Non vede l’ora di trovarla e di chiederle un pezzo dipane, perché ha fame.F<strong>in</strong> dal monologo emergono i due valori unici e supremidella vita del protagonista: l’amore, cioè il sesso,e la fame.Il monologo di Bilóra è apparentemente ist<strong>in</strong>tivo. Sipuò apprezzare però soltanto tenendo presente che loscrittore vuole far vedere al pubblico il tema dell’amorevisto dagli occhi di un essere <strong>in</strong>civile e semiselvaggio come il contad<strong>in</strong>o pavano. Il testo cita econtemporaneamente fa la celia all’amore cantatodalla cultura letteraria ufficiale e classica. In pocherighe lo scrittore cita l’amore come pena, cioè comebriga, di Andrea Cappellano (sec. XIII), la potenzadell’amore di Virgilio (Omnia vicit amor, et nos cedamusamori) o del Dolce stil novo (all’amore non sipuò resistere). E l’<strong>in</strong>namorato è preso da mistica follia(l’amore folle della poesia provenzale del sec.XIII). Il paragone è però moderno (le armi da fuocoappaiono a metà Quattrocento): neanche una bombarda(il proiettile di una bombarda) si ficcherebbe dovel’<strong>in</strong>namorato si ficca, sp<strong>in</strong>to dall’amore.A questo monologo andrebbe aggiunto il quasi monologodi Bilóra che, rimasto solo, si mette a contare idenari datigli poco prima dalla D<strong>in</strong>a (scena terza).Il monologo di Andrónico è petrarchesco: il personaggiova con il pensiero alla sua giov<strong>in</strong>ezza e ai suoiamici, che gli dicono, tra il rimprovero e l’affetto, cheha la testa tra le nuvole e che deve scendere per terra.E gli danno i buoni consigli: prenditi una donna e divertiticon lei. Queste cose, se non si fanno da giovani,si fanno da vecchi, vedrai! E adesso, che è vecchio,il protagonista lo riconosce: alla natura non sicomanda, ed egli si è preso una mammola, anche se lasua potenza sessuale non è più com’era un tempo.Brutta cosa diventar vecchi! Senectus ipsa morbus(“La vecchiaia stessa è una malattia”) diceva M. TullioCicerone. E anche lui riconosce che l’amore fa faregrandi cose. E qu<strong>in</strong>di racconta per l’ennesima voltaa se stesso (o per la prima volta al pubblico) come haportato via la mammola a suo marito. È <strong>in</strong>dubbiamenteuna donna letteraria: sembra un angelo cherub<strong>in</strong>o(la paragona al coro angelico più elevato) ed ha unaboccuccia che fa venir voglia di baciare. Ora ne è <strong>in</strong>namorato,le vuol bene ed è felice. La donna puòspendere e spandere, che lui non le dice niente. Temesoltanto che il marito voglia venire a riprendersela.Soltanto se va a trescare con lei, egli riesce a fare benei suoi affari. L’amore lo ha fatto r<strong>in</strong>galluzzire e hadato nuovo vigore al suo corpo: potrebbe ballare iquattro tempi del “gioioso” e ballare anche la “ros<strong>in</strong>a”.Ed ha due precisi programmi con la donna per ilfuturo: 1) “mi curerà quando mi viene il mio catarroe anche quando sarò <strong>in</strong>fastidito”; 2) “avrò con chisfogarmi e dire i fatti miei” (scena quarta, monologo).Una visone della donna nella media del tempo o forseanche superiore alla media. È forse un modernofemm<strong>in</strong>ista che vuole la parità dei diritti tra uomo edonna? Neanche un po’. Fa parte di quella fauna maschileche prova piacere a farsi comandare dalle donne.Vuol essere amato e, possibilmente, maltrattato.La donna gli deve fare qualche mo<strong>in</strong>a, qualche carezza,deve essere sempre disponibile ai suoi sbaciucchiamentie ai suoi vani tentativi di amplesso, e glideve dare anche qualche pena, qualche rimprovero,qualche schiaffo.La Venezia del tempo era piena di donne volitive equanti nobili erano comandati e malmenati dalle mogli!Qui Ruzante presenta un personaggio che è postoad una certa distanza sociale rispetto ai nobili spettatori.Così essi si riconoscono discretamente e fannosùbito opera di trasferimento: non sono essi il vecchioimpotente e bavoso, che vive dieci grad<strong>in</strong>i piùsotto nella scala sociale; né, tanto meno, il bifolcopavano, che si fa cornificare e rubare la moglie da unvecchio impotente... La fabula parla di altro e di altri!Ma la vecchiaia è spietata, e colpisce gli abitanti delcontado come quelli della città, i Pitàro come i Tron oi Cornaro o i Gradenigo.Il monologo f<strong>in</strong>ale messo <strong>in</strong> bocca a Bilóra è abile,paradossale, farsesco: il protagonista compie un omicidiosenza rendersi conto di quel che fa. Il tentativodi recuperare la moglie è fallito: egli non era affattosicuro di riuscire nell’impresa, anche se riesce astrapparle la promessa che avrebbe lasciato il vecchio.L’idea di far decidere alla donna, nella conv<strong>in</strong>zioneche mantenesse la promessa, si rivela fallimentare.Le m<strong>in</strong>acce o le offese al vecchio non erano servite.Neanche prendersela con Pitàro, che non era riuscitonel suo compito. La colpa di tutto è del vecchio,dunque Bilóra pensa di prendersela con il vecchio,che gli ha rov<strong>in</strong>ato la vita. Così su due piedi decide difarlo fuori e di toglierselo dai piedi, anche se ha paurache l’impresa non gli riesca bene. Così fa tutti ipreparativi e simula l’omicidio. Tira fuori il coltellodi tasca, controlla se è affilato (è arrugg<strong>in</strong>ito...), sisdoppia e fa le due parti di se stesso e del vecchio.Vuole allenarsi ad eseguire l’omicidio. Lo fa sotto lacasa o meglio sotto le f<strong>in</strong>estre di chi vuole uccidere efa uno strepito enorme, tanto che Andrónico uscendodi casa impreca contro quella bestia che a quell’orava a fare chiasso per strada. Nel simularel’aggressione e l’omicidio, Bilóra pensa anche al suotornaconto: toglierà la gonnella al vecchio, poi lavenderà e comprerà un cavallo, poi si farà soldato,poi andrà al campo, poi... Il suo pensiero va dove loporta il desiderio, non dove dovrebbe portarlo il ragionamento:un omicidio significa che deve fuggirequanto prima, per evitare di f<strong>in</strong>ire <strong>in</strong> mano ai Signoridella Notte e qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong> galera. Ma egli non conosce larealtà, né le regole sociali che sono fatte rispettaredallo Stato con la forza e con la pena capitale.Quando il vecchio esce, egli si mette <strong>in</strong> agguato. Hadeciso che deve aspettarlo fuori dell’uscio. Il vecchioesce imprecando, scambia alcune battute con il servo,resta solo. A questo punto Bilóra lo colpisce e lo uc-<strong>Beolco</strong>, Bilóra, a cura di P. Genes<strong>in</strong>i 12
cide. È tutto soddisfatto: “Dammi la mia femm<strong>in</strong>a. Ladovevi lasciar stare [...] Ha cagato i graspi, lui! Tel’avevo detto?”, così commenta parlando tra sé e sé ef<strong>in</strong>endo il monologo (scena decima).Soltanto nella battuta f<strong>in</strong>ale egli ha addotto a se stessouna giustificazione per l’omicidio: Andrónico è colpevoledi avergli preso la donna. Doveva lasciarlastare. Nessun rimprovero a se stesso, che se l’era lasciatascappare a causa delle misere condizioni di vita<strong>in</strong> cui la teneva ed anche a causa delle solenni battutedi cui la onorava.A questo punto per la delizia dei critici e dei filologisi può discutere se l’azione di Bilóra è un omicidio ouna rivalsa contro tutti i soprusi sociali che ha subìto,l’ultimo il furto della moglie fatto da un cittad<strong>in</strong>o benestante.Si può dimostrare quel che si vuole, dimenticandoche il carattere fondamentale della realtà nonè la struttura matematica (Galilei giunge a Venezianel 1592), bensì la non trasparenza, l’ambiguità. E sipuò vedere il rapimento della donna con gli occhi delladonna, con gli occhi del marito, con gli occhi delvecchio (ma anche con gli occhi di Pitàro, di Zane,dei Signori della Notte; ed anche con gli occhi di unnarratore onnisciente, con gli occhi nostri...). Già cosìappaiono tre realtà e tre verità diverse (più tutte le altre).La stessa cosa si deve fare con l’omicidio f<strong>in</strong>ale.Questo poi, a differenza del primo fatto, <strong>in</strong>teressa anchel’ord<strong>in</strong>e pubblico e dovrebbe far <strong>in</strong>tervenire anchelo Stato, che dovrebbe garantirlo, almeno <strong>in</strong> casicosì vistosi di reato commesso da un s<strong>in</strong>golo privatocontro un altro s<strong>in</strong>golo privato. E questi reati sonoquelli più facili da perseguire e da punire...9. Omicidio <strong>in</strong> scenaL’omicidio <strong>in</strong> scena non aveva precedenti. Si trattaqu<strong>in</strong>di di una genu<strong>in</strong>a <strong>in</strong>venzione di Ruzante. Nonaveva precedenti proprio per il carattere edonistico, dievasione e d’<strong>in</strong>trattenimento che ha la commedia. Unomicidio, per quanto a conclusione dell’opera, significafar entrare anche nell’evasione, nel mondodell’<strong>in</strong>trattenimento, nel mondo dell’immag<strong>in</strong>ario laforza brutale della realtà e della storia. Lo scrittore haquesta forza di pensiero e questo lampo creativo.D’altra parte era <strong>in</strong>utile f<strong>in</strong>gere che almeno nell’evasionele cose e la vita potessero andar bene. Dal 1494le cose <strong>in</strong> Italia andavano male, c’erano guerre e <strong>in</strong>vasionicont<strong>in</strong>ue, ed ormai si capiva che i forti Statistranieri si sarebbero stanziati come a casa loro. E gliStati italiani non riescono a trovare un m<strong>in</strong>imo di accordonemmeno davanti ad un nemico o, meglio, amolti nemici comuni. Potenza della stupidità politica,di ieri come di oggi!Le rivolte dei contad<strong>in</strong>i sfruttati erano possibili maassolutamente irreali: la dom<strong>in</strong>azione straniera sarebbestata <strong>in</strong> ogni caso peggiore. Questo è quello chepensavano le classi politiche più c<strong>in</strong>iche o più avvedute.E così la vita cont<strong>in</strong>uava con la lentezza esasperantedi un fiume fangoso giunto ormai alla foce. Daparte loro i contad<strong>in</strong>i morivano di fame, erano assolutamente<strong>in</strong>capaci sia di protestare sia di rivoltarsi controil potere costituito. Non ne avevano le capacità.Non erano tanto preoccupati della rappresaglia chesarebbe senz’altro giunta, semplicemente non conoscevanobene né il l<strong>in</strong>guaggio, né le loro condizionidi sfruttamento, né i modi per uscire da tali condizioni.Si facevano anche fregare la moglie, che giudiziosamentepreferiva un cittad<strong>in</strong>o con un po’ di denaroanche se impotente, piuttosto che morire di stenti <strong>in</strong>qualche topaia, battuta dal marito.L’omicidio con cui Bilóra pone f<strong>in</strong>e al furto della moglie(gli altri contad<strong>in</strong>i preferivano il furto del bestiame)è un atto unico, che esce soltanto dalla mentecolta e acculturata di un cittad<strong>in</strong>o, di un teatrante, diRuzante, il quale professionalmente deve esplorarevie logiche che la realtà può percorrere e che forsenon percorrerà mai, ma che sono sempre lì, pronte, <strong>in</strong>agguato. Sono una sp<strong>in</strong>a nel fianco della ragione,come il coltello, per quanto arrugg<strong>in</strong>ito, che ha trafittoil corpo di Andrónico, come lo sp<strong>in</strong>o amoroso chesi è piantato nei glutei sempre di Andrónico, uno sp<strong>in</strong>oche lo ha portato imprevedibilmente a tirare i lachiti(scena decima).10. Un confronto con la Mandragola di MachiavelliÈ opportuno confrontare brevemente la Bilóra (1530)con la Mandragola (1518) di Machiavelli. Le due o-pere sono quasi contemporanee, ma mostrano duemondi completamente diversi: Venezia e la modestacultura veneziana; Firenze e la grande cultura fiorent<strong>in</strong>a.Il respiro o l’ansito locale della cultura veneziana,il respiro sovraregionale, nazionale ed <strong>in</strong>ternazionaledella cultura fiorent<strong>in</strong>a. Le cose erano così nelQuattrocento e nel Trecento e cont<strong>in</strong>ueranno così s<strong>in</strong>oalla caduta della Serenissima (1797) ed anche oltre.Eppure non mancano a Venezia le tipografie e nonmancano nemmeno gli <strong>in</strong>tellettuali. Ma la cultura nonè considerata un <strong>in</strong>vestimento produttivo, che favorissel’immag<strong>in</strong>e della città e dello Stato.La trama della Mandragola è semplice: Callimaco èun giovane trentenne che vive a Parigi. Sente parlaredelle bellezze di Lucrezia, una fiorent<strong>in</strong>a. Si reca aFirenze e con l’aiuto di un consigliere, Ligurio, sfruttale circostanze (i due coniugi vogliono avere un figlio),aggira tutti gli ostacoli (il marito e soprattuttol’onestà della donna) per possederla. Alla f<strong>in</strong>e riescenello scopo, anzi i due diventano amanti.A prima vista la commedia sembra una semplice e divertentestoria di corna: il giovane <strong>in</strong>traprendente hala meglio sul marito vecchio, stupido e ormai pocosensibile ai piaceri del sesso. In realtà si tratta diun’opera senza bavagli, <strong>in</strong> cui l’autore riprende e approfondiscele riflessioni svolte nel Pr<strong>in</strong>cipe. Nell’operadel 1512-13 aveva sostenuto che il pr<strong>in</strong>cipe ha il<strong>Beolco</strong>, Bilóra, a cura di P. Genes<strong>in</strong>i 13
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