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Gente di Fotografia n°61

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Annarita Curcio - Raising the Flag on Iwo<br />

Jima rappresenta cinque marines e un marinaio<br />

mentre issano la ban<strong>di</strong>era degli<br />

Stati Uniti sulla vetta del Monte Suribachi<br />

a Iwo Jima, una piccola isola vulcanica<br />

dove tra il febbraio e il marzo del 1945<br />

ebbe luogo una delle battaglie più cruente<br />

combattute dagli americani contro il<br />

fanatismo militare nipponico. Scattata<br />

dal fotografo dell'Ap Joe Rosenthal, essa<br />

può a buon ragione definirsi un'immagine-icona,<br />

in quanto capace <strong>di</strong> assurgere a<br />

simbolo <strong>di</strong> un complesso <strong>di</strong> idee e concetti<br />

astratti, ovvero è simbolo della vittoria<br />

militare statunitense, del trionfo sul nemico,<br />

nonché incarnazione dell'ammirevole<br />

eroismo dei soldati americani al servizio<br />

della loro nazione. La foto, che valse a<br />

Rosenthal il Premio Pulitzer, è, com'è ormai<br />

noto, frutto <strong>di</strong> un'accurata messinscena:<br />

essa fu realizzata solo il quarto giorno<br />

dopo lo sbarco dei marines sull'isola,<br />

il 23 febbraio piuttosto che il 16 marzo<br />

dello stesso anno, giorno in cui Iwo Jima<br />

fu ufficialmente <strong>di</strong>chiarata sotto scacco<br />

dalle forze militari americane. Una data,<br />

quest'ultima, che avrebbe assunto un significato<br />

affatto <strong>di</strong>verso nella affabulazione<br />

degli eventi. L'immagine <strong>di</strong>venne subito<br />

il perno <strong>di</strong> una massiccia campagna <strong>di</strong><br />

propaganda volta a raccogliere fon<strong>di</strong> per<br />

risanare i <strong>di</strong>sastrosi bilanci della guerra.<br />

Il 25 febbraio la foto comparve sulle prime<br />

pagine <strong>di</strong> tutti i quoti<strong>di</strong>ani, il photoe<strong>di</strong>tor<br />

dell'AP, John Bodkin, appena la vide<br />

affermò: “È un'immagine eterna”; il New<br />

York Times riportò la frase esultante <strong>di</strong> un<br />

commentatore anonimo: “È la più bella<br />

immagine della guerra”. La reazione dei<br />

lettori rasentò il fanatismo. Le redazioni<br />

dei giornali furono invase da lettere che<br />

chiedevano la ristampa dell'immagine,<br />

vennero prodotti qualcosa come tre milioni<br />

<strong>di</strong> poster e non finì mica qui, tre<br />

degli uomini ritratti nella foto, Ira Hayes,<br />

René Gagnon e l'infermiere della marina<br />

John “Doc” Bradley – gli altri erano già<br />

morti – vennero richiamati in patria per<br />

dar vita a un tour negli sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> tutto il<br />

paese dove, davanti a migliaia <strong>di</strong> spettatori,<br />

dovettero scalare decine e decine <strong>di</strong><br />

volte una montagna posticcia e ripetere il<br />

glorioso gesto.<br />

Come è stato detto, i vertici militari usarono<br />

questa fotografia per promuovere<br />

i valori del patriottismo e per rafforzare<br />

l'idea della giustezza della guerra; in questo<br />

programma <strong>di</strong> fabbricazione del consenso<br />

attinsero al repertorio dei simboli<br />

che per definizione sono <strong>di</strong> universale<br />

comprensione: tra questi c'è ovviamente<br />

la ban<strong>di</strong>era. Essa è un tòpos capace <strong>di</strong><br />

veicolare messaggi precisi e inequivocabili<br />

nell'ambito <strong>di</strong> quella retorica visiva <strong>di</strong><br />

cui la propaganda politica è, soprattutto<br />

nei perio<strong>di</strong> bellici, abile manipolatrice. E<br />

qui tocca aprire una necessaria parentesi<br />

aneddotica, l'istantanea <strong>di</strong> Rosenthal è<br />

preceduta da una prima foto <strong>di</strong> Louis R.<br />

Lowery che immortala il primo alzaban<strong>di</strong>era;<br />

accadde infatti che il Segretario alla<br />

Marina James Vincent Forrestal osservò<br />

la scena dalla spiaggia e subito or<strong>di</strong>nò <strong>di</strong><br />

rimpiazzare la ban<strong>di</strong>era con una seconda<br />

più grande e <strong>di</strong> issarla nuovamente, questa<br />

volta però ad assistere c'erano Rosenthal<br />

e il cineoperatore Bill Genaust. Ciò<br />

detto, è del tutto naturale ed inevitabile<br />

concludere che la ban<strong>di</strong>era rappresenta<br />

nell'immagine <strong>di</strong> Rosenthal il punctum, ovvero<br />

la “concrezione” visiva attorno alla<br />

quale si aggruma il senso dell'immagine,<br />

tanto che dubito che chiunque <strong>di</strong> fronte a<br />

questa foto non posi il suo sguardo proprio<br />

sulla ban<strong>di</strong>era: essa svetta al centro<br />

dell'inquadratura a in<strong>di</strong>care che ha prevalso<br />

la vittoria sul nemico.<br />

Dunque, in estrema sintesi, potremmo<br />

ragionevolmente affermare che la vittoria<br />

militare americana coincide con il successo<br />

me<strong>di</strong>atico <strong>di</strong> Raising the Flag on Iwo Jima.<br />

A <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> molti anni il gesto compiuto<br />

dai marines nel 1945 si ripete ancora<br />

una volta davanti l'obiettivo fotografico,<br />

d'altronde nei momenti <strong>di</strong> crisi, gli appelli<br />

all'unità nazionale hanno sempre bisogno<br />

delle proprie icone. All'indomani degli attentati<br />

dell'11 settembre del 2001, alcuni<br />

vigili del fuoco piantano la ban<strong>di</strong>era<br />

degli Stati Uniti sulle macerie del World<br />

Trade Center, poi ribattezzato “Ground<br />

Zero”. Il fotografo Thomas E. Franklin<br />

immortala il momento con un'istantanea<br />

le cui analogie con l'immagine <strong>di</strong> Iwo<br />

Jima vengono colte imme<strong>di</strong>atamente da<br />

alcuni organi <strong>di</strong> stampa che riproducono<br />

accanto all'immagine dei pompieri quella<br />

storica <strong>di</strong> Joe Rosenthal. Dunque, il mito<br />

che avvolge la genesi e la successiva propagazione<br />

<strong>di</strong> Raising the Flag on Iwo Jima<br />

può aiutare a comprendere il destino<br />

cui va incontro un'immagine-simbolo<br />

nel momento in cui fa la sua apparizione<br />

nell'arena pubblica: viene sottoposta<br />

a un processo <strong>di</strong> massiccia e ubiqua riproduzione,<br />

viene fagocitata dall'immaginario<br />

collettivo, fino a <strong>di</strong>ventarne parte<br />

integrante, questo perché la fotografia<br />

costituisce uno strumento assai efficace<br />

per ricordare e memorizzare un avvenimento<br />

e <strong>di</strong> questo, che ci appare come un<br />

assioma <strong>di</strong>fficilmente contestabile, sono<br />

da sempre consapevoli le élite politiche<br />

che della fotografia, come della TV, del<br />

cinema e della ra<strong>di</strong>o si servono per plasmare<br />

le opinioni dei citta<strong>di</strong>ni, l'identità<br />

della società tout-court. Si sa infatti come<br />

il linguaggio visivo permetta al pubblico<br />

un'identificazione imme<strong>di</strong>ata e come la<br />

retorica visiva sia in grado <strong>di</strong> insinuarsi<br />

in ciascuno <strong>di</strong> noi sollecitando un pensiero<br />

“car<strong>di</strong>aco”, emotivo e irrazionale, che<br />

nulla ha a che vedere con la retorica verbale<br />

che coinvolge viceversa un pensare<br />

logico, <strong>di</strong>scorsivo, eminentemente cerebrale.<br />

La <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> immagini in larga<br />

scala, per mezzo della Rete, <strong>di</strong> quoti<strong>di</strong>ani,<br />

settimanali e perio<strong>di</strong>ci è un aspetto essenziale<br />

della vita pubblica, nonché uno strumento<br />

nelle mani delle élite politiche – in<br />

democrazia, come nelle <strong>di</strong>ttature, in pace<br />

come in guerra – per mobilitare quel consenso<br />

che è necessario a legittimare programmi<br />

e processi decisionali.<br />

Per ritornare alla nostra immagine, essa<br />

stimola un'ultima riflessione, il significato<br />

<strong>di</strong> una foto è storico e contingente<br />

in quanto ogni spettatore proietta su <strong>di</strong><br />

essa valori che sono storici e culturali<br />

appunto. La significazione è quin<strong>di</strong>, salvo<br />

rare eccezioni, frutto <strong>di</strong> una costante<br />

e movimentata negoziazione col sapere<br />

del lettore. Ciononostante, esistono delle<br />

eccezioni e questo è il caso <strong>di</strong> Raising<br />

the Flag on Iwo Jima, che ha <strong>di</strong>mostrato<br />

<strong>di</strong> sapere “resistere” nel tempo alle<br />

deformazioni enunciazionali dei vari<br />

contesti in cui è stata e continua a esser<br />

citata, mantenendo intatto il suo nocciolo<br />

<strong>di</strong> significazione: essere icona <strong>di</strong><br />

una guerra finita in trionfo e per questo<br />

strumento della propaganda bellica<br />

americana che se ne servì per rafforzare<br />

la fede nelle “magnifiche sorti e progressive”<br />

della nazione.<br />

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