accecati dalle forze ist<strong>in</strong>tuali della fame di cibo e disesso. E si sente anche che su di loro è caduto qualcheterm<strong>in</strong>e o qualche espressione della cultura ufficiale,l’hanno orecchiato e hanno cercato di applicarlo,ma sono riusciti a farlo soltanto <strong>in</strong> modo approssimativo.D’altra parte non potevano fare meglio odiversamente.La cultura dei due è estremamente limitata: Bilóracommette un omicidio senza pensarci troppo. Si preoccupadi vendere il tabarro <strong>in</strong> cambio di un cavallo(uno scambio impossibile, ma egli non ha esperienzadi compravendita). Pitàro ha una qualche vaga idea diche cosa sia la captatio benevolentiae. In proposito dàconsigli a Bilóra (ad Andrónico deve dare dell’Illustrissimoecc.), ma poi egli stessi si dimentica di farlo(e dà dell’impotente ad Andrónico, gli dice chiaramenteche la donna non è una pentola per il suo mestolo).Certamente è più avveduto, e lo scarica <strong>in</strong>tempo, prima di esser co<strong>in</strong>volto <strong>in</strong> uno stupido delitto.Stupido per lui e per il suo mondo di città, chesanno pensare alle conseguenze implacabili che esconodalle azioni compiute o decise.Le parole senza significato che sembrano provviste disignificato sono: orbentena, canchero ecc. Ad esse siaggiungono le numerose imprecazioni, che costituisconol’essenza del l<strong>in</strong>guaggio delle classi meno abbienti.Vale la pena d’<strong>in</strong>dicare anche un avverbio, fieramente,che rafforza e rende più viva l’azione. Oalmeno dovrebbe farlo: l’abuso che ne vien fatto lo hasnervato. E il verbo dotto favellare.Inizialmente i term<strong>in</strong>i o le espressioni potevano avereun significato (o nel l<strong>in</strong>guaggio corretto hanno o cont<strong>in</strong>uanoad aver un significato). Nel l<strong>in</strong>guaggio popolareesse sono usate <strong>in</strong> modo approssimativo o improprio:sono fra<strong>in</strong>tese e subiscono un processo di corruzionesia al livello di suono sia al livello di significato.La conv<strong>in</strong>zione che il suono o la parola possa evocarel’oggetto si trasforma nella conv<strong>in</strong>zione che piùparole assemblate divent<strong>in</strong>o magicamente più potentidi una sola. Questo è il processo che conduce allaformazione e all’uso dell’<strong>in</strong>tercalare più comune: orbentena,che deriva da ora + bene + tiene. Le due paroleora + bene hanno dato luogo a orbene anche nell<strong>in</strong>guaggio ufficiale. La forma verbale tieni, usatacome <strong>in</strong> modo improprio, per richiamare l’attenzione,è assemblata con l’altra espressione e i risultati sonouna parola lunga, perciò con capacità magiche ed e-vocative più forti. Un’altra forma assemblata è cacasangue,presente anche nella Mandragola (1518) diMachiavelli. Gli assemblaggi sono contemplati e praticatidalla l<strong>in</strong>gua ufficiale del tempo, dall’<strong>italiano</strong>come dal veneziano. Tuttavia quando sono fatti al livellodi cultura popolare essi rivelano l’imperizia dell’esecutore,che <strong>in</strong>terpreta il pr<strong>in</strong>cipio <strong>in</strong> modo esagerato,ed assembra senza criterio e un numero eccessivodi parole. Il risultato non è più un’espressione comodae maneggevole, ma un mostro l<strong>in</strong>guistico <strong>in</strong>utilizzabilee senza significato.Il potere del l<strong>in</strong>guaggio sta altrove, non <strong>in</strong> se stesso,ma nella sua capacità di essere rete ampia, resistente,con le maglie sottili, perciò capace di pescare la realtà.È superfluo osservare che la stragrande maggioranzadelle <strong>in</strong>tercalari riguarda l’area del sesso: pota (vag<strong>in</strong>a),totani (testicoli o, meglio, palle), culo, merda,smerdare ecc. Ma c’è anche un fantastico pota all’amore,un assemblaggio rituale di term<strong>in</strong>i, <strong>in</strong>traducibileperché privo di significato...E un’altra riguarda l’area religiosa: Dom<strong>in</strong>e Crìbele(Dio Cristo!), al sangue di Dom<strong>in</strong>esteco o Dom<strong>in</strong>esteche(Per il sangue di Dio con te!), Dio ben (Siafatta la volontà di Dio!), Santa Margherita, Cristelèison(O Cristo, pietà!) ecc.La fusione tra le due aree è prevedibile: potta di Crìbele...Le imprecazioni contro la religione, cioè controla Chiesa di Roma, avrebbero fatto particolarepiacere agli spettatori, nobili come popolani...È comprensibilmente presente anche l’altro polo delmondo del contado, cioè il cibo, anzi la fame <strong>in</strong>saziatae <strong>in</strong>saziabile di cibo: al sangue del mal della lupa.La lupa è sempre affamata.Un’altra area è quella delle malattie e della morte:canchero rimanda al cancro, al sangue di... rimandaalle stragi, soprattutto <strong>in</strong> battaglia, che caratterizzavanola vita quotidiana, ma anche al sangue di Cristo,celebrato nel rito della messa, che diviene lentamenteoggetto di culto (il culto del Preziosissimo Sangue).Andrónico è il cittad<strong>in</strong>o con una discreta fortuna didenaro e di parole. Egli usa correttamente la l<strong>in</strong>gua (oil dialetto) ufficiale, ma si diletta e si vanta di poterimpreziosire il suo l<strong>in</strong>guaggio con parole o massimelat<strong>in</strong>e. Proprio come faceva Machiavelli nel Pr<strong>in</strong>cipe...Il lat<strong>in</strong>o è di modesto livello e di poco conto: <strong>in</strong>summa summario, anzi <strong>in</strong> suma sumario (senza ledoppie), breviter, concludendo, tamen ecc. Si tratta divaghi ricordi scolastici o di term<strong>in</strong>i appresi nell’ambientedi lavoro. Gli amici di Andrónico hannopure il cognome – Nicoletto degli Allegri e Pantasileoda Buc<strong>in</strong>oro –, sono dunque persone altolocate! Nonavranno fatto la serrata del Gran Consiglio del 1297,però...Del l<strong>in</strong>guaggio della D<strong>in</strong>a non serve dire niente: essaè succuba del mondo e della cultura di Bilóra e usa unl<strong>in</strong>guaggio che ha le stesse caratteristiche di quelloadoperato dal marito.È più <strong>in</strong>teressante pensare al l<strong>in</strong>guaggio parlato dalservo Zane (nome veneziano) o, meglio Ton<strong>in</strong> (nomepotenzialmente non veneziano, bergamasco). Zane oTon<strong>in</strong> parla bergamasco nelle poche occasioni <strong>in</strong> cui<strong>in</strong>terviene. Una cosa <strong>in</strong>somma è il l<strong>in</strong>guaggio (è larete che designa oggetti o relazioni), un’altra è la l<strong>in</strong>gua(l’<strong>italiano</strong>, il francese, il tedesco, il dialetto pavano,veneziano ecc.).Nella commedia qu<strong>in</strong>di ci sono una l<strong>in</strong>gua o, meglio,un dialetto, cioè il pavano di Bilóra e di D<strong>in</strong>a, e il pa-<strong>Beolco</strong>, Bilóra, a cura di P. Genes<strong>in</strong>i 10
vano-veneziano di Pitàro e ancora di Bilóra e di D<strong>in</strong>a.Insomma c’è il dialetto popolare che si parla <strong>in</strong> campagnae <strong>in</strong> città. C’è un altro dialetto, quello bergamascodel servo. C’è il dialetto veneziano di Andrónico,che per la sua complessità e per la sua articolazionesi avvic<strong>in</strong>a alla condizione di l<strong>in</strong>gua. Inf<strong>in</strong>e cisono reliquie di una l<strong>in</strong>gua morta, ma di grande importanzaculturale, il lat<strong>in</strong>o, che il veneziano recuperadai suoi studi giovanili o dai suoi contatti con il mondodelle lettere.F<strong>in</strong>ora si è parlato di l<strong>in</strong>guaggio, di l<strong>in</strong>gua e di dialetto.In realtà una commedia vive anche (o soprattutto)sulla mimica dei personaggi, e soprattutto sulla mimicadel protagonista (che Ruzante riservava a sé e <strong>in</strong>terpretavadi persona), che era normalmente il puntoforte della commedia. L’abilità dell’attore era semprepiù importante della qualità del testo. Egli doveva farsganasciare dalle risate i nobili spettatori. Che cosac’è di più ridicolo di un contad<strong>in</strong>o di campagna a cuiun nobile o un cittad<strong>in</strong>o veneziano ha portato via lamoglie? E chi assisteva allo spettacolo era nobile, veneziano,cittad<strong>in</strong>o, e andava di persona nei campidell’entroterra a riscuotere le tasse dai contad<strong>in</strong>i edaveva perciò esperienza diretta di quei tipi, di queglistereotipi che il commediografo era riuscito abilmentea portare <strong>in</strong> scena.Il l<strong>in</strong>guaggio di tutti i personaggi rivela l’orig<strong>in</strong>e diclasse anche agli altri livelli: la grammatica, la s<strong>in</strong>tassi,l’ampiezza del lessico, i contenuti ecc. Ma undiscorso anche su questi altri aspetti sarebbe troppolungo e non aggiungerebbe molto a quanto è stato f<strong>in</strong>oradetto. La conclusione è una sola, e tragica: il l<strong>in</strong>guaggioapprossimativo, la cultura <strong>in</strong>esistente, l’esperienza<strong>in</strong>significante della realtà si sovrappongono, sirafforzano reciprocamente e congiurano contro ilcontad<strong>in</strong>o, il cui dest<strong>in</strong>o è <strong>in</strong>evitabilmente quello diessere emarg<strong>in</strong>ato e sfruttato.7. Fame di cibo e fame di sessoCon questa come con le altre commedie Ruzante e-splora il mondo miserabile del contad<strong>in</strong>o pavano. Mai contad<strong>in</strong>i delle altre regioni d’Italia non erano dameno. La vita era durissima, il lavoro o il campicello<strong>in</strong>capace di sostenere la famiglia, la fame era la norma.Le case erano stamberghe di legno, che di tanto<strong>in</strong> tanto il fuoco ripuliva e dis<strong>in</strong>fettava f<strong>in</strong> dalle fondamenta.Gli eserciti al loro passaggio razziavano edistruggevano. E l’<strong>in</strong>verno mieteva <strong>in</strong>esorabilmente ipiù deboli. Era impossibile uscire da questo mondo.Chi abitava a Venezia o <strong>in</strong> città aveva qualche possibilità<strong>in</strong> più: l’aria della città rendeva liberi e capacidi pensare. Se non altro non si moriva di fame: qualcheelemos<strong>in</strong>a era sempre possibile e poi si potevacontare sull’assistenza religiosa e talvolta anche privata.Bilóra è dom<strong>in</strong>ato da due forze ist<strong>in</strong>tuali, la fame dicibo e la fame di sesso. La seconda può anche aspettare,la prima no. Così nel monologo <strong>in</strong>iziale riflette ecommenta su che cosa fa fare a lui e, <strong>in</strong> genere, agliuom<strong>in</strong>i, la forza vitale e ist<strong>in</strong>tuale dell’amore o delsesso. Ha perso la sua donna, e ha deciso di andarselaa riprendere. Nel seguito egli non fa alcuna riflessionesulle cause che hanno sp<strong>in</strong>to la donna a seguire ilvecchio veneziano; <strong>in</strong>vece confronta la sua potenzasessuale di rendere servizi alla donna con l’impotenzadel vecchio danaroso.Anche Pitàro <strong>in</strong>siste sulla dimensione del sesso: ilvecchio si è levata la voglia della ragazza, che la consegnial legittimo proprietario. Non è pentola per ilsuo mestolo.In un mondo ai limiti della sopravvivenza come quellodel contad<strong>in</strong>o pavano e del mediatore veneziano ilsesso è uno dei pochi valori ammissibili e praticabili.E la potenza sessuale era un elemento, una delle pochecose di cui ci si poteva vantare.La fame di sesso aveva un unico concorrente: la famedi cibo. I contad<strong>in</strong>i erano costantemente sottoalimentati,morti di fame. E, quando <strong>in</strong>contra D<strong>in</strong>a, Bilóra sipreoccupa sùbito di scroccarle un tozzo di pane (siaccontenta di poco). Fa anche le sue riflessioni: la fugadella moglie gli può ritornare utile, ci può scappareun qualche guadagno. E, quando riceve alcune monete,si mette a contare con avidità, decide qualespendere (una) e quali risparmiare (tutte le altre).Il denaro, la ricchezza, il possesso di qualcosa sono ilterzo valore che compare nella commedia. Un valoreperò che compare soltanto, che è desiderato, ma che ilprotagonista e il suo protettore non possono praticare.Bilóra non conosce nemmeno il denaro <strong>in</strong> corso e allaf<strong>in</strong>e della commedia fantastica sui vantaggi che glipuò portare la morte di Andrónico: un mantello, cheegli pensa di vendere per comperarsi un cavallo, ilmezzo di trasporto del tempo.8. Tre monologhiLa commedia presenta tre monologhi, disposti ord<strong>in</strong>atamenteagli <strong>in</strong>izi (Bilóra entra <strong>in</strong> scena, fa il monologoe, facendolo, <strong>in</strong>forma anche il pubblico dell’antefatto)(scenaprima), un altro all’entrata <strong>in</strong> scena diAndrónico che rivanga il suo passato e il presente(scena quarta), il terzo alla f<strong>in</strong>e (scena decima), quandoBilóra medita l’omicidio e lo mima.Il primo monologo celebra la potenza dell’amore. Èstato l’amore che ha sp<strong>in</strong>to Bilóra a Venezia, un postopericoloso e sconosciuto. È stata la volontà di ritrovarela sua cristiana che gli ha fatto superare ostacoli<strong>in</strong>enarrabili: tutto ieri, tutta la notte e tutta la matt<strong>in</strong>aè andato per boschi, per siepi e per sterpaglie. Insommal’amore tira più di un paio di buoi. L’amore ènei giovani, ma pizzica anche i vecchi, come quelvecchio di... (egli non ricorda il nome), che gli haportato via la sua donna. Voleva andare a tirare barche,e qualcuno gli ha tirato fuori di casa sua moglie.<strong>Beolco</strong>, Bilóra, a cura di P. Genes<strong>in</strong>i 11
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