FuoriAsse #18
Officina della cultura
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«A parte la situazione attuale del paese, che<br />
vive una crisi politica, sociale ed economica<br />
profonda, io credo che il problema si radichi in<br />
due elementi: uno antico ma ancora vigente,<br />
che è il pensiero dello schiavo e dello schiavista,<br />
entrambi, per ragioni opposte, incapaci del<br />
senso del lavoro e della responsabilità; e una<br />
modernità legata a un’immigrazione che si rifugia<br />
nelle sue origini. Un po’ come ho fatto io<br />
quando ho imparato l’italiano per conto mio<br />
con la speranza di poter conoscere un’altra<br />
Italia e non solo quella dialettale di casa mia».<br />
L’Italia e l’italianità dell’emigrante, nella<br />
sua realtà sociale e non economica, è<br />
fatta di culture regionali che sono andate<br />
perse per acquisire la lingua spagnola<br />
di prima necessità. Basti pensare<br />
che, a Caracas, l’Istituto Italiano di Cultura<br />
organizzava corsi di spagnolo per<br />
gli emigranti. Da questa mescolanza ne<br />
risultava una lingua assai confusa, tra<br />
l’italiano e lo spagnolo. Immagine emblematica<br />
di questo mondo è la fotografia<br />
del telefono da parete. Essa rappresenta<br />
una modernità svecchiata. Balza<br />
all’occhio, infatti, il modello di un telefono<br />
degli anni 50/60 appoggiato su un<br />
muro graffiato color sabbia, l’ultima terra<br />
che si vede partendo, la prima che si<br />
tocca arrivando. Il telefono acquisisce<br />
qui un’altra identità. Esso è l’oggetto<br />
che corre sugli oceani, che ricorda le<br />
telefonate internazionali in cui si fa<br />
fronte alla distanza fisica urlando nel<br />
microfono.<br />
Il particolare non finito delle case latino<br />
americane lascia in sospeso diverse<br />
questioni. Non si capisce se si aspetta<br />
l’allargarsi della famiglia o se queste in<br />
fondo rappresentino solo un riparo<br />
provvisorio in cui si sogna il ritorno alla<br />
terra natia. Condizione quasi naturale<br />
di tutte quelle città incrementate dal<br />
flusso di immigrati e di gente che abbandonava<br />
le campagne per trovare<br />
quella fortuna che gli permettesse infine<br />
di fare ritorno.<br />
©Angelo Bressanutti<br />
«Mio padre è uno degli ultimi sopravvissuti, in<br />
Venezuela, della Seconda Guerra Mondiale e,<br />
forse, per questo non l’ho mai sentito parlare di<br />
un ritorno anche perché ai suoi tempi il Venezuela<br />
viveva la solita ricchezza volatile del<br />
prezzo del petrolio. Sembra assurdo ma chi ha<br />
pensato più spesso di ritornare in Italia sono io,<br />
sia per le condizioni in cui adesso viviamo sia<br />
per capire da dove viene in realtà questo sentimento<br />
di non totale appartenenza al mondo in<br />
cui vivo».<br />
FUOR ASSE<br />
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Sguardi