so che mi detesterete e sarà meglio che mi cerchi un altro tavolo”. Scese un silenzio di tomba.Poi uno di loro (con un nome ben noto, che non menziono) si alzò, si sporse attraverso iltavolo, tese la mano e disse: “Mi dia la mano. Se rimarrà con noi, faremo del nostro meglio peressere bravi”. Ebbi così il più piacevole dei viaggi. Furono incredibilmente gentili con me e liricordo con affetto e gratitudine.66 Fu il mio viaggio più bello, e avendo fatto Londra-Bombay sei volte in cinque anni, ne houna certa esperienza. Se per loro fu altrettanto bello non so, ma ebbero con me modiimpeccabili. Uno di loro in seguito mi spedì molti libri religiosi per le Case del Soldato. Unaltro inviò un assegno cospicuo e un altro ancora, dirigente delle ferrovie, mi spedì una tesseraper viaggiare gratis nelle ferrovie di tutta la grande Penisola Indiana, che ho sempre usatolaggiù.Giunta a Bombay mi aspettavo di trasbordare su un battello della British India alla volta diKarachi e quindi di Quetta, nel Baluchistan. Ma quella volta non doveva andare così, sebbenefeci quel viaggio in seguito. Un telegramma mi disse di sbarcare a Bombay e prenderel’espresso per Meerut, nell’India centrale. Ero terrorizzata. Mai avevo fatto un viaggio da sola.Ero in un continente dove non conoscevo anima viva e dovevo cambiare non solo il miobiglietto via mare per Karachi, ma anche prendere il biglietto del treno per Meerut. Come unpiccione viaggiatore mi precipitai all’Y.W.C.A. dove furono molto gentili e sbrigarono quellepratiche. Ricordate che ero giovane e carina, e che le ragazze allora non facevano cose così.Alla stazione di Bombay ebbi un’esperienza umana e istruttiva, che valse a dimostrarmiquanto siano meravigliosi gli esseri umani, e questa è appunto una delle cose che mi propongodi illustrare con questo libro. Ero, avrete notato, molto saccente, anche se di buone intenzioni.67 Ero quasi troppo brava per vivere e, certamente, abbastanza santa da essere odiata. Nonavevo partecipato alla vita di bordo, ma mi ero pavoneggiata su e giù per il ponte con la miagrande Bibbia sotto il braccio. A bordo c’era un uomo che io non potevo soffrire, fin dallapartenza da Londra. Era l’animatore del piroscafo; gestiva le scommesse quotidiane; apriva ledanze e organizzava gli spettacoli; giocava a carte e sapevo che beveva un’eccessiva quantitàdi whisky e soda. Per tutte le tre settimane del viaggio lo guardai con sdegno. Per me era undiavolo. Mi rivolse la parola un paio di volte, ma chiarii subito che non volevo avere niente ache fare con lui. Quel giorno, mentre aspettavo il treno nella grande stazione di Bombay,impaurita, irrigidita, desiderando di non essere mai venuta, quell’uomo mi venne incontro e midisse: “Signorina, so che non le piaccio, me lo ha già dimostrato chiaramente, ma ho una figliache ha circa la sua età e non vorrei proprio che viaggiasse sola in India. Che le piaccia o no, leimi mostrerà il suo scompartimento. Voglio vedere chi viaggerà con lei, poi lei sarà libera difare quello che vuole. Le procurerò anche il pasto nelle stazioni dove scenderemo a mangiare”.Non so cosa mi prese, ma lo guardai dritto negli occhi e risposi: “Ho paura. Per favore miaiuti”. Lo fece nel modo migliore e l’ultima volta che lo vidi era in pigiama e vestaglia, dinotte, in mezzo ai binari mentre dava una mancia a una guardia che si prendesse cura di me,poiché non poteva proseguire nella mia direzione.Tre anni più tardi, ero a Rhanikhet nell’Himalaya per aprirvi una nuova Casa del Soldato.Giunse un corriere da un distretto lontano con un biglietto di un amico di quell’uomo. Mipregava di andare da lui, che gli restava poco tempo da vivere e aveva bisogno di aiutospirituale. La mia collega si rifiutò di lasciarmi andare da lui; mi faceva da accompagnatriceed era assai scandalizzata. Non andai, ed egli morì da solo. Non me lo sono mai perdonato —ma che potevo fare? La tradizione, le abitudini e chi mi era superiore mi bloccarono, ma misentii infelice e impotente.68 Durante il viaggio da Bombay a Meerut una sera a cena mi disse, senza tanti complimenti,che io non ero affatto la puritana dall’aria compiaciuta che sembravo, e che un giorno avreiscoperto di essere un essere umano. In quel momento versava in gravi difficoltà, perché nonaiutarlo? Tornava dall’Inghilterra dove aveva ricoverato la moglie in un manicomio; il suounico figlio era stato appena ucciso e la figlia era fuggita con un uomo sposato. Non gli era31
imasto nessuno. Non voleva altro che una buona parola da me. Gli parlai, perché cominciavaa piacermi. Quando stava per morire mi mandò a chiamare. Io non ci andai, e me ne dolgo.Da quel momento in poi la mia vita divenne febbrile. Dovevo (in assenza della signorinaSchofield) rispondere di numerose Case del Soldato — Quetta — Meerut — Lucknow —Chakrata — e di altre due che aiutai ad aprire — Umballa e Rhanikhat — nell’Himalaya, nonmolto lontano da Almora. Chakrata e Rhanikhat erano a circa milleseicento metri di altezza ederano stazioni estive. Da maggio a settembre diventavamo “pappagalli di collina”. Un’altracasa era a Rawalpindi, ma di quella non dovetti mai occuparmi, salvo per un mese, allorchésostituii la responsabile, Miss Ashe. In ognuna di queste Case c’erano due donne e duedirettori responsabili dello spaccio e della manutenzione generale. Erano di solito ex soldati,così gentili e servizievoli che ne serbo un bellissimo ricordo.69 Ero così giovane e inesperta; non conoscevo nessuno nell’intero continente asiatico eavevo bisogno di protezione più di quanto credessi. Ero incline a fare le cose più stupide, soloperché non conoscevo il male e non avevo la più pallida idea di cosa può succedere a unaragazza. Una volta, per esempio, ero in preda a un terribile mal di denti, al punto da nonpoterlo sopportare. Allora non c’era un dentista in quel dipartimento e solo ogni tanto necapitava uno itinerante, (normalmente americano), il quale s’installava nel “dak” (o locanda)ed eseguiva il suo lavoro. Seppi che ce n’era uno in città e così andai, tutta sola, senza farneparola alla mia collega. Trovai un giovane americano e un altro uomo, suo assistente. Il denteera in brutte condizioni e doveva essere estratto, così lo pregai di anestetizzarmi e di toglierlo.Mi guardò in maniera alquanto strana, ma fece quanto gli avevo richiesto. Quando mirisvegliai e ripresi i sensi, mi fece una specie di predica, dicendo che non avevo modo disapere se lui era un uomo per bene, che mentre ero addormentata ero in suo potere e chesapeva per esperienza che i vagabondi dell’India non erano migliori degli altri. Prima dilasciarmi andare mi fece promettere di essere più attenta in futuro. In generale lo sono stata elo ricordo con gratitudine, anche se ne ho dimenticato il nome. Allora non avevo la minimapaura; ignoravo cosa volesse dire avere paura. Ciò in parte era dovuto a una naturaleincoscienza, in parte all’ignoranza e in parte alla sicurezza che Dio si curava di me. A quantopare supponevo che Egli operasse secondo quel principio per cui ubriachi, bambini e sciocchinon sono responsabili e devono essere sorvegliati.Dapprima dunque andai a Meerut, dove conobbi Miss Schofield che mi insegnò le cosenecessarie per poterla temporaneamente sostituire. La difficoltà maggiore era che, in realtà,ero troppo giovane per quella responsabilità. Si richiedeva troppo da me. Non avevoesperienza e quindi nessun senso dei valori. Cose senza importanza mi terrorizzavano, altremolto serie mi lasciavano indifferente. Nel corso degli anni, e ripensando a quel periodo, tuttosommato non penso di essermela cavata tanto male.70 All’inizio fui quasi stordita dalla bellezza dell’Oriente. Tutto era così nuovo, strano e deltutto diverso da quanto mi ero immaginata. Il colore, i bellissimi edifici, lo sporco e il degrado,le palme e i bambù, i bambini deliziosi e le donne (a quei tempi) con le brocche sul capo;bufali acquatici e strane carrozze quali i gharries e gli ekkas (chissà se ci sono ancora), bazaraffollatissimi e stradine piene di botteghe, monili d’argento e bellissimi tappeti, indigeni dalpasso felpato, mussulmani, induisti, sikhs, rajputs, gurkhas, soldati indigeni e poliziotti, ognitanto un elefante con il suo mahout, odori strani, lingue sconosciute, e sempre il sole, salvo nelperiodo dei monsoni — e caldo sempre e ovunque. Ecco alcuni ricordi di quel tempo. Amavol’India. Ho sempre sperato di tornarci, ma temo che mi sarà impossibile in questa vita. Homolti amici in India e molti amici indiani in altri paesi. So qualcosa del problema dell’India,della sua aspirazione all’indipendenza, dei suoi conflitti e lotte interne, delle sue molteplicilingue e razze, della sovrappopolazione e dei suoi tanti credo. Non ne ho una conoscenzamolto profonda perché ci sono rimasta pochi anni, ma adoravo quel popolo.71 La gente qui negli Stati Uniti non sa niente di questo problema, ed è la ragione per cuidanno consigli alla Gran Bretagna sul da farsi. I discorsi fanatici dei focosi induisti qui32
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