PORTFOLIO Susanna Majuri Surreali abbandoni © Susanna Majuri, Mirror_2010. Courtesy mc2gallery/Susanna Majuri 16
Dario Carere - L’immagine del paesaggio naturale, quale rappresentazione imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong> una realtà ormai estranea, ci viene spesso somministrata, se non come <strong>di</strong>staccata nozione da documentario, come irraggiungibile oggetto esotico o osannata bellezza turistica. Ci giunge notizia, talvolta, che da qualche parte sul pianeta terra esistono antilopi, lupi e orsi polari, residui non antropizzati <strong>di</strong> un mondo in via <strong>di</strong> estinzione; con il consueto meccanismo occidentale dell’auto-menzogna, ci viene istintivo pensare ai panda come a una specie da salvare, mentre assai più vicino alle nostre case la civiltà inghiotte (per necessità, ci <strong>di</strong>cono) tutto ciò che ci piace chiamare genuino. È perciò un tentativo ar<strong>di</strong>to, quello <strong>di</strong> Susanna Majuri: i suoi scatti vogliono avvicinare l’uomo e la natura secondo una prospettiva felicemente ambigua, né solo romantica né solo scientifica, che lascia l’osservatore rapito ma, si spera, anche perplesso. Figure umane immerse nell’acqua, in posizioni che suggeriscono raccoglimento o abbandono, si fondono inaspettatamente con immagini <strong>di</strong> natura vergine, <strong>di</strong> animali selvatici, e talvolta anche <strong>di</strong> paesaggi da cartolina nei quali casette dal tetto spiovente ricordano con patetismo scene <strong>di</strong> un immacolato mondo trascorso, ancor più che semplici cascami favolosi. Questa giovane fotografa <strong>di</strong> Helsinki, complice, forse, quel sentimento <strong>di</strong> cupio <strong>di</strong>ssolvi naturale che è assai più noto ai nor<strong>di</strong>ci che a noi me<strong>di</strong>terranei, abbandona le sue modelle bianche e flessuose, dal viso pu<strong>di</strong>camente nascosto, a volte così simili a languide ninfe pittoriche (penso a Böcklin), in acque <strong>di</strong> sogno e forse <strong>di</strong> battesimo, ma anche, a giu<strong>di</strong>care dalle pose morbide e plastiche, <strong>di</strong> dolore (Gravity) o <strong>di</strong> passione (Mirror). Mentre i paesaggi <strong>di</strong>stesi sul fondo della piscina avrebbero <strong>di</strong> per sé ben poca forza estetica, attraverso l’effetto <strong>di</strong>storcente dell’acqua questi “quadri <strong>di</strong> genere” assumono toni surreali e inquietanti, nei quali la figura umana non sembra trovarsi davvero a suo agio, rimanendo a metà tra servile e smarrita. È un sentimento <strong>di</strong> nostalgia o <strong>di</strong> comunione quello che spinge le due ragazze in apnea ad accarezzare con delicatezza il grande orso delle foreste? La modella in posizione seduta in mezzo a un paesaggio boschivo innevato non suggerisce solo un vertiginoso abbandono, ma anche, forse, un soffocante sprofondamento. Che queste fate accartocciate e <strong>di</strong>messe, in contrasto con la grazia e la magnificenza della natura in cui nuotano, vogliano suggerirci, come fa il bello e terribile film belga La quinta stagione (2012), la prospettiva così crudamente poetica <strong>di</strong> una natura senza l’uomo, <strong>di</strong> una poesia finalmente svuotata dal prepotente linguaggio dei poeti?... L’aspetto più notevole, infatti, senza il quale probabilmente queste foto si <strong>di</strong>mezzerebbero in felicità, è che non compaiono volti; la qual cosa, unita al carattere marcatamente pittorico dell’insieme, conferisce all’obiettivo della Majuri qualcosa <strong>di</strong> friedrichiano; solo che, se nel romanticismo <strong>di</strong> Friedrich 1 l’uomo si <strong>di</strong>ssolve sino a scomparire, qui vi si immerge annegando, percependolo comunque, inevitabilmente, come corpo estraneo, poiché egli si è reso estraneo ad esso. Ed è proprio questo ciò che la parola natura, ancor più che la natura in sé, rappresenta nella società moderna, e la Majuri ce lo mostra magnificamente: uno sfondo, un desktop, uno schermo, qualcosa insomma <strong>di</strong> bi<strong>di</strong>mensionale, piatto e riproducibile, che non va incontro al bisogno umano <strong>di</strong> bellezza se non saltuariamente e tramite il <strong>di</strong>staccato pregiu<strong>di</strong>zio dell’unico progresso inteso come tale – quello capitalista. Note 1. Caspar David Friedrich, (1774-1840) è tra i maggiori esponenti del romanticismo pittorico tedesco. Nei suoi quadri il rapporto tra uomo e natura assume caratteri del tutto nuovi, in quanto il primo appare in un incantato subor<strong>di</strong>ne rispetto alla seconda. 17
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