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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 11 - Dicembre 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
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Sommario dicembre 2020
I quadri del mese
Lorenzo Senzi, La bandiera della speranza, acrilico su tela, cm 80x60
info@studiosenzilorenzo.it
Manuela Morandini, Studio di paesaggio chiantigiano, tecnica mista su
tavola telata e gessata, cm 60x50
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L’omaggio di Vinicio Polidori a Jacopo della Quercia
Intervista a Letizia Battaglia, fotografa dell’orrore e della bellezza
Frank Horvat, maestro dell’eclettismo in fotografia
Natura e cultura nei parchi d’arte contemporanea della Toscana
Riccardo Guarneri: lo spirito della geometria tra musica e pittura
Fabrizio Borghini racconta Firenze al cinema
Benessere e cura della persona: un Natale all’insegna dei prodotti naturali
Dimensione salute: l’importanza della parola per apprendere e comunicare
Psicologia oggi: la solitudine tra scelta di vita e condanna
A spasso per Firenze con il libro di Barbara Lombardi Santoro
Le opere di Andrea Stella in mostra a San Pietroburgo
Concerto in salotto: una cena in compagnia di Muti, Sordi ed Eduardo…
I simbolismi di Valentino Antonini tra avanguardia e tradizione
Storia delle religioni: la devozione mariana di San Francesco
Verità e apparenza nei disegni di Joanna Brzescinska Riccio
La giornata mondiale per non dimenticare le vittime della strada
Dal teatro al sipario: il ruolo del costumista spiegato da Elena Bianchini
Giulio Galgani, la ricerca di un nuovo equilibrio
La comunità di Forte dei Marmi nel racconto di don Piero Malvaldi
Visite mediche gratis con la solidarietà sanitaria del Lions Club Garfagnana
Le stanze dei segreti nei collage di Marta Sarti
I mosaici di Lastrucci, eccellenza nell’arte del commesso fiorentino
Il viaggio letterario di Nicola Coccia nella vita di Carlo Levi
Birdam, il “Viale del tramonto” dei nostri tempi
Margherita Cardarelli, poetessa e scrittrice innamorata della vita
La Quercia delle Streghe, un monumento della natura in Lucchesia
La Fiorentina secondo il super tifoso viola Mario Sconcerti
Mauro Mari Maris, un artista fuori dall’ordinario
La voce dei poeti: le liriche di Elena Usseglio
Speciale Pistoia: Sandro Bonaccorsi, l’inventore di “Monoeye”
Octopod, la rivoluzione delle catene da neve con telecomando
Arte del vino: un nuovo anno con la guida Vitae 2021
Racconti sotto l’albero: un magico Babbo Natale nella rossa pandemia
Toscana a tavola: il cinghiale in dolceforte, tipica ricetta fiorentina
Artisti e artigiani insieme al Movimento Life Beyond Tourism
B&B Hotels Italia sostiene Firenze nella lotta al virus
Note di gusto e poesia al sapore di Negroni
Roboticom: altissima tecnologia toscana in Cina
Manuela Morandini, Un sogno nel Chianti, olio su tela di juta, cm 70x50
manuelamorandini@alice.it
La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 11 - Dicembre 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
In copertina:
Vinicio Polidori, Tributo a Jacopo
della Quercia, olio su tela, cm 100x90
(ph. Antonio Manta)
Periodico di attualità, arte e cultura
La Nuova Toscana Edizioni
di Fabrizio Borghini
Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze
Tel. 333 3196324
lanuovatoscanaedizioni@gmail.com
lanuovatoscanaedizioni@pec.it
Registrazione Tribunale di Firenze
n. 6072 del 12-01-2018
Iscriz. Roc. n. 30907 del 30-01-2018
Partita Iva: 06720070488
Codice Fiscale: BRGFRZ47C29D612I
Anno 3 - Numero 11 - Dicembre 2020
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Direttore responsabile:
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La Toscana nuova - Periodico di attualità,
arte e cultura
www.latoscananuova.it
Testi:
Rosanna Bari
Ugo Barlozzetti
Laura Belli
Giancarlo Bianchi
Paolo Bini
Doretta Boretti
Fabrizio Borghini
Lorenzo Borghini
Massimo Bramandi
Erika Bresci
Viktorija Carkina
Jacopo Chiostri
Julia Ciardi
Federica Commisso
Nicola Crisci
Maria Grazia Dainelli
Gherardo Dardanelli
Paolo Dieni
Aldo Fittante
Giuseppe Fricelli
Luigi Gattinara
Stefano Grifoni
Anna la Donna
Barbara Lombardi Santoro
Stefania Macrì
Emanuela Muriana
Lucia Petraroli
Elena Maria Petrini
Antonio Pieri
Vinicio Polidori
Armando Principe
Daniela Pronestì
Valter Quagliarotti
Rosario Sprovieri
Michele Taccetti
Franco Tozzi
Elena Usseglio
Francesca Vivaldi
Foto:
Letizia Battaglia
Beatrice Bausi Busi
Lorenzo Borghini
Maria Grazia Dainelli
Marco Gabbuggiani
Gerardo Gazia
Frank Horvat
Filippo Labate
Simone Lapini (ADV Photo)
Antonio Manta
Filippo Manzini
Maurizio Mattei
Carlo Midollini
Pietro Schillaci
Silvano Silvia
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Il racconto appassionante
di una vita e di un’impresa...
diventata tesi di laurea
“Giuliacarla Cecchi.
Firenze e la moda.
Un affresco del Novecento”.
All’interno di questo numero
la prima puntata.
Vinicio
Polidori
Vinicio Polidori con Lionel Richie
Ritratto di Lionel Richie, matita secca e grassa, cm 70x50
Casa-studio: via Simoncini 12
Serravalle Pistoiese (Loc. Masotti), 51035, Pistoia
viniciopolidori@gmail.com
+ 39 348 4127563
Con gli Earth Wind and Fire
Ritratto degli Earth Wind and Fire, matita secca e grassa, cm 100x70
Ritratti
d’artista
Vinicio Polidori omaggia Jacopo della Quercia
con un’opera giovanile da lui dipinta nella
bottega di Pietro Annigoni a Firenze
di Vinicio Polidori / foto Antonio Manta
Dopo il Pegaso e il tributo a Leonardo
da Vinci, una mia opera
torna ad essere protagonista
di una copertina de La Toscana Nuova per
omaggiare il grande artista senese Jacopo
della Quercia riproducendo il suo bassorilievo
con La cacciata dal Paradiso di
Adamo ed Eva per la facciata della basilica
di San Petronio a Bologna. Jacopo della
Quercia è stato un eccellente scultore celebre
ai suoi tempi per opere straordinarie
come la Fonte Gaia di Piazza del Campo
a Siena, città che gli ha dato i natali e alla
quale anch’io sono profondamente legato
sia per le origini della mia famiglia che
per il fatto di essere protettore e contradaiolo
della Nobile Contrada del Nicchio.
Questo quadro fa parte della mia collezio-
A te grande Jacopo di Pietro d’Agnolo di Guarnieri detto
Jacopo della Quercia senese. In memoriam fecit.
Vinicio Polidori
ne privata ed io ci sono molto affezionato
essendo tra i primi da me realizzati nella
bottega del maestro Pietro Annigoni e del
suo allievo e anche lui maestro Romano
Stefanelli. In questa celebre bottega, che
ho frequentato per oltre dieci anni, ho potuto
apprendere ed affinare tutte le tecniche
pittoriche, insieme anche al restauro
di dipinti ad olio, tempere ed affreschi. Si
tratta di un dipinto ad olio su tela − preparata
con carta di riso secondo la ricetta
annigoniana − ed ha le stesse dimensioni
(cm 100x90) del bassorilievo originale.
Quest’opera mi sta particolarmente a
cuore non solo perché è stata più volte
premiata − ricordo in particolare il premio
Leone d’Oro a Venezia nel 1996 − ma
anche perché, come già detto, ha segna-
Vinicio Polidori, Tributo a Jacopo della Quercia, olio su tela, cm 100x90
to il mio battesimo nella bottega annigoniana,
oltre ad aver rappresentato un vero
e proprio banco di prova dal punto di vista
del disegno e dell’esecuzione pittorica.
Ricordo ancora molto bene quel giorno
quando, entrato nella bottega, mi fu detto:
«Quali dei bassorilievi che vedi qui nello
studio vorresti riprodurre?». Senza esitare,
indicai l’opera di Jacopo della Quercia,
scegliendola tra le tante appese alle pareti.
Già allora nutrivo sincera ammirazione
per la scultura dell’illustre maestro senese,
in particolare per il monumento funebre
voluto da Paolo Giunigi per la sua
amata Ilaria del Carretto, tra i capolavori
della scultura funeraria italiana del XV
secolo conservato ancora oggi nella cattedrale
di San Martino a Lucca, dove mi
recavo spesso da ragazzo per accompagnare
mio padre durante le trasferte di lavoro.
Nella cattedrale, oltre alle opere del
Tintoretto e del Ghirlandaio, mi fermavo
ad ammirare la bellissima figura di Ilaria
del Carretto, i suoi lineamenti dolci e ben
definiti, i capelli raccolti e il cagnolino ai
suoi piedi ad assisterla nel passaggio dalla
vita alla morte: è stato amore a prima vista
per me, un’immagine per sempre impressa
nella mia mente. Tornando al dipinto,
ci sono voluti circa sei mesi per arrivare a
questo risultato, a cominciare dal “cartone”,
vale a dire da un disegno delle stesse
dimensioni del bassorilievo, proseguendo
poi con lo “spolvero” e con la preparazione
della tela secondo una ricetta della bottega.
Fatto questo, ho iniziato a dipingere
ad olio procedendo con diverse velature
(talmente tante che ho perso il conto…) e
dopo aver atteso a lungo per ottenere una
perfetta essiccazione del colore, sono intervenuto
di nuovo per definire i chiari e
gli scuri. Il risultato è un’opera di tale rilievo
plastico da sembrare più scolpita che
dipinta; non a caso, spesse volte nei concorsi
e nelle mostre è stata scambiata a
distanza per una scultura, cosa che mi lusinga
non poco trattandosi di un lavoro di
notevole impegno e difficoltà tecnica.
VINICIO POLIDORI
7
I grandi della
Fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Letizia Battaglia
Prima donna fotoreporter in Italia, ha raccontato l’orrore della
morte e la bellezza della vita con immagini senza tempo
L’abbiamo incontrata a Firenze in occasione del workshop da lei tenuto alla Crumb Gallery
di Maria Grazia Dainelli / foto Letizia Battaglia
Nel famoso progetto Rielaborazione
hai trasformato le foto
di morte in scene di vita. Come
ti è venuta questa idea?
Come prima donna fotoreporter italiana,
tra gli anni Settanta e gli anni Novanta
correvo con la macchina fotografica al
collo nella mia città dove c’era una guerra
di mafia in corso e morivano giudici,
poliziotti, gente comune. Il mio archivio
era pieno di foto orribili legate alla morte
e alla violenza, tutta la mia casa era
una testimonianza di orrori. Ero angosciata.
Sognavo di bruciare i miei negativi,
feci persino un piccolo film dove
Serena, una mia amica attrice, bruciava
e strappava le mie fotografie. Mi veniva
da vomitare perché continuavo a sentire
quell’odore di sangue perfino dentro
casa e, nel 1992, con le stragi di Falcone
e Borsellino, quando Palermo raggiunge
il massimo del dolore, pensai che
potevo manipolare quelle foto. Invece
di bruciarle, le avrei distrutte in un altro
modo. Così, davanti ad una grande, molto
grande immagine di cronaca collocai
un soggetto nuovo, un corpo di donna
nudo, una bambina, un fiore, un modo
per inventarmi un’altra realtà e spostare
il “punctum”. Una donna nuda è la vita,
è una madre, è la terra e quindi aggiungo
una foto di rinascita ad una di morte.
La giornalista Maria Grazia Dainelli durante l’intervista a Letizia Battaglia (qui a destra) accompagnata da
Roberto Timperi, docente insieme a lei del workshop
Oggi ti dedichi a fotografare il corpo
nudo delle donne: cosa vuoi trasmettere?
Sono donne, giovani o meno giovani, riprese
senza artificio, nessuna posa sexy
e nessun erotismo costruito. Racconto
con semplicità e rispetto la grandiosità,
la bellezza e la dolcezza del corpo femminile.
Cerco l’archetipo della femminilità,
al di là delle mode, con complicità e
delicatezza.
Chi sono e cosa rappresentano per te
“Gli invincibili” nel progetto da te così
intitolato?
Sono gli “spiriti liberi” che mi hanno
ispirato forza e coraggio, suffragando il
mio desiderio di libertà e sostenendomi
sempre nella vita, proprio come fanno gli
amici. Li ho definiti “invincibili” perché
per me sono degli “eroi” ed in quanto tali
non moriranno mai: da Pasolini a James
Joyce, da Che Guevara a Gesù, da Rosa
Parks a Marguerite Yourcenar, da Freud
alla Venere di Tiziano a Ezra Pound. L’ultimo
di questi lavori, mi è sembrato necessario
per non dimenticarli, è legato a
Falcone e Borsellino.
Ci racconti dell’incontro con il poeta
Ezra Pound?
Avevo ventisette anni, e non ero felice.
Non conoscevo ancora i suoi versi e neppure
il suo libro di poesie Canti Pisani, e
così, quando entrai nella sua casa di Venezia,
con il poeta Emilio Isgrò, e trovai
questo uomo vecchio, dallo sguardo potente
e triste, sentii che qualcosa di lui mi
avrebbe catturato per sempre. Ci guardammo
a lungo senza parlare. Senza accorgermene
lacrime scesero lungo il mio
volto, il mascara segnò di nero il mio volto
giovane. Non ero ancora fotografa, ma
fu quell’incontro, di cui non ho nessuna
immagine, a dare successivamente senso
a tutta la mia vita e al mio lavoro fotografico,
grazie ai suoi versi “strappa da te
la vanità, ti dico strappala”.
La tua lotta in nome di grandi ideali
come onestà e giustizia ti ha accompagnato
anche nell’esperienza politica…
La fotografia mi prende tantissimo tempo
ma non è stato il mio unico impegno
nella vita. Mi sono dedicata al volontariato
psichiatrico, ho fatto teatro ed
ho partorito tre figlie. Dopo aver vinto,
nel 1986, a New York, il Premio Eugene
Smith per la fotografia sociale, decisi
di volere fare di più per la mia Palermo,
di assumere cioè un impegno politico,
diventando, tra gli anni Ottanta e i primi
anni Novanta, consigliere comunale
con i Verdi e in seguito assessore con la
giunta di Leoluca Orlando. Grazie al mio
entusiasmo fui un bravo assessore e la
8
LETIZIA BATTAGLIA
Claudine (2019) Rielaborazione: Giovanni Falcone (2004)
gente mi amò tantissimo. Erano gli anni
della cosiddetta “Primavera di Palermo”.
Qual è secondo te il potere della fotografia?
Ci sono fotografie belle esteticamente
che non comunicano niente; nelle immagini
deve esserci la forza del fotografo, lo
devono rappresentare. Un fotografo deve
essere colto, consapevole del mondo.
Se non legge libri, giornali, se non ascolta
musica, se non ama l’arte in genere,
raramente le sue immagini saranno potenti.
Potrà avere talento ma con il tempo
il solo talento non regge.
Perché tremavi mentre fotografavi le
bambine?
Sono molto emozionata e tremo davanti
ai loro occhi profondi, non cerco la bellezza
esteriore, ma la loro interiorità, il
loro sogno. Solo in seguito ho capito
che quelle bambine mi ricordavano me
stessa a dieci anni quando mi resi conto
di colpo che il mondo non era poi così
bello. Ecco perché nelle mie foto queste
bimbe non ridono mai.
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Come sei riuscita ad entrare con l’obiettivo
nell’intimità delle famiglie?
Essere donna mi ha reso più facile entrare
nelle case delle persone in un’epoca dominata
da miseria, povertà e dolore. Ho
scattato immagini in bianco e nero osservando
la realtà con rispetto e raccontando
un’umanità varia. Essenzialmente storie di
donne e bambine, tra miseria e speranza.
Attualmente dirigi il Centro internazionale
di fotografia a Palermo; che
progetti hai per questo spazio?
È un sogno diventato realtà all’interno del
padiglione diciotto dei Cantieri culturali
alla Zisa, in uno spazio di seicento metri
quadrati fino a qualche tempo fa inutilizzato.
Oggi si presenta, grazie ad un’architetta,
Iolanda Lima, come uno spazio
polifunzionale suddiviso in diverse sale
espositive per accogliere mostre, conferenze,
workshop. Un punto di riferimento
non solo per i fotografi e gli amanti della
fotografia, ma per il mondo culturale in
genere, per i giovani e i meno giovani.
Com’è la vita oggi a Palermo?
La gente fa finta che la mafia non esista,
ma in realtà molti continuano ancora a
pagare il pizzo, circola droga e c’è ancora
tanta spazzatura. Ciò nonostante Palermo
sta cambiando e c’è un desiderio
nascente di non essere più prigionieri di
mafie e tabù. È in atto un cambiamento
anche nei comportamenti delle donne
che escono la sera e girano da sole
anche di notte. La gente fa finta che la
mafia non esista, ma in realtà molti continuano
ancora a pagare il pizzo, circolano
droga e malaffare. Ciò nonostante
Palermo sta cambiando, grazie anche al
lavoro del sindaco Leoluca Orlando, e
c’è un desiderio forte di non essere più
prigionieri di mafie e tabù. Specialmente
da parte di tante donne che coraggiosamente
si impegnano contro le mafie e
i soprusi. Le donne in questi anni hanno
fatto progressi di emancipazione; in Sicilia,
sono oggi più libere di un tempo.
Cosa mi dici di questo workshop a
Firenze in occasione della tua mostra
Corpo di donna?
Da alcuni anni io e Roberto Timperi, fotografo
romano, teniamo workshop in
giro per l’Italia ed è proprio in occasione
di quest’ultimo appuntamento espositivo,
Corpo di donna, a Firenze, che
abbiamo creato un incontro con fotografi
amatoriali e professionisti desiderosi
di approfondire e ampliare le loro
capacità artistiche. Abbiamo cercato di
trasmettere non solo la passione ma
anche il rispetto per la fotografia e per il
corpo femminile. Da questo workshop
nascerà il volume Anna, curato dalla
Crumb Gallery e illustrato dalle foto dei
25 partecipanti.
LETIZIA BATTAGLIA
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Spunti di critica
Fotografica
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Frank Horvat
Scomparso lo scorso ottobre all’età di 92 anni, è stato
uno dei fotografi più eclettici del XX secolo
di Nicola Crisci / foto Frank Horvat
Frank Horvat nacque in Croazia
nel 1928, da padre medico
ungherese e madre psichiatra
viennese. Compì i suoi primi studi a
Milano, dove seguì un corso di pittura
nel quartiere Brera. Già appassionato
di fotografia, nel 1950 ebbe la fortuna
di incontrare Cartier-Bresson che, oltre
ad incoraggiarlo in questa professione,
gli consigliò di usare una Leica. Horvat,
conosciuto soprattutto per le fotografie
di moda pubblicate tra la metà
degli anni Cinquanta e la fine degli anni
Ottanta, fu attivo anche nell’ambito
del fotogiornalismo, di generi come il
Frank Horvat
ritratto e il paesaggio e coltivò grande
interesse per la storia dell’arte, confrontandosi
con la pittura e subendo il
fascino della scultura. Negli anni Ottanta,
a causa di una malattia agli occhi,
abbandonò per un po’ la fotografia
e realizzò alcune interviste pubblicate
successivamente nel libro Entre vues,
con grandi protagonisti del mondo fotografico
come Robert Doisneau, Josef
Koudelka, Sarah Moon, Helmut Newton
e Joel Peter Witkin. Questi dialoghi con
personaggi così diversi rispecchiano la
sua inquieta personalità di irrefrenabile
esploratore di generi e linguaggi.
Migliorato il problema alla vista, riprese
a fotografare rivolgendo però il suo
interesse al nascente mondo dell’informatica,
che nelle sue mani diventò
uno strumento per aggiungere o sottrarre
elementi alla realtà immortalata.
La sua carriera artistica si può condensare
in tre parole chiave: eleganza,
umanità e ironia. In quasi settant’anni
di fotografia ha ritratto soggetti molto
Parigi (1956)
difformi tra loro, con almeno una dozzina
di tecniche diverse. «La fotografia
- amava dire Horvat - è una forma di
conoscenza, con la quale posso catturare
l’identità di un luogo, di una città,
e così facendo riconoscerla. Il tempo
siamo noi, è il nostro nemico, è quello
che ci uccide, è la nostra vita, è tutto;
l’immagine fotografica è una specie di
vittoria, sebbene illusoria, su di esso.
Di una fotografia mi interessa il miracolo,
il fatto che esprima la verità personale
e spirituale del fotografo, tutto il
resto mi lascia indifferente».
La sfinge (1956)
Fotografia di moda (anni Sessanta)
Mate (1964)
10
FRANK HORVAT
A cura di
Ugo Barlozzetti
Percorsi d’arte
in Toscana
I parchi d’arte contemporanea in Toscana
Un patrimonio tra natura e cultura tutto da scoprire
di Ugo Barlozzetti
Il Giardino di Daniel Spoerri a Grosseto (ph.courtesy www.artribune.com)
La Regione Toscana ha promosso
la catalogazione dei parchi
d’arte contemporanea, straordinario
patrimonio culturale e naturale
di questo territorio. Il rapporto tra paesaggio
e opere d’arte ha favorito in Toscana
l’intervento estetico di importanti
personalità. È nata così una ricca rete –
la più significativa in Italia e tra le più
considerate in Europa – di parchi ambientali
localizzati in luoghi di particolare
suggestione. Il progetto Volterra ’73,
realizzato su proposta di Mino Trafeli,
artista di grande personalità e cultura,
con il coordinamento del critico Enrico
Crispolti, è stato il primo esempio di arte
ambientale in Italia. Dopo quell’esperienza
esemplare e pionieristica, con gli
anni Ottanta cominciano a essere realizzati
vicino a Capalbio “Il Giardino
dei Tarocchi” e a Santomato di Pistoia,
presso Villa Gori, la “Fattoria di Celle”,
uno dei parchi più importanti d’Italia e
fra i più attentamente seguiti in Europa.
Nel 1991 è stato avviato e progettato da
Daniel Spoerri il “Giardino delle sculture”
a Seggiano sull’Amiata. In provincia
di Firenze si trovano il “Giardino delle
Rose” con opere di Folon, il “Parco di
Poggio Valicaia” sulle colline di Scandicci,
il Castello di Santa Maria
Novella a Fiano, vicino a Certaldo,
e il “Centro d’arte La Loggia”
a Montefiridolfi presso San Casciano
Val di Pesa. La provincia
di Prato ha, a Seano, il “Parco
Museo Quinto Martini” e a Luicciana,
vicino a Cantagallo, un
ricco museo d’arte contemporanea.
In provincia di Pistoia, oltre
a Villa Gori, vi è a Collodi il
precursore dei giardini ambientali,
nonostante sia stato concepito
soprattutto per illustrare Le
avventure di Pinocchio con percorsi
incentrati su interpretazioni
artistiche di episodi e personaggi.
A Quarrata, la villa medicea
La Magia custodisce il “Parco
Museo Lo spirito del luogo”. In
provincia di Siena, il Castello di
Ama è dedicato all’arte contemporanea,
mentre Jean-Paul Philippe,
nei pressi di Asciano, ha
ideato il “Site Transitoire”. Presso
Monticiano vi è il “Giardino di Kurt L.
Metzler”, a Cotorniano, vicino a Casole
d’Elsa, il “Parco Selva di Sogno – Dreamwoods”,
e infine il “Parco Sculture
del Chianti” nei dintorni di Castelnuo-
La Fattoria di Celle a Santomato di Pistoia
(ph. courtesy www.artribune.com)
vo Berardenga. In provincia di Grosseto
ci sono il “Giardino dei suoni” di Paul
Fuchs al podere Pianuglioli a Boccheggiano
e al Podere Il Leccio, nei pressi
di Buriano a Castiglion della Pescaia, il
“Giardino Viaggio di ritorno”. All’Isola
d’Elba, vicino alla villa napoleonica
di San Martino, Italo Bolano ha creato
il suo museo che, in verità, è stato tra i
pionieri dei musei che mettono le opere
in rapporto con l’ambiente, avendo iniziato
nel 1964. Sulla via provinciale di
Gragnana, a Carrara, si può ammirare
il “Parco della Padula”, nato in relazione
alla Biennale Internazionale di Scultura
di Carrara. Le capacità di attrazione
esercitate della Toscana nel XIX e XX
secolo nei confronti di artisti e intellettuali
di tutto il mondo non si sono esaurite,
anzi, proprio l’eccellenza dei parchi
di arte contemporanea costituisce la dimostrazione
di un fecondo incontro tra
maestri toscani e quelli provenienti da
ogni parte del pianeta.
PARCHI D’ARTE
11
Incontri con
l’arte
A cura di
Viktorija Carkina
Riccardo Guarneri
Lo spirito della geometria tra musica e pittura
di Viktorija Carkina
Com’è iniziata la sua passione
per l’arte?
I miei studi iniziali si sono svolti nelle mura
di un liceo scientifico. Presto ho capito
di essermi appassionato alla musica
e perciò ho iniziato a suonare la chitarra
e il contrabbasso. Per dodici anni ho
lavorato in un’orchestra che mi ha permesso
di visitare diversi paesi europei.
Mi ricordo ancora quanto rimasi colpito
dalla luce fredda e cristallina dei paesi
del Nord, che poi ho rappresentato nei
quadri che si riferiscono a Rembrandt.
Erano ancora dipinti scuri, che poi negli
anni si sono schiariti, talvolta accompagnati
da scritte. Durante i miei viaggi ho
conosciuto per caso diversi pittori e poi,
tornato a Firenze, ho iniziato a studiare la
pittura con due allievi dell’Accademia di
Belle Arti. Mi ero appassionato così tanto
alla pittura da decidere di abbandonare
gli studi musicali. Analizzando la mia vita
capisco le motivazioni che mi avevano
www.florenceartgallery.com
spinto a scegliere la musica, mentre la
pittura ha scelto me, come avviene in un
rapporto amoroso. Mi ricordo che gli anni
Sessanta erano molto stimolanti per
un artista e perciò ho intrapreso diverse
amicizie con i pittori, unendomi ad un
gruppo di Genova chiamato Tempo tre
guidato dal critico Eugenio Battisti. Altre
mie amicizie erano soprattutto a Milano
e a Roma, dove andavo con la mia
Fiat Cinquecento e passavo le giornate
a discutere di avanguardia e dei problemi
legati alla pittura. Portavo alcuni miei
quadri per poi scambiarli con opere dei
miei amici.
In quel periodo quali pittori sono entrati
a far parte della sua collezione?
C’erano quadri di Bonalumi, Castellani,
Scheggi e molti altri; dipinti figurativi
no, perché la mia attenzione era rivolta
verso la direzione dove andava la storia
dell'arte contemporanea, ovvero verso
le avanguardie.
Come nasce una sua opera?
Riccardo Guarneri (ph. Gerardo Gazia)
Lavoro con un metodo di variazioni, mi
considero un “bachiano” nel senso musicale
del termine. Procedo sempre per
varianti, anche minime, che poi costituiscono
un percorso artistico con le relative
differenziazioni nei miei periodi.
Infatti, se si guarda un mio quadro di
cinquanta anni fa, si noterà che è ben diverso
da quelli recenti. Ciò che conta sono
l’originalità e la preparazione culturale
che formano la visione dell’artista. Ho
sempre assorbito gli spunti ispirativi che
giravano intorno a me e per questo motivo,
quando insegnavo all’Accademia di
Belle Arti, chiedevo ai miei studenti di
fare la stessa cosa e di studiare diverse
correnti artistiche, anche se non coincidevano
con il loro percorso di studio.
Riflettendo sul ruolo della geometria
nell’arte, ha approfondito il percorso
di Josef Albers, ammettendo: «Per me
Albers era troppo logico, geometrico,
io preferivo essere più ambiguo, non
Arioso con grande celeste (2008), cm 140x180
Molto ritmato (2016), cm 140x180
12
RICCARDO GUARNERI
Luce celeste al centro (2014), cm 80x160
Tre zone (2009), cm 80x160
avevo la sua fede nella forma pura,
venivo dell’esistenzialismo».
Infatti i miei quadri non sono basati sulla
“fede nel quadrato” e nelle mie opere
non esistono linee perfettamente verticali.
Le mie sono linee libere che Albers
o Mondrian non avrebbero mai ammesso.
Gli angoli geometrici, anziché essere
di novanta gradi, sono di ottantasei
e tutto tende ad espandersi verso l’infinito,
senza che l’opera abbia confini.
Credo che ogni artista debba avere una
personalità in cui si rispecchiano la sua
filosofia e la sua sensibilità.
Vista la lunga riflessione che accompagna
le sue opere, quando capisce
che un quadro è finito?
È una bella domanda perché è veramente
molto difficile. Innanzitutto dipingo solo
nella prima metà della giornata quando
la luce del sole è fredda. Nel pomeriggio
entra in gioco una luce calda che non
sopporto. Il lavoro però prosegue anche
nella seconda metà della giornata, in
cui passo tantissimo tempo ad osservare
l’opera. Prima di completare un quadro,
accompagno la mia riflessione con
diversi bigliettini, dove appunto le modifiche
da apportare. Spesso accanto ai dipinti
nel mio studio si trovano foglietti con
scritte come “aumentare la linea verde”.
La riflessione sull’aggiunta di ulteriori linee
è uguale all’operazione che compie
uno scrittore quando scrive un libro. Anche
il quadro va letto, non solo visto. Nel
momento in cui il pittore si ferma e decide
che il quadro è completato compie una
scelta drammatica. Per alcuni artisti è una
scelta che determina se il quadro sarà un
capolavoro o non varrà nulla. Nel caso in
cui il quadro non valga nulla, di solito un
artista dotato di un senso critico se ne accorge.
Quando questa sensazione capita
a me, ho due opzioni: distruggere il dipinto
oppure continuare ad andare avanti.
Provo sempre a rimediare, non abbandono
la lavorazione di un’opera se la ritengo
non perfetta. Forse è per quest’attenzione
che dedico ad ogni singola opera che ne
produco poche. La mia produzione conta
al massimo venti quadri l’anno.
Che significato ha la pittura analitica
per lei?
Generalmente il discorso sulla pittura
analitica prevede una continua sperimentazione
con i materiali, ma non sono d’accordo.
Non ho mai cambiato i supporti,
continuando a dipingere su tela. Per me
un quadro deve essere percepito attraverso
la pittura stessa. Come una variazione
di un canone di Bach viene spiegata in termini
musicali, anche la pittura viene spiegata
in termini pittorici. La pittura analitica
di Picasso e Braque è fatta sulla lezione
di Cézanne con le pennellate sovrapposte
che creano una vibrazione sulla superficie.
Questo è un esempio della musicalità
pittorica. Naturalmente, dietro questa
vibrazione deve esserci la profondità del
pensiero e anche lo spettatore deve avere
una capacità di sentire l’opera per poter
apprezzare un linguaggio nuovo. La pittura
è prima di tutto pittura e la sua analisi
è la musicalità stessa, che può essere
anche il silenzio. Erroneamente l’arte analitica
viene considerata come l’arte concettuale,
che ormai è diventata una moda
e perciò costituisce il lato negativo delle
avanguardie. Infatti, nell’arte concettuale
si tende verso l’annullamento dell’opera,
mentre nel mio caso essa costituisce il
centro dell’attenzione. Infine, per me, l’arte
analitica è poesia e condivido il pensiero
di Dante che vide l’arte come “Amor
che nella mente mi ragiona”. Un ragionamento
continuo, ma svolto necessariamente
con amore, costituisce per me
l’essenza della pittura analitica.
Cornici Ristori Firenze
www.francoristori.com
Via F. Gianni, 10-12-5r, 50134 Firenze
Angolare ambiguo (2015), l. cm 95 x d. cm 135
Arco romanico (1981), cm 50x50
RICCARDO GUARNERI
13
Nel dicembre 2012 usciva il numero zero della nostra rivista; da allora sono passati otto anni nel corso dei quali
siamo usciti puntualmente ogni mese con notizie d’attualità riguardanti il mondo dell’arte, della moda, dello spettacolo.
Le iniziali 32 pagine sono man mano cresciute fino ad arrivare alle attuali 80 che ci consentono di parlare anche di salute,
psicologia, design, cinema, teatro, musica, solidarietà, fotografia, benessere, poesia, letteratura, enogastronomia, storia delle
religioni, turismo, sport e architettura avvalendoci della collaborazione di valenti giornalisti ed esperti di settore.
In questi anni sono state distribuite oltre 200 mila copie cartacee mentre attraverso i social La Toscana Nuova è arrivata
ogni mese ad oltre 50 mila persone. Il primo e il secondo lockdown ci hanno costretto a limitare la distribuzione cartacea
nei luoghi pubblici ma abbiamo ovviato a questo inconveniente intensificando la campagna abbonamenti. Per questo mi
rivolgo ai nostri lettori invitandoli a sottoscrivere l’abbonamento per il 2021 che continuerà a costare solo 20 euro e
prevede l’invio della rivista cellofanata a domicilio attraverso Poste Italiane.
Il pagamento potrà essere effettuato tramite versamento sul cc postale 1044427340 intestato a La Nuova
Toscana Edizioni (IBAN: IT64NO760102800001044427340) oppure sul conto corrente 021/204401 (IBAN:
IT65Z0832538110000000204401) del Banco Fiorentino. Per chi, invece, vorrà optare per il pagamento in contanti, sarà
aperta la nostra sede di via San Zanobi 45 rosso tutti i giorni compreso i festivi dalle 16 alle 18.
Nell’augurare buona lettura, colgo l’occasione per estendere ai lettori e ai collaboratori anche gli auguri di buon Natale e
di un sereno 2021.
Fabrizio Borghini - Editore La Toscana Nuova
I libri del
Mese
Firenze al cinema nel nuovo
libro di Fabrizio Borghini
di Erika Bresci
Il fascino di Firenze ha stregato
nel tempo registi da tutto il mondo.
Firenze al cinema individua
330 film girati in poco più di un secolo
(dal 1908 al 2020), riportandone
con precisione l’intero cast e un piccolo
frame in molti casi, in altri dedicando
una pagina intera a scene famose e
mai dimenticate. Scorrono così locandine,
volti di attori e film noti – Metello,
Amici miei, Hannibal, Paisà, Il Ciclone,
Camera con vista, ad esempio – e altri
sicuramente meno conosciuti ma che
proprio per questo stimolano la curiosità
a indagarne storia e contenuti.
Senza dimenticare i film muti di inizio
secolo scorso (girati negli stabilimenti
in via delle Panche prima di essere trasferiti
in quelli Pisorno di Tirrenia), le
saghe come il colossal in tre stagioni
I Medici, i corto e lungometraggi, le
biografie dedicate a personaggi che
con Firenze hanno avuto molto a che fare
(da Michelangelo e Leonardo a Baggio
e Batistuta) e le fiction di grande
successo come la recente Pezzi unici.
Grazie a questa marea di celluloide Firenze
è entrata nelle case e nei cinema
dell’intero pianeta, si è fatta vedere
nei suoi angoli più segreti, mantenendo
comunque il mistero di una donna
eternamente bella, maliarda e un
po’ ritrosa, preziosa come un diamante
da incastonare a piacere. Perché un
film bello «raddoppia la sua bellezza
se Firenze gli fa da scenografia. È come
vestire elegante una bella donna!»,
suggerisce con semplice e insieme
profonda verità Leonardo Pieraccioni
nella sua prefazione.
Per prenotare il libro contattare:
Lucia Raveggi + 39 333 9704402
T’insegnerò la notte
La scoperta di sé attraverso l’amore nel romanzo di Caterina Ceccuti
di Erika Bresci
Cris Chambers vive il presente
nel routinario svolgersi di
ogni giorno: il lavoro di ufficio
stampa nell’agenzia di cui è titolare
e direttore, le ore trascorse insieme
a Graziano, amico di sempre e vicedirettore,
così diverso nel fisico palestrato
e nel carattere solare che gli
appartiene, una storia complicata con
la bella Alessandra. Finché una sera,
rientrando a casa, Cris impatta
nel corpo di una donna morta che lo
aspetta nell’ingresso. Una visione orrorifica,
che si ripresenterà e che lo
costringerà a fare i conti con un’infanzia
in chiaroscuro, tra un padre
fotografo machista e una madre, la
Grigia, sostanzialmente indifferente;
scene di un passato che l’apparizione
della morta costringe a rivedere, ripescando
dal pozzo e portando alla luce
quella sua parte tenuta nascosta e temuta,
che gli impedisce di essere chi
realmente è, di amare chi realmente
desidera. E fare sua, una volta per
tutte, quella parte femminile che grida
sotto il vestito di carne, perché l’Amore
non ha forma, o meglio, ha tutte
le forme possibili, se Amore significa
comunione di anima, non possesso
di un corpo. L’impronta surreale e
gotica si amalgama a perfezione con
la sostanza viva del quotidiano, affrontando
il tema dell’omosessualità
con ruvida delicatezza, senza retorica
o pregiudizi.
I LIBRI DEL MESE
15
Cosmetici Naturali e Biologici per il Benessere
Regala Benessere per Natale
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Antonio Pieri
Benessere e cura
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di Antonio Pieri
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probabilmente sarà un Natale un
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a disposizione per noi stessi.
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Nato a Firenze nel 1962, Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda
il Forte srl e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
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che hanno come principio attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano IGP
biologico. Esperto di cosmesi, profumeria ed erboristeria, svolge anche consulenze
di marketing per primarie aziende del settore. Molto legato al territorio toscano e alle
sue eccellenze, è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
Per info:
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
BENESSERE E NATURA
17
Dimensione
Salute
A cura di
Stefano Grifoni
L’importanza della parola per
apprendere e comunicare con gli altri
di Stefano Grifoni
Le parole che usiamo tutti i giorni
indicano il livello di sviluppo
e maturazione degli individui in
termini cognitivi. Anche se l’esposizione
a una certa quantità di linguaggio
è un prerequisito necessario per imparare
una lingua, a contare di più è
l’interazione con le persone. Questo è
anche uno dei motivi per cui non basta
mettere un bambino a guardare per
ore dei cartoni animati in inglese perché
lo impari. I bambini imparano a
parlare attraverso conversazioni della
vita quotidiana, nell’interazione e nella
socialità con gli adulti, non in modo
astratto. Le parole che imparano prima
sono quelle che vengono usate in
attività di routine come i pasti o il gio-
co oppure quelle che vengono usate in
contesti diversi e in diversi tipi di conversazione
(come “ciao”). È difficile
dire quante parole pronunciamo ogni
giorno. Secondo alcuni studi le donne
usano in media ventimila parole al
giorno contro le settemila degli uomini.
Le parole così diventano la più potente
arma usata dalle donne.
Stefano
Grifoni
Nato a Firenze nel 1954, Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e sempre presso la stessa struttura è direttore del Centro di riferimento regionale
toscano per la diagnosi e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Ha condotto numerosi
studi nel campo della medicina interna, della cardiologia, della malattie del SNC e delle malattie respiratorie e nell’ambito
della medicina di urgenza. Membro del consiglio nazionale della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza,
è vicepresidente dell’associazione per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e
membro tecnico dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze. Ha pubblicato oltre 160 articoli su riviste
nazionali e internazionali nel settore della medicina interna e della medicina di urgenza e numerosi testi scientifici
sullo stesso argomento. Da molti anni collabora con RAI TRE Regione Toscana nell’ambito di programmi di medicina,
con il quotidiano La Nazione e da tre anni tiene una trasmissione radiofonica quotidiana sulla salute.
18
LA PAROLA
A cura di
Emanuela Muriana
Psicologia
oggi
La solitudine tra scelta di vita e condanna
di Emanuela Muriana
Senza solitudine non c’è relazione,
se non sai stare da solo
non sai stare con nessun altro, «se non sai stare con l’altro non sai stare
con te stesso. Questa è l’essenziale ambivalenza
del nostro esistere» dice Giorgio
Nardone nel suo libro La solitudine, capirla
e gestirla per non sentirsi soli. Il primo
passo per analizzare la solitudine è guardarla
come una moneta con le sue distinte
facce: il suo essere scelta e ricercata o,
al contrario, essere subita e rifuggita. Nel
primo caso abbiamo ciò che i mistici per
primi, poi i filosofi e gli scienziati e infine
gli psicologi definiscono la via privilegiata
per raggiungere stati elevati di coscienza,
per mettere in opera capacità creative e
intuitive superiori. Nel secondo caso c’è la
solitudine disperata e disperante di chi si
sente rifiutato, di chi ha difficoltà a relazionarsi
con gli altri, di chi ha perso persone
care o il proprio ruolo sociale, del malato
e del morente, di tutte quelle condizioni di
abbandono a se stessi, di smarrimento, di
estraneità e non esistenza per gli altri. Questa
visione appare ad un primo approccio
manichea perché divisa in due poli: uno
positivo, quello della solitudine scelta che
conduce all’elevazione e alla rottura degli
schemi per uscirne più forti; l’altro negativo
dove la solitudine subita può diventare
una condanna. Ci sono studi che dimostrano
quanto la solitudine sia necessaria
per lo sviluppo di capacità mentali e com-
portamenti evoluti;
altre ricerche
mettono in evi-
Emanuela
Muriana
denza la carica patogena della solitudine
in quadri clinici importanti. Ecco allora che
la solitudine appare come un fenomeno
ambivalente. Molti sono i casi dove la solitudine
diventa il meccanismo difensivo in
disturbi psicopatologici strutturati: la solitudine
disperata nella depressione, il ritiro
sociale nelle anoressie, l’evitamento dell’esposizione
nelle fobie sociali, l’isolamento
progressivo nel disturbo ossessivo-compulsivo
o l’isolamento nella paranoia. In
altre patologie, invece, la solitudine viene
evitata: come nell’ipocondria (l’ossessione
fobica di ammalarsi), la persona tende ad
attorniarsi di persone e specialisti di fiducia
per essere rassicurati. Lo stesso vale
per il ben noto e diffuso disturbo da attacchi
di panico dove la persona non riesce a
stare da sola per paura di sentirsi male e
di morire. Questi sono solo alcuni esempi
di disagi e disturbi, ma l’elenco non finisce
qui. La cura della solitudine sofferta
s’intreccia allora con la cura delle diverse
psicopatologie a seconda di come può influenzarle
o esserne influenzata. Oggi però
si assiste ad un altro fenomeno emergente
per far fronte alla solitudine: l’ipersocialità,
una propagazione epidemica di questo
modello di relazione con gli altri per sfuggire
alla solitudine sofferta anzitutto dagli
adolescenti, per i quali vige lo stigma “se
sei da solo sei sfigato” cioè uno da evitare.
Ne consegue che la maggior parte dei
giovani non esce se non ha la garanzia di
una compagnia. Anche numerosi adulti
applicano una sorta di equazione: solitudine
sofferta significa mancanza di relazioni,
pertanto se sei in compagnia non soffri.
Pensiamo ad esempio al rito dell’aperitivo
diventato irrinunciabile per molti − giovani
e meno giovani − che tanto ha pesato come
uno dei comportamenti a rischio per
il contagio in questo dannato periodo di
pandemia ma anche come spia del bisogno
disperato di far fronte alla paura della
solitudine. Il paradosso è che la solitudine
assoluta non esiste: ognuno di noi rimane
sempre in relazione con se stesso,
con gli altri e con il mondo che lo circonda.
Seneca scriveva: «Il saggio basta a se
stesso». Coltivare la capacità di saper stare
bene da soli è necessario per avere relazioni
migliori con gli altri. Inoltre, recita
il pensiero di un anonimo, “il privilegio di
saper stare bene da soli ti regala quello più
pregiato di poter scegliere con chi stare”.
Di tutto questo si è recentemente parlato
in un interessante simposio e seminario
clinico condotto dal professor Giorgio
Nardone e tenutosi online l’8 e il 9 novembre
scorsi.
Emanuela Muriana vive e lavora prevalentemente a Firenze. È responsabile
dello Studio di Psicoterapia Breve Strategica di Firenze, dove svolge
attività clinica e di consulenza. È specializzata al Centro di Terapia Strategica
di Arezzo diretto da Giorgio Nardone e al Mental Reasearch Institute di
Palo Alto CA (USA) con Paul Watzlawick. Ricercatore e professore della scuola
di specializzazione quadriennale in Psicoterapia Breve Strategica (MIUR) dal
1994, insegna da anni ai master clinici in Italia e all’estero. È stata professore
alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso le Università di Siena (2007-2012) e
Firenze (2004-2015). Ha pubblicato tre libri e numerosi articoli consultabili sul
sito www.terapiastrategica.fi.it.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055-242642 - 574344
Fax 055-580280
emanuela.muriana@virgilio.it
LA SOLITUDINE
19
FLORENCE ART
DEPOSIT GALLERY
FLORENCE ART
La sede dell’associazione Save the Culture
(Salviamo la Cultura) all’interno della Florence
Art Deposit Gallery non è stata scelta a
caso. Si trova, infatti, nel cuore del centro
storico fiorentino, in un luogo sacro in quanto
tabernacolo edificato agli inizi del XIV secolo,
forse anteriormente alla Chiesa di San
Michele della cui struttura fa parte. Secondo
fonti storiche, in questo luogo avrebbe trovato
sepoltura Filippino Lippi, allievo prediletto
di Sandro Botticelli.
La Florence Art Deposit Gallery ha uno stile
contemporaneo, con un impianto d’illuminazione
che permette di valorizzare le opere
esposte assecondandone le specifiche peculiarità.
Dall’apertura, nel maggio 2019, si sono
tenute alla Florence Art Deposit Gallery oltre
trenta attività culturali legate ai progetti
internazionali Arte senza frontiere, Carattere
della Donna, Vivere, senza paura. La galleria,
diretta da Yuliya e Alesia Savitskaya, ha inoltre
partecipato alla fiera internazionale Art Vilnius
2020 curando la presentazione delle opere
di un’artista lituana. Tra i progetti più recenti,
i video in lingua russa − visibili sul canale You-
Tube “Yuliya&Alesia Savitskaya” e realizzati in
collaborazione con il fotografo Pietro Schillaci
− all’interno dei quali vengono presentate le
mostre della galleria unendole alla storia di
Firenze per farla conoscere al pubblico russo.
Sia gli artisti che il pubblico hanno dimostrato
pieno apprezzamento per la qualità e l’ospitalità
dello spazio artistico diretto da Yuliya e
Alesia Savitskaya, il cui intento è coniugare la
grande tradizione artistica fiorentina con le
nuove multiformi tendenze dell’arte contemporanea.
Loro obiettivo è anche riunire artisti
e appassionati d’arte per sostenere la cultura
in un momento storico di grande disagio. Per
questo motivo, l’associazione Save the Culture
e la Florence Art Deposit Gallery continueranno
a portare avanti la loro attività con mostre
d’arte ed eventi culturali di ampio respiro.
Yuliya e Alesia Savitskaya con il professor Ugo Barlozzetti (ph. Pietro Schillaci)
Camminando a Firenze: luoghi d'arte e cultura
La Florence Art Deposit Gallery sta preparando
un video dedicato all’arte a Firenze nell’arco di
tempo compreso tra gli anni Sessanta e Novanta
del Novecento, con l’introduzione storico-critica
del professor Ugo Barlozzetti, che racconterà
luoghi e figure emblematiche dell’arte fiorentina
recente accompagnato dalle titolari della galleria
Yuliya e Alesia Savitskaya. Il video conterrà
anche la presentazione della mostra Ancien
Prodige ‒ momentaneamente sospesa a causa
dell’emergenza sanitaria ‒ dedicata agli ottant’anni
di Riccardo Ghiribelli e Angelo Vadalà,
con la partecipazione degli artisti che hanno
reso omaggio ai due maestri. Foto e video saranno
realizzati dal fotografo professionista
Pietro Schillaci che già collabora con la Florence
Art Deposit Gallery per i contenuti promossi dalla
galleria sul canale YouTube. La traduzione in
russo, oltre alla versione in italiano, consentirà di
far conoscere la storia di Firenze ad un pubblico
molto ampio e interessato all’arte italiana.
a.saveculture@gmail.com
Save Culture
florenceartdepositgallery
Yuliya&Alesia Savitskaya
Ph. Pietro Schillaci
I libri del
Mese
A spasso per Firenze
Aneddoti e storie della città gigliata raccontati da una
guida d’eccezione
di Barbara Lombardi Santoro
Fino al 2000 sono stata segretaria
nazionale della Federazione
Italiana degli Amici dei Musei,
ed ogni volta che da più parti d’Italia i
soci venivano a Firenze, non solo li accompagnavo
a vedere mostre e palazzi,
ma, mentre si camminava, raccontavo
loro aneddoti, storie del passato ed indicavo
quelle curiosità che sono sparse
qua e là nella città, spesso ignorate o
poco conosciute anche dagli stessi fiorentini.
Così quando alcune amiche all’inizio
dell’emergenza sanitaria mi hanno
chiesto di narrare su Facebook alcuni
di questi aneddoti per rallegrare le loro
giornate, ho accettato con piacere. Purtroppo
questa pandemia si è protratta
per mesi e ancora non ne siamo fuori,
ma il piccolo volume che avevo loro
promesso è pronto con un titolo molto
semplice: A spasso per Firenze. Sono
molto grata all’amico scultore Valerio
Savino per aver messo a disposizione
la sua mano di abile disegnatore per
meglio inquadrare le storielle che fanno
parte del testo. La prima di coperta
è venuta particolarmente bene, perché
Savino ha saputo cogliere i tre aspetti
più importanti della città: Palazzo Vecchio,
il Duomo e Ponte Vecchio inserendoli
in una Piazza Signoria immaginaria
dove minuscoli personaggi si muovono
incuriositi e un gigantesco giglio rosso
troneggia sulla pagina bianca. Un
ringraziamento va anche all’editore, il
Masso delle Fate di Signa, per avermi
seguita e consigliata al meglio nel confezionamento
del libro. Un altro importante
dono me l’hanno fatto gli amici di
sempre, Cristina Acidini, Giovanni Cipriani
e il nuovo assessore alla Cultura
del Comune di Firenze Tommaso Sacchi,
i quali nella prefazione hanno legato
il loro nome al mio grande amore per
questa città. Cristina Acidini, presidente
dell’Accademia delle Arti del Disegno,
mi ha definito «una guida molto speciale
che ci conduce per Firenze attraverso
il tempo e lo spazio». Tommaso Sacchi,
fiorentino solo da sei anni, ha notato:
«Il rischio è di perdere il segreto della
sua essenza (riferendosi a Firenze, ndr),
la storia stratificata e le narrazioni che
si nascondono tra i vicoli e le piazzette
cittadine, dentro i vecchi palazzi e sotto
le cupole delle basiliche. Occorrerebbe
che tutti quanti, non solo i fiorentini
ma anche i forestieri, riconquistassimo
l’attenzione alla misura e alle proporzioni
dei quartieri e ci avvicinassimo
alla fiorentinità più autentica, alle tradizioni
e vecchie leggende, al senso profondo
della città». Il professor Giovanni
Cipriani, che fino all’anno scorso ha tenuto
la cattedra di Storia moderna e di
Storia toscana all’Università di Firenze,
ha commentato così: «Vicende apparentemente
minori, come tante tessere
multicolori, danno vita ad un mosaico
composito, in cui forme ed immagi-
ni emergono così nitidamente, al punto
di essere in grado di farci comprendere
gli aspetti più disparati della vita che
veniva condotta a Firenze e in Toscana
nei secoli passati. (...) Grande merito di
queste pagine allora è quello di lasciarci
scoprire che in realtà la nostra città,
come le grandi opere letterarie, anche
se letta e riletta, ha sempre qualcosa
di nuovo da farci scoprire, alimentando
nei nostri sensi e nel nostro cuore
stupore, gratitudine e il desiderio di conoscere
ancora». Anche l’abate di San
Miniato al Monte, padre Bernardo Giani,
mi ha fatto il regalo di scrivere una postfazione
davvero di ampio respiro che
ha dato un valore aggiunto a questo mio
piccolo testo, che è diventato un curioso
“chicchirillò” da portare in tasca durante
le passeggiate e da regalare a tutti
coloro che hanno a cuore Firenze e le
sue grandi e piccole storie.
A SPASSO PER FIRENZE
21
Mostre nel
mondo
Andrea Stella a San Pietroburgo
“La leggenda dei dormienti” incanta la città delle notti bianche
Inaugurata lo scorso 24 settembre, la mostra di 25 opere e un’installazione allestite in tre
sale è stata prorogata fino al 10 novembre per grande affluenza di pubblico
di Anna la Donna / foto Filippo Labate
Con il loro incedere elegante, le
Muse del maestro Andrea Stella
fanno il loro ingresso nella
fredda terra degli zar, percorrendo, silenti,
le vie di una città che maestosa
e misteriosa si specchia nei suoi canali.
Si aprono le porte dei saloni del
grandioso edificio voluto da Caterina
la Grande, imperatrice di Russia, che
ospita l’espressione di secoli di pittura,
scultura e ingegno umano: il museo
dell’Hermitage. «Bellissima mostra! Ne
sono rimasto sorpreso in modo inaspettato.
Meravigliosa esposizione,
fantastica iniziativa» scrive, entusiasta,
il critico d’arte Suvorov. Si susseguono
voci di famosi critici, le parole
amplificano lo stupore e l’ammirazione
di visitatori che, tra occhio esperto
e partecipazione empatica, accolgono
il nuovo linguaggio d’arte che vive e si
veste di segni, di immagini materializzate
in creature ancestrali che si muovono
nei luoghi dell’anima tra le note
di un canto gregoriano. Poesia, arte,
musica, canto, danza, filosofia si accomodano,
come nota un critico d’arte
dell’Accademia di Belle Arti russa,
«sulle pareti del palazzo del granduca
e di sua moglie, facendo rivivere le
atmosfere dei salotti dei Romanov e
donando loro un’ombra misticamente
magica e misteriosa in un dialogo
armonioso». «Sembra che siano lì da
sempre» commenta Selena, figlia del
grande artista Stella, con voce tradita
Selena Stella e Luca Paolino consegnano un’opera del
maestro Andrea Stella a Irina Chmelnizcaya, direttrice
del museo di Palazzo Vladimiriskij all’Hermitage
Da sinistra, Luca Paolino, la curatrice della mostra Alla Georgieva, il direttore artistico del Teatro Music Hall
di San Pietroburgo Fabio Mastrangelo, la figlia dell’artista Selena Stella, il console generale della Repubblica
italiana a San Pietroburgo Alessandro Monti e Natalia Culighina
Pensieri sulla città, tecnica mista, d. cm 120 Giardini nascosti, tecnica mista, cm 100x120 Antichi scorci, tecnica mista, cm 70x70
22
ANDREA STELLA
La consegna di due opere di Stella al console italiano Alessandro Monti, a destra, e al dottor Giovanni Fasanella
La medaglia con il simbolo della città coniata
dall’Hermitage e donata alla famiglia dell’artista
In questa e nella foto sotto due momenti dell’inaugurazione
dall’emozione e prosegue ringraziando
tutti coloro che in qualità di studiosi o
di figure istituzionali hanno contribuito
alla realizzazione dell’evento: Alla Georgieva,
curatrice della mostra che con
grande professionalità ha coordinato
i rapporti tra i due paesi, Alessandro
Monti, console generale dell’Ambasciata
italiana a San Pietroburgo, Giovanni
Fasanella e Irina Chmelnizcaya,
la quale avrebbe dovuto incontrare il
maestro Stella la settimana dopo la
sua scomparsa. Per onorare la presenza,
nelle sale dell’Hermitage, di un
corpus di opere del maestro, è stata
coniata una medaglia con il simbolo
della città, come riconoscimento all’artista
e dono alla famiglia in segno di
gratitudine. Nonostante i timori legati
al Covid, le attese, le lungaggini di una
burocrazia cavillosa, Selena, insieme
al suo compagno di vita, non ha voluto
abbandonare questo progetto: «Luca
mi ha sostenuto e incoraggiato, dandomi
una gran forza nonostante le mille
difficoltà. Senza di lui questo sogno
non sarebbe stato possibile». Un sogno
cullato da tempo dal maestro, come
il desiderio impresso negli occhi di
un bambino che, guardando l’estremità
di un palo della cuccagna, pensa che
solo riuscendo a prendere il premio più
alto avrà la certezza di aver scalato l’albero
delle virtù, e lì in cima si sentirà,
per un momento, padrone del mondo.
Con una promessa nel cuore, Selena
ha portato suo padre, il grande maestro
Andrea Stella, proprio in cima a
quell’albero, in quel luogo dove l’eterno
vive nel riflesso del suo oro.
Atelier Andrea Stella
via Roma 535 - Bagno a Ripoli (FI)
+ 39 3393486520 / + 39 3339570319
atelierandreastella@gmail.com
ANDREA STELLA
23
Antonella
Mezzani
Pittografie
Il seme vibrante
C’è un rapporto quasi osmotico tra uomo
e natura nelle opere di Antonella Mezzani,
artista innovatrice approdata ad uno stile
originale ed unico che nelle sue complesse
“pittografie” racconta il reale catturato
dalla fotografia e filtrato dalla materia
dell’arte che traduce il suo sentire intimo,
sensibile ed umano.
Massimo Bramandi, direttore artistico della
Bramandi Art House
È un racconto per immagini
quello di Antonella Mezzani,
artista originale il cui stile
è segno e tratto distintivo.
Istantanee fotografiche catturano
il reale traducendone il
piano emotivo con i tocchi lirici
della pittura e riconducendone
quel primordiale e atavico
connubio che lega l’uomo
alla natura.
Rosario Sprovieri, segretario
Mibact, critico e curatore d’arte
del Premio biennale internazionale
di Atene 2019
+ 39 3407771251
antonella.pittografie@gmail.com
www.gigarte.com/antonellamezzani
Nettare
La sovrapposizione delle immagini fotografiche
con quelle che idealmente potrebbero
risultare tele pittoriche, dove il
colore si fonde in un’alternanza cromatica,
è sorprendente. Non solo per la sensibilità
dell’accostamento oggettivo ma per
l’ardire che pone un primo soggetto all’interno
di un secondo, in una fusione che ci
appare come un unico risultato non voluto,
non cercato, e totalmente naturale.
(…) L’artista fa specchiare le sue protagoniste
in un mare di oniriche sensazioni,
specchio che ci guarda e racconta a noi
di ciò che le protagoniste erano, sono e
diverranno.
Luigi Gattinara, direttore della Triennale
della Fotografia
La donna fiore
La ricerca dell’artista Antonella Mezzani
miscela sapientemente tradizione e personalità.
Infatti, con una calibrata commistione
tra le due “rivali”, pittura e fotografia,
Antonella reinterpreta genialmente le
opere di Arcimboldo.
Armando Principe, presidente casa d’aste
Prince Group
A cura di
Giuseppe Fricelli
Concerto in
salotto
Una cena in compagnia di Muti,
Sordi ed Eduardo…
di Giuseppe Fricelli
Una sera, negli anni Settanta,
vennero a casa dei miei genitori
tre cari amici di famiglia: Riccardo
Muti, grande direttore d’orchestra,
Paolo Sordi, bravissimo ortopedico, ed
Eduardo De Filippo. Prima di cena, Muti
ed io ci divertimmo a suonare, sul mio
pianoforte, l’allegro del primo tempo della
Sonata in Re maggiore a quattro mani
di Mozart. Eduardo aveva un orzaiolo
all’occhio destro che gli procurava lacrimazione,
arrossamento e dolore. A tavola
Eduardo, che mangiava come un
uccellino, disse rivolgendosi a mio padre:
«Mino (papà si chiamava Cosimo),
questa sera è dedicata alla Croce Rossa
Italiana». «Perché?» rispose mio padre.
Il maestro a spron battuto, ma con grande
saggezza nell’utilizzare la punteggiatura
di espressione, replicò: «Perché ci
sono presenti a questa cena muti, sordi
e (indicando il suo occhio) ciechi. Meglio
di così!». Inutile che vi suggerisca
di ascoltare la splendida arte di Riccardo
Muti e di Eduardo De Filippo in decine
di incisioni presenti sul mercato che vi
potranno deliziare nell’udire meravigliose
pagine di opere musicali e teatrali interpretate
al meglio.
MUTI, SORDI ED EDUARDO
25
Ritratti
d’artista
Valentino Antonini
Avanguardia e tradizione in opere dallo spiccato simbolismo
di Jacopo Chiostri
Incontriamo Valentino Antonini, artista
eclettico che utilizza, per dare
forma alla propria arte, tecniche
d’avanguardia abbinate in genere ad altre
di derivazione decisamente classica.
Antonini è un artista attento a quello
che accade oggi nel mondo, consapevole
dell’enorme potenzialità dei mezzi di
comunicazione e allo stesso tempo della
loro indubbia tossicità. Non per nulla in
una delle sue opere più importanti e conosciute,
#crocifissione, è raffigurato il
particolare della croce con una mano trafitta
non dal chiodo, ma da una chiavetta
usb. È uno degli artisti che hanno dato
vita e che compongono il gruppo Giubbe
Rosse - Arte Fuori nato nei locali dello
storico caffè fiorentino con l’obiettivo
di portare l’arte in luoghi non ortodossi
e insoliti, come RSA, giardini pubblici,
strutture dove si assistono persone con
forme di disagio.
Puoi raccontarci gli esordi del tuo
percorso artistico?
Non c’è un vero e proprio inizio, posso
dire che sono nato disegnando e
#crocifissione, tecnica mista su carta martello, cm 57x31
che ho cominciato a disegnare ancor
prima di iniziare a parlare, in questo
senso la scoperta di avere un talento
artistico è stata senz’altro molto
precoce.
Un talento che hai affinato con la partecipazione
a workshop, con la pratica
e la sperimentazione, ma anche
grazie all’apporto di alcuni artisti
fondamentali per la tua formazione…
Mio padre è stato un valente pittore che
ha esposto fino agli anni Settanta. Poi,
fondamentale per il mio percorso è stato
Adolfo Nencioni, pittore amico di mio
padre, che mi ha fatto davvero da nonno,
consentendomi di frequentare il suo studio
e osservare il suo lavoro; insomma,
ho imparato molto da lui. La figura più
importante però è stata quella dell’amico
Tiziano Bonanni, la cui scuola d’arte, Rossotiziano,
ho frequentato a più riprese.
Parte integrante, polimaterico su tavola, cm 100x100
#Influencer 2020 hd, polimaterico su tela, cm 100x100
26
VALENTINO ANTONINI
Da dove arriva la tua ispirazione?
Alla base dei miei lavori ci sono gli impulsi
che ricevo da notizie che leggo, da persone
che incontro, da cose che osservo,
impulsi che lasciano una traccia la quale,
dopo aver sedimentato, è come se ad
un certo punto accendesse una lampadina,
e questo avviene nei momenti più impensati,
spesso di notte, quando si mette
in moto il processo mentale con cui rielaboro
le suggestioni avute e inizia lo studio
delle modalità con cui posso tradurle
in una espressione artistica, in un’opera
d’arte. La mia creatività è saldamente ancorata
alla realtà.
Allo stesso tempo, però, attribuisci
un’importanza decisiva all’originalità,
tanto che, tra gli artisti a cui ti
senti maggiormente legato, annoveri
Salvador Dalì e Marcel Duchamp, che,
quanto ad originalità, non erano certo
in difetto…
Originalità e creatività sono le basi del mio
lavoro. Penso che oggi il quadro classico,
il paesaggio, per capirsi, non abbia
più senso. Attorno a noi si muove un universo
di segnali e di cambiamenti che un
artista deve saper cogliere e rappresentare;
il ricorso a soluzioni inedite è quanto
mai stimolante e apre infinite possibilità.
Per questo nelle mie opere utilizzo inserimenti
materici, abbinando pittura, disegno
e grafica a materiali che conferiscono
al mio lavoro la massima tridimensionalità
possibile.
Attualmente Antonini sta lavorando ad
un’opera ambiziosa che rappresenta il
dramma delle tante morti che si accompagnano
alla traversata del Mediterraneo.
L’opera s’intitola Sindoni, tanti pezzi unici
e numerati realizzati con teli isotermici
− quelli che vengono dati alle persone
soccorse in mare per attutire lo shock termico
− che sono poggiati per “stamparli”
su manichini preventivamente colorati
con tinte acriliche, così che, come nella
sacra Sindone, resti l’impronta, qui simbolica,
di questi sventurati.
Nella buona e nella cattiva sorte, polimaterico su tavola, cm 100x100
Nato nel 1979, Valentino
Antonini vive a Scandicci,
è sposato ed ha tre figli.
Molte le collettive a cui ha preso
parte a Firenze (Auditorium al Duomo,
Giubbe Rosse, Casa di Dante,
Florence Art Deposit Gallery);
è stato inoltre finalista del primo
Concorso internazionale arte contemporanea
Ussi promosso dal
Circolo degli artisti - Casa di Dante
a Firenze e del XXV Premio Firenze.
Recensito nel catalogo Artisti a
Firenze 2019, ha in programma
la partecipazione alla mostra Arte
Fuori presso il Museo di arte contemporanea
di Ningbo in Cina.
valentinoartivisive@gmail.com
@valentinoartivisive
#worldinprogress, maniera nera su carta martello, cm 47x31
Valentino Antonini
VALENTINO ANTONINI
27
Facoltà Teologica dell’Italia Centrale
PROGRAMMA CORSO OPZIONALE
LA BELLEZZA DELLA FEDE
NELL’ARTE DI RAFFAELLO SANZIO
A cura della professoressa Anita Norcini Tosi
Argomenti ed opere trattate dal corso in oggetto
• L’Umanesimo e il Rinascimento nell’arte di Raffaello Sanzio
• Il contributo di Raffaello come capo architetto alla Basilica di San Pietro
• Stanze Vaticane (Palazzo Apostolico) 1508-1511
Stanza della Segnatura:
La volta è decorata con immagini distribuite in tredici scomparti: al centro un grande ottagono con lo stemma
papale dei Della Rovere i Quattro Troni; la Teologia; la Giustizia; la Filosofia; la Poesia; Adamo ed Eva; il Giudizio di
Salomone; il Primo Moto; Apollo e Marzia. Sulle pareti: la Disputa del Sacramento; la Virtù e la Legge; la Scuola di
Atene; il Parnaso
Stanza di Elidoro:
Cacciata di Elidoro dal Tempio; la Messa di Bolsena; la Liberazione di San Pietro; incontro di Leone Magno
con Attila
• La Resurrezione di Cristo, 1501-1502 (Museo d’arte di San Paolo, Brasile)
• Lo sposalizio della Vergine, 1503-1504 (Pinacoteca di Brera , Milano)
• Trinità e Santi, 1505-1508 (Cappella di San Severo, Perugia)
• Deposizione Borghese, 1507 (Galleria Borghese, Roma)
• La Trasfigurazione, 1518-1520 (Musei Vaticani)
• Leone X de’ Medici con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi De’ Rossi, 1518 (Galleria degli Uffizi)
• Madonna della Seggiola 1513-1514 (Galleria degli Uffizi)
Rivolgersi alla segreteria della Facoltà alla Dr.ssa Sara Mazzanti
+ 39 055 428221
segreteria@teofir.it
PREMIO NAZIONALE FILOSOFIA e TEOLOGIA
I a Edizione 2021 - Tema: L’Inferno di Dante Alighieri
Ai partecipanti al bando per l’indirizzo filosofico si richiede un saggio di filosofia relativo ai canti dell’Inferno sul
tema ontologico del “conosci te stesso” socratico, sviluppando collegamenti fra il pensiero dominante di Dante e
la filosofia espressa nella cantica. Si invita a sviluppare una propria ricerca personale che interagisca con il contesto
dell’opera dantesca. L’elaborato non deve superare le 60 cartelle in formato A4, in carattere Colibrì, corpo 12,
interlinea 1,5. L’intelletto opera in un perenne movimento creativo, in quell’eterno spazio atemporale .
Per ulteriori informazioni:
https://creativitafi.wordpress.com/blog/
A cura di
Stefano Marucci
Storia delle
Religioni
La devozione mariana di San Francesco
di Valter Quagliarotti
Consideriamo un aspetto della figura
di San Francesco d’Assisi
che riguarda la sua devozione a
Maria: c’è un’espressione nella lode di
San Francesco che sembra raccogliere
in sé tutta la sua teologia mariana
in rapporto al mistero di Cristo e della
Chiesa: “Quæ es Virgo Ecclesia facta”.
Colei che proprio in virtù della sua verginità,
per il fatto stesso che è Vergine
immacolata, diventa feconda Madre
dei viventi. Al suo apparire è la Chiesa
che si presenta nella sua immagine originale,
nella sua perfezione definitiva,
La Porziuncola nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi
nella sua gloria incomparabile, in questa
identificazione incarnata di Maria,
vergine fatta Chiesa, condivisa da tutti
i fedeli. La cappella della Porziuncola
ad Assisi era dedicata a Santa Maria
degli Angeli. Questo titolo nel Medioevo
indicava normalmente il mistero
dell’Assunzione della Vergine Maria. Il
riferimento agli angeli, però, è più vasto
e si estende anche all’Annunciazione
ove l’Arcangelo Gabriele offre il proprio
servizio alla Vergine Madre del Signore.
Quindi la Porziuncola per Francesco
è il luogo dove abita la Vergine Maria
con la corte angelica. San Bonaventura,
nella Leggenda Maggiore, così scrive:
«Il beato Francesco venne al luogo
detto la Porziuncola, in cui era la chiesa
della Vergine Santissima, fabbricata da
antica data, ma allora abbandonata. Vedendola,
dunque, il Santo così abbandonata,
per la sua fervente devozione
verso la Regina del mondo, prese a dimorarvi
per ripararla. Questo luogo il
Santo amò più di ogni altro al mondo:
qui egli incominciò nell’umiltà; qui progredì
nella virtù; qui felicemente chiuse
i suoi occhi. Per questo lo raccomandò
in modo particolare ai suoi frati
come carissimo alla Vergine. Di
questo un frate, caro a Dio, aveva
avuto una visione prima della
propria conversione ed è cosa
degna di essere ricordata. Vedeva
egli una grande quantità di uomini
percossi da cecità stare intorno
a questa chiesa e, con le lacrime
agli occhi, gridavano a Dio, invocando
misericordia e la luce degli
occhi. Questo è il luogo in cui ha
avuto inizio l’Ordine dei Frati Minori,
fondato da San Francesco
per divina ispirazione». Queste
folle malate e cieche che accorrono
alla Porziuncola e ricevono la
salute e la vista, manifestano che
al tempo di Bonaventura (1263)
c’era già una folla di gente che andava
e veniva dalla Porziuncola e
riceveva la guarigione dell’anima e
del corpo. Questo è proprio il frutto
del “perdono di Assisi”, così
come testimoniato dal Diploma
di Teobaldo a cui è legato l’indulgenza
della Porziuncola. Pertanto
la devozione mariana di Francesco
diventa così annuncio ed edificazione
del Regno del Figlio della
Vergine Madre Maria, poiché proprio
in quella dimora di grazia, che
è Santa Maria degli Angeli, divenne
per lui e per la Chiesa singolarmente
visibile il mistero salvifico
della Madre della Misericordia,
della “Regina del mondo”.
SAN FRANCESCO
29
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Joanna Brzescinska Riccio
L’inganno delle apparenze, la verità del segno
di Daniela Pronestì
Vedesi l’aria tinta di oscura
nuvolosità, (…) mischie
di piogge e di venti con ser- «peggiamenti de’ tortuosi corsi delle minaccianti
folgori celesti; le piante legate
a terra colle rovesciate foglie sopra i declinati
rami paiono voler fuggire dai loro
siti come spaventate dalle percussioni
degli orribili e spaventosi voli de’ venti».
Così Leonardo da Vinci nel Trattato
della pittura descrive lo scenario quasi
apocalittico che caratterizza la rappresentazione
di una tempesta: pioggia,
vento, fulmini percuotono la terra con
spirali di aria e di acqua alla cui potenza
nulla può resistere. Quello che Leonardo
non dice ma che si evince dal brano
in parte qui riportato, è che proprio
nella tempesta si rivela la segreta energia
che muove l’universo e lo alimenta
unendo in un solo respiro terra, cielo ed
astri. Di questa energia parlano appunto
le opere di Joanna Brzescinska Riccio
attraverso quella che potrebbe sembrare,
essendolo per certi versi, la rappresentazione
di una tempesta. Nel suo
caso, infatti, questa nebulosità priva di
forma non è un fenomeno atmosferico,
né tantomeno il caos primigenio dal
quale ha avuto origine il mondo. Quella
evocata dalle immagini – lo suggerisce
Nous (2019), disegno a china su carta Magnani, cm 56x76
il titolo di una delle opere qui pubblicate
– è l’intelligenza cosmica che i filosofi
antichi definivano “nous”, ovvero il
principio unitario su cui la realtà si fonda.
In effetti, osservando bene queste
forze vorticose ci accorgiamo che non
agiscono separando una cosa dall’altra
o viceversa mescolandole caoticamente,
ma le fanno convergere in un tutto
armonico, riportandole così all’unità
originaria. Traslando questa rappresentazione
dal piano simbolico a quello
concreto del mondo terreno vi si può
leggere la critica dell’artista ad una visione
dualistica della realtà, che porta
l’individuo a percepirsi come un essere
separato dagli altri e da tutto ciò che
lo circonda, anziché sentirsi parte di un
Megalith (2018), disegno a china su carta Magnani, cm 50x70
Lux Lucis (2020), disegno a china su carta Magnani, cm 56x76
30
JOANNA BRZESCINSKA RICCIO
Estensione I - verso il Sole (2019), disegno a china su carta Magnani in 3D, cm 21x30 e cm 50x70
solo intero. Una percezione paragonabile
ad un’illusione ottica che impedisce
di riconoscere la verità delle cose guardando
oltre il loro volto apparente. Ecco
perché la prima esperienza che siamo
chiamati a vivere davanti a queste opere
è appunto quella di riconoscere la vera
natura di ciò che stiamo osservando,
di una tempesta che non è fatta di acqua
e di vento, come potrebbe sembrare,
ma è un vortice generato dalle sottili
trame di energia che collegano
tra loro uomo e natura,
cose ed eventi, come
fossero tutti fili di uno stesso
tessuto. Saper cogliere i
nessi tra il visibile e l’invisibile,
tra la coscienza del
singolo e il sentire universale,
significa reinventare il
proprio modo di essere al
mondo e di relazionarsi con
esso. Significa, soprattutto,
compiere un viaggio iniziatico
verso la luce – si pensi
all’opera Lux Lucis – metafora,
quest’ultima, di una
consapevolezza che queste
opere trasudano fin dal più
piccolo segno tracciato sul
foglio. Il disegno è per Brzescinska
Riccio una forma
di meditazione, una riflessione
profonda sul rapporto
di necessità che lega un tratto di
china ad un altro, sull’armonia che li tiene
insieme. L’atto del disegnare – pare
dire l’artista – non è qualcosa di diverso
o di separato dalla vita, un’esperienza
che inizia e finisce come un’interruzione
nel costante divenire delle cose. Al contrario,
è la vita che attraverso la penna
fluisce sul foglio, in uno scambio osmotico
tra la realtà fuori e il mondo dentro.
Un concetto chiaramente espresso
in due recenti lavori che fin dal
titolo Estensione suggeriscono
un’idea del disegno come qualcosa
che ha un inizio – l’incontro
tra la penna ed il foglio – ma
non una fine, una forza illimitata
che si propaga anche al di là
del conosciuto. È la certezza, cara
all’artista, che esistano realtà
parallele a quella esplorata con i
sensi, livelli energetici che esigono
un profondo stato di coscienza
per essere sperimentati.
L’immagine diventa tramite di
questa rivelazione, con un dipanarsi
capillare e caleidoscopico
dei tratti d’inchiostro dal
disegno più piccolo, scelto come
matrice e collocato al centro
dell’opera, al foglio più grande,
come se l’uno fosse emanazione
dell’altro ed entrambi a loro
volta si estendessero oltre i limiti
della superficie. Giorni e giorni di
lavoro, a volte intere settimane, per dare
forma ad una vocazione tanto ostinata
quanto autentica che la spinge a fare
dell’atto creativo l’espressione dell’esserci
“qui ed ora”, nel tempo presente,
ma anche del sentirsi parte di un disegno
più grande.
www.joannabrzescinskariccio.com
Joanna Brzescinska-Riccio Art
Estensione II - verso la Luna (2019), disegno a china su carta Magnani in 3D, cm 21x30 e cm 50x70
JOANNA BRZESCINSKA RICCIO
31
Il tempo sospeso “strada facendo…”, olio su tela di juta, cm 70x50
Giuseppe Rizzo Schettino
Il tempo raffigurato nell’opera si ribella alla convenzionale linearità cronologica ed al suo ordine prospettico passato /
presente / futuro. È un tempo dilatato, sfumato, fluttuante. Il colore, che sembra rappresentare l’unica ultima certezza
dell’uomo, quella della propria storia personale, di ciò che è già stato vissuto, dell’esistito, e quindi dell’unico tempo illusoriamente
noto, nell’opera precede la figura umana, ma contemporaneamente la accompagna avvolgendola fedelmente,
fino a disegnarle, con pennellate vorticose e gentili, un passo che risulta orientato verso una più dedicata ed approfondita
indagine interiore, risolvendo l’impasse del tempo “congelato” con una chiave di lettura audace, innovativa, dinamica e
propositiva: si può realmente “uscire” soltanto “entrando” davvero. In questo senso, il tempo apparentemente fermo diventa
movente del più impellente appuntamento umano, quello con se stessi, il tempo della coraggiosa scoperta di sé, della
conoscenza onesta e della com-prensione (da cum-prehendere) della propria intimità, e l’essere assume i connotati dell’esserCi,
ossia dell’essere in totale completo rapporto con il mondo che include, custodisce e tramanda.
Federica Commisso
Studio e atelier
Via di Peretola, 45 - 50145 Firenze
+ 39 055 0500106
+ 39 338 8577794
www.giuriscart.it
giuseppers@gmail.com
Salute e
società
Giornata nazionale e mondiale in ricordo
delle Vittime della strada 2020
Ne parliamo con la presidente della AIFVS Giuseppa Cassaniti Mastrojeni
di Doretta Boretti / foto Lorenzo Borghini
Il 15 novembre 2020, terza domenica
del mese, si è onorata la Giornata
Mondiale del Ricordo delle Vittime
della Strada. Si tratta di una ricorrenza
riconosciuta dall’ONU nel 2005 e
dallo Stato italiano con la legge n. 227
/2017 per promuovere la consapevolezza
della gravità delle stragi stradali.
Una media annuale di 9 morti al giorno,
di 254.683 feriti all’anno, circa 697 al
giorno, compresi gli invalidi permanenti.
Il programma d’azione europeo insiste
sulla responsabilità condivisa tra
pubblico e privato sociale, considerata
una sfida ed un obbligo per tutti coloro
che hanno ruoli decisionali. La legge
227/2017 rivolge l’appello direttamente
alle istituzioni allorquando afferma
che “la Repubblica riconosce la terza
domenica di novembre come Giornata
nazionale in memoria delle vittime della
strada e promuove ogni iniziativa utile
a migliorare la sicurezza stradale”. Un
riconoscimento che non può esaurirsi
nel ricordo di un giorno ma impegna le
istituzioni a raggiungere l’obiettivo prefissato.
«Gli interventi fino ad ora attuati,
e spesso solo ad opera del privato
sociale – afferma la presidente della
AIFVS Giuseppa Cassaniti Mastrojeni –
sono stati a macchia di leopardo e non
hanno raggiunto l’obiettivo europeo.
Bisogna creare sinergie istituzionali su
obiettivi condivisi e forme organizzative
adeguate e passare ad interventi di sistema
a tappeto ad opera dei ministeri
dell’Istruzione, della Salute, dell’Interno
e delle Infrastrutture, ai quali il privato
sociale offre la propria collaborazione».
Quest’anno stiamo vivendo la drammatica
esperienza della pandemia da Covid-19.
Il nostro paese, a tutti i livelli,
si è mobilitato per sconfiggere un virus
ancora sconosciuto, mentre la grave
pandemia chiamata “strage stradale
continua” resta largamente trascurata,
nonostante ne conosciamo i responsabili,
le cause e le misure da prendere.
Come se la strage fosse un fatto privato,
scollegato da responsabilità sociali
ed istituzionali. Prosegue la presidente:
«Il nostro drammatico vissuto di familiari
di vittime della strada ci rende
consapevoli che la responsabilità della
strage stradale non sia da imputare
solo agli utenti della strada che non ri-
spettano le norme, ma anche alle istituzioni
che non perseguono la propria
missione, continuando a mantenere
in condizioni deficitarie i diversi settori
della prevenzione: informazione,
formazione, coordinamento, controlli,
adeguamento normativo delle infrastrutture.
Pertanto, con riferimento
alla Giornata del Ricordo 2020, il nostro
messaggio è stato rivolto a tutte
le istituzioni che hanno responsabilità
decisionali, perché trasformino il ricordo
delle vittime nell’impegno a dare
priorità alla prevenzione e applicarla ai
contesti territoriali, pianificando la forma
organizzativa adeguata al raggiungimento
dell’obiettivo finale, previsto
dall’Europa, ovvero “vittime zero”. Sono
certa che tutte le associazioni di familiari
di vittime della strada faranno la
loro parte per dare sempre adeguato rilievo
alla Giornata del Ricordo, affinché
il ricordo sia monito per tutti, istituzioni
e utenti della strada, e la prevenzione
sia priorità dello Stato». Accendiamo,
quindi, i riflettori sulla strage stradale
perché non continui ad essere così colpevolmente
sottovalutata.
Due foto dal set del film-documentario di Lorenzo Borghini sulle vittime della strada
VITTIME DELLA STRADA
33
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
Il ruolo del costumista in uno
spettacolo teatrale
Ce lo illustra Elena Bianchini, responsabile del Laboratorio
d’Arte del Teatro della Pergola a Firenze
di Doretta Boretti / foto Filippo Manzini
Quale luogo più invitante del
Laboratorio d’Arte di uno tra i
più antichi e storici teatri italiani
in questo faticoso dicembre
2020? Mi trovo in compagnia della
dottoressa Elena Bianchini che, da circa
cinque anni, è responsabile del
Laboratorio d’Arte del Teatro della Pergola
a Firenze.
Lei è alla guida di questo meraviglioso
atelier. È stato emozionante
accettare un ruolo così prestigioso?
Molto emozionante! Era il 2014 quando
il direttore del Teatro della Pergola
Marco Giorgetti mi contattò per chiedermi
se me la sentivo di creare insieme
a lui un laboratorio di scene e
costumi negli spazi del teatro. Avremmo
dovuto dare vita ad esperienze artistiche
ed artigianali di varia natura,
inventare una sorta di luogo delle arti
e dei mestieri d’arte teatrali. Ho accettato
l’incarico con grande entusiasmo,
consapevole del fatto che mi aspettava
un lavoro complesso e multiforme.
L’idea era quella di costruire una realtà
interna al teatro che potesse essere
un luogo di progettazione e di realizzazione
delle scenografie e dei costumi
per gli spettacoli prodotti dal teatro
e allo stesso tempo un polo di formazione
sui mestieri del teatro. Il lavoro
è iniziato da zero ed in poco tempo la
bellissima soffitta del Teatro della Pergola,
con affaccio sui tetti di Firenze e
vista cupola del duomo, si è popolata
di manichini, macchine da cucire, tavoli
da taglio, colori, creta, gessi e tanti
altri materiali. Nel giro di qualche mese
abbiamo iniziato a prendere le iscrizioni
per i corsi di formazione e a realizzare
costumi di ogni epoca, maschere ed
elementi di scena.
Elena Bianchini
Da quali esperienze è partita la sua
passione e che studi occorrono per
arrivare a questo traguardo?
Il mio percorso non è stato lineare. E soprattutto
quando lo ho iniziato non avevo
idea di dove mi avrebbe portato. Non
so rispondere alla domanda su quale
tipo di studi occorrano per fare il costumista
o il regista o qualunque altro
lavoro legato al teatro e all’arte in generale.
Credo che ognuno abbia una sto-
34
ELENA BIANCHINI
ria propria, molto individuale e
spesso sofferta che porta alla
necessità di raccontare attraverso
le immagini, i movimenti,
la musica e la parola. Diventa
una necessità. Io mi sono laureata
in Storia dell’arte ed ho
iniziato a lavorare in teatro per
caso, facendo maschere per i
cori nelle opere liriche. Ma se
dovessi dire cosa mi ha formato
rispetto alla rappresentazione
e ai suoi linguaggi, dovrei
parlare della mia passione per
il disegno e la scultura, per
i riti sacri, le processioni e i
reliquiari, per l’iconografia medievale
e per le marionette, per
i balletti russi dei primi del Novecento,
per Coco Chanel ed
Elsa Schiaparelli e per i maestri
Danilo Donati e Lele Luzzati…poi
ad un certo punto ho provato a
mettere tutto insieme.
Immagino che il suo lavoro inizi con
un testo teatrale...
Certamente. Si parte dallo studio del testo
da mettere in scena e dall’idea del
regista sulla rappresentazione di quel
testo. La fase immediatamente successiva
è quella della ricerca iconografica,
ovvero della raccolta di immagini attraverso
le quali si inizia a definire l’estetica
della messa in scena. Le fonti dalle quali
attingere possono essere le più disparate:
foto di archivio, cataloghi di mostre
In questa e nelle altre foto alcune fasi del lavoro nel Laboratorio d’Arte della Pergola
e musei, riviste di moda, stampe, campagne
pubblicitarie, immagini digitali,
foto di allestimenti teatrali o cinematografici.
Attraverso gli incontri con il regista
si procede alla selezione del materiale
in modo da definire ulteriormente lo stile.
Il costumista passa poi alla fase della
realizzazione dei bozzetti che definiscono
le vestizioni di ogni personaggio, incluse
acconciature e trucco. Ogni disegno deve
tener conto anche dei materiali con i
quali si andranno a realizzare i costumi,
questo implica che ad ogni tavola siano
abbinati dei campioni di tessuti che il costumista
deve aver selezionato parallelamente
alla fase progettuale. Le scelte
merceologiche sono fondamentali e determinanti
rispetto alla resa del costume
in scena. Appena il regista approva i bozzetti
si passa alla fase sartoriale: ricerca
o creazione dei cartamodelli e loro adattamento
alle misure dell’interprete, taglio
del tessuto, confezione, correzioni, rifiniture,
eventuali decorazioni o invecchiamenti.
Tutte queste fasi sono intervallate
da prove intermedie sull’interprete stesso.
Una volta realizzati in sartoria, i costumi
vanno in prova in scena ed è in quel
contesto che per la prima volta si vede il
loro effetto in relazione alla scenografia e
alle luci; si procede alle varie correzioni
che la visione di insieme può richiedere.
ELENA BIANCHINI
35
Come si costruisce un rapporto armonico
con il regista, lo scenografo, il direttore
di scena, il direttore delle luci?
Il teatro è un grande lavoro di équipe ma
allo stesso tempo è rigidamente gerarchico.
E così deve essere affinché ci sia
l’armonia necessaria alla buona riuscita
dello spettacolo. Il regista conduce il
gioco e si confronta a livello progettuale
con il costumista, lo scenografo ed il
light designer. Questo tipo di lavoro che
si basa su scambi continui di immagini,
suggestioni e riflessioni porta alla
realizzazione dei bozzetti che, una volta
approvati, danno il via alla fase della
produzione esecutiva dello spettacolo.
Il lavoro del costumista è molto particolare
perché oltre a dover creare costumi
che rispondano alle esigenze estetiche
dello spettacolo, deve anche fare in modo
che gli interpreti abbiano la possibilità
di compiere i loro movimenti di scena
con il massimo dell’agio. Il costume è
senza dubbio una seconda pelle che deve
aiutare l’attore, il cantante o il tersicoreo
ad “entrare” nel personaggio che
è chiamato a rappresentare. Ci sono costumi
che determinano e indirizzano il
movimento, altri che deformano o alterano
il corpo (corsetti, guaine, protesi,
maschere), altri che lo nascondono. Altri
ancora che lo svelano. Anche la nudità
è un costume di scena.
Quanto tempo occorre per preparare i
vestiti per uno spettacolo?
Dipende dal progetto, dalla quantità di
pezzi da realizzare e dalla forza lavoro…posso
rispondere dicendo che solitamente
il tempo non basta mai.
E le parrucche, i cappelli, gli accessori,
le maschere?
Tutto fa parte del concetto di costume.
È il costumista che al momento della
progettazione e del bozzetto dà le indi-
36 ELENA BIANCHINI
Il Teatro della Pergola a Firenze
cazioni sugli accessori che completano
il costume di scena: gioielli, cappelli,
occhiali, borse, bastoni, maschere, acconciature
e parrucche. Ovviamente poi
c’è il confronto con il truccatore, il parrucchiere
e l’attrezzista.
Con quanti spettacoli si è dovuta confrontare
in questi anni e con quali registi?
Il Laboratorio d’Arte è stato parte integrante
di tutte le produzione che dal
2014 ad oggi hanno trovato la loro genesi
alla Pergola. Cito alcuni titoli, autori
e interpreti. La collaborazione con
il maestro Gabriele Lavia è stata senza
dubbio determinante in questi anni,
in modo particolare per le regie di
spettacoli come Il sogno di un uomo ridicolo
di Dostoevskij, L’uomo dal fiore
in bocca e I giganti della montagna
di Pirandello; c’è stata poi la collaborazione
con Paolo Valerio, con Emanuele
Gamba per Truman Capote – questa
cosa chiamata amore e Vertigine in altezza,
un monologo su Emily Dickinson
interpretato da Daniela Poggi. Ci siamo
confrontati con costumi da danza grazie
al rapporto con Virgilio Sieni (Babele
e Prèlude à l’après-midi d’un faune) e
con testi di drammaturgia contemporanea
disegnando e realizzando i costumi
per Svegliami, con la regia di Roberto
Bacci, il testo di Michele Santeramo e
l’interpretazione di Maurizio Donadoni.
L’ultimo spettacolo a cui abbiamo lavorato
è Dubliners di James Joyce, regia
di Giancarlo Sepe, che avrebbe dovuto
aprire la stagione del Teatro della Pergola
ma che non è ancora andato in
scena a causa del lockdown.
Un laboratorio storico quello del Teatro
della Pergola. Vi occupate anche
di restauro?
Al momento possiamo restaurare costumi
di scena quando è necessario per
i nostri allestimenti ma ci stiamo adoperando
per riuscire a coprire con i nostri
corsi anche questo settore visto che ci
arrivano molte richieste di persone interessate
ad apprendere queste tecniche.
Per una laureata come lei in Storia
dell’arte, ritrovarsi immersa in questo
mondo così magico, deve essere stata
una grande avventura. Lei è molto
giovane ancora: ci sono momenti
così faticosi da portarla a pensare di
rimettere in gioco la sua scelta professionale?
Sul molto giovane per una quasi quarantenne
avrei da ridire, comunque
grazie! Ho iniziato a lavorare in teatro
mentre scrivevo la tesi, quindi ormai
sono passati diciassette anni. Fino ad
ora non mi è mai capitato di mettere
in discussione la mia scelta anche
perché non mi saprei neanche immaginare
in un altro contesto. Nel nostro
lavoro ci sono momenti di grande difficoltà,
come quello che stiamo attraversando,
in cui viene messa in luce
ancora una volta la fragilità di un settore
che rappresenta invece una delle
colonne portanti della nostra identità
culturale ed individuale. Ritengo quindi
che oggi più di sempre fare teatro
sia un atto di resistenza.
ELENA BIANCHINI
37
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Giulio Galgani
La ricerca di un nuovo equilibrio
di Daniela Pronestì
Aprirsi al nuovo pur restando
sempre se stessi è un traguardo
non facile da raggiungere
soprattutto per un artista. Il cambiamento
spaventa, mina le basi delle certezze
ormai appurate, espone al rischio
di veder vacillare il consenso dei propri
estimatori. La verità è che lo stile,
a cui è legata la riconoscibilità dell’artista,
non può essere né una limitazione
né lo scopo ultimo, ma deve essere
invece uno strumento flessibile quanto
basta ad integrare nuove esigenze
espressive in un percorso già consolidato.
La lunga storia artistica di Giulio
Galgani è un esempio di come sia possibile
rinnovare anche in maniera significativa
il proprio codice stilistico senza
dover rinunciare o peggio ancora tradire
i principi sui quali questo si fonda. Ancora
meglio potremmo dire che nel suo
caso intendere il corpo dell’opera come
luogo della convergenza, e talvolta
anche del conflitto, tra valori stabili appartenenti
alla tradizione e suggestioni
ispirate dalle continue sperimentazioni,
lo ha portato ad avvalersi dello stile per
governare una struttura complessa, al
cui interno convivono da sempre
colore, materia, oggetti di
recupero, pittura e scultura insieme.
Gli ultimi lavori realizzati
tra il 2019 e l’anno ancora
in corso mantengono inalterati
alcuni aspetti cardine del suo
linguaggio – il segno come generatore
di spazio, movimento
e significato, la presenza di
figure proposte in diverse varianti
ma sempre come forme
archetipiche, la combinazione
dell’elemento grafico con il
colore vivo e il rilievo materico
–, pur mostrando un nuovo
rigore costruttivo, a cominciare da una
tessitura più rada del segno che alla ripetizione
ossessiva dello stesso motivo
preferisce in questo caso il contrappunto
tra pieni e vuoti. Il ricorso a tinte neutre
e a pochi altri colori brillanti, insieme
ad un uso più mirato dei fresati, confermano
il raggiungimento di un nuovo
equilibrio tra ricerca dell’ordine e fascino
del caos. Quasi a dire che in una situazione
di totale disorientamento come
quella che stiamo attraversando, l’arte
Teatro del silenzio - lockdown (2020), fresato di pneumatico,
zama, bronzo e acrilici su tela, cm 120x150
diventa un’isola felice nella quale immaginare
un’armonia ancora possibile tra
gli opposti. E infatti la pandemia raccontata
da Galgani esorcizza il dramma con
una danza jazz cui prendono parte contagiati
e non, i primi piccoli e colorati di
rosso, i secondi neri ed imponenti, e tutti
insieme a condividere uno spazio nel
quale è facile superare la linea di demarcazione
tra chi ha già contratto il virus e
chi ancora no. Un’insidia nascosta nella
tinta luminosa del colore di fondo, che
Pandemia in jazz (2020), fresato di pneumatico,sabbia e acrilici su tela, cm 150x150
Ideogramma in nero (2020), fresato di pneumatico, bronzo e acrilici su tela, cm 150x150
38
GIULIO GALGANI
invita alla gioia di vivere pur celando in
sé un pericolo mortale. È possibile, certo,
opporre una strenua Resistenza al virus,
recita il titolo di un’opera, ma per
farlo occorre lasciarsi contaminare dalla
vita, buttarsi nella mischia come fanno
le intrepide figure nere al centro della
scena, trovando quindi il modo di reagire
alla minaccia del temibile nemico.
Del resto, quello in cui viviamo – sembra
dire Galgani – è un mondo popolato
di virus non solo biologici ma anche sociali,
i quali possono avere effetti ancora
più nefasti di quelli della pandemia. Il
rischio in questa situazione è farsi guidare
dall’istinto, senza capire che proprio
ciò che ci separa è anche ciò che ci
unisce: distanti per paura del contagio,
siamo, da questa stessa paura, collegati
indissolubilmente l’uno all’altro. Un
concetto espresso, nell’opera Teatro del
silenzio, dalla complessa trama di linee
dove il rosso, colore del contagio, s’intreccia
al nero, indicatore dell’assenza di
pericolo, mostrando la distanza impossibile
tra vite interdipendenti all’interno
del medesimo sistema sociale. Proprio
come in una rete anche noi siamo fili annodati
gli uni agli altri da vincoli che non
possiamo sciogliere se non rinunciando
all’integrità della rete stessa: non “io
contro gli altri”, quindi, ma “io insieme
agli altri”, in un abbraccio solidale. La
pandemia diventa così uno straordinario
esperimento sociale, una messa alla
prova dell’agire individuale in favore del
bene collettivo. Cambiano gli stili di vita,
gli assetti economici e politici, cambia
pure L’origine del vento, titolo di un’opera
emblematica del ruolo della Cina non
solo nella diffusione del virus, ma anche,
e soprattutto, nell’essere “origine di un
vento”, appunto, che soffia forte e che
scompagina insieme alle fondamenta
culturali del colosso estremorientale anche
gli equilibri globali. L’effigie di Mao
Tse-Tung assume l’aspetto di un’icona
pop, con tanto di camicia alla moda e
lo sguardo fiero di chi sa di essere un
simbolo ancora irrinunciabile per tanti.
È il volto di una storia che il presente
non ha cancellato, ma a cui ha dato invece
un appeal accattivante, vestendolo
di suggestioni venute dall’Occidente. Ed
è sempre la Cina ad offrire lo spunto per
un’opera, Ideogramma in nero, in cui i
tre colori della tradizione calligrafica – il
bianco del foglio, il nero dell’inchiostro
e il rosso del sigillo – appaiono destrutturati
in una composizione astratta. Al
gesto dinamico del pennello che scorre
sul supporto subentra in questo caso
il ritmo generato dalla musicalità del
colore – note gravi si alternano a suoni
acuti, lunghe pause ad improvvise ripartenze
– e dall’avvicendarsi sulla “pelle”
del dipinto di zone piatte ed opache ad
altre scabre e in rilievo. La forma bianca
domina il centro dell’opera con la propria
esistenza placida, ferma, assoluta,
mentre intorno dilagano silenzi in nero
e voci tonanti in rosso Cina. In altri lavori
come Equilibrio in volo e Girasoli,
la presenza di un fulcro irradiante suggerisce
una lenta impercettibile rotazione
che cattura lo sguardo impedendogli
di “annegare” nella profondità del bianco
o di farsi abbagliare dalla luminosità
dell’oro. Gli inserti in bronzo accentuano
un’idea del colore come materiale
plastico, concreto, scultoreo, mentre la
varietà di materiali – fresato, acrilico e
sabbia – conferma una scelta espressiva
da sempre fondata nell’opera di
Galgani sull’accordo di più elementi
ciascuno dei quali portatore di una propria
specificità.
Girasoli (2019), fresato di pneumatico, sabbia, bronzo e acrilici su tela, cm 140x110
L’origine del vento (2020), acrilici su tela, cm 80x56
GIULIO GALGANI
39
presenta
Umberto Bianchini
Concerto, olio su tela, cm 120x80
Dicembre è un mese sempre significativo per le persone, accompagnato da feste, regali,
addobbi, cene con i parenti. Questo dicembre rimarrà nella storia e nella memoria di tutti
quelli che lo hanno vissuto. In questa occasione, la FirenzeArt Gallery vuole porre l’attenzione
sul pittore Umberto Bianchini scomparso agli inizi del 2010.
Perché questa scelta? Non di certo per un motivo commemorativo, più che altro per la
sua forma di espressione. L’opera di Bianchini si caratterizza per una pittura tenue, con cui
rappresenta volti delicati e ambienti domestici, come soffitte, stanze con specchi, mobili
con oggetti quotidiani, libri e vasi. Elementi che donano un senso di calma, di ambiente
confortevole, di accoglienza verso l’osservatore che, immergendosi negli oggetti rappresentati
oppure negli occhi delle donne ritratte, si sente a proprio agio in queste stanze, tra
questi oggetti e questi sguardi.
Bianchini non ritraeva ma raccontava i pensieri e le vicende dei personaggi e anche degli
oggetti con cui questi venivano raffigurati. Nato a Firenze nel 1934, dopo aver lavorato
nell’artigianato e nella grafica pubblicitaria, inizia a dipingere da autodidatta, trovando
nella pittura la sua forma espressiva. Risale al 1968 la sua prima mostra personale a Firenze.
Era socio del Gruppo Donatello, con cui ha esposto in collettive e personali, e dell’associazione
culturale Gada, allora diretta da Edda Vedda, con cui ha diviso studio e carriera.
FirenzeArt Gallery | Piazza Taddeo Gaddi 2/r, 50142 Firenze | + 39 055.224028 | www.firenzeart.it | info@firenzeart.it
Terrazza fiorentina, olio su tela, cm 80x60 (Collezione d’arte Sbrilli Miraldo)
Andrea Tirinnanzi, estimatore e promotore
dell’arte di Umberto Bianchini, ha
sempre intravisto qualcosa di particolare
negli occhi dei personaggi raffigurati
da questo pittore, occhi che le figure
non hanno mai avuto.
La FirenzeArt Gallery promuove dal
1988 l’arte di Umberto Bianchini; ricordiamo
le mostre realizzate a Montespertoli
dal 1999 al 2004, la mostra
Silenziose armonie curata da Gabriella
Gentilini nel novembre 2000, la collettiva
del 2005 a Firenze e la mostra antologica
Gli occhi dell’anima realizzata
nel 2016 con la curatela sempre di Gabriella
Gentilini. La galleria vanta una
vasta collezione di opere di Umberto
Bianchini grazie al fatto di averlo seguito
per tanti anni nel suo percorso di
crescita. Le opere sono tutte visibili e
acquistabili sul sito:
www.firenzeart.it
Un ringraziamento particolare alla Collezione
d’arte Sbrilli Miraldo.
Insieme, tecnica mista su tela, cm 80x60
FirenzeArt Gallery | Piazza Taddeo Gaddi 2/r, 50142 Firenze | + 39 055.224028 | www.firenzeart.it | info@firenzeart.it
Personaggi
Don Piero Malvaldi
La comunità di Forte dei Marmi nell’intervista al parroco di
Sant’Ermete Martire
Iniziative culturali e di solidarietà per favorire coesione e dialogo tra le varie
classi sociali della città
di Fabrizio Borghini / foto courtesy don Piero Malvaldi
Di don Piero Malvaldi, parroco
di Sant’Ermete Martire a Forte
dei Marmi, parlarono diffusamente
giornali, televisioni e radio
in occasione della Pasqua 2020 quando,
nel celebrare la messa, espresse la
sua parola dolorante di padre spirituale
di una comunità davanti a una chiesa
resa deserta dal primo lockdown. Lo
incontriamo all’indomani dell’estensione
della zona rossa alla nostra regione
con la prospettiva incombente che la
scena si possa ripetere in occasione del
prossimo Natale… «Il periodo di Pasqua
è stato delicato perché non eravamo
preparati e questa impreparazione
– dichiara don Piero – non ci ha consentito
nell’immediato di stabilire un
rapporto alternativo con i parrocchiani.
Con la creazione di un blog parrocchiale
abbiamo cercato di colmare un vuoto,
abbiamo portato avanti il catechismo e
abbiamo potuto dare un briciolo di spiritualità
a molte persone che avevano
perso fiducia in se stessi dopo essere
piombati nello sconforto».
Da quanti anni è parroco a Forte dei
Marmi?
Sono originario di Cascina in provincia
di Pisa e sono arrivato qui nel 1996. Mi
sono subito trovato bene perché i fortemarmini
sono gente buona e ospitale. È
un paese che ha due volti diversi, d’inverno
è una paese di settemila abitanti
con sacche di povertà che nel periodo
estivo, quando si trasforma in una delle
località marittime più esclusive, sono
poco evidenti anche se le distanze
sociali sono enormi. Ricchezza e miseria
convivono a stretto contatto di gomito
quotidianamente ma il luccichio
del lusso riesce solo apparentemente a
nascondere dei bisogni di cui io ho l’e-
Don Piero Malvaldi
satta misura perché molte famiglie si
rivolgono a me per risolvere problemi
giornalieri di sussistenza ai quali riesco
a far fronte grazie alla generosità non
ostentata di molte facoltose famiglie di
Milano, Firenze, Prato, Reggio Emilia,
Sassuolo.…
Giorgio Panariello, nel libro uscito
in questi giorni in cui racconta il
rapporto col fratello Franco, ricorda
come questa comunità, proprio nel
periodo più duro, in inverno quando
c’è poca possibilità di trovare lavoro,
abbia aiutato i due ragazzi dopo
la morte dei nonni…
È vero, Giorgio ha dovuto superare momenti
difficili. Ha cominciato alla nostra
Radio Forte dei Marmi facendo il dj e l’imitatore.
Con altri giovani come lui ha
inventato la rubrica Radio Squillo dove
fino al 1985 ha proposto per la prima
volta il personaggio di Merigo, credo
ispirandosi al sagrestano della sua parrocchia.
Ora la radio l’abbiamo ceduta
al signor Roberto Monciatti di Viareggio
anche se io sono rimasto nel consiglio
di amministrazione.
Anche dal punto religioso la comunità
vede convivere in armonia confessioni
diverse…
42
DON PIERO MALVALDI
Il reliquario di Sant’Ermete
Silvia Cecchi direttore del periodico I quaderni della propositura
Sì, fra i molti ricchi, che qui vengono
definiti “i signori” ma senza nessun
astio o polemica, c’è una folta comunità
russa che impropriamente definiamo
così perché ci sono anche ucraini,
moldavi, bielorussi; anche se d’inverno
vivono a Parigi, New York e Londra,
si sono radicati a Forte dei Marmi.
A questi nuovi villeggianti ho riservato
un altare ortodosso dove sono esposte
icone bellissime che raffigurano San
Nicola, il loro patrono; si avvicinano
all’altare e le sfiorano come volessero
accarezzarle.
Oltre alle icone in chiesa ci sono tantissime
opere d’arte…
L’arte sacra è un veicolo importante per
avvicinarsi alla spiritualità. Per esempio,
ai lati dell’altare ho posizionato due
crocifissi, uno dei quali in ceramica,
profano e modernissimo, è di Ernesto
Treccani, uno dei maggiori artisti del
Novecento. Abbiamo un pregevole bassorilievo
del maestro ornatista Michele
Pardini scomparso un anno fa e una
ricca collezione di ritratti di Sant’Ermete
donati ogni anno da un artista diverso.
Un vasto spazio laterale è addirittura
riservato ad una mostra…
L’artista Dimitry Kuzmin con la riproduzione del Salvator Mundi da lui realizzata
In collaborazione con l’associazione
Russkaya Versilia ne abbiamo allestita
una con opere dell’artista Dimitry
Kuzmin che ha esposto nel 2019 a Vin-
DON PIERO MALVALDI
43
ci in occasione dell’anno leonardiano. Il
2020 è stato l’anno di Raffaello e lui ha
voluto rendergli omaggio con questa
mostra. Dimitry, durante il lockdown di
marzo-aprile, ha realizzato una riproduzione
del Salvator Mundi che è stata aggiudicata
all’asta a un acquirente arabo.
Probabilmente ora si trova in un caveau
e allora abbiamo chiesto all’artista
di donare una riproduzione alla parrocchia
e l’abbiamo posizionata vicino a un
suo busto ligneo raffigurante Sant’Ermete
che contiene le reliquie del santo.
Lei fa ricorso anche al fumetto come
sussidio pastorale…
Con i bambini del catechismo amo molto
utilizzare il fumetto perché per loro è
il messaggio più immediato, ma lo faccio
anche con gli adolescenti, soprattutto
studenti, e con gli adulti; raggiungo
tutti quanti attraverso i loro indirizzi
email.
Un altro strumento di comunicazione
importante è rappresentato dal periodico
di formazione cristiana I quaderni
della propositura…
L’altare degli ortodossi
È un quadrimestrale che ha una tiratura
di duemilacinquecento copie molto utile
dal punto di vista pastorale a cui detti
vita anni fa mettendo a frutto il mio
dottorato in Scienze della Comunicazione
del Vangelo. Poi, essendo un impegno
troppo gravoso, l’ho affidato a una
bravissima giornalista professionista di
Prato, Silvia Cecchi che ha lavorato in
televisione, all’Ansa e al Giornale, che
ne è direttore responsabile mentre io
mi limito a scrivere l’editoriale e a curare
uno spazio nelle ultime pagine che
ho chiamato “Pillole di sorriso”, un antidoto
contro la depressione di questi
tempi. La scrittura è una “malattia” di
famiglia, sono lo zio di Marco Malvaldi,
l’autore de I racconti del Barlume.
Di tutte queste iniziative, qual è quella
di cui è più orgoglioso?
Di una di cui ancora non le ho parlato,
il Premio Amici di Forte dei Marmi che
è giunto alla 18ª edizione ed è stato
conferito a diciotto famiglie che amano
Forte dei Marmi e che hanno dimostrato
nel corso degli anni attaccamento
al paese e alla parrocchia, sono quelle
famiglie che anche in pieno inverno
mi telefonano chiedendomi: «Don Piero
c’è bisogno?». E se dico: «Sì, c’è bisogno»,
dopo pochi giorni arrivano gli
aiuti richiesti.
La chiesa di Sant’Ermete Martire a Forte dei Marmi
La croce in ceramica opera di Ernesto Treccani
44 DON PIERO MALVALDI
Salute e
società
Visite mediche gratuite per le persone in difficoltà grazie
al protocollo d’intesa tra Lions Club Garfagnana e la
Confraternita di Misericordia
di Paolo Dieni / foto courtesy Lions Club Garfagnana
La presentazione del progetto a Camporgiano
ACamporgiano, in provincia di
Lucca, con la firma del protocollo
d’intesa tra Lions Club Garfagnana
e la Confraternita di Misericordia, è
nata la Solidarietà Sanitaria Lions-Media
Valle del Serchio Visite Sanitarie Specialistiche
Gratuite. Racconta Quirino Fulceri,
presidente Lions Club Garfagnana: «Abbiamo
creato una rete di medici specialisti
per garantire visite mediche a tutte le persone
in difficoltà economica, il cui reddito
ISEE non superi la soglia di euro 8.000,00
(ottomila/00). Stiamo perfezionando un
accordo con l’Azienda USL Valle del Serchio
che collaborerà con noi inviando ai
medici volontari quei pazienti che sono in
possesso della certificazione sociale. Insomma
vogliamo aiutare veramente chi
ne ha bisogno. Oggi più di ieri molte persone,
a causa della pandemia in corso,
della lunghezza delle liste di attesa, della
difficoltà socio-economica che purtroppo
colpisce categorie già deboli, hanno dovuto
rinunciare alla prevenzione o a visite
mediche specialistiche. C’è quindi grande
bisogno di questo servizio. Voglio ricordare
e ringraziare sia Paolo Dieni, officer
distrettuale So.San di questo importante
Service Lions, sia Marco Busini,
governatore del Distretto
108 La. Senza il continuo
supporto del nostro Distretto
sarebbe stato più difficile
mettere a punto l’organizzazione
di questo Service che è
stato ispirato dal Service Nazionale
So.San (Solidarietà
Sanitaria). L’ultimo “grazie”
va alle persone forse più importanti,
ovvero tutti i medici
che si sono messi a disposizione
gratuitamente per effettuare
le visite. Un sentito
ringraziamento al dottor Sergio Orlandi,
responsabile del Service per il LC Garfagnana
e governatore della Misericordia di
Camporgiano, insieme al dottor Daniele
Ballati». Il dottor Sergio Orlandi ha spiegato:
«I medici effettueranno le visite nei
propri ambulatori; questa soluzione risulta
più snella e idonea al nostro territorio
e permette un’ottimizzazione del tempo
che i medici mettono a disposizione, oltre
ad un azzeramento dei costi di gestione».
«La nostra volontà – ha dichiarato Quirino
Fulci, presidente del Lions Club Garfagnana
– è di proseguire con iniziative
simili in altri Comuni». E infatti lo scorso
21 novembre a Fornaci di Barga sono stati
eseguiti 127 test sierologici grazie alla
collaborazione dei Lions con la Misericordia
del Barghigiano e al contributo economico
delle aziende private che hanno
compartecipato all’acquisto dei test.
Specialità coperte dalle visite gratuite:
• Cardiologia, Dr. Maurizio Lunardi
• Chirurgia, Prof. Pietro Iacconi
• Dermatologia, Dr. Giancarlo Alberigi
• Dermatologia, Dr.ssa Elisabetta Pifferi
• Oculistica, Dr.ssa Gaetanina Napolitano
• Odontoiatria, Dr. Matteo Migliorini
• Odontoiatria, Dr. Sergio Orlandi
La gestione degli appuntamenti è organizzata dalla Misericordia di Camporgiano
attraverso un servizio di prenotazione telefonica ai numeri
+ 39 0583.618618 e + 39 349.4906838 nella fascia oraria dalle ore 10.00 alle
ore 13.00, dal lunedì al sabato.
I medici che vogliono contribuire partecipando a questo importante servizio
possono mettersi in contatto con il dottor Sergio Orlandi.
VISITE MEDICHE GRATUITE
45
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Marta Sarti
Le stanze dei segreti
di Daniela Pronestì
Qualcosa di segreto si nasconde
nelle stanze che popolano i
collage di Marta Sarti. Ciascuna
diversa dalle altre, ciascuna
riccamente arredata con mobili d’antiquariato
o con oggetti dal design talmente
moderno da sembrare talvolta
avveniristico. Più che semplici stanze
di un ambiente domestico sono veri e
propri teatri in cui l’artista mette in scena
racconti ogni volta diversi e tutti attraversati
da un insondabile mistero. È
un significato che eccede la lettura didascalica
dell’immagine, rivelando connessioni
a dir poco originali tra figure e
oggetti, spazio e tempo. Occorre scrutarle
con attenzione, queste stanze dei
segreti, per capire che ogni cosa ha il
posto che le spetta, il posto necessario
a farla dialogare con ciò che sta intorno,
a mettere in relazione forme, colori e figure.
È così che le pieghe di una grande
tenda messa a sipario di una porta
richiamano le linee sinuose dei fianchi
di una donna vista di spalle, alla
cui sensualità sembrano riferirsi,
accentuandola, anche
il divano rosso a forma di labbra
in primo piano e subito accanto
una chaise longue a sua
volta rossa e dalle forme altrettanto
accattivanti. Ogni oggetto
in questa stanza è un
omaggio alla seduzione femminile
e all’enigma che questa
sottende, nell’equilibrio che
solo ad alcune donne riesce
fra grazia, eleganza e fascino.
Proseguendo in questa “caccia
al dettaglio”, alle tante argute
suggestioni che Marta Sarti
dissemina nei suoi collage come fossero
rebus, incontriamo un interno in cui
una tazza di tè ancora fumante sul tavolino
al centro della scena diventa indizio
di un’azione interrotta da qualcosa
– forse una telefonata o una visita improvvisa?
– che ha distolto la padrona
di casa da un momento di relax. La cosa
affascinante è che un particolare di per
sé poco influente scatena a tal punto la
curiosità dell’osservatore da spingerlo
a cercare di risolvere questo “enigma”
scrutando gli altri oggetti nella stanza.
Ma per quanto si concentri, per quan-
46
MARTA SARTI
to cerchi di collegare tra loro i vari elementi,
difficilmente riuscirà a sciogliere
i segreti di un’immagine dove c’è molto
da vedere e da scoprire. Anzi, quello
a cui inevitabilmente andrà incontro
è il paradosso delle opere d’intonazione
fantastica, nelle quali sforzarsi di capire
serve soltanto ad allontanare ancora di
più l’emersione del significato. Perché
la forza di queste immagini è appunto il
mistero di cui si diceva all’inizio, il loro
“contenere” più di quello che lo sguardo
permette di cogliere, un nucleo intorno
al quale ruotano tutti gli altri elementi
della composizione ma che rimane nascosto
nelle pieghe del racconto. Il latente
e il manifesto, si direbbe in termini
psicoanalitici. Molti gli esempi da portare,
come quello della silhouette femminile
che sotto un portico affacciato
sul mare sembra in procinto di spiccare
il volo con le sue forme agili e leggere,
come già fanno due gabbiani e un
aereo nel cielo azzurro sopra la tua testa.
E ancora, le complesse geometrie di
un vestito i cui colori e le cui forme rimbalzano
nello spazio circostante generando
una serie di inganni prospetti, di
punti di vista molteplici, di fronte ai quali
– proprio come accade con le architetture
impossibili di Escher – è inevitabile
sentirsi colti da un senso di vertigine, di
totale spiazzamento dettato dall’ambiguità
della rappresentazione. In effetti,
la costruzione dello spazio nelle opere
di Marta Sarti non è mai soltanto funzionale
alla creazione di un contesto nel
quale ambientare una storia, ma serve
a visualizzare l’iter mentale che l’artista
– e dopo di lei anche l’osservatore
– deve compiere per combinare tra loro
immagini molto diverse e spesso anche
contraddittorie. Un procedimento
non dissimile da quello che nel sogno
fa sembrare plausibile, e quindi dotata
di una relazione logica, quella che invece
è la combinazione assurda di più
cose slegate tra loro. Ma è proprio da
questo stravagante accordo di voci dissonanti
che nasce la melodia del fantastico,
quel senso del meraviglioso che
fa tornare bambini e che rende queste
opere un “cibo” per la mente di cui non
sentirsi mai sazi.
MARTA SARTI
47
A cura di
Rosanna Bari
Artigianato artistico
in Toscana
I mosaici di Lastrucci
Eccellenza nell’arte del commesso fiorentino
di Rosanna Bari / foto courtesy Bottega d’Arte Lastrucci
Il sodalizio artistico di Bruno Lastrucci
e del figlio Iacopo, maestri
nell’antica arte del commesso fiorentino,
inizia nel 2001, quando decidono
di aprire la loro bottega d’arte in via
de’ Macci 9, accanto alla basilica di Santa
Croce. Il laboratorio occupa gli spazi
di un antico luogo storico di Firenze,
il trecentesco ex Spedale di San Francesco
de’ Macci. Prima di allora, Bruno era
stato il direttore artistico della nota galleria
fiorentina e laboratorio di mosaici
Musiva. L’amore di Bruno per l’arte del
mosaico si manifesta già da bambino,
proprio lì dove lui abitava, nella pittoresca
zona di Santa Margherita a Montici,
dove ebbe l’opportunità di frequentare
la vicina bottega musiva dell’artista
americano Richard Almond Blow, facendone
il suo passatempo dopo la scuola.
Questa assidua frequentazione gli
diede la grande opportunità di venire a
contatto con pittori italiani ed internazionali,
instaurando con loro importanti
collaborazioni che lo porteranno ad
acquisire sempre più spessore nell’arte
del mosaico. Il suo lavoro è caratterizzato
dall’utilizzo di strumenti tradizionali
e dall’adozione di antiche tecniche di lavorazione
tramandate sin dal 1588, an-
Da destra, Bruno Lastrucci e il figlio Iacopo
no in cui il granduca Ferdinando I istituì
l’Opificio delle Pietre Dure, manifattura
di opere di intarsio con marmi pregiati e
pietre semipreziose, il cosiddetto “commesso
fiorentino”. Sue realizzazioni si
trovano in importanti collezioni private e
in esposizioni permanenti di musei, come
per esempio al Lizzadro Museum of
Lapidary Art, in Illinois, dove è esposto
il ritratto di Joseph Lizzadro, autorevole
collezionista di arte lapidea. La bottega
d’arte di Bruno Lastrucci ha ricevuto
inoltre importanti riconoscimenti: nel
2010, dalla Società di San Giovanni Battista
il Premio Bottega Artigiana Fiorentina
e nel 2018 il Premio Porcellino.
Nella loro bottega, Bruno e Iacopo sono
maestri anche nell’accoglienza dei
visitatori, che hanno così la possibilità
di assistere alla lavorazione di preziosi
manufatti, in quella che fu la tecnica importata
dagli artisti fiorentini del Cinquecento
dalla Roma dei fasti papali.
Bottega d’Arte Lastrucci
via de’ Macci 9 – Firenze
www.imosaicidilastrucci.it
info@imosaicidilastrucci.it
Un esempio di commesso fiorentino opera di Lastrucci
La bottega d’arte Lastrucci in via de’ Macci a Firenze
I MOSAICI DI LASTRUCCI
49
I libri del
Mese
L’arse argille consolerai
Firenze, Carlo Levi e la seconda guerra mondiale nell’appassionante
ricostruzione storica di Nicola Coccia
di Doretta Boretti
Ci sono libri che tutti dovrebbero
avere nelle loro abitazioni. Tra
questi un testo, un vero caleidoscopio
di artisti e di storie di vite vissute
in un arco di tempo che abbraccia più del
secolo passato, scritto con una precisione
storico-lessicale unica nel suo genere,
tale da renderlo, a mio avviso, un
vero gioiello della letteratura contemporanea.
Mi riferisco al pluripremiato libro
del giornalista e scrittore Nicola Coccia
L’arse argille consolerai. Dopo averlo letto
più volte, mi è venuto il desiderio di
formulare alcune domande all’autore.
Com’è nata l’idea di scrivere questo
libro?
Nell’ultima pagina di Cristo si è fermato
a Eboli, l’autore, Carlo Levi, ha voluto
aggiungere un luogo e una data: Firenze,
dicembre 1943 - luglio 1944. Il libro,
definito da Vittore Branca, accademico
della Crusca e membro del Comitato toscano
di Liberazione, «il più importate
del nostro dopoguerra», era stato scritto
a Firenze in otto mesi. Ma dove? In
quale appartamento? In quale strada? In
casa di Anna Maria Ichino, in Piazza Pitti
14. Di questa donna, coraggiosa, generosa,
anticonformista e antifascista, si
erano perse le tracce. Chi era? Da dove
veniva? Chi frequentava il suo alloggio.
Cosa stava succedendo in quei mesi a Firenze?
Il libro racconta il dietro le quinte
di Cristo si è fermato a Eboli: il dramma,
la guerra, gli amori, i segreti, ma anche il
tempo in cui Firenze era l’Atene d’Italia.
Ci sono voluti molti anni per la stesura?
Per la stesura vera e propria no. Ma
hanno richiesto sei anni le ricerche
compiute negli archivi di Stato di Matera,
Roma, Torino e Firenze. Nel capoluogo
toscano, poi, sono stati setacciati
tutti gli archivi: da quello universitario a
quello notarile, dall’Archivio storico del
Comune di Firenze a quello della Camera
di commercio, dai registri battesimali
dell’Opera del Duomo a quello diocesano.
Ci sono poi testimonianze dirette
delle persone che hanno conosciuto
Carlo Levi e che sono state rintracciate
in Lucania, Lazio, Toscana, Svizzera e
Stati Uniti. L’ultima testimonianza, inedita,
riguarda la figlia segreta di Carlo
Levi. Le pagine fotografiche sono ventiquattro;
diverse foto sono inedite.
Perché il titolo L’arse argille consolerai?
Cosa significa?
Il fascismo spedì Carlo Levi al confino
in Lucania, prima a Grassano e poi
a Aliano, in provincia di Matera. Proprio
mentre era al confino scrisse una poesia
dedicata alla donna che amava in quel
50
NICOLA COCCIA
Nicola Coccia
momento: Paola Olivetti, moglie del costruttore
delle macchine da scrivere. La
poesia dice: Paola vieni in questa terra
che non ti appartiene (la Lucania) perché
l’arse argille consolerai come una pioggia
improvvisa. Una poesia bellissima.
Pensando al faticoso momento di
vita sociale che stiamo attraversando,
secondo lei quanto è importante
ricordare?
Carlo Levi scrisse Cristo si è fermato a
Eboli durante i mesi più duri della guerra.
C’erano i bombardamenti, le retate
dei fascisti, gli arresti, le fucilazioni.
«Ogni giorno – scrisse – poteva essere
l’ultimo». Giorni duri come quelli di
oggi, ma anche pieni di speranza. Levi,
a Parigi, con i fratelli Rosselli, aveva
scritto il programma di Giustizia e
Libertà. I Rosselli, assassinati in Francia
da sicari fascisti, sono sepolti a Trespiano
nel quadrato d’onore. Sulle loro
tombe Piero Calamandrei ha fatto scrivere
“Giustizia e Libertà: per questo
morirono, per questo vivono”. Quei valori
sono ancora attualissimi. Se non ricordiamo
il nostro passato non saremo
in grado di costruire il futuro.
Siamo in periodo di festività natalizie:
a chi riceverà in regalo il suo libro cosa
suggerisce?
L’arse argille consolerai è un viaggio nella
vita di Carlo Levi e in altre decine e decine
di persone che lo hanno incontrato.
È un viaggio nella nostra Firenze che io
per primo non conoscevo. Manca un altro
viaggio, quello in Lucania, che consiglio
di fare appena possibile. La Lucania
è l’unica regione che ha due nomi, due
mari, un centinaio di castelli e una serie
di abbazie, opere d’arte, storie e leggende.
Ma è ancora oggi la regione più
misteriosa e più sconosciuta e anche
per questo la più integra del nostro paese.
Ad Aliano, il paese dove Carlo Levi
è stato confinato, c’è la sua tomba,
la casa del confino, la casa del podestà,
la caserma dei Carabinieri, l’ufficio postale,
la fossa del bersagliere in cui venne
gettato alla fine dell’Ottocento quel
militare che, dopo essere stato ospitato
e rifocillato, cercò di approfittarsi di
una donna. E poi c’è la pinacoteca con
ventisette opere di Carlo Levi e le sette
litografie che lui fece per Cristo si è fermato
a Eboli e che donò al Comune nel
suo ultimo viaggio a Aliano nel dicembre
1974. Un’ultima annotazione: a Marconia,
frazione di Pisticci, c’è il monumento
al confinato. In Basilicata il fascismo
ne spedì quasi tremila sui quindicimila
totali. A due chilometri ci sono ancora le
loro casette. Cosa che non troviamo più
neppure a Ventotene dove, ad opera dei
confinati, nacque l’Europa.
NICOLA COCCIA
51
Filippo Mugnai
Olio su digitale
mugnaifilippo@yahoo.it
@mugnaifilippo
A cura di
Lorenzo Borghini
Il cinema
a casa
Birdman
Il “Viale del tramonto” dei nostri tempi
di Lorenzo Borghini
Iñárritu non è mai riuscito a convincermi
a pieno. Quando era in coppia
con lo sceneggiatore Arriaga puntava
tutto su storie ad incastri, riuscendo
a realizzare un ottimo film con Amores
Perros, un buon film con Babel e uno mediocre
con 21 Grammi. Ma poi il crack.
Dopo la rottura con Arriaga, i due, camminando
ciascuno con le proprie gambe,
hanno compiuto passi falsi; uno con The
Burning Plain e l’altro con Biutiful. Ma poi
è arrivato Birdman, ed è stato sufficiente
per polverizzare il sentore che si era impossessato
della mia mente: potrà Iñárritu
tornare ad ottimi livelli senza il compagno
Arriaga? E la risposta è sì. In Birdman c’è
tutto: vita, morte e miracoli. Potrei dire
di come Birdman rappresenti a pieno la
cultura americana parlando di Hollywood,
supereroi, social network, New York,
jazz e Broadway, ma non lo farò. Voglio
focalizzare la mia attenzione sulla prima
cosa che mi è saltata per la testa durante
la proiezione del film: Birdman è il Viale
del tramonto dei nostri tempi. Riggan
Thompson (uno strepitoso Michael Keaton)
è una star del cinema che ha raggiunto
un successo spaventoso interpretando
il ruolo di Birdman, un supereroe vestito
da uccello. Norma Desmond (Gloria
Swanson) in Viale del tramonto (Billy Wilder)
è una ex-diva del cinema muto divenuta
famosa per la sua bellezza e per le
pose statuarie che assumeva nei film. Entrambi
i protagonisti vengono risucchiati
dal proprio personaggio, dai divi che furono
non riuscendo ad essere più se stessi,
rimanendo aggrappati a quel barlume di
gloria passata. La differenza sostanziale è
che Riggan Thompson è ancora famoso,
anche se per la non esaltante cosa di aver
interpretato per tre volte un supereroe
vestito da pennuto; mentre Norma Desmond
è stata messa nel dimenticatoio: è
arrivato il suono, la presenza scenica non
è più tutto, Hollywood è andata avanti e
la povera Norma è rimasta indietro, ancorata
ai suoi ricordi come ad un salvagente
in mezzo al mare. Entrambi proiettano
le proprie frustrazioni: Norma sotto forma
dei suoi vecchi film propinati a ospiti
che sembrano mummie imbalsamate,
mentre Riggan sotto forma di allucinazioni
visivo-uditive in cui Birdman prende
il sopravvento dispensando consigli e
distruggendo la sua autostima ogni volta.
Entrambi sono intrappolati dentro un
vortice di scelte sbagliate, insicurezze e la
paura di non contare niente, di non essere
più sotto i riflettori della grande industria
cinematografica. La fama è il collante di
tutto, Hollywood è una macchina mangia
uomini inarrestabile che miete i sogni di
alcuni per regalarne ad altri: è l’industria
degli Studios, prendere o lasciare. I due
non sembrano proprio lasciare la palla
della celebrità, anzi. Norma arriverà addirittura
ad uccidere per riaccendere la luce
di quei riflettori che l’hanno abbandonata
ormai da anni, riflettori che si trasforma-
no in flash di paparazzi, domande lampo,
ma nulla importa, la missione è riuscita,
l’attenzione è tutta su Norma Desmond
che scende le scale in posa, quasi come
in uno dei suoi vecchi film. Riggan, invece,
dopo un volo pindarico col suo personaggio
alato, scende le scale del cielo,
atterra e con faccia sicura torna nel teatro.
Il suo spettacolo è l’ultima carta per
riaccendere le “luci della ribalta”, il tutto
per tutto della disperazione, ma il risultato
è diverso: Riggan non ha bisogno di sparare
ad un povero cristo per tornare sulle
prime pagine dei giornali; Riggan spara
in faccia all’arte, reinventa un teatro di verità
che aveva perso la linfa vitale ormai
da tempo, e allora chapeau, che si chiuda
il sipario, che scroscino gli applausi, Riggan
Thompson è tornato e con lui anche
Iñárritu ha ripreso a volare.
BIRDMAN
53
Kristipo
La lupa capitolina, che secondo la tradizione ha allattato i gemelli Romolo e Remo, i leggendari
fondatori di Roma, rappresenta fin dall’antichità un simbolo della città eterna. Oggi che
l’umanità intera è vittima del Covid, soltanto la lupa può nutrire il mondo. Altri animali non
possono farlo. Il dipinto Lupo 2020 di KristiPo raffigura animali diversi in chiave astratta e tra
questi il più grande è appunto la lupa nutrice dell’uomo. Un quadro che invita alla speranza,
all’attesa del tempo in cui finalmente il mondo guarirà.
La lupa
Artista eclettica, pittrice, scultrice, poetessa, attrice e regista, KristiPo è nata a Mosca e risiede
attualmente a Montecatini Terme. La sua formazione è iniziata frequentando la scuola di cinema
e drammaturgia Sverdlovsk Film Studio a Ekaterinburg. Ha seguito il corso accademico di
arte e lingua italiana all’Istituto Michelangelo e nel 2017 si è diplomata all’Accademia di Belle
Arti di San Pietroburgo. È amante della natura ed animalista convinta.
kristi_po_art_galleria
La voce
dei poeti
Margherita Cardarelli
Poetessa e scrittrice innamorata della vita
di Giancarlo Bianchi / foto Beatrice Bausi Busi
Nata a Roma, Margherita Cardarelli
vive a Firenze fin dalla
prima infanzia. Laureata in
Lettere Moderne, ha discusso una tesi
in Storia Medievale su Grosseto.
Ha insegnato per più di trent’anni nelle
scuole medie di Firenze e provincia
(Certaldo, Impruneta, Fiesole e Prato).
Ha pubblicato le seguenti opere: Vita
con mio padre (ESI), Ritratti di famiglia
dedicato alla famiglia della madre
vicentina, Il nonno carbonaro (Novecento
Poesia) sul nonno di suo padre
fuggito in Maremma dopo un moto
carbonaro fallito, Good bye, Pola!
(Edizioni Pegaso) sull’esodo dall’Istria
dopo la seconda guerra mondiale il 10
febbraio 1947, Fra i banchi – La mia
vita (Risma) e Voci dal tempo (Edizioni
Pegaso). Ha inoltre scritto la biografia
di suo padre Romualdo Cardarelli
(due anni in prima linea dal 1916 al
1918) intitolata Diario di guerra (Polistampa).
Le nostre strade si sono incrociate
all’interno di Pianeta Poesia,
movimento fondato e diretto da Franco
Manescalchi quando Margherita pubblicò
Il nonno carbonaro nella collana
Novecento Poesia (Quaderni di Pianeta
Poesia), pagine preziose che ricordano
quanto importante sia non perdere
le proprie radici. Ha partecipato anche
all’antologia Pianeta donna (Youcanprint)
da me curata insieme a Brogi,
Manescalchi e Musone. Quello che mi
ha spinto a scrivere di lei è stato lo stupore
che ho provato leggendo la poesia
dal titolo Maternità all’interno della
raccolta poetica appena citata: Io non
sono mamma, / deserto il seno / e vuoto
il grembo. / La mia maternità / l’ho
vissuta / fra i banchi di scuola / e i miei
“figli di elezione”. Sì, si può essere madre
/ senza aver partorito, / sono stata
madre / il cuore / è stato il mio grembo.
A queste parole fanno eco i versi
di una sua recente poesia: Il mio cuore
/ un lago profondo…/ È tesoro immenso
/ dei miei affetti / che io sola
conosco. Margherita ha donato tutta
se stessa. Il cuore è stato il mio grembo
potrebbe essere il titolo di un suo
prossimo libro, ma è anche l’immagine
di tutta la sua intensa vita, dell’anima
di una poetessa che conserva gli occhi
di una bambina e vede nell’amore dei
suoi alunni lo scopo e il coronamento
di tutta la sua esistenza. Riporto uno
stralcio di Anna Maria Vezio tratto dalla
prefazione al volume Voci dal Tempo
(Edizioni Pegaso): «In ogni suo allievo
ha visto il proprio figlio non nato
donandosi con l’insegnamento e con
l’amore di madre ai suoi “figli d’elezione”».
Concludo con i versi di Ungaretti:
E il cuore quando d’un ultimo battito
/ avrà fatto cadere il muro d’ombra /
per condurmi, madre, sino al Signore,
/ come una volta mi darai la mano.
Margherita Cardarelli
MARGHERITA CARDARELLI
55
Krzysztof Konopka
Margherita Blonska
COLASANTI CASA D'ASTE - ROMA
Michal Ashkenasi
Alma Sheik
A cura di
Julia Ciardi
Percorsi trekking
in Toscana
La Quercia delle Streghe
Un monumento della natura nel cuore della Lucchesia
di Julia Ciardi
Chi di voi approfittando dell’ultimo
giorno in zona gialla non ha colto
l’occasione per fare qualcosa
di particolare prima di rimpiombare nel
lockdown? Io ho deciso di fare una bella
passeggiata ripercorrendo dopo tanti anni
la via che porta alla cosiddetta “Quercia
delle Streghe” (o Farnia delle Streghe),
un luogo magico nei pressi di Gragnano e
San Martino di Lucca. La secolare quercia
che domina il paesaggio si sviluppa in
orizzontale, quasi parallelamente al terreno,
caratteristica che le dà un aspetto davvero
inquietante. La leggenda racconta
che a darle questa insolita conformazione
siano state le streghe che si incontravano
per eseguire i loro riti di sabba danzando
e cantando sui rami della quercia. Un’altra
spiegazione la troviamo nel celebre Pinocchio
di Carlo Collodi: questa sarebbe
infatti la quercia dove il burattino viene
impiccato dal gatto e la volpe dopo averlo
derubato degli zecchini d’oro. Si tratta
di un esemplare di farnia – un tipo quercia
diffusissima in Europa –, la seconda più
grande della Toscana e con più di seicento
anni di vita.
Itinerario
Montecarlo di Lucca – direzione San
Martino in Colle – via della Chiesa di
San Martino in Colle – Quercia delle
Streghe – Montecarlo di Lucca (6 km
/percorso anulare)
Per arrivare alla Quercia delle Streghe
non ci sono indicazioni turistiche, è
quindi difficile trovarla. Ma seguendo
alla lettera questo percorso, ci si arriva
al primo colpo. La quercia si può
raggiungere sia a piedi che in bici o in
macchina per chi ha più difficoltà; si
trova uno spazio per parcheggiare proprio
ai piedi del grande albero. Si parte
dal borgo medievale di Montecarlo.
Camminando lungo le mura della fortezza
medievale, si svolta al bivio a destra
in direzione San Martino in Colle
e si prosegue per circa 2 km, fino ad
un secondo bivio sulla destra che consente
di immettersi in via della Chiesa
di San Martino in Colle. Poco dopo
aver imboccato questa strada, s’incontra
a sinistra una via sterrata che
scende in direzione “Alloro”. Da qui si
prosegue per 300 metri, fino a quando
apparirà davanti agli occhi la maestosa
quercia, vero e proprio spettacolo
della natura. All’interno della recinzione
si trova un prato fiorito dove è possibile
riposarsi e fare un picnic, anche
se per conoscere meglio i tesori di
questo territorio vale la pena, al ritorno,
fermarsi a Montecarlo al bar caffè
“Carlo IV”, dove prendere un aperitivo
sorseggiando i migliori vini di questa
località famosa per le sue vigne e
la tradizione delle cantine. Ogni anno
a settembre, dopo la vendemmia, qui
si svolge un festival del vino. Il nucleo
originario di Montecarlo era il borgo
di Vivinaia, antica proprietà dei Duchi
della Tuscia, che sorgeva alle pendici
del Colle del Cerruglio. Devastato dai
fiorentini nel 1331, il borgo fu rifondato
dalle autorità lucchesi sulla sommità
del colle, dove sorgeva l’omonima
rocca. Il nome Montecarlo (Mons Caroli)
gli venne dato in onore del principe
Carlo IV figlio del re Giovanni di
Boemia, liberatore di Lucca dall’occupazione
pisana.
La Quercia delle Streghe a San Martino in Colle
QUERCIA DELLE STREGHE
57
Annullamento, china, cm 15x30
Studio di anatomia, tecnica mista su carta
Mirella Biondi
mirellabiondi38@gmail.com
L’arte del segno
Leonardo, matita seppia, cm 35x50
Risorgere dal buio, tecnica mista su carta, cm 40x60
A cura di
Lucia Petraroli
Il super tifoso
Viola
Mario Sconcerti
Il presente della Fiorentina secondo una delle più autorevoli
firme del giornalismo sportivo italiano
di Lucia Petraroli
Una delle voci più autorevoli e
credibili del giornalismo italiano.
Prima firma del Corriere
della Sera, cronista sempre attento,
storico opinionista di calcio in TV. In
questa intervista Mario Sconcerti esprime
il suo personale giudizio sul presente
della Fiorentina.
Come giudica il momento in casa Fiorentina
con l’arrivo di Cesare Prandelli?
Tutto è successo nel peggiore momento
che ci potesse capitare. La Fiorentina
ha lavorato molto per non commettere
un errore di questo genere, errore
che per noi era già evidente, per Commisso
meno. Senza contare che anche
a Iachini è andato tutto male. Ci siamo
abituati ormai a padroni assenti in
società, lasciando i tesserati in sede a
dirigere. È un tipo di cultura imprenditoriale,
quasi patronale, non troppo
consona ad una squadra di calcio.
Con Prandelli, Firenze e la Fiorentina
possono tornare a sognare in grande?
Più che sogni spero che Prandelli porti
buonsenso. Si tratta di giocare bene a
calcio, accettando una città molto innamorata
ma anche molto esigente.
Cosa si aspetta dal gioco di Prandelli?
Questa Fiorentina è una buona squadra,
ma bisogna chiedersi rispetto a cosa.
Sicuramente sarà da metà classifica.
Speriamo possa fare rumore come ci
aspettavamo.
Confida nel mercato di gennaio per
aiutare a completare la rosa viola soprattutto
in fase offensiva?
Se aspettiamo un mercato dopo l’altro
commettiamo un grande errore. Commisso
non è Babbo Natale. La Fiorentina
è la seconda squadra ad avere
più sponsor, seconda solo alla Juve,
e Commisso sta facendo molto. Manca
ad oggi un centro sportivo di spessore
e Commisso anche in questo sta
incidendo. Le aziende prima investano,
altrimenti investa Firenze nella Fiorentina...
Come giudica il primo anno e mezzo
di Commisso alla presidenza della
Fiorentina e quali prospettive vede
per la società gigliata?
Un comportamento confuso come era
giusto che fosse, come confuso è stato
anche il comportamento dei tifosi, che
prima lo hanno osannato ed oggi lo criticano.
Ribadisco, i fiorentini possono
investire nella loro Fiorentina
se quello che hanno non
gli basta.
Come procederà la questione
stadio?
Mario Sconcerti (ph. courtesy www.fcinter1908.it)
Credo che Commisso in
questo abbia fatto bene il
suo lavoro tanto che è diventato
un problema nazionale,
con emendamenti
in atto. In altre città va tutto
molto più lento su questo
argomento. Non si può
chiedere ad un privato di
rifare lo stadio come vogliamo
noi per un quartiere
nostro. Il Comune deve
mediare. Nel caso in cui
Commisso dovesse trovare
l’area idonea, ci dobbiamo
fidare di lui.
MARIO SCONCERTI
59
Ritratti
d’artista
Mauro Mari Maris
Una vita fuori dall’ordinario trascorsa in mezzo ai colori
di Jacopo Chiostri
Se la sincerità di un pittore si giudica
dalla coerenza del suo stile
− e su questo non abbiamo
dubbi − Mauro Mari, il popolare “Maris”,
è l’artista più sincero che si possa
immaginare. Da quarant’anni, infatti,
è “ligio” a uno stile che si modifica nei
motivi che lo originano − «ogni giorno
è diverso, ce lo impongono gioie ed
amarezze...» − ma ha una cifra formale
assolutamente unica e personalissima.
I suoi smalti, i colori vivaci rafforzati da
una vernice trasparente che prepara di
persona, come del resto le cornici che
riadatta da vecchi quadri che gli portano
gli amici che gravitano attorno al
suo atelier in riva d’Arno, non distante
dal viadotto dell’Indiano, insomma la
sua poetica, informale e ricca di forza
espressiva, ne fanno un personaggio
singolare, per una volta non riferibile
ad altri (anche se il suo stile è stato
accostato al “dripping” di pollockiana
memoria). Ne abbiamo parlato, di Maris,
che non è molto in queste pagine:
lui, d’altra parte, è un fedele amico del
mondo che ruota attorno all’associazione
Toscana Cultura. Abbiamo raccontato
la storia della sua galleria, la San
Frediano nell’omonima via, dove son
passati i più importanti artisti dell’epoca,
dell’avventura di promoter d’arte
televisivo, poi dell’amicizia
con Schifano e di come il
celeberrimo artista con
la sua nota irruenza abbia
provato ad imporre le
proprie idee e i propri ritmi.
Ancora: abbiamo scritto,
a proposito dei dipinti,
della loro “frammentazione
segnigrafica e cromatica”
e ciò nonostante della
“sorprendente uniformità
compositiva” che li contraddistingue;
si è detto di
come i contrasti modellino
il mondo che vi è raffigurato
e di come sembra di
guadarlo, questo mondo,
da un aereo in volo. Tuttavia,
per capire appieno
la poetica di Maris bisogna
andare a trovarlo nel
suo piccolo regno, lì in riva
d’Arno, tra una colonia
di gatti, il fedele Caruso e le tele, di tutte
le dimensioni, fino a tre metri; occorre
osservarlo mentre media tra il diktat
delle vernici di cui si serve, che hanno
la tendenza a seccarsi rapidamente,
e la pacatezza con cui traduce nel suo
alfabeto i ricordi, le emozioni, i tanti
pensieri. Sono forme libere quelle che
vediamo, che chiedono di essere osservate,
non necessariamente capite:
«Ognuno è libero di vederci quello che
vuole», dice. In ultimo sono composizioni
che risultano sorprendentemente
familiari. Dietro a queste opere, dietro
a questo linguaggio e a questo intenso
lavoro − Maris dipinge quasi tutti i gior-
60
MAURO MARI MARIS
ni − c’è una storia fatta di alti e bassi,
di gioie e dolori, come la storia di ciascuno,
ma a tratti rocambolesca tanto
da essere raccontata in un piccolo libro
Vita.... Vita che è stato curato dalla storica
e critica d’arte Gabriella Gentilini e
al quale seguirà presto un altro. Perché
Maris sa di avere qualcosa da raccontare,
una vicenda, la sua,
che nell’espressione artistica
trova solo uno dei
tanti possibili sbocchi.
Nato nel 1940, già negli
anni Sessanta si dilettava
con la pittura, ma
il tempo non era molto,
c’era da lavorare, e imparò,
come si diceva una
volta, “da falegname”,
un lavoro che gli torna
utile oggi che adatta da
solo le cornici ai dipinti.
All’epoca i quadri erano
figurativi, paesaggi,
fiori, case, e se vogliamo
con un riferimento
alla pittura impressionista,
ma a questo periodo
seguì poi un lungo
distacco e riprese in
mano il pennello solo
agli inizi degli anni Ottanta. A causare
questa parentesi prolungata, oltre alle
vicissitudini private, c’era la consapevolezza
− lo dice senza ritrosie − che
per continuare avrebbe dovuto fare un
salto di qualità, il che comportava frequentare
una scuola. Non fu possibile,
e da allora scelse di essere libero,
di esprimere la creatività nell’astratto.
Ha prodotto migliaia di opere che sono
esplosioni di colore da cui nascono
effetti fantastici e surreali dove c’è tutto.
Occorre solo sganciarsi da pregiudizi
e condizionamenti visivo-percettivi
per riconoscerlo. I quadri di Maris hanno
viaggiato, lui stesso non saprebbe
dire in quali e quanti paesi, dopo magari
molti giri hanno trovato dimora. Alcuni
si trovano in esposizione permanente
in una galleria di Washington di cui
non ricorda il nome: e citiamo la circostanza,
che magari può sembrare curiosa,
perché questo è Maris, uno che
specie negli anni felici ha venduto tanto,
ma in fondo non se n’è mai curato
troppo perché la sua realizzazione sta
nell’atto creativo che gli consente, anche
ora che ha raggiunto la soglia preziosa
degli ottant’anni, di mantenere un
invidiabile spirito giovane. Mauro ci saluta
con un’opera recente: il formato è
insolito, ovalizzante, ma il motivo sono
tanti cuori. È il suo messaggio di pace
e di amore rivolto a tutti, non esclusi
coloro che lo hanno ferito e che continua
ad amare.
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
MAURO MARI MARIS
61
Luciano Faggi
Dalla natura all’astrazione
+ 39 348 2267777
fagluc2006@libero.it
La voce
dei poeti
Elena Usseglio
Footing
Corro,
con la musica che mi isola dal mondo,
insieme al vento che asciuga le lacrime del
mio cuore.
Con ogni passo,
calpesto la rabbia…
Ogni goccia di sudore mi rende l’anima pura...
...Corro, corro,
senza meta…
fino a dove la tristezza
finisce
e ricomincia la vita...
Malumore
Un piccolo nero
granello
di pepe
crepato dal vento
si è frantumato
mutandosi
in un’afferrabile
polvere
che sa di pungente
che con l’odore ci
allontana
portandosi via
qualcosa
di noi
uno starnuto
rubato.
Il caminetto
Ipnotizzata dal fuoco del camino
avvolgo e brucio
i cattivi pensieri
coccolata dal rumore
della legna
scoppiettante…
Covid-19
La Luna
ammira la Terra
che sembra
imprigionata
dalla sua azzurra
vela chirurgica
in un cielo di speranza…
mentre le nuvole,
come cimose
cancellano per sempre
il VIRUS dalla lavagna
del mondo…
In moto
Il vento dipingeva
il paesaggio
con il suo caldo
alito…
I miei capelli
facevano
da pennello
e il mio cuore
da tavolozza
multicolore...
Sul pontile
Il vento mi porta
per un attimo
lontano
...La mia mente
muore
sfiorando
l’infinito
ascoltando
l’ultimo battito
del cuore
rapito dalle
onde…
L’oblò dei pensieri
...Colori che frullano
nell’acqua
schiumando via
lo sporco dell’anima…
Mentre
ti guardo girare
...riaffiora…
la mia grande tristezza…
la mia infinita rabbia...
che si nasconde …
col rumore
dei tuoi giri…
ipnotici
che mi ubriacano
la mente…
Elena Usseglio
Nata a Torino nel 1971, Elena
Usseglio vive a Viareggio
dal 1983. Sposata, ha tre
figlie, due gatti e un cane. Sportiva
da sempre, è appassionata di musica.
Quando può, si rilassa in cucina
preparando dolci. Scrive poesie
dall’età di sedici anni, ammucchiando,
nel suo cassetto impolverato dei
sogni, una raccolta infinita di versi.
elenausseglio@libero.it
ELENA USSEGLIO
63
Abbiamo iniziato questo
venticinquesimo anno di attività
pieni di entusiasmo e di aspettative, poi…
di sicuro non lo scorderemo facilmente!
Siamo comunque orgogliosi di aver portato
Benessere nelle Case delle Famiglie
facendole sentire in Armonia.
Auguriamo a Tutti un sereno Natale
ed un 2021 ricco di Salute!
A cura di
Laura Belli
Speciale
Pistoia
Sandro Bonaccorsi
L’inventore di “Monoeye”, un occhio puntato sulle
contraddizioni del mondo
di Laura Belli
Le opere di Sandro Bonaccorsi
catturano l’attenzione, si rimane
piacevolmente colpiti dalla nitidezza
delle linee, dalla vivacità dei colori
e da una certa ingenuità delle immagini
capaci di suscitare allegria e ammirazione.
Ad una più attenta osservazione,
si scopre, con meraviglia, che tutto scaturisce
da due cerchi concentrici e due
puntini neri che l’artista sapientemente
arricchisce con particolari che, non
scevri da una sottile ironia, li caratterizzano
e danno loro vita e nome: cane,
pappagallo, ragno… per ben cinquanta
animali che ci fissano con un unico
grande occhio talvolta attonito, spesso
stupito oppure aggressivo ma che comunque
sembra interrogarci. Nel tempo
l’artista è sempre rimasto fedele a questa
felice intuizione grafica che egli ha chiamato
“Monoeye”, semplice nella sua essenzialità
ma inarrestabile e inesauribile
nella fantasia del suo creatore. Egli ha
arricchito il suo panorama di personaggi
formando una sorta di alfabeto iconografico
e ha usato queste sue creature
per comporre narrazioni più complesse,
infondendo loro connotazioni fortemente
simboliche, capaci di suscitare emozioni
e riflessioni così da indurre chi guarda
ad interrogarsi sul presente e sul futuro
dell’umanità e del nostro pianeta. Denuncia
lieve e raffinata nella grafica, ma
non per questo meno caustica e incisiva,
la si può cogliere nell’opera Arca di carta
che l’autore presenta così: «La considero
il manifesto di tutto il mio lavoro; rappresenta
una piccola barchetta di carta
che naviga in un mare di mondi colorati,
in alto diversi uccellini “monoeye” tentano
di mettersi in salvo. Questi uccellini
sono figure libere e fragili, la cui salvezza
è rappresentata da una piccola imbarcazione
di carta che naviga non senza
difficoltà su questo mare di mondi rotolanti
e pazzi». È un’opera del 2015 e, visti
i contenuti, possiamo coglierne tutto
l’impatto premonitore. Messaggi attuali,
dunque, di denuncia, paura e speranza
− si pensi al recente ciclo di opere intitolato
CO.VIP 2019 − che l’artista affida
al suo personaggio Monoeye trasformato
di volta in volta in uccello, uomo, folla,
bambino, supereroe a comporre luminosi
quadri di forte significato. All’efficacia
del messaggio certamente contribuisce
il procedere creativo dell’artista: Bonaccorsi
disegna a mano le sue opere e poi
le ridisegna al computer unendo così alla
perizia grafica la sensibilità e il calore
della narrazione interiore. Nato a Pistoia
nel 1977, Bonaccorsi è un architetto
attivo in Italia e all’estero in vari ambiti
aziendali in qualità di direttore artistico e
creativo. Fa parte di commissioni comunali
riguardanti la progettazione, l’ambiente
e il paesaggio. È anche scrittore
e docente di arte e tecnologia.
www.sandrobonaccorsiarchitetto.it
info@sandrobonaccorsiarchitetto.it
sandro.bonaccorsi@tin.it
Arca di carta, arte digitale
Supereroi CO.VIP 2019, arte digitale
SANDRO BONACCORSI
65
L’avvocato
Risponde
A cura di
Aldo Fittante
Octopod
Il rivoluzionario brevetto sulle catene da neve con telecomando
di Aldo Fittante
Ho avuto modo di occuparmi recentemente
di una rivoluzionaria
invenzione denominata
“Octopod”, il cui brevetto è stato chiesto
ed ottenuto a livello italiano ed internazionale
da una start-up fiorentina. L’invenzione
è estremamente interessante in
quanto destinata a rivoluzionare il settore
nel quale si colloca: si tratta infatti delle
prime catene da neve al mondo azionabili
dall’interno dell’abitacolo, tramite
apposito telecomando e con veicolo in
movimento. Octopod, dunque, realizza il
sogno di poter montare le catene da neve
senza dover arrestare il proprio veicolo,
inserendo e disinserendo il dispositivo
elettronicamente attraverso un semplice
telecomando che consente l’impiego
delle catene solo dove necessario, ovvero
nei tratti di strada innevati o ghiacciati.
Si tratta di un brevetto rivoluzionario,
frutto di ricerche tecnologiche di molti
anni e sul quale la società fiorentina titolare
ha investito ingenti risorse, perché
su di esso punta decisamente per il futuro
date le enormi potenzialità applicative
e di mercato che il sistema è in grado di
soddisfare. L’invenzione è partita dall’attenta
osservazione del panorama dei sistemi
di catene da neve esistenti: i limiti
applicativi dei sistemi tradizionali sono
evidenti ad ogni automobilista e ancora
di più ai conducenti di mezzi pesanti e
veicoli commerciali, siano essi adibiti al
trasporto di merci o passeggeri. Il disagio
di dover arrestare il proprio veicolo
– trovandosi a sostare ai margini della
sede stradale
con possibile
intralcio della carreggiata ed operando
in condizioni di scarsa sicurezza – per
procedere alle sempre macchinose operazioni
di montaggio e rimozione delle
catene da neve, è noto a tutti. Octopod
è in grado di superare radicalmente tutti
gli inconvenienti dei dispositivi tradizionali:
il sistema brevettato consente infatti
l’azionamento ed il disinserimento
del dispositivo di aderenza supplementare
necessario in caso di neve o ghiaccio
direttamente dall’interno dell’abitacolo,
semplicemente premendo i pulsanti
on (estensione) e off (ritrazione) dell’apposito
telecomando. La rivoluzionaria
invenzione soddisfa appieno ogni esigenza
di semplicità, praticità e comodità
d’impiego, garantendo al tempo stesso
massima efficacia e totale sicurezza della
relativa applicazione. Sull’invenzione è
stata peraltro ottenuta la concessione di
brevetti a livello italiano ed internazionale,
confermandosi il brevetto uno strumento
giuridico fondamentale per le
imprese che, investendo in ricerca ed
innovazione tecnica e tecnologica, intendano
assicurarsi lo sfruttamento in
esclusiva del frutto dei propri investimenti
garantendosi in tal modo un’adeguata
remunerazione.
Aldo
Fittante
Avvocato in Firenze e Bruxelles, docente in Diritto della Proprietà Industriale
e ricercatore Università degli Studi di Firenze, già consulente
della “Commissione Parlamentare di Inchiesta sui Fenomeni della Contraffazione
e della Pirateria in Campo Commerciale” della Camera dei Deputati.
www.studiolegalefittante.it
66
OCTOPOD
A cura di
Paolo Bini
Arte del
Vino
Un nuovo anno con la guida Vitae 2021
di Paolo Bini
Èdavvero ben fornita la lista di
ciò che abbiamo sopportato
nel 2020 e quello a cui abbiamo,
seppur temporaneamente, rinunciato.
Il contatto del calice, il suono
romantico e tintinnante dei cristalli per
gli amanti del vino e della condivisione
hanno un significato ben più ampio
del mero libare assieme. Le consuete
rassegne di degustazione, solitamente
in concomitanza con le pubblicazioni
delle guide ai migliori vini, hanno subito
un’inevitabile rivisitazione dettata
dall’emergenza.
Orfani della kermesse associativa che
ogni anno abbracciava e riuniva i qualificati
professionisti del settore, i sommelier
italiani si sono parzialmente
appagati con la celebrazione virtuale
di Associazione Italiana Sommelier
che ha presentato online la nuova guida
Vitae 2021. Dopo aver comunicato
anticipatamente i nomi dei migliori seicentonovantaquattro
vini italiani, AIS
ha dato lustro con la diretta web ai ventidue
produttori (uno per regione) insigniti
del prestigioso Tastevin AIS che
riconosce, attraverso una loro etichetta,
l’incondizionata rappresentatività
dell’eccellenza territoriale. Quest’anno
il premio toscano è andato a Biondi
Santi, icona assoluta della vitivinicoltura
ilcinese, che ha presentato il Brunello
di Montalcino riserva Tenuta Greppo
2012, vino di indiscutibile espressività
nato dall’uva identitaria del territorio: la
Sangiovese. La qualità toscana è come
al solito emersa con centoventinove
massimi riconoscimenti e con numerosi
attestati che ne confermano il gran-
de valore. Vorremmo in momenti come
questi sentirci particolarmente campanilisti
e suggerirvi di leggere la guida
selezionando i nostri vini regionali per
brindare alla festa e a un futuro sicuramente
migliore. Ma il vino, lo abbiamo
detto subito, è condivisione di piacere
e cultura. Scegliete quindi i vini nazionali
che più vi attraggono facendo attenzione
al gioco degli abbinamenti che
abbiamo proposto più volte in questa
rubrica. Il momento della festa avrà un
sapore particolare e non scordate che
l’arrivo del nuovo anno dovrà trovarvi
pronti con flute ricchi di copiose bollicine
effervescenti. A voi spetterà la scelta
del desiderio prima di lasciare questo
2020 con pochi rimpianti e con il suono
romantico e tintinnante del brindisi.
Buon 2021, in alto i calici!
Brunello di Montalcino riserva DOCG Tenuta
Greppo 2012, Biondi Santi La guida AIS Vitae 2021
ARTE DEL VINO
67
Racconti sotto
l’albero
Un magico Babbo Natale nella
rossa pandemia
di Doretta Boretti
Mara Faggioli, Babbo Natale, olio su tela, cm 35x50
co tempo imbiancata. Guardo l’orologio.
È un po’ tardi per cenare, meglio
bere un bicchiere di latte caldo e andare
a letto. Bevo il latte, poi mi reco in
Trovarsi in una zona rossa al
tempo del Covid-19, comporta
attenersi a molte restrizioni,
come ad esempio: non
poter varcare i confini della propria
città. Nei giorni passati, e soprattutto
oggi, molti amici mi hanno
telefonato per farmi gli auguri, graditissimi
in questo tempo di festività
natalizie, però, nonostante tutto,
continuo a sentirmi ancora piuttosto
sola, anche perché le persone a
me care abitano oltre i confini della
mia città e non posso godere della
loro presenza. Ma questa sera mi
sta capitando una cosa piuttosto
inattesa. Sono le 19 e 30 e qualcuno
sta suonando il campanello
di casa. Non aspetto nessuno,
è ovvio, e a quest’ora della vigilia
di Natale poi! Chiedo al citofono:
«Chi è?». Mi risponde un ragazzo
del Pony Express (finalmente un
essere umano!) e mi dice di dovermi
consegnare un dono che proviene
da fuori città. Apro il portone
e lui, con tutte le precauzioni anti-contagio,
mi lascia il pacco sulle
scale condominiali e mi saluta.
La mia curiosità è a mille. Guardo
subito chi me lo ha inviato: Mara
Faggioli. No! La mia amica Mara?
Ma come ha fatto a capire che avevo
proprio bisogno di una super
coccola questo Natale? Rientro in
casa, scarto in fretta il regalo e...
meraviglia delle meraviglie: ecco
un bellissimo quadro. Un quadro
disegnato proprio per me, doppia,
anzi, tripla coccola, perché chissà
quanto tempo ha dovuto impiegare
per dipingerlo. Poso il dono
e prendo nel ripostiglio lo scaleo,
vado in camera delle mie figlie e appendo
il quadro coloratissimo, il colore
dominante il rosso, ad un chiodino
che c’è già sulla parete sinistra da pobagno,
esco dal bagno ed entro in camera
mia, poso la vestaglia sulla sedia
della scrivania, mi infilo il pigiama,
i calzini ed eccomi finalmente dentro
68
RACCONTI DI NATALE
al mio caro letto. È stata una giornata
piuttosto faticosa, ce ne sono stati
tanti di giorni faticosi in questo 2020,
ma il regalo che mi ha fatto Mara, devo
ammettere, mi ha restituito un po’
di serenità. Sono molto stanca, forse
sarà più facile entrare nel mondo dei
sogni...Cos’è questo bussare delicato
alla porta? È aperta… Forse sto già
dormendo. Voglio rannicchiarmi ancora
di più sotto le coperte… Ma chi è
che continua a bussare con così tanta
insistenza? Vorrei quasi fare finta di
non sentire ma istintivamente
volto la testa seguendo il
rumore. Non riesco a capire
cosa mi stia capitando.
Sto diventando matta? Eh,
penso proprio di sì. Ho sentito
spesso parlare della sindrome
di Stendhal… ma via,
non è possibile, devo fermare
la mente e aprire molto bene
gli occhi, ecco, sì, proprio
così… «Oh! Brava, finalmente
gli hai aperti gli occhi! Sono
proprio io. Quest’anno non mi
aspettavi vero?». Il Babbo Natale
che mi ha dipinto Mara?
Come può essersi materializzato
in questo modo? «La tua
amica ha insistito molto perché
venissi a portarti un dono
speciale». Cosa? Ma... «Guarda...».
Guardare? No, no, non
voglio più guardare, anzi li voglio
proprio richiudere gli occhi...
Testa mia aiutami, tutto
questo non può essere reale,
non ci credo, no, non ci credo.
«Mammina? Su, svegliati.
Ma quante volte hai gridato
che ti manchiamo da morire e
allora siamo venute. Ti sentivi
sola vero? Siamo tornate per
ricordarti che non ti abbiamo
dimenticata, come puoi avere
pensato una cosa simile?
Ci siamo e ci saremo sempre
per te. Sempre. Devi crederlo,
mamma. Credilo, e non scordarlo
mai. Prometticelo...».
«Sono così serene, non le fare
soffrire, svelta, asciugati le lacrime,
e guardale: lo vedi come
sono belle?». Ma che cosa
mi sta capitando? Non posso
parlare e vorrei gridare: «Ve lo
prometto, ve lo prometto!». Non riesco
a muovermi e non le posso toccare,
non le posso abbracciare... Mi
asciugo in fretta le lacrime e, con tutta
la forza che mi resta mi alzo dal letto,
mi dirigo velocemente verso la camera
delle mie ragazze, entro… e vedo
quel meraviglioso dipinto di Babbo
Natale, appeso al muro, che mi sorride,
sornione, con gli occhi che gli brillano
come due diamanti e con la mano
sinistra inguantata, con un candido
guanto bianco, semichiusa, ma con il
Mara Faggioli, Cartolina di Natale, olio su tela
dito indice allungato, appoggiato verticalmente
sull’ampia bocca, ornata da
bellissimi baffi anch’essi bianchi, talmente
diretto verso l’alto, da impormi,
dolcemente, di fare “silenzio”. Così, in
punta di piedi, rasserenata, mentre la
testa mi volteggia leggera, torno lentamente
nel mio caldo letto e... in questa
inaspettata, artistica, magica notte
di Natale, sogno. Sogno uno straordinario
cielo stellato, così affascinante,
così luminoso, così infinito, da colmare
in un unico sogno, tutti i miei sogni.
RACCONTI DI NATALE
69
Toscana
a tavola
A cura di
Franco Tozzi
Cinghiale in dolceforte
Dal XVII secolo una ricetta tradizionale della cucina fiorentina
di Franco Tozzi
Il cinghiale, in quanto selvaggina,
entra nell’alimentazione fin dalla
preistoria e sue raffigurazioni sono
presenti in numerosi siti. Storicamente
si inizia con Linceo di Samo, letterato e
gastronomo greco del IV sec. a.C., che
consiglia di dare la carne di pecora agli
schiavi e quella di cinghiale ai signori.
Plinio racconta che nei banchetti romani
solo la lombata era servita in tavola. Publio
Servilio Rullo inizia la moda del portarlo
in tavola intero ornato e ripieno. Il
primo allevamento di cinghiali è da attribuire
ad un contemporaneo di Cicerone,
Quinto Fulvio Lippino. Attraverso i secoli,
il cinghiale è sempre presente sulla
tavola dei nobili, ambito trofeo di caccia.
Le antiche ricette indicano sempre
modi di cucinarlo con salse ed intingoli,
ma il modo più tradizionale era “l’agrodolce”.
Questo era un modo di cucinare
la selvaggina nel Medioevo, con ingredienti
base quali uva passa, mandorle,
aceto, zenzero, miele e cannella, con aggiunte
in base alla zona e al gusto del
cuoco. Dall’antichità al Rinascimento si
arriva alla cioccolata: ma quando arriva
in Italia la cioccolata? Ne parla Francesco
Carletti, commerciante fiorentino
nei suoi racconti di viaggio in Spagna,
nel 1574, ma solo come bevanda “curiosa”
(in Spagna era arrivata con i frati
domenicani nel 1544). La cioccolata,
cioè il cacao lavorato e miscelato, entra
ufficialmente nell’Italia del Nord, a
Torino, al seguito delle truppe spagnole
agli inizi del Seicento e diventa famosa
quando il duca Filiberto di Savoia,
per i festeggiamenti della vittoria di San
Quintino, la offre a nobili e cortigiani. In
cucina, la troviamo alla metà del Seicento,
quando Carlo Nascia, cuoco di Ra-
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
nuccio II di Borbone, duca di Parma,
scrivendo come cucinare la lepre, parla
della salsa di mandorle e usa la cioccolata
come legante per la salsa. In Toscana
si continua a cuocere la “selvaggina
di pelo” con il classico agrodolce. Nel libro
Il panunto toscano, il cuoco Francesco
Gaudenzio descrive, nel 1705, il
“suo” agrodolce con gli ingredienti classici,
sostituendo alla cannella il mosto
cotto. Nel 1731 sbarcano a Livorno gli
Mosaico romano con scena di caccia al cinghiale (Villa del Casale di Piazza Armerina)
70
CINGHIALE IN DOLCEFORTE
spagnoli, al seguito dell’Infante di Spagna
che avrebbe dovuto, secondo le
idee delle potenze europee, prendere il
potere del Granducato al posto del moribondo
Gian Gastone, ultimo granduca
mediceo. Ma le cose vanno per le lunghe
e nel frattempo l’Infante era uso andare
a caccia, nel Barco di Artimino, uno
dei pochi svaghi possibili, anche perché
la vita mondana di Firenze non era certo
paragonabile a quella madrilena. Tra
i duemila spagnoli al seguito, l’Infante
aveva il suo cuoco che, lavorando a
stretto contatto con i cuochi granducali,
potrebbe aver insegnato loro l’uso
del cioccolato come legante nell’agresto,
modificando una ricetta storica e
sostituendo il mosto cotto. Sta di fatto
che, dal 1750 in poi, i testi gastronomici
riportano il dolceforte come salsa
per cuocere la selvaggina, diventando
nel tempo una tipica ricetta fiorentina.
Una curiosità: in Messico esiste un piatto
tradizionale identico al dolceforte; si
potrebbe, quindi, pensare che gli spagnoli
abbiano imparato questa preparazione
dagli Aztechi o dai Maya.
Caccia al cinghiale, Taccuino Sanitatis Casanatensis (XIV secolo)
La ricetta: cinghiale in dolceforte
Si comincia dalla “ciccia”: è preferibile
un bel cosciotto o la
lombata ben frollata. La prima
operazione è la marinatura, che dovrà
smorzare il sapore/odore di selvatico,
lasciando il gusto di questa
carne eccezionale. Prendere un chilo
di carne disossata e tagliarla a pezzetti
grossi come un’albicocca. Preparare
poi la marinata con: un litro
di vino rosso, un quartino di aceto
di vino rosso, una cipolla, due o tre
scalogni, due carote, due gambi di
sedano, un ciuffo di prezzemolo, un
rametto di ramerino, quattro o cinque
foglie di alloro, un pizzico abbondante
di timo, un pizzico di finocchio,
un pugnello di bacche di ginepro, un
pizzico di pepe in grani ed un pizzico
di chiodi di garofano. Tritare le verdure
e metterle in una pentola facendo
bollire per dieci minuti; levare e
lasciare raffreddare molto bene e dopo
immergerci i pezzetti di carne che andranno
lasciati a marinare tutta la notte.
Prima di passare alla cottura, levare
la carne dalla marinata e farla sgrondare
senza lavarla. Procedere, dunque, con
la preparazione del dolceforte, versando
in una ciotola quattro cucchiai da minestra
di aceto, un etto di uva passita
(no zibibbo) che in precedenza sarà stata
messa a mollo nel vin santo, un etto
di pinoli, mezzo etto di canditi di scorza
di agrumi, mezzo etto di zucchero ed altrettanto
cioccolato fondente grattugiato.
Mescolare bene e lasciare riposare.
Per la cottura occorrono altri ingredienti:
cipolla, aglio, sedano, prezzemolo,
olio, sale e pepe, nepitella, quattro fette
di spalla, 50 grammi di farina bianca.
Si passa quindi alle operazioni di cottura:
mettere la carne in un bel tegame di
terra insieme al battuto fatto con una ci-
polla, tre agli, una carota, due costole
di sedano, prezzemolo e la spalla
a pezzettini, il tutto ben tritato con la
mezzaluna. Versare nel tegame, aggiungere
pepe e sale, una pioggia di
nepitella, poi il cinghiale ed accendere
il fuoco. Quando la carne avrà
preso colorito, aggiungere la farina,
tirandola a cottura con il vino rosso,
in modo che il sapore si irrobustisca.
Quindi, passare il sugo allo
staccio e versarlo insieme al dolceforte;
abbassare il fuoco e lasciare
cuocere per altri quindici minuti,
levare e servire. Se la gola resiste,
sarebbe da mangiare, riscaldato, il
giorno dopo, in modo che tutte le
sfumature dei sapori si siano ben
miscelate ed incorporate alla carne.
Sia che lo si consumi subito oppure
il giorno dopo, dovrà essere servito
nel tegame di coccio.
CINGHIALE IN DOLCEFORTE
71
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
Valorizzare il sapere e “saper fare” di artigiani e artisti
toscani e italiani nel mondo
Il costante impegno del Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue nella
promozione delle espressioni culturali dei territori
di Stefania Macrì
Continuano le opportunità di
visibilità internazionale per
artigiani e artisti con il Movimento
Life Beyond Tourism Travel to
Dialogue. Proprio lo scorso ottobre
durante l’incontro Africa Virtual Urban
Thinkers Campus è stato dato
spazio a due artigiane italiane affiliate
al Movimento che hanno preso parte
al progetto Vo per Botteghe WEB: Gabriella
Gioielli, di Veronica e Valentina
Forroia con Gabriella Varchetta
(Golfo Aranci, Sardegna) e Pikijolillo
di Morena Fregona (Belluno). La
testimonianza tutta al femminile è
stata importante perché ha mostrato
l’entusiasmo con cui hanno accolto
la proposta di entrare a far parte
di un network internazionale e quan-
Pikjolillo
Gabriella Gioielli
to sia importante valorizzare
le realtà locali anche sul
piano commerciale grazie
al canale e-commerce
che hanno avuto modo
di avviare gratuitamente.
L’evento, organizzato
da United Cities and Local
Governments of Africa
(UCLG Africa), ha visto
la Fondazione Romualdo
Del Bianco prendere parte ad una serie
di incontri virtuali dal titolo Promoting
the commitment of Local and
Regional Governments and of Citizens
for the City We need in Africa,
in times of Covid-19 and beyond, allo
scopo di presentare l’orientamento
Life Beyond Tourism e le sue buone
Carlotta Del Bianco interviene all’incontro UCLG Africa
pratiche per proteggere e valorizzare
le tipiche espressioni culturali identitarie
locali, comprese quelle per sostenere
le produzioni artigianali e
artistiche durante la pandemia. Durante
l’incontro, dopo i saluti istituzionali
del presidente della Fondazione,
Paolo Del Bianco, vi è stato l’intervento
della vicepresidente
Carlotta Del Bianco, che ha
approfondito i progetti del
Movimento LBT-TTD, i corsi
di formazione a distanza e
la piattaforma di promozione
delle differenti specificità
territoriali ospitata nel portale
www.lifebeyondtourism.org,
il tutto all’interno della sessione
The challenges facing Culture
and Heritage during the
Covid-19 pandemic. Experience
of the City of Florence – Italy.
Life Beyond Tourism presenta l’artigiana del mese: Ginevra Gemmi
Artigiana orafa fiorentina, Ginevra Gemmi
vive e lavora nel cuore pulsante di Firenze,
l’Oltrarno, con bottega in via della
Chiesa 29 r. Per scelta personale realizza
pezzi unici senza creare stampi, così
da lasciare l’esclusiva dell'oggetto, ogni
volta differente, al cliente. L’impiego di
argento, bronzo ed oro assieme a pietre,
coralli ed intarsi di legni pregiati conferiscono
al gioiello un aspetto contemporaneo
attraverso le tecniche
orafe classiche.
Per informazioni:
https://www.lifebeyondtourism.org/
companies/ginevra-gemmi-gioielli/
Creare con mani, anello malachite su bronzo, pezzo unico
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MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
Art in our Heart WEB e l’adesione dei fotografi al Movimento LBT-TTD
L’entusiasmo con cui numerosi
artisti hanno aderito ad Art
in our Heart WEB ha portato
all’estensione della validità del progetto
aprendo l’adesione gratuita anche
al vasto mondo dei fotografi e
ai foto-amatori. La fotografia, infatti,
è una forma artistica moderna che
accomuna un ampio numero di artisti
i cui archivi fotografici rappresentano
un vero e proprio patrimonio
di storia e cultura, perché raccontano
i tempi che sono stati, che sono e
che saranno. Per questo motivo è stato
creato un codice sconto esclusivo,
LBTphoto2020, attraverso cui iscriversi
al Movimento e aumentare le possibilità
di farsi conoscere nel mondo.
Per aderire al Movimento Life Beyond
Tourism e iniziare subito a usufruire
dei servizi basta collegarsi al link
https://bit.ly/lifebeyondtourismartist,
seguire le istruzioni automatiche
e inserire il codice LBTphoto2020.
Tra i servizi a disposizione dei fotografi
vi è anche la possibilità
di prendere
parte alle mostre d’arte su
www.lifebeyondtourism.org.
Attualmente è in corso
la mostra Art in our Heart
WEB, fino al 15 dicembre,
che vede in
esposizione trentadue
opere artistiche realizzate
da otto artisti italiani
e internazionali:
Sofia Becherucci e Arnaldo
Marini dall’Italia,
Maria Bostenaru Dan dalla Romania,
Jacek Gramatyka, Michał Träger
e Mieczyslaw Ziomek dalla Polonia,
Noor Hamada dal Bahrein, Alexander
Lantukhov dall’Ucraina.
Per visitare la mostra è sufficiente
scannerizzare il seguente Q&R code
con il proprio dispositivo mobile:
Il Movimento Life Beyond Tourism
Travel to Dialogue da sempre si occupa
della valorizzazione delle espressioni
culturali dei territori, dando
loro visibilità internazionale grazie
ad una serie di servizi a disposizione
dei propri affiliati. Questa necessità
è divenuta sempre più importante
in un periodo di emergenza sanitaria,
sociale ed economica che ha portato a
ripensare le vite quotidiane di ciascuno
ridisegnando il mondo del lavoro e
quello economico. In questo contesto
il Movimento LBT-TTD si è messo sin
da subito accanto agli artigiani italiani
e agli artisti di tutto il mondo per
sostenere le loro attività attraverso le
due importanti iniziative a cui artigiani
e artisti di ogni nazionalità hanno preso
parte con entusiasmo: Vo per Botteghe
WEB e Art in our Heart WEB.
Questo entusiasmo condiviso non
può che incentivare il Movimento Life
Beyond Tourism Travel to Dialogue
a proseguire sulla strada intrapresa,
certi che il futuro della ripresa economica,
sociale e culturale passi dalle
realtà artigianali e dalla riscoperta
delle tradizioni locali.
Se anche tu condividi questo pensiero
e vuoi entrare a far parte del Movimento
LBT-TTD contattaci all’indirizzo email
info@lifebeyondtourism.org.
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue
Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®, ideati dalla
Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere e comunicare il
patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme alle sue espressioni
culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che custodiscono, dando risalto
a residenti, viaggiatori, istituzioni culturali, pubbliche amministrazioni, aziende,
artigiani, artisti e tutti coloro che rappresentano la cultura dei vari territori, a livello
nazionale e internazionale. La società è diventata una Società Benefit.
Per info:
+ 39 055 284722
info@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
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B&B Hotels
Italia
B&B Hotels Italia a fianco della comunità
fiorentina per affrontare la pandemia
La catena trasforma il B&B Hotel Firenze Novoli in albergo sanitario
di Francesca Vivaldi
B&B Hotels, catena internazionale
con più di cinquecentotrenta
hotel in Europa e quarantadue
in Italia, mette a disposizione il B&B Hotel
Firenze Novoli per far fronte all’emergenza
Covid-19. La struttura, con le sue
ottantotto camere, è pronta ad accogliere,
nel massimo rispetto delle norme di
sicurezza e di sanificazione, il personale
sanitario e tutte le persone che necessitano
di uno spazio dedicato e adeguato
a trascorrere i giorni di isolamento. Con
questa decisione, il gruppo B&B Hotels
scende in campo a Firenze a fianco degli
enti preposti nella lotta contro il Coronavirus.
Un apporto concreto, destinato al
territorio in cui è presente il gruppo con
le sue strutture, che oggi acquista ancora
più significato e valore dimostrando la
vicinanza di B&B Hotels alla comunità locale.
Fin dall’inizio dell’emergenza B&B
Hotels Italia ha sviluppato un protocollo
di sanificazione dedicato, anticipando
i tempi e preparandosi a fronteggiare l’emergenza,
certificato dal Safety Label High
Quality Anti Covid-19, attuato in tutte
le sue strutture a tutela degli ospiti e del-
Il B&B Hotel Firenze - Novoli
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B&B HOTEL ITALIA
Valerio Duchini, presidente e amministratore delegato di B&B Hotels Italia
lo staff in hotel. A supporto, sono state
individuate 8 Golden Rules “Help us Helping
You” per assicurare il più alto livello
di protezione, tra cui l’utilizzo di dispositivi
DPI certificati e plexiglass protettivi
presso i desk di accoglienza. «Non
potevamo mancare a questa chiamata.
Vogliamo contribuire concretamente
all’emergenza sanitaria e speriamo che
le nostre strutture possano aiutare tutte
le persone in difficoltà e il nostro sistema
sanitario. È un momento difficile per tutti
che richiede sforzi straordinari da parte
di ogni componente della società. Spinti
dal forte senso di responsabilità e partecipazione
che ci contraddistinguono,
abbiamo messo a disposizione i nostri
hotel e le competenze a supporto della
comunità locale nel rispetto della salute
di tutti, in linea con i nostri valori di Corporate
Social Responsibility e la nostra
filosofia Only for Everyone» ha commentato
Valerio Duchini, presidente e amministratore
delegato di B&B Hotels Italia.
Su B&B Hotels
Destinazioni, design, prezzo, sicurezza.
B&B Hotels unisce il calore e
l’attenzione di una gestione di tipo familiare
all’offerta tipica di una grande
catena d’alberghi. Un’ospitalità di qualità
a prezzi contenuti e competitivi, senza
fronzoli ma con una forte attenzione
ai servizi. Quarantadue hotel in Italia.
Camere dal design moderno e funzionale
con bagno spazioso e soffione XL,
Wi-Fi in fibra fino a 200Mega, Smart TV
43 pollici con canali Sky e satellitari di
sport, cinema e informazione gratuiti e
chromecast integrata per condividere in
streaming contenuti audio e video proprio
come a casa.
hotelbb.com
B&B HOTEL ITALIA
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Arte del
gusto
A cura di
Elena Maria Petrini
Note di gusto e poesia al sapore di Negroni
di Elena Maria Petrini / foto Maurizio Mattei
Nonostante tutte le difficoltà che
quest’anno ci hanno messo
davvero a dura prova, brindiamo
ad un migliore 2021 con un cocktail
tutto fiorentino, il Negroni, raccontato
in modo insolito da un poeta che si fa
chiamare “l’artista del sonetto”, con
una composizione in rima alternata
dal titolo Auguri Negroni, 100 di questi
cocktail, e dal barman Paolo Severino
Baldini, professionista del bar, socio
fondatore e benemerito di ABI Professional
che riassume così la storia del
celebre cocktail: «Ai tempi di Firenze
capitale del Regno d’Italia (1865/1871),
la città, con i suoi splendidi palazzi, le
ville e le colline circostanti, era gremita
di personaggi italiani e stranieri provenienti
da ogni parte d’Europa. I ministeri,
le ambasciate e gli altri apparati
pubblici occupavano molte persone,
oltre ad importanti imprenditori e finanzieri
che si erano stabiliti in città.
Un periodo di grande splendore e vita
mondana, con feste fino all’alba. L’alta
borghesia frequentava il centro e vari
caffè come Leland, Doney, Giubbe Rosse,
Gilli, Paszkowski, Il Bottegone, Rivoire,
Harry’s Bar, Torricelli, Bruzzicelli,
ed altri. All’angolo tra le vie Tornabuoni
e della Spada si trovava il Coloniali Profumeria
Casoni, dove si potevano reperire
prodotti coloniali come spezie, tè,
caffè, cacao, liquori, distillati e le prime
macchine da caffè espresso. Dietro
il bancone c’era Fosco Scarselli. Fra
gli avventori del Casoni si distingueva
per classe ed eleganza il conte Cammillo
Negroni, amante del buon vivere.
Egli era solito bere il “Milano-Torino”
poi diventato “Americano”. Reduce dai
suoi viaggi a Londra e conoscitore del
Il barman Paolo Severino Baldini
gin, parlando con Fosco dell’Americano
diceva: “Buono è buono sì, ma un
po’ leggerino, proviamo ad irrobustirlo”.
Dopo qualche esperimento, la scelta
cadde sul gin e fu perfetto! Da allora
anche gli amici del conte iniziarono a
chiedere lo stesso cocktail». La storia
continua: tra il 1919 e il 1920 rientrò a
Firenze, dopo anni di esperienza a Londra,
Parigi e in Costa Azzurra, un altro
barman: Gigi Senesi. Fosco (1898)
e Gigi (1895) si conoscevano, e prima
Gigi al Grand Hotel Baglioni e dopo Fosco
iniziarono a proporre il Negroni alla
propria aristocratica clientela, favorendone
la grande diffusione. Nel 1928
Gigi divenne capo barman del Grand
Hotel Principe di Piemonte a Viareggio,
Ricetta Negroni
1/3 gin
1/3 bitter Campari
1/3 Martini rosso
decorazione con fetta d’arancia
Note di gusto: fresco, speziato e amarognolo
76
NEGRONI
Un brindisi al Negroni: da sinistra, il barman Federico Pempori, Paolo Severino Baldini ed il ristoratore Giancarlo Carrai
durante un evento di qualche tempo fa all’ICLAB a Firenze
il migliore albergo della Versilia. Da qui
il Negroni si diffuse a Forte dei Marmi
per arrivare ad Achille Franceschi (con
la sua prima “Capannina” già nel 1929,
lasciata, dopo la fine della guerra, ai figli
Guido e Nevio) che nel 1978 ebbe
come capo barman proprio Paolo Severino
Baldini, che ha avuto l’onore
di lavorare in questo locale
considerato il tempio del
divertimento, della musica
e del bere di qualità, stando
a contatto con Gigi e condividendo
con lui importanti
esperienze professionali.
Da Giacosa al Baglioni, dal
Principe di Piemonte alla
Capannina, il Negroni prese
presto il volo verso il mondo
e nel 1933 il Coloniali Casoni
divenne Giacosa, mentre
nel 1934 Fosco fu chiamato
dai Della Gherardesca
a gestire il bar del Circolo
del Golf dell’Ugolino. Dopo
essere diventato famoso
a livello internazionale, nel
1961 il Negroni fu codificato
dall’IBA (International Bartender
Association) fra i cinquanta cocktail internazionali
e, dal 2011 ad oggi, tra i
settantasette totali.
Il Negroni in rima…
artistadelsonetto@gmail.com
NEGRONI
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Eccellenze toscane
in Cina
A cura di
Michele Taccetti
Roboticom
Altissima tecnologia toscana in Cina
di Michele Taccetti / foto courtesy Roboticom
Forse non molti sanno che alle porte
di Pisa, nel noto polo tecnologico
di Navacchio, ha sede una
azienda di robotica che fa conoscere la Toscana
nel mondo. Il brand “Roboticom”
della Fabrica Machinale Srl ha venduto oltre
200 robot in 23 paesi nel mondo, fra
cui la Cina, paese nel quale ha deciso di
rafforzare la propria presenza nei prossimi
anni grazie alla collaborazione con China
2000. L’azienda, leader mondiale del settore
grazie anche alla continua ricerca ed
al forte legame con il partner americano,
ha sviluppato tre avanzate linee di robot
per tre applicazioni diverse: Ortis, Sandrob
e Scultorob. Ortis è il primo sistema
robotico introdotto nel mercato (2007)
che consente di realizzare ogni tipologia di
modello per la produzione di ortesi e protesi
su misura. Rappresenta un prodotto
avveniristico per il settore perché può
adattarsi ad ogni realtà produttiva ed avere
possibilità di personalizzazioni. Il software
è 100% italiano ed è sviluppato nella sede
di Navacchio, la cui flessibilità produttiva
permette di contemplare altre aree di business.
Sandrob è la soluzione robotica per
finitura superficiale, ovvero carteggiare e
lucidare ogni superficie. In particolare è
molto apprezzato nel settore delle auto ed
è utilizzato dalle più importanti case automobilistiche.
Questo robot permette precisione
del lavoro e risparmio di tempo e
In queste foto alcuni esempi delle lavorazioni del marmo ottenute con Scultorob
costi. Scultorob, infine, è un sistema robotizzato
per la lavorazione artistica di diversi
materiali come la resina, il legno, il marmo
e materiali leggeri, garantendo flessibilità
e precisione. Roboticom è stata tra le prime
società che ha prodotto sistemi robotici
per la lavorazione artistica del marmo
e questo ha permesso importanti aperture
di mercato. L’alta tecnologia, il continuo
investire nella ricerca, oltre alla presenza
costante sui mercati internazionali, rappresentano
i punti di forza della Roboticom
che la rendono orgoglio del Made in Italy
nel mondo. Questa eccellenza toscana non
poteva passare inosservata al mercato cinese.
E infatti da qualche anno Roboticom
ha iniziato a vendere i propri prodotti sul
mercato cinese, programmando già per il
prossimo futuro una maggiore presenza
e una mirata proposta commerciale, certi
del fatto che la Cina rappresenti uno dei
mercati di riferimento futuri per l’export
dell’azienda. In tempo di Covid, l’azione di
Roboticom in Cina rappresenta una scommessa
ancora più impegnativa, ma la programmazione,
l’esperienza internazionale
e le capacità dell’azienda sono la miglior
garanzia di successo.
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TECNOLOGIA TOSCANA
GRAN CAFFÈ SAN MARCO
Un locale nuovo e poliedrico, con orari che coprono tutto l’arco della giornata.
Perfetto sia per un pranzo di lavoro che per una cena romantica o per qualche
ricorrenza importante
Piazza San Marco 11/R - 50121 Firenze
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Una banca coi piedi
per terra, la tua.
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