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Documento PDF - OPAR L'Orientale Open Archive - Università degli ...

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L’Argentina chiuse le frontiere tra il 1931 e il 1935, mentre le nuove disposizionidel 1940 limitarono l’ingresso solo a chi intendesse lavorare nei campi. Il Messicoproibì l’entrata ai lavoratori immigrati nel 1936, ammettendo solo chi disponessedi sufficienti risorse economiche per sopravvivere. Il Cile adottò una politica dicolonizzazione agricola, piuttosto che di immigrazione, favorendo l’arrivo difamiglie tedesche e italiane (Sánchez-Albornoz, 1977).Assieme alle misure di controllo <strong>degli</strong> immigrati e dell’immigrazione, a partiredagli anni Trenta e per tutto il periodo della seconda Guerra Mondiale sisvilupperà un dibattito sulle conseguenze politiche e culturali derivanti dallapresenza di una quantità tanto grande di immigrati. Si discusse sull’unitànazionale e su quanto questi immigrati potessero intervenire nella costruzionedell’identità nazionale o piuttosto rovinarla. L’idea di base era che gli immigrati,benchè culturalmente diversi tra di loro, avessero una caratteristica comune,ovvero quella di essere di ostacolo alla crescita di un’appartenenza comune allanazione. La resistenza opposta dalle diverse comunità immigrate alla totaleintegrazione linguistica e culturale, la creazione di reti comunitarie all’internodelle quali mantenere le proprie tradizioni e il proprio idioma, il mancatoconseguimento della completa assimilazione alle nuove società, erano fattori chemisuravano il pericolo rappresentato dagli immigrati stessi, nonostante fino adallora fossero stati il motore della crescita economica, sociale e culturale deidiversi paesi latinoamericani, e che vennero additati come indesiderati. Si sentì lanecessità di limitare l’ingresso di nuovi immigrati e di isolare quei gruppi cheavessero mantenuto una maggiore continuità culturale col proprio paesed’origine e, quindi, un maggiore grado di “diversità” rispetto al resto dellasocietà in cui vivevano. Fortunatamente questa avversione nei confronti <strong>degli</strong>immigrati non si tradusse mai in leggi palesemente discriminatorie, perchéqueste sarebbero entrate in diretto conflitto con la stessa natura multietnica deipaesi latinoamericani, costruita, nel tempo, proprio grazie all’arrivo <strong>degli</strong>immigrati.Eppure, anche se non è possibile parlare di discriminazione nel senso stretto deltermine, di sicuro questi furono anni di forte pressione per gli immigrati. Per lagran parte di quelli giunti per primi, Spagnoli o Italiani ad esempio, presenti nelcontinente ormai da più di un secolo, questa pressione non fu molto sentita.Intanto perché si era ormai verificata un’assimilazione quasi totale: i figli <strong>degli</strong>immigrati, le seconde o terze generazioni, parlavano spagnolo, vivevano nellecittà, partecipavano attivamente all’economia nazionale, avevano un livello diistruzione mediamente alto, erano parte integrante del ceto medio delle societàlatinoamericane. Diverso il discorso per quei gruppi minoritari, come i Sirolibanesio i Giapponesi, perché per loro la conservazione della lingua e dellacultura originaria rimaneva ancora forte. Tra i più colpiti, all’inizio della seconda- 37 -

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