di loro?”, mi sono chiesto. “Sono una versione piemupopololibertaria<br />

di Portnoy?” Da scompisciarsi, colleghi.<br />

Ma altresì da rannuvo<strong>la</strong>rsi. Perché se a ciò conduce l’antiberlusconismo – e, badate bene, chi scrive<br />

non sopporta <strong>la</strong> faccia di tol<strong>la</strong> rifatta del nostro Presidente del Consiglio neanche per dieci secondi<br />

al telegiornale –, ossia a considerare ogni cosa oltre i confini del<strong>la</strong> propria personale (distorta?)<br />

Weltanschauung come un’emanazione silviotronica, tanto che un genuino adoratore dell’universo<br />

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femminile ti appaia come un satirone sbavante per tutte le noemiletizie e marecarfagne di questo<br />

mondo, allora, mi spiace proprio, ma non ci siamo. L’opposizione al tal personaggio e/o partito non<br />

dovrebbe mai sconfinare nel<strong>la</strong> monomania, altrimenti si rischia di perdere l’obiettività di vedute e <strong>la</strong><br />

capacità d’autocritica, entrambe fondamentali ai fini del<strong>la</strong> comprensione dei propri errori politici e<br />

umani. Fossi in possesso del<strong>la</strong> facoltà di leggere nel pensiero, mi piacerebbe sondare i cervelli di<br />

talune persone per capire se esse si sentano concretamente rappresentate dall’attuale schieramento<br />

contrario al Partito delle Silvietà, o se piuttosto il loro non sia mero dissenso a prescindere, “io dico<br />

NO per default a QUALSIASI proposta da parte di quei bastardi fascisti”, “Franceschini <strong>è</strong> un uomo<br />

senza qualità e Di Pietro un questurino grosso<strong>la</strong>no, ma sosterrei anche il Mago Gabriel purché desse<br />

addosso allo psiconano”, o… be’, forse <strong>è</strong> meglio che mi fermi qui.<br />

In qualsiasi modo, io AMO le donne. Amo Valentina, Scarlett, Shirley, Barbara, Jessica, Rachel,<br />

Toni, Ebony, Diandra, Julianna, Cristina, “La Scim<strong>mia</strong>” di Portnoy… e, sì, amo anche te, piacente e<br />

arguta monomaniaca. Ma non tranciare giudizi su di me senza conoscermi bene, d’accordo? Un<br />

abbraccio.<br />

Mr <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong> & Miss Cristina Martinez.<br />

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Posted 15/06/<strong>2009</strong> h 11.05 a.m., CET. Shoegazing chicks: appendice… Giocoforza, poiché con<br />

l’arrivo del<strong>la</strong> bel<strong>la</strong> stagione il famoso parco sotto casa si <strong>è</strong> riempito di canidi e rompiscatole assortiti<br />

e nonostante mi stia sbattendo come un matto per tutta <strong>la</strong> provincia di <strong>Torino</strong> (il 2 giugno mi sono<br />

spinto fino al Santuario del Rocciamelone, figuratevi) non mi riesce proprio di trovare un altro muro<br />

che soddisfi perlomeno al 70% le mie esigenze pelotistiche, mi tocca darmi delle alternative per<br />

mantenere <strong>la</strong> forma fisica. Così da un paio di settimane sto sbuffando sudore anche in un percorso<br />

di training ginnico, quantunque sembri più parkour per <strong>la</strong> non facile ubicazione degli attrezzi:<br />

chiamatemi il pelotari traceur, allora. Essendo re<strong>la</strong>tivamente vicino potrei raggiungerlo a piedi, ma<br />

data <strong>la</strong> <strong>mia</strong> inguaribile accidia di solito uso l’auto. Ciononostante il tratto <strong>è</strong> sufficientemente lungo<br />

da permettermi d’ascoltare un po’ di musica. Ultimamente nel lettore <strong>la</strong>ser del coche gira parecchio<br />

Erotica dei Darling Buds, una <strong>mia</strong> recente (ri)scoperta. I Darling Buds, formatisi nel 1986 a<br />

Caerleon, Galles del Sud, furono considerati all’inizio parte del movimento “Blonde” – indie poprock<br />

band composte da una femminuccia bionda al<strong>la</strong> voce e tutti gli altri membri maschietti bruni –<br />

come i Primitives e i Transvision Vamp dell’amata/odiata Wendy James. Neanche a dirlo l’esile<br />

biondina al microfono, Andrea Lewis, era una vera gioia per gli occhi, anche se nei primi videoclip<br />

del<strong>la</strong> band sfoggiava un’acconciatura da Maggie Tatcher in psilocibina – comunque era in buona<br />

compagnia, vedi le Bananarama, Tracy Tracy dei Primitivi e <strong>la</strong> stessissima Wendy James: ah, gli<br />

anni Ottanta! Il loro LP di debutto, Pop Said…, raggiunse i Top 30 del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ssifica inglese, ma il<br />

secondo e più sofisticato Crawdaddy non godette dello stesso riscontro. Erotica, il loro terzo, finale<br />

e ancor più sottostimato album del 1992, <strong>è</strong>, mutatis mutandis, shoegazing grunge, come se i My<br />

Bloody Valentine incontrassero i Letters To Cleo (chi se li ricorda?). Magari al<strong>la</strong> lunga mi saturerà,<br />

ma per il momento <strong>è</strong> in heavy rotation.<br />

Las fashion victims más enteradas sanno già da molti mesi che Lie<strong>la</strong> Moss dei The Duke Spirit si <strong>è</strong><br />

prestata come model<strong>la</strong> per una mini-collezione rock p<strong>la</strong>smata da Alexander McQueen per Target.<br />

Uno dei pochi ma tutti buonissimi regali per il mio 44mo compleanno <strong>è</strong> stato il secondo album degli<br />

Spirits, �eptune. Per quanto mi riguarda <strong>è</strong> un piccolo capo<strong>la</strong>voro, due spanne sopra molta roba che<br />

va per <strong>la</strong> maggiore in questi ultimi tempi stereotipati; poi, che abbia sfondato nei quartieri alti delle<br />

charts o meno (non ha sfondato) a me importa quanto un seme di comino in una pozzanghera d’olio<br />

d’oliva. Lie<strong>la</strong> Moss <strong>è</strong> bionda (tinta anche lei ma who cares!, una donna che decide di diventare<br />

bionda <strong>è</strong> veramente bionda, al<strong>la</strong> faccia dell’Organizzazione Mondiale del<strong>la</strong> Sanità che dà in costante<br />

diminuzione il numero di persone portatrici del gene dei capelli e degli occhi chiari) fascinosissima,<br />

alcolica (“Non ci posso credere, ma mi sento ancora fracassata alle 22.30 da aver bevuto soltanto<br />

tre cocktail <strong>la</strong> notte scorsa!”, confessava candidamente in un’intervista risalente all’anno scorso),<br />

talentuosa, affabile e più di tutto tosta come granito. Ci provi qualsiasi sgallettata liquidocristallina<br />

nostrana a imbarcarsi in un tour per gli Stati Uniti con quattro maschietti, dove il cachet di un<br />

concerto basta appena a far tossicchiare il furgone verso <strong>la</strong> data successiva. Ora i The Duke Spirit<br />

hanno perfino un chauffeur car service a New York e qua e là per nel mondo vi sono aficionadas<br />

allo streetwear che portano a spasso il bel musetto albionico di Lie<strong>la</strong> stampato sulle loro magliette.<br />

Io un giorno vorrei portare a spasso lei per <strong>Torino</strong>.<br />

Gli uomini preferiscono le bionde? Può darsi: io, per me, preferisco le vere.<br />

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Andrea Lewis.<br />

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Lie<strong>la</strong> Moss per Alexander McQueen.<br />

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Posted 06/07/<strong>2009</strong> h 11.05 a.m., CET. Tutti quegli uomini che corrono in pantaloncini e maglietta<br />

agli orari più disparati, giovani o di mezz’età, filiformi o grassottelli, zazzeruti o spe<strong>la</strong>cchiati, in<br />

genere non belli… perché corrono? Perché sudano, sudiamo come fontane nei parchi o intorno alle<br />

polisportive, rischiando una sfilza di patologie lunga come da qui al traforo del Frejus, fibril<strong>la</strong>zione<br />

atriale in primis? Forse perché si sentiamo penosamente inadeguati ai canoni estetici imperanti?<br />

Al tempo. L’attività fisica rego<strong>la</strong>re fa bene, anzi benissimo al corpo come al<strong>la</strong> psiche. Mens sana in<br />

corpore sano, manco c’<strong>è</strong> bisogno di ribadirlo. Ciò che invece fa male, anzi malissimo <strong>è</strong> <strong>la</strong> smania<br />

del<strong>la</strong> bellezza. Centinaia di addominali al giorno ci renderanno senz’altro più presentabili, ma non<br />

ci faranno ricrescere i capelli né abbelliranno i nostri tratti. «Tanto, ringiovanire non ringiovanisci.»<br />

So che non <strong>è</strong> facile, proprio per niente, ma bisogna imparare a convivere col proprio aspetto fisico,<br />

rendendolo migliore se possibile, senza però <strong>la</strong>sciarsi prendere da manie vigoressiche. E soprattutto,<br />

evitare di fissarsi con <strong>la</strong> televisione, sguaiatissima incubatrice d’imbecillità e generatrice d’invidie<br />

che ulcerano <strong>la</strong> mucosa gastrica. Anche a me, sbirciando quelle garrule rubriche, viene da chiedermi<br />

come certe facce di merda siano sempre circondate di sventole. Ma <strong>la</strong> riposta mi giunge immediata:<br />

“Carcasse di cafonazzi arricchiti su cui svo<strong>la</strong>zzano avvoltoi in perizoma.” Così semplice. E cambio<br />

disinvoltamente canale. People have the power in their remote controls.<br />

Il voler piacere a tutti i costi <strong>è</strong> <strong>la</strong> scim<strong>mia</strong> sul<strong>la</strong> schiena del terzo millennio, peggio dell’eroina negli<br />

anni Ottanta. Perché pretendere che una donna s’innamori di noi se non vuole? Oggigiorno c’<strong>è</strong> chi<br />

giunge perfino alle estreme conseguenze, al<strong>la</strong> soppressione fisica dell’oggetto del proprio desiderio<br />

smodato, pur di non rassegnarsi all’incorresponsione. Marionette assassine cresciute in un milieu<br />

dove tutto <strong>è</strong> sempre sì e il no, il concetto di rinuncia, non <strong>è</strong> neppure contemp<strong>la</strong>to. Io, per quanto mi<br />

riguarda, devo constatare che il mio post sul “pagafantismo” <strong>è</strong> stato autoprofetico. «Si deve fuggire<br />

dal<strong>la</strong> zona amica, perché altrimenti non te <strong>la</strong> farai mai.» Nel capo<strong>la</strong>voro letterario che ho appena<br />

finito di leggere, La fiera delle vanità di W.M. Thackeray, William Dobbin deve pazientare ben<br />

diciotto anni per vedere ricambiati i propri sentimenti da Amelia Sedley. Io fra diciotto anni ne avrò<br />

sessantadue e rotti e chissà dove sarò e in quali condizioni verserà <strong>la</strong> <strong>mia</strong> produzione endogena di<br />

testosterone. Perciò ho messo il mio cuore sanguinante d’amore su un vassoio d’argento e l’ho porto<br />

a una donna molto più giovane di me, <strong>la</strong> personcina, i cui pensieri, tale quale a Emmy, sono tuttavia<br />

sovrumanamente impegnati da un fantasma… pardon, dal cantante di un gruppo rock torinese che,<br />

ma tu guarda <strong>la</strong> vita com’<strong>è</strong>!, non se <strong>la</strong> fi<strong>la</strong> più. Giusto perché in questi giorni ricorreva il decennale<br />

del cataclismico due di picche rifi<strong>la</strong>tomi da Elena. Giusto perché non c’<strong>è</strong> due senza tre, e soltanto il<br />

cielo sa quanto odio i proverbi. Giusto perché sono uno specialista nel mandare in vacca qualunque<br />

cosa, perfino una bellissima amicizia che però a me non basta, non basta e non basta. Giusto perché<br />

ogni dieci maledetti anni mi tocca innamorarmi di qualche masochista innamorata persa di qualche<br />

stronzone malcagato che <strong>la</strong> fa soffrire – ne ho le scatole strapiene di questi déjà vu!<br />

La fiera delle velleità. O il multilevel dei cuori infranti.<br />

Comunque, altro due di picche fu. Comunque nel<strong>la</strong> vita bisogna far tesoro di qualsiasi esperienza, a<br />

maggior ragione delle scuffie. Con <strong>la</strong> famosa Elena in quel bar ero veramente partito dall’uovo per<br />

giungere al<strong>la</strong> me<strong>la</strong>, visto da fuori mi facevo perfino ridere: con La Personcina, sebbene in prima<br />

istanza avessi preso in considerazione finanche una dichiarazione d’amore con sottofondo musicale<br />

calzante – Surrender Your Heart (To Me) dei Missing Persons!*, “arrendi il tuo cuore a me” – sono<br />

stato decisamente più minimalista. “Ma lei, come l’ha presa?” Mi dispiace molto, ma almeno questa<br />

<strong>è</strong> una faccenda privata.<br />

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Ora sto bene... macché, sto di cacca bovina. Però basta per sempre con l’autofustigazione, dopotutto<br />

mica sono un batù! Ora più che mai desidero, esigo un amore a reazione, travolgente, passionale,<br />

scevro d’eccessi di verborrea: ma più di tutto, pienamente contraccambiato. Frattanto continuo a<br />

correre.<br />

* = oppure You Wear Those Eyes dei Cars, un altro brano nel<strong>la</strong> scia syntho-po<strong>la</strong>re artica di Ashes To<br />

Ashes. “Prendi il tuo tempo / perché non <strong>è</strong> troppo tardi. / Io sarò il tuo specchio / così non esiterai. /<br />

Sarò facile da trovare / ogni qualvolta cadrai.”<br />

“Lorena Contour <strong>2009</strong>”. Illustrazione di <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, <strong>2009</strong>.<br />

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Posted 01/08/<strong>2009</strong> h 11.05 a.m., CET. Un momento di chiarezza. Lichtung. Lei ti fa suonare il<br />

telefonino una volta so<strong>la</strong> per un secondo, che sta a significare: “Non ho credito, richiamami.” Certo,<br />

perché io nuoto nell’oro come Paperon de Paperoni. Perché chiama? Presto detto: pensando che <strong>la</strong><br />

sbandata mi sia passata, vuole che tutto torni come prima. No che non può tornare tutto come prima,<br />

chiudere i locali e il resto. Vedi, amore mio, personcina <strong>mia</strong> adorata, dichiararsi <strong>è</strong> come oltrepassare<br />

un limite invalicabile, come quando il prode agente Jack Bauer scavalca <strong>la</strong> recinzione di un vecchio<br />

magazzino all’interno del quale una cellu<strong>la</strong> di terroristi is<strong>la</strong>mici sta preparando un attentato nucleare<br />

a Los Angeles. Indietro non si torna, ammenoché non te lo ordini il CTU, ma io non <strong>la</strong>voro per il<br />

Governo, baby. Perciò sospirando premi il tasto con <strong>la</strong> cornetta verde e le dici che ci si beccherà più<br />

in là, tautologia per “<strong>è</strong> meglio che non ci vediamo più.” E lei ne rimane delusissima, <strong>è</strong> ovvio. Mi<br />

dispiace molto, giudicatemi pure un maschio stereotipato e sciovinista, ma io non mi rassegno al<strong>la</strong><br />

semplice amicizia. Meno ancora al pagafantismo, pagabirrismo nel<strong>la</strong> fattispecie: in quest’ultimo<br />

senso ho già dato e non poco, grazie tante. Che ci si rovinino l’esistenza i geek più giovani. Io me<br />

ne vado a riscoprire Donostia/San Sebastián a sedici anni dal<strong>la</strong> <strong>mia</strong> ultima visita: Borja Cobeaga<br />

dice per esperienza che ora <strong>è</strong> tutt’altro che facile battervi chiodo. Staremo a vedere. Frattanto io<br />

rispolvero il mio euskera da asilo infantile e i ricordi più salienti, non necessariamente sbronze e/o<br />

scopate da record… tanto rock’n’roll, scorrazzando per <strong>la</strong> Gipuzkoa con gli Alter Boys e il loro<br />

Soul Desire, un disco che prima o poi recensirò per Head Heritage Unsung, <strong>la</strong> rubrica del sito di<br />

Julian Cope dedicata a quelle gemme musicali perdute che abbiamo comprato soltanto io e te, come<br />

codesto Desiderio dell’Anima palpitante di Velvet Underground, New York Dolls, Alice Cooper,<br />

Dictators, Television… Shakin’ Street degli MC5, Fred Sonic Smith singing a Eguia nel primo<br />

plumbeo mattino degli anni Novanta mentre guido <strong>la</strong> <strong>mia</strong> Uno rossa verso l’imbocco dell’autostrada<br />

per <strong>la</strong> Frantzia, ancora ubriaco di vino e ginepro e belle ragazze dalle gambe lunghissime…<br />

Riempio i giorni che mancano al mio esodo estivo disegnando sfondi per <strong>la</strong> <strong>mia</strong> serie Emakumeak<br />

con rinnovato impulso creativo, strafacendomi di musica e guardando quel poco che vale <strong>la</strong> pena<br />

guardare al<strong>la</strong> tele in queste date, cio<strong>è</strong> i Mondiali di nuoto, Life on Mars e <strong>la</strong> replica di Taken su Rai<br />

4. Quest’ultimo serial <strong>è</strong> già al<strong>la</strong> terza replica ma <strong>è</strong> talmente ben riuscito e recitato che me lo sparo<br />

un’altra volta – e perfino se gli attori recitassero da ma<strong>la</strong>mut dell’A<strong>la</strong>ska, come potrei disdegnare un<br />

telefilm in cui si sentono pezzi di Stooges, Mudhoney e Hüsker Dü! Life on Mars <strong>è</strong> cosa totalmente<br />

britannica, hard rock e g<strong>la</strong>m a strafottere nel<strong>la</strong> colonna sonora, ma quando l’altra sera poco prima di<br />

sintonizzarmici sono capitato su una replica sbiadita di Life 1 avendo già visto su Mediaset Paccum<br />

tutta <strong>la</strong> seconda stagione, mi ha preso un soprassalto di mestizia: non ci sarà un Life 3. Niente più<br />

Charlie Crews coi suoi aforismi zen e Dani Reese coi suoi problemi d’autostima. E che diamine,<br />

come m’appassiono a una serie tv me <strong>la</strong> cancel<strong>la</strong>no: era già successo con Boomtown, in cui tanto<br />

per rimanere in tema recitava una graziosa attrice televisiva newyorchese d’origini basche, Nina<br />

Garbiras. Si vede che <strong>è</strong>, anzi era materiale troppo arguto per il prime time americano: anche per <strong>la</strong><br />

prima serata nazionalpopo<strong>la</strong>re italiana, se <strong>è</strong> per quello. Vietato dare in pasto al popolino prodotti<br />

troppo ricercati dalle 21.20 alle 22.40, sennò ci ca<strong>la</strong> lo share e gli sponsor se <strong>la</strong> danno a gambe.<br />

’Fanculo alle vostre madri.<br />

Musica? Mi sono innamorato di nuovo dei Kiss. B<strong>la</strong>ck Diamond <strong>è</strong> decisamente una delle canzoni<br />

più sottostimate del rock, l’avessero composta i Thin Lizzy o i Wishbone Ash certi criticonzoli <strong>la</strong><br />

tratterebbero al<strong>la</strong> stregua di un capo<strong>la</strong>voro musicale. Ace Frehley del 1978 <strong>è</strong> uno dei più bei dischi<br />

heavy metal di sempre; Ace sarà un Jimmy Page di seconda e per taluni perfino di terza mano, ma si<br />

sa che nei mercatini dell’usato talvolta si trovano delle occasioni stratosferiche, e poi tutti quegli<br />

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interminabili dibattimenti nei forum rockettari su chi <strong>è</strong> il miglior chitarrista chi nel<strong>la</strong> storia del rock<br />

mi hanno definitivamente frantumato gli zebedei, io ascolto e apprezzo chi mi pare e piace, sia un<br />

marziano delle scale pentatoniche o una mezza chiavica. Per quanto mi riguarda, <strong>la</strong> critica musicale<br />

non ha più neanche senso. Portatemi un musicologo assolutamente obiettivo nelle sue recensioni e<br />

io vi cucinerò un bel brasato al Barolo. Mi sa che me lo cucinerò e mangerò da solo, allora.<br />

Poi sto ascoltando tonnel<strong>la</strong>te di Roxy Music – Bryan Ferry aiuta a sentirsi più belli –, un live del ’77<br />

di Iggy Pop e il debutto di Ebony Bones. La line-up che il 21 marzo 1977 salì sul palco dell’Agora<br />

di Cleve<strong>la</strong>nd, Ohio, per tenere il concerto di cui consta Sister Midnight era ga<strong>la</strong>ttica: Iggy, David<br />

Bowie, Ricky Gardner, Hunt e Tony Sales. Fa un certo effetto ascoltare pezzi c<strong>la</strong>ssici degli Stooges<br />

quali 1969, T.V. Eye e I Wanna Be Your Dog passati in washing machine col programma Young<br />

Americans-Station to Station – cori negroidi, tastiere ducali, ampio uso d’effetto f<strong>la</strong>nger e whammy<br />

da parte di Gardner – ma <strong>la</strong> performance di Iggy e <strong>la</strong> band <strong>è</strong> più che buona e <strong>la</strong> qualità del sound <strong>è</strong><br />

ottima. Iggy Iggy Iggy. Ebony Bones <strong>è</strong> <strong>la</strong> milionesima next big thing britannica, estroversa creatura<br />

dal<strong>la</strong> pelle color caffe<strong>la</strong>tte, acconciatura afro e mise da lecca-lecca allucinogeno da me scoperta su<br />

All Music. Sarà scaricata e gradita da tutti coloro che ascoltano e bal<strong>la</strong>no band come The Rapture,<br />

LCD Soundsystem, !!! !!! !!!, Gossip ma anche Pop Group, Slits e soprattutto X-Ray Spex, per <strong>la</strong><br />

sua fantastica voce simil-polystirenica. Farò ascoltare The Muzik al<strong>la</strong> deliziosa Barbara Goenaga al<br />

nostro primo appuntamento: poi passerò a I Want You. Tanto per mettere subito le cose in chiaro.<br />

You Can’t Always Get What You Want!<br />

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“Barbara”. Illustrazione di <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, <strong>2009</strong>.<br />

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Posted 16/09/<strong>2009</strong> h 01.35 p.m., CET. In una notte di pioggerel<strong>la</strong> a Suances, Cantabria, le braccia<br />

conserte istoriate di graffiature da trekking appoggiate al bancone del disco-bar Mambo, tutt’a un<br />

tratto un riso irrefrenabile mi scaturì dai finestroni del naso. Ero piuttosto a pezzi – hecho polvo –<br />

per un’intensa sessione pomeridiana di fotografie e senderismo a Puente Dé, nei leggiadri Picos de<br />

Europa, e, lo ammetto, un tantino bevuto (essendo al terzo, forse quarto cubata di Brugal, <strong>la</strong> <strong>mia</strong><br />

nuova passione alcolica, con bollicine americane), ma il principale motivo scatenante l’i<strong>la</strong>rità era <strong>la</strong><br />

circostanza. Il mio orologio segnava le due antimeridiane e <strong>la</strong> cliente<strong>la</strong> del bar al momento constava<br />

di un trekker italiano misantropo (io), un terzetto di post-fricchettoni castigliani (siamo nel <strong>2009</strong> e<br />

c’<strong>è</strong> ancora chi si concia come ai tempi del Re Nudo, capelli e barba lunghi sandali cannoni al<strong>la</strong> Bob<br />

Marley e tutto il resto, ma sono ugualmente anacronistiche le creste multicolore al<strong>la</strong> Exploited)<br />

nonché un surfista locale sul belloccio tenebroso: tutti pendenti dalle <strong>la</strong>bbra carnose – e dal sorriso<br />

Profiden – di Sonia, splendida ragazza-madre d’origini riop<strong>la</strong>tensi. Tutti e cinque disposti a beber<br />

los vientos por el<strong>la</strong>, come si dice in spagnolo. E lei, <strong>è</strong> ovvio, ci marciava su come una locomotiva<br />

del vecchio e selvaggio West, ma con tale grazia e leggerezza, con quel<strong>la</strong> bocca può dire, e fare,<br />

quel che vuole… La sgnacchera, pardon <strong>la</strong> femme, <strong>è</strong> definitivamente l’anima del commercio<br />

moderno, mi <strong>è</strong> venuto da pensare al tempo di una canzone di Shakira (Whenever e qualche cosa),<br />

scoprendo un oceano d’acqua calda brulicante di paro<strong>la</strong>ncton. “E tu, sì proprio tu, sei il più recidivo,<br />

empa<strong>la</strong>goso beota di questa terra, di nuovo a perdere le bave per una barista! Tale quale questi altri<br />

provoloni qui accanto a te, e in generale tutte le unità testosterone, e magari perfino qualcheduna<br />

estrogeno, di questa stamberga pachanguera sette giorni su sette, tutti insieme bovinamente ad<br />

arricchirne il vil<strong>la</strong>no del gerente, il quale ha piazzato dietro <strong>la</strong> barra questo schianto di femmina<br />

sudamericana giustamente per svuotare le tasche ai pringaos come noi: abbronzata e cosparsa<br />

d’olio e liscia e perfetta com’<strong>è</strong>, più che una donna sembra l’ennesimo posto in cui dare fondo al<strong>la</strong><br />

carta di credito. La tua specialità, nevvero? Morto di gnagna che sei!!!” Da questo il fiotto<br />

d’allegria, che peraltro passò totalmente inosservato – Sonia stava offrendo una ronda de chupitos<br />

de ron agli hippies e il bel surfer, in auge fino a mezz’ora prima e smaccatamente speranzoso di<br />

portarsi a casa e quindi a letto el premio gordo al<strong>la</strong> chiusura del bar, si struggeva di gelosia a un<br />

angolo del banco, perciò chi mai avrebbe rivolto <strong>la</strong> propria attenzione a un tardato scarsocrinito e<br />

arrostito dal sole asturiano piegato sul suo drink a ridacchiare da solo come un vecchio rincoglionito<br />

da pio<strong>la</strong>. E a me, francamente, fregava un cazzo di niente che Sonia o chiunque altro mi cagasse.<br />

Quell’auto-reprimenda e <strong>la</strong> derivante risata era nientemeno che fondamentale; con essa, mi liberavo<br />

delle ultime scorie di stress torinese. Avevo ritrovato me stesso. Almeno fino al<strong>la</strong> prossima crisi.<br />

Le Voci del Dopo (Ferie): “Ma al<strong>la</strong> fine hai beccato?”<br />

<strong>Maurizio</strong>: “No. E allora?”<br />

Comunque Sonia quando t’incrociava per Suances salutava sempre. Le era sufficiente averti visto<br />

una so<strong>la</strong> volta al Mambo, dopodiché non ti avrebbe mai negato un frugale ancorché molto gradito<br />

ho<strong>la</strong>, qué tal, soprattutto se eri il c<strong>la</strong>ssico bevitore che si faceva gli affari propri. Prendere nota e<br />

apprendere una buona volta, donne torinesi.<br />

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“La ragazza del fiume Fuentona”. Illustrazione di <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, <strong>2009</strong>.<br />

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Posted 30/09/<strong>2009</strong> h 10.00 a.m., CET. “Signora <strong>mia</strong>, cominci sempre dal basso”, consigliava <strong>la</strong><br />

simpatica pornostar mantovana Antonel<strong>la</strong> Del Lago a una telespettatrice in un talk-show condotto<br />

da Anna Pettinelli che qualche anno fa andava in onda su La7 prima (o dopo? La memoria comincia<br />

a giocarmi brutti scherzi.) di Sex & The City: il thread, ridicolmente facile intuirlo, era “come<br />

spompinare il vostro uomo da vere campionesse olimpioniche”. E allora oggi cominciamo dal basso<br />

di questo fallicissimo post. Muxu bat (“Un bacio”) <strong>è</strong> una foto di Lorena O<strong>la</strong>rte, talentuosa fotografa<br />

basca che espone i propri <strong>la</strong>vori su flick.com (“photo<strong>la</strong>rte” <strong>è</strong> il suo nickname), cio<strong>è</strong> <strong>la</strong>ddove pure il<br />

sottoscritto, contravvenendo a quanto promesso tempo fa, si <strong>è</strong> recentemente creato un profilo utente<br />

– “mi rifiuto categoricamente di crearmi un account anche su Flickr”, scrivevo in questo medesimo<br />

blog il 29 maggio <strong>2009</strong>, “di social network addiction me ne basta e avanza una.” Che volete,<br />

quando si ha poco o una nerchia da fare… (balle rosse gialle verdi e blu, da fare ne ho, e come!) In<br />

ogni modo ho spedito Muxu bat a una <strong>mia</strong> amica di Bilbao per il suo (trentasettesimo, trentottesimo,<br />

non ricordo, allora ci siamo, <strong>è</strong> Alzheimer precoce!) compleanno come biglietto d’auguri. Sono un<br />

misantropo gentiluomo. Alquanto scadente come pirata, ma un signore come non ne nascono più.<br />

[L’accattivante donzel<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> fotografia col bacio (muxu) <strong>è</strong> Jean Shrimpton, soprannominata “The<br />

Shrimp” ossia Il Gamberetto, celeberrima model<strong>la</strong> inglese degli anni Sessanta nonché icona del<strong>la</strong><br />

Swinging London, occasionalmente attrice – un film su tutti: Privilege del 1967, <strong>la</strong> storia di un<br />

cantante pop disincantato che viene manipo<strong>la</strong>to dal Mostro a Due Teste Chiesa-Stato che cerca di<br />

trasformarlo in un leader messianico. Inquietantemente profetico. Nel 1978 il Patti Smith Group<br />

registrò una delle canzoni del film, Set Me Free, per il suo album Easter, cambiandone il titolo in<br />

Privilege (Set Me Free).]<br />

Io parlo parlo e straparlo, ma al<strong>la</strong> fine anche quest’anno ho riconfermato il mio vassal<strong>la</strong>ggio digitale<br />

a Berluschino; però che diamine, si deve pur vedere qualcosa al<strong>la</strong> televisione che non sia spazzatura<br />

nazionalpopo<strong>la</strong>re per ottenebrati mentali o politicume o Soma dei Popoli A.K.A. Dio Pallone –<br />

sempre più infangato, stimatissimo signor Petrini. Venerdì sera mi sono visto Il cavaliere oscuro,<br />

piuttosto deludente nonostante un cast semplicemente stel<strong>la</strong>re; ieri, il convento Premium Cinema<br />

passava La forma delle cose, un film di Neil Labute con Rachel Weisz, sempre più bel<strong>la</strong> e brava.<br />

Partito come una c<strong>la</strong>ssica commedia giovanilistica americana, Shape of Things si <strong>è</strong> via via distorto<br />

in un dramma sentimentale con finale a sorpresa… e che sorpresa. Ma sì, andiamo di spoilering e se<br />

per caso pensavate di vederlo anche voi su Premium o prenderne in affitto il DVD, peggio per voi!<br />

Va che un’accattivante e umbratile studentessa d’arte aggancia e seduce l’imbranato custode parttime<br />

di un museo e poco a poco, scientificamente, lo trasforma in un figaccione da paura, ma al<strong>la</strong><br />

fine lo sbigottisce sbattendogli in faccia che lei ha fatto tutto ciò per fini meramente artistici, senza<br />

un briciolo di coinvolgimento sentimentale: lui era <strong>la</strong> sua scultura umana, capite?<br />

Al tempo che scorrevano i titoli di coda sono andato in cucina per farmi una manzanil<strong>la</strong> sentendomi<br />

addosso un ammorbante odore di vérité. In fondo, al di là dell’esagerazione – ma fino a che punto?<br />

– cinematografica, non <strong>è</strong> così che ci trattano le donne, o almeno <strong>la</strong> stragrande maggioranza di esse?<br />

Come argil<strong>la</strong> da p<strong>la</strong>smare a proprio piacimento, e che importa se nel processo <strong>la</strong> nostra personalità<br />

viene atomizzata, geek o viveur che siamo… ammesso che se ne possieda una? (Ah ah ah.)<br />

Il futuro <strong>è</strong> già qui. Holografic Medical Electronic Record (Holo-mer oppure holomer) <strong>è</strong> un concetto<br />

proposto da Richard M. Satava, docente di chirurgia presso il Medical Center dell’Università di<br />

Washington e direttore del programma di Tecnologie Biomediche Avanzate presso l’Agenzia del<strong>la</strong><br />

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Difesa americana DARPA. L’olomero <strong>è</strong> creato tramite <strong>la</strong> scansione totale del corpo di un individuo,<br />

ottenuta tramite risonanza magnetica (MPI) e/o tomografia computerizzata (BCT). Il suo risultato<br />

viene poi visualizzato sullo schermo di un PC come immagine tridimensionale dell’intera persona<br />

umana. Ulteriori dati di natura genetica, biochimica, fisiologica, oltre ai segni del<strong>la</strong> vita di per sé,<br />

vengono aggiunti ai vari organi e tessuti come delle proprietà intrinseche, trasformando l’olomero<br />

in una rappresentazione vivente del<strong>la</strong> persona basata su dati reali. Ogni paziente dovrebbe possedere<br />

il proprio olomero virtuale; sarebbe davvero il surrogato di se stesso nel mondo dell’informazione<br />

digitale.<br />

Ogni donna ha il proprio omomero: vale a dire, <strong>la</strong> rappresentazione virtuale del<strong>la</strong> sua idea di uomo,<br />

in parole commestibili, l’uomo ideale. E se, poco dopo il fischio d’inizio di una partita sentimentale<br />

ma anche a metà del secondo tempo, le nostre flessuose costolette s’accorgono che il partner non<br />

corrisponde a quell’ologramma neurale d’emozioni e desideri progressivamente formatosi nelle loro<br />

graziosissime testoline dal giorno del primo ciclo mestruale in avanti – che non vi corrisponda del<br />

tutto o in parte quantunque minima <strong>è</strong> ininfluente, non corrisponde e basta –, due sono i casi: o lo<br />

rimpiazzano con uno ancor più imperfetto (in ogni modo <strong>la</strong> perfezione assoluta mascolina non può<br />

esistere su questo pianeta, per il principio di indeterminazione di Heisenberg e il testosterone) o/e<br />

consumano tutta <strong>la</strong> loro esistenza a cercare di rimodel<strong>la</strong>rlo, finendo invariabilmente per tagliargli i<br />

testicoli e magari fargli una foresta pluviale di corna col primo <strong>la</strong>ttoniere pugliese coi tatuaggi al<strong>la</strong><br />

Fabrizio Corona che passa per il condominio.<br />

In verità esse sono intagliatrici d’uomini – io direi più minatrici – per default. Pressoché impossibile<br />

variarne i parametri.<br />

Per molte, moltissime figlie d’Eva il concetto di omomero si estende finanche alle mere re<strong>la</strong>zioni<br />

amichevoli: il pagafantomero. Ma che succede se l’olomero-amico-tonno si ribel<strong>la</strong> all’estroschema<br />

e fugge dal gabinetto di scansione? Ciò che <strong>è</strong> successo mercoledì sera scorso tra me e <strong>la</strong> Personcina<br />

a un concerto al<strong>la</strong> memoria di Caterina Farassino e Piero Maccarino, l’ispiratore di questo blog.<br />

Naturalmente, dico così perché le vie del masochismo maschile sono infinite, indovina indovinello<br />

chi c’era in cartellone: quel gruppo il cui cantante ha rapito il cuore del<strong>la</strong> suddetta. Il mio rivale in<br />

amore, per chiamarlo in qualche accidenti di maniera da soap-opera bavarese. Una volta giunto al<br />

locale e trovata<strong>la</strong> <strong>è</strong> stato subito chiaro che costei si aspettasse un <strong>Maurizio</strong> formattato. “Dimenticati<br />

di quel<strong>la</strong> sera” mi ha detto, già bevuta. Si riferiva al<strong>la</strong> sera in cui mi dichiarai, <strong>è</strong> ovvio. “Forse per te<br />

<strong>è</strong> facile: per me, affatto”, ho controbattuto distogliendo lo sguardo. Resettato dalle vacanze, sì:<br />

formattato, proprio no. Re-Make Re-Model.<br />

Comunque ci siamo sco<strong>la</strong>ti un altro paio di bionde e giusto all’ultimo sorso del<strong>la</strong> seconda un ulu<strong>la</strong>to<br />

di riconoscenza da parte del folto pubblico ha accolto… e che cacchio ne sapevo io chi era salito sul<br />

palco. Ero entrato a concerto ampiamente iniziato e fino ad allora m’ero totalmente disinteressato a<br />

chi suonasse e quando; in più alcune volte l’ordine stampato sui flyer non rispecchia poi l’effettiva<br />

alternanza dei gruppi sul<strong>la</strong> scena.<br />

Al disopra di tutto, nonostante <strong>la</strong> <strong>mia</strong> notevole esperienza di vita, rimango un candido, più che mai<br />

con qualche birra o cubata de ron con coca-co<strong>la</strong> in corpo. La Personcina mi ha afferrato <strong>la</strong> mano<br />

trascinandomi via dal bar: “Dài, Mauri, andiamo a scatenarci!” Ma dopo pochi metri e svariate<br />

sportel<strong>la</strong>te e pestoni dati mi sono reso conto che sul palco era salito proprio LUI, e che io mi stavo<br />

facendo condurre dritto sparato verso un degradante attacco di gelosia… per un pischello cui do una<br />

spanna e mezza e una quindicina di tacche sul<strong>la</strong> stecca dell’esistenza, nientemeno!<br />

76


Cosicché mi sono sganciato da lei come l’ultimo stadio di un razzo vettore da una navetta spaziale e<br />

ho riparato all’altro bar, <strong>la</strong>sciando<strong>la</strong> da so<strong>la</strong> a pogare in prima fi<strong>la</strong> davanti al suo fottuto feticcio. Mi<br />

sono sco<strong>la</strong>to velocemente un’altra Heineken con un amico e poi a casa, ascoltando i Darling Buds a<br />

tutto volume con quel sorrisetto al<strong>la</strong> Charlie Crews che da quando sono tornato dai Picos de Europa<br />

mi sta spuntando sempre più di frequente sul faccione. Pensando: «Mi spiace tantissimo, bambina,<br />

ma io non sono l’omomero di nessuno.»<br />

“Di’, Mauri, ma non <strong>è</strong> che per caso questa Personcina <strong>è</strong> <strong>la</strong> tua performance artistica?”<br />

“…”<br />

“Muxu bat”. Fotografia di Lorena O<strong>la</strong>rte, <strong>2009</strong>.<br />

77


Ci sono scuole, in Tibet, per risvegliare l’occhio interiore; e ci sono maestri che usano una tecnica<br />

antichissima per farlo emergere, con un legnetto tipo stuzzicadenti fanno una picco<strong>la</strong> operazione nel centro<br />

del<strong>la</strong> fronte. L’allievo deve rimanere per tre giorni senza mangiare, al buio: e si apre una percezione che<br />

normalmente si dovrebbe raggiungere solo per via spirituale. C’<strong>è</strong> gente che comincia a vedere le aure, rosse<br />

o verdi, o bianche o nere: come quelle di certi politici.<br />

Franco Battiato.<br />

At the age of nine Harrison Wintergreen first discovered that the world was his oyster when he<br />

looked at it sidewise. That was the year when baseball cards were in. The kid with the biggest<br />

collection of baseball cards was it. Harry Wintergreen decided to become it.<br />

Harry saved up a dol<strong>la</strong>r and bought one hundred random baseball cards. He was in luck – one of them<br />

was the very rare Yogi Berra. In three separate transactions, he traded his other ninety-nine cards for<br />

the only other three Yogi Berras in the neighborhood. Harry had reduced his holdings to<br />

four cards, but he had cornered the market in Yogi Berra. He forced the price of Yogi Berra up to an<br />

exorbitant eighty cards. With the slush fund thus accumu<strong>la</strong>ted, he successively cornered the market in<br />

Mickey Mantle, Willy Mays and Pee Wee Reese and became the J. P. Morgan of baseball cards.<br />

Harry breezed through high school by the simple expedient of mastering only one subject – the art of<br />

taking tests. By his senior year, he could outthink any test writer with his gypsheet tied behind his<br />

back and won seven scho<strong>la</strong>rships with foolish ease.<br />

In college Harry discovered girls. Being reasonably good-looking and reasonably facile, he no doubt<br />

would’ve garnered his fair share of conquests in the normal course of events. But this was not the way<br />

the mind of Harrison Wintergreen worked.<br />

Harry carefully cultivated a stutter, which he could turn on or off at will. Few girls could resist the lure<br />

of a good-looking, well-adjusted guy with a slick line who nevertheless carried with him some secret<br />

inner hurt that made him stutter. Many were the girls who tried to delve Harry’s secret, while Harry<br />

delved them.<br />

In his sophomore year Harry grew bored with college and reasoned that the thing to do was to become<br />

Filthy Rich. He assiduously studied sex novels for one month, wrote three of them in the next two<br />

which he immediately sold at $1,000 a throw.<br />

With the $3,000 thus garnered, he bought a shiny new convertible. He drove the new car to the<br />

Mexican border and across into a notorious border town. He immediately contacted a disreputable<br />

shoeshine boy and bought a pound of marijuana. The shoeshine boy of course tipped off the border<br />

guards, and when Harry attempted to walk across the bridge to the States they stripped him naked.<br />

They found nothing and Harry crossed the border. He had smuggled nothing out of Mexico, and in<br />

fact had thrown the marijuana away as soon as he bought it.<br />

However, he had taken advantage of the Mexican embargo on American cars and illegally sold the<br />

convertible in Mexico for $15,000.<br />

Harry took his $15,000 to Las Vegas and spent the next six weeks buying people drinks, lending broke<br />

gamblers money, acting in general like a fuzzy-cheeked Santa C<strong>la</strong>us, gaining the confidence of the<br />

right drunks and blowing $5,000.<br />

At the end of six weeks he had three hot market tips which turned his remaining $10,000 into<br />

$40,000 in the next two months.<br />

Harry bought four hundred crated government surplus jeeps in four one-hundred-jeep lots of<br />

$10,000 a lot and immediately sold them to a highly disreputable Central American government for<br />

$100,000.<br />

He took the $100,000 and bought a tiny is<strong>la</strong>nd in the Pacific, so worthless that no government had<br />

ever bothered to c<strong>la</strong>im it. He set himself up as an independent government with no taxes and sold<br />

twenty one-acre plots to twenty millionaires seeking a tax haven at $100,000 a plot. He unloaded the<br />

78


<strong>la</strong>st plot three weeks before the United States, with UN backing, c<strong>la</strong>imed the is<strong>la</strong>nd and brought it<br />

under the sway of the Internal Revenue Office.<br />

Harry invested a small part of his $2,000,000 and rented a <strong>la</strong>rge computer for twelve hours. The<br />

computer constructed a betting scheme by which Harry par<strong>la</strong>yed his $2,000,000 into $20,000,000 by<br />

taking various British soccer pools to the tune of $18,000,000.<br />

For $5,000,000 he bought a monstrous chunk of useless desert from an impoverished Arabian<br />

sultanate. With another $2,000,000 he created a huge rumor campaign to the effect that this patch of<br />

desert was literally floating on oil. With another $3,000,000 he set up a dummy corporation which<br />

made like a big oil company and publicly offered to buy this desert for $75,000,000. After some<br />

spirited bargaining, a <strong>la</strong>rge American oil company was allowed to outbid the dummy and bought a<br />

thousand square miles of sand for $100,000,000.<br />

Harrison Wintergreen was, at the age of twenty-five, Filthy Rich by his own standards. He lost his<br />

interest in money.<br />

He now decided that he wanted to Do Good. He Did Good. He toppled seven unpleasant Latin<br />

American governments and rep<strong>la</strong>ced them with six Social Democracies and a Benevolent Dictatorship.<br />

He converted a tribe of Borneo headhunters to Rosicrucianism. He set up twelve rest homes for<br />

overage whores and organized a birth control program which sterilized twelve million fecund Indian<br />

women. He contrived to make another $100,000,000 on the above enterprises.<br />

At the age of thirty Harrison Wintergreen had had it with Do-Gooding. He decided to Leave His<br />

Footprints in the Sands of Time. He Left His Footprints in the Sands of Time. He wrote an<br />

internationally acc<strong>la</strong>imed novel about King Farouk. He invented the Wintergreen Filter, a membrane<br />

through which fresh water passed freely, but which barred salts. Once set up, a Wintergreen<br />

Desalinization P<strong>la</strong>nt could desalinate an unlimited supply of water at a per-gallon cost approaching<br />

absolute zero. He painted one painting and was instantly offered $200,000 for it. He donated it to the<br />

Museum of Modern Art, gratis. He developed a mutated virus which destroyed syphilis bacteria. Like<br />

syphilis, it spread by sexual contact. It was a mild aphrodisiac. Syphilis was wiped out in eighteen<br />

months. He bought an is<strong>la</strong>nd off the coast of California, a five-hundred-foot crag jutting out of the<br />

Pacific. He caused it to be carved into a five-hundred-foot statue of Harrison Wintergreen.<br />

At the age of thirty-eight Harrison Wintergreen had Left sufficient Footprints in the Sands of Time. He<br />

was bored. He looked around greedily for new worlds to conquer. This, then, was the man who, at the<br />

age of forty, was informed that he had an advanced, well-spread and incurable case of cancer and that<br />

he had one year to live.<br />

(Capito tutto finora, no? Sì, un uovo all’occhio di bue. Per chi non mastica inglese né fantascienza<br />

tutti i giorni, trattasi di un racconto di Norman Spinrad, Carcinoma Angels, incluso nel primo<br />

volume di Dangerous Visions, pioneristica antologia di racconti brevi sci-fi curata e pubblicata da<br />

Har<strong>la</strong>n Ellison nel fondamentale A.D. 1967. Protagonista del<strong>la</strong> “visione pericolosa” di quest’acuto<br />

auteur e sceneggiatore americano nato e cresciuto nel Bronx <strong>è</strong> Harrison Wintergreen, iperrealistico<br />

self-made man cui al<strong>la</strong> soglia dei quaranta viene diagnosticato un cancro incurabile. Al poliedrico,<br />

ingegnoso, ineffabile multimilionario, inventore tra le tante cose perfino di un vaccino afrodisiaco<br />

contro <strong>la</strong> sifilide, resta solo più un anno da vivere. Quindi…)<br />

Wintergreen spent the first month of his <strong>la</strong>st year searching for an existing cure for terminal cancer. He<br />

visited <strong>la</strong>boratories, medical schools, hospitals, clinics, Great Doctors, quacks, people who had<br />

miraculously recovered from cancer, faith healers and Little Old Ladies in Tennis Shoes. There was no<br />

known cure for terminal cancer, reputable or otherwise. It was as he suspected, as he more or<br />

less even hoped. He would have to do it himself.<br />

79


He proceeded to spend the next month setting things up to do it himself. He caused to be erected<br />

in the middle of the Arizona desert an air-conditioned walled vil<strong>la</strong>. The vil<strong>la</strong> had a completely<br />

automatic kitchen and enough food for a year. It had a $5,000,000 biological and biochemical<br />

<strong>la</strong>boratory. It had a $3,000,000 microfilmed library which contained every word ever written on the<br />

subject of cancer. It had the pharmacy to end all pharmacies: a literal supply of quite literally every<br />

drug that existed – poisons, painkillers, hallucinogens, dandricides, antiseptics, antibiotics, vericides,<br />

headache remedies, heroin, quinine, curare, snake oil – everything. The pharmacy cost $20,000,000.<br />

The vil<strong>la</strong> also contained a one-way radiotelephone, a <strong>la</strong>rge stock of basic chemicals, including<br />

radioactives, copies of the Koran, the Bible, the Torah, the Book of the Dead, Science and Health with<br />

Key to the Scriptures, the I Ching, and the complete works of Wilhelm Reich and Aldous Huxley. It<br />

also contained a very <strong>la</strong>rge and ultra-expensive computer. By the time the vil<strong>la</strong> was ready,<br />

Wintergreen’s petty cash fund was nearly exhausted.<br />

With ten months to do that which the medical world considered impossible, Harrison Wintergreen<br />

entered his citadel.<br />

During the first two months he devoured the library, sleeping three hours out of each twenty-four, and<br />

dosing himself regu<strong>la</strong>rly with Benzedrine. The library offered nothing but data. He digested the data<br />

and went on to the pharmacy.<br />

During the next month he tried aureomycin, bacitracin, stannous flouride, hexylresorcinol,<br />

cortisone, penicillin, hexachlorophene, shark-liver extract, and 7,312 assorted other miracles of<br />

modern medical science, all to no avail. He began to feel pain, which he immediately blotted out and<br />

continued to blot out with morphine. Morphine addiction was merely an annoyance.<br />

He tried chemicals, radioactives, vericides, Christian Science, yoga, prayer, enemas, patent medicines,<br />

herb tea, witchcraft, and yogurt diets. This consumed another month, during which Wintergreen<br />

continued to waste away, sleeping less and less and taking more Benzedrine and morphine. Nothing<br />

worked. He had six months left.<br />

He was on the verge of becoming desperate. He tried a different tack. He sat in a comfortable chair<br />

and contemp<strong>la</strong>ted his navel for forty-eight consecutive hours.<br />

His meditations produced a severe case of eyestrain and two significant words: “spontaneous<br />

remission.”<br />

In his two months of research, Wintergreen had come upon numbers of cases where a terminal<br />

cancer abruptly reversed itself and the patient, for whom all hope had been abandoned, had been<br />

cured. No one ever knew how or why. It could not be predicted, it could not be artificially produced,<br />

but it happened nevertheless. For want of an exp<strong>la</strong>nation, they call it spontaneous remission.<br />

“Remission,” meaning cure. “Spontaneous,” meaning no one knew what caused it.<br />

Which was not to say that it did not have a cause.<br />

Wintergreen was buoyed: he was even ebullient. He knew that some terminal cancer patients had been<br />

cured. Therefore terminal cancer could be cured. Therefore the problem was removed from the realm<br />

of the impossible and was now merely the domain of the highly improbable.<br />

And doing the highly improbable was Wintergreen’s specialty.<br />

With six months of estimated life left, Wintergreen set jubi<strong>la</strong>ntly to work. From his complete cancer<br />

library he culled every known case of spontaneous remission. He coded every one of them into the<br />

computer – data on the medical histories of the patients, on the treatments employed, on their<br />

ages, sexes, religions, races, creeds, colors, national origins, temperaments, marital status, Dun and<br />

Bradstreet ratings, neuroses, psychoses, and favorite beers. Complete profiles of every human<br />

being ever known to have survived terminal cancer were fed into Harrison Wintergreen’s computer.<br />

Wintergreen programed the computer to run a complete series of corre<strong>la</strong>tions between ten<br />

thousand separate and distinct factors and spontaneous remission. If even one factor – age,<br />

80


credit rating, favorite food – anything corre<strong>la</strong>ted with spontaneous remission, the spontaneity factor<br />

would be removed.<br />

Wintergreen had shelled out $100,000,000 for the computer. It was the best damn computer in the<br />

world. In two minutes and 7.894 seconds it had performed its task. In one succinct word it gave<br />

Wintergreen his answer:<br />

“Negative.”<br />

Spontaneous remission did not corre<strong>la</strong>te with any external factor. It was still spontaneous; the cause<br />

was unknown.<br />

A lesser man would’ve been crushed. A more conventional man would’ve been dumbfounded.<br />

Harrison Wintergreen was e<strong>la</strong>ted. He had eliminated the entire external universe as a factor in<br />

spontaneous remission in one fell swoop.<br />

Therefore, in some mysterious way, the human body and/or psyche was capable of curing itself.<br />

Wintergreen set out to explore and conquer his own internal universe. He repaired to the pharmacy and<br />

prepared a formidable potion. Into his <strong>la</strong>rgest syringe he decanted the following: Novocain;<br />

morphine, curare; vlut, a rare Central Asian poison which induced temporary blindness; olfactorcain, a<br />

top-secret smell-deadener used by skunk farmers; tympanoline, a drug which temporarily deadened the<br />

auditory nerves (used primarily by filibustering senators); a <strong>la</strong>rge dose of Benzedrine; lysergic acid;<br />

psilocybin; mescaline; peyote extract; seven other highly experimental and most illegal hallucinogens;<br />

eye of newt and toe of dog.<br />

Wintergreen <strong>la</strong>id himself out on his most comfortable couch. He swabbed the vein in the pit of his left<br />

elbow with alcohol and injected himself with the witch’s brew.<br />

(Harrison Wintergreen spende il primo mese del suo ultimo anno di vita cercando in tutto il mondo<br />

una cura esistente per il cancro terminale, ma invano. Così decide di realizzarse<strong>la</strong> da solo. Il mese<br />

successivo egli atomizza quasi tutto il suo conto corrente nel<strong>la</strong> costruzione di una vil<strong>la</strong> hi-tech nel<br />

bel mezzo del deserto dell’Arizona provvista di un costosissimo <strong>la</strong>boratorio biologico e biochimico,<br />

una megamicrofilmoteca che contiene ogni paro<strong>la</strong> mai scritta sull’argomento del cancro e <strong>la</strong> Madre<br />

di Tutte le Farmacie. Con dieci mesi a disposizione per fare quello che il mondo medico considera<br />

impossibile, Wintergreen si rinchiude nel<strong>la</strong> sua cittadel<strong>la</strong> e prova di tutto e di più – chemioterapia,<br />

radioterapia, yoga, preghiere, clisteri, Scienza Cristiana, diete allo yogurt, estratto di fegato di<br />

squalo… – ma senza alcun risultato.<br />

Quando gli rimangono non più di sei mesi di vita, il giovane creso decide di percorrere un’altra<br />

strada: <strong>la</strong> meditazione. Quarantotto ore consecutive trascorse a fissarsi l’ombelico producono due<br />

parole significative: “remissione spontanea”. Con rinnovato entusiasmo, Wintergreen codifica e<br />

inserisce nel suo cervello elettronico da $100,000,000 ogni caso conosciuto di remissione spontanea<br />

dal cancro, per trovarvi almeno un fattore comune. La risposta del computer <strong>è</strong>: negativo. Vale a<br />

dire, <strong>la</strong> remissione spontanea non <strong>è</strong> corre<strong>la</strong>bile con alcun fattore esterno. Quindi, in qualche maniera<br />

misteriosa, il corpo umano e/o <strong>la</strong> psiche <strong>è</strong> capace di curarsi da sé.<br />

Metabolizzato ciò al<strong>la</strong> velocità del<strong>la</strong> luce, Wintergreen si dispone a conquistare il proprio universo<br />

interiore. Si reca in farmacia e prepara una formidabile pozione di droghe allucinogene, anfetamine,<br />

alcaloidi e veleni esotici; poi si stende sul suo divano più confortevole e se <strong>la</strong> spara in vena.)<br />

His heart pumped. His blood surged, carrying the arcane chemicals to every part of his body. The<br />

Novocain b<strong>la</strong>nked out every sensory nerve in his body. The morphine eliminated all sensations of<br />

pain. The vlut b<strong>la</strong>cked out his vision. The olfactorcain cut off all sense of smell. The tympanoline<br />

made him deaf as a traffic court judge. The curare paralyzed him.<br />

81


Wintergreen was alone in his own body. No external stimuli reached him. He was in a state of total<br />

sensory deprivation. The urge to <strong>la</strong>pse into blessed unconsciousness was irresistible. Wintergreen,<br />

strong-willed though he was, could not have remained conscious unaided. But the massive dose<br />

of Benzedrine would not let him sleep.<br />

He was awake, aware, alone in the universe of his own body with no external stimuli to occupy<br />

himself with.<br />

Then, one and two, and then in combinations like the fists of a good fast heavyweight, the<br />

hallucinogens hit.<br />

Wintergreen’s sensory organs were b<strong>la</strong>nked out, but the brain centers which received sensory data<br />

were still active. It was on these cerebral centers that the tremendous charge of assorted hallucinogens<br />

acted.<br />

He began to see phantom colors, shapes, things without name or form. He heard eldritch<br />

symphonies, ghost echoes, mad howling noises. A million impossible smells roiled through his brain.<br />

A thousand false pains and pressures tore at him, as if his whole body had been amputated. The<br />

sensory centers of Wintergreen’s brain were like a mighty radio receiver tuned to an empty band –<br />

filled with meaningless visual, auditory, olfactory and sensual static.<br />

The drugs kept his senses b<strong>la</strong>nk. The Benzedrine kept him conscious. Forty years of being Harrison<br />

Wintergreen kept him cold and sane.<br />

For an indeterminate period of time he rolled with the punches, groping for the feel of this strange new<br />

non-environment. Then gradually, hesitantly at first but with ever growing confidence, Wintergreen<br />

reached for control. His mind constructed untrue but useful analogies for actions that were not actions,<br />

states of being that were not states of being, sensory data unlike any sensory data received by the<br />

human brain. The analogies, constructed in a kind of calcu<strong>la</strong>ted madness by his subconscious for the<br />

brute task of making the incomprehensible palpable, also enabled him to deal with his nonenvironment<br />

as if it were an environment, trans<strong>la</strong>ting mental changes into analogs of action.<br />

He reached out an analogical hand and tuned a figurative radio, inward, away from the b<strong>la</strong>nk wave<br />

band of the outside universe and towards the as yet unused wave band of his own body, the internal<br />

universe that was his mind’s only possible escape from chaos.<br />

He tuned, adjusted, forced, struggled, felt his mind pressing against an atom-thin interface. He battered<br />

against the interface, an analogical translucent membrane between his mind and his internal<br />

universe, a membrane that stretched, flexed, bulged inward, thinned... and finally broke. Like Alice<br />

through the Looking G<strong>la</strong>ss, his analogical body stepped through and stood on the other side.<br />

Harrison Wintergreen was inside his own body.<br />

It was a world of wonder and loathsomeness, of the majestic and the ludicrous. Wintergreen’s point of<br />

view, which his mind analogized as a body within his true body, was inside a vast network of pulsing<br />

arteries, like some monstrous freeway system. The analogy crystallized. It was a freeway, and<br />

Wintergreen was driving down it. Bloated sacs dumped things into the teeming traffic: hormones,<br />

wastes, nutrients. White blood cells careened by him like mad taxicabs. Red corpuscles drove steadily<br />

along like stolid burghers. The traffic ebbed and congested like a crosstown rush hour. Wintergreen<br />

drove on, searching, searching.<br />

He made a left, cut across three <strong>la</strong>nes and made a right down toward a lymph node. And then he saw it<br />

– a pile of white cells like a twelve-car collision, and speeding towards him a leering motorcyclist.<br />

B<strong>la</strong>ck the cycle. B<strong>la</strong>ck the riding leathers. B<strong>la</strong>ck, dull b<strong>la</strong>ck, the face of the rider save for two glowing<br />

blood-red eyes. And emb<strong>la</strong>zoned across the front and back of the b<strong>la</strong>ck motorcycle jacket in shining<br />

scarlet studs the legend: “Carcinoma Angels.”<br />

With a savage whoop, Wintergreen gunned his analogical car down the hypothetical freeway straight<br />

for the imaginary cyclist, the cancer cell.<br />

82


Sp<strong>la</strong>t! Pop! Crush! Wintergreen’s car smashed the cycle and the rider exploded in a cloud of fine b<strong>la</strong>ck<br />

dust.<br />

Up and down the freeways of his circu<strong>la</strong>tory system Wintergreen ranged, barreling along arteries,<br />

careening down veins, inching through narrow capil<strong>la</strong>ries, seeking the b<strong>la</strong>ck-c<strong>la</strong>d cyclists, the<br />

Carcinoma Angels, grinding them to dust beneath his wheels...<br />

And he found himself in the dark moist wood of his lungs, riding a snow-white analogical horse, an<br />

imaginary <strong>la</strong>nce of pure light in his hand. Savage b<strong>la</strong>ck dragons with blood-red eyes and flickering red<br />

tongues slithered from behind the gnarled bolls of great air-sac trees. St. Wintergreen spurred his<br />

horse, lowered his <strong>la</strong>nce and impaled monster after hissing monster till at <strong>la</strong>st the holy lungwood was<br />

free of dragons...<br />

He was flying in some vast moist cavern, above him the vague bulks of gigantic organs, below a<br />

limitless expanse of shining slimy peritoneal p<strong>la</strong>in.<br />

From behind the cover of his huge beating heart a formation of b<strong>la</strong>ck fighter p<strong>la</strong>nes, bearing the<br />

insignia of a scarlet “C” on their wings and fusi<strong>la</strong>ges, roared down at him.<br />

Wintergreen gunned his engine and rose to the fray, flying up and over the bandits, b<strong>la</strong>sting them with<br />

his machine guns, and one by one and then in bunches they crashed in f<strong>la</strong>mes to the peritoneum<br />

below...<br />

In a thousand shapes and guises, the b<strong>la</strong>ck and red things attacked. B<strong>la</strong>ck, the color of oblivion, red,<br />

the color of blood. Dragons, cyclists, p<strong>la</strong>nes, sea things, soldiers, tanks and tigers in blood vessels and<br />

lungs and spleen and thorax and b<strong>la</strong>dder – Carcinoma Angels, all.<br />

And Wintergreen fought his analogical battles in an equal number of incarnations, as driver, knight,<br />

pilot, diver, soldier, mahout, with a grim and savage glee, littering the battlefields of his body with the<br />

b<strong>la</strong>ck dust of the fallen Carcinoma Angels.<br />

Fought and fought and killed and killed and finally...<br />

Finally found himself knee-deep in the sea of his digestive juices <strong>la</strong>pping against the walls of the dank,<br />

moist cave that was his stomach. And scuttling towards him on chitinous legs, a monstrous b<strong>la</strong>ck crab<br />

with blood-red eyes, gross, squat, primeval.<br />

Clicking, chittering, the crab scurried across his stomach towards him. Wintergreen paused, grinned<br />

wolfishly, and leaped high in the air, <strong>la</strong>nding with both feet squarely on the hard b<strong>la</strong>ck carapace.<br />

Like a sun-dried gourd, brittle, dry, hollow, the crab crunched beneath his weight and splintered into a<br />

million dusty fragments.<br />

And Wintergreen was alone, at <strong>la</strong>st alone and victorious, the first and <strong>la</strong>st of the Carcinoma Angels<br />

now banished and gone and finally defeated.<br />

Harrison Wintergreen, alone in his own body, victorious and once again looking for new worlds to<br />

conquer, waiting for the drugs to wear off, waiting to return to the world that always was his oyster.<br />

Waiting and waiting and waiting...<br />

Go to the finest sanitarium in the world, and there you will find Harrison Wintergreen, who made<br />

himself Filthy Rich, Harrison Wintergreen, who Did Good, Harrison Wintergreen, who Left His<br />

Footprints in the Sands of Time, Harrison Wintergreen, who stepped inside his own body to do battle<br />

with Carcinoma’s Angels, and won.<br />

And can’t get out.<br />

The End.<br />

…Viaggio allucinante riscritto da William Gibson. Gli allucinogeni e <strong>la</strong> novocaina svuotano i sensi<br />

di Harry Wintergreen, ma le anfe lo mantengono sveglio. Il giovane miliardario sferra pugni e calci<br />

all’interfaccia, una membrana traslucida tra <strong>la</strong> sua mente e il suo universo interiore, e al<strong>la</strong> fine riesce<br />

83


a <strong>la</strong>cerar<strong>la</strong>. Come Alice nel Paese delle Meraviglie, Wintergreen vi passa attraverso e irrompe<br />

dall’altra parte, dentro il proprio corpo: un caotico sistema autostradale organico!<br />

Wintergreen guida come un forsennato, cercando, cercando. Finché s’imbatte in uno sciame di<br />

cellule cancerose travestite da motociclisti: i Carcinoma Angels. E li uccide uno per uno. Poi nel<strong>la</strong><br />

caverna umida e insalubre dello stomaco affronta, e sconfigge, il tumore vero e proprio, sotto le<br />

sembianze di un mostruoso, enorme granchio nero dagli occhi rosso sangue. Ma paga sua vittoria a<br />

carissimo prezzo, rimanendo intrappo<strong>la</strong>to dentro di sé per sempre.<br />

Posted 14/10/<strong>2009</strong> h 10.50 a.m., CET. Nel brano di commento al<strong>la</strong> novel<strong>la</strong>, Norman Spinrad mette<br />

in ridicolo il tabù che circonfonde <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> “cancro” nel<strong>la</strong> società moderna. Era il 1967. Siamo alle<br />

soglie del 2010, ma il tabù permane. Io, come tanti su questo pianeta, troppi, ne so qualcosa. La <strong>mia</strong><br />

amata sorel<strong>la</strong> maggiore Danie<strong>la</strong> <strong>è</strong> mancata sette anni e mezzo fa per un tumore al<strong>la</strong> mammel<strong>la</strong>.<br />

Ebbene, ogniqualvolta mi azzardo a pronunciare in pubblico le parole “cancro, carcinoma, tumore,<br />

metastasi, chemioterapia” due umani su tre mi fanno quel<strong>la</strong> faccia, quel<strong>la</strong> col mento tirato in dentro,<br />

quell’aria compassionevole, le <strong>la</strong>bbra arricciate in una specie di broncio che mal ce<strong>la</strong> ripugnanza e<br />

finanche sacro terrore, avendo costoro per loro buona sorte mai avuto a che fare con tutta quel<strong>la</strong><br />

merda schifosa, né personalmente né tantomeno in famiglia. Almeno fino a quel momento.<br />

Pochi giorni fa una <strong>mia</strong> conoscente ha postato sul famigerato Facebook quanto segue: “E smetter<strong>la</strong><br />

un po’ di condividere gruppi su cancro, violenza, politicume eccetera…? Basta con ’sti argomenti<br />

pesanti! Facciamo di Facebook il regno del cazzeggio mondiale!” Anni fa a New York c’era, e forse<br />

c’<strong>è</strong> ancora, un giornale di proprietà di Moonie, un santone assai discusso, che riportava sulle sue<br />

pagine soltanto buone notizie. Come a voler dire: non voglio saperne un accidente delle cattive. Un<br />

comportamento comprensibile, però ottuso. Pericolosamente ottuso, direi, nonché antidemocratico,<br />

poiché ragionando così il risultato che si ottiene <strong>è</strong> l’imposizione del<strong>la</strong> censura, l’omologazione delle<br />

menti, <strong>la</strong> felicità artificiosa. Fitter happier more productive, baby smiling in the backseat. Only<br />

good, no evil, no flu, no bad cholesterol, no diabetes, no obesity, no cancer...<br />

COL CAZZO!<br />

CANCROO!!!!!!!!!!<br />

CANCROO!!!!!!!!!!<br />

L’immagine in calce al post <strong>è</strong> <strong>la</strong> riduzione di uno sfondo per il desktop che ho creato quattro anni fa<br />

sovrapponendo gli schizzi di alcuni tipi di cromosomi e una sezione di mitocondrio, fotoritoccati e<br />

antropomorfizzati, a una cellu<strong>la</strong> cancerosa mammaria ingrandita al microscopio. Norman Spinrad<br />

sedeva accanto a me, sorseggiando una pinta di birra chiara. Ogni tanto crol<strong>la</strong>va il capo.<br />

I miei Angeli Cancerogeni non indossano giubbotti di cuoio nero né hanno gli occhi iniettati di<br />

sangue. I miei Angeli sono angeli. Angeli che vogliono simboleggiare tutti gli sforzi fatti finora<br />

dal<strong>la</strong> ricerca medica per debel<strong>la</strong>re il cancro. Angeli che si mangeranno quel<strong>la</strong> merdosa cellu<strong>la</strong> killer<br />

fino all’ultimo fottuto frammento di materia biologica degenerata.<br />

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Per favore, supportate l’Associazione Italiana per <strong>la</strong> Ricerca sul Cancro. E sforzatevi di vivere <strong>la</strong><br />

vostra preziosa vita senza preconcetti. Soprattutto tu, <strong>mia</strong> cara amica anti-anticancerogena, tu così<br />

incarognita con gli uomini torinesi – “sono tutti uguali, tutti stronzi, ci trattano tutte come puttane.”<br />

Non hai bisogno di una pozione ultramegapsichedelica per guardarti dentro e renderti conto una<br />

volta per tutte che non puoi colpevolizzare tutto l’universo maschile dei tuoi fallimenti amorosi. Lo<br />

specchio del bagno <strong>è</strong> più che sufficiente.<br />

“Carcinoma Angels”. Illustrazione di <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, 2006.<br />

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Posted 26/10/<strong>2009</strong> h 10.50 a.m., CET. La seguente affermazione scatenerà un uragano di risatacce<br />

da plotone di fucilieri assaltatori, ma tant’<strong>è</strong>: mi hanno sempre affascinato i buchi neri. Intendo quelli<br />

astronomici. Quelli, come diceva il Mago Gabriel in uno dei suoi deliranti assolo gia<strong>la</strong>ppiani, “dove<br />

saremo tutti veramente propprio assorbiti, e a sua volta risucchiati!” Quelle regioni dello spaziotempo<br />

da cui non può sfuggire nul<strong>la</strong>, neppure <strong>la</strong> luce, a causa del<strong>la</strong> gravità fortissima che vi domina.<br />

Nel momento in cui una stel<strong>la</strong> esaurisce il suo combustibile, comincia a raffreddarsi e a contrarsi, e<br />

se <strong>la</strong> sua massa <strong>è</strong> superiore a circa una volta e mezza <strong>la</strong> massa del Sole – il cosiddetto limite di<br />

Chandrasekhar – si contrae fino a raggiungere una singo<strong>la</strong>rità di densità e di curvatura dello spaziotempo<br />

infinite. The b<strong>la</strong>ck hole. Lessi tutto questo per <strong>la</strong> prima volta a dieci anni compiuti in un<br />

originalissimo racconto di Larry Niven, L’Uomo del Buco (The Hole Man), Premio Hugo 1975 per<br />

il miglior racconto breve. In questa storia, una missione su Marte s’imbatte in una base aliena, nel<strong>la</strong><br />

quale c’<strong>è</strong> un dispositivo di comunicazione ancora funzionante. Uno scienziato ritiene che al centro<br />

del congegno vi sia un buco nero quantico, ma il suo comandante non gli crede. Per provare <strong>la</strong> sua<br />

teoria, <strong>la</strong> testolina d’uovo spegne il campo magnetico di contenimento, liberando il buco nero. Il<br />

mini-buco ca<strong>la</strong> dritto attraverso il suo superiore, uccidendolo al tempo in cui precipita verso il<br />

centro del pianeta. Al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> storia si scopre che il ri<strong>la</strong>scio del buco nero potrebbe mettere in<br />

pericolo <strong>la</strong> vita degli esploratori, poiché esso si sta letteralmente divorando Marte. Possibbilmente<br />

moleco<strong>la</strong> dopo moleco<strong>la</strong>.<br />

Nel 1976 il romanzo Guerra Eterna di Joe Haldeman, altro bril<strong>la</strong>nte scrittore americano <strong>la</strong>ureato in<br />

fisica e astrono<strong>mia</strong> e reduce del Vietnam, vinse il Premio Hugo e il Premio Nebu<strong>la</strong>. Io lo lessi sei o<br />

sette anni dopo, prendendolo in prestito dal<strong>la</strong> biblioteca vicino casa. Iniziata nel 1997, <strong>la</strong> guerra<br />

contro <strong>la</strong> razza extraterrestre dei Taurani si trascina avanti pesantemente, un secolo dopo l’altro. I<br />

soldati che <strong>la</strong> combattono viaggiano, anzi balzano tra una col<strong>la</strong>psar – neologismo haldemaniano che<br />

a me continua a suonare infinitamente meglio che wormhole – e l’altra e invecchiano soltanto di<br />

pochi mesi a ogni campagna, mentre i secoli si susseguono rapidamente sul<strong>la</strong> Terra: una Terra che a<br />

ogni licenza diventa sempre più irriconoscibile. Guerra Eterna <strong>è</strong> un libro straordinario, se ne<br />

potrebbe trarre un film ma <strong>è</strong> meglio di no, al 95% lo stravolgerebbero in una boiata hollywoodiana<br />

tutta chiassosi effetti speciali e testosterone e terrestri buoni contro alieni cattivi, mentre invece <strong>è</strong> un<br />

testo apertamente antimilitarista, pregno altresì di disillusione per il futuro – un futuro che ci tocca<br />

da vicino… Il sorriso standardizzato sulle <strong>la</strong>bbra di tutti, anche quando annunciano: “Nessuna<br />

assistenza medica per sua madre, esatto. Bravo signore, siamo contenti per lei.” “Suo padre ha<br />

avuto un ictus, ma non si preoccupi, capita.” “Stia tranquillo, entro un mese sua sorel<strong>la</strong> se ne andrà<br />

al Creatore.” Brutto riconoscerlo, ma buona parte delle peggiori previsioni dei migliori scrittori di<br />

fantascienza dei decenni passati si <strong>è</strong> avverata; pensate solo a Fahrenheit 451, col suo mondo<br />

completamente pianificato, dove gli individui vivono alienati dal<strong>la</strong> televisione e <strong>la</strong> <strong>città</strong> <strong>è</strong> un mostro<br />

meccanico in cui ogni sentimento <strong>è</strong> stato soppresso. Purtroppo rimangono ancora parecchie brutte<br />

cose da vedere. E le vedremo. Fatevene una ragione.<br />

La perfezione assoluta mascolina non può esistere su questo pianeta, ho scritto qualche post fa. Ma<br />

neanche <strong>la</strong> perfezione assoluta femminile, se <strong>è</strong> per questo. Semplicemente, non esiste l’uomo né <strong>la</strong><br />

donna ideale. Ciò nondimeno dovremo pur avere qualche straccio d’idea su cosa ci intriga di più in<br />

un maschio o una femmina. Io, per me, ho le idee sufficientemente chiare. Se siete magre ma ben<br />

fornite, s<strong>la</strong>nciate, di qualsiasi etnia e/o colore poiché non ho pregiudizi razziali, poco o meglio zero<br />

politicizzate, spiritose, buone forchette, bevitrici di vino e birra e appassionate d’astrofisica, sono<br />

tutto vostro: sempre che io vi piaccia, <strong>è</strong> <strong>la</strong>palissiano. Disgraziatamente, se già <strong>è</strong> un mezzo miracolo<br />

86


incontrare qualcuno/a che conosca l’ordine dei pianeti del Sistema So<strong>la</strong>re, figuriamoci chi abbia una<br />

nozione ancorché vaga di cos’<strong>è</strong> un neutrino – particel<strong>la</strong> materiale elementare estremamente leggera<br />

che <strong>è</strong> soggetta solo al<strong>la</strong> forza debole e al<strong>la</strong> gravità. Grazie, Dottor Hawking.<br />

Ma nel<strong>la</strong> vita mai dire mai. Qualche sera fa, intorno alle 19.30, ho acceso il televisore neo-orfano<br />

del segnale analogico sul Milionario di Gerry Scotti, invero l’erede designato di Mike Buongiorno<br />

quanto a ripetitività e pedanteria. Il concorrente, anzi <strong>la</strong> concorrente, era Alice Simonetti da<br />

Chiaravalle, provincia di Ancona. Ventuno anni e carinissima, nonché promanante simpatia. Mi ha<br />

colpito in fronte come il bolide del<strong>la</strong> taiga. Immaginate poi quando costei ha risposto correttamente<br />

a una domanda riguardante proprio il col<strong>la</strong>sso gravitazionale delle stelle – dico “C”, buco nero,<br />

l’accendiamo – Additando<strong>la</strong>, ho detto: “Ecco <strong>la</strong> donna cui vorrei passare i prossimi 100.000 anni a<br />

viaggiare tra le stelle.” Mi stava quasi scappando di dire <strong>la</strong> <strong>mia</strong> donna ideale. Chi predica bene…<br />

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“Aitziber Omagogeaskoa, �un’s Singer”. Illustrazione di <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, <strong>2009</strong>.<br />

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“Miranda”. Illustrazione di <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, <strong>2009</strong>.<br />

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“Rock Bottom”. Illustrazione di <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, <strong>2009</strong>.<br />

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Posted 10/11/<strong>2009</strong> h 10.50 a.m., CET. Non pensavo, ma col tempo sono diventato un assiduo<br />

lettore del<strong>la</strong> rubrica di Massimo Gramellini su La Stampa “Cuori allo Specchio”. Ci vuole una dose<br />

industriale di empatia nonché obiettività per portare avanti una partaccia del genere. Ma Gramellini<br />

trionfa anche in questo, benché talvolta mi trovi in disaccordo con ciò che scrive. Domenica scorsa,<br />

rispondendo alle <strong>la</strong>mentazioni di una tal Carolina riguardo al<strong>la</strong> regressione sentimentale a livelli<br />

protoscimmieschi del proprio fidanzato, ha inanel<strong>la</strong>to questo gioiello: “Se, da quando hai l’età per<br />

innamorarti, ti innamori di maschi sadici, i casi sono tre: o tutti i maschi sono sadici, o quelli sadici<br />

li incontri tutti tu, oppure hai una vocazione al masochismo sentimentale che si riflette come uno<br />

specchio nelle storie che incroci. Propenderei per <strong>la</strong> terza ipotesi, non foss’altro per <strong>la</strong> manifesta<br />

infondatezza delle altre due.”<br />

Un giudizio peraltro facilmente invertibile al maschile: “Se, da quando hai l’età per innamorarti, ti<br />

innamori di femmine improponibili, i casi sono tre: o tutte le femmine sono bagascione senza cuore<br />

da vidiwall mediasettiano, o quelle bagascione le incontri tutte tu, oppure hai una vocazione innata<br />

all’autolesionismo sentimentale. Propenderei senz’altro per <strong>la</strong> terza ipotesi.” In definitiva io credo<br />

che nelle re<strong>la</strong>zioni sentimentali odierne vi sia il già svariate volte citato eccesso di logorrea nonché<br />

nebulosità d’intenti. Quest’ultima si concentra soprattutto in prossimità del capolinea e se c’<strong>è</strong> carne<br />

fresca in cucina. Exempli gratia: ufficiosamente mi ha mol<strong>la</strong>to, ufficialmente no perché deve ancora<br />

realizzare se il mio rimpiazzo sentimental-scopereccio sarà temporaneo o definitivo. In ogni modo,<br />

mentre lei assapora gioiosa un uccello nuovo, io mi <strong>la</strong>mbicco il cervello nel mio appartamentino da<br />

single col suo spazzolino da denti e i perizomi e il jersey a collo di cigno in stile nouvelle vague –<br />

quant’era sexy quando gironzo<strong>la</strong>va scalza per casa in perizoma e maglioncino di <strong>la</strong>na marrone! E<br />

per aggiungere insulto all’ingiuria, manco risponde alle mie telefonate!<br />

Datemi pure torto, ma se in questa zozza vita fossimo tutti più tranchant risparmieremmo al nostro<br />

prossimo, nonché a noi stessi, tante inutili macerazioni. Ma evidentemente «tenere il piede in due<br />

staffe» <strong>è</strong> archetipico, fa parte di noi – del nostro DNA, aagh, quanto odio quest’espressione, così<br />

come «e quant’altro», «un attimino» «mi consenta» e «di tendenza»! Fuck Off!!!<br />

Concludendo concludendo, vado a riportare uno scioglimento affinché colui o colei che vi ha posto<br />

in T.A.S.S. (Temporanea Animazione Sospesa Sentimentale) venga a prendersi <strong>la</strong> sua rumenta, vi<br />

scongeli e non torni mai mai più. Chiudete gli occhi e pensate fissamente al Mago Gabriel, e lui si<br />

metterà in contatto tele-epatico con voialtri e insieme penserete a colui o colei che a voi vi può da<br />

interessare. Garantito al limone, anzi al cedro che entro diciannove ore e trenta minuti <strong>la</strong> persona in<br />

questione attuerà quanto sopra. E voi potrete andare a ingozzarvi di tartufi al Bagatto di Grazzano<br />

Badoglio senza più nerchie per <strong>la</strong> testa.<br />

“Ma tu, ritieni di essere un masochista sentimentale?”<br />

“Certamente! M’innamoro sempre di donne brodose, <strong>la</strong>ddove invece avrei un dannatissimo bisogno<br />

di re<strong>la</strong>zioni con donne semplici e pragmatiche con una sana voglia di sesso. Credo proprio che al<strong>la</strong><br />

base del mio masochismo vi sia una seria mancanza d’autostima. Ritenendo che quelli come me le<br />

pragmasempliscopone non se li fi<strong>la</strong>no manco di striscio, mi svilisco dietro femmine problematiche<br />

che peraltro, annusando <strong>la</strong> <strong>mia</strong> scarsissima convinzione nel baccagliarle coi loro poteri paranormali,<br />

finiscono rego<strong>la</strong>rmente per rifi<strong>la</strong>rmi un due di picche.”<br />

“E allora?”<br />

“Allora, Steppenwolf! Non <strong>è</strong> mai troppo tardi per ricominciare tutto da capo.”<br />

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“Run Baby Run!” Illustrazione di <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>, <strong>2009</strong>.<br />

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Posted 24/11/<strong>2009</strong> h 10.50 a.m., CET. Benché non sia consigliabile iniziare una frase con una<br />

congiunzione, ma io me ne strafrego poiché scrivo da dio benché ci creda solo io, quindi torno a<br />

ripetere, benché mi sia licenziato da quel<strong>la</strong> fabbrica che fa veicoli industriali esattamente tredici<br />

anni fa, il lunedì mattina continuo a svegliarmi di peste. Il più c<strong>la</strong>ssico dei botta e risposta aziendali<br />

era/<strong>è</strong>: “Come va?” “Da lunedì.” Come dire, dopo un week-end che neanche mi sono potuto godere<br />

appieno per le ragioni più disparate – quel<strong>la</strong> rompicazzo inveterata di <strong>mia</strong> moglie, quel<strong>la</strong> troia del<strong>la</strong><br />

<strong>mia</strong> amante che mi ha mandato in bianco, quei viziatissimi pestiferi ingrati dei miei figli incol<strong>la</strong>ti<br />

al<strong>la</strong> P<strong>la</strong>y tutto il santo sabato e domenica, quegli stronzi disfunzionali dei miei vicini di casa e così<br />

via – eccomi un’altra volta al <strong>la</strong>voro in questa cayenna d’impresa a patire le peggio teste di minchia,<br />

prima fra tutte il mio Capo. Oggi <strong>è</strong> lunedì 23 novembre <strong>2009</strong> e a me, Autore di questo farraginoso<br />

blog, va da lunedì: cio<strong>è</strong>, mi sento più o meno come una pagnotta inzuppata d’acqua spiaccicatasi su<br />

un marciapiede di periferia fra cicche di sigaretta, sputi e deiezioni canine. E dire che non ho (non<br />

ho più) calvari automobilistici da affrontare né badge da passare in pedanti lettori elettronici né<br />

entità premenopausiche in carriera con l’alito pesante cui dover dar retta né niente; oltre a ciò, il<br />

mio weekend <strong>è</strong> passato all’insegna del ri<strong>la</strong>ssamento più totale, tra masterizzazioni di artisti soul,<br />

allenamenti a pelota basca e divano del soggiorno a stuffo: e per quanto concerne <strong>la</strong> <strong>mia</strong> sfera sociosentimentale,<br />

yummy…il principio di indeterminazione di Heisenberg ci ha messo di nuovo lo<br />

zampino.<br />

Nel 1926 il fisico tedesco Werner Heisenberg dimostrò che non si può mai essere certi sia del<strong>la</strong><br />

posizione sia del<strong>la</strong> velocità di una particel<strong>la</strong> subatomica. Quindi non si possono certamente predire<br />

con esattezza gli eventi a venire se non si può misurare con precisione neppure lo stato presente di<br />

quest’infinita zuppa di particelle e atomi che noi chia<strong>mia</strong>mo Universo! Ammenoché non si creda<br />

alle super-intelligenze di Tralfamadore – protagoniste del<strong>la</strong> divertente nonché sulfurea novel<strong>la</strong> di<br />

Kurt Vonnegut Le sirene di Titano, Esse hanno scritto <strong>la</strong> storia dell’Uomo nei minuti dettagli, come<br />

una sorta di gigantesco romanzo, comprendendovi anche il suddetto principio d’indeterminazione.<br />

Tra le tante delizie Le sirene di Titano ci rega<strong>la</strong> <strong>la</strong> più spassosa singo<strong>la</strong>rità spazio-temporale che<br />

fantascienza ricordi: l’infundibulo cronosinc<strong>la</strong>stico. «Crono significa tempo. Sinc<strong>la</strong>stico significa<br />

incurvato nello stesso modo verso tutte le direzioni, come <strong>la</strong> buccia di un’arancia. Infundibulum <strong>è</strong> il<br />

nome con il quale gli antichi romani come Giulio Cesare e Nerone chiamavano un imbuto. Se non<br />

sai che cosa <strong>è</strong> un imbuto, di’ al<strong>la</strong> Mamma di mostrartene uno.» Mio nipote a due anni e mezzo lo<br />

chiamava il buto.<br />

Se già tutto nel mondo <strong>è</strong> indeterminato ancorché collegato, figuratevi le re<strong>la</strong>zioni uomo-donna. Per<br />

quanto riguarda me e qualche milione di maschi sparsi sul pianeta, sembra proprio che le donne<br />

compaiano nel<strong>la</strong> <strong>mia</strong> esistenza quando meno le aspetti e le cerchi – indeterminazione determinata!<br />

All’inizio del corrente mese stavo ancora cronosinc<strong>la</strong>sticoinfabu<strong>la</strong>to nel<strong>la</strong> storia-non storia tra me e<br />

<strong>la</strong> Personcina, quand’ecco che dal mare magnum faccialibrario emerge una donna che non vedevo<br />

né sentivo da diversi anni, con cui ero uscito qualche volta a metà anni Novanta senza sviluppi<br />

eroticamente significativi – nel frattempo lei <strong>è</strong> andata a vivere in un’altra <strong>città</strong>. E <strong>la</strong> fatidica scintil<strong>la</strong><br />

<strong>è</strong> scoccata sulle onde del web, seppure a scoppio ridicolmente ritardato. Al principio del<strong>la</strong> prossima<br />

settimana tornerà a <strong>Torino</strong>, una sera usciremo a cena e succeda quel che succeda.<br />

Comunque Faccialibro mi ha rega<strong>la</strong>to un’altra conoscenza stimo<strong>la</strong>nte, una signorina marchigiana<br />

bel<strong>la</strong> e so<strong>la</strong>re, una ventata d’aria fresca nel marasma di avatar muliebri politicanti, neofemministe,<br />

artistoidi, esibizioniste, monacali. Sì, quando ho iniziato a scrivere questo post mi sentivo come una<br />

rosetta fradicia. Ma ora sto bene. Prevedo che lunedì prossimo starò addirittura meglio: anzi, al<strong>la</strong><br />

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grandissima. Al<strong>la</strong> faccia del<strong>la</strong> fottuta Sindrome del Lunedì, di chi crede nei luoghi comuni e di<br />

coloro non vogliono entrare nel mio mondo.<br />

Tina Weymouth.<br />

94


"B".<br />

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Sharing a Friendly Moment...<br />

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Posted 10/12/<strong>2009</strong> h 10.50 a.m., CET. “Ma che <strong>è</strong> successo al<strong>la</strong> fine, Mauri?” Simu<strong>la</strong>zione di risata<br />

feisbuchiana. “E perdindirindina, sbi<strong>la</strong>nciati!” Eh no che non mi sbi<strong>la</strong>ncio, anzi mi appello nonché<br />

appiglio al Quinto Emendamento Anti-Gossip. Dirò solo, in stile Mago Gabriel: cosa stupentemente<br />

bel<strong>la</strong>. E ribadisco per l’ennesima volta: il luogo comune <strong>è</strong> bugia, e colui o colei che ci creda, un<br />

insensato. Per esempio, non <strong>è</strong> scritto sul<strong>la</strong> pietra che ogni, ripeto OGNI <strong>la</strong>sciata sia veramente persa.<br />

Heisenberg, carissimi amici e amiche. Neanche i buchi neri sono poi così neri. I cosiddetti buchi<br />

neri primordiali, per esempio, emettono impulsi gamma e raggi X. Quindi non <strong>è</strong> che siano poi così<br />

goticamente oscuri. Insomma, guai ad adagiarsi sul comodo materasso del fatalismo popo<strong>la</strong>resco.<br />

Mai perdersi d’animo, maiiii. Se <strong>è</strong> pur assodato che nasciamo con le carte già date, poi sta a noi<br />

come giocarcele.<br />

“Tutto torna”, dice Charlie Crews.<br />

Mi ero ripromesso di chiudere questo blog qualora mi fosse successa, per l’appunto gulisaniano,<br />

una cosa stupentemente bel<strong>la</strong> nell’antamento sentimentale. Ecco fatto. Nondimeno, detto col cuore<br />

in mano, considero <strong>Figomania</strong> e Figofobia un fallimento c<strong>la</strong>moroso sotto ogni profilo. Sono stato<br />

equanime nelle mie opinioni? Obiettivamente, no. Ho offerto una visione chiara dello zeitgeist? Più<br />

nebulosa di così c’<strong>è</strong> soltanto <strong>la</strong> Nube di Magel<strong>la</strong>no. Partito per <strong>la</strong> tangente? Spesso e volentieri. Ma<br />

soprattutto, ho ricevuto feedback? Pfui. Sarà pure che il non utilizzo di una piattaforma comunitaria<br />

per i miei vaniloqui al Barbera rende difficilmente localizzabile FigoFobicMania nel pantha<strong>la</strong>ssa<br />

internettiano, ma non mi si fi<strong>la</strong> nessuno – tranne <strong>la</strong> loggia degli ammiratori di Francesca Mazzo<strong>la</strong>i,<br />

che ringrazio sinceramente per l’attenzione e le fotografie.<br />

Pazienza! Magari tra quattrocento anni sarò rivalutato da una conturbante aliena specializzanda in<br />

esosessuologia in vacanza-studio tra le rovine del nostro pianeta. Magari costei mi clonerà dal Dna<br />

che or ora sto depositando in abbondanza sul<strong>la</strong> tastiera di questo notebook e porterà all’esame di<br />

<strong>la</strong>urea <strong>la</strong> sua notte d’amore con me – al termine del<strong>la</strong> quale, manco a dirlo, verrò nebulizzato con un<br />

battito di ciglia phaser. Intanto io auguro a tutti e tutte Buon Natale e Felice Anno Nuovo <strong>2009</strong>. Con<br />

una preghiera: basta pippe (bye bye!, eheheh) o ditalini mentali, Marte Venere e Titano, tutti stronzi<br />

gli uomini e tutte zoccole le donne. La vita <strong>è</strong> troppo breve per dissipar<strong>la</strong> dietro i preconcetti.<br />

Abbandonatevi al<strong>la</strong> corrente dei sentimenti. Go with the flow. Ciò vale anche per me. Soprattutto<br />

per me.<br />

“Sì, vabbé, go uit e b<strong>la</strong> b<strong>la</strong> b<strong>la</strong>. Com’<strong>è</strong> andata?”<br />

“Ahahah. SONO CAZZI MIEI.”<br />

97<br />

© <strong>2008</strong>, <strong>2009</strong> <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>. Tutti i diritti riservati.


Tony Sales.<br />

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Fujiko: il vero sex-symbol del<strong>la</strong> postmodernità.<br />

99


CRESCERE �ELLA �OIA<br />

SE�ZA SAPERE COSA FARE<br />

CRESCERE �ELLA �OIA<br />

SE�ZA U� FUTURO I� CUI SPERARE<br />

I� U�A CITTÀ DOVE �O� SUCCEDE MAI �IE�TE<br />

TORI�O È LA MIA CITTÀ<br />

(TORI�O È LA MIA CITTÀ)<br />

TORI�O È LA MIA CITTÀ (TORI�O È LA MIA CITTÀ)<br />

TORI�O È LA MIA CITTÀ (TORI�O È LA MIA CITTÀ)<br />

TORI�O È LA MIA CITTÀ LA LA LA MIA CITTÀ<br />

…stai zitto o scippi botte!<br />

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