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Gente di Fotografia n°61

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© Yang Yongliang, TheMoonlight_FullMoon, cm90x90_Ed8<br />

courtesy mc2gallery/Yang Yongliang<br />

Per la stessa ragione per cui si compra un<br />

quadro? Emozione. Un vero lusso.<br />

E come la mettiamo con l’unicità dell’opera<br />

d’arte, comunemente intesa, rispetto alla riproducibilità<br />

della fotografia? C’è un modo per restituirle<br />

l’aura dell’autenticità?<br />

Questa domanda tocca un problema<br />

molto italiano al riguardo. Partendo dal<br />

presupposto che la fotografia nasce come<br />

mezzo rivoluzionario perché riproducibile<br />

all’infinito, è l’e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>chiarata<br />

dall’artista che è “contro natura” nella<br />

fotografia, funzionale alle regole <strong>di</strong> un<br />

mercato (domanda e offerta) per cui e<strong>di</strong>zioni<br />

meno <strong>di</strong>sponibili hanno un prezzo<br />

maggiore. Mercato che in Italia è cresciuto<br />

negli ultimi quin<strong>di</strong>ci anni. Ma prima,<br />

fino agli anni Ottanta, nessuno dei gran<strong>di</strong><br />

fotografi italiani pensava alla fotografia<br />

in e<strong>di</strong>zione limitata, da Berengo Gar<strong>di</strong>n<br />

a Giacomelli, da Ghirri a Fontana o<br />

a Nino Migliori -caro amico con cui mi<br />

sono confrontato sul tema e che mi ha<br />

confermato che era così-, semplicemente<br />

perché non c’era un mercato che chiedesse<br />

fotografia. Quin<strong>di</strong> non aveva senso<br />

l’e<strong>di</strong>zione limitata, e tuttora ad esempio<br />

non ne ha per Migliori che invece <strong>di</strong>etro<br />

le fotografie in<strong>di</strong>ca i dati tecnici della fotografia<br />

stampata (data, quantità <strong>di</strong> copie<br />

stampate in un dato giorno, chi è lo stampatore,<br />

il tipo <strong>di</strong> carta etc). Non vorrei poi<br />

complicare il problema parlando dei cosiddetti<br />

vintage o modern print o printed later.<br />

Questa riproducibilità, in Italia <strong>di</strong>venta<br />

un problema sia in un senso (tiratura <strong>di</strong>chiarata)<br />

sia in un altro (tiratura aperta).<br />

In America invece si fanno meno problemi.<br />

Renato D’Agostin (classe 1983), nostro<br />

giovane artista che lavora ancora<br />

con la pellicola, per riuscire a vivere <strong>di</strong><br />

fotografia è dovuto andare in America<br />

a vent’anni (<strong>di</strong>ventando, là, subito assistente<br />

<strong>di</strong> Ralph Gibson!). E stampa in<br />

camera oscura venticinque copie dello<br />

stesso soggetto - con i costi oggi <strong>di</strong> carte e<br />

prodotti chimici, il tempo e la maestria <strong>di</strong><br />

un artigiano – che qui in Italia sembrano<br />

tantissime, specie in un’era <strong>di</strong>gitale in cui<br />

la riproducibilità tecnologica sembra banalizzare<br />

un processo invece tecnico molto<br />

preciso, ma in America nessuno fa mai<br />

questioni sul numero dell’e<strong>di</strong>zione.<br />

Mi chiede poi dell’aura: secondo me è insita<br />

(se c’è) nell’artista stesso. L’unica autenticità<br />

che serve al <strong>di</strong> là della riproducibilità.<br />

Ma non posso non citare Walter<br />

Benjamin: «Ciò che vien meno nell’epoca<br />

della riproducibilità tecnica è l’“aura”<br />

dell’opera d’arte»; «L’hic et nunc dell’opera<br />

d’arte – la sua esistenza unica è irripetibile<br />

nel luogo in cui si trova. […] L’hic et<br />

nunc dell’originale costituisce il concetto<br />

della sua originalità» 1 . Ipse <strong>di</strong>xit.<br />

Ma ovviamente io mi riferivo proprio a Benjamin<br />

e citandolo lei conferma che la riproducibilità<br />

tecnica sottrae l’aura all’opera d’arte. Peraltro<br />

Benjamin sostiene testualmente che per la fotografia<br />

«la questione della stampa autentica non ha<br />

senso» 2 . Piuttosto trovo interessante la sua affermazione<br />

che essa, più che trovarsi nell’opera, sia<br />

insita nell’artista stesso, il che mi fa pensare che<br />

abbia a che fare con l’autorevolezza della firma<br />

piuttosto che con l’unicità dell’opera stessa. D’altronde<br />

anche altre forme d’arte sono riproducibili,<br />

la scultura ad esempio, ma questo non incide né<br />

sulla loro artisticità né tantomeno sulla loro ven<strong>di</strong>bilità.<br />

Pensa che questo sia uno dei problemi<br />

per cui si venda meno rispetto alla pittura? E soprattutto<br />

sia questo il motivo dei <strong>di</strong>fferenti costi?<br />

Ha ragione, ho citato Benjamin per "dovere",<br />

perché parliamo <strong>di</strong> aura. Lei fa l’esempio<br />

della scultura riguardo alla riproducibilità<br />

e al valore dell’unicità. Io allora<br />

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