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Anno 3, Numero 1, Gennaio-Aprile 2009 - Vittimologia

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ISSN 1971-033X INDICE <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong><strong>Anno</strong> III, <strong>Numero</strong> 1Editoriale. In tema di danno non patrimoniale: il punto di vista dello psichiatradi Vittorio Volterra pag. 4Il risarcimento del danno non patrimoniale nell’ambito del processo penale dopo lasentenza 26972/2008 dell’11 novembre 2008 delle Sezioni Unite Civilidi Sandro Pecorella pag. 7Riflessioni sulla risarcibilità del danno non patrimoniale alla luce della Sentenza n.26972/08 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite e della successiva giurisprudenza dimeritodi Fabio Bravo pag. 17Il ruolo della vittima del reato nel procedimento penale ai fini del risarcimento del dannonon patrimonialedi Juri Monducci pag. 32Mobbing e risarcimento del dannodi Donatella Pesce pag. 42Stalking e risarcimento del danno esistenziale. Alcune considerazioni alla luce dellesentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite dell’11 novembre 2008di Maria Florio pag. 66Il minore abusato: parte offesa e testimone nel processo penale. La vittimizzazionesecondaria quale fonte di danno e le nuove frontiere del risarcimento aperte dalle SezioniUnite 11 novembre 2008, n. 26972di Claudio Toni pag. 72RecensioniPonzanelli G. (a cura di), Il risarcimento integrale senza il danno esistenziale,Cedam, Padova, 2007Recensione di Fabio Bravo pag. 87Castillo E., Vida Social Y Derecho, Editorial Juridica Continental,San José, C.R., 2008Recensione di Elena Bianchini e Sandra Sicurella pag. 90de Belloy F., Le soleil est une femme, Robert Laffont, Paris, <strong>2009</strong>Recensione di Raffaella Sette pag. 92Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 3


Editoriale.In tema di danno non patrimoniale: il punto di vista dello psichiatraVittorio Volterra •Le Sentenze gemelle delle S.S.U.U., che hannosancito l’eliminazione del danno esistenzialecome voce autonoma ed una ridefinizione deldanno non patrimoniale hanno suscitato, da unlato, entusiasmi da stadio in alcuni giuristi, che sisono sentiti evidentemente vincitori della Coppadei Campioni, dall’altro, perplessità, risentimentie duri propositi di rivincita in coloro che, congrande vigoria e non banali argomentazioni, neavevano voluto ed ottenuto una suaevidenziazione, affermazione e valorizzazioneanche sul piano risarcitorio. Il fatto che entrambi i“partiti” abbiano alle spalle sentenze favorevoli econtrarie profondamente elaborate e che lepolemiche sull’argomento non si siano sopite inquesti mesi fa supporre che non si possa ancoradire la parola fine su questo dibattito, nonostanteil “diktat” delle S.S.U.U. (“del danno esistenziale,come autonoma categoria di danno, non è più datodiscorrere”), non molto dissimile a quelloprecedente le consacrazioni matrimoniali (“chi haqualcosa da dire parli ora, se no taccia persempre”).In modo perciò irriverente (come psichiatraforense, quindi “squalificatissimo” di per sé dagiuristi e medici legali), mi permetto però di farealcune brevi considerazioni su questa vicenda, cheriguardano futili impressioni legate adeformazione professionale (e, come tali, dinessun peso), che mi hanno turbato non poco,traducendosi in interrogativi ovviamente senzarisposta, quali:a) Non si sta assistendo ad una resa dei conti trainsigni giuristi, l’uno contro l’altro armati, permotivi accademici di prestigio, rivalità, antipatia,ecc.?b) Le argomentazioni così sottili e dotte portate asostegno dell’una o dell’altra tesi non fanno talorapensare che si faccia la punta agli spilli?c) Cosa potrebbe dire l’art. 2059 c.c. (se avesse laparola) sulle interpretazioni, ora estensive orarestrittive, ora esplicite ora implicite, del suodettato e sull’infallibilità, come quella papale,delle S.S.U.U.?d) Quali e quante feste danzanti, banchetti,crociere, viaggi-vacanza, ecc. avranno organizzatole compagnie assicurative dopo l’11 novembre2008?e) Di chi è la colpa se sono arrivati fino allaCassazione contenziosi “bagatellari” e si sonorichiesti risarcimenti in soldoni e non in viaequitativa (come d’obbligo) per eventuali,inconsistenti ed ingiustificati danni esistenzialiindegni di ristoro?Lasciando ai posteri le ardue sentenze o risposte aqueste oziose domande, vorrei modestamente• Già Ordinario di Psichiatria dell'Università di Bologna e Docente di Psichiatria nel Master di II livello di"Psicopatologia e discipline forensi" dell'Università di Ferrara.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 4


presentare alcune osservazioni ed opinionicondivise dagli psichiatri clinici, che sarebbeopportuno non fossero del tutto trascurate daMagistrati, da giuristi e legali.1) Premesso che ogni espressione psichica ha unfondamento biologico e che il corpo, come diceMerleau-Ponty, è il nostro veicolo dell’esistenzanel mondo, appare abbastanza sconcertantel’apparentamento così stretto del danno nonpatrimoniale (morale, esistenziale, ecc.) al dannobiologico (malattia, infermità, disturbo, disordine,ecc.). Tra l’altro, quest’ultimo, può essere trattatoe curato in vario modo e consentire la guarigioneo l’attenuazione dei sintomi del danneggiato,mentre il primo può riflettersi sulla qualità dellavita e sul piano sociale in modo tragicamentegrave ed irreversibile e sconvolgere per semprel’esistenza di una persona.2) Non è sempre possibile, se non conmarchingegni e forzature non troppo corrette,porre delle diagnosi precise ai pregiudizi deidanneggiati, secondo nosografie ampliamenteapplicate, di solito ben accette dai Magistrati, cheaccanto ai codici, tengono sul tavolo il DSM IVTR (che conoscono in genere meglio deglipsichiatri), ma che non dovrebbe essere utilizzatoin medicina legale, come ben esplicitato nellaprefazione.3) E’ vero che, nella pratica, molte situazioni chehanno ragioni forti e richieste risarcitorie giustenon dovrebbero subire trattamenti processualidifferenti da quelli ottenuti in passato con unriconoscimento del danno esistenziale, oraricompreso nel “non patrimoniale” (“se non èzuppa è pan bagnato”). Tuttavia, soprattutto inambito civilistico, dove si prospetta la necessità diun equo bilanciamento tra il principio disolidarietà verso le vittime dell’illecito, impostodalla convivenza sociale, e il dovere di tolleranzadelle stesse nei confronti di possibili turbamentiesterni, si creerà un ampio limbo discrezionale dicontenziosi risarcitori, sui quali giocheranno unruolo determinante solo la saggezza dei Magistratie l’abilità dei legali.4) Mentre l’ingiustizia rende sempre risarcibile ildanno patrimoniale, da essa, almeno ad una letturadelle sentenze delle S.S.U.U., non sembra sempreconseguire il diritto al risarcimento di un dannonon patrimoniale, soprattutto se il danno riguardala proprietà, e non la persona, o la lesione didiritti, pur forniti di dignità costituzionale, chenon sono però volti a tutelare la persona.5) La “globalizzazione” del danno nonpatrimoniale determina difficoltà nello stabilire icriteri di valutazione e di liquidazione. Non solo,ma certe compromissioni (sessualità), o perdite (diun congiunto), restano in un campo incerto tra ildanno biologico e quello della vita di relazione, ealtre voci, ora scomparse (danno tanatologico)non sembrano essere sicuramente tutelate daldanno da sofferenza catastrofica.6) Preso atto dell’apparentamento del danno nonpatrimoniale a quello biologico, non si comprendeperché, contemporaneamente, non sia stata dataalcuna indicazione tabellare sull’ammontare delrisarcimento delle singole voci da prendere inconsiderazione e dei motivi della loroammissione, tenuto conto dei pregiudizi subitidalle vittime, della portata offensiva dell’illecitoarrecato e dell’importanza dei diritti violaticostituzionalmente garantiti.Al di là di questi punti, si potrebbero fare moltealtre osservazioni alle sentenze delle S.S.U.U.dell’11 novembre 2008, così come espresse ancheRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 5


possono riguardare il risarcimento del dannopossono essere provati nel processo penale epertanto può essere provato, per esempio, ilreddito della persona rimasta uccisa in unomicidio, le spese per le cure di una malattia, leconseguenze che la commissione di un reato haavuto nella vita delle persone, ecc.Difficilmente ho visto utilizzare questa normanella sua potenzialità per provare fatti come quelliindicati per esempio: solitamente la Parte civile ètalmente preoccupata per l’accertamento dellaresponsabilità penale che si limita ad aiutare ilP.M. in questo compito, integrando le prove daquello chieste per arrivare a dare la prova dellapenale responsabilità. Il tema del risarcimentoconcreto del danno da reato rimane spessoinesplorato in tutto o in parte.Per esempio, se la Parte civile nomina consulenteun medico legale, solitamente si limita a chiederea lui un parere sul nesso di causalità e sullacompatibilità delle ferite con il racconto cheemerge dai testimoni, ma non chiede quasi maiche tipo di conseguenze vi sono state rispetto allaqualità della vita e alle abitudini della vittima e leconseguenti valutazioni in tema di dannobiologico.È evidente che nell’operare così ci si fidadell’ancora di salvezza lasciata dall’art. 539 c.p.p.che consente al giudice, nel caso le proveacquisite non consentano di liquidare il danno, dipronunciare condanna generica e rimettere le partidi fronte al giudice civile per la sola liquidazione,magari accordando una provvisionale nei limitidel danno per la quale si ritiene raggiunta laprova.Per converso, anche i Difensori dell’imputatospesso sottovalutano l’aspetto delle conseguenzecivili del reato e nei rari casi in cui ho visto leParti civili svolgere bene il tema probatorio a lorospecificamente affidato, le deduzione contrarie,anche se possibili, sono completamente omesse.Infine, ci si mettono anche i giudici. Ricordo che,quanto svolgevo il tirocinio, uno dei magistratiaffidatari per il tirocinio civile riferiva che le voltein cui gli era capitato di essere applicato inqualche processo penale aveva verificato dipersona come il rinvio al giudice civile per la solaliquidazione ai sensi dell’art. 539 c.p.p. eralargamente utilizzato anche se agli atti delprocesso era stato acquisito tutto quanto eranecessario per liquidare già in quella sede ildanno. Inoltre ho constatato personalmente chenella “cassetta degli attrezzi” del giudice penalemancano spesso gli strumenti per liquidare ildanno, come per esempio le tabelle necessarie perliquidare il danno biologico.La sentenza delle Sezioni Unite Civili indicata neltitolo di questo scritto e le sentenze gemellecontestualmente emesse possono essereun’occasione utile per rimeditare questicomportamenti.Infatti, come vedremo, non è vero, a parere di chiscrive, che con queste sentenze si vuole limitarel’area del danno non patrimoniale risarcibile,poiché emerge invece un grandissimo sforzo perrazionalizzare il risarcimento di questo tipo didanno in modo da assicurare uno dei beni piùgrandi che è a fondamento stesso dell’esistenza diun ordinamento giuridico e cioè la certezza deldiritto. Quello che richiede la Suprema Corte inqueste sentenze è il rigore nella valutazione che sisvolge in due direzioni: la prima direzione ilrigore da utilizzare nella selezione delle varie vocidi danno non patrimoniale risarcibile. InRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 9


iferimento a questo punto, dalla lettura dellasentenza emerge che nel caso di commissione direati, l’area del danno non patrimoniale risarcibile,per il disposto dell’art. 185 c.p. che regola lamateria, è più ampio rispetto al caso di fattodannoso che non costituisca reato.Pertanto, benché l’accertamento del reato non èpiù da tempo monopolio del giudizio penale (lapregiudiziale penale non esiste piùnell’ordinamento e l’accertamento del reato puòessere svolto incidentalmente nell’ambito delprocesso civile) lo strumento processuale penale,per la maggiore concentrazione del processo cheallo stato si ha rispetto al processo civile e per ilfatto che la Parte Civile può testimoniare nelprocesso penale, ma non nel processo civile, puòessere lo strumento privilegiato al fine di ottenereil risarcimento del danno non patrimoniale.La seconda direzione del rigore richiesto dallaCorte è il rigore nel ragionamento probatorio: vipuò essere concreto risarcimento del danno solose questo è rigorosamente provato. Ciò vuole direche il giudice, anche nel caso assegni unaprovvisionale e anche nel caso rimandiintegralmente la liquidazione al giudice civile,deve indicare, in modo sintetico, ma con rigore,gli elementi concreti che lo inducono a ritenereche danno vi sia, il perché si ritiene raggiunta laprova fino ad un certo punto e il criterio utilizzatoper la liquidazione.In conseguenza di questo maggiore rigorerichiesto dalla Suprema Corte nel ragionamentoprobatorio è richiesto certamente un maggioresforzo agli operatori che devono cercare diastenersi dall’utilizzare le abituali “formule pigre”che solitamente si usano in punto di risarcimentodel danno.2. Il ruolo svolto dall’art. 185 c.p. secondosentenza delle Sezioni Unite Civili.La sentenza in questione si pone nel solco dellesentenze emesse nell’arco del 2003, con le quali laCorte di Cassazione ha rivoluzionato lasistemazione delle varie voci di danno risarcibiliin caso di fatto illecito, con riferimento al dannobiologico e al danno morale.Si tratta in primo luogo delle sentenze 7281/2003,7282/2003 e 7283/2003 tutte depositate il 12maggio 2003 con le quali è stata stabilita lapossibilità di liquidare il danno non patrimonialequando non fosse positivamente accertato unreato, cosa che accadeva in modo particolarequando si ricorreva per il riconoscimentodell’illiceità del danno alle forme di responsabilitàpresuntiva come quelle di cui agli artt. 2050 e ss.c.c.Tale sentenze hanno permesso il mutamento digiurisprudenza successivo effettuato con sentenze8827 e 8828 del 31 maggio 2003 che hannoricondotto le tipologie di danno risarcibile a due:il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale,eliminando le ipotesi di tertium genus che si eranoandate moltiplicando dopo che, in precedenza,come tale era stato riconosciuto il danno biologico(Cass. 184/86) la cui risarcibilità veniva fattascendere direttamente dall’art. 2043 c.c.,considerato come norma in bianco.Scriveva la Corte, nella sentenza 8827/2003, che“l’art. 2059 c.c. nella parte in cui limita larisarcibilità del danno non patrimoniale ai solicasi previsti dalla legge, va interpretato in sensoconforme alla Costituzione; ne consegue che, làdove l’atto illecito leda un interesse della personadi rango costituzionale, il risarcimento del dannoda lesione di interessi non patrimoniale spetta inRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 10


Il danno non patrimoniale (par. 2.1 e 2.3) è legatosolidamente all’art. 2 della Costituzione chericonosce e garantisce i diritti inviolabilidell’uomo di talché esso deve essere inteso nellasua accezione più ampia di danno determinatodalla lesione di interessi inerenti la persona nonconnotati da rilevanza economica.Pare allo scrivente che in questa definizione nonvi sia nulla di riduttivo. La tutela del danno nonpatrimoniale è riconosciuta perché è inerente allatutela stessa della persona umana. In questo sensoquello che si voleva tutelare come dannoesistenziale è compreso in questa ampia e nobiledefinizione.La funzione dell’art. 2059 c.c. nell’ordinamento èquella di consentire, in caso di illecito aquilianoex art. 2043 c.c., del quale devono sussistere tuttigli elementi, la riparazione anche del danno nonpatrimoniale nei casi determinati dalla legge e inbase ad una lettura costituzionalmente orientatanel caso di e nei casi in cui si sia cagionato unevento di danno consistente nella lesione dispecifici diritti inviolabili della persona.La Corte in questa sentenza evidenzia il ruolodell’art. 185 c.p. che certamente è una delle normealle quali l’art. 2059 c.c. rinvia, ma che rispetto adesso ha l’effetto di ampliare le possibilità di tutela.Infatti, secondo l’art. 185 c.p. comma 2°, “Ognireato che abbia cagionato un danno patrimoniale onon patrimoniale, obbliga al risarcimento ilcolpevole e le persone che, a norma delle leggicivili, debbono rispondere per il fatto di lui”.Da ciò, secondo la Corte discende (par. 2.10) che,in questo caso, il danno non patrimonialerisarcibile alla persona offesa e agli altridanneggiati è risarcibile nella sua più ampiaaccezione. Il risarcimento è dovuto per la lesionedi interessi della persona non connotati darilevanza economica. La Corte scriveespressamente che deve essere superata lalimitazione del danno risarcibile in base all’art185 c.p. al c.d. danno morale soggettivotranseunte secondo la concezione che vigevaall’epoca della considerazione dell’art. 2043 c.c.come norma in bianco sulla base del quale sirisarciva anche il danno biologico.In effetti, osserva la Corte, nella norma non vi èmenzione della parola “morale” e tanto meno nonè detto che esso fosse rilevante solo se“transitorio” in modo tale che considerarerisarcibile ai sensi dell’art. 185 c.p. solo questodanno sarebbe stato pure riduttivo dato che undanno morale che certamente può sussistere e siconcretizza nella sofferenza soggettiva cagionatadal reato in sé considerata ben può protrarsi perlunghissimo tempo dopo il reato e anche per tuttala vita. Nell’ambito della categoria del danno nonpatrimoniale, la formula danno morale indica solouno dei possibili pregiudizi e l’intensità e la duratadel medesimo non rilevano ai fini dell’esistenzadel danno, ma solo ai fini della quantificazione delrisarcimento.Il seguente passaggio della Corte lo si riportaintegralmente, soltanto eliminando gli incisicontenuti all’interno del testo originario, tanto ècentrale nell’operazione che viene svolta dallaCorte di rivalutazione dell’art. 185 c.p.: “Inragione della ampia accezione del danno nonpatrimoniale contenuto dall’art. 185 c.p. inpresenza del reato è risarcibile non soltanto ildanno non patrimoniale conseguente alla lesionedi diritti costituzionalmente garantiti, ma anchequello conseguente alla lesione di interessiinerenti della persona non presidiati da siffattiRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 12


diritti, ma meritevoli di tutela in baseall’ordinamento (secondo il criteriodell’ingiustizia ex art.2043 c.c.) poiché la tipicità,in questo caso, non è determinata soltanto alrango dell’interesse protetto, ma in ragione dellascelta del legislatore di dire risarcibili i danni nonpatrimoniali”.La differenza con gli altri casi è evidente, dato chedove il danno non è causato dal reato la selezionedegli interessi la cui lesione è ammessa alrisarcimento del danno non patrimoniale è giàcompiuta dal legislatore e questi sono solo i casideterminati dalla legge (attualmente,contrariamente al periodo nel quale si formò laconcezione dell’art. 2043 come norma in bianco, ètale anche il danno biologico - vedi artt. 138 e 139D.Lv. 209/2005 “Codice delle assicurazioniprivate”) e i casi di lesione a diritti inviolabilidella persona: libertà personale, riservatezza ediritto a non subire discriminazioni.Come si vede la funzione dell’art. 185 c.p. èribaltata dal punto di vista concettuale, da normadi contorno a fulcro centrale di un autonomosistema del risarcimento del danno siapatrimoniale che non patrimoniale nel caso ildanno sia derivato da reato, dove il reato è daritenere, scrive ancora la Corte, anche soloastrattamente reato ai sensi della sentenza delleS.U. n. 6651/1982.La Corte in questa sentenza sviluppa alcuni aspettipratici della differenza di tutela che individua nelcaso di danno da reato. Per esempio la Corte èchiarissima nell’indicare che non rientrano tra idiritti inviolabili della persona i diritti indicatinella Convenzione europea per la salvaguardia deidiritti dell’uomo ratificata con L. 88 del 1955 perla precisa ragione che essa non ha rango di leggecostituzionale. Dunque la lesione di tali diritti nonè fonte di risarcimento del danno non patrimonialein tutti i casi in cui la lesione del diritto derivi daun fatto non costituente anche astrattamente reato.Invece, nel caso di danno derivante da fattocostituente reato, siccome viene affermato chel’art. 185 c.p. afferma la risarcibilità del dannonon patrimoniale nella sua più ampia accezione, latutela risarcitoria è riconosciuta alla solacondizione che si tratti della lesione di uninteresse almeno giuridicamente protetto. Pertantoè tutelato l’interesse riconosciuto anche dallasuddetta convenzione internazionale. È sufficienteperciò soltanto l’esistenza della ingiustiziagenerica secondo l’art. 2043 c.c..La Corte, a chiusura della selezione degli interessila cui lesione determina danno non patrimonialerisarcibile, scrive: “E la previsione della tutelapenale costituisce sicuro indice della rilevanzadell’interesse leso”.La conclusione che se ne trae è che in caso didanno da reato si ha una più ampia area di dannonon patrimoniale risarcibile per il fatto stesso diavere subito un fatto di reato, di così particolaredisvalore per l’ordinamento, che è stata previstauna sanzione penale.Per esempio, la Corte nel corso della suaesposizione si dilunga nella disamina di casi che,considerati quali semplici disagi, fastidi,disappunti, ansie e comunque insoddisfazionenegli aspetti più disparati della vita quotidiana,siccome non protetti da specifica disposizione dilegge e non costituenti neppure violazione didiritti costituzionali, non consentono ilrisarcimento di danno non patrimoniale nel casoin cui la lesione derivi da fatto non costituentereato. Nel corso di questa esemplificazione vieneRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 13


specificamente indicato che non da’ diritto alrisarcimento del danno non patrimoniale ilpregiudizio sofferto per la perdita di un animaleper la lesione del rapporto esistente tra l’uomo el’animale. Pertanto, nel caso in cui la mortedell’animale derivi da una lesione di tipo civile(per esempio un incidente stradale con danno soloalle cose e all’animale), nessun rilievo può avereil fatto della lesione del rapporto affettivoesistente tra l’uomo e l’animale per quantoprofondo e munito di prova esso sia. Ma se lalesione è dovuta al reato, come quello di cuiall’art. 638 c.p. (uccisione o danneggiamento dianimali altrui) la lesione in questione, ai sensidell’art. 185 c.p. come interpretato dalla sentenzain esame della Cassazione civile, siccome trattasidi interesse dotato di tutela penale, è risarcibile.Ancora, una diminuzione patrimoniale dovuta adun illecito civile non da’ diritto in linea dimassima ad un risarcimento del danno, ma nelcaso che la diminuzione patrimoniale derivi da unreato (per esempio, una truffa – art. 640 c.p.) ildanno non patrimoniale è pure risarcibile.Si potrebbero fare molti esempi simili.La conclusione necessitata è che l’area del dannonon patrimoniale risarcibile è sensibilmente piùvasta nel caso di commissione di un fattocostituente reato rispetto al caso di un fatto chenon costituisce neppure astrattamente reato.3. Il problema della prova e la quantificazionedel risarcimento.A questo punto pare a chi scrive che la soluzionedata dalle sezioni unite civili della Cassazione siadavvero equilibrata. Nel caso di danno da reato,dove la lesione è oggettivamente più grave tantoche l’ordinamento appresta anche una sanzionepenale, vi è maggiore possibilità di risarcimento.Infatti, dalla lettura della sentenza si desume che ilsemplice fatto di avere subito il reato comportal’esistenza di un danno non patrimoniale essendostato leso un interesse che l’ordinamento proteggetanto che appresta una sanzione penale per la suaviolazione.Il problema è evitare duplicazioni da una parte esvalutazioni della portata del danno subitodall’altra parte.In base all’esperienza dello scrivente, la tematicadella quantificazione nell’ambito del processopenale non è davvero molto sviluppata.Sia negli atti di costituzione di Parte civile che poinelle conclusioni scritte che vengono depositate insede di discussione, generalmente ci si limita asparare delle cifre che sono le più alte possibili eche appaiono compatibili con il genere di lesionidi cui specificamente si parla nel processo. Sitratta di una compatibilità che viene sviluppata daiDifensori di Parte civile in modo davveroempirico in base all’esperienza che essi hannodelle aule dei Tribunali. Non molto di più viene disolito detto nelle discussioni orali dove in genereci si limita ad evidenziare ai fini della valutazionedel quantum la durata dei fatti e la gravità dellelesioni. In effetti quella che appare è una strategiadifensiva che è diretta a consentire al giudice diavere il più ampio ventaglio di possibilità diquantificare il danno.Ne segue che il giudice spesso segue concezionimolto personali, muovendosi all’interno del solcotracciato dalla linea difensiva ricorrendo, come siè già detto, alla liquidazione di provvisionalimolto sommariamente individuate sulla base,anche qui, dell’esperienza pregressa, rimandandola definitiva liquidazione al giudice civile, ancheRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 14


quando si potrebbe provvedere in via definitivaanche in sede penale.Le considerazioni espresse dalla sentenza delleSezioni unite in questione hanno la potenzialitàper modificare questo stato di cose.In particolare si rileva che il danno biologico èritenuto il tipo di danno non patrimoniale pereccellenza che quando c’è è sostanzialmenteesaustivo di tutto l’ambito del danno nonpatrimoniale. Infatti se un fatto è lesivo dellasalute, il risarcimento di questo danno che hariguardo comunque al fare non reddituale dellapersona lesa è del tutto esaustiva delleproblematiche che la lesione comporta per la partelesa in modo tale da non lasciare altro danno nonpatrimoniale.Pertanto in questi casi appare necessario,contrariamente a quanto solitamente si è fatto finoad ora, introdurre il tema della prova del dannobiologico nell’ambito degli argomenti da provarenel corso del processo. Si tratta di uno sforzoprobatorio essenziale perché pur essendo possibilela liquidazione del danno in via equitativa è chiaroche, conformemente ai canoni vigenti nell’ambitocivile (art. 1226 c.c.), questa può essere fatta solose non è possibile provarla nel suo precisoammontare. Siccome i metodi per la liquidazionedel danno biologico si sono davvero affinati non siritiene davvero che non si possa procedere ad unavalutazione equitativa di questo tipo di danno. Latematica è particolarmente urgente perché, comegià detto, il danno biologico, nel caso vi sia,appare essere l’unico danno non patrimonialericonoscibile nel caso in cui il reato abbiacomportato una lesione dell’integrità fisica equesto genere di reati (basti pensare ai reati dilesioni colpose da incidente stradale e dainfortunio sul lavoro) sono quelli chegeneralmente vedono un maggiore contenziosocivile parallelo al processo penale.Invece per tutti i reati che non vedono produrre undanno biologico vi è la problematica del dannonon patrimoniale dal fatto di avere subito un reatoche come si è visto appare riconosciuto dallasentenza delle S.U.Rientrano in questo tipo di danno i casi di mortedel prossimo congiunto come la morte del figlio,del marito, del padre, del convivente more uxorio,eccetera, dove, parallelamente all’esistenza di undanno patrimoniale, esisterà questo dannoderivato dalla brutale interruzione del rapporto inquestione. In questi casi lo sforzo probatoriodovrà essere diretto, specie nei casi in cui ilrapporto con il defunto è più lontano (si pensi aicasi del fratello di persona che si è ormai formataun’autonoma famiglia verso la quale riversa lamaggior parte dei suoi affetti), a provare l’entità el’ampiezza di questi rapporti in modo tale daconsentire una valutazione equitativa che possaessere il più corrispondente possibile al reale statodei rapporti familiari.Infatti in questi casi non si vede come possaessere sviluppata una forma di liquidazione cheprescinda da una valutazione equitativa. Inrelazione a ciò, i criteri che ogni tribunale di fattoelabora per permettere almeno nell’ambito del suocircondario una certa uniformità di giudizi e chevengono trasfusi in tabelle (quella del Tribunale diBologna che richiama per il danno biologico letabelle del Tribunale di Milano le si possonovedere nel dossier mensile di Guida al Diritto delsettembre 2008 a pag. 75) ritengo mantenganointatto il loro valore orientativo anche dopo lasentenza delle Sezioni Unite.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 15


Una diversa problematica si ha nel caso in cui nonvi siano lesioni del genere prima visto e si debbaliquidare un danno non patrimoniale da reato toutcourt. Per esempio, come fare a liquidare il dannonon patrimoniale del reato di diffamazione?Oppure un danno da molestie ai sensi dell’art. 660c.p.? Anche in questi casi la valutazione non puòche essere equitativa e pertanto lo sforzoprobatorio di chi intende vedere adeguatamenteconsiderare questo danno non potrà che limitarsi afare vedere gli effetti del reato nella vita dellapersona colpita. Sulla base di questo si potràprocedere ad una quantificazione.In questi casi la liquidazione del danno ha unafunzione che oserei dire “consolatoria”: laliquidazione del danno deve essere tale che ildanneggiato possa dentro di sé svolgere unragionamento del genere: ho subito il reato, acausa di ciò ho vissuto eventi spiacevoli, èimpossibile tornare indietro eliminando gli eventispiacevoli, però in cambio ho avuto la somma “x”per il risarcimento del danno che in qualche modoè adeguata al male che ho subito.In uno dei corsi di aggiornamento del C.S.M.tenuto proprio sulla materia dei reati di questoultimo tipo, si è parlato del caso di un funzionariostatale che aveva subito una violenta campagnastampa per il quale sporse querela e all’esito ditutti i gradi di giudizio si vide riconoscerediffamato. Naturalmente per quanto la legge sullastampa preveda la possibilità di pubblicazione disentenza come condotta riparatoria, la notizia delsuo essere stato riconosciuto vittima del delitto didiffamazione non ha certo avuto il risalto dellaviolenta campagna stampa che lo aveva visto suomalgrado protagonista. Fu naturalmente dispostauna somma per il risarcimento del danno cheteneva conto solo del danno non patrimoniale(all’epoca si parlava però di danno morale). Infattila persona lesa, in quanto funzionario statale, nonaveva avuta nessuna diminuzione patrimonialeavendo continuato a lavorare come pubblicoimpiegato e non aveva subito alcuna decurtazionedello stipendio per la campagna stampa. Ilrisarcimento fu pagato dal giornale e poco tempodopo il suddetto funzionario statale fu visto allaguida di una nuova, costosa macchina. Il soggettochiamava la macchina con un nome di persona echiestogli come mai aveva dato quel nome allamacchina, il funzionario statale, con evidente, maamara soddisfazione, disse che era il nome delgiornalista che l’aveva diffamato.L’esempio consente di fare capire come dovrebbeessere quantificata la somma che è dovuta a titolodi risarcimento per equivalente del danno nonpatrimoniale in questi casi, con una modalità daritenere perfettamente corrispondente alle finalitàper le quali esiste l’art. 2058 c.c.Bibliografia.• AA.VV., "Danno Biologico: le nuove tabelledei Tribunali", in Guida al Diritto, Milano,Sole 24Ore dossier, settembre 2008.• Berti R., Peccenini F., Rossetti M., I nuovidanni non patrimoniali, Giuffrè, Milano,2004.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 16


Riflessioni sulla risarcibilità del danno non patrimoniale alla lucedella Sentenza n. 26972/08 della Corte di Cassazione a Sezioni Unitee della successiva giurisprudenza di meritoFabio Bravo •RiassuntoLa recente sentenza n. 26972 resa in Italia dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione in data 11 novembre 2008ha fissato la corretta interpretazione delle norme giuridiche sul “danno non patrimoniale” ed i principi che devono essereapplicati dalla giurisprudenza di merito. Alcuni aspetti presentati dall’interpretazione della Suprema Corte, tuttavia,presentano difficoltà applicative, evidenziate dalla prima casistica giurisprudenziale che ha fatto seguito alla sentenza sopracitata. Questo studio si propone di analizzare gli aspetti critici ed i problemi presentati dalla pronuncia della Cassazione aSezioni Unite e della successiva giurisprudenza chiamata a darne la prima attuazione.RésuméLe récent jugement n° 26972 rendu le 11 novembre 2008 par les Chambres Unies de la Cour de Cassation italienne a fixél’inteprétation correcte des normes juridiques sur le « dommage non patrimonial » et les principes qui doivent être appliquéspar la jurisprudence. Toutefois, certains aspects de cette interprétation sont difficile à appliquer et ces difficultés sontsoulignées par la première jurisprudence qui a suivi le jugement mentionné ci-dessus. Cette étude a pour but d’analyser nonseulement les aspects critiques et problématiques du jugement de la Cour de Cassation Chambres Unies, mais aussi ceux dela jurisprudence successive qui doit le mettre à exécution.AbstractThe recent decision No. 26972 of the Italian Supreme Court (United Sections) of November 11, 2008 fixed the correctinterpretation of law about “non pecuniary loss” and the principles that must be applied by the other Italian courts.Nevertheless some aspects of the interpretation provided by the Italian Supreme Court are not so easily applied and the firstcases after the decision named above present some problems. This study analyses the critical aspects and the questionspresented by the decision of the United Sections’ Italian Supreme Court and the subsequent decisions of the Italian judges.• Avvocato, è ricercatore e professore aggregato all’Università di Bologna, nonché socio della Società Italiana di<strong>Vittimologia</strong> (S.I.V.).Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 17


1. Bipolarismo risarcitorio e rivisitazione dellacategoria di danno non patrimoniale.Nel nostro ordinamento giuridico abbiamoassistito, con riferimento al tema della risarcibilitàdel danno non patrimoniale, ad un tumultuososusseguirsi di contrapposte soluzioni giurisprudenzialie di articolate tesi dottrinali, che si sonoconfrontate nel tempo talvolta con animi nonsempre pacati. Il confronto più acceso, com’ènoto, ha riguardato la categoria del dannoesistenziale 1 .La stessa sentenza n. 26792/08 della SupremaCorte di Cassazione, resa a sezioni unite, nelrisolvere il contrasto giurisprudenziale venutosi acreare tra le diverse singole sezioni, dà conto dicome l’ordinanza di remissione al Collegio,emanata dalla terza sezione civile della Corte diCassazione, abbia rilevato «che negli ultimi annisi sono formati in tema di danno non patrimonialedue contrapposti orientamenti giurisprudenziali,l’uno favorevole alla configurabilità, comeautonoma categoria, del danno esistenziale –inteso, secondo una tesi dottrinale che ha avutoseguito nella giurisprudenza, come il pregiudizionon patrimoniale, distinto dal biologico, inassenza di lesione dell’integrità psico-fisica, e dalc.d. danno morale soggettivo, in quanto nonattiene alla sfera del sentire, ma alla sfera del fareareddituale del soggetto – l’altro contrario».I contrapposti orientamenti sono stati benanalizzati dalla dottrina, che, in uno studio portatoavanti da molti anni e diffuso ben primadell’avvento della citata sentenza delle sezioniunite, ha contrapposto gli «esistenzialisti» ai «non1 Sul punto si veda l’interessante contributo di C.Castronovo, “Il danno esistenziale: il lungo addio”, inDanno e responsabilità, <strong>2009</strong>, n. 1, pp. 5 e ss.esistenzialisti», per sostenere, in uno con questiultimi, la risarcibilità integrale del danno nonpatrimoniale senza ricorrere alla categoria deldanno esistenziale, in ordine alla quale sono statesollevate perplessità e dubbi molteplici 2 .L’introduzione in dottrina della categoria di dannoesistenziale ed il largo seguito che ha avuto ingiurisprudenza, a tal punto da far apparireminoritario l’orientamento negativo che poi èprevalso in sede di riflessioni a sezioni unite,muoveva da un’esigenza ben visibile, data dallanecessità di sopperire a quell’orientamentointerpretativo che finiva per tralasciare, dal noverodei danni risarcibili, quella componente del dannonon patrimoniale che non era classificabile neldanno biologico, non trattandosi di lesione allasfera psicofisica del danneggiato, né nel dannomorale subiettivo, inteso restrittivamente comesofferenza transeunte per la lesione subita.Ove, infatti, il danno non patrimoniale fosse fattocoincidere con il danno biologico e con il dannomorale come sopra restrittivamente inteso, ilgrave rischio era dato dall’impossibilità diottenere un risarcimento integrale dei danni nonpatrimoniali subiti dalla persona, come adesempio nell’ipotesi di danno da perdita delrapporto parentale a seguito di uccisione delprossimo congiunto, non necessariamenteculminante in una compromissione permanente2 Il riferimento è a G. Ponzanelli, “Introduzione”, in G.Ponzanelli (a cura di), Il risarcimento integrale senza ildanno esistenziale, Cedam, Padova, 2007, pp. 1 e ss., ilquale, con una facile profezia precedente all’interventodella citata sent. n. 26972/08, ha ricordato comesembrasse ovvio che, di fronte all’acceso dibattito trafautori e non di tale discussa categoria di danno, «laquestione della risarcibilità del danno esistenziale saràportata, primo o poi, all’esame delle Sezioni Unitedella Corte di Cassazione, visto che la Suprema Corteha manifestato, nel 2006 e nel 2007, opinionisicuramente divergenti sul punto».Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 18


della propria integrità psicofisica suscettibile divalutazione medico-legale e, al contempo,sicuramente connotato da una lesione chetrascende la temporanea sofferenza ravvisata nellaclassica categoria del danno morale subiettivo.Si è iniziato così, con decisioni reiterate dallaSuprema Corte di Cassazione, a riconoscere ilrisarcimento del danno non patrimonialetipizzandolo per lo più in tre sottocategorieprincipali, quali il danno biologico, il dannomorale ed il danno esistenziale, con il rischio diun automatico cumulo risarcitorio comportanteparziali sovrapposizioni tra una categoria edun’altra, con possibili duplicazioni nello stabilirel’entità del danno risarcibile 3 .Con il tempo, tuttavia, sopratutto a seguito dellenote sentenze della Suprema Corte di Cassazionenn. 8827 e 8828 del 2003, nonché della CorteCostituzionale n. 233 del 2003, si erano iniziati asgretolare quei concetti che hanno portato allaribalta la categoria del danno esistenziale. Ciò chepiù ha contribuito alla revisione ed alridimensionamento dell’orientamento maggioritario«esistenzialista» è stata l’evoluzione delconcetto di danno non patrimoniale, testualmenterichiamato dall’art. 2059 c.c., giacché esso è statoritenuto risarcibile:a) anche in assenza di reato, con sostanzialetravalicamento del limite interpretativo un temporavvisato dal combinato disposto dell’art. 2059c.c. con l’art. 185, co. 2, c.p.;b) anche in assenza di una espressa previsione dilegge ordinaria, purché vi fosse una lesione diinteressi tutelati a livello costituzionale3 A. Gnani, “L’art. 2059 c.c. nel nome del danno nonpatrimoniale: una «lunga marcia» non ancoracompiuta”, in G. Ponzanelli (a cura di), Il risarcimentointegrale senza il danno esistenziale, op. cit., pp. 104 ess.dall’ordinamento giuridico (c.d. letturacostituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.).In particolare, proprio la possibilità di risarcirelesioni di interessi particolarmente qualificati,quali quelli a copertura costituzionale, ha portato,negli ultimi anni ed anche prima dell’interventodella Cassazione a sezioni unite, a quella radicaletrasformazione in forza della quale «il danno nonpatrimoniale non è più identificato con il dannomorale soggettivo, abbraccia ora ogni pregiudizionon patrimoniale e non reddituale, purché, oltre alreato e a legislazioni speciali, sia stato violato uninteresse della persona costituzionalmenterilevante» 4 .Venutasi a creare la giusta dilatazione delconcetto di danno non patrimoniale ex art. 2059c.c., a tal punto da ricomprendere non solo ildanno morale subiettivo, ma anche ulteriori danninon patrimoniali diversi dal danno morale, inclusoquelli aventi una copertura costituzionale diversadall’art. 32 Cost. su cui si fonda invece il dannobiologico, l’approccio sistematico sull’integralerisarcibilità del danno non patrimoniale ha subitoun conseguente naturale assestamento.L’epilogo di tale assestamento lo troviamo proprionella sentenza della Cassazione a sezioni unite n.26972 del 2008.Infatti, in essa viene innanzitutto affermato ilsistema bipolare di integrale risarcimento deldanno, che considera rilevanti, da una parte, ildanno patrimoniale, la cui principale norma diriferimento è ravvisata nell’art. 2043 c.c., e,dall’altra parte, il danno non patrimoniale, la cuirisarcibilità è assicurata dall’art. 2059 c.c.In secondo luogo viene ribadito che quella relativaal danno non patrimoniale è l’unica categoria di4 G. Ponzanelli, “Introduzione”, op. cit., p. 4.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 19


danno non patrimoniale giuridicamenteammissibile, senza possibilità di ravvisareulteriori categorie o sottocategorie di danno nonpatrimoniale. Le voci di danno tradizionalmenteindicate in giurisprudenza, compreso il dannomorale, il danno da lesione del rapporto parentaleed il danno biologico, devono essere intese soloed esclusivamente come categorie descrittive (enon come autonome voci di danno risarcibile),appartenenti all’unica categoria di danno nonpatrimoniale. Rimarca la Corte di Cassazione,nella sentenza in parola, che tale ragionamentodeve essere applicato sia al danno biologico, siaalle altre ipotesi di danno non previsto dalla leggema incidente su valori costituzionalmentegarantiti. Segnatamente, la richiamata sentenza sipremura di precisare, sul punto, che è «solo a finidescrittivi che, in dette ipotesi, come avviene, adesempio, nel caso di lesione del diritto alla salute(art. 32 Cost.), si impiega un nome, parlando didanno biologico. Ci si riferisce in tal modo ad unafigura che ha avuto espresso riconoscimentonormativo negli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005,recante il Codice delle assicurazioni private, cheindividuano il danno biologico nella “lesionetemporanea o permanente all’integrità psicofisicadella persona suscettibile di accertamento medicolegaleche esplica un’incidenza negativa sulleattività quotidiane e sugli aspetti dinamicorelazionaledella vita del danneggiato,indipendentemente da eventuali ripercussioni sullasua capacità di reddito”, e ne danno unadefinizione suscettiva di generale applicazione, inquanto recepisce i risultati ormai definitivamenteacquisiti di una lunga elaborazione dottrinale egiurisprudenziale» 5 .Aggiunge poi la Cassazione, nella medesimasentenza, che «è ancora a fini descrittivi che, nelcaso di lesione dei diritti della famiglia (artt. 2, 29e 30 Cost.), si utilizza la sintetica definizione didanno da perdita del rapporto parentale», perconcludere espressamente che «In tal senso, e cioècome mera sintesi descrittiva, vanno intese ledistinte denominazioni (danno morale, dannobiologico, danno da perdita del rapportoparentale) adottate dalle sentenze gemelle del2003, e recepite dalla sentenza, n. 233/2003 dellaCorte costituzione».L’etichettamento delle diverse figure di danno nonpatrimoniale, pertanto, può essere usato in sensodescrittivo per riferirsi ad un aspetto o ad un altrodel danno non patrimoniale complessivamente edunitariamente inteso, ma non deve ovviamenteportare a sovrapposizioni risarcitorie attraverso ilricorso alle diverse singole voci di danno, comeavverrebbe qualora una voce, pur descrittivamenteutilizzata, vada a sovrapporsi parzialmente adaltra voce di danno. Se si sommassero irisarcimenti delle singole voci descrittivedell’unitaria categoria di danno non patrimonialevi sarebbe il rischio di avere, per le possibilisovrapposizioni anche parziali, una sommacomplessiva, per il quantum risarcibile, superiorea quanto spetterebbe, in realtà, considerandounitariamente il risarcimento integrale del dannonon patrimoniale.2. «Catalogo» dei casi di danno nonpatrimoniale. Tipicità ed esclusione del numerochiuso.all’affermazione prima dottrinale, poi giurisprudenziale(e legislativa) del danno biologico, nonché della suarisarcibilità, si veda l’opera di G. Alpa, Il danno5 Sul delicato ed importante percorso che ha portatoRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 20


Pur avendo ribadito con inequivocabile chiarezzal’esistenza di una sola categoria di danno nonpatrimoniale, l’esistenza di qualsivogliasottocategoria o voce di danno e la meradescrittività delle voci di danno non patrimonialeaffermatesi in giurisprudenza e legislativamente(come il danno morale, il danno biologico ed ildanno da perdita del rapporto parentale), lasentenza n. 26972/2008 della Cassazione a sezioniunite pone taluni problemi interpretativi, rilevantia livello applicativo, nella parte in cui si perita dirilevare l’assoluta tipicità del danno nonpatrimoniale e, conseguentemente, l’esistenza diun «catalogo» di casi determinati, che possonoessere individuati attraverso una espressaprevisione della legge ordinaria, oppure ricostruitiinterpretativamente dal giudice, sulla base deiprincipi enucleabili dalla «legge fondamentale»,ossia dalla Carta Costituzionale.Occorre premettere, infatti, che il risarcimento deldanno patrimoniale viene considerato risarcibilesecondo il principio di «atipicità» dell’illecito, aisensi dell’art. 2043 c.c., ogni qualvolta vengaravvisato un «danno ingiusto», che, proprio per ilcriterio dell’«ingiustizia» del danno, occorreindividuare di volta in volta in relazione al casoconcreto, senza alcuna necessaria predeterminazionelegislativa della fattispecie. Viceversa, ladizione dell’art. 2059 c.c., che prevede larisarcibilità del danno non patrimoniale solamentenelle ipotesi previste dalla legge, reclama che lefattispecie risarcibili siano tipizzate dallegislatore.Così è storicamente per tutte le ipotesi di dannoderivanti da reato, dato che l’art. 185, co. 2, c.p.biologico. Percorso di un’idea, Cedam, Padova, 2003,a cui si rimanda per i dovuti approfondimenti.dispone che l’autore del reato sia tenuto a risarcireanche il danno non patrimoniale.Altrettanto è avvenuto per il danno cagionato aseguito di illecito trattamento di dati personali,stante l’originario disposto di cui all’art. 29, co. 9,della legge n. 675/1996, successivamenteconfluito nell’art. 15, co. 2, del d.lgs. 196/2003(Codice in materia di protezione dei datipersonali) 6 .Il discorso non cambia con riferimento ad altreipotesi, tra le quali quelle di cui all’art. 2 dellalegge n. 117/1998 in relazione ai danni derivantidalla privazione della libertà personale cagionatidall’esercizio di funzioni giudiziarie, all’art. 44,co. 7, d.lgs. 286/1998, con riguardo all’adozionedi atti discriminatori per motivi razziali, etnici oreligiosi, nonché all’art. 2 della legge n. 89/2001,relativamente al mancato rispetto del termine diragionevole durata del processo. Altrettantopotrebbe dirsi per ciò che attiene al dannobiologico, dato che ora, recependo altre normeprevigenti, espressamente gli artt. 138 e 139 delCodice delle assicurazioni private garantiscono larisarcibilità del danno, classificabile come nonpatrimoniale, per il quale tuttavia sussiste una6 La sent. n. 26972/2008, resa a sezioni unite dallaSuprema Corte di Cassazione, per la verità, nelcatalogare il danno cagionato da trattamento di datipersonali tra i casi di danno non patrimonialerisarcibile per espressa previsione di legge, fariferimento solamente all’art. 9, co. 9, legge n.675/1996, dimenticando incredibilmente di aggiornareil riferimento normativo al noto Codice in materia diprotezione dei dati personali, che è risalente al 2003.Per un commento alla disciplina ed alla giurisprudenzain tema di risarcimento del danno da trattamento di datipersonali sia consentito rinviare a F. Bravo, “Laresponsabilità per danno da trattamento di datipersonali”, in G. Alpa, G. Capilli, P.M. Putti (a curadi), Casi scelti in tema di responsabilità civile, Cedam,Padova, 2004, pp. 125-143; nonché a F. Bravo, “Inviodi SMS commerciali e risarcimento del danno daillecito trattamento di dati personali”, in Il dirittoRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 21


copertura costituzionale ex art. 32 Cost., aprescindere dal riferimento alla disciplina dettatacon legge ordinaria.Al di là delle ipotesi tipizzate dal legislatoreordinario, e prime fra tutte le fattispecie in cuil’illecito commesso integra l’ipotesi di reato,l’individuazione delle fattispecie in cui è possibileaddivenire al risarcimento del danno nonpatrimoniale va ravvisata nella violazione diinteressi protetti costituzionalmente. In tal casonon è che non vi sia una previsione di legge chericonosce la risarcibilità del danno richiestadall’art. 2059 c.c., ma tale previsione deve essereravvisata direttamente nella norma fondamentaledel nostro ordinamento giuridico. Poiché però larisarcibilità del danno non patrimoniale non èesplicitamente affermata, spetterà al giudiceverificare, di volta in volta, la sussistenza o menodella copertura costituzionale per l’individuazionedei casi tipici.Nel catalogo dei casi tipici in cui è ammesso ilrisarcimento del danno non patrimoniale,rinvenibili dalla lettura costituzionalmenteorientata dell’art. 2059 c.c., la sentenza dellesezioni unite della Suprema Corte di Cassazioneha annoverato:a) il già riferito danno biologico, come danno dalesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.);b) la lesione dei diritti inviolabili della famiglia,incluso il danno da perdita del rapporto parentale(artt. 2, 29 e 30 Cost.);c) la violazione del diritto alla reputazione,all’immagine, al nome, alla riservatezza, nonché,più in generale, tutti i diritti inviolabili dellapersona incisa nella sua dignità (artt. 2 e 3 Cost.);dell’informazione e dell’informatica, 2007, n. 4/5, pp.793-814.d) la sofferenza psichica patita dal danneggiato incaso di morte che, dopo un breve lasso di tempo,faccia seguito alle lesioni subite. Tale sofferenza,infatti, «non essendo suscettibile di degenerare indanno biologico, in ragione del limitato intervallodi tempo tra lesioni e morte, non può che essererisarcita come danno morale, nella sua nuova piùampia accezione» (Cass. Civ., SS.UU., sent. n.26972/2008);e) il pregiudizio rilevante patito nell’ambito di unrapporto contrattuale, qualora investa interessi dirango costituzionale, come avviene ad esempionelle ipotesi di violazione dell’obbligodell’imprenditore di tutelare l’integrità fisica e lapersonalità morale del lavoratore ex art. 2087 c.c.In tali fattispecie entrano infatti in rilievo l’art. 32Cost. quanto alla tutela dell’integrità fisica,nonché gli artt. 1, 2, 4 e 35 Cost. quanto alla tuteladella dignità della personadel lavoratore,trattandosi di diritti inviolabili sanciti dalla cartacostituzionale, la cui lesione non può non darluogo a pregiudizi non patrimoniali dainadempimento contrattuale, rientranti nellacategoria descrittiva del danno esistenziale,assolutamente risarcibili in quanto si tratta,sostanzialmente, di «una ipotesi di risarcimento didanno non patrimoniale in ambito contrattalelegislativamente prevista» (Cass. Civ., SS.UU.,sent. n. 26972/2008);f) i c.d. «contratti di protezione», tra i qualivengono annoverati, ad esempio, quelli conclusinel settore sanitario 7 , quelli conclusi nel settore7 A tal proposito la sentenza n. 26972/2008, resa asezioni unite dalla Corte di Cassazione, ha rimarcatoche per i contratti di protezione conclusi nel settoresanitario «gli interessi da realizzare attengono alla sferadella salute in senso ampio, di guisa chel’inadempimento del debitore è suscettivo di lederediritti inviolabili della persona cagionando pregiudizinon patrimoniali», come del resto affermato da copiosaRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 22


dell’istruzione, quanto ai rapporti intercorrenti traallievo e istituto scolastico 8 , nonché quelli relativial rapporto di lavoro, nel cui ambito l’ «esigenzadi accertare se, in concreto, il contratto tenda allarealizzazione anche di interessi non patrimoniali,eventualmente presidiati da diritti inviolabili dellapersona, viene meno», dato che nell’ambito delrapporto di lavoro, proprio in forza del già citatoart. 2087 c.c., è palese come «l’inserimento diinteressi siffatti nel rapporto sia opera dellalegge» 9 .Ciò che invece veniva fatto rientrare nel c.d.danno esistenziale diviene risarcibile, secondo laCorte, «solo entro il limite segnato dallagiurisprudenza, nell’ambito della quale i danneggiati,«a seconda dei casi, avevano subito la lesione deldiritto inviolabile alla salute (art. 32, co. 1, Cost.), sottoil profilo del danno biologico sia fisico che psichico(sent. n. 1511/2007); del diritto inviolabileall’autodeterminazione (art. 32, co. 2, e 13 Cost.),come nel caso della gestante che, per errorediagnostico, non era stata posta in condizione didecidere se interrompere la gravidanza (sent. n.6735/2002 e conformi citate), e nei casi di violazionedell’obbligo del consenso informato (sent. n.544/2006); dei diritti propri della famiglia (artt. 2, 29 e30 Cost.), come nel caso di cui alle sentenze n.6735/2002 e conformi citate.8In tali contratti di protezione la citata la sentenza n.26972/2008, richiamando come precedenti Cass. Civ.,SS.UU., sent. n. 9346/2002 e Cass. Civ., sent. n.8067/2007, afferma come la fonte del rapporto siaderivante dal «contatto sociale» e «tra gli interessi nonpatrimoniali da realizzare rientra quello all’integritàfisica dell’allievo, con conseguente risarcibilità deldanno non patrimoniale da autolesione».9 In tale senso si veda, ancora una volta, Cass. Civ.,SS.UU., sent. n. 26972/2008. Medesimo ragionamentoanche per il contratto di trasporto, in riferimento alquale la medesima pronuncia motiva sostenendo che«la tutela dell’integrità fisica del trasportato è compresatra le obbligazioni del vettore, che risponde dei sinistriche colpiscono la persona del viaggiatore durante ilviaggio (art. 1681 c.c.). Il vettore è quindi obbligato arisarcire a titolo di responsabilità contrattuale il dannobiologico riportato nel sinistro del viaggiatore. Overicorra l’ipotesi di inadempimento-reato (lesionicolpose), varranno i principi enunciati con riferimentoall’ipotesi del danno non patrimoniale da reato, anchein relazione all’ipotesi dell’illecito plurioffensivo, esarà dato il risarcimento del danno non patrimonialenella sua ampia accezione».ingiustizia costituzionalmente qualificatadell’evento di danno. Se non si riscontra lesione didiritti costituzionalmente inviolabili della personanon è data tutela risarcitoria» (Cass. Civ., SS.UU.,sent. n. 26972/2008). Proprio con riferimento alrapporto di lavoro, il Supremo Collegioesemplificativamente afferma che quando ilprecedente orientamento giurisprudenzialericonosceva la risarcibilità del «dannoesistenziale» al lavoratore, per la lesione diinteressi costituzionalmente rilevanti, finiva perutilizzare una «Definizione che ha valenzaprevalentemente nominalistica, poiché i danniconseguenzanon patrimoniali che vengono inconsiderazione altro non sono che pregiudiziattinenti allo svolgimento della vita professionaledel lavoratore, e quindi danni di tipo esistenziale,ammessi a risarcimento in virtù della lesione, inambito di responsabilità contrattuale, di dirittiinviolabili e quindi di ingiustiziacostituzionalmente qualificata» (Cass. Civ.,SS.UU., sent. n. 26972/2008).Tali casi di danno non patrimoniale, che vannoindagati nell’ottica della tipicità, non costituisconoperò un numero chiuso, dato che, ora dall’esamedella legislazione ordinaria vigente, oradall’esame della rilevanza costituzionale dei dirittidi volta in volta lesi, è possibile rinvenire interessiprotetti dall’ordinamento giuridico, risarcibilinell’ambito del danno non patrimoniale. Piùprecisamente, la richiamata sentenza dellaCassazione a sezioni unite, nell’affermare che il«catalogo dei casi in tal modo determinati noncostituisce numero chiuso», si premura diprecisare che la «tutela non è ristretta ai casi didiritti inviolabili della persona espressamentericonosciuti dalla Costituzione nel presenteRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 23


momento storico, ma, in virtù dell’aperturadell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deveritenersi consentito all’interprete rinvenire nelcomplessivo sistema costituzionale indici chesiano idonei a valutare se nuovi interessi emersinella realtà sociale siano, non genericamenterilevanti per l’ordinamento, ma di rangocostituzionale attenendo a posizioni inviolabilidella persona umana».Ebbene, tale clausola di apertura, si noti, sembradestinata a creare una valvola con cui l’autoritàgiudiziaria dichiara di voler conservare un ampiomargine nell’applicazione dell’art. 2059 c.c., finoad incidere sostanzialmente sul principio ditipicità degli illeciti non patrimoniali risarcibili.Infatti, anche di fronte alle medesime normecostituzionali, la Corte anticipa che sarà possibileper il giudice incrementare le ipotesi «tipiche» didanno non patrimoniale risarcibile, andando adindividuare «nuovi interessi» di volta in voltaemergenti dalla «realtà sociale».3. Frammentazione dell’unitaria categoria didanno non patrimoniale nelle ipotesi tipiche dirisarcimento. Problemi relativi allaquantificazione del risarcimento, ampliamentodei poteri del giudice e reductio ad unitatemOra, benché la categoria di danno nonpatrimoniale sia unitaria e contrapposta solamenteal danno patrimoniale, secondo il professatobipolarismo del sistema risarcitorio, sorge ilproblema teorico ed operativo in ordine a comeprocedere alla quantificazione del risarcimento.Infatti, la «tipicità» del danno non patrimoniale,come può agevolmente desumersi dallaricostruzione del catalogo che la stessa Corte diCassazione si preoccupa di enunciare, finisce perframmentare comunque l’unitaria categoria nellediverse ipotesi tipiche di danno non patrimonialerisarcibile, giacché i casi determinati dalla leggefiniscono per comportare comunquel’individuazione di «sottocategorie» tipiche didanno non patrimoniale, a cui corrisponderannodistinte valutazioni economiche da parte delgiudicante, ai fini risarcitori.La novità nell’impostazione delle sentenze asezioni unite, tuttavia, sembra essere: a) da unlato, quella di sottacere l’autonoma rilevanzanormativa delle singole voci di danno, che pure ilgiudice, per il principio di tipicità, è tenuto sia adindividuare (nella legge ordinaria o nelledisposizioni costituzionali a tutela dei dirittiinviolabili dell’uomo) che ad accertare, a seguitodell’onere di allegazione da parte di chi proponela domanda risarcitoria; b) al contempo, dall’altrolato, quella di ampliare i poteri del giudice nelladeterminazione discrezionale del danno nonpatrimoniale risarcibile, consentendogli dirimuovere i parametri di valutazione legati aciascuna sottocategoria di danno (es. morale,biologico, etc.) per effettuare, ove ritenesseopportuno, una valutazione unitaria e complessivadel danno non patrimoniale.L’operazione ermeneutica della Suprema Corte diCassazione, sicuramente pregevole nella parte incui tenta di evitare i rischi di una possibileduplicazione risarcitoria, lascia adito a taluneperplessità nella parte in cui, pur ravvisandoquella necessaria tipicità di casi di risarcimentodel danno non patrimoniale, disconosce la loroautonoma rilevanza giuridica ai fini risarcitori,relegandoli su un piano meramente descrittivo,contrariamente al dettato normativo che, come adesempio nel caso del danno biologico, esplicitaRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 24


ipotesi determinate di pregiudizi non patrimonialirisarcibili ed impone l’adozione di specifichetabelle, soprattutto in ipotesi di lesionimicropermanenti.4. Prime applicazioni giurisprudenziali deiprincipi fissati dalla sentenza n. 26972/2008resa dalla sezioni unite della Corte diCassazione.Per comprendere bene i problemi interpretativi ecome possano essere risolti occorre indagare comela giurisprudenza di merito stia dando attuazioneai principi espressi dalla richiamata sentenza dellesezioni unite della Suprema Corte di Cassazione.V’è chi ha avuto modo di rimarcare come, in temadi risarcimento del danno non patrimonialelamentato nelle ipotesi di inadempimentocontrattuale, i primi assestamenti dellagiurisprudenza di merito, in sentenze rimaste nonedite, appaiono piuttosto discutibili, atestimonianza dell’esistenza di «qualche problemadi assestamento nell’adeguamento ai principifissati dalle S.U.» 10 .Al riguardo viene riportata, ad esempio, unasentenza del Tribunale di Trieste dell’8 gennaio<strong>2009</strong>, la quale «nell’accogliere la domanda dirisarcimento del danno patrimoniale conseguenteall’inadempimento di un architetto che avevapresentato un progetto non conforme ai parametriedilizi e urbanistici, e quindi inidoneo ad ottenereil rilascio della concessione edilizia, ha rigettato,conformemente ai principi enunziati dalle SS.UU.,la domanda relativa al danno esistenziale [rectius:«morale», ovvero «non patrimoniale» – n.d.a.]10M. Gazzara, “Danno non patrimoniale dainadempimento: le SS.UU. e le prime applicazioninella giurisprudenza di merito”, in Danno eresponsabilità, <strong>2009</strong>, n. 3, pp. 290 e ss.asseritamente patito dalla creditrice-committente econsistente nei patemi d’animo, disagi eturbamenti della serenità conseguenti allaaspettativa delusa. In modo assai discutibile haaltresì escluso il risarcimento del danno biologico(sub specie di danno psichico) che pure la c.t.u.aveva riconosciuto come conseguenza immediatae diretta dell’inadempimento, e ciò sulpresupposto della non prevedibilità del danno» 11 .Altra giurisprudenza di merito fa discutere per viadell’applicazione di quel margine ampio didiscrezionalità che la stessa sentenza della Cortedi Cassazione ha espressamente dichiarato divoler mantenere allorché ha ribadito che i casideterminati per legge di risarcimento del dannonon patrimoniale, ancorché soggetti al principio ditassatività per via del tenore dell’art. 2059 c.c.,possono arricchirsi di ulteriori previsioni in forzadella possibilità di ricorrere all’interpretazioneevolutiva con riferimento alle norme ed ai principicostituzionali che, proprio in connessione conl’art. 2059 c.c., assicurano la coperturarisarcitoria.Il problema legato ai rischi di un’eccessivadilatazione del ricorso all’interpretazioneevolutiva dei principi costituzionali, a fronte dellalettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059c.c., è evidente in altra pronuncia di merito,segnalata in dottrina.È stato al riguardo evidenziato, infatti, che il«Giudice di pace di Piacenza con sentenza n.7395/08 ha (...) riconosciuto il danno nonpatrimoniale ( [...] esistenziale) lamentato da unpendolare, abbonato della Trenitalia S.p.a., chelamentava la pessima qualità del servizio erogatodall’azienda nella tratta Piacenza-Milano,11 M. Gazzara, op. cit., p. 290.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 25


iconosciuta peraltro dalla stessa azienda che, inbase a contratti stipulati con la RegioneLombardia, aveva corrisposto agli abbonati unindennizzo consistente in un nuovo abbonamentogratuito. La decisione, che pure richiamaespressamente i limiti sanciti dalle S.U. alriconoscimento del danno esistenziale, affermache tali limiti dovevano considerarsi nel caso dispecie superati, attesa la sistematicità dellacondotta inadempiente di Trenitalia, ed iconseguenti disagi qualificabili oltre la soglia dinormale tollerabilità; individua, inoltre, in talecondotta – oltre che il mancato rispetto dellenorme del codice del consumo – anche la lesionedi un interesse costituzionalmente protetto,consistente nella salvaguardia della personalitàdel cittadino» 12 .V’è poi la sentenza resa dal Tribunale di Pavia indata 17 dicembre 2008, la quale, in una fattispeciedi risarcimento del danno da lesioni gravissime,riconosce, oltre al danno patrimoniale, il solodanno biologico, come da tabelle, considerandoinclusa nella valutazione del danno biologicoanche il danno morale, senza però tener presenteche, con il nuovo indirizzo della Suprema Corte,quando il giudice ricorre alle tabelle è tenuto adeffettuare una personalizzazione al fine diadeguarle alla sofferenza effettivamente subita nel12 M. Gazzara, op. cit., p. 290. L’A. annota talesentenza ammonendo come la stessa in realtà «tradisca,aldilà di un ossequio meramente formale, i principienunciati dalla S.C., configurandosi peraltro assaidebole ed incerto il fondamento costituzionale deidiritti asseritamente lesi: essa appare piuttosto ispirataad un intento sanzionatorio della condotta gravementeinadempiente della Società che gestisce il regime disostanziale monopolio un servizio pubblico; ancora unavolta la sensazione è quella di trovarsi di fronte a deidanni punitivi, il cui riconoscimento è stato semprecostantemente negato dalla Giurisprudenza della S.C.».caso concreto, tenuto conto dei principi dellaprova presuntiva 13 .Infatti, la sentenza n. 29672/2008 resa dallesezioni unite della Suprema Corte di Cassazione,benché abbia affermato il principio secondo cui«Determina (...) duplicazione di risarcimento lacongiunta attribuzione del danno biologico e deldanno morale nei suindicati termini inteso,sovente liquidato in percentuale (da un terzo allametà) del primo», ribadisce anche che «Esclusa lapraticabilità di tale operazione, dovrà il giudice,qualora si avvalga delle note tabelle, procedere adadeguata personalizzazione della liquidazione deldanno biologico, valutando nella loro effettivaconsistenza le sofferenze fisiche e psichiche patitedal soggetto leso, onde pervenire al ristoro deldanno nella sua interezza». Il ricorso alle soletabelle, senza l’adeguata personalizzazione, nonsembra in grado di conferire interezza alrisarcimento del danno non patrimoniale subitodalla persona, dato che le tabelle attribuisconocriteri standardizzati di liquidazione, ma nonpossono tener conto della situazione concreta incui la vittima si trova.Nella sentenza del Tribunale di Pavia, pur dandocorrettamente conto dei principi fissati dalSupremo Collegio a sezioni unite, finisceconcretamente per discostarsi, ancorando lavalutazione del danno non patrimoniale alle solerisultanze tabellari, escludendo quell’ulteriorerisarcimento che sarebbe dovuto derivare dallapersonalizzazione della liquidazione rispetto alcalcolo tabellare, per tener conto delle sofferenze13 La sentenza resa dal Tribunale di Pavia in data 17dicembre 2008 è stata pubblicata sulla rivista «ilcaso.it» ed è reperibile su Internet all’URLhttp://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/1487.htm.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 26


effettivamente subite dal danneggiato sul casoconcreto.L’argomento usato in sentenza per avvalorare taleesclusione si fonda sul difetto probatorio di talisofferenze, dimenticando che la sentenza29672/08 della Cassazione ha precisato l’assolutavalenza probatoria della prova presuntiva. Inparticolare, proprio con riferimento alrisarcimento del danno non patrimoniale diversodal danno biologico, tale pronuncia del SupremoCollegio ha rimarcato con forza che, «Attenendoil pregiudizio (non biologico) ad un beneimmateriale, il ricorso alla prova presuntiva èdestinato ad assumere particolare rilievo, e potràcostituire anche l’unica fonte per la formazionedel convincimento del giudice, non trattandosi dimezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., trale tante, sent. n. 9834/2002). Il danneggiato dovràtuttavia allegare tutti gli elementi che, nellaconcreta fattispecie, siano idonei a fornire la serieconcatenata di fatti noti che consentono di risalireal fatto ignoto».Altra sentenza, resa in sede penale dalla Corte diAppello di Salerno in data 8 gennaio <strong>2009</strong>, sipronuncia in tema di violenza domestica emaltrattamenti familiari sulla richiesta, avanzatadalla parte civile, di risarcimento del danno nonpatrimoniale subito in conseguenza di reato, pur inassenza di lesioni all’integrità psico-fisicarientranti nel danno biologico 14 . In tale sentenza,dopo il doveroso richiamo all’indirizzogiurisprudenziale recentemente fissato dallesezioni unite della Cassazione, si trova affermatoche, in caso di risarcimento del danno non14 La citata sentenza della Corte di appello salernitana,anch’essa pubblicata sulla rivista «il caso.it», èreperibile su Internet all’URLhttp://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/1505.htm.patrimoniale derivante da reato, «La recentissimagiurisprudenza ha superato il tradizionaleorientamento che limitava il risarcimento al solodanno morale soggettivo, identificato con ilpatema d’animo transeunte, e, nell’ipotesi(ricorrente nel caso in esame) di fatto costituentereato ha affermato la risarcibilità del dannopatrimoniale nella sua più ampia accezione, checomprende anche il pregiudizio non patrimonialeconsistente nella sofferenza morale determinatadal non poter fare. Va presa in esame, quindi, larisarcibilità di profili di danno che, prima dellesentenze delle SSUU, costituivano l’oggetto tipicodella categoria definita danno esistenzialerappresentata dalla forzosa rinuncia alle proprieabitudini di vita in conseguenza del fatto illecitodunque, nella modifica in peius della personalitàdel leso (il c.d. “sovvertimento esistenziale”)».Prosegue ancora la Corte di Appello di Salernoaggiungendo che «Sotto tale profilo, nellaindividuazione dell’area del danno risarcibile,occorre considerare che non sono meritevoli dellatutela risarcitoria, invocata a titolo di dannoesistenziale, i pregiudizi consistenti in disagi,fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo diinsoddisfazione concernente gli aspetti piùdisparati della vita quotidiana che ciascunoconduce nel contesto sociale, ai quali ha spessoprestato tutela – in ambito civile – lagiurisprudenza dei Giudici di Pace. Infatti, vacondiviso il principio per cui, anche nell’ipotesi dimaltrattamenti familiari (nei quali la condotta è –come nella fattispecie in esame – variegata,consistendo in offese reiterate alla dignità ed aldecoro della appellante, alla serenità, in vessazionie violenze e, da ultimo, nell’imposizione dellapresenza di un’altra donna) la risarcibilità non puòRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 27


fondarsi su un presunto “diritto alla qualità dellavita, allo stato di benessere, alla serenità”. Varibadito che, al di fuori dei casi determinati dallalegge, ordinaria, solo la lesione di un dirittoinviolabile della persona concretamenteindividuato è fonte di responsabilità risarcitorianon patrimoniale. Proprio rispondendo ad uno deiquesiti di rimessione di febbraio 2008, n.4712/2008, della Terza Sezione della Cassazione,le SSUU hanno ribadito il principio di tipicità deldanno non patrimoniale, secondo il quale, mentreper il risarcimento del danno patrimoniale, con ilsolo riferimento al danno ingiusto, lageneralklausel dell’art. 2043 c.c. comportaun’atipicità dell’illecito, eguale principio diatipicità non può essere affermato in tema didanno non patrimoniale risarcibile che rimanetipico in quanto la struttura dell’art. 2059 c.c.limita il risarcimento del danno non patrimonialeai soli casi previsti dalla legge. E ciò è certamentela legge penale».Proprio sulla scorta di tale premesse, la sentenzadella Corte di Appello salernitana procede conl’affondo motivazionale per restaurare, in sederisarcitoria per fatto illecito derivante da reato, idanni ora solo descrittivamente definibili comedanno morale e danno esistenziale. Piùprecisamente, con la propria sentenza dell’8gennaio 2008, la Corte di Appello di Salernointende chiarire che «Riprendendo le categorie deidanni morale ed esistenziale delineate dalle c.d.Sentenze della cinquina (Cass., 31.05.03, n. 8828;Cass., 31.05.03 n. 8827; Cass. 12.05.03, n. 7281;Cass. 12.05.03 n. 7283; Cass. 12.05.03 n. 7282) erivisitate, da ultimo, dalle SSUU, va precisato chel’ambito che qui interessa è quello del pregiudiziosofferto dalla persona offesa [rectius: parte civile,n.d.a.] nella sua più ampia accezione di dannodeterminato dalla lesione di interessi inerenti lapersona non connotati da rilevanza economica ecioè sia l’interesse alla integrità morale, sia quelloalla inviolabilità della libera e piena esplicazionedelle attività realizzatrici della persona umana, lacui tutela sia ricollegabile a norme di rangocostituzionale. Per tali ragioni, tanto il dannomorale soggettivo, quanto il danno esistenziale,possono essere risarciti senza che possa ravvisarsiduplicazione del risarcimento».Come può ben comprendersi, proprio su taleaffermazione possono ravvisarsi taluni problemiapplicativi dei principi enunciati dalla Corte diCassazione, dato che l’indirizzo espresso dalSuprema Collegio è volto a negare la risarcibilitàdel danno esistenziale genericamente inteso, senzaalcun riferimento ad interessi protettidall’ordinamento, specificamente determinati dalrichiamo di norme di legge o di valoricostituzionali. In sede penale il discorso sul dannoesistenziale sembra poter riaffermare la propriaforza espansiva nella giurisprudenza di merito,così come traspare dalla richiamata pronunciasalernitana.Quest’ultima poi, quanto al profilo probatorio,mostra di fare ottimo uso delle indicazioni dellaSuprema Corte, avvalendosi della possibilità diricorrere alla prova presuntiva. Diversamentedall’iter motivazionale seguito dalla citatasentenza del Tribunale di Pavia, infatti, la Corte diAppello campana ha sentenziato che «L’onereprobatorio è agevolato dal fatto che la prova puòfondarsi su elementi presuntivi dell’esistenza deldanno morale. Infatti, in buona parte dei casi,secondo l’id quod plerumque accidit, leaggressioni fisiche e morali determinanoRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 28


generalmente un forte perturbamento valutabile intermini di danno morale (nella più ampiaaccezione [...]). Ed in tal senso tale riscontroprobatorio risiede proprio nel fatto che l’imputatoha consapevolmente sottoposto la moglie, duranteil periodo di convivenza matrimoniale, ad unregime di vita abitualmente vessatorio e violento,attraverso la sistematica commissione di più attilesivi del suo patrimonio morale e della suaintegrità fisica, fino ad offenderne la dignità ed ildecoro, tanto da obbligarla, nell’ultimo periodo, atollerare la presenza di un’altra donna neldomicilio coniugale». Pertanto, conclude sulpunto la Corte di Appello nella richiamatasentenza, «Il quadro generale, da valutare ai finidella prova concreta del pregiudizio, ancheesistenziale, è quello di uno stato durevole e diavvilimento e di umiliazione cui la persona offesaè stata sottoposta per un lunghissimo arcotemporale. Il danno morale da reato consiste,infatti, nell’ingiusto turbamento conseguenteall’offesa ricevuta, ma l’area risarcibile attieneanche al pregiudizio non patrimoniale consistentenella “sofferenza morale determinata dal nonpoter fare”». Ricorrendo alla prova presuntivaribadita anche dalle sezioni unite dellaCassazione, la Corte salernitana giustifica laliquidazione tanto della componente «morale»,tanto della componente «esistenziale», delpregiudizio subito.Rimane poi il problema, di enorme rilevanzapratica, relativo alla determinazione del quantumrisarcibile, a fronte dell’unica ampia categoria didanno non patrimoniale giuridicamenteindividuabile, al di là delle singole vocimeramente «descrittive» di danno nonpatrimoniale.Anche su tale punto la Corte salentina è prodiga dimotivazioni, nella parte in cui richiamacorrettamente gli art. 2056 e 1226 c.c., che fissanoil criterio equitativo per la liquidazione del danno.La prova presuntiva ha fatto apprezzare in terminidi certezza l’esistenza del pregiudizio nonpatrimoniale, eziologicamente connessoall’offensività del reato, ma di impossibiledeterminazione quanto al suo esatto ammontare.Ebbene, come precisato dalla Corte di Appello diSalerno, la determinazione monetaria del dannosubito «si attua attraverso un giudizio equitativoin base ad una serie di criteri (gravità del reato,entità dell’offesa arrecata, età del soggetto leso,rapporto di parentela, sensibilità dell’aventediritto, ecc.) necessariamente influenzati dallanatura del danno non patrimoniale».Segnatamente, la sentenza in esame afferma che,«Indipendentemente dalla adesione ad una delletre linee di pensiero sulla natura di tale danno(afflittiva-sanzionatoria, che attribuisce allariparazione del danno morale da reato natura dipena privata, risarcitoria, simile a quella del dannopatrimoniale e satisfattiva volta ad alleviare lesofferenze patite, con una somma di denaro) lagiurisprudenza ha enucleato una serie di parametriai quali il giudice di merito deve attenersi nellavalutazione discrezionale del danno».Ebbene, ricorda la Corte che il «criterio preferibileper addivenire alla corretta determinazione eliquidazione del danno subito dalla vittima di unfatto avente rilevanza penale è quello della gravitàdel reato. Tale principio comporta che l’importoda liquidare a titolo di danno morale èdirettamente proporzionale alla gravità del fatto. Ilprofilo della gravità viene, poi, definito inconcreto facendo riferimento all’elementoRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 29


Appare doveroso, nel primo periodo diassestamento e sedimentazione dei principielaborati dalla Cassazione, non solo tenere alto ilconfronto in sede scientifica e tra gli operatori deldiritto (siano essi avvocati o magistrati, difensorio giudicanti), ma anche effettuare unmonitoraggio continuo della giurisprudenza dimerito prodotta in materia, al fine di vagliarlacriticamente alla luce del predetto confronto.Bibliografia.• Alpa G., Il danno biologico. Percorso diun’idea, Cedam, Padova, 2003.• Bravo F., “La responsabilità per danno datrattamento di dati personali”, in G. Alpa, G.Capilli, P. M. Putti (a cura di), Casi scelti in temadi responsabilità civile, Cedam, Padova, 2004, pp.125-143.• Bravo F., “Invio di SMS commerciali erisarcimento del danno da illecito trattamento didati personali”, in Il diritto dell’informazione edell’informatica, 2007, n. 4/5, pp. 793-814.• Castronovo C., “Il danno esistenziale: il lungoaddio”, in Danno e responsabilità, <strong>2009</strong>, n. 1, pp.5 e ss.• Gnani A., “L’art. 2059 c.c. nel nome deldanno non patrimoniale: una «lunga marcia» nonancora compiuta”, in G. Ponzanelli (a cura di), Ilrisarcimento integrale senza il danno esistenziale,cit., pp. 104 e ss.• Gazzarra M., “Danno non patrimoniale dainadempimento: le SS.UU. e le prime applicazioninella giurisprudenza di merito”, in Danno eresponsabilità, <strong>2009</strong>, n. 3, pp. 290 e ss.• Ponzanelli G. (a cura di), Il risarcimentointegrale senza il danno esistenziale, Cedam,Padova, 2007.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 31


Il ruolo della vittima del reato nel procedimento penaleai fini del risarcimento del danno non patrimonialeJuri Monducci •RiassuntoLa vittima del reato, nel moderno procedimento penale, riveste un ruolo comunque da non sottovalutare, potendo controllaree sollecitare il pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e potendo esercitare ella stessa l’azione civilenell’ambito del processo penale. Il ruolo della persona offesa, peraltro, è ancora oggi più importante e delicato se siconsidera che con le novelle sentenze delle Sezioni Unite del 11 novembre 2008 è stato di fatto ampliato l’oggetto dellaprova che la parte civile deve offrire per la determinazione del danno, che non può più essere ritenuto in re ipsa nel solofatto della commissione del reato ma deve essere concretamente provato dal danneggiato, se pur anche attraverso la provapresuntiva.RésuméLa victime d’actes criminels, dans le procès pénal, peut contrôler et solliciter le Ministère Public pour l’exercice de l’actionpénale et peut intenter une action en justice dans le procès criminel. Le rôle de la victime d’actes criminels est aujourd’huiencore plus important et plus délicat qu’auparavant. En effet, les jugements nouveaux des Chambres Unies de la Cour deCassation du 11 novembre 2008 ont étendu l’objet de la preuve que la partie civile doit donner pour déterminer lacompensation financière du dommage subi. Celui-ci ne peut être évalué in re ipsa que pour le fait qu’un délit a été commis ;il doit cependant être prouvé par la victime, même comme une preuve présomptive.AbstractIn criminal proceedings, the victim of the crime plays a central role as he may check and solicit the public prosecutor inexercising the criminal action and he can exercise himself a civil action within the criminal proceedings. The role of thecrime victim is now even more important as the recent rulings of the Italian Supreme Court of November 11, 2008, havebroadened the object of the proof that the plaintiff has to allege in order to determine the damage, which cannot be deemedto be in re ipsa in the very fact of the commission of the criminal offence, but has to be actually proved by the damagedperson, even if by natural presumption.• Avvocato, è dottore di ricerca in bioetica ed in informatica giuridica e diritto dell’informatica all’Università diBologna.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 32


1. La persona offesa e il suo intervento nelleindagini.Il legislatore del 1988, approvando il nuovocodice di procedura penale, con ciò innovandoparzialmente rispetto alla legislazione precedente,ha attribuito maggior rilevanza al ruolo dellapersona offesa dal reato e, quindi, alla vittima delreato.La persona offesa, in particolare, fermo restandola titolarità dell’azione penale, che resta nellemani dello Stato (salvo quanto si vedrà infra circai reati di competenza del Giudice di Pace) vieneindividuata dalla legge in quel soggetto chesubisce l’azione delittuosa o, meglio, in quelsoggetto al quale appartiene l’interesse protettodalla norma punitiva o che, comunque, è titolaredi tale interesse.La persona offesa, che resta tale per tutta la duratadel procedimento penale (dalla fase delle indaginial giudizio di Cassazione), non riveste il ruolo di“parte processuale” bensì solo di “soggettoprocessuale” perché il codice, di fatto, leattribuisce, appunto in tale esclusiva veste, poteridi “impulso” 1 e/o di “controllo” 2 dell’operato delpubblico ministero e/o del giudice. E, ciò, senzadimenticare che alla persona offesa, relativamentea specifici reati considerati di minor allarmesociale (o per i quali, invece, si vuole riservarealla medesima persona offesa la più ampia facoltàdi scelta sulla perseguibilità del reo), compete il1 A titolo esemplificativo l’art. 90 c.p.p. attribuisce allapersona offesa il potere di presentare memorie eindicare elementi di prova.2 L’art. 410 c.p.p. attribuisce alla persona offesa ilpotere di opporsi all’archiviazione richiesta dalpubblico ministero, se pur solo con l’indicazione dinuovi elementi di prova, così come specularmene l’art.413 c.p.p. attribuisce alla stessa persona offesa il poteredi chiedere al procuratore generale, se il pubblicoministero non ha esercitato l’azione penale entro itermini previsti, di disporre l’avocazione delle indagini.diritto di rimuovere un ostacolo alla procedibilitàdell’azione penale, tramite l’esercizio, appunto,del c.d. diritto di querela.Generalmente la persona offesa riveste anche laposizione di “danneggiato” perché, oltre ad essereil titolare dell’interesse protetto, è anche ilsoggetto che ha subito il danno di naturastrettamente civilistica, patrimoniale o nonpatrimoniale che sia. Secondo la giurisprudenza dilegittimità la persona danneggiata è il soggettoche ha subito un danno che sia comunqueeziologicamente riferibile e consequenziale allacondotta commissiva od omissiva del reo 3 .In alcune circostanze la distinzione tra personaoffesa e persona danneggiata non è di poco contoperché, con tutta evidenza, solo alla personaoffesa, e mai al danneggiato 4 , competono i dirittidal codice attribuiti, appunto, alla prima, cosìcome, viceversa, solo alla persona danneggiata, enon alla persona offesa che non sia anche tale,compete il diritto di costituirsi parte civile.Ancora più complessa può essere l’individuazionedalla parte offesa nei c.d. reati plurioffensivi dove,soprattutto in alcuni delitti contro la pubblicaamministrazione, oltre alla persona offesacollettivitàè possibile individuare la personaoffesa-privato 5 .Diversamente, come si è detto, solo aldanneggiato, e quindi solo al danneggiato in taleesclusiva veste o solo alla persona offesa che siaanche danneggiata, compete il diritto di costituirsiparte civile nel processo penale e, quindi, di3 V. fra le altre, Cass. 28 maggio 1996 n. 1266, nonchéCass. 20 ottobre 1997 n. 10126.4 Salvo che, per espressa previsione dell’art. 90 comma3 c.p.c., ai prossimi congiunti della persona offesadeceduta in conseguenza del reato.5 Si pensi, in effetti, all’omissione di atti di ufficio, alpeculato, ecc.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 33


chiedere al Giudice penale la liquidazione deidanni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti acausa del fatto-reato (anche se, in proposito, sidirà infra più approfonditamente circa lapossibilità di costituirsi parte civile degli enti edelle associazioni rappresentativi di interessidiffusi o collettivi).Come si è già accennato, mentre nel procedimentopenale che qui possiamo definire “ordinario”(quindi quello per reati di competenza delTribunale o della Corte di Assise) la parte offesariveste un esclusivo ruolo di controllo o,comunque, di sollecitazione, nel procedimentopenale per i reati di competenza del Giudice diPace 6 la parte offesa, indipendentemente dal fattoche sia anche danneggiata, può sollecitareattivamente la promozione dell’azione penale,proponendo ricorso immediato al Giudice 7 , eaddirittura impugnando anche agli effetti penali lasentenza di assoluzione dell’imputato 8 .Tali considerazioni non sono da sottovalutare se siconsidera che molti dei reati di competenza delGiudice di Pace (diffamazione, ingiuria, lesioni)sono spesso delitti che cagionano soprattuttodanni di natura non patrimoniale per i quali,pertanto, è ampio interesse della parte offesa, allaluce delle recenti sentenze gemelle delle Sezioni6Tale autorità giudiziaria è competente, ai sensidell’art. 4 del d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 per una granparte di reati procedibili a querela tra i quali lepercosse, le lesioni personali, l’ingiuria, ladiffamazione, ecc.7Fermo restando, comunque, che il capo diimputazione resta di competenza del pubblicoministero, tant’è vero che in caso di inerzia o dicontrarietà di quest’ultimo, il Giudice non potrà chedichiarare l’inammissibilità del ricorso (cfr. art. 25d.lgs. 274/00 e Cass. 1 luglio 2008 n. 26147).8 Diversamente il codice consente l’impugnazione dellaparte civile, anche agli effetti penali, per i soli reati diingiuria e diffamazione (art. 577 c.p.p.).Unite del 11 novembre 2008 9 , da un lato faraccertare la responsabilità penale dell’imputato(che, come noto, fa certamente sorgere larisarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 185c.p.) e dall’altro mettersi in prova, direttamentenell’ambito del processo penale, sul quantum deldanno non patrimoniale, al fine di sperare in unaliquidazione già da parte del giudice panale.2. L’azione civile finalizzata al risarcimento deldanno non patrimoniale.Si è detto che la parte offesa che sia anchedanneggiata dal reato 10può, a sua scelta“trasformarsi” in parte civile, ovvero costituirsiparte civile nel processo penale eventualmenteiniziato con il rinvio a giudizio dell’indagato.La costituzione di parte civile si risolve in un attoscritto nel quale il danneggiato è tenuto, a pena diinammissibilità (art. 78 comma 1 c.p.c.) adeterminare la domanda nonché le ragioni dellastessa (e quindi ad allegare sia la causa petendi 11sia il petitum, analogamente a quanto previsto inmerito ai requisiti essenziali dell’atto di citazionein sede civile).E’ pertanto questa la sede in cui la parte offesadeve necessariamente, incorrendo diversamentenel divieto di mutatio libelli 12 , prendere posizione9Ci riferisce, evidentemente, alle sentenze 11novembre 2008 nn. 26972, 26973, 26974, tuttecontenenti gli stessi principi di diritto.10 In verità la norma attribuisce il potere di costituirsiparte civile al “soggetto al quale il reato ha recatodanno” nonché ai “suoi successori universali” (art. 74c.p.p.).11 Anche se l’indicazione della causa petendi puòritenersi soddisfatta anche dalla mera trascrizione delcapo di imputazione (v., ex plurimis, Cass. 2 dicembre1999 n. 13815).12 In sede conclusiva, infatti, analogamente a quantoprevisto nell’ambito del processo civile, al parte civilepuò esclusivamente “determinare” il risarcimento deldanno richiesto (art. 523 comma 2 c.p.p.), senzapertanto poter mutare né il titolo dell’azione nél’oggetto della stessa, .Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 34


in ordine sia al titolo del danno effettivamentesubito sia agli elementi di prova dei quali chiedereingresso nel processo penale; a parere di chi scrivenon deve essere sottovalutata la necessità dichiedere l’ammissione dei mezzi di provanecessari per la dimostrazione del danno nonpatrimoniale, soprattutto alla luce del recentedettato delle Sezioni Unite, dal momento che l’art.187 comma 3 c.p.p. prevede espressamente, qualeoggetto dell’istruzione, “i fatti inerenti allaresponsabilità civile derivante dal reato”.In proposito deve infatti osservarsi che, nel casoin cui la parte civile abbia chiesto il risarcimentodei danni non patrimoniali e non abbia provvedutoad allegare la specifica ragione della pretesa 13 (art.187 comma 3 c.p.p.) laddove il Giudice provvedaall’effettiva liquidazione del danno nonpatrimoniale richiesto (come peraltro previsto, inlinea di principio 14 , dall’art. 538 c.p.p.) nonsarebbe più possibile per la stessa parte agire insede civile per una liquidazione superiore, in virtùdel principio del ne bis in idem 15 . E, del resto,nemmeno la parte civile deve contare sull’oramaidiffusa prassi dei giudici penali, peraltrocertamente non unanime, di rimettere sic etsimpliciter al giudice civile la decisione in ordineal quantum della pretesa risarcitoria dal momentoche, soprattutto a seguito delle predette sentenzegemelle delle Sezioni Unite, è auspicabile che13 Ci si riferisce, ovviamente, alla ragione attinentel’ammontare del danno, non l’an dello stesso, chederiva dalla mera prova degli elementi costitutividell’illecito penale.14 Se pur tale norma venga spesso disattesa dal Giudicepenale, che nella maggior parte dei casi, nonostante siacomunque in possesso degli elementi utili e necessaria,rinvia la liquidazione al giudice civile, ai sensi dell’art.539 cp.p.15 L’eventuale liquidazione del danno da parte delgiudice penale, pertanto, sarebbe censurabile solo conil rimedio dell’impugnazione dei capi civili dellasentenza penale.invalga sempre di più la prassi di procedere allaliquidazione del danno, essendo peraltro la sedepenale proprio quella dove con maggior facilità èpossibile acquisire elementi a prova delle effettiveconseguenze del reato sulla parte danneggiata.Ritiene pertanto chi scrive che la parte civile benpotrà proprio nello spazio concessole in tal sensodal codice di procedura penale, dedurre, da un lato-in “aiuto” al pubblico ministero-, elementi asostegno della prova dei fatti costitutivi (oggettivio soggettivi che siano) dell’illecito penale,dall’altro, al fine del perseguimento dellospecifico fine per il quale ha proposto lacostituzione di parte civile, elementi a sostegnodel quantum risarcibile.Sul punto è infatti essenziale considerare il dettatodelle Sezione Unite dell’11 novembre 2008, ilquale, escludendo espressamente che la prova deldanno non patrimoniale possa considerarsi in reipsa nella lesione dei valori della persona, haproseguito oltre precisando che tale danno deveessere espressamente “allegato e provato”, sia conprove testimoniali e documentali, sia “conmassime di esperienza e presunzioni”, tanto piùche quest’ultimo mezzo di prova, a parere delmassimo consesso, anche alla luce del fatto che ilpregiudizio non patrimoniale attiene ad un beneimmateriale, “è destinato ad assumere particolarerilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte perla formazione del convincimento del giudice, nontrattandosi di mezzo di prova di rango inferioreagli altri”.Di certo, come peraltro precisa la stessa CorteSuprema di Cassazione, è compito deldanneggiato allegare tutti quegli elementi di provache, nella concreta fattispecie, forniscano i fattiRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 35


noti in base ai quali l’organo decidente potràritenere provato il fatto ignoto.Ed è evidente che in questi termini la prova delfatto noto non potrà che essere fornita dalla partecivile attraverso la prova documentale o attraversola prova testimoniale che, come noto, nel processopenale può essere resa, se pur scortata da quelcriterio di valutazione c.d. interna –e in alcuni casiesterna- richiesto dalla stessa giurisprudenza dilegittimità per la valutazione di attendibilitàoggettiva e soggettiva del teste 16 , dalla parteoffesa e dalla parte danneggiata, anche secostituita parte civile.3. L’azione degli enti e delle associazioni e idanni esistenziali e morali degli stessi.Nel moderno processo penale non deve esseresottovalutato l’intervento, in luogo o in aiuto allavittima, degli enti e delle associazionirappresentative di interessi lesi dal reato.Il codice di procedura penale del 1988 nonattribuisce alle associazioni rappresentative di taliinteressi, e quindi in genere portatori di interessicollettivi 17o diffusi 18 , un ruolo centrale delprocesso, così come non gli attribuisce il potere dicostituirsi parte civile, salvo che non abbianosubito un danno proprio, ma si limita adammetterne l’intervento ad adiuvandum, e quindi16 v., fra tutte, Cass. 6 dicembre 2006 n. 40170 (cheaddirittura ammette la “valutazione frazionata delledichiarazioni”), Cass. 2 agosto 2004 n. 33172 (cherichiede maggior rigore nel caso in cui la personaoffesa sia costituita parte civile e nel caso in cui risultiun risentimento di questa nei confronti dell’imputato),Cass. 28 maggio 2004 n. 24348 nonché, più risalente,Cass. 28 maggio 1997 n. 4946.17 Intendendosi per interessi collettivi quelli riferibili adun insieme di soggetti organizzati per perseguirespecifici interessi della comunità della quale fannoparte (si pensi, fra tutti, ai sindacati).18 Che la Corte Suprema ha definito essere quegliinteressi riferibili non tanto all’individuo come singolo,ma come membro di una collettività (v. Cass. SS.UU. 8maggio 1978 n. 2207).agli stessi fini per i quali è consentito l’interventodella parte offesa (tant’è vero che l’art. 93 c.p.p.attribuisce a tali soggetti il potere di esercitare idiritti e le facoltà spettanti per legge alla personaoffesa), ovverosia il potere di controllo esollecitazione nei confronti del pubblico ministeroe, in taluni casi, del giudice.Gli enti e le associazioni rappresentativi degliinteressi lesi dal reato, pur essendo ammessi apartecipare al procedimento penale (se pur non inqualità di “parte”) in un posizione intermedia tralo Stato e la persona offesa, possono interveniresolo se non hanno fine di lucro e, comunque,esclusivamente con il consenso della personaoffesa, nei confronti della quale non devonopertanto porsi in posizione antitetica 19 .La forza -processuale- di tali enti ed associazioninon deve tuttavia essere sottovalutata dalmomento che, se pur in linea con le richieste el’intervento della parte offesa 20 , possonopresentare memorie e indicare elementi di prova,così come possono sollecitare il giudice a porredomande alle parti nel corso dell’istruzionedibattimentale 21 o a dare lettura o indicare gli attiutilizzabili ai fini della decisione 22 , peraltrosopperendo all’eventuale inerzia della personaoffesa e, addirittura, della parte civile, anche nella19 Il consenso della persona offesa è essenziale agaranzia dei diritti e delle facoltà della stessa, proprioper evitare che sia pregiudicata dalla scelte e dallerichieste di tali enti ed associazioni.20 Che può sempre revocare il consenso all’interventodi tali enti ed associazioni, ai sensi dell’art. 92 c.p.p.21 L’art. 505 c.p.p. prevede infatti che “gli enti e leassociazioni intervenuti nel processo a norma dell’art.93 possono chiedere al presidente di rivolgere domandeai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici e alle partiprivati che si sono sottoposte ad esame. Possono altresìchiedere al giudice l’ammissione di nuovi mezzi diprova utili all’accertamento dei fatti.22 L’art. 511 comma 6 c.p.p. dispone che “la facoltà dichiedere la lettura o l’indicazione degli atti prevista daiRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 36


prova degli elementi a sostegno del dannonascente dal reato per cui è processo.Il ruolo ad adiuvandum, riconosciuto dall’art. 93c.p.p. agli enti e alle associazioni rappresentatividi interessi lesi, non consente loro di costituirsiparte civile, dal momento che gli stessi, purpotendo coadiuvare il pubblico ministeronell’esercizio dell’azione penale, o la parte offesanell’esercizio dei diritti riconosciuti dall’art. 90del codice non sono mai portatori di un propriointeresse al risarcimento.A tali figure si contrappongono, ovviamente,quegli enti, quelle associazioni, o comunquequegli organismi, persone giuridiche, pubblicheamministrazioni, società, legittimati ad intervenirenel procedimento penale non in quantorappresentativi di interessi altrui, ma in quantoportatori di un interesse proprio, che come talihanno la facoltà di esercitare i diritti e le facoltàproprie della persona offesa (della quale nonhanno bisogno del consenso, proprio perché essistessi rivestono tale ruolo, eventualmente inconcorrenza con altre persone offese).Non ci si vuole qui riferire al caso dell’ente ocomunque dell’organismo che abbia subito undanno diretto alla sua personalità o al suopatrimonio, per i quali alcun dubbio si è mai postoné alla risarcibilità del danno 23 né, soprattutto, allapossibilità di costituirsi parte civile; semmail’unica difficoltà della parte civile/personagiuridica è quella probatoria, con particolareriferimento al quantum risarcibile, essendocommi 1 e 5 è attribuita anche agli enti e alleassociazioni intervenuti a norma dell’art. 93”.23 Non si discute infatti che la persona giuridica possacostituirsi parte civile nel procedimento per il furto oper l’imbrattamento di un bene di sua proprietà o nelprocedimento per peculato di un suo funzionario, perdanno all’immagine dell’amministrazione (v., peraltro,Cass. 31 gennaio 2005 n. 2963).certamente più problematico, soprattutto alla lucedelle recenti sentenze delle Sezioni Unite dell’11novembre 2008 ritenere provato, anche se perpresunzione, un danno non patrimoniale di unarealtà di tipo collettivo.Il punto che qui maggiormente interessa è proprioquello relativo alla difficoltà probatoria dell’ente odell’associazione o, comunque, della realtà societào collettiva che lamentino la lesione di un propriodiritto che, in realtà, rappresenta un interessecollettivo o diffuso, per il risarcimento del qualeintenda costituirsi parte civile.La giurisprudenza, soprattutto nella vigenza delnuovo codice, ha riconosciuto la legittimazionealla costituzione di parte civile (e quindi hariconosciuto il ruolo di soggetto danneggiato) ogniqual volta l’interesse leso reca offesa allo Statocollettivitàe, quindi, a ciascuna persona chepertanto, anche se associata, può agire a tutela diun proprio diritto soggettivo 24 , così come hariconosciuto il diritto alla costituzione di partecivile agli enti territoriali nell’ambito deiprocedimenti penali per inquinamento delle faldeacquifere 25 . Negli ultimi anni, peraltro, lagiurisprudenza ha ampliato notevolmente ilventaglio dei soggetti danneggiati dal reato,arrivando a riconoscere la costituzione di partecivile di enti ed associazioni che lamentano(anche) un danno riflesso a quello subito nelterritorio della comunità 26 e dall’iscritto 27 .24In tale considerazione è stata ammessa lacostituzione di parte civile del WWF nell’ambito di unprocesso penale in materia di danno ambientale, checostituisce non solo “compromissione ambientale” maanche “offesa della persona umana nella suadimensione individuale e sociale”.25 V. Cass. 29 giugno 1985 n. 665226 V. Cass. 15 ottobre 2008 n. 38835 che riconosce ildiritto dell’ente locale nel cui territorio è avvenuto unostupro per il risarcimento del danno proprio subito pereffetto della violenza sessuale, da un lato rappresentatoRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 37


E’ quindi evidente che in tali casi, laddove cioèvenga riconosciuto ad enti od associazioni il ruolodi parte direttamente danneggiata dal reato, devevalutarsi anche il danno effettivamente risarcibileche, nella maggioranza dei casi, ha natura nonpatrimoniale e, lungi dall’essere provato in reipsa 28 , deve essere espressamente e chiaramenteallegato e provato (quantomeno nei suoi aspetticostitutivi) dalla parte civile.Da un lato è evidente che la prova del danno nonpatrimoniale subito da un ente collettivo potrebbeessere più difficoltosa proprio perché è piùdifficile ancorare la liquidazione a massime diesperienza del giudice (il quale procede ad unavalutazione del quantum del danno secondoconcezioni ovviamente personali e, quindi,secondo una valutazione che si basa sulla propriaesperienza professionale).E’ anche vero, tuttavia, che lo stesso danno nonpatrimoniale, quantomeno relativamente all’andella risarcibilità è di più facile presunzione, dalmomento che è sufficiente provare l’esistenza delfatto-reato, la finalità perseguita dall’ente e -secondo la casistica giurisprudenziale richiamatal’appartenenzadella persona offesa allacompagine dell’organismo o il verificarsi del fattostesso nel territorio di afferenza di quest’ultimo,dalla diminuzione patrimoniale provocata agli organicomunali predisposti per alleviare le sofferenze subitedalla parte offesa e dall’altro dal danno (all’epoca)morale subito per la lesione dell’interessestatutariamente perseguito di garantire la libertà diautodeterminazione della donna e la pacificaconvivenza in ambito comunale.27 Fra tutte si v. Cass. 26 marzo 2008 n. 12738 che hariconosciuto l’ammissibilità alla costituzione di partecivile di un sindacato nell’ambito di un procedimentoper violenza sessuale commessa nell’ambito di unrapporto di lavoro ai danni di un iscritto.28 Come si è visto che insegna in modo inequivocabilee non travisabile il dettato di Cass., SS.UU., 11novembre 2008 n. 26782 (e seguenti).derivando pertanto il danno, per presunzione,dalla mera prova di tali circostanze.Semmai la mancanza dell’effettiva provadell’ammontare del danno potrà essere sopperitadalla valutazione equitativa del giudicante, aisensi dell’art. 1226 codice civile, che tuttavia siancora esclusivamente a parametri propri dellagiurisprudenza locale, dal momento che,diversamente da quanto può avvenire laddove ildanno sia stato subito da persona fisica, nonsempre è possibile ancorarsi agli effetti prodottidal reato sulla vita dell’ente collettivo.4. Il giudicato della sentenza penale e l’azioneavanti il giudice civile.Come si è visto il giudice penale, investitodell’azione civile, laddove abbia gli elementi perdecidere anche sul quantum del risarcimento, deveprovvedere in questo senso 29 , ragion per cuisarebbe auspicabile che, soprattutto nel caso in cuiil danno allegato e richiesto dalla parte civile siasolo quello non patrimoniale di natura nonbiologica 30 , il giudice penale provvedesseimmediatamente alla liquidazione 31 . E’ infattiprobabile che il giudice penale abbia chiaracontezza ed evidenza delle effettive conseguenzeche il reato ha provocato alla personaoffesa/danneggiata dal reato, potendo peraltro eglistesso accertare dette conseguenze, se pur nonsollecitato dalle parti, visto il potere officioso exart. 506 c.p.p. di rivolgere domande e di indicare29 Cfr. l’art. 538 comma 2 e l’art. 539 comma 1, ilquale ultimo prevede che “se le prove acquisite nonconsentono la liquidazione del danno, pronunciacondanna generica e rimette le parti davanti al giudicecivile”.30 Per cui potrebbero invero essere necessari più ampiaccertamenti, anche di natura strettamente medicolegale.31 E, ciò, in un epoca in cui molto di discute dei tempidella giustizia (soprattutto civile), anche per ragioni dieconomia processuale.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 38


alle parti temi di prova nuovi o più ampi utili perla completezza dell’esame 32 .La prassi giudiziaria degli ultimi due decenni divigenza del codice di procedura penale, se pur nelcontesto della maggior importanza attribuita dalnuovo codice all’azione civile nel processopenale, si è evoluta attribuendo comunqueparticolare rilievo al mero accertamento dei fattiai fini della condanna penale, per poi risolverel’azione civile nella condanna generica alrisarcimento, con rimessione al giudice civile perla mera determinazione del quantum,eventualmente liquidando la c.d. provvisionale 33E’ evidente che tale prassi è stata determinata 34anche dalla “usanza” delle parti civili di limitarsi,nella maggioranza dei casi, a fornire elementi diprova finalizzati alla prova della responsabilità,ma quasi mai, o comunque non sempre, finalizzatia fornire la prova dell’ammontare del danno. Taleprassi provoca, o comunque può provocare, allaluce delle recenti sentenze dell’11 novembre2008, due ordini di conseguenze.La prima è quella, appunto, di una eccessivaframmentazione del giudizio, che portanecessariamente a dar vita ad un processo civile32 Temi che, si badi, oltre ad essere rilevanti ai finidell’accertamento della responsabilità, ben potrebberoesserlo sia ai sensi dell’art. 133 c.p. sia per lavalutazione dell’ammontare del danno.33 Come noto l’art. 538 comma 2 c.p.p. consente algiudice, nel caso in cui rimetta ad altra sede laliquidazione del danno, di condannare l’imputato alpagamento di una provvisionale, “nei limiti del dannoper cui si ritiene già raggiunta la prova”.34 In realtà che sia la causa o l’effetto è di pocaimportanza ai fini del presente lavoro. Certo è chesarebbe auspicabile che le parti “utilizzassero” l’azionecivile nel processo penale al fine di evitare, per quantopossibile, la necessità di doversi poi rivolgere anche algiudice civile, volendo anche solo per evitare unulteriore “scalino” giudiziario che, come noto, ed oltread essere particolarmente dispendioso per la partestessa, la costringerebbe ad attendere anni prima divedersi liquidato il danno effettivo.che poteva evitarsi laddove si fossero fornite tuttele prove, anche quelle necessarie e utili per laliquidazione del danno, nell’ambito del processopenale.La seconda è che, soprattutto a seguitodell’obbligo di allegazione e prova (anche) deldanno non patrimoniale imposto alla parte civile,il giudice penale potrebbe ritenere di essere inpossesso di tutti gli elementi necessari per laliquidazione 35e, appunto, provvedere, comeperaltro sarebbe previsto in via generale dall’art.538 comma 2 c.p.p., impedendo così alla stessaparte civile, in virtù del principio del divieto di bisin idem di agire in sede civile introducendoelementi di prova eventualmente non allegati insede penale 36 .A quanto sopra si aggiunga l’importanza dellacostituzione di parte civile nel processo penale, invirtù dell’ambito oggettivo di valenza delgiudicato penale nell’ambito del processo civile.Il nuovo codice, soprattutto in seguito alle novelledel nuovo secolo, e fermo restandol’inequivocabile valore di giudicato, anche nelgiudizio civile promosso per il risarcimento deldanno, della sentenza di condanna 37 , attribuisceforza di giudicato anche alla sentenza diassoluzione pronunciata a seguito di35 Si pensi, in particolare, a quei danni conseguiti adelitti per cui non è prima facie evidente la necessità diulteriori accertamenti per la determinazione del dannonon patrimoniale, come per la diffamazione, leingiurie, le percosse, ecc.36 Alla parte civile resterebbe pertanto il solo rimediodell’impugnazione della sentenza penale, limitatamenteagli effetti civili, senza ovviamente poter richiederel’ammissione di nuove prove.37 L’art. 651 c.p.p. prevede infatti che “la sentenzapenale irrevocabile di condannata pronunciata a seguitodi dibattimento ha efficacia di giudicato quantoall’accertamento della sussistenza del fatto, della suailliceità penale e all’affermazione che l’imputato lo hacommesso, nel giudizio civile [..] per le restituzioni e ilRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 39


dibattimento 38 , purché il danneggiato si siacostituito parte civile o sia stato posto nellecondizioni di costituirsi parte civile 39 ; il tuttosalvo che, ovviamente, avesse già esercitatol’azione per il risarcimento del danno in sedecivile 40 , nel qual caso non solo il giudizio penale eil giudizio civile proseguono senza alcunainfluenza l’uno nei confronti dell’altro, mapotrebbero giungere anche a giudicati opposti 41 .In questi termini è pertanto evidente l’importanzadella costituzione di parte civile nel processopenale (sempre che, come si è detto, ildanneggiato non si fosse già rivolto al giudicecivile prima dell’inizio del giudizio penale) per farvalere il danno patrimoniale e, soprattutto, nonpatrimoniale, dal momento che la mancatapartecipazione a tale giudizio, nel caso in cuil’imputato fosse assolto, impedirebbe, in forza delprincipio del giudicato della sentenza penale diassoluzione, di rivolgersi al giudice civile per ilrisarcimento del danno subito per lo stesso fatto.Diverso è il caso, invece, in cui il reo sia statocondannato in sede penale (per cui la relativasentenza irrevocabile, come si è visto, facertamente stato nel giudizio civile) ovvero ilrisarcimento del danno nei confronti del condannato]..]”.38 O a seguito di giudizio abbreviato se la parte civileha accettato tale rito speciale (n.d.a., si consideraaccettato il rito abbreviato se la parte civile sicostituisce dopo la conoscenza dell’ordinanza diammissione del rito).39 E, quindi, ritiene chi scrive, ci si riferisce (anche)all’ipotesi in cui alla parte offesa sia stato notificato ildecreto di citazione a giudizio (tant’è vero chel’omessa notifica di tale atto costituisce una nullità diordine intermedio che costringe, se rilevata o eccepitanel corso del giudizio di primo grado, la rinnovazionedell’atto omesso e, quindi, il regresso del processo almomento in cui tale atto doveva essere compiuto).40 E non trasferisca l’azione civile nel processo penale,come consentitogli dall’art. 75 comma 1 c.p.p.caso, del pari, in cui il giudice penale, in caso dicostituzione di parte civile, abbia pronunciatocondanna generica e rimesso per la liquidazionedel danno al giudice civile.In entrambi tali casi è evidente che la partedanneggiata può agire avanti l’autorità giudiziariacivile ed ivi, tralasciando qualsiasi prova in ordineall’accertamento del fatto, all’illiceità penale dellostesso e alla circostanza che tale fatto sia statocommesso dal convenuto (tutte circostanzeconsiderate pacifiche, in virtù del principio delgiudicato penale, dalla legge), mettersi in provaesclusivamente sulla determinazione del dannosubito che, nella sua accezione non patrimoniale,impone, secondo il dettato della recente sentenza11 novembre 2008 n. 26782, quantomeno diallegare le circostanze del danno effettivoindividuabili, a parere di chi scrive, negli effettiche il reato ha provocato alla vita del danneggiato,sia che trattasi di conseguenze di breve durata (es.il patema d’animo subito per qualche ora dopol’insulto rivolto davanti a una moltitudine dipersona), sia che trattasi di effetti di più lungadurata (es. il patema d’animo subito a causa deltrasferimento in altra città al quale la parte offesaè stata costretta a causa delle continue molestie).E’ chiaro, alla luce dell’insegnamento della CorteSuprema, che la determinazione dell’ammontaredel danno sarà poi una decisione strettamentegiudiziaria che, dovendo tenere conto anche deglieffetti stremanti interni alla persona, non potrà chegiovarsi del criterio equitativo.41 In tal caso l’imputato assolto in sede penale potrebbecomunque essere condannato in sede civile per ilrestituzione o il risarcimento del danno, e viceversa.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 40


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Mobbing e risarcimento del dannoDonatella Pesce •RiassuntoNella prima parte l’articolo analizza brevemente le più accreditate definizioni di mobbing in area psicologica conindividuazione delle cause e delle conseguenze del fenomeno e descrive la tipologia e la classificazione delle varie figure dimobbing.Nella seconda parte, invece, l’articolo affronta le problematiche relative alla definizione, agli elementi ed alla struttura delmobbing a livello giurisprudenziale e normativo, descrive la casistica di maggiore rilievo e si occupa delle applicazioninormative sia comunitarie, che nazionali, ponendo particolare rilievo ai temi della responsabilità contrattuale edextracontrattuale, dell’onere della prova e del danno risarcibile.RésuméLa première partie de cet article analyse brièvement les définitions de l’harcèlement sur le lieu de travail (mobbing) parmiles plus accréditées dans le domaine psychologique et la classification de ses différentes formes.La deuxième partie de l’article aborde les problématiques relatives à la définition, aux éléments et à la structure du mobbingau niveau jurisprudentiel et normatif. L’autrice fait référence aux études des cas jurisprudentiels les plus importants etexplique les applications des normes communautaires et italiennes, mettant en évidence les aspects de la responsabilitécontractuelle et hors contrat, de la charge de la preuve et du dommage indemnisable.AbstractIn this article, the first part analyses the most reliable definitions of «mobbing» in the psychological field including thecauses and the consequences of the phenomenon, and depicting the typologies and classifications of different forms ofmobbing.The second part deals with problems concerning the definitions and structures of mobbing, problems at a jurisprudential andnormative level. It surveys the most important decisions of Italian Courts dealing with the implementation of EuropeanCommunity regulations and National rules, putting more emphasis on both contractual and extracontractual responsibility,of the burden of proof and compensation.• Avvocato, partner dello Studio Legale Bravo (www.studiolegalebravo.it), ha conseguito il Master in «Discipline delLavoro, Sindacali e della Sicurezza Sociale» presso l’Università di Roma «Tor Vergata». Collabora con la cattedra diDiritto del Lavoro presso l’Università di Roma «La Sapienza», polo di Latina.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 42


1. Definizione e caratteristiche del Mobbing.Il mobbing, generalmente inteso come complessodi molestie morali perpetrate sul luogo di lavoro, èun fenomeno che con il passare del tempo haassunto sempre maggiore rilevanza.Lo studio del mobbing ebbe origine in Svezia nelcorso degli anni Ottanta e fu portato avanti da ungruppo di psicologi del lavoro.Ancora oggi tra le più accreditate definizioni delmobbing vi è quella dello psicologo svedeseLeymann, secondo il quale il «terrore psicologicosul luogo di lavoro o mobbing consiste in unacomunicazione contraria ed ostile ai principi etici,perpetrata in modo sistematico da una o piùpersone, principalmente contro un singoloindividuo che viene per questo spinto in unaposizione di impotenza e impossibilità di difesa equi costretto a restare da continue attività ostili.Queste azioni sono effettuate con un’altafrequenza (definizione statica: almeno una volta asettimana) e per un lungo periodo di tempo(definizione statica: per almeno sei mesi). A causadell’alta frequenza e della lunga durata, ilcomportamento ostile dà luogo a seri disagipsicologici, psicosomatici e sociali» 1 .Il mobbing, dunque, secondo lo studioso svedese,è caratterizzato, da un lato, da una frequente eduratura persistenza delle azioni mobbizzanti e,dall’altro lato, da una posizione di impotenza eimpossibilità di difesa della vittima.Questa situazione corrisponderebbe esattamente aquella analizzata dall’etologo Konrad Lorenz, cheutilizzò il verbo «to mob» (cioè affollarsi intorno,attaccare in massa) per descrivere ilcomportamento del branco che vuole aggredire edallontanare un proprio simile. Da qui Leymannriprese il termine mobbing.Leymann fu anche precursore nell’individuare unaserie di azioni tipiche poste in essere dal mobber adanno delle vittime. In particolare, ilcomportamento mobbizzante verrebbe ad essereperpetrato:a) con continue critiche, allusioni, minacce o gestiscostanti;b) con l’isolamento fisico o psicologico el’interruzione di qualsiasi forma dicomunicazione;c) con la modifica delle mansioni in sensoparticolarmente peggiorativo o eccessivamenteelevato;d) con attacchi all’immagine sociale;e) con la violenza fisica e/o molestie di tiposessuale o con l’assegnazione di incarichipericolosi 2 .Lo stesso Autore ha individato, poi, diverse fasinelle quali il mobbing solitamente si svolge eprecisamente:1) fase del conflitto latente, connotata da piccoliconflitti quotidiani tra colleghi di lavoro che, senon risolti, possono portare allo sviluppo delmobbing;2) fase del conflitto mirato, nella quale il mobberpone in essere una serie di azioni mirate a caricodella vittima;3) fase del conflitto pubblico, con riferimento allaquale la situazione viene conosciuta dall’interoambiente lavorativo e i comportamentimobbizzanti sono perpetrati anche da colleghi ecapi del mobber a discapito della vittima;1 D. Zapf, H. Leymann, “Mobbing and victimization atwork”, in A special issue of the European Journal andOrganization psycology, 5, 2, 1996.2H. Leymann, “The content and development ofmobbing at work”, in European Journal andOrganization psycology, 5, 2, 1996.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 43


4) fase dell’espulsione dal mondo del lavoro, condimissioni, forzate o indotte, licenziamento,trasferimento o prepensionamento del mobbizzato.Questa teorizzazione, descrittiva della realtànordeuropea, è stata successivamente ripresa e peralcuni aspetti modificata dallo studioso HaraldEge per poter essere maggiormente conforme allarealtà italiana.Ancora oggi in Italia la definizione maggiormenteaccreditata del fenomeno risulta essere quella diEge, secondo cui il «mobbing è una situazionelavorativa di conflittualità sistematica, persistentein un costante progresso in cui una o più personevengono fatte oggetto di azioni ad alto contenutopersecutorio da parte di uno o più aggressori inuna posizione superiore, inferiore o di parità, conlo scopo di provocare alla vittima danni di variotipo e gravità. Il mobbizzato si trovanell’impossibilità di reagire adeguatamente a taliattacchi ed a lungo andare accusa disturbipsicosomatici, relazionali e dell’umore chepossono portare anche invalidità psicofisichepermanenti di vario genere e percentualizzazione»3 .Anche in questa definizione, come in quella diLeymann, il mobbing sarebbe dunquecaratterizzato da una molteplicità di azionireiterate nel tempo sul luogo di lavoro, poste inessere da uno o più soggetti e finalizzate adarrecare danni di vario genere ad altro soggetto.Secondo Ege gli elementi costitutivi del fenomenosarebbero:a) collocazione della condotta nell’ambientelavorativo;b) frequenza delle azioni mobbizzanti;c) durata nel tempo delle azioni mobbizzanti;d) tipo di azioni ad alto contenuto persecutorio;e) inferiorità del mobbizzato rispetto a mobber;f) andamento secondo fasi successive;g) intento persecutorio 4 .Anche quest’ultimo Autore ha enucleato alcunefasi nelle quali si viene a sviluppare il fenomenodel mobbing. In particolare, l’Autore haindividuato sei fasi, precedute da una situazione(detta «fase zero»), sconosciuta ai paesi del nordEuropa, caratterizzata da una generalizzataconflittualità senza individuazione di alcunavittima 5 .Le fasi successive a quella meramenteconflittuale, che si sovrappongono parzialmentecon quelle individuate da Leymann, sono:a) prima fase o «inizio», nella quale vieneindividuata la vittima ed il conflitto divienemirato,b) seconda fase o dell’autocolpevolizzazione, nellaquale la vittima cerca di risolvere il conflittoaddossandosene la colpa per incompetenzaprofessionale o incapacità di gestire i rapportiinterpersonali;c) terza fase o dei primi sintomi psicosomatici, incui la vittima inizia a vivere uno stato di disagio,sempre più intenso;d) quarta fase o degli errori e abusidell’amministrazione del personale, ovel’amministrazione del personale, constatando ilnumero sempre maggiore di assenze della vittima,punisce il lavoratore con sanzioni disciplinari ocon una molteplicità di visite domiciliari;3 H. Ege, Mobbing in Italia. Introduzione al mobbingculturale, Pitagora Editrice, Bologna, 1996.4 H. Ege, Il Mobbing conoscerlo per vincerlo, FrancoAngeli, Milano, 2001.5 H. Ege, Il Mobbing conoscerlo per vincerlo, cit..Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 44


e) quinta fase o dell’aggravamento della salutepsicofisica della vittima, nella quale la vittimacade in un vero e proprio stato depressivo;f) sesta fase o dell’esclusione dal mondo dellavoro, in cui la vittima, se non viene licenziata,lascia il lavoro o, nei casi più gravi, pone in essereatti auto o etero lesionistici.In ogni caso, comunque il mobbing viene vistocome un fenomeno che si sviluppa in manieraprogressiva.Come vedremo nel prosieguo del presentecontributo, anche la giurisprudenza di merito,rifacendosi agli studi sopra menzionati, haindividuato frequentemente, tra gli elementi propridel mobbing, la progressività della condottavessatoria (cfr. Trib. Bari, 28.04.2005; Trib.Bergamo, 20.06.2005).2. Cause del Mobbing. La figura del mobber edel mobbizzato e le classificazioni proposte inletteratura (cenni).Un problema particolarmente complesso ècostituito dal tentativo di individuare e spiegare lecause che danno origine al mobbing 6 .In letteratura si distinguono due diversi tipi dicause: soggettive ed oggettive.Le cause soggettive sono quelle che riguardanol’aspettano personale degli individui coinvolti nelmobbing, quali la presenza di stress, di conflittiinterpersonali all’interno delle organizzazionilavorative e la natura delle personalità individuali.6 In questa sede il riferimento alle «cause» non èovviamente da intendere in senso eziologico tipicodelle scienze naturali con rapporto di causa-effetto, manel senso generalmente attribuito a tale termine dallescienze sociali ove il riferimento è da intendersi aifattori predisponenti o favorenti il fenomeno in esame.Queste situazioni personali sarebbero idonee a fargermogliare il fenomeno del mobbing 7 .Nell’ambito delle cause soggettive, l’attenzionemaggiore è stata rivolta all’analisi dellapersonalità dei soggetti coinvolti nel mobbing.Brevemente diremo che gli studiosi che si sonooccupati maggiormente del fenomeno non hannoravvisato profili di personalità definiti o tipici nécon riferimento agli autori del mobbing, né conriferimento alle relative vittime. In entrambi i casisi ritiene che i protagonisti siano inveceinfluenzati da fattori di tipo ambientale e,comunque, strutturale.Nella letteratura prevalente si è dunque ritenuto didoversi presto allontanare dalle teorizzazionicondotte nel 1999 dallo studioso Zapf, chevedevano nella debolezza psicologica dellavittima la condizione per far scatenarel’aggressività del mobber. Al contrario i maggioristudiosi del fenomeno (Leymann, Gilioli,Hirigoyen) ritengono che i tratti caratteristici dellapersonalità della vittima di mobbing (stati ansiosodepressivi)siano conseguenti al fenomeno e nonanche antecedenti allo stesso.I vari studiosi hanno comunque cercato diindividuare una tipologia di personalità che conmaggiore frequenza è destinata, per le suecaratteristiche intrinseche, a divenire mobber omobbizzata. E così, mentre il mobber vienesolitamente ad essere indicato come una personafrustrata, che scarica la propria aggressività suglialtri, la vittima tipica è solitamente individuata inquel lavoratore onesto, scrupoloso ed efficienteovvero con tratti di debolezza fisica o psicologicae, per questo, mal visto dai colleghi. Ma7F. Lamanna, “Il mobbing: aspetti psichiatrici esociologici”, in L. Canali, R. De Camelis, F. Lamanna,B. Primicerio, Il Mobbing, Roma, 2004, pp. 29 e ss.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 45


icordiamo che, in prevalenza, la personalitàindividuale viene considerata ininfluente nellosviluppo dei conflitti sul lavoro, che vengonospesso attribuiti ad una inadeguata gestionemanageriale dell’organizzazione del lavoro.In tale senso si è espresso anche il Tribunale diTorino con la sentenza 16.11.1999, nonché il TARLazio, che, in una pronuncia del 2006, haspecificatamente affermato che «autore delmobbing può essere chiunque invadesistematicamente e consapevolmente la sferaprivata della vittima con azioni dirette contro lapersona, la sua funzione lavorativa, il suo ruoloe/o il suo status, finalizzate ad un progressivoisolamento fisico, morale e psicologiconell’ambiente di lavoro» (in tal senso TAR Lazio,Roma, 4340/2006).Tra la figura del mobber e quella del mobbizzatoviene spesso collocata una terza figura, lospettatore, ossia quella persona (collega,superiore, responsabile della gestione delpersonale, ecc.) che, anche se non direttamentecoinvolta nel mobbing, ne accetta le strategie ecollabora con il mobber nel colpire la vittima.In particolare, alcuni distinguono tra i cd.spettatori non conformisti, che partecipano alleazioni mobbizzanti, e gli spettatori conformistiche, per paura di diventare essi stessi vittime delmobbing, vivono i soprusi perpetrati a danno dellavittima senza intervenire né prendere posizione 8 .Una analoga distinzione la ritroviamo anche inEge, che contrappone la figura del side-mobber(chi partecipa attivamente con atteggiamentocreativi a danno della vittima designata) a quelladel co-mobber (chi sostiene e rafforza le azionidel mobber, senza però avere una parte attivanelle azioni) 9 .Per quanto riguarda, invece, le cause oggettive delmobbing, esse sono state individuate in tuttequelle situazioni che, in qualche modo, siriferiscono alla realtà lavorativa.E così Ege dà particolare rilievo alla causa c.d.culturale del mobbing, cioè a tutti quei valori chepredominano nei diversi paesi e nelle diverseciviltà e che possono determinare una maggiore ominore propensione alla diffusione del fenomeno.In particolare, individua alcuni fattori checondizionano il contesto culturale, quali:a) importanza del lavoro all’interno della vitaumana;b) competitività sul luogo di lavoro;c) livello di aggressività giudicato tollerabile;d) presenza di ammortizzatori sociali (il mobbingha effetti meno gravi se i servizi sociali e le reti disolidarietà familiare o comunitaria funzionano);e) apertura alla diversità e alla multiculturalità (sela forza lavoro è molto disomogenea per sesso, etàed etnia e se il paese è tradizionalmente portatoall’integrazione delle culture estranee, diminuisceil rischio di mobbing) 10 .Altri ritengono, invece, che il mobbing sia unfenomeno provocato dal contesto economico, piùancora che da quello culturale. Secondo McCarthyla causa del mobbing sarebbe da ricercare nellastruttura organizzativa delle aziende moderne. Laforte competitività dei mercati globali determina,secondo l’Autore, la necessità di riorganizzazionedei processi produttivi, cui derivano riduzioni dipersonale, prestazioni interinali o temporanee,scelte gestionali dequalificanti e richieste8 B. Hùber, Mobbing, psychoterror am Arbeitplatz,Niedernhausen, Falken, 1994.9 H. Ege, Il Mobbing conoscerlo per vincerlo, op. cit.10H. Ege, Il Mobbing in Italia. Introduzione almobbing culturale, Pitagora, Bologna, 1997.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 46


produttive particolarmente pressanti. In un talesistema aziendale, quei lavoratori che nonriescono a mantenere o a realizzare livelli dielevato rendimento, sono destinati ad esserevittime di grave sofferenza psicologica e diintollerabile stress 11 .Indubbiamente l’approccio più corretto percomprendere il fenomeno in esame è quello voltoa considerare rilevano tutti i fattori predisponenti(«cause») sopra analizzate, siano essi di tiposoggettivo o oggettivo, salvo poi a verificare nelcaso concreto, di volta in volta, quali specificifattori siano da ritenere decisivi e preponderantirispetto ad altri che, nella singola fattispecie inesame, possono aver avuto una minore incidenzaconcreta.3. Tipologie e classificazione del mobbing.Il mobbing è un fenomeno che può articolarsi incomportamenti molteplici e difficilmenteclassificabili. Solitamente si distinguono diversetipologie di mobbing a seconda dei soggetti che lopongono in essere. E così avremo:1) il mobbing orizzontale, che si genera tracolleghi per motivi per lo più personali;2) il mobbing verticale (o discendente), posto inessere dal datore di lavoro o da un superioregerarchico a danno di un sottoposto. Ha origineindividuale e non sistematica. Figura analoga, macon alcuni caratteri differenziali, è quella delbossing. In quest’ultimo caso si può parlare dimobbing strategico, in quanto è attuatodall’azienda (datore di lavoro, dirigenti, quadri,impiegati direttivi) ai danni di quei lavoratori inesubero o, comunque, indesiderati al solo scopo dirazionalizzare o ringiovanire l’organico delpersonale;3) il mobbing combinato, che si ha quando ilmobbing, posto in essere dai superiori, vienealimentato da quello perpetrato dai colleghi di parilivello;4) il mobbing ascendente. Trattasi di ipotesipiuttosto rara, che viene posta in essere da unlavoratore o un gruppo di lavoratori nei confrontidi un superiore, quando non ne riconoscono o nonne accettano l’autorità.Un’ipotesi particolare, di matrice quasiesclusivamente italiana, è quella che lo studiosoEge ha definito doppio-mobbing ed è legata allaparticolare importanza che la famiglia italianariveste nella società. Il forte legame esistente nelnostro paese tra individuo e famiglia, secondol’Autore, fa in modo che la vittima del mobbingcerchi aiuto proprio nella famiglia, scaricando sudi essa ansie, tensioni e frustrazioni ed ottenendodalla stessa protezione e comprensione. Ma ladurata del mobbing, che può protrarsi anche peranni, determina alla fine la crisi della famiglia e,con essa, la fine della protezione del mobbizzato.La famiglia, infatti, per proteggere la propriaintegrità e stabilità cessa, secondo Ege, diproteggere la vittima, dando luogo al fenomenodel doppio mobbing, per cui il mobbizzato subiscevessazioni sul posto di lavoro e,contemporaneamente, perde ogni sostegno inambito familiare, con risvolti gravissimi a livellopsicologico 12 .11 P. McCarthy, When the mask slips: inappropriatecoercion in organisations undergoing restructuring, inP. McCarthy, M. Sheehan, W. Wilkie (a cura di),Bullying: From Backyard to Boardroom, MillenniunBooks, Alexandria, 1996.12 H. Ege, Il Mobbing conoscerlo per vincerlo, op. cit.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 47


4. Le conseguenze del mobbing.Come è stato più volte accennato, il mobbingproduce un trauma che, nel tempo, determina unindebolimento psicofisico. La stessagiurisprudenza ha sottolineato che l’effetto deicomportamenti vessatori propri del mobbing èquello di provocare nel soggetto mobbizzato unostato di disagio psicologico e l’insorgere dimalattie psicosomatiche classificate come disturbidi adattamento e, nei casi più gravi, disturbi posttraumaticida stress (Trib. Torino 16 novembre1999 e 30 dicembre 1999).Con riferimento alle conseguenze che subiscono ilavoratori colpiti da mobbing, lo studioso Ege haindividuato tre diverse categorie di sintomi ingrado di rilevare un’alterazione dello stato dibenessere di tali individui:1) variabilità dell’equilibrio socio-emotivo, cheproduce una alternanza di reazioni depressive e dirabbia, per cui il soggetto inizialmente è reattivo,ma in una seconda fase sviluppa un atteggiamentoremissivo, rivolgendo l’aggressività verso séanziché verso il mondo esterno;2) variabilità dell’equilibrio psicofisico, per cui ilsoggetto vittima di mobbing produce unainvolontaria somatizzazione del proprio disagio;3) variabilità del comportamento manifesto, chepuò riguardare disturbi nella sfera alimentare e/osessuale, abuso di alcool, tabacco e farmaci 13 .Tralasciando gli aspetti più squisitamentepsicopatologici, che danno luogo alla c.d.«sindrome da mobbing», occorre in questa sedebrevemente ricordare che le conseguenze di talefenomeno sulla persona del mobbizzato nondanno origine di per se stesse ad una «malattiaprofessionale».Ed infatti, la Circolare INAIL n. 71 del17.12.2003, che sostanzialmente finiva perinserire i «disturbi psichici da costrittivitàorganizzativa sul lavoro» tra le malattie«gabellate» è stata annullata in sede giudiziaria. Inparticolare, la menzionata Circolare INAILindividuava come malattie professionali causatedal mobbing, la sindrome da disadattamentocronico e la sindrome post traumatica da stresscronico. Con la medesima Circolare venivanoanche evidenziati i fattori di rischio, con laelencazione delle «costrittività organizzative»(ossia delle possibili cause del mobbing) evenivano indicate le verifiche da effettuare,nonché l’iter da seguire per accertare l’esistenzadi disturbi psichici di origine professionale.Come anticipato, tuttavia, la suddetta Circolare èstata annullata dal TAR Lazio, con la sentenza n.5454 del 4 luglio 2005, in quanto le prescrizioniper la individuazione e la diagnosi del mobbing,con elevazione a vera e propria malattiaprofessionale tipizzata, erano state impartiteunilateralmente dall’INAIL in aperto contrastocon la vigente normativa che demanda ad altrasede l’accertamento delle malattie c.d. talellate. Inparticolare, il Tribunale amministrativo specificache «assodato, quindi, che l’impugnata circolarenon è che un vero e proprio provvedimentomirante ad integrare surrettiziamente il complessodelle malattie c.d. “tabellate”, essa viola palam etaperte l’art. 10, c. 1 del D.Lgs. 38/2000, nellamisura in cui siffatta integrazione deriva non giàdal rigoroso accertamento da parte dellaCommissione scientifica per l’elaborazione e larevisione periodica delle tabelle ex artt. 3 e 211del D.P.R. 1124/1965, né tampoco dall’espressa13 H. Ege, I numeri del mobbing. La prima ricercaRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 48


volizione dei Ministeri a ciò competenti, bensì daun comitato interno all’ente e senza le garanzie,pure partecipative, recate dal citato D.Lgs.38/2000” (TAR Lazio, Sez. III ter, 04.07.2005 n.5454).5. Definizione del mobbing ad opera dellagiurisprudenza.Dopo aver brevemente analizzato alcuni aspettidel mobbing, così come elaborati da alcunistudiosi che si sono occupati di tale fenomeno, èopportuno verificare come si è pronunciata inproposito la giurisprudenza.Tra le definizioni più complete di mobbing vi èquella di cui alla sentenza della Suprema Corte diCassazione, sezione lavoro, n. 4774 resa in data 6marzo 2006. In tale pronuncia si leggetestualmente che “il mobbing consiste in unacondotta sistematica e protratta nel tempo, concaratteristiche oggettive di persecuzione ediscriminazione, risultanti specialmente da unaconnotazione speculativa e pretestuosa, checoncreta per le sue caratteristiche vessatorie unalesione all’integrità fisica ed alla personalitàmorale garantite dall’art. 2087 c.c.; tale illecito,che costituisce una violazione dell’obbligo disicurezza posta da questa norma a carico deldatore di lavoro, si può realizzare concomportamenti materiali o con provvedimenti deldatore indipendentemente dall’inadempimento dispecifici obblighi contrattuali previsti dalladisciplina del rapporto di lavoro subordinato”.Anche la giurisprudenza di merito, che si èoccupata di tale fenomeno, è intervenutadefinendo con notevole precisione il mobbing. Trale tante definizioni che sono state enucleate, siitaliana, Pitagora, Bologna, 1998.ponga particolare attenzione a quella resa dalTribunale di Torino, che sostanzialmente haidentificato il mobbing in “atti e comportamentiostili vessatori e di persecuzione psicologica, postiin essere dai colleghi, il c.d. mobbing orizzontale,e/o dal datore di lavoro e dai superiori gerarchici,il c.d. mobbing verticale, nei confronti di undipendente, individuato come la vittima; si trattadi atti e comportamenti intenzionalmente volti adisolare ed emarginare la vittima nell’ambiente dilavoro, e spesso finalizzati ad ottenernel’estromissione attraverso il licenziamento ovveroinducendolo a rassegnare le dimissioni, il c.d.mobbing strategico o bossing. L’effetto di talipratiche di sopruso è di provocare nel soggettomobbizzato uno stato di disagio psicologico el’insorgere di malattie psicosomatiche classificatecome disturbi di adattamento e, nei casi più gravi,disturbi post-traumatici da stress» (Trib. Torino,16.11.1999. Conforme Trib. Torino, 30.12.1999).6. Elementi e struttura del mobbing nellepronunce giurisprudenziali.Prendendo in considerazione le definizioni datedagli psicologi del lavoro, sopra brevementerichiamate, la definizione resa dalla SupremaCorte, nonché le numerose altre definizioni delmobbing date dalla giurisprudenza di legittimità edi merito, è possibile individuare una serie dielementi costitutivi di tale fenomeno. Gli elementicostantemente richiamati sono la sistematicità edurata, nonché la molteplicità delle condotte e lapersecutorietà del comportamento vessatorio.In particolare si ritiene che, affinché possaravvisarsi mobbing, sia necessario che icomportamenti tramite i quali si realizza sianosistematici (Trib. Milano, 12 agosto 2006; TARRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 49


Abruzzo Pescara, 339/2007; Trib. Ivrea, 04dicembre 2006). Con riferimento a tale carattere,si consideri che tre episodi vessatori nell’arco disei mesi non sono stati ritenuti sufficienti perconfigurare il mobbing (Trib. Paola, 25 marzo2005).Quanto alla durata della strategia vessatoria, siritiene costantemente che la stessa debba durareun considerevole lasso di tempo. Tuttavia non vi èuniformità nel ritenere quanto tempo debbanodurare gli episodi vessatori per potersi parlare dimobbing. E così alcune pronunce hanno fattoriferimento ad un arco temporale superiore a seimesi (Trib. Milano, 29.10.2004; Trib. Bergamo,14.06.2007; Trib. Forlì, 28.01.2005), altre adalcune settimane o mesi (Trib. Tivoli, 7.11.2006),altre ancora ad alcuni mesi (Trib. Civitavecchia,20.07.2006).Perché possa parlarsi di mobbing, inoltre, devonoessere poste in essere molteplici condotte, chediano luogo ad una vera e propria strategiavessatoria (Cass. Pen., sez. VI, 31413/2006; TARAbruzzo Pescara, n. 339/2007; Trib. Modena,04.04.2007). Con riferimento al carattere dellamolteplicità delle condotte, è stato osservato che«l’utilità della figura del mobbing è quella diconsentire uno sguardo sinottico, teleologico dicondotte disparate, stringendole in unità, efacendone così emergere la complessiva illiceità,anche quando tale illiceità non sarebbe statapredicabile all’esito di una valutazione separata,atomistica dei singoli comportamenti» 14 . In altreparole, il mobbing consente di unire condottemolteplici e diverse, eventualmente anchelegittime, dando loro un carattere di unità e diilliceità.Tuttavia, non manca chi ha voluto precisare chetali elementi devono essere considerati «mericriteri empirici di indagine», con la conseguenzache anche un solo comportamento potrebbeprodurre gli effetti lesivi propri del mobbing 15 .Tale osservazione, tuttavia, contrastanotevolmente anche con quanto sostenuto dallaCorte Costituzionale con la pronuncia del19.12.2003 n. 359, ove viene testualmenteaffermato che «i comportamenti in cui puòesternarsi il mobbing hanno la duplice peculiaritàdi poter essere esaminati singolarmente, ancheleciti, legittimi o irrilevanti dal punto di vistagiuridico, e tuttavia di acquisire comunque rilievoquali elementi della complessiva condottacaratterizzata nel suo insieme dall’effetto e,talvolta secondo alcuni, dallo scopo dipersecuzione e di emarginazione».Dunque, anche alla luce della pronuncia dellaCorte Costituzionale, potrà parlarsi di mobbingquando vi siano comportamenti che possanoessere considerati come elementi di unacomplessiva condotta.Secondo alcune pronunce, infine, è necessario chele azioni vessatorie si sviluppino secondo unaprogressione, mancando la quale resta impossibilequalificare le condotte come mobbing (cfr. Trib.Bari, 28.04.2005; Trib. Palermo, 06.06.2001;Trib. Bergamo, 20.06.2005).Solitamente si ritiene che per poter configurare ilfenomeno «mobbing» sia sufficiente che lacondotta del mobber abbia una oggettiva idoneità14 N. Sapone, I danni nel rapporto di lavoro, Giuffrè,Milano, <strong>2009</strong>, pp. 178 e ss.15 R. Del Punta, Diritti della persona e contratto dilavoro, 2006, documento reperibile su Internet all'URLhttp://www.aidlass.org/attività/2006/Relazione_Del_Punta.doc del 25 maggio 2006 (consultato da ultimo indata 18 marzo <strong>2009</strong>).Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 50


lesiva, indipendentemente da qualunque intentospecifico.Ma secondo altra impostazione, per la verità nonconcordemente accettata in ambito dottrinale egiurisprudenziale, oltre all’idoneità lesiva dellacondotta è necessaria anche l’intenzionalitàoffensiva del mobber.V’è peraltro da osservare che da un lato si ritieneche per potersi parlare di mobbing sia sufficienteun generico animus nocendi, cioè una semplicevolontà di produrre un danno alla vittima, senzaaltri obiettivi (in tal senso Cass. SS.UU.8438/2004; Trib. Modena, 04.04.2007; Trib.Trieste, 10.12.2003. Tra gli Autori, Cfr. Viscomi eDi Pinto), dall’altro si ritiene, invece, che siaindispensabile la ulteriore volontà di estrometterlaed isolarla (Trib. Marsala, 05.11.2004; Trib. Enna,28.09.2004; Trib. Como, 22.02.2003; TAR PugliaLecce, 3143/2007; Tar Lazio Roma, 5303/2007.Tra gli Autori cfr. Bilotta) 16 .Infine vi è stato anche chi ha ritenuto che nelmobbing i caratteri oggettivi e quelli soggettivipossano coesistere. In particolare, è statoosservato che «ad un tale esito si potrebbepervenire valorizzando lo spunto offerto da C.Cost. 19 dicembre 2003 n. 359, là dove dice che lacomplessiva condotta di mobbing è “caratterizzatanel suo insieme dall’effetto e talvolta, secondoalcuni, dallo scopo di persecuzione e diemarginazione”. Così il giudice delle leggisuggerisce che si possono enucleare ipotesi(talvolta) in cui si pone come necessario lo scopopersecutorio, differenziandole da altre in cui èsufficiente l’effetto di persecuzione edemarginazione» 17 . Secondo tale tesi, la valenzalesiva dei comportamenti vessatori che abbianouna medesima natura ed identità di contesto (e cheeventualmente siano atti assolutamente leciti seconsiderati singolarmente), deve essere ricercatanella semplice reiterazione delle condotte in uncerto lasso di tempo. Al contrario, per quellecondotte eterogenee poste in essere in contestidiversi, l’elemento unificatore potrebbe essererinvenuto proprio nella volontà del mobber diarrecare danni alla propria vittima 18 .Da quanto sin qui osservato, è facile comprendereche non vi è unicità di vedute in ordine aglielementi peculiari che consentono di definire ilmobbing.7. Differenze del mobbing dal normale conflittoe dallo straining.Il rapporto di lavoro è di per se stessocaratterizzato, soventemente, da una notevoleconflittualità. Proprio la presenza dei caratterisopra descritti, con particolare riferimento allasistematicità e durata, consente di individuare ildiscrimine tra il mobbing e la normaleconflittualità propria dei rapporti interpersonali,fatta di occasionali divergenze di opinioni,momenti di contrasto ed eventuali problemi neinormali rapporti di lavoro. In tal senso di èpronunciato il Tribunale di Milano, con lasentenza del 30 settembre 2006, la qualetestualmente afferma che «Ciò che distingue ilmobbing dal conflitto puro e semplice nei rapportiinterpersonali è appunto il continuo ripetersi in un16 Cfr. N. Sapone, I danni nel rapporto di lavoro, cit.,p. 187.17 Cfr. N. Sapone, I danni nel rapporto di lavoro, cit.,p. 189.18 Cfr. N. Sapone, I danni nel rapporto di lavoro, op.cit., p. 189.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 51


arco di tempo di una certa durata del trattamentovessatorio inflitto alla vittima».In un caso particolare, la giurisprudenza di meritoha parlato di straining, distinguendo nettamentetale fattispecie dal mobbing. L’elementodifferenziante sarebbe dato dalla sistematicità,propria delle azioni del mobbing e mancante,invece, nello straining. E così se il mobbingsarebbe caratterizzato da una pluralità di condotte,frequenti nel tempo, lo straining sarebbepotenzialmente ammissibile anche con una solacondotta, ma i cui effetti durano nel tempo (Trib.Bergamo, 20.06.2005. Ma cfr. anche Trib. Forlì,15.03.2001, ove viene configurata un’ipotesi dimobbing con riferimento ad episodi isolati).8. Il contenuto del mobbing nella casisticagiurisprudenziale.Le azioni vessatorie che danno luogo al fenomenodel mobbing, possono essere svariate ed èimpossibile prevederle ed elencarle in modoesauriente.Può trattarsi, infatti, di atti di contenuto tipicoinerenti alla gestione del rapporto di lavoro (comedemansionamenti, discriminazioni economichee/o di carriera, trasferimenti, controlli esasperati,sanzioni disciplinari, licenziamenti) ovvero attiapparentemente poco significativi o comunqueleciti (richiesta di restituzione della macchina odel computer aziendale) o, ancora, atti cheintegrano vere e proprie molestie (aggressioniverbali o fisiche) o comportamenti di contenutoomissivo o commissivo che determinano unaesclusione o allontanamento del mobbizzato dalgruppo.Conseguenza di tali comportamenti è sempre ilprofondo malessere psicofisico che insorge nellavittima.Valutando i casi che sono stati sottopostiall’attenzione della giurisprudenza, è possibileenucleare un elenco di azioni che sono utilizzatecon maggiore frequenza dalla parte datoriale percolpire o emarginare un lavoratore.Tra i comportamenti tipicamente inerenti alrapporto di lavoro, troviamo il demansionamento,che produce l’effetto di frustrare e svuotare laprofessionalità del lavoratore. Con ildemansionamento non si viola solamente l’art.2103 c.c. (che vieta l’attribuzione ad un lavoratoredi mansioni inferiori a quelle per le quali era statoassunto), ma si viola anche il diritto del lavoratoreall’esplicazione della sua personalità sul luogo dilavoro, con pregiudizio, oltre che sulla vitaprofessionale, anche di relazione. Tale lesioneproduce un danno non patrimoniale, ma rilevantesul piano piano economico e così suscettibile dirisarcimento (Cass. Civ., sez. lav., 2002/7967;Cass. Civ. 6992/ 2002; Cass. Civ., 14199/2001).Altra ipotesi tipica con cui viene perpetrato uncomportamento mobbizzante è la protrattainattività del lavoratore, che determina la totalenegazione o il completo impedimento allosvolgimento dell’attività lavorativa. Anche talesituazione, al pari della precedente, comporta unpregiudizio che incide sulla vita professionale e direlazione del lavoratore e, come tale, risarcibilesul piano economico (Cass. Civ., sez. lav.,2002/10; Cass. Civ., sez. lav., 2001/6856).Anche il sottoporre il lavoratore a continuiprocedimenti disciplinari infondati integra unacondotta tipica del mobbing. Il comportamentopersecutorio, infatti, produce una pressioneRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 52


psicologica che nel tempo può determinare undanno alla salute. In tale circostanza, comunque,la prova del nesso causale tra il comportamentovessatorio e il danno, a carico del lavoratore, deveessere rigorosa (Cass. Civ., sez. lav., 5491/2000).Nel proseguire l’esame della casisticagiurisprudenziale, v’è da precisare che occorreinserire tra le azioni tipiche del mobbing anche leinsistenti e continue visite fiscali in caso dimalattia del lavoratore. In tale ipotesi ilcomportamento persecutorio del datore di lavoroche richiede all’INPS di effettuare continue visitefiscali nei confronti del dipendente, il cui stato dimalattia sia già stato accertato e comprovato dacertificazione medica, produce uno stressconsiderato risarcibile dalla giurisprudenza (Cass.Civ. 475/1999).Il datore di lavoro può porre in esserecomportamenti persecutori e vessatori neiconfronti del lavoratore anche attraverso lamancata concessione del riposo settimanale, iltrasferimento illegittimo, la sottoposizione acontrolli arbitrari ed invasivi, tutti comportamentiche possono dar luogo ad un pregiudizio per lasalute del lavoratore, risarcibile ove sia provato unnesso causale tra il danno stesso e ilcomportamento mobbizzante del datore di lavoro(Trib. Benevento, 21.02.2006; Cass. Civ., Sez.lav., 5207/2003; Cass. Civ., Sez. lav., 1687/98;Cass. Civ., Sez. lav., 1892/2000; Cass. Civ., Sez.lav., 1074/1999).Un’ipotesi del tutto particolare è quella dellemolestie poste in essere nei confronti di unlavoratore da un collega, da un superiore o dallostesso datore di lavoro. In tal caso, le ripetute esistematiche vessazioni fisiche (quali schiaffi,calci, pugni) e morali (ingiuria, diffamazione ecalunnia), anche eventualmente di natura sessuale(comportamenti, allusioni o apprezzamenti), oltrealle specifiche responsabilità penali che siconcretizzano nello specifico reato dimaltrattamenti e/o, ove ne sussistano i requisiti, diviolenza sessuale, incidono specificatamente sulrapporto di lavoro. Ed infatti tali comportamentivessatori, cui è sottoposto il lavoratore, produconouna lesione della salute e della serenità ancheprofessionale. In tal caso, anche qualora non si siadeterminata una riduzione della capacitàlavorativa del dipendente, il mobber sarà tenuto alrisarcimento del danno, eventualmente in solidocon il datore di lavoro. Ed infatti, ai sensi dell’art.2087 c.c. «l’imprenditore è tenuto ad adottare lemisure (...) necessarie a tutelare l’integrità fisica ela personalità morale» dei dipendenti, con laconseguenza che qualora il datore di lavoro sia aconoscenza delle molestie perpetrate da undipendente a danno di altro, ha l’obbligo diintervenire al fine di garantire e tutelare idipendenti (Cass. Pen., sez. VI, 10090/2001; Trib.Milano, 28.12.2001; Trib. Pisa, 03.10.2001).9. La normativa rilevante in sede comunitaria enell’ordinamento giuridico italiano.È noto che non esiste una specifica normativa diriferimento che disciplini il mobbing in modoorganico, giacché, come abbiamo visto, le piùautorevoli e complete definizioni sono mutuatedalla scienza medica.Proprio la sempre maggiore affermazione ediffusione del fenomeno aveva spintol’International Labour Office (ILO) a denunciare,in un Rapporto del 1998, la generalizzata tendenzaall’aumento della violenze psicologiche sul luogodi lavoro.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 53


A livello comunitario già nel 2001 il Parlamentoeuropeo è intervenuto con la Risoluzione A5-0283/2001 (2001/2339-INI) del 20.09.2001.Quest’ultima indica tra le cause del mobbing, daun lato, l’«aumento dei contratti a termine» e piùin generale della «precarietà dell’impiego» e,dall’altro lato, le «carenze a livello diorganizzazione lavorativa di informazione internae di direzione». Inoltre il Parlamento europeo,richiamando l’attenzione sugli «effetti devastantidel mobbing sulla salute fisica e psichica dellevittime e dello loro famiglie», esortava, attraversola Risoluzione, le parti sociali, le imprese ed ipubblici poteri negli Stati membri ad «elaborarestrategie idonee di lotta contro il mobbing e laviolenza sul luogo di lavoro», promuovendo unsistema di scambio di esperienze a livellocomunitario 19 .Nel nostro ordinamento mancano, a differenza diquanto avviene in altri Paesi della Comunitàeuropea, delle norme specifiche sul mobbing.Sussistono, invece, numerose norme che mirano atutelare la salute e la sicurezza dei lavoratorinell’ambiente di lavoro (si veda, ad esempio, la L.19 Cfr. Risoluzione A5-0283/2001 (2001/2339-INI) del20.09.2001 consultabile sul sito Internetwww.europarl.europa.eu. Si vedano, comunque, anchegli ulteriori provvedimenti assunti dalla Comunitàeuropea, che possono in qualche modo esserericondotti alla problematica del mobbing: StrategiaComunitaria per la salute e la sicurezza – Bruxelles,11.03.2002 COM 2002 118; Direttiva 2001/23/CE delConsiglio del 12.03.2001, concernente ilravvicinamento delle legislazioni degli stati membrirelative al mantenimento dei diritti dei lavoratori incaso di trasferimenti di imprese o di stabilimenti;Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti deiGoverni degli stati membri riuniti in sede di Consiglio,del 06.12.1994, sull'equa partecipazione delle donne aduna strategia di crescita economica orientata versol'occupazione nell'Unione Europea - Direttiva 94/C368/02 del 06.12.1994; Direttiva 91/383/CEE delConsiglio del 25.06.1991 finalizzata a promuovere ilmiglioramento della sicurezza e della salute durante il626/1994) o che vogliono eliminare lediscriminazioni a livello lavorativo (come, adesempio, il D.Lgs. 216/2003, emanato inattuazione della Direttiva 2000/78/CE), ma nonsono specificatamente rivolte a disciplinare ilfenomeno del mobbing.Proprio tale vuoto normativo ha favorito ilproliferare di numerose proposte di legge, con lequali il mobbing è stato variamente definito, manessuna di queste proposte è mai sfociata in unalegge definitiva 20 .Anche le Regioni italiane, nell’ambito delle lorocompetenze, hanno presentato iniziativelegislative in ordine a tale fenomeno 21 .Solamente la Regione Lazio ha, tuttavia,effettivamente adottato la Legge Regionale n. 16del 11.07.2002, recante «Disposizioni perprevenire e contrastare il mobbing nei luoghi dilavoro».L’art. 2 di tale legge regionale prevedeva unacompleta definizione del mobbing, inteso come«atti e comportamenti discriminatori o vessatoriprotratti nel tempo, posti in essere nei confronti dilavoratori dipendenti, pubblici o privati, da partedel datore di lavoro o da soggetti posti inposizione sovraordinata ovvero da altri colleghi, eche si caratterizzano come una vera e propriaforma di persecuzione psicologica o di violenzamorale». Il successivo art. 3, prevedeva, invece,un elenco di «atti» e «comportamenti», nonlavoro, dei lavoratori aventi un rapporto a duratatemporanea o un rapporto di lavoro interinale.20 Si vedano al riguardo la Proposta di legge n. 4265del 13.10.1999; la Proposta di legge n. 4313 del02.11.1999; la Proposta di legge n. 4512 del02.03.2000; la Proposta di legge n. 422 del 09.07.2001;il Disegno di legge n. 870 del 15.11.2001; il Disegnodi legga n. 1242 del 14.03.2002.21Si confrontino, ad esempio, Regione Piemonte,Disegno di legge n. 7287 del 19.07.2002 e RegioneVeneto, Disegno di legge n. 221 del 19.07.2002.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 54


esaustivi né tassativi, che avrebbero potuto dareorigine al mobbing, quali: «a) pressioni o molestiepsicologiche; b) calunnie sistematiche; c)maltrattamenti verbali ed offese personali; d)minacce od atteggiamenti miranti ad intimorireingiustamente od avvilire, anche in forma velataed indiretta; e) critiche immotivate edatteggiamenti ostili; f) delegittimazionedell’immagine, anche di fronte a colleghi ed asoggetti estranei all’impresa, ente odamministrazione; g) esclusione od immotivatamarginalizzazione dall’attività lavorativa ovverosvuotamento delle mansioni; h) attribuzione dicompiti esorbitanti od eccessivi, e comunqueidonei a provocare seri disagi in relazione allecondizioni fisiche e psicologiche del lavoratore; i)attribuzione di compiti dequalificanti in relazioneal profilo professionale posseduto; l) impedimentosistematico ed immotivato all’accesso a notizie edinformazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro;m) marginalizzazione immotivata del lavoratorerispetto ad iniziative formative, di riqualificazionee di aggiornamento professionale; n) esercizioesasperato ed eccessivo di forme di controllo neiconfronti del lavoratore, idonee a produrre danni oseri disagi; o) atti vessatori correlati alla sferaprivata del lavoratore, consistenti indiscriminazioni sessuali, di razza, di lingua e direligione». Con tale normativa, la Regione Lazioprevedeva l’istituzione presso le ASL di appositicentri anti-mobbing, ove le vittime avrebberopotuto ricevere assistenza psicologica e legale.Tuttavia la Corte Costituzione è intervenuta con lasentenza n. 359/2003 ed ha dichiaratol’illegittimità costituzionale della suddetta leggedella Regione Lazio per violazione dell’art.117,secondo comma, lett. l), della Costituzione, inquanto lede la competenza legislativa esclusivadello Stato in materia di «ordinamento civile» e di«ordinamento e organizzazione amministrativa»dello Stato e degli enti pubblici nazionali, e lede lacompetenza legislativa concorrente in materia di«tutela della salute» e di «tutela e sicurezza dellavoro».Ed infatti, la Consulta osserva che «[4.2.] lanormativa in materia di mobbing può avere untriplice oggetto, in quanto può riguardare laprevenzione e repressione dei comportamenti deisoggetti attivi del fenomeno, le misure di sostegnopsicologico e, se del caso, l’individuazione delleprocedure per accedere alle terapie di tipo medicodi cui la vittima può avere bisogno ed il regimedegli atti o comportamenti posti in essere daquest’ultima come reazione a quanto patito. [5.1.]Pur nell’attuale assenza nel nostro ordinamentogiuridico di una disciplina a livello di normazioneprimaria avente ad oggetto specifico il mobbing, igiudici sono stati chiamati più volte a pronunciarsiin controversie in cui tale fenomeno entrava avolte come fonte della pretesa al risarcimento deldanno biologico – per patologie, soprattuttopsichiche, che si affermavano causate dacomportamenti vessatori e persecutori subitinell’ambiente di lavoro da parte del datore dilavoro o di uno o più colleghi – a volte comeelemento di valutazione di atti risolutivi delrapporto di lavoro, la cui qualificazione si facevadipendere dall’accertamento di determinatecondotte integranti il fenomeno in questione. Lagiurisprudenza ha, prevalentemente, ricondotto leconcrete fattispecie di mobbing nella previsionedell’articolo 2087 c.c. che, sotto la rubrica “tuteladelle condizioni di lavoro”, contiene il precettosecondo cui “l’imprenditore è tenuto ad adottareRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 55


nell’esercizio dell’impresa le misure ... necessariea tutelare l’integrità fisica e la personalità moraledei prestatori di lavoro”, e che è stato inteso comefonte di responsabilità anche contrattuale deldatore di lavoro. [5.2.] Le considerazioni svoltepermettono di affermare, riguardo ai parametricostituzionali evocati, che la disciplina delmobbing, valutata nella sua complessità e sotto ilprofilo della regolazione degli effetti sul rapportodi lavoro, rientra nell’ordinamento civile [art. 117,secondo comma, lettera l), della Costituzione] e,comunque, non può non mirare a salvaguardaresul luogo di lavoro la dignità ed i dirittifondamentali del lavoratore (artt. 2 e 3, primocomma, della Costituzione)».Differente è invece la questione della Legge dellaRegione Friuli Venezia Giulia n. 7 del08.04.2005, in quanto con essa vengono dispostiinterventi regionali per l’informazione, laprevenzione e la tutela delle lavoratrici e deilavoratori dalle molestie morali e psicofisichenell’ambiente di lavoro, senza però invadere lespecifiche competenze dello Stato. Ha osservatola Corte Costituzionale, alla cui attenzione è statoposto il vaglio di legittimità costituzionale dellasuddetta legge, che «la norma non formula unadefinizione di mobbing con valenza generale,avendo riguardo soltanto ad alcuni suoi aspettinon esorbitanti dalle competenze regionaliordinarie» (C. Cost., 22.06.2006, n.239).Con motivazione analoga, la Corte Costituzionaleha dichiarato infondata anche la questione dilegittimità costituzionale della legge dellaRegione Umbria 28.02.2005, n. 18, in quanto,dettando una disciplina in materia di «Tutela dellasalute psico-fisica della persona sul luogo dilavoro e contrasto dei fenomeni di mobbing»,darebbe una definizione vaga e inadeguata delfenomeno del mobbing, rimettendo così ulterioriprecisazioni a successivi atti amministrativi. Inparticolare, la Corte Costituzionale osserva che«la normativa censurata non formula unadefinizione del “mobbing” con valenza generale,avendo riguardo soltanto ad alcuni suoi aspetti,ma promuove azioni di prevenzione e contrastodel fenomeno, per la tutela dell’integrità psicofisicadella persona sul luogo di lavoro, “nelrispetto della normativa statale vigente edell’ordinamento comunitario” (art. 1), senza chesia dato di ravvisare, nelle sue singoledisposizioni, possibili contrasti con la disciplinacivilistica dei rapporti di lavoro e con quella “didiritto amministrativo” dei rapporti di pubblicoimpiego statale non contrattualizzato» (C. Cost.,22.06.2006, n. 238).Anche con riferimento alla legge della RegioneAbruzzo 11.08.2004, n. 26, la CorteCostituzionale ha dichiarato infondata laquestione di legittimità costituzionale. Inparticolare, infatti, tale legge regionale dà perpresupposta la nozione dei comportamenticostituenti mobbing e non formula di questofenomeno né una definizione generale, néesemplificazioni, ma si riferisce a quegli elementigià desumibili dalle esistenti normative stataliriguardanti materie in cui il complesso fenomenosi manifesta: la legge regionale, pertanto, non sisostituisce al legislatore nazionale poiché nonpone alcuna norma in bianco che rimetta ad organiamministrativi il compito di integrare il dispostolegislativo (C. Cost., 27.01.2006, n.22).In mancanza di norme specifiche, sia la dottrinache la giurisprudenza riconducono concordementeil mobbing ad una violazione dell’art. 2087 c.c.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 56


che impone al datore di lavoro di tutelare non solola persona fisica, ma anche la «personalitàmorale» del dipendente, ove testualmente vieneprevisto che «L’imprenditore è tenuto ad adottarenell’esercizio dell’impresa le misure che,secondola particolarità del lavoro, l’esperienza e latecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisicae la personalità morale dei prestatori di lavoro».Tale norma si ispira sia al principio affermato etutelato dall’art. 32 Cost., che accorda protezioneal diritto alla salute ed alla integrità psicofisica,inteso come bene giuridico primario, sia aiprincipi riconosciuti dagli artt. 1, 2, 4 e 35 Cost.,che tutelano la dignità personale del lavoratore egli altri diritti inviolabili, la cui lesione dà luogo alrisarcimento del danno non patrimoniale, anche inforza dell’interpretazione costituzionalmenteorientata dell’art. 2059 c.c.A tali principi viene spesso accostato anche ilprincipio di buona fede affermato dagli artt. 1175e 1375 c.c. 22 .In realtà il rimando al principio della buona fedenon è pienamente condiviso, soprattutto da chiritiene che la disciplina di cui all’art. 2087 c.c. siauna peculiare specificazione del principio di cuiagli artt.1175 e 1375 c.c. In tale caso, il rimandoalla buona fede sarebbe meramente superfluo 23 .In ogni modo, ai sensi dell’art. 2087 c.c. il datoredi lavoro non può limitarsi a garantire l’integritàpsicofisica del lavoratore nel rispetto dellalegislazione tipica della prevenzione, ma deveanche impedire e scoraggiare tutti queicomportamenti vessatori ed in qualche modoaggressivi che dovessero essere posti in essere nei22 Sulla violazione dei doveri di correttezza e buonafede cfr. anche Cass. Civ., sez. lav., 7768/1995.23 N. Sapone, I danni nel rapporto di lavoro, op. cit.,pp. 190 e ss.confronti dei suoi dipendenti e che siano lesivi deldiritto alla integrità psicofisica lavorativa,riconosciuta e tutelata non solo dalle leggiordinarie e speciali, ma anche da norme di rangocostituzionale quali in particolare l’art. 32 Cost.Qualora ciò non dovesse avvenire, il datore dilavoro stesso è responsabile dei danni a questiultimi arrecati.10. La responsabilità contrattuale edextracontrattuale.Proprio la mancanza di una normativa specifica hafatto in modo che la giurisprudenza di merito e dilegittimità abbia ravvisato nel mobbing ipotesi diresponsabilità contrattuale, talvolta in concorsocon la responsabilità extracontrattuale.Il concorso di azioni viene solitamente giustificato«ogni qualvolta venga leso un diritto attinenteall’integrità psico-fisica del lavoratore e, ingenerale, agli interessi esistenziali» (Cass. Civ.,sez. lav., 2569/2001) e dal fatto che le condottevessatorie «ledono diritti che spettano alla personadel lavoratore indipendentemente dal rapporto dilavoro (lesione della salute, della personalità,ecc.). La condotta del datore di lavoro finiscedunque con il ledere un interesse tutelato non solonello specifico rapporto di lavoro ma anche in unanorma quale l’art. 2043 c.c. che si rivolge allatotalità dei consociati» (Trib. La Spezia13.05.2005. Nello stesso senso anche Trib. Forlì15.03.2001; nonché Cass. Civ., sez. lav.,7768/1995).Tuttavia, proprio il costante riferimento all’art.2087 c.c. ha indotto a ritenere che il mobbingcostituisca un’ipotesi di inadempimentocontrattuale (Cass. Civ., SS.UU., 8438/2004),quale violazione dell’obbligo di non fare nel casoRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 57


di mobbing discendente e quale violazionedell’obbligo di fare, consistente nella doverosaprotezione del lavoratore nei confrontidell’aggressione dei colleghi o dei sottoposti, nelcaso di mobbing orizzontale o ascendente 24 .In particolare, la Suprema Corte a Sezioni Unite,con la sentenza n. 8438/2004, pronunciandosi suun ricorso ove erano state dedotte sia laresponsabilità contrattuale che extracontrattuale,aveva escluso che si potesse configurareun’ipotesi di responsabilità aquiliana, in quanto ilcomportamento vessatorio era stato posto inessere esclusivamente con atti di gestione delrapporto di lavoro (quali mutamento di mansioni,rifiuto di concessione di periodi di riposo,assegnazione di un posto di lavoro in luogoangusto, ecc.). Occorre precisare, peraltro, che lacitata sentenza individuava la fattispecie diresponsabilità con riferimento non alla natura deidanni subiti di cui veniva chiesto il ristoro, ma inrelazione al comportamento posto in essere dallaparte datoriale.Questo orientamento è stato confermato anche dasuccessive pronunce. E così, la Suprema Corte,sempre a Sezioni Unite, ha ulteriormente precisatoche «ove la condotta dell’amministrazione sipresenti con caratteri tali da escluderne qualsiasiincidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essanon legati da rapporto di impiego, la naturacontrattuale della responsabilità non può essererevocata in dubbio» (Cass. Civ., SS.UU.,22101/2006). Anche in tale circostanza era statoposto a fondamento della domanda di risarcimentodel danno da mobbing una condotta tipicamenteinerente al rapporto di lavoro.È stato peraltro osservato che è possibile unconcorso tra responsabilità contrattuale edaquiliana, qualora si ritenga che non sianoindispensabili atti tipici (del rapporto di lavoro)perché possa essere configurata la fattispecie delmobbing.In tal caso, può sussistere una forma diresponsabilità extracontrattuale tutte le volte che«la vittima non invoca la violazione di obblighicontrattuali, di obblighi cioè che trovano il direttoreferente normativo nella disciplina del rapportodi lavoro» 25 e «le condotte che compongonol’elemento oggettivo della fattispecie di mobbingsono solo quelle materiali atipiche» 26 . Il rapportodi lavoro costituirebbe, quindi, solamente unpresupposto occasionale per lo svolgimento dellecondotte.Secondo tale impostazione, pertanto, in presenzadi mobbing la responsabilità è semprecontrattuale, e ad essa può eventualmentecumularsi quella di natura extracontrattuale.Infatti se la condotta consiste esclusivamente inatti tipici del rapporto di lavoro la responsabilità èsolo contrattuale; se, invece, la condotta ècomposta solamente da comportamenti atipici, laresponsabilità è anche extracontrattuale inconcorso con quella contrattuale 27 .Si badi, tuttavia, che la recente sentenza dellaCorte di Cassazione a sezioni unite, n. 26972 del11 novembre 2008, nel trattare sistematicamente ildanno non patrimoniale, affermando la sua24 Nello stesso senso: A. Vallebona, Breviario di dirittodel lavoro, Giappichelli, Torino, 2005, p. 272; Cass.Civ., sez. lav. 15749/2002; Trib. Benevento,21.02.2006; Tribunale di Marsala, 05.11.2004.25 N. Sapone, I danni nel rapporto di lavoro, cit., p.194.26 N. Sapone, I danni nel rapporto di lavoro, cit., p.194.27Cfr. più diffusamente N. Sapone, I danni nelrapporto di lavoro, cit., p. 195.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 58


isarcibilità anche nell’ambito di rapporticontrattuali di lavoro, ha avuto modo di rimarcareche, nonostante il dubbio fondamento dogmaticodella teoria del cumulo delle azioni contrattuali edextracontrattuali, «L’interpretazione costituzionalmenteorientata dell’art. 2059 c.c., consente ora diaffermare che anche nella materia dellaresponsabilità contrattuale è dato il risarcimentodei danni non patrimoniali. Dal principio delnecessario riconoscimento, per i diritti inviolabilidella persona, della minima tutela costituita dalrisarcimento, consegue che la lesione dei dirittiinviolabili della persona che abbia determinato undanno non patrimoniale comporta l’obbligo dirisarcire tale danno, quale che sia la fonte dellaresponsabilità, contrattuale o extracontrattuale».Aggiunge altresì la Corte di Cassazione, nellarichiamata sentenza n. 26972/2008, che «Sel’inadempimento dell’obbligazione determina,oltre alla violazione degli obblighi di rilevanzaeconomica assunti con il contratto, anche lalesione di un diritto inviolabile della persona delcreditore, la tutela risarcitoria del danno nonpatrimoniale potrà essere versata nell’azione diresponsabilità contrattuale, senza ricorrereall’espediente del cumulo di azioni».11. Onere della prova e prescrizione.L’inquadramento della responsabilità ha indubbiriflessi su ulteriori elementi, quali la prescrizionedell’azione, il quantum risarcibile e l’onere dellaprova.Quanto alla problematica dell’onere della prova,occorre preliminarmente precisare che anchequalora si ritenga possibile il concorso tra laresponsabilità contrattuale e quellaextracontrattuale, «sul piano processuale si rendeapplicabile la disciplina dell’onere probatorio piùagevole per il ricorrente, ossia quello contrattuale,e quindi ai sensi dell’art. 2087 c.c., che è la normapiù confacente alle ipotesi di mobbing, in quantotrasferisce in ambito contrattuale il più generaleprincipio del neminem laedere, ripartendo l’oneredella prova, grava sul datore di lavoro l’onere diaver ottemperato all’obbligo di protezionedell’integrità psicofisica del lavoratore, che,esentato dall’onere di provare il dolo o la colpadel datore di lavoro, è tenuto solo a provare lalesione dell’integrità psicofisica ed il rapportocausale tra il comportamento datoriale e ilpregiudizio alla salute (Trib. Tempio Pausania,10.7.2003, n.157)».Più in particolare, con riferimento alle diversetipologie di mobbing, prendendo le mosse dallasentenza della Suprema Corte n. 13533/2001, èstato ben distinto l’onere probatorio incombentesulle parti.Con la suddetta sentenza, infatti, la Corte diCassazione, in tema di responsabilità dainadempimento, aveva distinto ai fini probatori traobbligazioni positive e negative sulla base delprincipio della persistenza del diritto (in forza delquale se il creditore prova l’esistenza del diritto eil termine entro il quale deve essere adempiuto,ricadrà sul debitore l’onere di dimostrare il fattoestintivo dell’adempimento - Cass. Civ., SS.UU.,13533/2001).Ne consegue che laddove si parli di mobbingverticale (violazione di un obbligo di non fare –astenersi dal porre in essere comportamenti lesivie/o vessatori) il mobbizzato avrà l’onere didimostrare la violazione del divieto e, dunque, lecondotte lesive poste in essere dal datore dilavoro; mentre nel caso di mobbing orizzontaleRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 59


(violazione di un obbligo di fare – tutela deilavoratori contro possibili aggressioni da parte deicolleghi) il lavoratore deve provare lepersecuzioni subite dai colleghi e la conoscenza oconoscibilità delle stesse da parte del datore dilavoro, il quale potrà eventualmente fornire laprova liberatoria di avere adempiuto al proprioobbligo 28 .La sentenza della Corte di Cassazione26972/2008, poi, ha rimarcato che la prova deldanno non patrimoniale può essere data anchesulla base di soli elementi presuntivi, giacchéanche la presunzione è mezzo di prova di rangoprimario.Infine, ogniqualvolta venga invocata unaresponsabilità di tipo contrattuale, si avrà untermine di prescrizione decennale, mentre, nelleipotesi di responsabilità extracontrattuale, iltermine prescrizionale sarà quinquennale.12. Il danno risarcibile.Tra le più delicate problematiche che devonoessere affrontate in tema di mobbing, vi ècertamente la questione del danno risarcibilecagionato al lavoratore mobbizzato per effetto delcomportamento del datore di lavoro 29 .28 A. Vallebona, Breviario di diritto del lavoro, cit., p.272; N. Sapone, I danni nel rapporto di lavoro, cit., pp.218 e ss.29 Si segnala al riguardo, quanto ai confini del dannorisarcibile ed alle possibilità di liquidazione del danno,il pionieristico contributo di F. Proietti, “Alcuneosservazioni sul danno biologico non socializzabile”, inIl diritto del lavoro, 1994, n. 5, pp. 435 e ss., nel qualeviene affrontato il problema del c.d. danno biologiconon socializzabile, con riferimento, tra le altre, alleseguenti ipotesi: dequalificazione; dimissioni per giustacausa (compresa quella per molestie sessuali); mancatafruizione del riposo settimanale o delle ferie;protrazione sistematica dell’attività lavorativa oltre ilimiti legali e/o contrattuali dell’orario massimo, e cosìvia. Il contributo è interessante perché, a frontedell’analisi dell’incerto incedere della giurisprudenzasulle possibilità di giungere ad una piena tutelaÈ opportuno precisare che non vi è un automaticorisarcimento del danno, conseguente ad ognipregiudizio, che si verifica nella sfera economicao psicofisica della vittima, il risarcimento spettasolamente nelle ipotesi in cui vi sia un precisoinadempimento ad un obbligo contrattuale ovverouna violazione del generale principio del neminemlaedere, che incontra il suo riferimento principalenell’art. 2043 c.c.A seconda delle modalità con cui viene posto inessere, il mobbing può produrre un dannopatrimoniale e/o un danno non patrimoniale.Quanto alle ipotesi di danno patrimoniale, lostesso si concretizza in tutte quelle forme dipregiudizio economico che sono strettaconseguenza delle condotte vessatorie del datoredi lavoro (mutamento di mansioni, perdita diindennità, ecc.).Le ipotesi più frequenti di danno patrimoniale damobbing sono:a) il danno da demansionamento odequalificazione professionale o per perdita diprofessionalità pregressa;b) il danno emergente (determinato, ad esempio,dalle spese mediche e cure sostenute a causa dellamalattia psico-fisica ingenerata dagli attacchimobbizzanti);c) il danno da lucro cessante (prodotto daipossibili riflessi negativi dovuti alla riduzionedella capacità di lavoro, e quindi di produrrereddito, o alla perdita di chances);d) il danno da licenziamento illegittimo o dadimissioni per giusta causa.risarcitoria, viene affrontato criticamente il tema dellacollocazione sistematica, sia sotto il profilo teorico chepratico, di tali danni, descrittivamente allocati neldanno biologico non socializzabile.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 60


Quanto ai criteri per la risarcibilità delle suddettevoci di danno, laddove sia impossibile unaquantificazione precisa (demansionamento,dequalificazione, perdita di ulteriori chances), siprocederà ad una liquidazione equitativa ex art.1226 c.c., utilizzando come parametro una quotadella retribuzione per il periodo in cui si èprotratta la condotta lesiva (Trib. Milano,30.09.2006); quanto alle ipotesi di licenziamento edimissioni, troveranno applicazione i criteri di cuialle specifiche norme di legge (leggi n. 300/70, n.108/90 e n. 604/66 e artt. 2118 e 2119 c.c.).Per quanto concerne, invece, il danno nonpatrimoniale è opportuno precisare cherecentemente la materia è stata rivisitata dalleSezioni Unite della Suprema Corte di Cassazionecon la già citata sentenza n. 26972 dell’11novembre 2008, le quali, componendo uncontrasto giurisprudenziale sorto tra le singolesezioni, hanno decretato il definitivo superamentodella tesi che riconosceva l’autonoma risarcibilitàdel danno esistenziale come voce di dannorisarcibile nell’ambito della più vasta categoria didanno non patrimoniale.Prima di tale pronuncia, le varie sentenze dimerito e di legittimità si sono trovate adaffermare, con diverse sfumature di intensità, larisarcibilità sia del danno biologico, sia del dannomorale, sia, infine, del danno esistenziale, ove,ovviamente, vi fossero i presupposti in ordine alleallegazioni ed all’assolvimento degli oneriprobatori stabiliti dalle norme processuali.Si veda al riguardo la pronuncia del 30 settembre2006 resa dal Tribunale di Milano, ove, inaderenza all’indirizzo giurisprudenziale alloramaggioritario, favorevole alla tesi c.d.«esistenzialista», veniva affermato che «se nonpuò porsi in dubbio che è giuridicamenteconfigurabile un danno all’integrità psicofisica,come pregiudizio incidente sulla salutecomplessiva della persona ed in particolare comedanno psichico, autonomo e indipendente daldanno morale, partendo dalla nozione di dannobiologico accolto anche dalla Corte Costituzionaleex art. 32 Cost. deve riconoscersi l’ammissibilità ela risarcibilità di un danno da mobbing cheprescinda dall’insorgenza di una psicopatologiaapprezzabile sotto il profilo clinico e che siricolleghi in via diretta ed immediata alla lesionedella dignità personale, in termini cioè di undanno che si aggiunge al danno biologico in sensostretto, ove sussistente e provato, ovvero sia ingrado di assicurare una tutela risarcitoria, piena intutte le ipotesi in cui non sia ravvisabile una vera epropria lesione alla salute, ma solo una lesionedella dignità personale, e cioè di un interessecomunque di rango costituzionale, inerente lapersona. In altri termini, la tripartizione dannobiologico, danno morale e danno patrimoniale nonesaurisce l’ambito della possibile sferarisarcitoria, potendosi individuare un autonomospazio per un danno non patrimoniale, intesocome danno esistenziale, identificabile in quellaalterazione della qualità della vita che si estrinsecanella lesione della personalità del soggetto nel suomodo di essere sia personale che sociale,autonomo e differente dal danno morale cd.soggettivo, che non ne è assorbito, sia dal dannobiologico (cfr.: Corte Cost. 12 dicembre 2003 nr.356; Corte Cost. 11 luglio 2003 nr. 233; Cass. 31maggio 2003 nr. 8827; Cass. 31 maggio 2003 nr.8828: per la giurisprudenza di merito lavoristicacfr.: Trib. Pinerolo 2 aprile 2004; Corte d’AppelloRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 61


Milano 6 ottobre 2003; Trib. Siena 28 luglio2003; Trib. Parma 17 aprile 2003)».La citata sentenza del Tribunale di Milano, nelrichiamare la tesi adesiva al principio dirisarcibilità del danno esistenziale, mostra diattenersi scrupolosamente alle indicazioni fornitedalle sentenze del Supremo Collegio,nell’impostazione tempo addietro accolta in viamaggioritaria, riconoscendo che «la Corte diCassazione, in ambito lavoristico, aveva giàriconosciuto la risarcibilità di una voce di dannodefinito esistenziale, distinto dal danno biologicoin senso stretto o danno alla salute inteso come lalesione all’integrità fisica o psichica, cioè unapatologia oggettiva che si accerta secondo precisiparametri medico-legali, riconducendolo al“pregiudizio esistenziale che, senza ridursi almero patema d’animo interno, richiama tuttaviadisagi e turbamenti di tipo soggettivo” tale cioè dacoprire tutte le compromissioni delle attivitàrealizzatrici della persona umana quali gliimpedimenti alla serenità familiare e al serenosvolgimento della propria vita lavorativa. LaSuprema Corte ha concluso che tale distinzione“non vale ad escludere il cd. danno esistenzialedall’ambito dei diritti inviolabili, poiché non èsolo il bene alla salute a ricevere unaconsacrazione costituzionale sulla base dell’art.32, ma anche il libero dispiegarsi delle attivitàdell’uomo nell’ambito della famiglia o di altracomunità riceve considerazione costituzionale aisensi degli artt. 2 e 29. Pertanto, tanto aipregiudizi alla salute quanto quelli alladimensione esistenziale, sicuramente di naturanon patrimoniale, non possono essere lasciati prividi tutela risarcitoria, sulla scorta di una letturacostituzionalmente orientata del sistema dellaresponsabilità civile” (Cass. 3 luglio 2001 nr.9009). Più recentemente, la Corte haesplicitamente affermato che i principi di cui allericordate sentenze nr. 8827 e 8828 ed inparticolare la nozione di “danno non patrimonialeinteso come categoria ampia, comprensiva di ogniipotesi in cui sia leso un valore inerente allapersona, che non si esaurisca nel danno morale eche non sia correlato alla qualifica di reato delfatto illecito ex art. 185 c.p.” affermati in tema diresponsabilità extracontrattuale, “possono essereagevolmente applicati anche in tema diinadempimento contrattuale, per la liquidazionedei danni conseguenti alla accertata responsabilitàcontrattuale del datore di lavoro” (così: Cass. 26maggio 2004 nr. 10157)» (Trib. Milano,30.09.2006).Sulla scorta di tale filone interpretativo, dunque,accanto alla risarcibilità del danno biologico emorale, veniva frequentemente riconosciutal’esistenza e la risarcibilità anche di una diversaipotesi di danno, ravvisato nella categoria deldanno esistenziale, ritenuta necessaria dallagiurisprudenza, in quanto le categorie del dannobiologico e morale erano considerate «del tuttoinadeguate a dare una risposta risarcitoria alfenomeno del mobbing, dal momento che lascianosfornita di tutela una zona grigia e,nell’impossibilità di un superamento dei limitiposti alla risarcibilità del danno morale ex art.2059 c.c., impongono la creazione di una nuovacategoria di danno, rappresentata dal cd. dannoesistenziale» (Trib. Milano, 28.02.2003).I criteri di liquidazione riconosciuti per le singolesottocategorie di danno individuate nell’ambitodel danno non patrimoniale risentivano,ovviamente, della predetta impostazione. Pertanto,Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 62


ad esempio, la quantificazione del dannobiologico veniva effettuata secondo i normalicriteri in uso nei Tribunali e cristallizzati neldettato normativo.Quanto invece al c.d. danno morale il criterio diliquidazione normalmente usato era determinatocon riferimento ad una percentuale del dannobiologico.Per ciò che attiene al danno esistenziale laliquidazione veniva effettuata con ulterioredeterminazione attraverso il ricorso a criteriequitativi, tenendo conto di ogni elemento idoneoad adeguare la somma alle circostanze del caso: lasofferenza della vittima, la durata della condottaillecita, la gravità delle lesioni, lo sconvolgimentodella vita della vittima, ecc., evitando per controogni liquidazione meramente simbolica.V’è tuttavia da precisare che, con specificoriferimento al mobbing, la giurisprudenza non eraaffatto concorde nell’individuare i parametri diriferimento per la quantificazione del danno. Così,ad esempio, talvolta si faceva riferimento al«danno biologico temporaneo» (Trib. Pinerolo,06.02.2003; Trib. Forlì, 28.01.2005), talaltra sifaceva riferimento alla retribuzione, valutata inuna percentuale variamente definita (Trib. Lecce,09.05.2005; Trib. Forlì, 15.03.2001), altre volteancora si prendeva come parametro di calcolo il«danno biologico complessivo in concretoliquidato» (Trib. Agrigento, 01.02.2005; Trib. LaSpezia, 13.05.2005).Tale impostazione ha subito profondemodificazioni a seguito della menzionatapronuncia della Suprema Corte di Cassazione asezioni unite n. 26972 del 2008, con cui è statoaffermato che «il danno non patrimoniale ècategoria generale non suscettiva di divisione insottocategorie variamente etichettate. Inparticolare non può farsi riferimento ad unagenerica sottocategoria denominata “dannoesistenziale”, perché attraverso questa si finisceper portare anche il danno non patrimonialenell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazionedella apparente tipica figura categoriale del dannoesistenziale, in cui tuttavia confluisconofattispecie non necessariamente previste dallanorma ai fini della risarcibilità di tale tipo didanno, mentre tale situazione non è voluta dallegislatore ordinario, né è necessitatadall’intepretazione costituzionale dell’art. 2059c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoriadi specifici valori della persona presidiati da dirittiinviolabili secondo Costituzione (principienunciati dalle sentenze n. 15022/2005; n.11761/2006; n. 23918/2006, che queste Sezioniunite fanno propri)».Con il nuovo indirizzo giurisprudenzialeaffermato dalle sezioni unite viene infatti ribaditoche la componente esistenziale del danno nonpatrimoniale subito dal lavoratore deve comunqueessere riconosciuta non come distinta edautonoma sottocategoria di danno risarcibile,bensì nell’ambito della più ampia categoria didanno non patrimoniale, la cui risarcibilità èassicurata dalla lettura costituzionalmenteorientata dell’art. 2059 c.c. nel suo combinatodisposto con l’art. 32 Cost. (quanto all’integritàpsicofisica), nonché con gli art. 1, 2, 4 e 35 Cost.(quanto alla tutela della dignità personale dellavoratore), che fanno riferimento a dirittiinviolabili, la cui lesione, come sostenuto dallaCorte, «dà luogo a risarcimento dei pregiudizi nonpatrimoniali di tipo esistenziale, dainadempimento contrattuale».Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 63


Poiché la richiamata sentenza a sezioni uniteribadisce che il sistema risarcitorio è bipolare eche pertanto vede la contrapposizione di due solecategorie di danno risarcibile, quali quella«patrimoniale» e «non patrimoniale», sicomprende bene come anche i criteri diliquidazione risentano di tale affermazione diprincipio. Infatti il giudice, nell’individuare icriteri di liquidazione del danno, anzichésoffermarsi distintamente, come in passato, sullesingole voci di danno non patrimoniale risarcibile(biologico, morale, esistenziale), è chiamato adeffettuare una liquidazione complessiva che tengaperò conto adeguatamente delle minime sfumaturedel caso concreto.Come chiarito dalla menzionata sentenza a sezioniunite, infatti, «Il risarcimento del danno allapersona deve essere integrale, nel senso che deveristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre.Si è già precisato che il danno non patrimoniale dicui all’art. 2059 c.c., identificandosi con il dannodeterminato dalla lesione di interessi inerenti lapersona non connotati da rilevanza economica,costituisce categoria unitaria non suscettiva disuddivisione in sottocategorie. Il riferimento adeterminati tipi di pregiudizio, in vario mododenominati (danno morale, danno biologico,danno da perdita del rapporto parentale), rispondead esigenze descrittive, ma non implica ilriconoscimento di distinte categorie di danno. Ècompito del giudice accertare l’effettivaconsistenza del pregiudizio allegato, a prescinderedal nome attribuitogli, individuando qualiripercussioni negative sul valore-uomo si sianoverificate e provvedendo alla loro integraleriparazione».Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 64


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Stalking e risarcimento del danno esistenziale.Alcune considerazioni alla luce delle sentenze dellaCorte di Cassazione a Sezioni Unite dell’11 novembre 2008Maria Florio •RiassuntoDa pochi giorni è stata introdotta nell’ordinamento italiano una normativa di contrasto al fenomeno dello stalking, conl’introduzione nel codice penale dell’art. 612 bis. L’autrice ripercorre la nuova normativa a tutela della vittima di attipersecutori e le prospettive di risarcimento del danno alla persona. In particolare, si sofferma sull’analisi del risarcimentodel danno esistenziale, così come esso risulta risarcibile a seguito delle importanti sentenze della Corte di Cassazione aSezioni Unite del 2008, le quali hanno dato del danno esistenziale un criterio di analisi sistematica che d’ora in poi dovràcostituire un punto fermo per la giurisprudenza italiana.RésuméDepuis quelques jours, une norme contre le phénomène du harcèlement obsessionnel (stalking) a été adoptée par le systèmejuridique italien, avec l’introduction de l’article n° 612-bis du code pénal. L’autrice explique la nouvelle réglementationpour la tutelle de la victime de harcèlements et les perspectives d’indemnisation du dommage à la personne. En particulier,elle s’arrête sur l’analyse de l’indemnisation du dommage existentiel, comme il résulte dédommageable suite auximportantes sentences de l’année 2008 de la Cour de Cassation Chambres Unies. Celles-ci ont établi un critère pourl’analyse systématique du dommage existentiel qui, dès aujourd’hui, devra servir de point de repère pour la jurisprudenceitalienne.AbstractA few days ago, a regulation against stalking was introduced into the Italian system, inserting the art. 612 bis into the Italianpenal code. The author considers the new set of rules, aiming to defend the stalking victim, and the prospects ofcompensation for damage to the person. Above all, puts more emphasis on the analysis of compensation for existentialdamage, which is now accepted to be repayable as a result of the important sentences of the Court of Cassation in 2008,when definite criteria were established. From now on, such criteria for a systematic analysis of compensation for existentialdamage will be a reference point for the Italian Courts.• Dottoranda di ricerca in criminologia all’Università di Bologna.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 66


Da pochi giorni è stata introdottanell’ordinamento italiano una normativa dicontrasto al fenomeno dello stalking.Lo stalking è una strategia di molestie a distanza;non si concretizza in un atto isolato, ma in unavera e propria persecuzione della vittima. Iltermine stalking nel linguaggio venatorio indica il“fare la posta”, il comportamento del cacciatore inagguato della preda. Nelle relazioni socialiconnota l’insieme di comportamenti intrusivi dicontrollo e di ricerca di contatto non graditi neiconfronti di una vittima. La vittima, di fronte a talicomportamenti persecutori ripetuti nel tempo,sviluppa uno stato di continuo timore e di allerta.Il comportamento persecutorio è attuato daentrambi i sessi, anche se in maggior parte levittime sono donne. Si riscontra in tutte le classisociali e può essere attuato sia nei confronti diconoscenti che di persone sconosciute. Traconoscenti si manifesta spesso in occasione dellarottura della relazione, in caso di separazioni edivorzi, ed è attuata dall’individuo che hastrumenti perversi di difesa e non è in grado diaccettare la perdita della relazione.I comportamenti possono essere indiretti, cometelefonate, appostamenti, o diretti, comel’avvicinare la vittima in pubblico.Alcune delle condotte di stalking, consideratesingolarmente, possono apparire innocue e privedi rilevanza, come mandare fiori o lettere, ma inuna visione di insieme sono fortementedestabilizzanti per la vittima, che si sentecontinuamente sotto assedio. Per la comprensionedelle condotte di stalking è assolutamentenecessaria una visione sistematica.In Italia si era avvertita la necessità di unaspecifica normativa contro lo stalking: le condottepiù evidenti di stalking erano punite come reati diviolenza privata o di molestie ex art. 660 delcodice penale, oppure come reati di ingiuria,diffamazione, minaccia o di violenza sessuale, sene ricorrevano i presupposti.In paesi come gli Stati Uniti, il Canada ed l’Inghilterra lo stalking era punito come reato già apartire dagli anni ’90.Il 18 giugno 2008 il Consiglio dei Ministri haapprovato un disegno di legge contenente misurecontro gli atti persecutori 1 . Il 29 gennaio <strong>2009</strong> ildisegno di legge, presentato dal Ministro per lePari opportunità Mara Carfagna e dal Ministrodella Giustizia Alfano, è stato approvato dallaCamera dei deputati ed è passato all’esame delSenato.In pendenza dell’esame al Senato, il Governo haemanato il decreto legge del 23 febbraio <strong>2009</strong> n.11, «Misure urgenti in materia di sicurezzapubblica e di contrasto alla violenza sessuale,nonché in tema di atti persecutori», detto “Decreto legge Anti-violenze”, che ha introdotto ilreato di “Atti persecutori” 2 .Il decreto legge prevede l’introduzionenelcodice penale dell’art. 612 bis, rubricato Attipersecutori. A norma di tale articolo sono attipersecutori le condotte reiterate di minaccia omolestia che cagionino un perdurante e gravestato di ansia o paura, o ingenerino un fondatotimore per l’incolumità propria o dei propri cari oche costringano la vittima ad alterare le propriescelte o abitudini di vita.La pena è aumentata se il fatto è commesso dalconiuge legalmente separato o divorziato o da1 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Disegno dilegge n. 1440, presentato alla Camera il 2.07.08,disponibile al sito Web www.camera.it.2 Decreto legge 23 febbraio <strong>2009</strong> n. 11, pubblicato inG.U. n. 45 del 24 febbraio <strong>2009</strong>.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 67


persona che sia legata da relazione affettiva allapersona offesa oppure se è commesso a danno diun minore, di una donna in stato di gravidanza odi un disabile. La pena prevista per il reato base èdella reclusione da sei mesi a quattro anni. Ildelitto è procedibile a querela della personaoffesa, ma nei casi aggravati si procede d’ufficio.La persona offesa, prima di sporgere querela, puòesporre i fatti al Questore e chiedere che l’autoredella condotta sia ammonito. Il Questore potràvalutare anche la necessità di adottareprovvedimenti in materia di armi o munizioni.In sede giudiziaria, a norma del nuovo art. 282 terc.p.p. , il giudice potrà prescrivere all’imputato dinon avvicinarsi a luoghi determinati frequentatidalla persona offesa o di tenersi ad una certadistanza. Il divieto di avvicinamento a caricodell’imputato può essere esteso ai prossimicongiunti della persona offesa o alle persone conquesta conviventi. Può anche essere impostoall’imputato il divieto di comunicare con qualsiasimezzo con le persone offese.La previsione di una nuova misura coercitiva, ildivieto di avvicinamento ai luoghi frequentatidalla persona offesa, è tesa a rafforzare la tuteladella vittima in funzione preventiva e a garantiretutela anche ai suoi familiari, con un ampliamentodell’applicabilità della misura anche ai luoghifrequentati dai prossimi congiunti della personaoffesa; tale previsione non era contenuta nellanorma similare dell’art. 282 bis comma 2 c.p.p.,introdotto dalla legge 154 del 2001, legge volta acontrastare la violenza nelle relazioni familiari.D’altra parte, l’art. 5 della legge 154 del 2001prevedeva l’estensibilità della normativa anche alcaso di pericolo determinato da altri familiaridell’abusante o nei confronti di altri familiari dellavittima.Il decreto legge è stato convertito nella legge n. 38del 23 aprile <strong>2009</strong> 3 . Le modifiche introdotte dallalegge di conversione hanno riguardato le misurein materia di sicurezza pubblica, lasciandosostanzialmente inalterato l’impianto normativodel decreto legge nella parte relativa al reato diatti persecutori.Il decreto legge n. 11 del <strong>2009</strong> e la conseguentelegge di conversione hanno apprestato anchemisure sociali a sostegno delle vittime del reato diatti persecutori: le forze dell’ordine, i presidisanitari e le istituzioni pubbliche che ricevononotizia del reato di atti persecutori, hannol’obbligo di fornire alla vittima stessa tutte leinformazioni relative ai centri antiviolenzapresenti sul territorio e nella zona di residenzadella vittima. Le istituzioni citate provvedono essestesse a mettere in contatto la vittima che nefaccia richiesta con i centri antiviolenza. E’ancheistituito, presso la Presidenza del Consiglio deiMinistri- Dipartimento per le pari opportunità, unnumero verde nazionale, attivo ventiquattro ore suventiquattro, a favore delle vittime degli attipersecutori, con la finalità di fornire un servizio diprima assistenza psicologica e giuridica e dicomunicazione con le forze dell’ordine.Tali misure, in aggiunta alla tutela penale, vannoparticolarmente apprezzate, poiché apprestano unarete sociale attorno alla vittima. Difatti, spesso siala vittima, sia i singoli operatori difettano diinformazioni sulle possibilità di tutela offertedall’ordinamento e l’intervento richiesto dallavittima ad un singolo operatore-forze dell’ordine,medici, istituzione pubblica o centro antiviolenza-Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 68


imane settorializzato. Tali norme consentono lacomunicazione tra gli operatori ed un interventosistematico; il contrasto alla violenza devenecessariamente passare attraverso una corretta equalificata informazione.Sotto il profilo risarcitorio, la vittima di attipersecutori avrà diritto al risarcimento del dannopatrimoniale e non patrimoniale.La funzione del risarcimento del danno, così comeaccolta dall’ordinamento italiano, è quella diristabilire la situazione che il danneggiato avevaprima dell’evento lesivo. L’ordinamento italiano,infatti, non riconosce la figura angloamericana deldanno punitivo. Il risarcimento del danno ha unafunzione di ristoro del danneggiato e non dipunizione del danneggiante.Anche prima dell’introduzione del reato di attipersecutori, si discuteva sulla possibilità dirisarcire civilmente i danni conseguenti acomportamenti di stalking.Sicuramente risarcibili sono gli eventuali dannipatrimoniali consistenti in spese sostenute ediminuzione di redditi, spese che andrannoprovate dal danneggiato.Sul piano non patrimoniale si è ipotizzata larisarcibilità del danno esistenziale da stalking,poiché la maggiore potenzialità lesiva dellecondotte persecutorie si colloca sul piano nonpatrimoniale.Per danno esistenziale si intende ogni oggettivopregiudizio di natura non meramente interioreprovocato sul fare areddituale del soggetto, che nealteri le scelte e le abitudini di vita. Il pregiudiziova individuato nell’alterazione della vita direlazione e nella compromissione delladimensione esistenziale della persona.3 Legge 23 aprile <strong>2009</strong> n. 38 pubblicata sulla GazzettaTradizionalmente il danno non patrimoniale,riconosciuto dall’art. 2059 c.c., veniva identificatocon il danno morale risarcibile solo nel casoprevisto dall’art. 185 c.p., in ipotesi di reato.Il riconoscimento della necessità di risarcire lalesione dei diritti della personalità a carattere nonpatrimoniale ha comportato l’elaborazione diulteriori voci di danno non patrimoniale : il dannobiologico, il danno morale e il danno esistenziale.Il danno biologico è il danno da lesionedell’integrità psicofisica del soggetto, conseguentealla lesione del bene salute e causato da lesionifisiche o da ripercussioni psichiche sul soggetto;tale tipologia di danno è accertabile equantificabile attraverso una consulenza medicolegale.Il danno morale è la sofferenza fisica e psichicacausata alla vittima a seguito di un fattocostituente reato; è risarcibile solo percomportamenti riconosciuti dall’ordinamentocome reato.La Corte Costituzionale, con la sentenza 11 luglio2003 n. 233 4 ha dato dell’art. 2059 c.c. una letturacostituzionalmente orientata, estendendo la tutelarisarcitoria del danno non patrimoniale ad ognidanno derivante da lesione di valori inerenti lapersona; nell’art. 2059 c.c., secondo la Corte,rientra sia il danno morale soggettivo, inteso cometranseunte turbamento dello stato d’animo dellavittima, sia il danno biologico in senso stretto,inteso come lesione dell’interesse,costituzionalmente garantito, all’integrità psichicae fisica della persona, conseguente ad unaccertamento medico, sia infine il dannoUfficiale n. 95 del 24 aprile <strong>2009</strong>.4 Corte Costituzionale, sentenza 11 luglio 2003 n. 233in Giur. It., 2004, p. 723 ss.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 69


esistenziale, derivante dalla lesione di interessi dirango costituzionale inerenti alla persona.La sentenza della Corte di Cassazione a SezioniUnite civili n. 26972 del 2008 5e le sentenzeemesse in pari data n. 26973, 26974 e 26975 dianalogo contenuto, hanno interpretato il dannonon patrimoniale come una categoriaonnicomprensiva tipica, che può essere risarcitasolo nei casi previsti dalla legge; il dannoesistenziale non può più essere consideratoun’autonoma categoria di danno.Secondo la Cassazione a Sezioni Unite, affermatala risarcibilità del danno non patrimoniale nellasua più ampia accezione, in presenza di reato èriconosciuto il risarcimento del pregiudizio nonpatrimoniale consistente nel non poter fare. Latutela risarcitoria, infatti, è data se il pregiudiziosia conseguenza della lesione di un interessegiuridicamente protetto dall’ordinamento positivo;la previsione della tutela penale è sicuro indicedella rilevanza dell’interesse leso.In assenza di reato e fuori dei casi previsti dallalegge,i pregiudizi di tipo esistenziale sonorisarcibili solo se conseguenti alla lesione di undiritto inviolabile della persona.La risarcibilità del danno non patrimoniale èsubordinata alla presenza di criteri di gravità dellalesione e serietà del danno, i quali operano dafiltro ed attuano un bilanciamento tra il principiodi solidarietà verso la vittima e il principio ditolleranza, secondo il parametro della coscienzasociale in un determinato momento storico.Il risarcimento del danno alla persona deve essereintegrale ma non oltre; la Corte rifiuta l’ingressonel nostro ordinamento di forme di danno5 Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 24giugno-11 novembre 2008 n. 26972, in Guida al diritton. 47 del 29 novembre 2008, pp. 18-33.punitivo, ribadendo che la funzione del danno è ditipo ristorativo.Non è configurabile un danno in re ipsa, anche nelcaso di lesione di valori della persona, poiché ilrisarcimento in tal caso verrebbe concesso qualepena privata per un comportamento lesivo e nonin conseguenza dell’effettivo accertamento di undanno.La vittima dovrà provare di aver subito un danno,tramite documenti e testimonianze, ma il giudicepotrà utilizzare anche nozioni di comuneesperienza e presunzioni.Consapevole della difficoltà di provare ilpregiudizio ad un bene immateriale, la Corteammette il ricorso alla prova presuntiva, che potràcostituire anche l’unica fonte del convincimentodel giudice. Al danneggiato spetta un onere diallegazione dei fatti idonei a fondare ilconvincimento del giudicante.In tema di molestie assillanti, con ilriconoscimento della rilevanza penale degli attipersecutori la vittima potrà costituirsi parte civilenel processo penale e chiedere il risarcimento deldanno patrimoniale e non patrimoniale subito opotrà attivare un autonomo giudizio risarcitoriocivile.Il giudizio civile resta l’unica strada nei casi in cuinon si sia proceduto in sede penale, perché, adesempio, il soggetto ammonito dal Questore abbiapoi effettivamente desistito dalle molestie operché le molestie non assurgono a quella gravitàtale da meritare la sanzione penale.Qualora la vittima dimostri di aver subito uneffettivo peggioramento dello standard qualitativodella vita, avrà diritto alla liquidazione del dannonon patrimoniale anche nella sua componenteesistenziale, sia nel processo civile che nelRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 70


processo penale, poiché risultano lesi dirittiinviolabili della persona e valoricostituzionalmente riconosciuti.Particolare cautela dovrà essere adottata nellavalutazione di effettive condotte persecutorie, perevitare il rischio che si possa fare un utilizzostrumentale della querela in relazioni conflittuali.Il filtro della gravità della lesione e della serietàdel danno consente di tener fuori da ogni ipotesirisarcitoria pregiudizi che non oltrepassino lasoglia di offensività e che devono essere tolleratisecondo la coscienza sociale.Bibliografia.• Cadoppi A., “Stalking: solo un approcciomultidisciplinare assicura un’efficace azionedi contrasto”, Guida al Diritto, n. 7, 2007, pp.10-12.• Franzoni M., “Danno biologico e danno allasalute negli studi recenti”, Contratto eimpresa, n. 3, 1988, pp. 846-882.• Galgano F., “Le mobili frontiere del dannoingiusto”, Contratto e impresa, 1985, pp. 1-27.• Garuti F., “Il danno esistenziale tra valoricostituzionali e tifosi delusi”, Rivista italianadi medicina legale, n. 2, 2007, pp. 307-339.• Meloy J. R., The psychology of stalking:Clinical and forensic perspective, AcademicPress, San Diego, 1998.• Zanchetti M., Sardella F., “Il dannoesistenziale: la richiesta di risarcimento insede penale”, Rivista italiana di medicinalegale, n. 2, 2007, pp. 341-361.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 71


Il minore abusato: parte offesa e testimone nel processo penale. Lavittimizzazione secondaria quale fonte di danno e le nuove frontiere delrisarcimento aperte dalle Sezioni Unite 11 novembre 2008, n. 26972Claudio Toni •RiassuntoIl ruolo rivestito dalla testimonianza della persona offesa, in special modo nelle ipotesi di abuso in cui sovente si presentaquale unica fonte di prova, può comportare il suo coinvolgimento in dinamiche che spesso non tengono conto delle esigenzedi cui questa si fa portatrice e che possono dar luogo ad una «vittimizzazione secondaria». Il fenomeno è idoneo, inparticolar modo ove vittime siano i più piccoli e pertanto doppiamente bisognosi di tutela anche in sede di accertamento deifatti, a rafforzare le conseguenze traumatiche dell’abuso in virtù della violenza di una “comunicazione”, quella processuale,che non rispetta i tempi dell’ascolto. Dello stesso, non dovrebbe pertanto trascurarsi, in sede risarcitoria, la portata lesiva, daconsiderarsi quale elemento valutabile in attuazione del principio di integrale risarcimento del danno, e da conformarsi allepiù recenti acquisizioni giurisprudenziali delineate dai contributi delle Sezioni Unite della Cassazione Civile.RésuméLe témoignage de la personne offensée, en particulier dans les hypothèses d’un abus où souvent elle constitue la seulepreuve, peut entraîner son implication dans des circostances qui souvent ne prennent pas ses exigences en considération,pouvant créer une “victimisation secondaire”. En particulier, quand les victimes sont de tout petits enfants, qui nécessitentde formes de tutelle particulières lors de l’établissement des faits, le phénomène peut alourdir les conséquencestraumatiques de l’abus à cause de la violence de la « communication » processuelle qui ne respecte pas les temps del’écoute. Parallèlement, il ne faut pas négliger, au cours de la procédure d’indemnisation, l’ampleur de la lésion qui doit êtrel’un des éléments à évaluer pour l’application du principe de l’indemnisation intégrale du dommage, conformément auxacquisitions jurisprudentielles les plus récentes liées aux jugements des Chambres Unies de la Cour de Cassation Civile.AbstractThe role of the offended person’s deposition, possibly the only proof in case of abuse, may involve dynamics which do notconsider the needs of the victim himself, and so causing "secondary victimization". Then, especially when further care isrequired during investigation if the victim is a child, the situation can worsen the already traumatic consequences of theabuse, due to the violence of the trial, which appears to be regardless of the appropriate time for the hearing. Consequently,this damage should not be ignored during the calculation of all-comprehensive compensation, and should conform with thelatest jurisprudence of the “Sezioni Unite” of “Cassazione Civile”.• Dottore in giurisprudenza abilitato all’esercizio della professione forense, specialista in Studi sull’AmministrazionePubblica (SPISA – Università di Bologna), ha conseguito il Master in «Psicopatologia e neuropsicologia giuridica»presso l’Università di Padova.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 72


1. Congetture e confutazioni.Mi perdoneranno i critici e gli appassionati delfilosofo austriaco, l’aver tratto in prestito, inintroduzione al presente elaborato, il titolo dallostesso attribuito ad una delle massime espressionidel suo pensiero epistemologico. E’ una sceltainvero dettata dalla profondità racchiusa in quelle“congetture”, definite da Popper quali tentativi disoluzione vincolati a critica e in quelle“confutazioni” il cui vaglio, una volta superato, èidoneo a far loro attingere un senso, se non diassolutezza, per lo meno di maggiore validitàscientifica 1 .Mi spiego e nel farlo pongo l’attenzione dellettore sul “nocciolo duro” di una questione,quella relativa all’an del risarcimento del dannoda vittimizzazione secondaria da “giustoprocesso”, prima ancora che al suo quantum o alnomen iuris allo stesso attribuibile, la cuisoluzione potrà forse incontrare da parte degli“addetti ai lavori” non poche resistenze. Vero è,infatti, che un contenitore interdisciplinare, per dipiù di portata internazionale, quale si mostra lapresente Rivista, bene si presta ad introdurrespunti di riflessione e ricerca. A maggior ragione,quando scopo di un contributo sia ricercare unconnubio tra l’apporto derivato da scienzeepidemiologiche quali la criminologia e lavittimologia, e le regole di un processo in cui vigela supremazia del caso concreto. In tal senso, èperò opportuno che le prospettive esegetichepresentate superino la soglia del vaneggiamento,per configurarsi alla stregua di quelle congettureche sole, in quanto falsificabili, possonoavvicinare alla realtà di un fatto o alla soluzione diun problema.Ecco allora che, nel presentare il problema,nell’evidenziare quali panorama giuridico eretroscena scientifico ne delineino i tratti, enell’individuare quali prospettive paiono trapelaredalle Sezioni Unite col contributo recentementeofferto in tema di danno non patrimoniale dallasentenza 11 novembre 2008, n. 26972 2 , cercheròdi seguire un percorso che consenta alla presenteproduzione di integrare i crismi della congettura,nel tentativo di compiere un ulteriore passo avantiverso l’effettivo raggiungimento diquell’“integrale risarcimento del danno” troppospesso negato dalla giurisprudenza civile di meritoe legittimità, sotto la spinta del divieto di“duplicazione risarcitoria” 3 .1Sul concetto cfr. K. Popper, Congetture econfutazioni, il Mulino, Bologna, <strong>2009</strong>, p. 52 ss.2Con la presente pronuncia le Sezioni Uniteaccogliendo la lettura costituzionalmente orientatadell’art. 2059 c.c. offerta dalle c.d. “sentenze gemelle”8827-8828 del 2003, negano l’esistenza delle “macrocategorie”,tra cui quella del danno biologico e dannoesistenziale (utilizzate solo a fini descrittivi). Con lanegazione dell’autonoma categoria del dannoesistenziale, gli ermellini riportano in auge un sistemabipolare formato dal danno patrimoniale (atipico aisensi dell’art. 2043 c.c.) e dal danno non patrimonialedi cui all’art. 2059 c.c., norma di rinvio ai singoli casidi risarcimento ex lege previsti, e pertanto idonea aconsentire tale forma risarcitoria nei soli casitassativamente previsti, nonché «al di fuori dei casideterminati dalla legge, in virtù del principio dellatutela minima risarcitoria spettante ai diritticostituzionali inviolabili... ai casi di danno nonpatrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabilidella persona riconosciuti dalla costituzione».3 Di cui si fa menzione già nella sentenza Cass. Civ., 31maggio 2003, n. 8827. In dottrina, per la critica ad unorientamento troppo restio a concedere spazi di ristoro,in particolar modo «nella misura in cui il dannoesistenziale tende ad essere psicologizzato (e cosìschiacciato tra il «malessere» della «normale» reazionepsichica – coincidente con il danno morale – e il«malessere» patologia psichica, ricondotto allacategoria del danno biologico di natura psichica)» (intal senso P. Cendon (a cura di), La prova e il quantumnel risarcimento del danno non patrimoniale, Torino,2008, p. 354), cfr. ex multis, M. Meucci, “Il dannoRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 73


2. Sul problema: un primo approccio analitico.Il problema, dunque, complesso per come apparegià dal titolo del contributo, scomposto nei suoielementi essenziali, pone in primo piano laquestione “vittimizzazione secondaria”, in sé e persé considerata. Il fenomeno esiste, è bendocumentato da voci autorevoli provenienti daipiù disparati settori delle scienze sociali 4 ,riguarda, in genere e a rigor di logica, tutti coloroche già siano stati oggetto di vittimizzazioneprimaria 5 e si rinviene in quelle «conseguenzepsicologiche ulteriori per la vittima provocatedalla situazione nella quale si viene a trovare inseguito alla denuncia o comunque nel momento incui le agenzie di controllo formale vengono aconoscenza del fatto reato e ne individuano ilsoggetto stesso quale vittima» 6 , componendosi diesistenziale nel rapporto di lavoro”, in Riv. It. Dir.Lav., 2004, I, n. 3, pp. 421 ss.4 Ex multis, in ambito criminologico/vittimologico cfr.,anche per la corposa bibliografia in tema diattribuzione di responsabilità alla vittima di reato, A. C.Baldry, “La percezione in termini di credibilità eattribuzione di responsabilità nei reati di violenzasessuale da parte di operatori di polizia: un’indaginesperimentale”, in Rass. It. Crim., 1996, n. 2, pp. 269ss., e L. Rossi, L’analisi investigativa nella psicologiacriminale. <strong>Vittimologia</strong>: aspetti teorici e casi pratici,Giuffrè, Milano, 2005, pp. 416 ss.5 Tralasciando i differenti concetti di vittima elaborati alivello internazionale (Dichiarazione sui Principifondamentale di giustizia in favore delle vittime dellacriminalità e delle vittime di abusi di potere, di cuiall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 29novembre 1985) e comunitario (ad ultima la DecisioneQuadro sulla posizione della vittima nel processopenale del 15 marzo 2001), in criminologia vittima puòessere definito «qualsiasi soggetto danneggiato o cheabbia subito un torto da altri, che percepisce sé stessocome vittima, che condivide l’esperienza con altricercando aiuto, assistenza e riparazione, che èriconosciuto come vittima e che presumibilmente èassistito da agenzie/strutture pubbliche, private ocollettive». In tal senso, E. Viano, “<strong>Vittimologia</strong> oggi: iprincipali temi di ricerca e di politica pubblica”, in A.Balloni, E. Viano (a cura di), IV Congresso mondialedi vittimologia. Atti della giornata bolognese, Clueb,Bologna, 1989, p. 126.6 Cfr. L. Rossi, op. cit., p. 417.due matrici, una sociale ed una più prettamentepsicologica.Circa la prima, si pensi a quel «senso di minoresimpatia per la parte civile nei processi penali...quando la vittima abbia avuto qualche parte dicolpa nel provocare colui, che trovasi poiimputato e contro il quale essa venga a costituirsiparte civile» 7 . Ancora, e ancor prima, al momentodella denuncia determinati fattori possonostimolare un processo di attribuzione diresponsabilità nei confronti del denunciante daparte degli organi pubblici 8 . Più in generale poi, ilsenso del quotidiano della vittima viene stravoltonel suo rapporto con la propria sfera privata e lepersone che ne fanno parte, con le quali la stessatende a confidarsi in prima battuta, ma che nonsono preparate «tecnicamente e scientificamentead affrontare determinate situazioni» 9 . Sotto taleveste, il fenomeno si presenta quale diretto“peggioramento esistenziale” 10della vita delsoggetto offeso, derivante dalla lesione del “sésociale”, ovvero dell’altrui considerazione inordine alla figura del medesimo 11 . Si pensi allaesperienze giudiziarie di vittime incresciosamente“famose” per il “panorama mediatico” italiano ilquale, pur animato dall’intento di sollevare ilpubblico sdegno a fronte di obiter dicta dilegittimità tutt’altro che rispettosi nei confronti7 Cfr. E. Ferri, “Il disastro ferroviario di Grassano”, inE. Ferri, Difese Penali, Utet, Torino, 1925, p. 378. Sulpunto cfr. altresì R. Bisi, “Vittime e processi divittimizzazione”, in R. Bisi (a cura di), Scena delcrimine e profili investigativi. Quale tutela per levittime?, FrancoAngeli, Milano, 2006, pp. 103 ss.8 Cfr. A. C. Baldry, op. cit., p. 273.9 E la cui incapacità di soddisfare le richieste di aiutoche vengono loro poste rischiano talvolta di esserecausa di ulteriore sofferenza. In tal senso cfr. ex multis,L. Rossi, op. cit., p. 419.10 Sulla qualificazione giuridica di tale forma di danno,si rimanda oltre, in più opportuna sede.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 74


delle stesse, si è reso partecipe di quell’«effettopregiudizievole sul sentimento di appartenenza aduna comunità» che la letteratura correlaall’abbandono e alla messa in discussione deivalori basilari 12 .Il riferimento è al caso scatenato dalla notasentenza “blue jeans”, 10 febbraio 1999, n. 1636,con cui la Sezione Terza della Suprema Corte haritenuto poter ricavare dal dato di comuneesperienza che «è quasi impossibile sfilare anchein parte i jeans ad una persona senza la sua fattivacollaborazione», e che pertanto nell’ipotesi in cuila “presunta vittima” indossasse tale indumentonon avrebbero dovuto ritenersi integrati gliestremi dello stupro 13 . Ma anche, più di recente,dalla decisione 17 febbraio 2006, n. 6329, con cuila Sezione Terza ha nuovamente fatto parlare disé, stante un dispositivo successivamente tacciatodalla critica di massa, pur con una qualcheleggerezza 14 , di farsi portatore del principio11 Cfr. W. James, Il flusso di coscienza. I principi dipsicologia, Mondadori, Milano, 1998, p. 120.12 Cfr. R. Bisi, “Vittime”, R. Bisi (a cura di), op. cit., p.107. Sulle modalità attraverso cui tali effetti vengono aprodursi per l’ipotesi di violenza sessuale su minori,cfr. U. Sabatello, R. Di Cori, “L’abuso sessualeinfantile: problematiche cliniche e modelli diintervento”, in Min. Gius., 2001, n. 2, pp. 15-16, in cuisi punta l’attenzione sul fatto che «alla segnalazione diabuso... segue l’attivazione spesso convulsa, ma nonsempre sincrona e, soprattutto, quasi mai sensatamentecoordinata, di interventi di varie istituzioni che, purinseguendo l’obiettivo di salvaguardare la vittima,rischiano di rompere precari equilibri senza offrirestrumenti per la ricostruzione di nuovi, mentre ladiacronia dei tempi di intervento lascia a volte ibambini troppo a lungo ancora più soli in unisolamento abitato da paure di ritorsioni e sentimenti dicolpa».13 Sentenza da cui la successiva giurisprudenza dellaCassazione, nonostante le ripetute accuse di“distorsione mediatica”, ha preso subito le distanze,fino a stravolgere completamente il “principio”antecedentemente enucleato.14È vero che l’aver falsamente attribuito allaCassazione di aver concesso un’attenuante (quella dellaminor gravità del fatto di cui all’art. 609-quater,comma 3) che in realtà neppure avrebbe avuto il poteresecondo il quale sarebbe meno grave lo stuproqualora la vittima, pur minorenne, abbia già avutorapporti sessuali (nel caso di specie, con uominiadulti). Ed invero, lasciando a chi di dovere ilcompito di interrogarsi sulle ripercussioni chel’amplificazione mediatica di una siffatta vicendagiudiziaria può avere avuto sulla costruzione di“sé” di una ragazza cresciuta in un contestofamiliare già di per sé “difficile”, lo sguardodell’intera comunità nazionale si è così riversatosulla sfera privata della stessa, amplificandone ilprocesso di vittimizzazione.Il fenomeno, come anticipato, può poi concernerele dinamiche involgenti il rafforzamentodell’esperienza traumatica in capo alla vittima, inspecial modo quando su di essa si staglil’inquisitoria pre-dibattimentale 15e dibattimentale16 . Ancor più pregnante, stanti le peculiaritàdi concedere può in parte deputarsi alla fame di“scoop” degli organi della stampa. In tal senso cfr. C.Foladore, “Verginità della vittima ed attenuante di“minore gravità” ”, in Dir. Pen. Proc., 2006, n. 7, pp.888 ss. È altresì vero però che le critiche sono giunteanche da personalità tutt’altro che estranee alletematiche del diritto penale. Cfr. C. F. Grosso, “Tornatiindietro di cinquant’anni. Lo sdegno di politici eassociazioni”, in www.repubblica.it, 17 febbraio 2006.La motivazione adottata dagli ermellini può inverocriticarsi nel punto in cui assume come l’aver avutoripetuti rapporti sessuali con uomini adulti già dall’etàdi tredici anni sia indice di una «personalità dal puntodi vista sessuale... molto più sviluppata di quanto ci sipuò normalmente aspettare da una ragazzina della suaetà», piuttosto che non il segnale di una personalità taleda manifestare su tale “versante” uno sviluppotutt’altro che armonico.15Nella forma delle indagini preliminari ed inparticolare dell’attività di assunzione di informazioni,ad opera vuoi della polizia giudiziaria ex art. 351c.p.p., vuoi del pubblico ministero, ex art. 362 c.p.p. (eper l’ipotesi della violenza sessuale di cui all’art. 392,comma 1-bis c.p.p. anche attraverso le formedell’incidente probatorio al di fuori dei casi di cui alcomma 1) vuoi, infine, da parte del difensore, stante ilcombinato disposto degli artt. 327-bis e 391-bis c.p.p.16 Salvo, al di fuori di talune ipotesi tassative, che leinformazioni siano già state assunte nella formadell’incidente probatorio ex art. 190-bis, comma 1-bisc.p.p., e comunque attraverso la forma dell’esame adRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 75


proprie del soggetto leso in età evolutiva, vuoi perquanto attiene all’interiorizzazione e allarielaborazione dell’abuso 17 , vuoi in ordine airischi di suggestionabilità e creazione (induzione)di falsi ricordi connaturati all’espletamentodell’esame mnestico 18 . A riprova della presa dicoscienza maturata attorno alle gravi conseguenze(tanto per la vittima, quanto per l’imputato) di unasiffatta problematica ed alla sensibilità con cui lastessa deve essere affrontata, la copiosaproduzione apportata in letteratura sul tema dellatestimonianza del minore vittima di abuso, inparticolar modo ad opera della scuola cognitivista,la stesura di protocolli di intervista idonei a nonprodurre interferenze nei ricordi del bambino, o aconvalidarne il contenuto 19 , nonché l’individuazionedi linee-guida a carattere deontologicoquali la “Carta di Noto” 20 e le “Linee guida perl’esame del minore in caso di abuso sessuale” 21 .La medesima sensibilità è stata poi positivizzataad opera del legislatore del 1996, che con l’art. 13della novella n. 66, del 15 febbraio, ha introdottonell’art. 392 c.p.p. il comma 1-bis 22 il quale, per ipiù gravi reati di abuso sessuale, pedofilia e trattadelle persone, ha reso possibile per pubblicoministero o imputato richiedere procedersi «conincidente probatorio all’assunzione dellatestimonianza di persona minore degli annisedici», in tal modo evidenziando l’affinità chel’istituto de quo presenta con l’accertamentotecnico non ripetibile 23 di cui all’art. 360 c.p.p. 24 .Posto che non pare presentare particolari problemi“esegetici” la risarcibilità del danno da“vittimizzazione secondaria” derivante dallaprima matrice, che ho definito sociale 25 , conopera del presidente di cui all’art. 498, comma 4-terc.p.p.17 Sul tema cfr., ex multis, l’autorevole voce di M.Malacrea, Trauma e riparazione, Raffaello Cortina,Roma, 1998.18 È la Decisione Quadro 15 marzo del 2001 delConsiglio Europeo relativa alla posizione della vittimanel processo penale che, prima tra tutti, sancisce all’art.2 il dovere di ciascuno Stato membro di assicurare allevittime particolarmente vulnerabili un trattamentospecifico che risponda in modo ottimale alla lorosituazione.19 Si pensi al Reality Monitoring, sulla base dellepremesse teoretiche del quale tanto la percezionequanto i pensieri producono dei ricordi, e che pertantola differenza tra “vero” e “falso” ricordo si innesta sullafonte di produzione dello stesso, o allo StatementValidity Analysis, un sistema di analisi della narrativadel bambino vittima di abuso basato su un’intervistastrutturata, un’analisi del contenuto, ed una checklist divalidità. In materia, cfr. G. De Leo, M. Scali, L. Caso,La testimonianza. Problemi, metodi e strumenti nellavalutazione dei testimoni, il Mulino, Bologna, 2005,pp. 101 ss. Cfr. altresì E. De Matteis, “AIPGAssociazione Italiana di Psicologia Giuridica. 5° corsodi formazione in psicologia giuridica, psicopatologia epsicodiagnostica forense. Teoria e tecnica della periziae della consulenza tecnica in ambito civile, penaleadulti e minorile. Il minore da vittima a testimone”, inhttp://www.aipgitalia.org/media/pdf/elisadematteis.pdf.20 Nella sua versione aggiornata 2002, in G. Bellussi,L’intervista del minore: aspetti teorici e casi pratici,Giuffrè, Milano, 2004, pp. 226 ss.21 Siglate a Roma in data 17 gennaio 1999, in G.Bellussi, “L’intervista del minore”, cit., pp. 229 ss.22 Successivamente modificato dall’art. 13, L. 3 agosto1998, n. 269, e da ultimo dall’art. 15, L. 11 agosto2003, n. 228.23 Basti pensare a come «gli studiosi della memoriainsegnano che gli adulti “raccontano ricordando”mentre i bambini “ricordano raccontando”,strutturando, cioè, il ricordo sulla base della narrazionefatta», come fatto attentamente notare da Cass. Pen., 8marzo 2007, n. 9817.24 Stante il dettato di cui al comma 4 della richiamatanormativa, che si esprime nel senso di consentire allapersona sottoposta alle indagini di formulare riserva inincidente probatorio. Né l’evidenziata similitudinedeve stupire, ove si consideri il fondamentale ruoloassunto proprio in tema di valutazione di attendibilità ecredibilità della testimonianza medesima dall’art. 196,comma 2, c.p.p., secondo il disposto del quale«qualora, al fine di valutare la dichiarazione deltestimone, sia necessario verificarne l’idoneità fisica omentale a rendere testimonianza, il giudice anche diufficio può ordinare gli accertamenti opportuni, con imezzi consentiti dalla legge».25 Basti anticipare, rimandando per un’approfonditadisamina al par. 4, quanto si dirà oltre in tema di“causalità adeguata” e risarcibilità, in sede civile, deidanni c.d. “imprevedibili”.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 76


alcune considerazioni in ordine alle modalitàlesive attraverso cui viene a protrarsi il processodi vittimizzazione ad ultimo disaminato, meritaora concludersi il presente paragrafo. Analizzatoda un versante più prettamente giuridico ilfenomeno, quando non cagionato da merainettitudine professionale 26 , è frutto di una attivitàlecita 27 dovuta 28 ed esercitata in risposta al reatomedesimo. Ciò, in breve, già vale a porre lepremesse per la successiva dissertazione,incentrata sulla compatibilità con il nostroordinamento di una fattispecie risarcitoriasatisfattiva di quello che, incidentalmente, hopoco sopra definito quale “danno da giustoprocesso”.3. Una domanda legittima: “perché no?”.Esposto quali dati caratterizzino la situazionecontroversa, gli stessi si leggano ora alla streguadella “regola generale” secondo cui dannoingiusto, al cui integrale risarcimento sonopreposti gli artt. 2043 e 2059 c.c., può essereanche quello cagionato dalla partecipazione allamacchina processuale. Che la macchinaprocessuale sia uno strumento “esistenzialmentemortificante” è fatto notorio. Lo si può affermarein virtù di una comune sensibilità e lo si vedepositivizzato proprio in quel “libretto diistruzioni” rappresentato dallo stesso codice diprocedura civile. Il riferimento è al combinatodisposto degli artt. 88 e 92 c.p.c., rispettivamente26 Per la quale ipotesi non sono comunque previstesanzioni, e le cui conseguenze risarcitorie dovrebberoad ogni modo incombere su soggetto terzo rispettoall’autore di reato.27 In quanto esercizio delle facoltà e dei poteri previstiquando non prescritti dalle norme del codice diprocedura penale.preposti ad imporre in capo «(al)le parti e (a)i lorodifensori... il dovere di comportarsi in giudiziocon lealtà e probità» e a consentire al giudice «(di)condannare una parte al rimborso delle spese...che, per trasgressione al dovere di cui all’art. 88,essa ha causato all’altra parte». Ma anche, e ancorpiù esplicitamente, all’art. 96 c.p.c., che puniscecon la sanzione del risarcimento danni la partesoccombente che ha agito o resistito in giudiziocon mala fede o colpa grave.Mala fede a parte, a livello normativo, si è andatiben oltre. Processo ingiusto può infatti altresìconsiderarsi quello la cui durata superi i terminidella ragionevolezza, così come sancito già nellontano 1950, dall’art. 6, par. 1, dellaConvenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, chericonosce «il diritto di ogni persona ad un’equa epubblica udienza entro un termine ragionevole».Un diritto riconosciuto dall’ordinamento internosuccessivamente alla ratifica del 1955, ma alla cuiviolazione è stata riconnessa effettiva possibilitàdi ristoro soltanto in tempi più recenti, in seguitoalla novella normativa 24 marzo 2001, n. 89.Peculiarità di tale ipotesi risarcitoria, idonea adesprimere le implicazioni negative che il “sistemagiustizia” 29 è passibile di ripercuotere sulla sferaprivata dei singoli attori, è rappresentata dalsoggetto su cui incombe l’obbligo di riparazione,istituzionale e terzo, per come si presenta, rispettoalle parti del giudizio principale.Dal binomio processo-ingiustizia (ingiustizia deldanno, ma anche del fatto idoneo a cagionarlo)28 È la costituzione stessa ad esprimersi, all’art. 112,nel senso dell’obbligo di esercizio dell’azione penaleda parte del pubblico ministero.29 A fronte del quale deve risarcirsi anche il danno nonpatrimoniale che si mostri quale adeguata riparazioneex art. 2056 c.c.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 77


alla fattispecie di cui all’art. 2045 c.c. 30 ,concernente l’ingiustizia cagionata in stato dinecessità, il passo verso una fattispecie di“risarcimento da attività lecita” è breve. Ancor piùbreve, quello recentemente compiuto, ingiurisprudenza, dalle Sezioni Unite checompiendo, sull’onda del rinnovato vigore assuntodal principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. 31 ,il giro di vite di cui alla sentenza 15 novembre2007, n. 23726, hanno stravolto l’orientamentoprecedentemente formatosi in tema di “frazionatoesercizio del credito” 32 , quasi superando i limiticontingenti al già consacrato (pur nonpositivizzato) abuso del diritto 33 . Più nellospecifico, nel rimeditare la precedente posizione30 Secondo il quale «quando chi ha compiuto il fattodannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare séo altri dal pericolo attuale di un danno grave allapersona, e il pericolo non è stato da lui volontariamentecausato né era altrimenti evitabile, al danneggiato èdovuta un’indennità, la cui misura è rimessa all’equoapprezzamento del giudice».31 È proprio in tale sentenza che, tra le ultime, siconsacra «l’intervenuta costituzionalizzazione delcanone generale di buona fede oggettiva e correttezza,in ragione del suo porsi in sinergia con il dovereinderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., che aquella clausola generale attribuisce forza normativa ericchezza di contenuti, inglobanti anche obblighi diprotezione della persona».32 Anch’esso sancito a Sezioni Unite, e alla stregua delquale il potere di chiedere un adempimento parziale delcredito, non negato dall’ordinamento, avrebbe dovutoritenersi idoneo a rispondere ad un interesse delcreditore meritevole di tutela, e non tale da sacrificareil diritto del debitore di difendere le proprie ragioni. Intale ultimo senso, cfr. Cass. Civ., 10 aprile 2000, n.108.33 Di cui alla violazione dei crismi di buona fede allabase del combinato disposto di cui agli artt. 1175 e1375 c.c. per il tramite dei quali il richiamato indirizzopretorio è giunto a disconoscere, in presenza dideterminati presupposti fattuali, la validità del brocardoqui iure suo utitur neminem laedit, posto ilperseguimento di uno scopo diverso rispetto quello alquale la norma condiziona il riconoscimento del diritto.In tal senso si esprime un ginepraio di sentenze dimerito e legittimità, tra cui si citano a mero titoloindicativo Cass. Civ., 1 aprile 2008, n. 8449, Cass.Civ., 16 ottobre 2003, n. 15482, e Cass. Civ., 11dicembre 2000, n. 15592.in virtù di un quadro evolutosi nella direzione delgiusto processo di cui all’art. 111 Cost., gliermellini hanno attribuito rilievo al meroaggravamento della posizione del convenuto 34 invirtù di una attività giudiziale, pur lecita allastregua dei canoni normativi che vigono inmateria, e ciononostante ricondotta per viainterpretativa nell’alveo dell’ingiustizia.Tali fattispecie, se ancora non valgono agiustificare la validità giuridica della richiesta dirisarcimento da “vittimizzazione secondaria”,potrebbero, perlomeno in parte, sgomberare lamente dei più scettici dall’idea che la funzione cuiè preposto l’apparato giudiziario costituiscainsormontabile scoglio al suo riconoscimento. Aruolo di fondamento normativo, potrebbe allorapiuttosto assurgere in prima istanza quelladisposizione, mutuata dal diritto comunitario,attuata seppur non direttamente implementata 35 ,che afferma come «ogni persona i cui diritti e lecui libertà riconosciuti nella presenteConvenzione siano stati violati, ha diritto a unricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale,anche quando la violazione sia stata commessa dapersone agenti nell’esercizio delle loro funzioniufficiali».4. In tema di danno: sull’ingiustizia, e sul nessodi causa.Che possa verificarsi una “vittimizzazionesecondaria” da processo, e che il nostroordinamento appaia poi, fino a smentita,astrattamente idoneo ad ammetterne ristoro, non è34 Per una nota all’abuso del diritto come abuso delprocesso cfr., tra tutti, U. Perfetti, “La deontologiadelle funzioni giudiziarie. Un argine agli abusi delprocesso”, in http://www.consiglionazionaleforense.it/files/5427/La deontologia come argine agli abusi delprocesso.pdf.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 78


ancora sufficiente a giustificare l’azionamentogiurisdizionale della relativa pretesa risarcitoria.Fermo restando che esula dalle competenze di chiscrive anche solo provare a descrivere in qualitraumi possano tradursi gli esiti lesivi di siffattofenomeno 36 , da dimostrarsi comunque nell’hic etnunc del caso di specie stante il disposto dell’art2697 c.c., è infatti necessario ricondurre taliconseguenze nell’alveo di quel danno ingiusto afronte del quale, solo, l’art. 2043 c.c. riconoscetutela. Da qui, se ingiustizia è quella compiuta noniure e contra ius 37 , può dunque sembrare a unprimo sguardo incongruo connotare in tal sensol’“incriminata” attività di assunzione diinformazioni o di escussione testimoniale,quand’anche questa risulti lesiva della personalitàdel minore 38 .35 Art. 13, C.E.D.U.36Per una descrizione dei quali può sin da orarimandarsi a M. Malacrea, op. cit., o all’ampiabiografia richiamata in C. Castellani, “Gli interventi deltribunale per i minorenni nelle situazioni di abusosessuale sui minori: esigenze di coordinamento con ilprocesso penale e con il percorso di sostegno allavittima”, in Min. Gius., 2002, n. 1-2, pp. 241 ss.37 Intendendosi con il primo termine il danno generatoda comportamento non conforme al diritto e nongiustificato dall’ordinamento giuridico, con il secondo,quello contrario ad un diritto soggettivo, o comunquead un interesse legittimo o ad altra posizione soggettivariconosciuta come meritevole di tutela, facente capo adaltro soggetto. In tal senso basti richiamare la sentenzaCass. Civ., SS.UU., 22 luglio 1999, n. 500.38Le attuali dinamiche procedimentali vigenti nelcontesto penalistico, si prestano infatti a vuoti di tutelanei confronti del “testimone vulnerabile”: ad operadell’art. 498, comma 4, c.p.p., che pur positivizzandol’utilizzo di una figura d’accompagnamento delminore, e pur imponendo a tutela della sua serenità unaderoga alle comuni “regole del gioco” imposte dalsistema della “cross examination”, non imprime a talidisposizioni il crisma dell’obbligatorietà, rimandandola valutazione circa i pregiudizi per la serenità delminore all’arbitrio del presidente. Ancora, in virtù delsuccessivo comma 4-ter, che in ordine alle modalitàprotette di audizione, non prevede in tal senso, in capoal presidente, un potere ex officio. Considerazioninormative, queste, che richiamano il saggio critico di“arendtiana” memoria con cui Claudio Foti harinvenuto «nelle nostre istituzioni... molto forte laAd ausilio, pertanto, di diversa e contrariainterpretazione, valga riprendere i dati richiamatinei precedenti paragrafi. Dati idonei, per la forzadi legge che ne connota la fonte, a consentire diesprimersi con certezza nel senso che anchel’esercizio dell’attività giurisdizionale puòavvenire non iure 39in virtù del quomodoattraverso cui viene concretamente posto inessere, dando luogo ad una forma “patologica” di“vittimizzazione secondaria” 40 , tale da tradursi inun ulteriore sviluppo del concetto di “ingiustoprocesso”. Ad opera di un soggetto il quale, con ildolo o la colpa 41di cui all’art. 2043 c.c., ètentazione di una risposta alla Eichmann, di unarisposta centrata sull’adesione formalistica al ruoloistituzionale e sull’insensibilità ai messaggi di S.O.S.dei bambini», concludendo che «Eichmann sono peresempio i giudici che pretendono che un piccolocucciolo umano, ancorché spaventato e sofferente,debba rendere testimonianza in condizioni nondissimili da quelle di un adulto». Cfr. C. Foti,“L’ascolto dell’abuso e l’abuso nell’ascolto”, in Min.Gius., 2001, n. 2, p. 155.39 Significativo in tal senso l’art. 2, comma 1, dellanormativa 24 marzo 2001, n. 89 il quale, pur potendorecare nel proprio dettato il termine “indennizzo”, checonnota quelle forme di ristoro previste per l’ipotesi didanni cagionati da attività lecita, e pur lesiva, si èchiaramente espresso nel senso che a frontedell’irragionevole durata del processo, il soggetto hadiritto a un vero e proprio risarcimento.40Esemplifica la vicenda, che l’Autore trae dallapropria esperienza professionale, narrata da SaverioAbruzzese, in S. Abruzzese, “Accordi: polizia epsicologia per l’ascolto del minore”, in Min. Gius.,2001, n. 2, pp. 46-47, ma anche quella personale,successivamente divenuta caso letterario, di AndreaCammarata, in A. Cammarata, Tuo figlio, Andrea,Pendragon, Bologna, 1999.41 In ordine al danno così “ingiustamente” cagionatonell’esercizio delle proprie funzioni da pubblicoministero o presidente, merita citarsi la colpa grave,quale elemento psicologico minimo per laresponsabilità dei magistrati prevista dall’art. 2, L. 13aprile 1988, n. 117. Quali fonti primarie la cuiviolazione può dar luogo alla sanzione prevista dallanorma secondaria di cui all’art. 2043 c.c., possonoallora indicarsi, in primis, i commi 4 e 4-ter dell’art.498 c.p.p., stante la posizione di garanzia cheassumono nei confronti del minore testimone: cfr. A.Maiorana, “Psicologia della testimonianza: strategie etecniche, il ruolo dell’accusa e difesa. La tecnica dellaRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 79


comunque fonte diretta dell’evento lesivo e afronte del cui comportamento ragione pertantonon vi è per ostare al riconoscimento di unaqualche tutela risarcitoria. Al di là poi di unsiffatto sviluppo, “patologico”, per come lo si èdefinito, e doppiamente eventuale 42 , i dati finoraconsiderati possono poi portare a concludere per ilpotenziale ingenerarsi di una “vittimizzazionesecondaria” connaturata alle stesse dinamicheprocedimentali. Entro certi limiti, pertanto,“fisiologica” 43 .Terreno fertile per tale fenomenologiavittimizzante, le ipotesi normativamente previste aeccezione delle regole speciali di cui ai richiamatiartt. 194, comma 2, e 472, comma 3-bis, c.p.p. 44 .Ma ancor prima, è la stessa narrazione, con lacross examination e la deposizione del minore”, in Dir.Gius., 2005, n. 2, pp. 50 ss. Ancora, i commi 2 e 3, art.499 c.p.p., che vietano le domande che possononuocere alla sincerità delle risposte e (nell’esamediretto) quelle comunque suggestive, stanti leacquisizioni scientifiche già richiamate in tema disuggestionabilità di bambini e adolescenti, nonché ilsuccessivo comma 6, in virtù di un generale obbligo dilealtà, imposto alle parti, e del quale il presidente devefarsi tutore, anche e soprattutto in relazione al dettatodi cui agli artt. 194, comma 2, e 472, comma 3-bis,c.p.p. che rispettivamente vietano in via generale «ladeposizione su fatti che servono a definire lapersonalità della persona offesa», e per la specificaipotesi dei reati a sfondo sessuale, le «domande sullavita privata o sulla sessualità della persona offesa».42 In quanto da per presupposto non solo la produzionedi un danno in capo al soggetto sottoposto ad esame,ma anche l’elemento psicologico di cui all’art. 2043c.c.43 In tal senso, ratio giustificatrice della novella 15febbraio 1996, n. 66 è stata abolire i concetti di“congiunzione carnale” e “atti di libidine violenti” dicui ai previgenti articoli 519 e 521 c.p., proprio perevitare alle vittime di abuso quelle domande invasiveed umilianti prima necessarie al fine di qualificarecorrettamente il fatto concreto.44 Che rispettivamente prevedono: che «la deposizionesu fatti che servono a definire la personalità dellapersona offesa è ammessa... quando il fattodell’imputato deve essere valutato in relazione alcomportamento di quella persona» e che sono ammessele domande «sulla vita privata o sulla sessualità della“rivelazione” che ne consegue quale «presa dicontatto del bambino con la propria esperienzatraumatica» 45 , a riacutizzare la sofferenza. Ed èpur vero che, in letteratura, a tale effetto“negativo” viene a far da contralto quello“positivo” rappresentato dalla “rottura delsegreto” 46 , ma è altresì vero che taliconsiderazioni devono interpretarsi nell’ottica delcontesto clinico-terapeutico in seno al quale sonomaturate. Un contesto che pone in primo piano ibisogni e le esigenze del bambino, e pertanto isuoi “tempi dell’ascolto”, e che proprio in ciòdifferisce da quello forense, in cui tali bisognidevono “adeguarsi” a quelli della giustizia. Ecco,allora, che l’ascolto stesso diviene violenza,quando la ricerca della verità impone diintromettersi, spezzandoli, in quei «meccanismi 47che intervengono nella rievocazione del trauma...(che) hanno lo scopo di salvaguardare nelbambino un equilibrio emotivo e psicologico cheil mantenimento del segreto ha per lungo tempocreato» 48 .Si riaffaccia così “prepotentemente” la tematicadei danni da attività lecita, iure, a fronte dei qualiesigenze di giustizia “civica”, prima ancora che“giuridica”, chiedono comunque trovarsi forme diristoro, sì che le giovani vittime non continuino adalimentare la schiera dei «perdenti perdenti» 49 . Mapersona offesa se... necessarie alla ricostruzione delfatto».45Cfr A. Gambineri, Interazione autore-vittimanell’abuso sessuale. Ferite inferte ai minori,FrancoAngeli, Milano, 2004, p. 28.46 Cfr. M. Malacrea, S. Lorenzini, Bambini abusati.Linee guida nel dibattito internazionale, RaffaelloCortina, Milano, 2002, p. 178.47Di rimozione, ma anche di dissociazione. Inletteratura, cfr. L. Terr, “Il pozzo della memoria”, trad.it. Garzanti, Milano, 1994, in M. Malacrea, S.Lorenzini, op. cit., pp. 182 ss.48 Cfr A. Gambineri, op. cit., p. 29.49 Cfr. C. Foti, op. cit.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 80


affinché la seconda sia da strumento alla prima,occorre ricondurre l’evento “testimonianza”, in talmodo lesivo, alla condotta dell’abusante. Non èquesta la sede per ricostruire i decenni di dibattitodottrinale da cui attualmente mutuiamo l’attuale“portata” del “nesso di causa”. Basti alloraconsiderare che l’introduzione del minore abusatonel processo e nelle sue dinamiche “rievocative”può ricondursi nell’alveo di quella “causalitàadeguata” ritenuta idonea a determinare ilrapporto di causa-effetto 50 . Che ciò avviene allastregua di leggi scientifiche universali e chepertanto tali leggi detteranno il ritmo delsuccessivo passaggio dell’esposizione. Che,infine, l’accertamento dei fatti su cui si fonda unapronuncia civile di risarcimento danni avviene,per come recentemente decretato dalle SezioniUnite della Suprema Corte, alla stregua delcriterio del “più probabile che non” 51 .50 Alla stregua della quale la condotta rientra nell’alveodegli “antecedenti” causali di un determinato eventoquando quest’ultimo non si presenti come conseguenzaaltamente improbabile della prima. Cfr. F. Mantovani,Diritto penale. Parte generale, Cedam, Padova, 2007,p. 144. Non improbabile dovrà in tal senso ritenersinon solo la lesione alla personalità del minorecagionata dall’abuso, ma anche quella imputabile allasuccessiva dinamica procedimentale. È pur vero chetali considerazioni investono l’elemento c.d.“materiale” del reato, mentre la riconducibilitàdell’evento alla condotta deve essere coperta altresì daquell’ulteriore elemento c.d. “psicologico”, coperto daldolo e dalla colpa di cui all’art. 43 c.p. Taliconsiderazioni non valgono però, in sede civile, intema di risarcimento del danno ingiusto di cui all’art.2043, dal momento che il mancato richiamo (in tema divalutazione del danno da fatto ingiusto) compiutodall’art. 2056 c.c. nei confronti dell’art. 1225 c.c.giustifica in ogni caso anche il risarcimento del dannoche al momento del fatto non poteva prevedersi.51 Rispetto al più rigoroso criterio dell’“oltre ogniragionevole dubbio” previsto per l’applicazione dellasanzione penale, come stabilito dalla sentenza Cass.Civ., SS.UU., 11 gennaio 2008, n. 581.Ecco, allora, dalla medicina legale e dallapsichiatria forense 52venire offerta quale primalegge quel «vero e proprio inconfutabile assioma,(rappresentato dal)la multifattorialità del disturbopsichico» 53 . A ciò si aggiunga, per la peculiarerilevanza in ordine all’ipotesi lesiva di cui èoggetto la presente trattazione, la seconda leggescientifica, alla stregua della quale «alla base deldanno psichico e della sua eziologia è...fondamentale l’importanza dello “stato anteriore”o “preesistente”... il substrato psichico – col qualeil trauma interagisce –» 54 . Ne traggono gli Autori,quale inevitabile corollario, che persino un trauma“banale” può, interagendo col substrato con cui siscontra, dar causa a “sequele psicopatologiche”,con differente probabilità di insorgenza edintensità, stante il principio, sempre mutuatodall’ambito medico, della “aspecificità del traumae aspecificità del danno” 55 .A tale “materiale” ricostruzione del legame tracondotta ed evento, ne deve però necessariamentefar seguito una “giuridica” 56 , tesa a individuare52 Cfr. G. Giusti, F. Ferracuti, “Il nesso di causalità inpsichiatria forense”, in F. Ferracuti (a cura di), Trattatodi criminologia, medicina criminologica e psichiatriaforense”, Psichiatria forense generale e penale,Giuffrè, Milano, 1990; R. Castiglioni, “Il problema delnesso di causalità materiale”, in W. Brondolo, A.Marigliano, Il danno psichico, Giuffrè, Milano, 1996.53 Così, a partire dalle argomentazioni che già furono diFreud, la letteratura scientifica richiamata in R.Dominici, Il danno psichico ed esistenziale, Giuffrè,Milano, 2006, pp. 130 ss.54 Cfr. R. Dominici, op. cit., p. 131.55Ibidem, pp. 146 ss., il quale fa riferimento alconcetto di scatola nera, contenente i processiintrapsichici propri della struttura della personalità delsingolo, attraverso la quale vengono filtrati i traumipsichici, che danno così vita o meno ad un determinatodanno a seconda della personale elaborazione deltrauma stesso.56 Dovendosi riferire l’immediatezza de qua al rapportotra danno-conseguenza ed evento, e non al rapportoevento e condotta. Ne è riprova l’ondivagoatteggiamento tenuto dalla giurisprudenza di legittimitàin tema di qualificazione del danno biologico in terminiRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 81


quali conseguenze “immediate e dirette” dellostesso considerare “risarcibili”. Come tale possaritenersi anche il danno da “vittimizzazionesecondaria fisiologica”, può allora comprendersiconsiderando ad esempio lo “sconvolgimentoesistenziale” prodotto dal denunziante in capoall’imputato di un procedimento conclusosi consentenza di proscioglimento, a fronte del qualecostante orientamento si è espresso nel senso dellamancanza di un diretto nesso di causa tra denunziae danno 57 . Tanto, giusto per veder poi riaffiorarela responsabilità dello stesso denunziante qualoraricorra l’ipotesi di calunnia o simulazione direato 58 , nonostante fonte diretta di produzione deldanno sia, esattamente come nel caso precedenteed in quello di specie, lo “strumento” dellamacchina giudiziaria 59 .5. Ancora sul danno: gli imprimatur SezioniUniteLa letteratura scientifica sul problema“vittimizzazione secondaria”, ed il contestonormativo e giurisprudenziale che caratterizza ilpanorama giuridico italiano, consentono allora dicongetturare, posto quanto finora esaminato edi “danno-evento” o “danno-conseguenza”, cui pareaver posto fine la definitiva cristallizzazione, ad operadelle Sezioni Unite di cui è oggetto la presentetrattazione, di quest’ultima “tipologia” di danno, e delleripercussioni che ne fanno capo in ordineall’adempimento del relativo onere probatorio.57 Ex multis, basti richiamare Cass. Civ., 23 gennaio2002, n. 750, e Cass. Civ., 4 febbraio 1992, n. 1147.58 Cfr. Cass. Civ., 13 febbraio 1982, n. 897.59E sebbene, nel caso tratto ad esempio, ilcoinvolgimento della vittima nelle dinamicheprocedimentali sia oggetto del c.d. “dolo intenzionale”(che comprende volontà della condotta e volontàdell’evento), a differenza della fattispecie di danno da“vittimizzazione secondaria fisiologica”, piuttostoriconducibile al c.d. “dolo diretto” (volontà dellacondotta ed indifferenza rispetto alla produzionedell’evento), quanto già affermato in tema di “causalitàsalvo confutazione: che l’inserimento dellavittima nel processo cagiona un danno, che ilnostro ordinamento astrattamente appare nonavverso al suo risarcimento, che al contrario taledanno sembra integrare gli estremi del dannoingiusto risarcibile. Qualora poi siffattaargomentazione dovesse resistere ai tentativi dismentita, è alla già richiamata pronuncia 11novembre 2008, n. 26972 delle Sezioni Unite, chedovranno parametrarsi le relative pretese diristoro.Necessiterà, in tal senso, valutare il “danno nonpatrimoniale unitario” 60 , per come si presenti almomento del suo “verificarsi” ovvero, stantel’evoluzione giurisprudenziale che ha condottoall’attuale portata dell’art. 2947 c.c., al momentoin cui si manifesta all’esterno divenendo«oggettivamente percepibile e riconoscibile» 61 ,anche in relazione alla sua rilevanza giuridica. Daqui, i due criteri oggettivi dell’ordinaria diligenzae del livello di conoscenze scientifiche, cherecentemente le Sezioni Unite 62hanno ritenutoidonei a far decorrere il termine prescrizionale dicui all’art. 2935 c.c., a far da guidanell’individuazione della concreta ampiezza deldanno di cui dover dar prova. E a buon gioco sirichiama, in tema di abuso, il più aggiornatoorientamento pretorio in tema dei c.d. “dannilungolatenti”: esplicito e graffiante, in tal senso, ilgiuridica” consente di elidere la discrasia che intercorretra le due fattispecie.60Cfr. M. Rossetti, “Danno morale e dannoesistenziale: Stat Roma pristina nomine, nomina nudatenemus”, in Gius. Civ., 2008, n. 11, pp. 2455 ss.61 In tal senso si rilevi le peculiarità dei reati d’abuso suminore, in cui la vittima «non è in grado di cogliere ilprofondo significato di quanto viene effettuato su di lei,oppure le conseguenze reali e durature a cui puòportare». Cfr. A. Gambineri, op. cit., p. 47.62Secondo quanto disposto in motivazione dallesentenze Cass. Civ., 11 gennaio 2008, nn. 576, 579,580, 581, 583, 584, 585.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 82


“ritratto a carboncino” offerto da Malacrea,secondo la quale l’abuso «è sovente paragonato auna bomba a orologeria, di cui nessuno conosce econtrolla il timer, pronta a dilaniare nel presente enel futuro con sofferenze e fallimentipesantissimi» 63 .E se una simile descrizione bene si presta adelineare quella dicotomia morale-esistenziale chela Cassazione ha inteso rimuovere dalle aule diTribunale, le prospettive attualmente introiettatein sede di legittimità dovrebbero essereinterpretate come quid alii, piuttosto che comeminus rispetto alle soluzioni risarcitorieprecedentemente adottate. Invero, nellavalutazione del danno dovrà comunque tenersiconto del c.d. “danno morale”, non più qualeautonoma categoria, ma «tra i vari possibilipregiudizi non patrimoniali... (quale) tipo dipregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettivacagionata dal reato in sé considerata». Unaformula, questa, che consente di superare il limiteristoratorio precedentemente insito in quel“transeunte” che nel dispositivo delle pronunce siaccompagnava al “patimento interiore”, e che leSezioni Unite (finalmente) decretano potersiprotrarre anche per lungo tempo. E accompagnareogni lesione di valori costituzionalmente garantiti.Si prenda il minore vittima di abuso sessuale.Ecco allora affiorare, in primis, il vulnus ai dirittiinviolabili della famiglia di cui agli artt. 2, 39 e 30Cost., “tipizzato” dai giudici di legittimità perl’ipotesi di «sconvolgimento della vitafamigliare». Ancora, e sine dubio, il risarcimentoper il leso diritto alla salute di cui all’art. 32Cost 64 . Ma la pletora dei diritti così passibili di63 Cfr. M. Malacrea, op. cit., p. 15.64Cui da voce il concetto di salute introdottodall’Organizzazione Mondiale della Sanità, qualelesione è ancora in fase di concepimento e, apochi mesi dalla rivoluzione copernicanacompiuta dalle Sezioni Unite, in attesa di superareil “vaglio di tipicità” di cui all’art. 2059 c.c. Ilrichiamo è a quelle attività realizzatrici dellapersona, necessarie per il suo pieno sviluppo aisensi dell’art. 3, comma 2, Cost.: nella fattispeciede qua possono solo ipotizzarsi, all’attuale stato difatto (e diritto), le lesioni del “sé sociale” 65 che siproiettano nel presente e nel futuro. Una sorta,insomma, di residuo “danno da infanzia rovinata”(di natura descrittiva, secondo l’insegnamentodella Cassazione), coinvolgente tanto il danno alledinamiche relazionali interne alle formazionisociali in cui i minori affrontano il proprioquotidiano, quanto il pregiudizio ad un equilibratosviluppo della personalità. Lasciando a “chi dimestiere” le ulteriori congetture del caso dimatrice scientifica, e con la consapevolezza delmaggior carico (e della conseguente maggioreresponsabilità) che le Sezioni Unite hanno postoin capo ai consulenti tecnici, la prova del quantumrisarcibile dovrà così ricostruire il percorsotraumatico vissuto dalla giovane vittima, partendodall’abuso, e attraversando gli esiti lesivi della“vittimizzazione secondaria” 66 .In summa, pare doversi concludere come, aconfine tra l’“esteriorizzazione” necessaria a farvalere il diritto e la “mera monetarizzazione” ilfenomeno, oggetto del presente elaborato,piuttosto che non qualificare un’ultronea especifica forma di danno risarcibile, si risolvanella concreta “portata traumatica” riscontrabile incapo al minore al momento (successivo rispetto a“stato completo di benessere fisico, psichico e sociale enon quale semplice assenza di malattia o di infermità”.65 Cfr. nota 12.66 Derivanti da entrambe le “matrici” di cui si è fattamenzione nella presente trattazione.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 83


quello dell’individuazione dei fatti)dell’azionamento giurisdizionale della pretesa diristoro 67 . In tal senso, la natura ontologicamente efenomenologicamente unitaria del traumariscontrato in debita consulenza, «la cui intensità edurata nel tempo non assumono rilevanza ai finidella esistenza del danno, ma solo dellaquantificazione del risarcimento» 68 . E se unasiffatta “traduzione giuridica”, a detrimentodell’importanza che si è inteso attribuire alfenomeno, sembra in parte oscurarne l’autonomaportata, cionondimeno spezza un’ulteriore lancia afavore della diretta riconducibilità, in termini67 In tal senso assume meno rilievo di quello che puòsembrare il riferimento, operato dalle Sezioni Unite,alla gravità del danno, ed alla gravità dell’offesa. Inrelazione agli “atti sessuali” compiuti sul minore, inquanto viene pacificamente riconosciuta la portataugualmente traumatica di «tutti... (que)gli atti di naturasessuale (che) siano consistiti in manipolazioni etoccamenti difficilmente riscontrabili con esami medicie ginecologici». In tal senso, cfr. A. Gambineri, op. cit.,p. 19. Una sensibilità, questa, positivizzata dallanovella 15 febbraio 1996, n. 66, che al fine dievidenziare tali considerazioni ha abolito i previgenticoncetti di “congiunzione carnale” e “atti di libidineviolenti”, e rispettata dalla giurisprudenza formatasi inmateria, che con indirizzo pressoché costante haritenuto la “natura” dell’atto non indicativa dei casi diminore gravità di cui agli artt. 609-bis, comma 2, e609-quater comma 4, c.p. Funditus, sul tema, cfr. C.Toni, “Violenza su minorenne e casi di minoregravità”, in Quest. Dir. Fam., 2008, n. 4, pp. 106 ss.Ancora, il tema va poi affrontato sul tema della gravitàcome “filtro” attraverso cui attuare «il bilanciamentotra il principio di solidarietà verso la vittima, e quellodi tolleranza, con la conseguenza che il risarcimentodel danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso incui sia superato il livello di tollerabilità ed ilpregiudizio non sia futile». In tal senso, ad opera delconsulente di parte dimostrare la “contestualizzazione”della patologia, quale esito dell’elaborazione del fattore“processo-testimonianza” compiuta dalla vittima allastregua dei processi intrapsichici propri della strutturadella sua personalità. Cfr. R. Dominici, op. cit., p. 148ss.68 Mutuando le parole dalle Sezioni Unite dell’11novembre 2008, sebbene riferite, nel contesto de quo,tanto alla sofferenza quanto alle conseguenzedinamico-relazionali del trauma.rafforzativi degli esiti 69 di cui è foriero,all’“evento abuso” su cui si innesta.In ultima, ad ulteriori conclusioni portano lediverse Sezioni Unite richiamate. Conclusionidalla portata apparentemente sovversiva delprincipio di “certezza giuridica” e checiononostante dovranno essere tenute in debitoconto, a meno di non voler semplicisticamentedestinare a pubblica esecuzione il già troppospesso svilito principio dell’“integralerisarcimento del danno”. Considerare la«categoria generalizzante» del “dannoesistenziale” come utile a fini meramentedescrittivi, e sostituirla con l’obbligo di specificadocumentazione delle singole compromissionicostituzionalmente rilevanti, significa doverprendere atto del fatto che siffatte compromissionipossono manifestarsi, ed è il caso di specie, anche,e a volte soprattutto, a distanza di anni. Ancora, ea maggior ragione, del fatto che alcune di esse nonpossono assolutamente e “fisiologicamente”prender corpo prima di un siffatto decorso ditempo. Si pensi ad attività realizzatrici dellapersona come la vita di coppia e, nel suo ambito,l’attività sessuale, riconducibili entrambe alcombinato disposto di cui agli artt. 2, 3 e 29 Cost.Lesioni, comunque potenziali, “oggettivamente”prima ancora che “giuridicamente” impossibili almomento dell’abuso su minore, che si presentanopertanto come “danno in fieri” e checiononostante è assolutamente impensabileritenere irrisarcibili al momento del loro69 La stessa presenza, facoltizzata dall’art. 498, comma4, c.p.p., di una figura esperta di psicologia infantile,così come lo psicologo forense di cui all’art. 196,comma 2, c.p.p., su cui pure si ritiene incombere ilcompito di lasciar emergere il vissuto del minore,svolgono un ruolo che non può assolutamente essereassimilabile a quello dello psicoterapeuta. Cfr. A.Gambineri, op. cit., p. 23.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 84


“esteriorizzarsi”, posta la negata cittadinanza, inun giudizio coevo al momento dei fatti, di quel“meta-contenitore” esistenziale prima ritenutoidoneo ad esprimere anche siffatti pregiudizi. E intal sede, non dovrà ritenersi quale violazione delprincipio del “ne bis in idem”, non solo l’ulterioredomanda di risarcimento danni, ma altresì laponderazione qualitativa e quantitativa del ruoloassunto, nel “disvelamento epifanico”documentato in consulenza, dagli esiti delprocesso di “vittimizzazione secondaria”.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 - <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 85


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RecensioniRecensionedi Fabio Bravo •Ponzanelli G. (a cura di), Il risarcimentointegrale senza il danno esistenziale, Cedam,Padova, 2007, 309 pp., 28,00 €.Il dibattito sulla risarcibilità o meno del c.d.«danno esistenziale» come autonoma voce didanno non patrimoniale, prima dell’avvento dellesentenze chiarificatrici della Suprema Corte diCassazione a Sezioni Unite dell’11 novembre2008, n. 29672 e ss., ha assunto toni vivaci ed hastimolato profonde riflessioni critiche, che hannoscandagliato molteplici diverse direzioniargomentative a sostegno ora dell’una oradell’altra tesi.Volendole raggruppare in due macrocategorie, talitesi vedevano la contrapposizione tra i c.d.«esistenzialisti» ed i c.d. «antiesistenzialisti»,ossia tra coloro che, rispettivamente, reclamavanol’utilizzabilità dell’autonoma categoria del dannoesistenziale tra le sottovoci di danno risarcibilenell’ambito della più vasta categoria di danno nonpatrimoniale ex art. 2059 c.c. e coloro che invecesostenevano l’inutilità assoluta della (sotto)categoriadel danno esistenziale, nonché la suapericolosità in quanto foriera di equivoci e disperequazioni risarcitorie, là dove si sarebberopotute ravvisare incompatibilità ontologiche tra lediverse sottovoci (tra danno esistenziale e danno• Avvocato, è ricercatore e professore aggregato all’Università di Bologna, nonché socio della Società Italiana di<strong>Vittimologia</strong> (S.I.V.).Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 – <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 87


morale o tra danno esistenziale e danno biologico,per esempio) ovvero inammissibili duplicazionirisarcitorie, totali o parziali.In tale dibattito, la giurisprudenza, anche quelladella Suprema Corte di Cassazione, ha mostratoprofondo interesse per la tesi degli esistenzialisti,condividendone largamente l’impostazione innumerose pronunce, a tal punto da far ritenerecome accolto dall’indirizzo giurisprudenzialemaggioritario il consolidarsi della categoria deldanno esistenziale, accanto ad altre categorie,come quella del danno morale e del dannobiologico, tutte rientranti nel novero dei danni nonpatrimoniali. Rimaneva, tuttavia, un ostinatoindirizzo, che si poteva ritenere del tuttominoritario ma convinto e persistente, che davavoce alle tesi antiesistenzialiste, negando conconvinzione l’autonoma risarcibilità del dannoesistenziale e, addirittura, la sua stessaconfigurabilità nel nostro ordinamento giuridico, afronte di altre categorie in grado di far giungere,adeguatamente combinate, all’integralerisarcimento del danno alla persona.Questa impostazione, che abbiamo dettoavvalorata dall’indirizzo giurisprudenzialeminoritario, ha avuto il supporto di un’attentadottrina, la quale, senza cedere alle lusinghe dellenuove categorie, ha pazientemente elaborato,ricostruito e supportato le argomentazioniantiesistenzialiste, poi risultate vincenti,nell’ambito di quel necessario confronto che haavuto esito nelle note sentente della SupremaCorte di Cassazione del novembre 2008, le cuiSezioni Unite hanno definitivamente composto ilcontrasto giurisprudenziale venutosi a creare,avvalorando l’indirizzo fino ad allora minoritario.L’opera dal titolo «Il risarcimento integrale senzail danno esistenziale», curata per i tipi dellaCedam da Giulio Ponzanelli, professore ordinariodi diritto civile presso l’Università di Brescia, silascia apprezzare proprio perché coraggiosamenteresa in tempi non sospetti (circa un anno primadella definitiva risoluzione del contrasto tra gliindirizzi giurisprudenziali della Corte diCassazione), passando in esame, con diversimirati contributi, le principali argomentazioni afavore del risarcimento del danno integrale allapersona senza il ricorso al danno esistenziale, che,nell’impostazione dell’opera, appare decisamentesuperfluo.Le tesi individuate nel volume che si recensisce,risultate vincenti nelle argomentazioni usate dalleSezioni Unite della Cassazione, intraprendonostrade diverse.Un primo contributo, reso dallo stesso Ponzanelli,ripercorre la figura del danno esistenziale primadella significativa sentenza n. 233/2003 dellaCorte Costituzionale, nonché delle sentenze nn.8827/2003 e 8828/2003, con le quali venivadelineata una netta modifica nell’interpretazionedell’art. 2059 c.c., fornendo una sua letturacostituzionalmente orientata e una diversa e piùestesa accezione di danno «non patrimoniale»,non più coincidente con la più ristretta nozione didanno morale subiettivo, elaborata in dottrina edin giurisprudenza.L’Autore di questo primo saggio non rinuncia adaffermare, in chiusura del suo contributo, le «seiragioni che escludono il risarcimento del dannoesistenziale», tra le quali campeggial’«overcompensation».Seguono ulteriori contributi, che si devono aMaria Vita De Giorgi, Caterina Sganga, MarcoRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 – <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 88


Rossetti, Alessandro Gnani, Roberto Simone,Roberto Foffa, Giorgio Perazzi, RanieriDomenici, Francesco Maria Avato, FrancescaMazani, Giovanni Comandè, Keiva Carr, ViolettePeigne, Sabine Wuensch ed Antonio Lazari.Nei singoli apporti, elaborati da tali autori, vienericostruito innanzitutto l’impatto prodotto dallerichiamate sentenze del 2003 sul dannoesistenziale, facendo emergere la «deriva» a cui lostesso è rimasto esposto.Sono poi stati messi bene in luce gli equivociinterpretativi e fraintendimenti in ordine a talepresunta voce di danno, nonché la sua dichiaratainutilità.La nuova lettura dell’art. 2059 c.c., emergentedalle sentenze della Corte Costituzionale e dellaCorte di Cassazione del 2003, però, è apparsasolamente come una tappa di una lunga marcianon ancora conclusasi, dovendosi attenderequell’ulteriore passaggio che poi si è avuto, adistanza di un anno dalla pubblicazione delvolume, con le sentenze della Cassazione aSezioni Unite dell’11 novembre 2008.Altri saggi sono dedicati alla lettura critica dellagiurisprudenza favorevole al danno esistenziale,nonché alla delineazione dei corretti rapporti tra levarie voci di danno (biologico, morale,esistenziale), al fine di meglio mettere in evidenzala necessità di evitare il rischio di duplicazionerisarcitoria, anche parziale, insito nella genericacategoria del danno esistenziale.Interessanti contributi hanno poi affrontato il temadella quantificazione medico-legale del dannobiologico comprensiva delle pretese esistenziali,nonché il ruolo del medico legalenell’accertamento, nella valutazione e nellaqualificazione del danno non patrimonialedescrittivamente definito esistenziale. Specificheriflessioni sono state affidate, nell’opera, a chi haavuto modo di confrontarsi sia con le questionirelative al danno non patrimoniale nell’ambito delcontratto di lavoro, sia con lo spinoso problemadelle questioni bagattellari (microesistenziali)decise dai giudici di pace ricorrendo proprio alladiscussa categoria del danno esistenziale.Infine, diversi saggi hanno il merito di averindagato la nostrana figura di danno esistenzialein relazione alle altre esperienze giuridicheeuropee diverse, con particolare riferimento alRegno Unito, all’Irlanda, alla Francia, allaGermania ed alla Spagna.La lettura del volume, dunque, è interessanteperché offre al lettore l’occasione di comprendere,nel dettaglio, come si è giunti all’affermazionedelle tesi antiesistenzialiste, ora definitivamentecristallizzate dall’univoca interpretazione fornitadalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione conle sentenze dell’11 novembre 2008 sul danno nonpatrimoniale e sul rapporto di quest’ultimo con lacategoria del danno esistenziale, relegata a vocemeramente descrittiva, ma priva di autonomovalore giuridico nel sistema risarcitorio bipolare,che dà rilievo esclusivo al danno patrimoniale ed aquello non patrimoniale.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 – <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 89


Recensionedi Elena Bianchini e Sandra Sicurella •Castillo E., Vida Social y Derecho, EditorialJuridica Continental, San José, C. R., 2008, 416 p.In “Vida Social y Derecho” (Vita Sociale eDiritto), il dott. Enrique Castillo, intellettualepoliedrico, umanista, giurista, sociologo, docenteuniversitario, diplomatico, politico e scrittore, exministro della Giustizia e professore pressol’Università del Costa Rica, offre una selezione diarticoli e saggi scelti che concernono la suaattività accademica e di ricerca degli ultimiquarant’anni di lavoro.Nel volume si susseguono temi filosofici, giuridicie criminologici. In particolare, il libro raccogliescritti inerenti al diritto amministrativo, al dirittopenale, alla procedura penale, al dirittointernazionale, ai diritti umani, alla cooperazionepenale internazionale, alla criminalità organizzatae al diritto penitenziario.Le tematiche criminologiche costituisconosenz’altro la parte più consistente dellapubblicazione. L’autore espone le peculiarità delledifferenti scuole criminologiche (dalla ScuolaClassica alla Scuola Positiva, dalla ScuolaEcologica alla Criminologia Critica) e descrivel’evoluzione della criminologia in AmericaLatina. Particolare attenzione è accordata alleproblematiche legate all’aumento della criminalità• Elena Bianchini è dottoranda di ricerca in “Sociologia” presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università diBologna. Sandra Sicurella è dottoranda di ricerca in “Criminologia” presso il Dipartimento di Sociologia dell’Universitàdi Bologna.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 – <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 90


ed alle sue cause in Costa Rica, in rapporto almutamento sociale caratteristico degli ultimidecenni.Tra alcuni degli aspetti più significativi di questovolume si segnalano un lavoro inedito riguardanteil concetto di responsabilità attenuata, checostituiva una parte della tesi di dottoratodell’autore (1974) ed una selezione di scritti cheriportano i risultati delle prime ricerchecriminologiche effettuate dal dott. Castillo inCosta Rica.Il volume, dopo una sezione dedicata all’analisidella criminalità organizzata in America del Sud(terrorismo, guerre civili), si conclude con ilcapitolo in tema di “Criminalidad y Justicia enAmerica Latina” (“La Criminalità e la Giustizia inAmerica Latina”), presentato a Rio de Janeiro(Brasile) l’11 agosto 2003 in occasione dellaSessione Inaugurale del XIII Congresso Mondialedi Criminologia. Tale scritto, significativo eimportante, analizza gli attuali problemi diinsicurezza che contraddistinguono l’America delSud, le cause e le possibili soluzioni.Il dott. Enrique Castillo riconduceprevalentemente le cause della criminalità aiproblemi legati, tra l’altro, alla precarietà, alladiseguaglianza economica, al divario sociale,all’esclusione sociale (che ha provocato ledisparità di reddito e la privatizzazione dei servizipubblici).La soluzione conclusiva proposta dallo studiosoper affrontare efficacemente le conseguenzenegative della delinquenza è quella di accordareuna particolare attenzione alle politiche sociali.Il volume si presenta come un prezioso strumentoper tutti coloro che, a vario titolo, rivolgono i lorointeressi di studio e di ricerca al complessorapporto esistente tra le questioni criminologiche equelle giuridiche.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 – <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 91


Recensionedi Raffaella Sette •de Belloy F., Le soleil est une femme, RobertLaffont, Paris, <strong>2009</strong>, 245 p., 18,00 €.Le soleil est une femme è un romanzo ambientatoin un grattacielo di uno dei tanti quartieri popolaridella periferia nord di Parigi. Tuttavia, puressendo una storia di banlieue e sulla banlieue èdiversa dalle solite perché, se è pur vero chepovertà, sacrifici, solitudine e delinquenza sonogli ingredienti immancabili, questo romanzo parlasoprattutto di amore e di speranza: amoreincondizionato e viscerale di una madre per suofiglio e speranza in un avvenire migliore.Assiah è la protagonista, voce narrante delromanzo, madre di Mehdi.Assiah è fuggita dal Marocco con Mehdi nelgrembo, è scappata dalla collera familiare seguitaallo “scandalo” della sua maternità, è approdata inun paese sconosciuto dove, da sola, cresce, giornodopo giorno, il figlio, sua unica ragione di vita esuo unico legame col mondo esterno ed estraneo.La costruzione narrativa del romanzo èdrammatica ed avvincente allo stesso tempo:tramite un continuo gioco di flashback, la vita diAssiah e di Mehdi si sviluppa sotto gli occhi dellettore.I giorni di Assiah sono scanditi dalla onesta faticacon cui si guadagna da vivere occupandosi delle• Dottore di ricerca in criminologia, ricercatore e docente di "sociologia criminale", Facoltà di Scienze Politiche,Università di BolognaRivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 – <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 92


pulizie di un’azienda situata all’altro capo diun’altra periferia parigina, mentre quelli di Mehdi,un bel bambino con i boccoli neri che “quandosorride, i suoi occhi si illuminano di colpo, comese una luce verde si accendesse al loro interno” [p.12], sono segnati da una impercettibile, almenoagli occhi della madre, trasformazione dafrugoletto allegro e gentile ad allievo turbolento e“problematico” e, infine, a giovane delinquentededito a piccoli, poi a grandi, traffici che loporteranno regolarmente in prigione.“La notte era già calata e lui non era ancorarientrato. Stavo per uscire per andarlo a cercarequando ho sentito la chiave nella porta. Le gridami sono uscite dalla gola, come dell’aria espulsa.Ero talmente preoccupata che per una volta hourlato senza chiedermi prima se dovessi farlooppure no. Non è sembrato sorpreso. Ha alzato lespalle, ha guardato l’orologio e ha di nuovo alzatole spalle dicendomi che aveva semplicementegiocato a calcio. Per farmi calmare, ha dispostosul tavolo basso tutti i suoi libri e quaderni. Si èmesso lì davanti e li ha sfogliati ostentatamente.Rientrava sempre più tardi. Scendevo, percorrevoil piazzale a passi veloci, nessuno giocava acalcio, guardavo dappertutto attraverso lapenombra, temendo di vederlo in mezzo ai gruppidi adolescenti, stringevo il cappotto contro di me,ero uscita troppo in fretta dall’appartamento,senza sciarpa né guanti ed era sempre lui che mivedeva per primo, appariva d’un tratto sul miocammino, scontento, parlandomi a bassa voce tra identi, perché sei scesa, arrivo, va tutto bene, risali,arrivo, non voleva che mi vedessero, gli facevopromettere di rientrare in due minuti, risalivo incasa e lui arrivava cinque minuti dopo di me.Di tanto in tanto reclamava dei vestiti e dellenuove scarpe da ginnastica, ma poi ha cominciatoa farlo tutte le sere. L’ho portato il sabato inautobus fino alla rue de la République, gli hocomprato delle vere Nike e due tute da ginnastica.Era contento e al ritorno mi ha detto grazienell’ascensore.[…] Le vacanze di febbraio sono arrivate, miangosciava lasciare l’appartamento al mattino equando rientravo la sera si rifiutava di raccontarmiche cosa avesse fatto durante la giornata. Midiceva di smetterla di fargli delle domande, chenon faceva niente di male, me lo diceva con i suoiocchi rotondi, neri e tristi, la testa inclinata e, allafine, lo baciavo sulla guancia. Al momento delbacio, lui faceva una smorfia” [pp. 45-46].Assiah non ha né la forza per rendersi conto di ciòche sta succedendo né comunque gli strumenti perintervenire e dunque, giorno e notte, si dedicaimpotente all’angosciosa attesa del rientro a casadel figlio. Rientro che ogni volta per lei, altermine di una giornata qualsiasi come alla finedell’espiazione di una pena detentiva, rappresentala prova che suo figlio è cambiato e che mantienele promesse che le aveva fatto.“Un rumore sul pianerottolo. No, è al decimopiano. Dev’essere Farida che va a fare la spesa: èmartedì. Non è lui. Lui, lui arriverà conl’ascensore, sentirò innanzi tutto il cigolio dellecarrucole, i cavi che sbattono contro la parete, poila cabina si fermerà bruscamente e le porte siapriranno sul pianerottolo. Ma non devo trasalire esperare ad ogni rumore. E’ troppo faticoso e ionon devo stancarmi. Non devo agitare il miocuore. Mi basta non aspettarlo più per ritrovare unpo’ di tranquillità. Devo essere semplicementecapace di non sperare in nulla. Le ore passeranno,Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 – <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 93


la notte arriverà ed io non chiamerò nessunostasera perché non ho bisogno di nessuno. […]Come ha potuto lasciarmi sola in questecondizioni? […] No, c’è un problema. Loconosco, non avrebbe sbattuto la porta senzaavermi salutata. Mi avrebbe almeno abbracciata.Stamattina, è uscito come se niente fosse. […]Ritornerà fra poco. Ha avuto un piccoloinconveniente per la strada oppure ha incontratoun conoscente e mi chiamerà per dirmi che è unpo’ in ritardo. Dopo tutto, è soltanto da due oreche è uscito di casa.Naturalmente, ritornerà fra poco. Gli mostrerò ilmio mélange di piante. […] Si precipiterà,annuserà questo bouquet e si congratulerà con me.[…] Si congratulerà con me e mi proporrà diandare a venderli al mercato. Ne sono sicura. E’lui che vorrà ricominciare perché in fondo lui citiene molto, più di quanto non si creda. Non miinteressa quello che gli altri dicono di lui” [pp. 10-11].Le soleil est une femme rappresenta, quindi, untoccante monologo interiore di una “ragazzamadre” che interroga il lettore sul rapporto madrefiglio,sul ruolo della famiglia e su quello delleistituzioni nella crescita dei giovani, figli diimmigrati, in un quartiere popolare di unaqualunque metropoli di un qualsiasi paeseoccidentale. Questo romanzo può anchecontribuire a riflettere sulla visione diffusa, mastereotipata e riduttiva, del “giovane immigratodelinquente”.Rivista di Criminologia, <strong>Vittimologia</strong> e Sicurezza Vol. III - N. 1 – <strong>Gennaio</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2009</strong> 94

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