<strong>La</strong> <strong>Rocca</strong>raccontoMarzo / Apr<strong>il</strong>e 2007Vi ricordate <strong>di</strong> padre Marellae dei ragazzi <strong>di</strong> San Girolamo?<strong>La</strong> MottaRicordo <strong>il</strong> mio anno <strong>di</strong> montagna, credofosse <strong>il</strong> 1960. Un giorno ci venne aprendere <strong>il</strong> nostro Pulmann gran turismo,cioè <strong>il</strong> camion tigrotto, che ci portòa <strong>Sant</strong>’Agata Feltria in provincia <strong>di</strong>Pesaro, dove <strong>il</strong> padre aveva due case e per<strong>di</strong>stinguerle le chiamerò quella <strong>di</strong> sottoe quella <strong>di</strong> sopra per via della loro ubicazione,quella <strong>di</strong> sotto ricavata da un vecchioconvento restaurato dal Padre, conla sua bellissima chiesa incorporata, contanto <strong>di</strong> chiostro ed al centro un pozzomonumentale, aveva un grande cort<strong>il</strong>edavanti che noi trasformammo nel nostrocampo <strong>di</strong> calcio, ed un piazzale <strong>di</strong><strong>di</strong>etro, dove c’era l’entrata della chiesa,una bellissima chiesa antica, con corotutto <strong>di</strong> legno lavorato.<strong>La</strong> chiesa era intitolata a San Girolamo,e dava <strong>il</strong> nome a tutto <strong>il</strong> complesso cheLuogo <strong>di</strong> conservazione. <strong>Sant</strong>’AgataFeltria, chiesa <strong>di</strong> San Girolamo, altarenella quarta cappella a sinistra.Soggetto. Croce.Datazione. XVIII secoloIscrizioni. “IN HOC SIGNOVINCES” “QUI NON ACCIPITCRUCEM SUAM NON EST MEDIGNUS”Stato <strong>di</strong> conservazione. Me<strong>di</strong>ocre.Ampie lacune nella parte inferiore.Non è stato possib<strong>il</strong>e controllare <strong>di</strong>vi era intorno.Al <strong>di</strong> là del piazzale era cresciuto unboschetto rigoglioso, con alberi alti suun piccolo strapiombo. Nel boschettocrescevano le liane, con le quali ci <strong>di</strong>vertivamoun sacco a dondolarci, anche segli assistenti ce lo avevano severamentevietato, perché cadendo ci saremmo fattisicuramente molto male.Ma sicuramente Padre Marella avevachiesto al buon Dio <strong>di</strong> metterci un angelocustode particolare a nostra protezione!Fortunatamente mai alcuno <strong>di</strong> noi si erafatto tanto male da andare a farsi me<strong>di</strong>caredall’assistente, altrimenti… . Eratanta la voglia <strong>di</strong> emulare Tarzan, chenon vedevamo <strong>il</strong> pericolo.<strong>La</strong> casa <strong>di</strong> sopra invece, era un vecchioe<strong>di</strong>ficio ancora in buono stato, denominato“Motta”; oltre all’abitato, vi era unIl paliotto <strong>di</strong> San Girolamopersona lo stato <strong>di</strong> conservazione deitre manufatti in quanto la chiesa <strong>di</strong>San Girolamo è chiusa per restauristrutturali.(immagine tratta dalla tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea<strong>di</strong> S<strong>il</strong>via Angelini <strong>di</strong> Pennab<strong>il</strong>li“DIFFUSIONE DEI PALIOTTI INSCAGLIOLA NELLA VALMARECCHIA.ANALISI STILISTICA E IPOTESICRONOLOGICHE,ANNOACCADEMICO 2004-2005 Universitàdegli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Urbino)fien<strong>il</strong>e ed una stalla per gli animali.Il Padre, con una visione anticipatrice,l’aveva trasformata in “azienda agricola”per i ragazzi han<strong>di</strong>cappati mentali che,per le leggi <strong>di</strong> allora, sarebbero stati condannatial manicomio.(…) Ricordo che quando noi ci volevamoavvicinare ai loro animali, questi sirivoltavano, mentre quando venivanoavvicinati dai ragazzi stessi, non solonon si rivoltavano, ma esprimevano <strong>il</strong>riconoscimento alla loro maniera.Che paura(…) Quando <strong>il</strong> Padre andava a <strong>Sant</strong>’Agatala prima visita era per loro chenel vederlo, gioivano e ridevano contenti.Il Padre tirava fuori dalla tasca <strong>il</strong> can<strong>di</strong>dofazzoletto che la suora <strong>di</strong> Via Pianagli preparava e Lui con quello pulivaloro gli occhi o <strong>il</strong> naso, come avrebbefatto con chiunque <strong>di</strong> noi; e loro stavanofermi come dei bambini, e si lasciavanousare tutte queste attenzioni e lo ringraziavanocon un bacio e un sorriso.Il Padre li ricambiava con un bacio,come faceva con noi.Non era raro vedere la suora che gli avevamesso i fazzoletti nella tasca della marsina,brontolare, e non essere d’accordosull’uso dei suoi fazzoletti bianchi, ma <strong>il</strong>Padre amava questi ragazzi (che noi avevamochiamato senatori, non ne ricordo<strong>il</strong> motivo) <strong>di</strong> un amore grande, maternoe paterno assieme, e questi gesti gli venivanospontanei.In montagna, noi gran<strong>di</strong>celli andavamonon solo per cambiare aria, ma ancheper aiutare gli assistenti che vi abitavanotutto l’anno. Nella casa <strong>di</strong> sotto abitavae faceva da assistente un certo don Giovanni(non ho mai saputo <strong>il</strong> cognome)e un altro assistente, certo Domenico,che a <strong>di</strong>re la verità erano molto, moltoseveri.Noi, giunti da Bologna, dormivamodove c’era posto, perché le camere eranogià occupate da una trentina <strong>di</strong> ragazzi.Dormivamo con i materassi per terra,chi nel corridoio delle camere e chi nelcoro della chiesa.Di notte sentivo i topi che correvano10
Marzo / Apr<strong>il</strong>e 2007qua e là e siccome avevo sentito correrela voce che i topi mangiavano le orecchie,nonostante <strong>il</strong> gran caldo, dormivocon la testa sotto le coperte, tanta era lapaura che me le rodessero.Le biglie <strong>di</strong> terracotta rubateDurante la permanenza in montagna a<strong>Sant</strong>’Agata, mi rubarono le biglie pergiocare a “palmo e cicca”.Ne avevo messe assieme duecentottanta<strong>di</strong> terracotta colorate, ed una sessantina<strong>di</strong> varie misure, in vetro, perché a questogioco ero molto bravo.Tenevo le palline in tre calzettoni maun giorno sparirono. Preso dalla rabbiane stu<strong>di</strong>ai una delle mie, e promisi aimiei compagni che se imparavo chi erastato e recuperavo le palline, avrei fattofinta <strong>di</strong> niente.Nel coro della chiesa vi era un vecchioconfessionale, e pretesi <strong>di</strong> confessare imiei compagno uno alla volta, per scoprirechi le aveva prese.Avevo un certo ascendente verso <strong>di</strong> loro,ed ero svelto a fare a pugni per aiutarei più deboli, non ero nemmeno unospione, perciò mi volevano bene.Avevo appena iniziato le confessioni(credo che ne avessi confessato solotre), quando vi<strong>di</strong> arrivare don Giovannisu tutte le furie, sicuramente avvertitodal ladro delle palline. Voleva picchiarmi;io invece <strong>di</strong> aprire la porticina delconfessionale, visto che mancava <strong>il</strong> vetronella parte superiore, andai sopra<strong>il</strong> confessionale con i pie<strong>di</strong>, e mi tuffaisu don Giovanni, che non aspettandosiuna reazione del genere, si ritrovò agambe all’aria. Non <strong>di</strong>co la fuga chefeci, perché se prima era su tutte le furie,figurarsi ora…Dovetti rifugiarmi dagli assistenti i quali,pur dandomi qualche ceffone ed unapunizione, mi salvarono dalle grinfie <strong>di</strong>don Giovanni. Rimase <strong>il</strong> fatto però, chedopo tutto questo caos che avevo provocato,ritrovai le palline al loro posto,anche se non ho mai scoperto chi fosse<strong>il</strong> colpevole. Comunque feci litigare gliassistenti tra <strong>di</strong> loro e con don Giovanni.Oltre a qualche sberla avuta dopo <strong>il</strong>fatto, buscai <strong>di</strong> non andare al cinemae <strong>di</strong> lavare i piatti per tutto <strong>il</strong> periododelle vacanze, ma felice <strong>di</strong> aver ritrovato<strong>il</strong> mio tesoro, e, per fortuna all’insaputadel Padre.Brani tratti dal volume <strong>di</strong> Michele Marino“Una lettera a Padre Marella”storiaDalla pagina 8Un capolavoro <strong>di</strong> Giovanni<strong>La</strong>urentini, detto l’ArrigoniIl paliotto della CollegiataLuogo <strong>di</strong> conservazione. <strong>Sant</strong>’AgataFeltria, chiesa Collegiata, altare nellaterza cappella <strong>di</strong> sinistra.Soggetto. <strong>Sant</strong>’Orsola.Datazione. 1703.Iscrizioni. “IN AGONE PRESIDIŨ”“1703”Stato <strong>di</strong> conservazione. Danniprovocati dall’umi<strong>di</strong>tà, presenza <strong>di</strong>aloni biancastri.Note. Contrad<strong>di</strong>stinto dallecandelabre laterali <strong>di</strong> impostazione<strong>La</strong> <strong>Rocca</strong>Queste tele hanno <strong>di</strong>mensioni modeste, come del resto <strong>il</strong> San Martino, che nonsembra essere nato come una pala d’altare per una grande chiesa, ma piuttostoper un oratorio pubblico o privato. Purtroppo ci è giunto senza storia, ed inut<strong>il</strong>eè stata una ricerca d’archivio riguardante le molte chiese de<strong>di</strong>cate a San Martinonella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Rimini. Verso una parte perduta del territorio <strong>di</strong>ocesano rimineseconduceva uno scritto del sacerdote cesenate Pietro Burchi, che, da un inventarioottocentesco riguardante San Lorenzo <strong>di</strong> Gatteo, aveva tratto la notizia <strong>di</strong> un <strong>di</strong>pinto(ora non più esistente) raffigurante appunto San Martino firmato da un certo“Giov. Arrigo” riminese, in un altare eretto da <strong>La</strong>ura Colonna, marchesa <strong>di</strong> Montebello.L’ “Arrigo” è certo <strong>il</strong> nostro <strong>La</strong>urentini, ma la data che accompagna la mut<strong>il</strong>afirma, “1615” fa senz’altro escludere che si tratti del presente <strong>di</strong>pinto. Che verso lametà dell’Ottocento era sicuramente a Cesena, in un deposito <strong>di</strong> S<strong>il</strong>vestro Ragazzinie Giovanni Guerra, raccoglitori e riven<strong>di</strong>tori <strong>di</strong> opere d’arte provenienti dallesoppresse corporazioni religiose romagnole, dove fu visto da Gaetano Giordani. IlGiordani, infatti, lo descrive esattamente: “San Martino a cavallo col finto poveroin pie<strong>di</strong>, in paese, figure metà del vero, <strong>di</strong> maniera caraccesca; in un cartellino s<strong>il</strong>egge: «Joannese <strong>La</strong>urenti arim. Facibat 1594»” (A Tambini, 1996). Non moltodopo <strong>il</strong> <strong>di</strong>pinto deve aver trovato un acquirente straniero; comunque la sua ultimaprovenienza è dal mercato d’arte parigino. Ora è tornato a casa, dove speriamopossa fermarsi a testimoniare gli ultimi sprazzi <strong>di</strong> un’epoca cavalleresca che stavaineluttab<strong>il</strong>mente tramontando e l’ab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> un Magnificus Dominus che faceva <strong>il</strong>pittore, pensando forse più all’Ariosto e al Tasso che alla Legenda Aurea.Pier Giorgio Pasinicarpigiana e dai due racemi speculari.Il cartone viene ripreso per <strong>il</strong> paliottonr. 103 e a questi due esemplari sipossono accostare i paliotti nellachiesa <strong>di</strong> <strong>Sant</strong>a Chiara a MacerataFeltria, quelli nella chiesa <strong>di</strong> <strong>Sant</strong>aMaria degli Angeli a <strong>Sant</strong>’Angeloin Vado e <strong>il</strong> paliotto con San CarloBorromeo nella chiesa della BeataVergine a <strong>Sant</strong>a Maria in Reclauso(frazione <strong>di</strong> Montecerignone), datato1701.11