46CAPITOLO IIFinì così la parte facile della mia vita, senza preoccupazioni e con poca responsabilità.Durò ventidue anni ed è stato il solo periodo in cui ho fatto parte di una famiglia, godendodell’ambiente, del prestigio e della sicurezza che ciò comportava. Mi sono divertita, hoincontrato molta gente e viaggiato molto. Ho attraversato tante di quelle volte la Manica,avanti e indietro, da non saperle contare. Per fortuna non soffro di mal di mare, e amo il marein qualsiasi condizione. Delle amicizie ne ricordo solo una, che dura tuttora per contattoepistolare. Ci conoscemmo in Svizzera e imparammo assieme a fare il merletto a puntoirlandese. Sono stata sempre orgogliosa di questi miei lavori, specialmente una volta quandovendetti due yard di trine a 30 dollari l’una, destinando i proventi a un’AssociazioneMissionaria, poiché allora non avevo bisogno di denaro.Ma ora sentivo la necessità di rendermi utile al mondo e di giustificare la mia esistenza. Inquei giorni esprimevo questo forte desiderio pensando che se Gesù visse operando il bene, inquanto Sua seguace dovevo fare altrettanto. Così mi diedi, con forza e fanatismo, a “fare ilbene”. Divenni evangelista per l’esercito britannico.47 Rivedendo quel periodo in cui lavoravo come evangelista fra le truppe britanniche, mirendo conto che è stato il più felice e il più soddisfacente di tutta la mia vita. Ero contenta dime e di ciò che mi riguardava. Facevo quello che volevo fare e con molto successo. Non avevoun pensiero al mondo e (a parte il mio lavoro) nessuna responsabilità. È stato un cicloimportante che ha completamente trasformato ogni mio atteggiamento. Quanto avvenne alloranon fu palese, ma produsse grandi cambiamenti interiori. Ero così estroversa in ogni miopensiero e attività, che ne rimasi relativamente inconsapevole. Avevo decisamente rotto con lamia famiglia e posto fine alla mia vita di ragazza della buona società.Quando dico che ho “nettamente rotto” con la famiglia non significa che interruppi tutti irapporti. Restai sempre in contatto con la mia famiglia, allora e oggi, ma le nostre stradedivergevano, gli interessi erano e sono ampiamente differenti, e il nostro è un rapporto diamicizia e non parentale. Ritengo, tutto sommato, di avere avuto una vita molto piùinteressante e stimolante della loro. Non ho mai pensato che i legami di sangue contino poitanto. Per quale motivo stare assieme e affezionarsi solo perché — in buona e cattiva sorte —si hanno gli stessi nonni? Non sembra logico, ed è causa di molti guai. È bello se amicizia eparentela coincidono, ma per me la comunione degli interessi e degli atteggiamenti condivisiverso la vita, sono molto più importanti dei legami di sangue. Preferisco che le mie figlie miamino perché sono loro amica e degna del loro affetto. Non mi aspetto da loro fiducia esimpatia, solo in quanto madre. Le amo per quello che sono e non tanto perché mie figlie.Penso che i genitori, esaurito il compito di curarsi fisicamente dei piccoli, farebbero bene acoltivarne piuttosto l’amicizia.48 Ero assolutamente sicura di tutto (come mi sembra meraviglioso, oggi, e deliziosamenteingenuo) — Dio, la dottrina, le mie capacità, ero sicura della mia conoscenza e dei mieiinfallibili consigli. Avevo una risposta per tutto e sapevo quello che si doveva fare.Maneggiavo la vita e le situazioni col tocco sicuro della mia completa inesperienza, e la miasoluzione a tutti i problemi e la mia cura per ogni malato si riduceva a rispondere a una soladomanda: “Cosa farebbe Gesù in simili circostanze?”. Una volta deciso ciò che Egli avrebbefatto (ma come potevo saperlo?) andavo avanti e lo facevo, o consigliavo di seguire la stessaregola. Nello stesso tempo, in modo tacito e inconsapevole, cominciavo a pormi domande cuirifiutavo di dare risposta, e sotto tutta la sicurezza e il dogmatismo, grandi cambiamenti sipreparavano. So che allora avanzai decisamente sul Sentiero. Lentamente, senza saperlo nellamia coscienza cerebrale, passavo dall’autorità all’esperienza e, da una credenza limitata eteologica nell’ispirazione delle Scritture e nelle interpretazioni della mia particolare23
convinzione religiosa, a una conoscenza certa e sicura di quelle verità spirituali che i misticihanno sempre testimoniato e per le quali patirono fino a morirne.Alla fine mi ritrovai in possesso di una conoscenza che, a differenza delle mie credenzeprecedenti, superò l’esame del tempo e delle difficoltà. È una conoscenza che continua arivelarmi quanto sia immenso ciò che devo ancora imparare. La vera conoscenza non è maistatica; non è che una porta che si apre su prospettive sempre più vaste di saggezza,conseguimenti e comprensione. È un processo di crescita vivente. La conoscenza devecondurre da un’espansione a un’altra. È come salire in cima a una montagna e — una voltaarrivati in vetta — scorgere improvvisamente una terra promessa verso cui inevitabilmenteprocedere; ma (oltre quella terra promessa e lontana) vedere un’altra cima che nasconde, a suavolta, più ampie distese.49 Un tempo avevo l’abitudine di guardare dalla finestra della mia camera per vedere inlontananza quello stupendo ammasso di montagne che è il Kanchenjunga, una delle vette piùalte dell’Himalaya. Sembrava così vicino e raggiungibile in un giorno di cammino, ma sapevoche un alpinista esperto avrebbe impiegato almeno dodici settimane di dura marcia, e che poil’attendeva una terribile arrampicata fino alla vetta — impresa raramente compiuta. Lo stessovale per la conoscenza. Ciò che è veramente prezioso non è facile da raggiungere ed è solo labase di una conoscenza maggiore.Quelli che mi riempiono di compassione e che mi fanno capire quanto sia necessaria lapazienza, sono coloro che credono di avere tutte le risposte. Così ero io in quei primi anni enon sapevo burlarmi di me stessa. Mi prendevo troppo sul serio. Oggi so ridere e sono benconvinta di non sapere tutto. Ho poca o nessuna dottrina e dogmi. Sono sicura dell’esistenzadel Cristo e dei Maestri Suoi discepoli. Sono certa che esiste un Piano che Essi promuovono inTerra e credo che siano la risposta e la garanzia del conseguimento ultimo dell’uomo, e chetutti un giorno saremo come Loro. Non riesco più a dire con sicurezza ciò che gli altri devonofare. Raramente, quindi, do consigli. Certamente non pretendo di interpretare la mente divina esapere ciò che Dio vuole, come fanno i teologi.Nel corso della vita sono venute da me migliaia di persone per avere interpretazioni,consigli e suggerimenti su cosa fare. Un tempo la segretaria mi fissava appuntamenti ogni 20minuti. Forse erano così numerosi perché non chiedevo denaro, e alla gente piacciono le cosegratis.50 Qualche volta, se il soggetto era aperto e desideroso di ascoltare, ero forse di aiuto, ma perlo più la gente vuole solo parlare e fare in modo che le loro idee preconcette siano giustificate;sanno già in anticipo ciò che verrà loro detto. Normalmente, la mia tecnica è stata di lasciarliparlare: dopo di che spesso avevano trovato la risposta e risolto da sé i loro problemi, il che èsempre molto più sano ed efficace. Se però vogliono solo ascoltarsi, credendo di sapere tutto,non posso dare aiuto e sovente ne ho paura.Non m’importa se si condivide o no la mia particolare conoscenza o forma di verità (tuttidobbiamo averne una) ma è impossibile aiutare chi è completamente soddisfatto della sua. Perme l’inferno finale (se esiste, e ne dubito molto) sarebbe il completo appagamento del propriopunto di vista; una condizione talmente statica da bloccare per sempre ogni evoluzione dipensiero e qualsiasi progresso. So però che l’evoluzione è lunga e costante; la storia e le civiltàlo provano. So anche che oltre tutti i processi intelligenti esiste un’Intelligenza superiore e cheil ristagno è impossibile.Ma allora non ero che una convinta Fondamentalista. Iniziai la mia carriera del tutto sicurache alcune dottrine teologiche fondamentali, così come espresse da eminenti ecclesiastici,fossero i compendi della verità divina. Sapevo esattamente ciò che Dio voleva e (per la miatotale ignoranza) ero pronta a discutere di qualsiasi argomento, convinta che il mio punto divista era giusto. Oggi, spesso, sento che esistono probabilità di errore nelle mie diagnosi econsigli. Ho anche fede nell’anima umana e nella sua capacità di condurre l’uomo“dall’oscurità alla luce e dall’irreale al Reale”, per citare un’antichissima preghiera.24
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