Scozia, un’altra in Inghilterra e poi ripresi il piroscafo per l’India. Ho trascorso molti giorni e,nel complesso, mesi sull’oceano. Ho perso il conto di quante volte ho attraversato l’Atlantico.81 Continuavo a predicare rigorosamente la vecchia religione. Ero ancora rigidamenteortodossa o meglio — termine più moderno — una Fondamentalista non pensante, perchénessun Fondamentalista usa la mente. Avevo discussioni con soldati e ufficiali di mentalitàlibera, ma aderivo con fermezza dogmatica alla dottrina secondo cui nessuno può esseresalvato in Paradiso, se non crede che Gesù è morto per i suoi peccati, per placare un Dio irato,o se non si converte, il che significa confessare i peccati e rinunciare a tutto ciò che gli piace.Non bere, né giocare a carte, né imprecare, niente teatro e, naturalmente, niente donne. Se nonsi cambia la vita si va inevitabilmente all’inferno, a bruciare per l’eternità in un lago di fuoco ezolfo. Poco a poco, però, i dubbi cominciarono a insinuarsi nella mia mente e tre episodipresero proporzioni mentali tali da avere il sopravvento. Le loro implicazioni mi tormentavanoe furono in gran parte responsabili di un mutato atteggiamento verso Dio e la salvezza eterna.Lasciatemeli raccontare e vedrete gli sviluppi della mia agitazione interiore.Molti anni prima, quando ero ancora una ragazzina, mia zia in Scozia aveva una cuocachiamata Jessie Duncan. Eravamo sempre state grandi amiche, fin da quando scappavo da leiin cucina per avere un pezzo di torta che sapevo esserci sempre. Di giorno si comportava dabrava domestica, si alzava quando entravo in cucina, non sedeva mai in mia presenza, parlavasolo se interpellata ed era del tutto corretta con me e con chiunque. Ma la sera, esaurite le suemansioni e quando ero già a letto, saliva nella mia camera, e si sedeva sul bordo del letto aparlare. Era un’ottima cristiana. Mi voleva bene e mi vedeva crescere con interesse. Era la miaamica intima e mi sgridava quando lo credeva opportuno. Se non le piaceva il mio modo difare me lo diceva. Se in cucina si facevano chiacchiere sul mio comportamento maleducato losentivo da lei. Se era contenta della mia condotta generale, me lo diceva. Non penso che moltiin America capiscano o apprezzino l’amicizia e il rapporto che può esistere tra le così detteclassi superiori e i loro domestici. Eppure può esserci vera amicizia e profondo affetto daentrambe le parti.82 Una sera Jessie venne da me. Quel pomeriggio avevo parlato sul Vangelo in una piccolasala del villaggio, e pensavo di essermi comportata molto bene. Ero ben contenta di me stessa.Jessie aveva assistito con il resto della servitù e scoprii che mi aveva ascoltata inatteggiamento di critica e non era per nulla soddisfatta. Discutevamo della riunione quando aun tratto si chinò, mi prese per le spalle e mi scosse lievemente per dare enfasi a ciò che avevada dire: “Imparerà mai, miss <strong>Alice</strong>, che ci sono dodici porte che danno nella Città Santa e cheognuno passerà dall’una o dall’altra. S’incontreranno tutti nella piazza, ma non tuttipasseranno per la porta che vuole lei”. Non potevo capire e lei fu abbastanza saggia da nondire altro. Non dimenticai mai le sue parole. Mi diede una delle prime lezioni sull’ampiezza divisione e sull’immensità dell’amore di Dio e dei Suoi preparativi per il Suo popolo. Ella nonsapeva che le sue parole sarebbero state riproposte a migliaia di persone, durante le mieconferenze.Un’altra fase della lezione mi fu data in India. Ero andata a Umballa per aprirvi una Casa eavevo con me un vecchio portatore, un indigeno di nome Bugaloo. Forse il nome non è scrittobene, ma non ha importanza. Credo che mi amasse davvero. Era un uomo anziano e distinto,con una lunga barba bianca e se era nei paraggi non permetteva che altri facessero qualcosaper me. Si occupava di me con l’attenzione più meticolosa, viaggiava sempre con me, siprendeva cura della mia stanza e ogni giorno mi serviva la colazione.83 Un giorno a Mumballa guardavo dalla veranda la strada con la sua composita, sterminatafolla di indiani-induisti, maomettani, pathan, sikh, gurka, rajput e babu, spazzini, uomini,donne e bambini che sfilavano senza sosta. Passavano silenziosi, venivano da qualche parte,andavano da qualche parte, pensando qualcosa, ed erano senza numero. Improvvisamente ilvecchio Bugaloo mi mise la mano sul braccio (cosa che nessun domestico indiano si permettedi fare) e lo scosse leggermente per attirare la mia attenzione. Poi disse nel suo curioso37
inglese: “Ascolta Missy Baba. Milioni qui. Milioni molto prima che voi inglesi veniste qui. Lostesso Dio ama me come voi”. Mi sono spesso domandata chi fosse, e se il Maestro K.H. loavesse usato per rompere la mia corazza di formalismo. Quel vecchio portatore sembrava unsanto e si comportava come tale, probabilmente era un discepolo. Era lo stesso problema cheJessie Duncan mi aveva fatto osservare — il problema dell’amore di Dio. Cosa aveva fattoDio dei milioni di uomini vissuti nel mondo prima della venuta di Cristo? Erano tutti mortisenza salvezza, e dunque andati all’inferno? Conoscevo l’argomento trito, che il Cristo nei tregiorni dopo la morte scese fra “gli spiriti imprigionati”, cioè all’inferno, ma non mi sembravagiusto. Perché dar loro quella breve occasione di tre giorni, dopo innumerevoli anni di inferno,solo perché toccò loro di vivere prima di Cristo? Queste domande interne strepitavano nel mioudito spirituale.84 Il terzo episodio avvenne a Quetta. Avevo deciso che, sia per la pace della mia mente cheper il bene dei soldati, era assolutamente necessario che io parlassi dell’inferno. In tutti i mieianni di evangelista non avevo mai fatto niente di simile. Avevo eluso il problema, restando aisuoi margini. Non avevo mai dichiarato in modo esplicito che l’inferno esiste e che ci credevo.Non ne ero del tutto convinta. La sola cosa di cui ero sicura era la mia salvezza e che non cisarei andata.Però se esisteva bisognava parlarne, soprattutto perché Dio usava molto l’inferno perdepositarvi gli indesiderabili. Così decisi di leggere e documentarmi meglio sull’argomento.Lo studiai per un mese e in particolare lessi le opere di uno sgradevole teologo, JonathanEdwards. Quanto sono abominevoli i suoi sermoni! Sono veramente atroci e dimostrano unanatura sadica. In uno, ad esempio, parla dei bambini morti senza battesimo e li chiama“piccole vipere” che finiscono arrostite nel fuoco infernale. Adesso mi sembra davverodisgustoso e ingiusto. Non avevano chiesto di nascere; non erano cresciuti abbastanza persapere di Gesù, e perché dovevano patire fra le fiamme per l’eternità? Ero satura del pensierodell’inferno e ardente d’informazioni e, senza pensare che nessuno tornò mai dall’inferno perdirci se esiste, salii quel pomeriggio sulla pedana davanti a 500 uomini, pronta a terrorizzarlisui tribunali del cielo.Era una stanza immensa, con grandi porte finestre che si aprivano su un giardino di rose inpiena fioritura. Versai a fiotti la mia lezione; declamai sbraitando; parlai e misi in rilievo ilpericolo spaventoso che correva ciascuno del pubblico. Mi lasciai portare dall’argomento, enel pensiero dell’inferno, dimenticai quanto mi circondava. D’un tratto, ma dopo mezz’ora, miresi conto che non avevo uditorio. Uno alla volta si erano defilati dalle vetrate. Avevanoascoltato fino a non poterne più e si erano poi radunati tra le rose per ridere alle spalle dellapovera sciocca.85 Ero rimasta con un gruppetto di mentalità religiosa (chiamati con irriverenza “i fissati dellaBibbia” dai loro camerati). Erano membri del gruppo che si riuniva per la preghiera esilenziosi, imperturbati e con rispetto aspettavano che io finissi. Una volta terminato, quandoebbi faticosamente concluso, un sergente, con uno sguardo di compatimento, mi disse:“Signorina, fin tanto che lei parla della verità ascoltiamo quanto ha da dire, lo sa bene, ma se simette a dire bugie, i più se ne vanno”. Fu una lezione drastica e violenta che in quel momentonon compresi. Ero convinta che la Bibbia insegnasse l’inferno e tutti i miei valori stavano percrollare. Se l’insegnamento sull’inferno non era vero, cos’altro c’era di falso?Questi tre episodi scatenarono nella mia mente violenti interrogativi e alla finecontribuirono a provocare un esaurimento nervoso. Avevo sempre sbagliato? C’era ancoraqualcosa da imparare? C’erano altri punti di vista altrettanto giusti? Sapevo che molte amabilipersone non la pensavano come me e mi dispiaceva per loro. Dio era proprio come Lo avevoimmaginato e (pensiero terribile) se veramente capivo Lui e ciò che voleva, non poteva essereDio — poiché era dovunque limitato come me. Se esisteva un inferno, perché Dio spedivamolti in quel luogo così sgradevole, se Dio è amore? Io non l’avrei fatto. Avrei detto “Se nonpotete credermi, mi dispiace, perché ne vale la pena, ma non posso né intendo punirvi solo per38
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