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Dicembre+inserto Pola

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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 11 - Dicembre 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074


Un connubio di gusto, stile ed eleganza

nella magica cornice del

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Sommario dicembre 2020

I quadri del mese

Lorenzo Senzi, La bandiera della speranza, acrilico su tela, cm 80x60

info@studiosenzilorenzo.it

Manuela Morandini, Studio di paesaggio chiantigiano, tecnica mista su

tavola telata e gessata, cm 60x50

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L’omaggio di Vinicio Polidori a Jacopo della Quercia

Intervista a Letizia Battaglia, fotografa dell’orrore e della bellezza

Frank Horvat, maestro dell’eclettismo in fotografia

Natura e cultura nei parchi d’arte contemporanea della Toscana

Riccardo Guarneri: lo spirito della geometria tra musica e pittura

Fabrizio Borghini racconta Firenze al cinema

Benessere e cura della persona: un Natale all’insegna dei prodotti naturali

Dimensione salute: l’importanza della parola per apprendere e comunicare

Psicologia oggi: la solitudine tra scelta di vita e condanna

A spasso per Firenze con il libro di Barbara Lombardi Santoro

Le opere di Andrea Stella in mostra a San Pietroburgo

Concerto in salotto: una cena in compagnia di Muti, Sordi ed Eduardo…

I simbolismi di Valentino Antonini tra avanguardia e tradizione

Storia delle religioni: la devozione mariana di San Francesco

Verità e apparenza nei disegni di Joanna Brzescinska Riccio

La giornata mondiale per non dimenticare le vittime della strada

Dal teatro al sipario: il ruolo del costumista spiegato da Elena Bianchini

Giulio Galgani, la ricerca di un nuovo equilibrio

La comunità di Forte dei Marmi nel racconto di don Piero Malvaldi

Visite mediche gratis con la solidarietà sanitaria del Lions Club Garfagnana

Le stanze dei segreti nei collage di Marta Sarti

I mosaici di Lastrucci, eccellenza nell’arte del commesso fiorentino

Il viaggio letterario di Nicola Coccia nella vita di Carlo Levi

Birdam, il “Viale del tramonto” dei nostri tempi

Margherita Cardarelli, poetessa e scrittrice innamorata della vita

La Quercia delle Streghe, un monumento della natura in Lucchesia

La Fiorentina secondo il super tifoso viola Mario Sconcerti

Mauro Mari Maris, un artista fuori dall’ordinario

La voce dei poeti: le liriche di Elena Usseglio

Speciale Pistoia: Sandro Bonaccorsi, l’inventore di “Monoeye”

Octopod, la rivoluzione delle catene da neve con telecomando

Arte del vino: un nuovo anno con la guida Vitae 2021

Racconti sotto l’albero: un magico Babbo Natale nella rossa pandemia

Toscana a tavola: il cinghiale in dolceforte, tipica ricetta fiorentina

Artisti e artigiani insieme al Movimento Life Beyond Tourism

B&B Hotels Italia sostiene Firenze nella lotta al virus

Note di gusto e poesia al sapore di Negroni

Roboticom: altissima tecnologia toscana in Cina

Manuela Morandini, Un sogno nel Chianti, olio su tela di juta, cm 70x50

manuelamorandini@alice.it

La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 11 - Dicembre 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074

In copertina:

Vinicio Polidori, Tributo a Jacopo

della Quercia, olio su tela, cm 100x90

(ph. Antonio Manta)

Periodico di attualità, arte e cultura

La Nuova Toscana Edizioni

di Fabrizio Borghini

Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze

Tel. 333 3196324

lanuovatoscanaedizioni@gmail.com

lanuovatoscanaedizioni@pec.it

Registrazione Tribunale di Firenze

n. 6072 del 12-01-2018

Iscriz. Roc. n. 30907 del 30-01-2018

Partita Iva: 06720070488

Codice Fiscale: BRGFRZ47C29D612I

Anno 3 - Numero 11 - Dicembre 2020

Poste Italiane SpA

Spedizione in Abbonamento Postale D.L.

353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n, 46)

art.1 comma 1 C1/FI/0074

Direttore responsabile:

Daniela Pronestì

direzionelatoscananuova@gmail.com

Capo redattore:

Maria Grazia Dainelli

redazionelatoscananuova@gmail.com

Grafica e impaginazione:

Viola Petri

Distribuzione:

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via Lombarda, 72 - Località Comeana

59015 - Carmignano (PO)

tel. 055 8716830

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Abbonamenti e Marketing:

Diletta Biagiotti

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Stampa:

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Facebook e Instagram:

La Toscana nuova - Periodico di attualità,

arte e cultura

www.latoscananuova.it

Testi:

Rosanna Bari

Ugo Barlozzetti

Laura Belli

Giancarlo Bianchi

Paolo Bini

Doretta Boretti

Fabrizio Borghini

Lorenzo Borghini

Massimo Bramandi

Erika Bresci

Viktorija Carkina

Jacopo Chiostri

Julia Ciardi

Federica Commisso

Nicola Crisci

Maria Grazia Dainelli

Gherardo Dardanelli

Paolo Dieni

Aldo Fittante

Giuseppe Fricelli

Luigi Gattinara

Stefano Grifoni

Anna la Donna

Barbara Lombardi Santoro

Stefania Macrì

Emanuela Muriana

Lucia Petraroli

Elena Maria Petrini

Antonio Pieri

Vinicio Polidori

Armando Principe

Daniela Pronestì

Valter Quagliarotti

Rosario Sprovieri

Michele Taccetti

Franco Tozzi

Elena Usseglio

Francesca Vivaldi

Foto:

Letizia Battaglia

Beatrice Bausi Busi

Lorenzo Borghini

Maria Grazia Dainelli

Marco Gabbuggiani

Gerardo Gazia

Frank Horvat

Filippo Labate

Simone Lapini (ADV Photo)

Antonio Manta

Filippo Manzini

Maurizio Mattei

Carlo Midollini

Pietro Schillaci

Silvano Silvia

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Il racconto appassionante

di una vita e di un’impresa...

diventata tesi di laurea

“Giuliacarla Cecchi.

Firenze e la moda.

Un affresco del Novecento”.

All’interno di questo numero

la prima puntata.


Vinicio

Polidori

Vinicio Polidori con Lionel Richie

Ritratto di Lionel Richie, matita secca e grassa, cm 70x50

Casa-studio: via Simoncini 12

Serravalle Pistoiese (Loc. Masotti), 51035, Pistoia

viniciopolidori@gmail.com

+ 39 348 4127563

Con gli Earth Wind and Fire

Ritratto degli Earth Wind and Fire, matita secca e grassa, cm 100x70


Ritratti

d’artista

Vinicio Polidori omaggia Jacopo della Quercia

con un’opera giovanile da lui dipinta nella

bottega di Pietro Annigoni a Firenze

di Vinicio Polidori / foto Antonio Manta

Dopo il Pegaso e il tributo a Leonardo

da Vinci, una mia opera

torna ad essere protagonista

di una copertina de La Toscana Nuova per

omaggiare il grande artista senese Jacopo

della Quercia riproducendo il suo bassorilievo

con La cacciata dal Paradiso di

Adamo ed Eva per la facciata della basilica

di San Petronio a Bologna. Jacopo della

Quercia è stato un eccellente scultore celebre

ai suoi tempi per opere straordinarie

come la Fonte Gaia di Piazza del Campo

a Siena, città che gli ha dato i natali e alla

quale anch’io sono profondamente legato

sia per le origini della mia famiglia che

per il fatto di essere protettore e contradaiolo

della Nobile Contrada del Nicchio.

Questo quadro fa parte della mia collezio-

A te grande Jacopo di Pietro d’Agnolo di Guarnieri detto

Jacopo della Quercia senese. In memoriam fecit.

Vinicio Polidori

ne privata ed io ci sono molto affezionato

essendo tra i primi da me realizzati nella

bottega del maestro Pietro Annigoni e del

suo allievo e anche lui maestro Romano

Stefanelli. In questa celebre bottega, che

ho frequentato per oltre dieci anni, ho potuto

apprendere ed affinare tutte le tecniche

pittoriche, insieme anche al restauro

di dipinti ad olio, tempere ed affreschi. Si

tratta di un dipinto ad olio su tela − preparata

con carta di riso secondo la ricetta

annigoniana − ed ha le stesse dimensioni

(cm 100x90) del bassorilievo originale.

Quest’opera mi sta particolarmente a

cuore non solo perché è stata più volte

premiata − ricordo in particolare il premio

Leone d’Oro a Venezia nel 1996 − ma

anche perché, come già detto, ha segna-

Vinicio Polidori, Tributo a Jacopo della Quercia, olio su tela, cm 100x90

to il mio battesimo nella bottega annigoniana,

oltre ad aver rappresentato un vero

e proprio banco di prova dal punto di vista

del disegno e dell’esecuzione pittorica.

Ricordo ancora molto bene quel giorno

quando, entrato nella bottega, mi fu detto:

«Quali dei bassorilievi che vedi qui nello

studio vorresti riprodurre?». Senza esitare,

indicai l’opera di Jacopo della Quercia,

scegliendola tra le tante appese alle pareti.

Già allora nutrivo sincera ammirazione

per la scultura dell’illustre maestro senese,

in particolare per il monumento funebre

voluto da Paolo Giunigi per la sua

amata Ilaria del Carretto, tra i capolavori

della scultura funeraria italiana del XV

secolo conservato ancora oggi nella cattedrale

di San Martino a Lucca, dove mi

recavo spesso da ragazzo per accompagnare

mio padre durante le trasferte di lavoro.

Nella cattedrale, oltre alle opere del

Tintoretto e del Ghirlandaio, mi fermavo

ad ammirare la bellissima figura di Ilaria

del Carretto, i suoi lineamenti dolci e ben

definiti, i capelli raccolti e il cagnolino ai

suoi piedi ad assisterla nel passaggio dalla

vita alla morte: è stato amore a prima vista

per me, un’immagine per sempre impressa

nella mia mente. Tornando al dipinto,

ci sono voluti circa sei mesi per arrivare a

questo risultato, a cominciare dal “cartone”,

vale a dire da un disegno delle stesse

dimensioni del bassorilievo, proseguendo

poi con lo “spolvero” e con la preparazione

della tela secondo una ricetta della bottega.

Fatto questo, ho iniziato a dipingere

ad olio procedendo con diverse velature

(talmente tante che ho perso il conto…) e

dopo aver atteso a lungo per ottenere una

perfetta essiccazione del colore, sono intervenuto

di nuovo per definire i chiari e

gli scuri. Il risultato è un’opera di tale rilievo

plastico da sembrare più scolpita che

dipinta; non a caso, spesse volte nei concorsi

e nelle mostre è stata scambiata a

distanza per una scultura, cosa che mi lusinga

non poco trattandosi di un lavoro di

notevole impegno e difficoltà tecnica.

VINICIO POLIDORI

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I grandi della

Fotografia

A cura di

Maria Grazia Dainelli

Letizia Battaglia

Prima donna fotoreporter in Italia, ha raccontato l’orrore della

morte e la bellezza della vita con immagini senza tempo

L’abbiamo incontrata a Firenze in occasione del workshop da lei tenuto alla Crumb Gallery

di Maria Grazia Dainelli / foto Letizia Battaglia

Nel famoso progetto Rielaborazione

hai trasformato le foto

di morte in scene di vita. Come

ti è venuta questa idea?

Come prima donna fotoreporter italiana,

tra gli anni Settanta e gli anni Novanta

correvo con la macchina fotografica al

collo nella mia città dove c’era una guerra

di mafia in corso e morivano giudici,

poliziotti, gente comune. Il mio archivio

era pieno di foto orribili legate alla morte

e alla violenza, tutta la mia casa era

una testimonianza di orrori. Ero angosciata.

Sognavo di bruciare i miei negativi,

feci persino un piccolo film dove

Serena, una mia amica attrice, bruciava

e strappava le mie fotografie. Mi veniva

da vomitare perché continuavo a sentire

quell’odore di sangue perfino dentro

casa e, nel 1992, con le stragi di Falcone

e Borsellino, quando Palermo raggiunge

il massimo del dolore, pensai che

potevo manipolare quelle foto. Invece

di bruciarle, le avrei distrutte in un altro

modo. Così, davanti ad una grande, molto

grande immagine di cronaca collocai

un soggetto nuovo, un corpo di donna

nudo, una bambina, un fiore, un modo

per inventarmi un’altra realtà e spostare

il “punctum”. Una donna nuda è la vita,

è una madre, è la terra e quindi aggiungo

una foto di rinascita ad una di morte.

La giornalista Maria Grazia Dainelli durante l’intervista a Letizia Battaglia (qui a destra) accompagnata da

Roberto Timperi, docente insieme a lei del workshop

Oggi ti dedichi a fotografare il corpo

nudo delle donne: cosa vuoi trasmettere?

Sono donne, giovani o meno giovani, riprese

senza artificio, nessuna posa sexy

e nessun erotismo costruito. Racconto

con semplicità e rispetto la grandiosità,

la bellezza e la dolcezza del corpo femminile.

Cerco l’archetipo della femminilità,

al di là delle mode, con complicità e

delicatezza.

Chi sono e cosa rappresentano per te

“Gli invincibili” nel progetto da te così

intitolato?

Sono gli “spiriti liberi” che mi hanno

ispirato forza e coraggio, suffragando il

mio desiderio di libertà e sostenendomi

sempre nella vita, proprio come fanno gli

amici. Li ho definiti “invincibili” perché

per me sono degli “eroi” ed in quanto tali

non moriranno mai: da Pasolini a James

Joyce, da Che Guevara a Gesù, da Rosa

Parks a Marguerite Yourcenar, da Freud

alla Venere di Tiziano a Ezra Pound. L’ultimo

di questi lavori, mi è sembrato necessario

per non dimenticarli, è legato a

Falcone e Borsellino.

Ci racconti dell’incontro con il poeta

Ezra Pound?

Avevo ventisette anni, e non ero felice.

Non conoscevo ancora i suoi versi e neppure

il suo libro di poesie Canti Pisani, e

così, quando entrai nella sua casa di Venezia,

con il poeta Emilio Isgrò, e trovai

questo uomo vecchio, dallo sguardo potente

e triste, sentii che qualcosa di lui mi

avrebbe catturato per sempre. Ci guardammo

a lungo senza parlare. Senza accorgermene

lacrime scesero lungo il mio

volto, il mascara segnò di nero il mio volto

giovane. Non ero ancora fotografa, ma

fu quell’incontro, di cui non ho nessuna

immagine, a dare successivamente senso

a tutta la mia vita e al mio lavoro fotografico,

grazie ai suoi versi “strappa da te

la vanità, ti dico strappala”.

La tua lotta in nome di grandi ideali

come onestà e giustizia ti ha accompagnato

anche nell’esperienza politica…

La fotografia mi prende tantissimo tempo

ma non è stato il mio unico impegno

nella vita. Mi sono dedicata al volontariato

psichiatrico, ho fatto teatro ed

ho partorito tre figlie. Dopo aver vinto,

nel 1986, a New York, il Premio Eugene

Smith per la fotografia sociale, decisi

di volere fare di più per la mia Palermo,

di assumere cioè un impegno politico,

diventando, tra gli anni Ottanta e i primi

anni Novanta, consigliere comunale

con i Verdi e in seguito assessore con la

giunta di Leoluca Orlando. Grazie al mio

entusiasmo fui un bravo assessore e la

8

LETIZIA BATTAGLIA


Claudine (2019) Rielaborazione: Giovanni Falcone (2004)

gente mi amò tantissimo. Erano gli anni

della cosiddetta “Primavera di Palermo”.

Qual è secondo te il potere della fotografia?

Ci sono fotografie belle esteticamente

che non comunicano niente; nelle immagini

deve esserci la forza del fotografo, lo

devono rappresentare. Un fotografo deve

essere colto, consapevole del mondo.

Se non legge libri, giornali, se non ascolta

musica, se non ama l’arte in genere,

raramente le sue immagini saranno potenti.

Potrà avere talento ma con il tempo

il solo talento non regge.

Perché tremavi mentre fotografavi le

bambine?

Sono molto emozionata e tremo davanti

ai loro occhi profondi, non cerco la bellezza

esteriore, ma la loro interiorità, il

loro sogno. Solo in seguito ho capito

che quelle bambine mi ricordavano me

stessa a dieci anni quando mi resi conto

di colpo che il mondo non era poi così

bello. Ecco perché nelle mie foto queste

bimbe non ridono mai.

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Come sei riuscita ad entrare con l’obiettivo

nell’intimità delle famiglie?

Essere donna mi ha reso più facile entrare

nelle case delle persone in un’epoca dominata

da miseria, povertà e dolore. Ho

scattato immagini in bianco e nero osservando

la realtà con rispetto e raccontando

un’umanità varia. Essenzialmente storie di

donne e bambine, tra miseria e speranza.

Attualmente dirigi il Centro internazionale

di fotografia a Palermo; che

progetti hai per questo spazio?

È un sogno diventato realtà all’interno del

padiglione diciotto dei Cantieri culturali

alla Zisa, in uno spazio di seicento metri

quadrati fino a qualche tempo fa inutilizzato.

Oggi si presenta, grazie ad un’architetta,

Iolanda Lima, come uno spazio

polifunzionale suddiviso in diverse sale

espositive per accogliere mostre, conferenze,

workshop. Un punto di riferimento

non solo per i fotografi e gli amanti della

fotografia, ma per il mondo culturale in

genere, per i giovani e i meno giovani.

Com’è la vita oggi a Palermo?

La gente fa finta che la mafia non esista,

ma in realtà molti continuano ancora a

pagare il pizzo, circola droga e c’è ancora

tanta spazzatura. Ciò nonostante Palermo

sta cambiando e c’è un desiderio

nascente di non essere più prigionieri di

mafie e tabù. È in atto un cambiamento

anche nei comportamenti delle donne

che escono la sera e girano da sole

anche di notte. La gente fa finta che la

mafia non esista, ma in realtà molti continuano

ancora a pagare il pizzo, circolano

droga e malaffare. Ciò nonostante

Palermo sta cambiando, grazie anche al

lavoro del sindaco Leoluca Orlando, e

c’è un desiderio forte di non essere più

prigionieri di mafie e tabù. Specialmente

da parte di tante donne che coraggiosamente

si impegnano contro le mafie e

i soprusi. Le donne in questi anni hanno

fatto progressi di emancipazione; in Sicilia,

sono oggi più libere di un tempo.

Cosa mi dici di questo workshop a

Firenze in occasione della tua mostra

Corpo di donna?

Da alcuni anni io e Roberto Timperi, fotografo

romano, teniamo workshop in

giro per l’Italia ed è proprio in occasione

di quest’ultimo appuntamento espositivo,

Corpo di donna, a Firenze, che

abbiamo creato un incontro con fotografi

amatoriali e professionisti desiderosi

di approfondire e ampliare le loro

capacità artistiche. Abbiamo cercato di

trasmettere non solo la passione ma

anche il rispetto per la fotografia e per il

corpo femminile. Da questo workshop

nascerà il volume Anna, curato dalla

Crumb Gallery e illustrato dalle foto dei

25 partecipanti.

LETIZIA BATTAGLIA

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Spunti di critica

Fotografica

A cura di

Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli

Frank Horvat

Scomparso lo scorso ottobre all’età di 92 anni, è stato

uno dei fotografi più eclettici del XX secolo

di Nicola Crisci / foto Frank Horvat

Frank Horvat nacque in Croazia

nel 1928, da padre medico

ungherese e madre psichiatra

viennese. Compì i suoi primi studi a

Milano, dove seguì un corso di pittura

nel quartiere Brera. Già appassionato

di fotografia, nel 1950 ebbe la fortuna

di incontrare Cartier-Bresson che, oltre

ad incoraggiarlo in questa professione,

gli consigliò di usare una Leica. Horvat,

conosciuto soprattutto per le fotografie

di moda pubblicate tra la metà

degli anni Cinquanta e la fine degli anni

Ottanta, fu attivo anche nell’ambito

del fotogiornalismo, di generi come il

Frank Horvat

ritratto e il paesaggio e coltivò grande

interesse per la storia dell’arte, confrontandosi

con la pittura e subendo il

fascino della scultura. Negli anni Ottanta,

a causa di una malattia agli occhi,

abbandonò per un po’ la fotografia

e realizzò alcune interviste pubblicate

successivamente nel libro Entre vues,

con grandi protagonisti del mondo fotografico

come Robert Doisneau, Josef

Koudelka, Sarah Moon, Helmut Newton

e Joel Peter Witkin. Questi dialoghi con

personaggi così diversi rispecchiano la

sua inquieta personalità di irrefrenabile

esploratore di generi e linguaggi.

Migliorato il problema alla vista, riprese

a fotografare rivolgendo però il suo

interesse al nascente mondo dell’informatica,

che nelle sue mani diventò

uno strumento per aggiungere o sottrarre

elementi alla realtà immortalata.

La sua carriera artistica si può condensare

in tre parole chiave: eleganza,

umanità e ironia. In quasi settant’anni

di fotografia ha ritratto soggetti molto

Parigi (1956)

difformi tra loro, con almeno una dozzina

di tecniche diverse. «La fotografia

- amava dire Horvat - è una forma di

conoscenza, con la quale posso catturare

l’identità di un luogo, di una città,

e così facendo riconoscerla. Il tempo

siamo noi, è il nostro nemico, è quello

che ci uccide, è la nostra vita, è tutto;

l’immagine fotografica è una specie di

vittoria, sebbene illusoria, su di esso.

Di una fotografia mi interessa il miracolo,

il fatto che esprima la verità personale

e spirituale del fotografo, tutto il

resto mi lascia indifferente».

La sfinge (1956)

Fotografia di moda (anni Sessanta)

Mate (1964)

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FRANK HORVAT


A cura di

Ugo Barlozzetti

Percorsi d’arte

in Toscana

I parchi d’arte contemporanea in Toscana

Un patrimonio tra natura e cultura tutto da scoprire

di Ugo Barlozzetti

Il Giardino di Daniel Spoerri a Grosseto (ph.courtesy www.artribune.com)

La Regione Toscana ha promosso

la catalogazione dei parchi

d’arte contemporanea, straordinario

patrimonio culturale e naturale

di questo territorio. Il rapporto tra paesaggio

e opere d’arte ha favorito in Toscana

l’intervento estetico di importanti

personalità. È nata così una ricca rete –

la più significativa in Italia e tra le più

considerate in Europa – di parchi ambientali

localizzati in luoghi di particolare

suggestione. Il progetto Volterra ’73,

realizzato su proposta di Mino Trafeli,

artista di grande personalità e cultura,

con il coordinamento del critico Enrico

Crispolti, è stato il primo esempio di arte

ambientale in Italia. Dopo quell’esperienza

esemplare e pionieristica, con gli

anni Ottanta cominciano a essere realizzati

vicino a Capalbio “Il Giardino

dei Tarocchi” e a Santomato di Pistoia,

presso Villa Gori, la “Fattoria di Celle”,

uno dei parchi più importanti d’Italia e

fra i più attentamente seguiti in Europa.

Nel 1991 è stato avviato e progettato da

Daniel Spoerri il “Giardino delle sculture”

a Seggiano sull’Amiata. In provincia

di Firenze si trovano il “Giardino delle

Rose” con opere di Folon, il “Parco di

Poggio Valicaia” sulle colline di Scandicci,

il Castello di Santa Maria

Novella a Fiano, vicino a Certaldo,

e il “Centro d’arte La Loggia”

a Montefiridolfi presso San Casciano

Val di Pesa. La provincia

di Prato ha, a Seano, il “Parco

Museo Quinto Martini” e a Luicciana,

vicino a Cantagallo, un

ricco museo d’arte contemporanea.

In provincia di Pistoia, oltre

a Villa Gori, vi è a Collodi il

precursore dei giardini ambientali,

nonostante sia stato concepito

soprattutto per illustrare Le

avventure di Pinocchio con percorsi

incentrati su interpretazioni

artistiche di episodi e personaggi.

A Quarrata, la villa medicea

La Magia custodisce il “Parco

Museo Lo spirito del luogo”. In

provincia di Siena, il Castello di

Ama è dedicato all’arte contemporanea,

mentre Jean-Paul Philippe,

nei pressi di Asciano, ha

ideato il “Site Transitoire”. Presso

Monticiano vi è il “Giardino di Kurt L.

Metzler”, a Cotorniano, vicino a Casole

d’Elsa, il “Parco Selva di Sogno – Dreamwoods”,

e infine il “Parco Sculture

del Chianti” nei dintorni di Castelnuo-

La Fattoria di Celle a Santomato di Pistoia

(ph. courtesy www.artribune.com)

vo Berardenga. In provincia di Grosseto

ci sono il “Giardino dei suoni” di Paul

Fuchs al podere Pianuglioli a Boccheggiano

e al Podere Il Leccio, nei pressi

di Buriano a Castiglion della Pescaia, il

“Giardino Viaggio di ritorno”. All’Isola

d’Elba, vicino alla villa napoleonica

di San Martino, Italo Bolano ha creato

il suo museo che, in verità, è stato tra i

pionieri dei musei che mettono le opere

in rapporto con l’ambiente, avendo iniziato

nel 1964. Sulla via provinciale di

Gragnana, a Carrara, si può ammirare

il “Parco della Padula”, nato in relazione

alla Biennale Internazionale di Scultura

di Carrara. Le capacità di attrazione

esercitate della Toscana nel XIX e XX

secolo nei confronti di artisti e intellettuali

di tutto il mondo non si sono esaurite,

anzi, proprio l’eccellenza dei parchi

di arte contemporanea costituisce la dimostrazione

di un fecondo incontro tra

maestri toscani e quelli provenienti da

ogni parte del pianeta.

PARCHI D’ARTE

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Incontri con

l’arte

A cura di

Viktorija Carkina

Riccardo Guarneri

Lo spirito della geometria tra musica e pittura

di Viktorija Carkina

Com’è iniziata la sua passione

per l’arte?

I miei studi iniziali si sono svolti nelle mura

di un liceo scientifico. Presto ho capito

di essermi appassionato alla musica

e perciò ho iniziato a suonare la chitarra

e il contrabbasso. Per dodici anni ho

lavorato in un’orchestra che mi ha permesso

di visitare diversi paesi europei.

Mi ricordo ancora quanto rimasi colpito

dalla luce fredda e cristallina dei paesi

del Nord, che poi ho rappresentato nei

quadri che si riferiscono a Rembrandt.

Erano ancora dipinti scuri, che poi negli

anni si sono schiariti, talvolta accompagnati

da scritte. Durante i miei viaggi ho

conosciuto per caso diversi pittori e poi,

tornato a Firenze, ho iniziato a studiare la

pittura con due allievi dell’Accademia di

Belle Arti. Mi ero appassionato così tanto

alla pittura da decidere di abbandonare

gli studi musicali. Analizzando la mia vita

capisco le motivazioni che mi avevano

www.florenceartgallery.com

spinto a scegliere la musica, mentre la

pittura ha scelto me, come avviene in un

rapporto amoroso. Mi ricordo che gli anni

Sessanta erano molto stimolanti per

un artista e perciò ho intrapreso diverse

amicizie con i pittori, unendomi ad un

gruppo di Genova chiamato Tempo tre

guidato dal critico Eugenio Battisti. Altre

mie amicizie erano soprattutto a Milano

e a Roma, dove andavo con la mia

Fiat Cinquecento e passavo le giornate

a discutere di avanguardia e dei problemi

legati alla pittura. Portavo alcuni miei

quadri per poi scambiarli con opere dei

miei amici.

In quel periodo quali pittori sono entrati

a far parte della sua collezione?

C’erano quadri di Bonalumi, Castellani,

Scheggi e molti altri; dipinti figurativi

no, perché la mia attenzione era rivolta

verso la direzione dove andava la storia

dell'arte contemporanea, ovvero verso

le avanguardie.

Come nasce una sua opera?

Riccardo Guarneri (ph. Gerardo Gazia)

Lavoro con un metodo di variazioni, mi

considero un “bachiano” nel senso musicale

del termine. Procedo sempre per

varianti, anche minime, che poi costituiscono

un percorso artistico con le relative

differenziazioni nei miei periodi.

Infatti, se si guarda un mio quadro di

cinquanta anni fa, si noterà che è ben diverso

da quelli recenti. Ciò che conta sono

l’originalità e la preparazione culturale

che formano la visione dell’artista. Ho

sempre assorbito gli spunti ispirativi che

giravano intorno a me e per questo motivo,

quando insegnavo all’Accademia di

Belle Arti, chiedevo ai miei studenti di

fare la stessa cosa e di studiare diverse

correnti artistiche, anche se non coincidevano

con il loro percorso di studio.

Riflettendo sul ruolo della geometria

nell’arte, ha approfondito il percorso

di Josef Albers, ammettendo: «Per me

Albers era troppo logico, geometrico,

io preferivo essere più ambiguo, non

Arioso con grande celeste (2008), cm 140x180

Molto ritmato (2016), cm 140x180

12

RICCARDO GUARNERI


Luce celeste al centro (2014), cm 80x160

Tre zone (2009), cm 80x160

avevo la sua fede nella forma pura,

venivo dell’esistenzialismo».

Infatti i miei quadri non sono basati sulla

“fede nel quadrato” e nelle mie opere

non esistono linee perfettamente verticali.

Le mie sono linee libere che Albers

o Mondrian non avrebbero mai ammesso.

Gli angoli geometrici, anziché essere

di novanta gradi, sono di ottantasei

e tutto tende ad espandersi verso l’infinito,

senza che l’opera abbia confini.

Credo che ogni artista debba avere una

personalità in cui si rispecchiano la sua

filosofia e la sua sensibilità.

Vista la lunga riflessione che accompagna

le sue opere, quando capisce

che un quadro è finito?

È una bella domanda perché è veramente

molto difficile. Innanzitutto dipingo solo

nella prima metà della giornata quando

la luce del sole è fredda. Nel pomeriggio

entra in gioco una luce calda che non

sopporto. Il lavoro però prosegue anche

nella seconda metà della giornata, in

cui passo tantissimo tempo ad osservare

l’opera. Prima di completare un quadro,

accompagno la mia riflessione con

diversi bigliettini, dove appunto le modifiche

da apportare. Spesso accanto ai dipinti

nel mio studio si trovano foglietti con

scritte come “aumentare la linea verde”.

La riflessione sull’aggiunta di ulteriori linee

è uguale all’operazione che compie

uno scrittore quando scrive un libro. Anche

il quadro va letto, non solo visto. Nel

momento in cui il pittore si ferma e decide

che il quadro è completato compie una

scelta drammatica. Per alcuni artisti è una

scelta che determina se il quadro sarà un

capolavoro o non varrà nulla. Nel caso in

cui il quadro non valga nulla, di solito un

artista dotato di un senso critico se ne accorge.

Quando questa sensazione capita

a me, ho due opzioni: distruggere il dipinto

oppure continuare ad andare avanti.

Provo sempre a rimediare, non abbandono

la lavorazione di un’opera se la ritengo

non perfetta. Forse è per quest’attenzione

che dedico ad ogni singola opera che ne

produco poche. La mia produzione conta

al massimo venti quadri l’anno.

Che significato ha la pittura analitica

per lei?

Generalmente il discorso sulla pittura

analitica prevede una continua sperimentazione

con i materiali, ma non sono d’accordo.

Non ho mai cambiato i supporti,

continuando a dipingere su tela. Per me

un quadro deve essere percepito attraverso

la pittura stessa. Come una variazione

di un canone di Bach viene spiegata in termini

musicali, anche la pittura viene spiegata

in termini pittorici. La pittura analitica

di Picasso e Braque è fatta sulla lezione

di Cézanne con le pennellate sovrapposte

che creano una vibrazione sulla superficie.

Questo è un esempio della musicalità

pittorica. Naturalmente, dietro questa

vibrazione deve esserci la profondità del

pensiero e anche lo spettatore deve avere

una capacità di sentire l’opera per poter

apprezzare un linguaggio nuovo. La pittura

è prima di tutto pittura e la sua analisi

è la musicalità stessa, che può essere

anche il silenzio. Erroneamente l’arte analitica

viene considerata come l’arte concettuale,

che ormai è diventata una moda

e perciò costituisce il lato negativo delle

avanguardie. Infatti, nell’arte concettuale

si tende verso l’annullamento dell’opera,

mentre nel mio caso essa costituisce il

centro dell’attenzione. Infine, per me, l’arte

analitica è poesia e condivido il pensiero

di Dante che vide l’arte come “Amor

che nella mente mi ragiona”. Un ragionamento

continuo, ma svolto necessariamente

con amore, costituisce per me

l’essenza della pittura analitica.

Cornici Ristori Firenze

www.francoristori.com

Via F. Gianni, 10-12-5r, 50134 Firenze

Angolare ambiguo (2015), l. cm 95 x d. cm 135

Arco romanico (1981), cm 50x50

RICCARDO GUARNERI

13


Nel dicembre 2012 usciva il numero zero della nostra rivista; da allora sono passati otto anni nel corso dei quali

siamo usciti puntualmente ogni mese con notizie d’attualità riguardanti il mondo dell’arte, della moda, dello spettacolo.

Le iniziali 32 pagine sono man mano cresciute fino ad arrivare alle attuali 80 che ci consentono di parlare anche di salute,

psicologia, design, cinema, teatro, musica, solidarietà, fotografia, benessere, poesia, letteratura, enogastronomia, storia delle

religioni, turismo, sport e architettura avvalendoci della collaborazione di valenti giornalisti ed esperti di settore.

In questi anni sono state distribuite oltre 200 mila copie cartacee mentre attraverso i social La Toscana Nuova è arrivata

ogni mese ad oltre 50 mila persone. Il primo e il secondo lockdown ci hanno costretto a limitare la distribuzione cartacea

nei luoghi pubblici ma abbiamo ovviato a questo inconveniente intensificando la campagna abbonamenti. Per questo mi

rivolgo ai nostri lettori invitandoli a sottoscrivere l’abbonamento per il 2021 che continuerà a costare solo 20 euro e

prevede l’invio della rivista cellofanata a domicilio attraverso Poste Italiane.

Il pagamento potrà essere effettuato tramite versamento sul cc postale 1044427340 intestato a La Nuova

Toscana Edizioni (IBAN: IT64NO760102800001044427340) oppure sul conto corrente 021/204401 (IBAN:

IT65Z0832538110000000204401) del Banco Fiorentino. Per chi, invece, vorrà optare per il pagamento in contanti, sarà

aperta la nostra sede di via San Zanobi 45 rosso tutti i giorni compreso i festivi dalle 16 alle 18.

Nell’augurare buona lettura, colgo l’occasione per estendere ai lettori e ai collaboratori anche gli auguri di buon Natale e

di un sereno 2021.

Fabrizio Borghini - Editore La Toscana Nuova


I libri del

Mese

Firenze al cinema nel nuovo

libro di Fabrizio Borghini

di Erika Bresci

Il fascino di Firenze ha stregato

nel tempo registi da tutto il mondo.

Firenze al cinema individua

330 film girati in poco più di un secolo

(dal 1908 al 2020), riportandone

con precisione l’intero cast e un piccolo

frame in molti casi, in altri dedicando

una pagina intera a scene famose e

mai dimenticate. Scorrono così locandine,

volti di attori e film noti – Metello,

Amici miei, Hannibal, Paisà, Il Ciclone,

Camera con vista, ad esempio – e altri

sicuramente meno conosciuti ma che

proprio per questo stimolano la curiosità

a indagarne storia e contenuti.

Senza dimenticare i film muti di inizio

secolo scorso (girati negli stabilimenti

in via delle Panche prima di essere trasferiti

in quelli Pisorno di Tirrenia), le

saghe come il colossal in tre stagioni

I Medici, i corto e lungometraggi, le

biografie dedicate a personaggi che

con Firenze hanno avuto molto a che fare

(da Michelangelo e Leonardo a Baggio

e Batistuta) e le fiction di grande

successo come la recente Pezzi unici.

Grazie a questa marea di celluloide Firenze

è entrata nelle case e nei cinema

dell’intero pianeta, si è fatta vedere

nei suoi angoli più segreti, mantenendo

comunque il mistero di una donna

eternamente bella, maliarda e un

po’ ritrosa, preziosa come un diamante

da incastonare a piacere. Perché un

film bello «raddoppia la sua bellezza

se Firenze gli fa da scenografia. È come

vestire elegante una bella donna!»,

suggerisce con semplice e insieme

profonda verità Leonardo Pieraccioni

nella sua prefazione.

Per prenotare il libro contattare:

Lucia Raveggi + 39 333 9704402

T’insegnerò la notte

La scoperta di sé attraverso l’amore nel romanzo di Caterina Ceccuti

di Erika Bresci

Cris Chambers vive il presente

nel routinario svolgersi di

ogni giorno: il lavoro di ufficio

stampa nell’agenzia di cui è titolare

e direttore, le ore trascorse insieme

a Graziano, amico di sempre e vicedirettore,

così diverso nel fisico palestrato

e nel carattere solare che gli

appartiene, una storia complicata con

la bella Alessandra. Finché una sera,

rientrando a casa, Cris impatta

nel corpo di una donna morta che lo

aspetta nell’ingresso. Una visione orrorifica,

che si ripresenterà e che lo

costringerà a fare i conti con un’infanzia

in chiaroscuro, tra un padre

fotografo machista e una madre, la

Grigia, sostanzialmente indifferente;

scene di un passato che l’apparizione

della morta costringe a rivedere, ripescando

dal pozzo e portando alla luce

quella sua parte tenuta nascosta e temuta,

che gli impedisce di essere chi

realmente è, di amare chi realmente

desidera. E fare sua, una volta per

tutte, quella parte femminile che grida

sotto il vestito di carne, perché l’Amore

non ha forma, o meglio, ha tutte

le forme possibili, se Amore significa

comunione di anima, non possesso

di un corpo. L’impronta surreale e

gotica si amalgama a perfezione con

la sostanza viva del quotidiano, affrontando

il tema dell’omosessualità

con ruvida delicatezza, senza retorica

o pregiudizi.

I LIBRI DEL MESE

15


Cosmetici Naturali e Biologici per il Benessere

Regala Benessere per Natale

Scopri la nostra selezione di regali a piccoli prezzi! Hanno tutti lo stesso

potere: quello della natura, per regalare benessere alle persore a te care!

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A cura di

Antonio Pieri

Benessere e cura

della persona

Questo Natale regala benessere e natura

di Antonio Pieri

Il Natale è alle porte. Quest’anno

probabilmente sarà un Natale un

po’ diverso dagli altri, con più tempo

a disposizione per noi stessi.

Prendiamoci cura di noi

Avendo più tempo cogliamo l’occasione

per prenderci cura di noi e della

nostra pelle in maniera corretta e naturale.

Molti prodotti che troviamo sul

mercato, magari anche a basso prezzo,

in realtà non sono amici della pelle

e del nostro benessere, in quanto contengono

ingredienti come SLS, SLES,

siliconi o parabeni, cioè composti chimici

che possono provocare reazioni

di vario tipo sulla pelle come dermatiti

e irritazioni.

Regaliamo benessere e natura

Con le idee regalo di Natale di Idea Toscana

regali non solo prodotti naturali

e biologici, ma un vero e proprio stile

di vita che fonde il benessere con prodotti

cosmetici naturali e di alta qualità.

Sono perfetti sia per chi già conosce

e sposa appieno la nostra filosofia, sia

per chi ancora non ci conosce e vuole

avvicinarsi al mondo dei prodotti naturali

e biologici di qualità realizzati alla

maniera toscana.

A te la scelta

Prima Spremitura, Prima Spremitura

Bio, Prima Fioritura, Bio Le Veneri e

tanto altro, la scelta è veramente am-

pia e completa.

Per la tua amica

fissata con la cura dei capelli sarà una

bella sorpresa trovare sotto l’albero la

nostra calza di Natale con all’interno lo

shampoo normalizzante o il balsamo ristrutturante

Prima Spremitura. Oppure

se vuoi farle provare i nostri diffusori

per ambienti ma non sai quale preferisce,

puoi regalarle la confezione Trio

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i tre mini size delle nostre fragranze

olivo, agrumi e rosa.

Per tutte le tasche

Le nostre proposte sono adatte per

ogni tipo di budget: infatti, nel nostro

punto vendita in Borgo Ognissanti 2 a

Firenze e sul nostro sito www.ideatoscana.it,

potete trovare idee regalo di

ogni tipo. Se avete in mente un regalo

di Natale importante vi proponiamo i

nostri trattamenti completi per viso e

corpo, se invece volete fare un piccolo

pensiero sono ideali i nostri cofanetti

regalo che vi permetteranno, con una

piccola spesa, di regalare natura e benessere

all’insegna della qualità.

Arriva al Natale con noi

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non è mai stato così ricco di benessere

e natura. Se non vedi l’ora che sia Natale,

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da 24 prodotti naturali e biologici

scelti per te fra tutte le nostre linee.

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Ti aspettiamo in Borgo Ognissanti

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Idea Toscana.

Antonio

Pieri

Nato a Firenze nel 1962, Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda

il Forte srl e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici

naturali per il benessere secondo la più alta tradizione manifatturiera toscana

che hanno come principio attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano IGP

biologico. Esperto di cosmesi, profumeria ed erboristeria, svolge anche consulenze

di marketing per primarie aziende del settore. Molto legato al territorio toscano e alle

sue eccellenze, è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

Per info:

antoniopieri@primaspremitura.it

Antonio Pieri

BENESSERE E NATURA

17


Dimensione

Salute

A cura di

Stefano Grifoni

L’importanza della parola per

apprendere e comunicare con gli altri

di Stefano Grifoni

Le parole che usiamo tutti i giorni

indicano il livello di sviluppo

e maturazione degli individui in

termini cognitivi. Anche se l’esposizione

a una certa quantità di linguaggio

è un prerequisito necessario per imparare

una lingua, a contare di più è

l’interazione con le persone. Questo è

anche uno dei motivi per cui non basta

mettere un bambino a guardare per

ore dei cartoni animati in inglese perché

lo impari. I bambini imparano a

parlare attraverso conversazioni della

vita quotidiana, nell’interazione e nella

socialità con gli adulti, non in modo

astratto. Le parole che imparano prima

sono quelle che vengono usate in

attività di routine come i pasti o il gio-

co oppure quelle che vengono usate in

contesti diversi e in diversi tipi di conversazione

(come “ciao”). È difficile

dire quante parole pronunciamo ogni

giorno. Secondo alcuni studi le donne

usano in media ventimila parole al

giorno contro le settemila degli uomini.

Le parole così diventano la più potente

arma usata dalle donne.

Stefano

Grifoni

Nato a Firenze nel 1954, Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso

dell’Ospedale di Careggi e sempre presso la stessa struttura è direttore del Centro di riferimento regionale

toscano per la diagnosi e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Ha condotto numerosi

studi nel campo della medicina interna, della cardiologia, della malattie del SNC e delle malattie respiratorie e nell’ambito

della medicina di urgenza. Membro del consiglio nazionale della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza,

è vicepresidente dell’associazione per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e

membro tecnico dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze. Ha pubblicato oltre 160 articoli su riviste

nazionali e internazionali nel settore della medicina interna e della medicina di urgenza e numerosi testi scientifici

sullo stesso argomento. Da molti anni collabora con RAI TRE Regione Toscana nell’ambito di programmi di medicina,

con il quotidiano La Nazione e da tre anni tiene una trasmissione radiofonica quotidiana sulla salute.

18

LA PAROLA


A cura di

Emanuela Muriana

Psicologia

oggi

La solitudine tra scelta di vita e condanna

di Emanuela Muriana

Senza solitudine non c’è relazione,

se non sai stare da solo

non sai stare con nessun altro, «se non sai stare con l’altro non sai stare

con te stesso. Questa è l’essenziale ambivalenza

del nostro esistere» dice Giorgio

Nardone nel suo libro La solitudine, capirla

e gestirla per non sentirsi soli. Il primo

passo per analizzare la solitudine è guardarla

come una moneta con le sue distinte

facce: il suo essere scelta e ricercata o,

al contrario, essere subita e rifuggita. Nel

primo caso abbiamo ciò che i mistici per

primi, poi i filosofi e gli scienziati e infine

gli psicologi definiscono la via privilegiata

per raggiungere stati elevati di coscienza,

per mettere in opera capacità creative e

intuitive superiori. Nel secondo caso c’è la

solitudine disperata e disperante di chi si

sente rifiutato, di chi ha difficoltà a relazionarsi

con gli altri, di chi ha perso persone

care o il proprio ruolo sociale, del malato

e del morente, di tutte quelle condizioni di

abbandono a se stessi, di smarrimento, di

estraneità e non esistenza per gli altri. Questa

visione appare ad un primo approccio

manichea perché divisa in due poli: uno

positivo, quello della solitudine scelta che

conduce all’elevazione e alla rottura degli

schemi per uscirne più forti; l’altro negativo

dove la solitudine subita può diventare

una condanna. Ci sono studi che dimostrano

quanto la solitudine sia necessaria

per lo sviluppo di capacità mentali e com-

portamenti evoluti;

altre ricerche

mettono in evi-

Emanuela

Muriana

denza la carica patogena della solitudine

in quadri clinici importanti. Ecco allora che

la solitudine appare come un fenomeno

ambivalente. Molti sono i casi dove la solitudine

diventa il meccanismo difensivo in

disturbi psicopatologici strutturati: la solitudine

disperata nella depressione, il ritiro

sociale nelle anoressie, l’evitamento dell’esposizione

nelle fobie sociali, l’isolamento

progressivo nel disturbo ossessivo-compulsivo

o l’isolamento nella paranoia. In

altre patologie, invece, la solitudine viene

evitata: come nell’ipocondria (l’ossessione

fobica di ammalarsi), la persona tende ad

attorniarsi di persone e specialisti di fiducia

per essere rassicurati. Lo stesso vale

per il ben noto e diffuso disturbo da attacchi

di panico dove la persona non riesce a

stare da sola per paura di sentirsi male e

di morire. Questi sono solo alcuni esempi

di disagi e disturbi, ma l’elenco non finisce

qui. La cura della solitudine sofferta

s’intreccia allora con la cura delle diverse

psicopatologie a seconda di come può influenzarle

o esserne influenzata. Oggi però

si assiste ad un altro fenomeno emergente

per far fronte alla solitudine: l’ipersocialità,

una propagazione epidemica di questo

modello di relazione con gli altri per sfuggire

alla solitudine sofferta anzitutto dagli

adolescenti, per i quali vige lo stigma “se

sei da solo sei sfigato” cioè uno da evitare.

Ne consegue che la maggior parte dei

giovani non esce se non ha la garanzia di

una compagnia. Anche numerosi adulti

applicano una sorta di equazione: solitudine

sofferta significa mancanza di relazioni,

pertanto se sei in compagnia non soffri.

Pensiamo ad esempio al rito dell’aperitivo

diventato irrinunciabile per molti − giovani

e meno giovani − che tanto ha pesato come

uno dei comportamenti a rischio per

il contagio in questo dannato periodo di

pandemia ma anche come spia del bisogno

disperato di far fronte alla paura della

solitudine. Il paradosso è che la solitudine

assoluta non esiste: ognuno di noi rimane

sempre in relazione con se stesso,

con gli altri e con il mondo che lo circonda.

Seneca scriveva: «Il saggio basta a se

stesso». Coltivare la capacità di saper stare

bene da soli è necessario per avere relazioni

migliori con gli altri. Inoltre, recita

il pensiero di un anonimo, “il privilegio di

saper stare bene da soli ti regala quello più

pregiato di poter scegliere con chi stare”.

Di tutto questo si è recentemente parlato

in un interessante simposio e seminario

clinico condotto dal professor Giorgio

Nardone e tenutosi online l’8 e il 9 novembre

scorsi.

Emanuela Muriana vive e lavora prevalentemente a Firenze. È responsabile

dello Studio di Psicoterapia Breve Strategica di Firenze, dove svolge

attività clinica e di consulenza. È specializzata al Centro di Terapia Strategica

di Arezzo diretto da Giorgio Nardone e al Mental Reasearch Institute di

Palo Alto CA (USA) con Paul Watzlawick. Ricercatore e professore della scuola

di specializzazione quadriennale in Psicoterapia Breve Strategica (MIUR) dal

1994, insegna da anni ai master clinici in Italia e all’estero. È stata professore

alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso le Università di Siena (2007-2012) e

Firenze (2004-2015). Ha pubblicato tre libri e numerosi articoli consultabili sul

sito www.terapiastrategica.fi.it.

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055-242642 - 574344

Fax 055-580280

emanuela.muriana@virgilio.it

LA SOLITUDINE

19


FLORENCE ART

DEPOSIT GALLERY

FLORENCE ART

La sede dell’associazione Save the Culture

(Salviamo la Cultura) all’interno della Florence

Art Deposit Gallery non è stata scelta a

caso. Si trova, infatti, nel cuore del centro

storico fiorentino, in un luogo sacro in quanto

tabernacolo edificato agli inizi del XIV secolo,

forse anteriormente alla Chiesa di San

Michele della cui struttura fa parte. Secondo

fonti storiche, in questo luogo avrebbe trovato

sepoltura Filippino Lippi, allievo prediletto

di Sandro Botticelli.

La Florence Art Deposit Gallery ha uno stile

contemporaneo, con un impianto d’illuminazione

che permette di valorizzare le opere

esposte assecondandone le specifiche peculiarità.

Dall’apertura, nel maggio 2019, si sono

tenute alla Florence Art Deposit Gallery oltre

trenta attività culturali legate ai progetti

internazionali Arte senza frontiere, Carattere

della Donna, Vivere, senza paura. La galleria,

diretta da Yuliya e Alesia Savitskaya, ha inoltre

partecipato alla fiera internazionale Art Vilnius

2020 curando la presentazione delle opere

di un’artista lituana. Tra i progetti più recenti,

i video in lingua russa − visibili sul canale You-

Tube “Yuliya&Alesia Savitskaya” e realizzati in

collaborazione con il fotografo Pietro Schillaci

− all’interno dei quali vengono presentate le

mostre della galleria unendole alla storia di

Firenze per farla conoscere al pubblico russo.

Sia gli artisti che il pubblico hanno dimostrato

pieno apprezzamento per la qualità e l’ospitalità

dello spazio artistico diretto da Yuliya e

Alesia Savitskaya, il cui intento è coniugare la

grande tradizione artistica fiorentina con le

nuove multiformi tendenze dell’arte contemporanea.

Loro obiettivo è anche riunire artisti

e appassionati d’arte per sostenere la cultura

in un momento storico di grande disagio. Per

questo motivo, l’associazione Save the Culture

e la Florence Art Deposit Gallery continueranno

a portare avanti la loro attività con mostre

d’arte ed eventi culturali di ampio respiro.

Yuliya e Alesia Savitskaya con il professor Ugo Barlozzetti (ph. Pietro Schillaci)

Camminando a Firenze: luoghi d'arte e cultura

La Florence Art Deposit Gallery sta preparando

un video dedicato all’arte a Firenze nell’arco di

tempo compreso tra gli anni Sessanta e Novanta

del Novecento, con l’introduzione storico-critica

del professor Ugo Barlozzetti, che racconterà

luoghi e figure emblematiche dell’arte fiorentina

recente accompagnato dalle titolari della galleria

Yuliya e Alesia Savitskaya. Il video conterrà

anche la presentazione della mostra Ancien

Prodige ‒ momentaneamente sospesa a causa

dell’emergenza sanitaria ‒ dedicata agli ottant’anni

di Riccardo Ghiribelli e Angelo Vadalà,

con la partecipazione degli artisti che hanno

reso omaggio ai due maestri. Foto e video saranno

realizzati dal fotografo professionista

Pietro Schillaci che già collabora con la Florence

Art Deposit Gallery per i contenuti promossi dalla

galleria sul canale YouTube. La traduzione in

russo, oltre alla versione in italiano, consentirà di

far conoscere la storia di Firenze ad un pubblico

molto ampio e interessato all’arte italiana.

a.saveculture@gmail.com

Save Culture

florenceartdepositgallery

Yuliya&Alesia Savitskaya

Ph. Pietro Schillaci


I libri del

Mese

A spasso per Firenze

Aneddoti e storie della città gigliata raccontati da una

guida d’eccezione

di Barbara Lombardi Santoro

Fino al 2000 sono stata segretaria

nazionale della Federazione

Italiana degli Amici dei Musei,

ed ogni volta che da più parti d’Italia i

soci venivano a Firenze, non solo li accompagnavo

a vedere mostre e palazzi,

ma, mentre si camminava, raccontavo

loro aneddoti, storie del passato ed indicavo

quelle curiosità che sono sparse

qua e là nella città, spesso ignorate o

poco conosciute anche dagli stessi fiorentini.

Così quando alcune amiche all’inizio

dell’emergenza sanitaria mi hanno

chiesto di narrare su Facebook alcuni

di questi aneddoti per rallegrare le loro

giornate, ho accettato con piacere. Purtroppo

questa pandemia si è protratta

per mesi e ancora non ne siamo fuori,

ma il piccolo volume che avevo loro

promesso è pronto con un titolo molto

semplice: A spasso per Firenze. Sono

molto grata all’amico scultore Valerio

Savino per aver messo a disposizione

la sua mano di abile disegnatore per

meglio inquadrare le storielle che fanno

parte del testo. La prima di coperta

è venuta particolarmente bene, perché

Savino ha saputo cogliere i tre aspetti

più importanti della città: Palazzo Vecchio,

il Duomo e Ponte Vecchio inserendoli

in una Piazza Signoria immaginaria

dove minuscoli personaggi si muovono

incuriositi e un gigantesco giglio rosso

troneggia sulla pagina bianca. Un

ringraziamento va anche all’editore, il

Masso delle Fate di Signa, per avermi

seguita e consigliata al meglio nel confezionamento

del libro. Un altro importante

dono me l’hanno fatto gli amici di

sempre, Cristina Acidini, Giovanni Cipriani

e il nuovo assessore alla Cultura

del Comune di Firenze Tommaso Sacchi,

i quali nella prefazione hanno legato

il loro nome al mio grande amore per

questa città. Cristina Acidini, presidente

dell’Accademia delle Arti del Disegno,

mi ha definito «una guida molto speciale

che ci conduce per Firenze attraverso

il tempo e lo spazio». Tommaso Sacchi,

fiorentino solo da sei anni, ha notato:

«Il rischio è di perdere il segreto della

sua essenza (riferendosi a Firenze, ndr),

la storia stratificata e le narrazioni che

si nascondono tra i vicoli e le piazzette

cittadine, dentro i vecchi palazzi e sotto

le cupole delle basiliche. Occorrerebbe

che tutti quanti, non solo i fiorentini

ma anche i forestieri, riconquistassimo

l’attenzione alla misura e alle proporzioni

dei quartieri e ci avvicinassimo

alla fiorentinità più autentica, alle tradizioni

e vecchie leggende, al senso profondo

della città». Il professor Giovanni

Cipriani, che fino all’anno scorso ha tenuto

la cattedra di Storia moderna e di

Storia toscana all’Università di Firenze,

ha commentato così: «Vicende apparentemente

minori, come tante tessere

multicolori, danno vita ad un mosaico

composito, in cui forme ed immagi-

ni emergono così nitidamente, al punto

di essere in grado di farci comprendere

gli aspetti più disparati della vita che

veniva condotta a Firenze e in Toscana

nei secoli passati. (...) Grande merito di

queste pagine allora è quello di lasciarci

scoprire che in realtà la nostra città,

come le grandi opere letterarie, anche

se letta e riletta, ha sempre qualcosa

di nuovo da farci scoprire, alimentando

nei nostri sensi e nel nostro cuore

stupore, gratitudine e il desiderio di conoscere

ancora». Anche l’abate di San

Miniato al Monte, padre Bernardo Giani,

mi ha fatto il regalo di scrivere una postfazione

davvero di ampio respiro che

ha dato un valore aggiunto a questo mio

piccolo testo, che è diventato un curioso

“chicchirillò” da portare in tasca durante

le passeggiate e da regalare a tutti

coloro che hanno a cuore Firenze e le

sue grandi e piccole storie.

A SPASSO PER FIRENZE

21


Mostre nel

mondo

Andrea Stella a San Pietroburgo

“La leggenda dei dormienti” incanta la città delle notti bianche

Inaugurata lo scorso 24 settembre, la mostra di 25 opere e un’installazione allestite in tre

sale è stata prorogata fino al 10 novembre per grande affluenza di pubblico

di Anna la Donna / foto Filippo Labate

Con il loro incedere elegante, le

Muse del maestro Andrea Stella

fanno il loro ingresso nella

fredda terra degli zar, percorrendo, silenti,

le vie di una città che maestosa

e misteriosa si specchia nei suoi canali.

Si aprono le porte dei saloni del

grandioso edificio voluto da Caterina

la Grande, imperatrice di Russia, che

ospita l’espressione di secoli di pittura,

scultura e ingegno umano: il museo

dell’Hermitage. «Bellissima mostra! Ne

sono rimasto sorpreso in modo inaspettato.

Meravigliosa esposizione,

fantastica iniziativa» scrive, entusiasta,

il critico d’arte Suvorov. Si susseguono

voci di famosi critici, le parole

amplificano lo stupore e l’ammirazione

di visitatori che, tra occhio esperto

e partecipazione empatica, accolgono

il nuovo linguaggio d’arte che vive e si

veste di segni, di immagini materializzate

in creature ancestrali che si muovono

nei luoghi dell’anima tra le note

di un canto gregoriano. Poesia, arte,

musica, canto, danza, filosofia si accomodano,

come nota un critico d’arte

dell’Accademia di Belle Arti russa,

«sulle pareti del palazzo del granduca

e di sua moglie, facendo rivivere le

atmosfere dei salotti dei Romanov e

donando loro un’ombra misticamente

magica e misteriosa in un dialogo

armonioso». «Sembra che siano lì da

sempre» commenta Selena, figlia del

grande artista Stella, con voce tradita

Selena Stella e Luca Paolino consegnano un’opera del

maestro Andrea Stella a Irina Chmelnizcaya, direttrice

del museo di Palazzo Vladimiriskij all’Hermitage

Da sinistra, Luca Paolino, la curatrice della mostra Alla Georgieva, il direttore artistico del Teatro Music Hall

di San Pietroburgo Fabio Mastrangelo, la figlia dell’artista Selena Stella, il console generale della Repubblica

italiana a San Pietroburgo Alessandro Monti e Natalia Culighina

Pensieri sulla città, tecnica mista, d. cm 120 Giardini nascosti, tecnica mista, cm 100x120 Antichi scorci, tecnica mista, cm 70x70

22

ANDREA STELLA


La consegna di due opere di Stella al console italiano Alessandro Monti, a destra, e al dottor Giovanni Fasanella

La medaglia con il simbolo della città coniata

dall’Hermitage e donata alla famiglia dell’artista

In questa e nella foto sotto due momenti dell’inaugurazione

dall’emozione e prosegue ringraziando

tutti coloro che in qualità di studiosi o

di figure istituzionali hanno contribuito

alla realizzazione dell’evento: Alla Georgieva,

curatrice della mostra che con

grande professionalità ha coordinato

i rapporti tra i due paesi, Alessandro

Monti, console generale dell’Ambasciata

italiana a San Pietroburgo, Giovanni

Fasanella e Irina Chmelnizcaya,

la quale avrebbe dovuto incontrare il

maestro Stella la settimana dopo la

sua scomparsa. Per onorare la presenza,

nelle sale dell’Hermitage, di un

corpus di opere del maestro, è stata

coniata una medaglia con il simbolo

della città, come riconoscimento all’artista

e dono alla famiglia in segno di

gratitudine. Nonostante i timori legati

al Covid, le attese, le lungaggini di una

burocrazia cavillosa, Selena, insieme

al suo compagno di vita, non ha voluto

abbandonare questo progetto: «Luca

mi ha sostenuto e incoraggiato, dandomi

una gran forza nonostante le mille

difficoltà. Senza di lui questo sogno

non sarebbe stato possibile». Un sogno

cullato da tempo dal maestro, come

il desiderio impresso negli occhi di

un bambino che, guardando l’estremità

di un palo della cuccagna, pensa che

solo riuscendo a prendere il premio più

alto avrà la certezza di aver scalato l’albero

delle virtù, e lì in cima si sentirà,

per un momento, padrone del mondo.

Con una promessa nel cuore, Selena

ha portato suo padre, il grande maestro

Andrea Stella, proprio in cima a

quell’albero, in quel luogo dove l’eterno

vive nel riflesso del suo oro.

Atelier Andrea Stella

via Roma 535 - Bagno a Ripoli (FI)

+ 39 3393486520 / + 39 3339570319

atelierandreastella@gmail.com

ANDREA STELLA

23


Antonella

Mezzani

Pittografie

Il seme vibrante

C’è un rapporto quasi osmotico tra uomo

e natura nelle opere di Antonella Mezzani,

artista innovatrice approdata ad uno stile

originale ed unico che nelle sue complesse

“pittografie” racconta il reale catturato

dalla fotografia e filtrato dalla materia

dell’arte che traduce il suo sentire intimo,

sensibile ed umano.

Massimo Bramandi, direttore artistico della

Bramandi Art House

È un racconto per immagini

quello di Antonella Mezzani,

artista originale il cui stile

è segno e tratto distintivo.

Istantanee fotografiche catturano

il reale traducendone il

piano emotivo con i tocchi lirici

della pittura e riconducendone

quel primordiale e atavico

connubio che lega l’uomo

alla natura.

Rosario Sprovieri, segretario

Mibact, critico e curatore d’arte

del Premio biennale internazionale

di Atene 2019

+ 39 3407771251

antonella.pittografie@gmail.com

www.gigarte.com/antonellamezzani

Nettare

La sovrapposizione delle immagini fotografiche

con quelle che idealmente potrebbero

risultare tele pittoriche, dove il

colore si fonde in un’alternanza cromatica,

è sorprendente. Non solo per la sensibilità

dell’accostamento oggettivo ma per

l’ardire che pone un primo soggetto all’interno

di un secondo, in una fusione che ci

appare come un unico risultato non voluto,

non cercato, e totalmente naturale.

(…) L’artista fa specchiare le sue protagoniste

in un mare di oniriche sensazioni,

specchio che ci guarda e racconta a noi

di ciò che le protagoniste erano, sono e

diverranno.

Luigi Gattinara, direttore della Triennale

della Fotografia

La donna fiore

La ricerca dell’artista Antonella Mezzani

miscela sapientemente tradizione e personalità.

Infatti, con una calibrata commistione

tra le due “rivali”, pittura e fotografia,

Antonella reinterpreta genialmente le

opere di Arcimboldo.

Armando Principe, presidente casa d’aste

Prince Group


A cura di

Giuseppe Fricelli

Concerto in

salotto

Una cena in compagnia di Muti,

Sordi ed Eduardo…

di Giuseppe Fricelli

Una sera, negli anni Settanta,

vennero a casa dei miei genitori

tre cari amici di famiglia: Riccardo

Muti, grande direttore d’orchestra,

Paolo Sordi, bravissimo ortopedico, ed

Eduardo De Filippo. Prima di cena, Muti

ed io ci divertimmo a suonare, sul mio

pianoforte, l’allegro del primo tempo della

Sonata in Re maggiore a quattro mani

di Mozart. Eduardo aveva un orzaiolo

all’occhio destro che gli procurava lacrimazione,

arrossamento e dolore. A tavola

Eduardo, che mangiava come un

uccellino, disse rivolgendosi a mio padre:

«Mino (papà si chiamava Cosimo),

questa sera è dedicata alla Croce Rossa

Italiana». «Perché?» rispose mio padre.

Il maestro a spron battuto, ma con grande

saggezza nell’utilizzare la punteggiatura

di espressione, replicò: «Perché ci

sono presenti a questa cena muti, sordi

e (indicando il suo occhio) ciechi. Meglio

di così!». Inutile che vi suggerisca

di ascoltare la splendida arte di Riccardo

Muti e di Eduardo De Filippo in decine

di incisioni presenti sul mercato che vi

potranno deliziare nell’udire meravigliose

pagine di opere musicali e teatrali interpretate

al meglio.

MUTI, SORDI ED EDUARDO

25


Ritratti

d’artista

Valentino Antonini

Avanguardia e tradizione in opere dallo spiccato simbolismo

di Jacopo Chiostri

Incontriamo Valentino Antonini, artista

eclettico che utilizza, per dare

forma alla propria arte, tecniche

d’avanguardia abbinate in genere ad altre

di derivazione decisamente classica.

Antonini è un artista attento a quello

che accade oggi nel mondo, consapevole

dell’enorme potenzialità dei mezzi di

comunicazione e allo stesso tempo della

loro indubbia tossicità. Non per nulla in

una delle sue opere più importanti e conosciute,

#crocifissione, è raffigurato il

particolare della croce con una mano trafitta

non dal chiodo, ma da una chiavetta

usb. È uno degli artisti che hanno dato

vita e che compongono il gruppo Giubbe

Rosse - Arte Fuori nato nei locali dello

storico caffè fiorentino con l’obiettivo

di portare l’arte in luoghi non ortodossi

e insoliti, come RSA, giardini pubblici,

strutture dove si assistono persone con

forme di disagio.

Puoi raccontarci gli esordi del tuo

percorso artistico?

Non c’è un vero e proprio inizio, posso

dire che sono nato disegnando e

#crocifissione, tecnica mista su carta martello, cm 57x31

che ho cominciato a disegnare ancor

prima di iniziare a parlare, in questo

senso la scoperta di avere un talento

artistico è stata senz’altro molto

precoce.

Un talento che hai affinato con la partecipazione

a workshop, con la pratica

e la sperimentazione, ma anche

grazie all’apporto di alcuni artisti

fondamentali per la tua formazione…

Mio padre è stato un valente pittore che

ha esposto fino agli anni Settanta. Poi,

fondamentale per il mio percorso è stato

Adolfo Nencioni, pittore amico di mio

padre, che mi ha fatto davvero da nonno,

consentendomi di frequentare il suo studio

e osservare il suo lavoro; insomma,

ho imparato molto da lui. La figura più

importante però è stata quella dell’amico

Tiziano Bonanni, la cui scuola d’arte, Rossotiziano,

ho frequentato a più riprese.

Parte integrante, polimaterico su tavola, cm 100x100

#Influencer 2020 hd, polimaterico su tela, cm 100x100

26

VALENTINO ANTONINI


Da dove arriva la tua ispirazione?

Alla base dei miei lavori ci sono gli impulsi

che ricevo da notizie che leggo, da persone

che incontro, da cose che osservo,

impulsi che lasciano una traccia la quale,

dopo aver sedimentato, è come se ad

un certo punto accendesse una lampadina,

e questo avviene nei momenti più impensati,

spesso di notte, quando si mette

in moto il processo mentale con cui rielaboro

le suggestioni avute e inizia lo studio

delle modalità con cui posso tradurle

in una espressione artistica, in un’opera

d’arte. La mia creatività è saldamente ancorata

alla realtà.

Allo stesso tempo, però, attribuisci

un’importanza decisiva all’originalità,

tanto che, tra gli artisti a cui ti

senti maggiormente legato, annoveri

Salvador Dalì e Marcel Duchamp, che,

quanto ad originalità, non erano certo

in difetto…

Originalità e creatività sono le basi del mio

lavoro. Penso che oggi il quadro classico,

il paesaggio, per capirsi, non abbia

più senso. Attorno a noi si muove un universo

di segnali e di cambiamenti che un

artista deve saper cogliere e rappresentare;

il ricorso a soluzioni inedite è quanto

mai stimolante e apre infinite possibilità.

Per questo nelle mie opere utilizzo inserimenti

materici, abbinando pittura, disegno

e grafica a materiali che conferiscono

al mio lavoro la massima tridimensionalità

possibile.

Attualmente Antonini sta lavorando ad

un’opera ambiziosa che rappresenta il

dramma delle tante morti che si accompagnano

alla traversata del Mediterraneo.

L’opera s’intitola Sindoni, tanti pezzi unici

e numerati realizzati con teli isotermici

− quelli che vengono dati alle persone

soccorse in mare per attutire lo shock termico

− che sono poggiati per “stamparli”

su manichini preventivamente colorati

con tinte acriliche, così che, come nella

sacra Sindone, resti l’impronta, qui simbolica,

di questi sventurati.

Nella buona e nella cattiva sorte, polimaterico su tavola, cm 100x100

Nato nel 1979, Valentino

Antonini vive a Scandicci,

è sposato ed ha tre figli.

Molte le collettive a cui ha preso

parte a Firenze (Auditorium al Duomo,

Giubbe Rosse, Casa di Dante,

Florence Art Deposit Gallery);

è stato inoltre finalista del primo

Concorso internazionale arte contemporanea

Ussi promosso dal

Circolo degli artisti - Casa di Dante

a Firenze e del XXV Premio Firenze.

Recensito nel catalogo Artisti a

Firenze 2019, ha in programma

la partecipazione alla mostra Arte

Fuori presso il Museo di arte contemporanea

di Ningbo in Cina.

valentinoartivisive@gmail.com

@valentinoartivisive

#worldinprogress, maniera nera su carta martello, cm 47x31

Valentino Antonini

VALENTINO ANTONINI

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Facoltà Teologica dell’Italia Centrale

PROGRAMMA CORSO OPZIONALE

LA BELLEZZA DELLA FEDE

NELL’ARTE DI RAFFAELLO SANZIO

A cura della professoressa Anita Norcini Tosi

Argomenti ed opere trattate dal corso in oggetto

• L’Umanesimo e il Rinascimento nell’arte di Raffaello Sanzio

• Il contributo di Raffaello come capo architetto alla Basilica di San Pietro

• Stanze Vaticane (Palazzo Apostolico) 1508-1511

Stanza della Segnatura:

La volta è decorata con immagini distribuite in tredici scomparti: al centro un grande ottagono con lo stemma

papale dei Della Rovere i Quattro Troni; la Teologia; la Giustizia; la Filosofia; la Poesia; Adamo ed Eva; il Giudizio di

Salomone; il Primo Moto; Apollo e Marzia. Sulle pareti: la Disputa del Sacramento; la Virtù e la Legge; la Scuola di

Atene; il Parnaso

Stanza di Elidoro:

Cacciata di Elidoro dal Tempio; la Messa di Bolsena; la Liberazione di San Pietro; incontro di Leone Magno

con Attila

• La Resurrezione di Cristo, 1501-1502 (Museo d’arte di San Paolo, Brasile)

• Lo sposalizio della Vergine, 1503-1504 (Pinacoteca di Brera , Milano)

• Trinità e Santi, 1505-1508 (Cappella di San Severo, Perugia)

• Deposizione Borghese, 1507 (Galleria Borghese, Roma)

• La Trasfigurazione, 1518-1520 (Musei Vaticani)

• Leone X de’ Medici con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi De’ Rossi, 1518 (Galleria degli Uffizi)

• Madonna della Seggiola 1513-1514 (Galleria degli Uffizi)

Rivolgersi alla segreteria della Facoltà alla Dr.ssa Sara Mazzanti

+ 39 055 428221

segreteria@teofir.it

PREMIO NAZIONALE FILOSOFIA e TEOLOGIA

I a Edizione 2021 - Tema: L’Inferno di Dante Alighieri

Ai partecipanti al bando per l’indirizzo filosofico si richiede un saggio di filosofia relativo ai canti dell’Inferno sul

tema ontologico del “conosci te stesso” socratico, sviluppando collegamenti fra il pensiero dominante di Dante e

la filosofia espressa nella cantica. Si invita a sviluppare una propria ricerca personale che interagisca con il contesto

dell’opera dantesca. L’elaborato non deve superare le 60 cartelle in formato A4, in carattere Colibrì, corpo 12,

interlinea 1,5. L’intelletto opera in un perenne movimento creativo, in quell’eterno spazio atemporale .

Per ulteriori informazioni:

https://creativitafi.wordpress.com/blog/


A cura di

Stefano Marucci

Storia delle

Religioni

La devozione mariana di San Francesco

di Valter Quagliarotti

Consideriamo un aspetto della figura

di San Francesco d’Assisi

che riguarda la sua devozione a

Maria: c’è un’espressione nella lode di

San Francesco che sembra raccogliere

in sé tutta la sua teologia mariana

in rapporto al mistero di Cristo e della

Chiesa: “Quæ es Virgo Ecclesia facta”.

Colei che proprio in virtù della sua verginità,

per il fatto stesso che è Vergine

immacolata, diventa feconda Madre

dei viventi. Al suo apparire è la Chiesa

che si presenta nella sua immagine originale,

nella sua perfezione definitiva,

La Porziuncola nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi

nella sua gloria incomparabile, in questa

identificazione incarnata di Maria,

vergine fatta Chiesa, condivisa da tutti

i fedeli. La cappella della Porziuncola

ad Assisi era dedicata a Santa Maria

degli Angeli. Questo titolo nel Medioevo

indicava normalmente il mistero

dell’Assunzione della Vergine Maria. Il

riferimento agli angeli, però, è più vasto

e si estende anche all’Annunciazione

ove l’Arcangelo Gabriele offre il proprio

servizio alla Vergine Madre del Signore.

Quindi la Porziuncola per Francesco

è il luogo dove abita la Vergine Maria

con la corte angelica. San Bonaventura,

nella Leggenda Maggiore, così scrive:

«Il beato Francesco venne al luogo

detto la Porziuncola, in cui era la chiesa

della Vergine Santissima, fabbricata da

antica data, ma allora abbandonata. Vedendola,

dunque, il Santo così abbandonata,

per la sua fervente devozione

verso la Regina del mondo, prese a dimorarvi

per ripararla. Questo luogo il

Santo amò più di ogni altro al mondo:

qui egli incominciò nell’umiltà; qui progredì

nella virtù; qui felicemente chiuse

i suoi occhi. Per questo lo raccomandò

in modo particolare ai suoi frati

come carissimo alla Vergine. Di

questo un frate, caro a Dio, aveva

avuto una visione prima della

propria conversione ed è cosa

degna di essere ricordata. Vedeva

egli una grande quantità di uomini

percossi da cecità stare intorno

a questa chiesa e, con le lacrime

agli occhi, gridavano a Dio, invocando

misericordia e la luce degli

occhi. Questo è il luogo in cui ha

avuto inizio l’Ordine dei Frati Minori,

fondato da San Francesco

per divina ispirazione». Queste

folle malate e cieche che accorrono

alla Porziuncola e ricevono la

salute e la vista, manifestano che

al tempo di Bonaventura (1263)

c’era già una folla di gente che andava

e veniva dalla Porziuncola e

riceveva la guarigione dell’anima e

del corpo. Questo è proprio il frutto

del “perdono di Assisi”, così

come testimoniato dal Diploma

di Teobaldo a cui è legato l’indulgenza

della Porziuncola. Pertanto

la devozione mariana di Francesco

diventa così annuncio ed edificazione

del Regno del Figlio della

Vergine Madre Maria, poiché proprio

in quella dimora di grazia, che

è Santa Maria degli Angeli, divenne

per lui e per la Chiesa singolarmente

visibile il mistero salvifico

della Madre della Misericordia,

della “Regina del mondo”.

SAN FRANCESCO

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Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Joanna Brzescinska Riccio

L’inganno delle apparenze, la verità del segno

di Daniela Pronestì

Vedesi l’aria tinta di oscura

nuvolosità, (…) mischie

di piogge e di venti con ser- «peggiamenti de’ tortuosi corsi delle minaccianti

folgori celesti; le piante legate

a terra colle rovesciate foglie sopra i declinati

rami paiono voler fuggire dai loro

siti come spaventate dalle percussioni

degli orribili e spaventosi voli de’ venti».

Così Leonardo da Vinci nel Trattato

della pittura descrive lo scenario quasi

apocalittico che caratterizza la rappresentazione

di una tempesta: pioggia,

vento, fulmini percuotono la terra con

spirali di aria e di acqua alla cui potenza

nulla può resistere. Quello che Leonardo

non dice ma che si evince dal brano

in parte qui riportato, è che proprio

nella tempesta si rivela la segreta energia

che muove l’universo e lo alimenta

unendo in un solo respiro terra, cielo ed

astri. Di questa energia parlano appunto

le opere di Joanna Brzescinska Riccio

attraverso quella che potrebbe sembrare,

essendolo per certi versi, la rappresentazione

di una tempesta. Nel suo

caso, infatti, questa nebulosità priva di

forma non è un fenomeno atmosferico,

né tantomeno il caos primigenio dal

quale ha avuto origine il mondo. Quella

evocata dalle immagini – lo suggerisce

Nous (2019), disegno a china su carta Magnani, cm 56x76

il titolo di una delle opere qui pubblicate

– è l’intelligenza cosmica che i filosofi

antichi definivano “nous”, ovvero il

principio unitario su cui la realtà si fonda.

In effetti, osservando bene queste

forze vorticose ci accorgiamo che non

agiscono separando una cosa dall’altra

o viceversa mescolandole caoticamente,

ma le fanno convergere in un tutto

armonico, riportandole così all’unità

originaria. Traslando questa rappresentazione

dal piano simbolico a quello

concreto del mondo terreno vi si può

leggere la critica dell’artista ad una visione

dualistica della realtà, che porta

l’individuo a percepirsi come un essere

separato dagli altri e da tutto ciò che

lo circonda, anziché sentirsi parte di un

Megalith (2018), disegno a china su carta Magnani, cm 50x70

Lux Lucis (2020), disegno a china su carta Magnani, cm 56x76

30

JOANNA BRZESCINSKA RICCIO


Estensione I - verso il Sole (2019), disegno a china su carta Magnani in 3D, cm 21x30 e cm 50x70

solo intero. Una percezione paragonabile

ad un’illusione ottica che impedisce

di riconoscere la verità delle cose guardando

oltre il loro volto apparente. Ecco

perché la prima esperienza che siamo

chiamati a vivere davanti a queste opere

è appunto quella di riconoscere la vera

natura di ciò che stiamo osservando,

di una tempesta che non è fatta di acqua

e di vento, come potrebbe sembrare,

ma è un vortice generato dalle sottili

trame di energia che collegano

tra loro uomo e natura,

cose ed eventi, come

fossero tutti fili di uno stesso

tessuto. Saper cogliere i

nessi tra il visibile e l’invisibile,

tra la coscienza del

singolo e il sentire universale,

significa reinventare il

proprio modo di essere al

mondo e di relazionarsi con

esso. Significa, soprattutto,

compiere un viaggio iniziatico

verso la luce – si pensi

all’opera Lux Lucis – metafora,

quest’ultima, di una

consapevolezza che queste

opere trasudano fin dal più

piccolo segno tracciato sul

foglio. Il disegno è per Brzescinska

Riccio una forma

di meditazione, una riflessione

profonda sul rapporto

di necessità che lega un tratto di

china ad un altro, sull’armonia che li tiene

insieme. L’atto del disegnare – pare

dire l’artista – non è qualcosa di diverso

o di separato dalla vita, un’esperienza

che inizia e finisce come un’interruzione

nel costante divenire delle cose. Al contrario,

è la vita che attraverso la penna

fluisce sul foglio, in uno scambio osmotico

tra la realtà fuori e il mondo dentro.

Un concetto chiaramente espresso

in due recenti lavori che fin dal

titolo Estensione suggeriscono

un’idea del disegno come qualcosa

che ha un inizio – l’incontro

tra la penna ed il foglio – ma

non una fine, una forza illimitata

che si propaga anche al di là

del conosciuto. È la certezza, cara

all’artista, che esistano realtà

parallele a quella esplorata con i

sensi, livelli energetici che esigono

un profondo stato di coscienza

per essere sperimentati.

L’immagine diventa tramite di

questa rivelazione, con un dipanarsi

capillare e caleidoscopico

dei tratti d’inchiostro dal

disegno più piccolo, scelto come

matrice e collocato al centro

dell’opera, al foglio più grande,

come se l’uno fosse emanazione

dell’altro ed entrambi a loro

volta si estendessero oltre i limiti

della superficie. Giorni e giorni di

lavoro, a volte intere settimane, per dare

forma ad una vocazione tanto ostinata

quanto autentica che la spinge a fare

dell’atto creativo l’espressione dell’esserci

“qui ed ora”, nel tempo presente,

ma anche del sentirsi parte di un disegno

più grande.

www.joannabrzescinskariccio.com

Joanna Brzescinska-Riccio Art

Estensione II - verso la Luna (2019), disegno a china su carta Magnani in 3D, cm 21x30 e cm 50x70

JOANNA BRZESCINSKA RICCIO

31


Il tempo sospeso “strada facendo…”, olio su tela di juta, cm 70x50

Giuseppe Rizzo Schettino

Il tempo raffigurato nell’opera si ribella alla convenzionale linearità cronologica ed al suo ordine prospettico passato /

presente / futuro. È un tempo dilatato, sfumato, fluttuante. Il colore, che sembra rappresentare l’unica ultima certezza

dell’uomo, quella della propria storia personale, di ciò che è già stato vissuto, dell’esistito, e quindi dell’unico tempo illusoriamente

noto, nell’opera precede la figura umana, ma contemporaneamente la accompagna avvolgendola fedelmente,

fino a disegnarle, con pennellate vorticose e gentili, un passo che risulta orientato verso una più dedicata ed approfondita

indagine interiore, risolvendo l’impasse del tempo “congelato” con una chiave di lettura audace, innovativa, dinamica e

propositiva: si può realmente “uscire” soltanto “entrando” davvero. In questo senso, il tempo apparentemente fermo diventa

movente del più impellente appuntamento umano, quello con se stessi, il tempo della coraggiosa scoperta di sé, della

conoscenza onesta e della com-prensione (da cum-prehendere) della propria intimità, e l’essere assume i connotati dell’esserCi,

ossia dell’essere in totale completo rapporto con il mondo che include, custodisce e tramanda.

Federica Commisso

Studio e atelier

Via di Peretola, 45 - 50145 Firenze

+ 39 055 0500106

+ 39 338 8577794

www.giuriscart.it

giuseppers@gmail.com


Salute e

società

Giornata nazionale e mondiale in ricordo

delle Vittime della strada 2020

Ne parliamo con la presidente della AIFVS Giuseppa Cassaniti Mastrojeni

di Doretta Boretti / foto Lorenzo Borghini

Il 15 novembre 2020, terza domenica

del mese, si è onorata la Giornata

Mondiale del Ricordo delle Vittime

della Strada. Si tratta di una ricorrenza

riconosciuta dall’ONU nel 2005 e

dallo Stato italiano con la legge n. 227

/2017 per promuovere la consapevolezza

della gravità delle stragi stradali.

Una media annuale di 9 morti al giorno,

di 254.683 feriti all’anno, circa 697 al

giorno, compresi gli invalidi permanenti.

Il programma d’azione europeo insiste

sulla responsabilità condivisa tra

pubblico e privato sociale, considerata

una sfida ed un obbligo per tutti coloro

che hanno ruoli decisionali. La legge

227/2017 rivolge l’appello direttamente

alle istituzioni allorquando afferma

che “la Repubblica riconosce la terza

domenica di novembre come Giornata

nazionale in memoria delle vittime della

strada e promuove ogni iniziativa utile

a migliorare la sicurezza stradale”. Un

riconoscimento che non può esaurirsi

nel ricordo di un giorno ma impegna le

istituzioni a raggiungere l’obiettivo prefissato.

«Gli interventi fino ad ora attuati,

e spesso solo ad opera del privato

sociale – afferma la presidente della

AIFVS Giuseppa Cassaniti Mastrojeni –

sono stati a macchia di leopardo e non

hanno raggiunto l’obiettivo europeo.

Bisogna creare sinergie istituzionali su

obiettivi condivisi e forme organizzative

adeguate e passare ad interventi di sistema

a tappeto ad opera dei ministeri

dell’Istruzione, della Salute, dell’Interno

e delle Infrastrutture, ai quali il privato

sociale offre la propria collaborazione».

Quest’anno stiamo vivendo la drammatica

esperienza della pandemia da Covid-19.

Il nostro paese, a tutti i livelli,

si è mobilitato per sconfiggere un virus

ancora sconosciuto, mentre la grave

pandemia chiamata “strage stradale

continua” resta largamente trascurata,

nonostante ne conosciamo i responsabili,

le cause e le misure da prendere.

Come se la strage fosse un fatto privato,

scollegato da responsabilità sociali

ed istituzionali. Prosegue la presidente:

«Il nostro drammatico vissuto di familiari

di vittime della strada ci rende

consapevoli che la responsabilità della

strage stradale non sia da imputare

solo agli utenti della strada che non ri-

spettano le norme, ma anche alle istituzioni

che non perseguono la propria

missione, continuando a mantenere

in condizioni deficitarie i diversi settori

della prevenzione: informazione,

formazione, coordinamento, controlli,

adeguamento normativo delle infrastrutture.

Pertanto, con riferimento

alla Giornata del Ricordo 2020, il nostro

messaggio è stato rivolto a tutte

le istituzioni che hanno responsabilità

decisionali, perché trasformino il ricordo

delle vittime nell’impegno a dare

priorità alla prevenzione e applicarla ai

contesti territoriali, pianificando la forma

organizzativa adeguata al raggiungimento

dell’obiettivo finale, previsto

dall’Europa, ovvero “vittime zero”. Sono

certa che tutte le associazioni di familiari

di vittime della strada faranno la

loro parte per dare sempre adeguato rilievo

alla Giornata del Ricordo, affinché

il ricordo sia monito per tutti, istituzioni

e utenti della strada, e la prevenzione

sia priorità dello Stato». Accendiamo,

quindi, i riflettori sulla strage stradale

perché non continui ad essere così colpevolmente

sottovalutata.

Due foto dal set del film-documentario di Lorenzo Borghini sulle vittime della strada

VITTIME DELLA STRADA

33


Dal teatro al

sipario

A cura di

Doretta Boretti

Il ruolo del costumista in uno

spettacolo teatrale

Ce lo illustra Elena Bianchini, responsabile del Laboratorio

d’Arte del Teatro della Pergola a Firenze

di Doretta Boretti / foto Filippo Manzini

Quale luogo più invitante del

Laboratorio d’Arte di uno tra i

più antichi e storici teatri italiani

in questo faticoso dicembre

2020? Mi trovo in compagnia della

dottoressa Elena Bianchini che, da circa

cinque anni, è responsabile del

Laboratorio d’Arte del Teatro della Pergola

a Firenze.

Lei è alla guida di questo meraviglioso

atelier. È stato emozionante

accettare un ruolo così prestigioso?

Molto emozionante! Era il 2014 quando

il direttore del Teatro della Pergola

Marco Giorgetti mi contattò per chiedermi

se me la sentivo di creare insieme

a lui un laboratorio di scene e

costumi negli spazi del teatro. Avremmo

dovuto dare vita ad esperienze artistiche

ed artigianali di varia natura,

inventare una sorta di luogo delle arti

e dei mestieri d’arte teatrali. Ho accettato

l’incarico con grande entusiasmo,

consapevole del fatto che mi aspettava

un lavoro complesso e multiforme.

L’idea era quella di costruire una realtà

interna al teatro che potesse essere

un luogo di progettazione e di realizzazione

delle scenografie e dei costumi

per gli spettacoli prodotti dal teatro

e allo stesso tempo un polo di formazione

sui mestieri del teatro. Il lavoro

è iniziato da zero ed in poco tempo la

bellissima soffitta del Teatro della Pergola,

con affaccio sui tetti di Firenze e

vista cupola del duomo, si è popolata

di manichini, macchine da cucire, tavoli

da taglio, colori, creta, gessi e tanti

altri materiali. Nel giro di qualche mese

abbiamo iniziato a prendere le iscrizioni

per i corsi di formazione e a realizzare

costumi di ogni epoca, maschere ed

elementi di scena.

Elena Bianchini

Da quali esperienze è partita la sua

passione e che studi occorrono per

arrivare a questo traguardo?

Il mio percorso non è stato lineare. E soprattutto

quando lo ho iniziato non avevo

idea di dove mi avrebbe portato. Non

so rispondere alla domanda su quale

tipo di studi occorrano per fare il costumista

o il regista o qualunque altro

lavoro legato al teatro e all’arte in generale.

Credo che ognuno abbia una sto-

34

ELENA BIANCHINI


ria propria, molto individuale e

spesso sofferta che porta alla

necessità di raccontare attraverso

le immagini, i movimenti,

la musica e la parola. Diventa

una necessità. Io mi sono laureata

in Storia dell’arte ed ho

iniziato a lavorare in teatro per

caso, facendo maschere per i

cori nelle opere liriche. Ma se

dovessi dire cosa mi ha formato

rispetto alla rappresentazione

e ai suoi linguaggi, dovrei

parlare della mia passione per

il disegno e la scultura, per

i riti sacri, le processioni e i

reliquiari, per l’iconografia medievale

e per le marionette, per

i balletti russi dei primi del Novecento,

per Coco Chanel ed

Elsa Schiaparelli e per i maestri

Danilo Donati e Lele Luzzati…poi

ad un certo punto ho provato a

mettere tutto insieme.

Immagino che il suo lavoro inizi con

un testo teatrale...

Certamente. Si parte dallo studio del testo

da mettere in scena e dall’idea del

regista sulla rappresentazione di quel

testo. La fase immediatamente successiva

è quella della ricerca iconografica,

ovvero della raccolta di immagini attraverso

le quali si inizia a definire l’estetica

della messa in scena. Le fonti dalle quali

attingere possono essere le più disparate:

foto di archivio, cataloghi di mostre

In questa e nelle altre foto alcune fasi del lavoro nel Laboratorio d’Arte della Pergola

e musei, riviste di moda, stampe, campagne

pubblicitarie, immagini digitali,

foto di allestimenti teatrali o cinematografici.

Attraverso gli incontri con il regista

si procede alla selezione del materiale

in modo da definire ulteriormente lo stile.

Il costumista passa poi alla fase della

realizzazione dei bozzetti che definiscono

le vestizioni di ogni personaggio, incluse

acconciature e trucco. Ogni disegno deve

tener conto anche dei materiali con i

quali si andranno a realizzare i costumi,

questo implica che ad ogni tavola siano

abbinati dei campioni di tessuti che il costumista

deve aver selezionato parallelamente

alla fase progettuale. Le scelte

merceologiche sono fondamentali e determinanti

rispetto alla resa del costume

in scena. Appena il regista approva i bozzetti

si passa alla fase sartoriale: ricerca

o creazione dei cartamodelli e loro adattamento

alle misure dell’interprete, taglio

del tessuto, confezione, correzioni, rifiniture,

eventuali decorazioni o invecchiamenti.

Tutte queste fasi sono intervallate

da prove intermedie sull’interprete stesso.

Una volta realizzati in sartoria, i costumi

vanno in prova in scena ed è in quel

contesto che per la prima volta si vede il

loro effetto in relazione alla scenografia e

alle luci; si procede alle varie correzioni

che la visione di insieme può richiedere.

ELENA BIANCHINI

35


Come si costruisce un rapporto armonico

con il regista, lo scenografo, il direttore

di scena, il direttore delle luci?

Il teatro è un grande lavoro di équipe ma

allo stesso tempo è rigidamente gerarchico.

E così deve essere affinché ci sia

l’armonia necessaria alla buona riuscita

dello spettacolo. Il regista conduce il

gioco e si confronta a livello progettuale

con il costumista, lo scenografo ed il

light designer. Questo tipo di lavoro che

si basa su scambi continui di immagini,

suggestioni e riflessioni porta alla

realizzazione dei bozzetti che, una volta

approvati, danno il via alla fase della

produzione esecutiva dello spettacolo.

Il lavoro del costumista è molto particolare

perché oltre a dover creare costumi

che rispondano alle esigenze estetiche

dello spettacolo, deve anche fare in modo

che gli interpreti abbiano la possibilità

di compiere i loro movimenti di scena

con il massimo dell’agio. Il costume è

senza dubbio una seconda pelle che deve

aiutare l’attore, il cantante o il tersicoreo

ad “entrare” nel personaggio che

è chiamato a rappresentare. Ci sono costumi

che determinano e indirizzano il

movimento, altri che deformano o alterano

il corpo (corsetti, guaine, protesi,

maschere), altri che lo nascondono. Altri

ancora che lo svelano. Anche la nudità

è un costume di scena.

Quanto tempo occorre per preparare i

vestiti per uno spettacolo?

Dipende dal progetto, dalla quantità di

pezzi da realizzare e dalla forza lavoro…posso

rispondere dicendo che solitamente

il tempo non basta mai.

E le parrucche, i cappelli, gli accessori,

le maschere?

Tutto fa parte del concetto di costume.

È il costumista che al momento della

progettazione e del bozzetto dà le indi-

36 ELENA BIANCHINI


Il Teatro della Pergola a Firenze

cazioni sugli accessori che completano

il costume di scena: gioielli, cappelli,

occhiali, borse, bastoni, maschere, acconciature

e parrucche. Ovviamente poi

c’è il confronto con il truccatore, il parrucchiere

e l’attrezzista.

Con quanti spettacoli si è dovuta confrontare

in questi anni e con quali registi?

Il Laboratorio d’Arte è stato parte integrante

di tutte le produzione che dal

2014 ad oggi hanno trovato la loro genesi

alla Pergola. Cito alcuni titoli, autori

e interpreti. La collaborazione con

il maestro Gabriele Lavia è stata senza

dubbio determinante in questi anni,

in modo particolare per le regie di

spettacoli come Il sogno di un uomo ridicolo

di Dostoevskij, L’uomo dal fiore

in bocca e I giganti della montagna

di Pirandello; c’è stata poi la collaborazione

con Paolo Valerio, con Emanuele

Gamba per Truman Capote – questa

cosa chiamata amore e Vertigine in altezza,

un monologo su Emily Dickinson

interpretato da Daniela Poggi. Ci siamo

confrontati con costumi da danza grazie

al rapporto con Virgilio Sieni (Babele

e Prèlude à l’après-midi d’un faune) e

con testi di drammaturgia contemporanea

disegnando e realizzando i costumi

per Svegliami, con la regia di Roberto

Bacci, il testo di Michele Santeramo e

l’interpretazione di Maurizio Donadoni.

L’ultimo spettacolo a cui abbiamo lavorato

è Dubliners di James Joyce, regia

di Giancarlo Sepe, che avrebbe dovuto

aprire la stagione del Teatro della Pergola

ma che non è ancora andato in

scena a causa del lockdown.

Un laboratorio storico quello del Teatro

della Pergola. Vi occupate anche

di restauro?

Al momento possiamo restaurare costumi

di scena quando è necessario per

i nostri allestimenti ma ci stiamo adoperando

per riuscire a coprire con i nostri

corsi anche questo settore visto che ci

arrivano molte richieste di persone interessate

ad apprendere queste tecniche.

Per una laureata come lei in Storia

dell’arte, ritrovarsi immersa in questo

mondo così magico, deve essere stata

una grande avventura. Lei è molto

giovane ancora: ci sono momenti

così faticosi da portarla a pensare di

rimettere in gioco la sua scelta professionale?

Sul molto giovane per una quasi quarantenne

avrei da ridire, comunque

grazie! Ho iniziato a lavorare in teatro

mentre scrivevo la tesi, quindi ormai

sono passati diciassette anni. Fino ad

ora non mi è mai capitato di mettere

in discussione la mia scelta anche

perché non mi saprei neanche immaginare

in un altro contesto. Nel nostro

lavoro ci sono momenti di grande difficoltà,

come quello che stiamo attraversando,

in cui viene messa in luce

ancora una volta la fragilità di un settore

che rappresenta invece una delle

colonne portanti della nostra identità

culturale ed individuale. Ritengo quindi

che oggi più di sempre fare teatro

sia un atto di resistenza.

ELENA BIANCHINI

37


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Giulio Galgani

La ricerca di un nuovo equilibrio

di Daniela Pronestì

Aprirsi al nuovo pur restando

sempre se stessi è un traguardo

non facile da raggiungere

soprattutto per un artista. Il cambiamento

spaventa, mina le basi delle certezze

ormai appurate, espone al rischio

di veder vacillare il consenso dei propri

estimatori. La verità è che lo stile,

a cui è legata la riconoscibilità dell’artista,

non può essere né una limitazione

né lo scopo ultimo, ma deve essere

invece uno strumento flessibile quanto

basta ad integrare nuove esigenze

espressive in un percorso già consolidato.

La lunga storia artistica di Giulio

Galgani è un esempio di come sia possibile

rinnovare anche in maniera significativa

il proprio codice stilistico senza

dover rinunciare o peggio ancora tradire

i principi sui quali questo si fonda. Ancora

meglio potremmo dire che nel suo

caso intendere il corpo dell’opera come

luogo della convergenza, e talvolta

anche del conflitto, tra valori stabili appartenenti

alla tradizione e suggestioni

ispirate dalle continue sperimentazioni,

lo ha portato ad avvalersi dello stile per

governare una struttura complessa, al

cui interno convivono da sempre

colore, materia, oggetti di

recupero, pittura e scultura insieme.

Gli ultimi lavori realizzati

tra il 2019 e l’anno ancora

in corso mantengono inalterati

alcuni aspetti cardine del suo

linguaggio – il segno come generatore

di spazio, movimento

e significato, la presenza di

figure proposte in diverse varianti

ma sempre come forme

archetipiche, la combinazione

dell’elemento grafico con il

colore vivo e il rilievo materico

–, pur mostrando un nuovo

rigore costruttivo, a cominciare da una

tessitura più rada del segno che alla ripetizione

ossessiva dello stesso motivo

preferisce in questo caso il contrappunto

tra pieni e vuoti. Il ricorso a tinte neutre

e a pochi altri colori brillanti, insieme

ad un uso più mirato dei fresati, confermano

il raggiungimento di un nuovo

equilibrio tra ricerca dell’ordine e fascino

del caos. Quasi a dire che in una situazione

di totale disorientamento come

quella che stiamo attraversando, l’arte

Teatro del silenzio - lockdown (2020), fresato di pneumatico,

zama, bronzo e acrilici su tela, cm 120x150

diventa un’isola felice nella quale immaginare

un’armonia ancora possibile tra

gli opposti. E infatti la pandemia raccontata

da Galgani esorcizza il dramma con

una danza jazz cui prendono parte contagiati

e non, i primi piccoli e colorati di

rosso, i secondi neri ed imponenti, e tutti

insieme a condividere uno spazio nel

quale è facile superare la linea di demarcazione

tra chi ha già contratto il virus e

chi ancora no. Un’insidia nascosta nella

tinta luminosa del colore di fondo, che

Pandemia in jazz (2020), fresato di pneumatico,sabbia e acrilici su tela, cm 150x150

Ideogramma in nero (2020), fresato di pneumatico, bronzo e acrilici su tela, cm 150x150

38

GIULIO GALGANI


invita alla gioia di vivere pur celando in

sé un pericolo mortale. È possibile, certo,

opporre una strenua Resistenza al virus,

recita il titolo di un’opera, ma per

farlo occorre lasciarsi contaminare dalla

vita, buttarsi nella mischia come fanno

le intrepide figure nere al centro della

scena, trovando quindi il modo di reagire

alla minaccia del temibile nemico.

Del resto, quello in cui viviamo – sembra

dire Galgani – è un mondo popolato

di virus non solo biologici ma anche sociali,

i quali possono avere effetti ancora

più nefasti di quelli della pandemia. Il

rischio in questa situazione è farsi guidare

dall’istinto, senza capire che proprio

ciò che ci separa è anche ciò che ci

unisce: distanti per paura del contagio,

siamo, da questa stessa paura, collegati

indissolubilmente l’uno all’altro. Un

concetto espresso, nell’opera Teatro del

silenzio, dalla complessa trama di linee

dove il rosso, colore del contagio, s’intreccia

al nero, indicatore dell’assenza di

pericolo, mostrando la distanza impossibile

tra vite interdipendenti all’interno

del medesimo sistema sociale. Proprio

come in una rete anche noi siamo fili annodati

gli uni agli altri da vincoli che non

possiamo sciogliere se non rinunciando

all’integrità della rete stessa: non “io

contro gli altri”, quindi, ma “io insieme

agli altri”, in un abbraccio solidale. La

pandemia diventa così uno straordinario

esperimento sociale, una messa alla

prova dell’agire individuale in favore del

bene collettivo. Cambiano gli stili di vita,

gli assetti economici e politici, cambia

pure L’origine del vento, titolo di un’opera

emblematica del ruolo della Cina non

solo nella diffusione del virus, ma anche,

e soprattutto, nell’essere “origine di un

vento”, appunto, che soffia forte e che

scompagina insieme alle fondamenta

culturali del colosso estremorientale anche

gli equilibri globali. L’effigie di Mao

Tse-Tung assume l’aspetto di un’icona

pop, con tanto di camicia alla moda e

lo sguardo fiero di chi sa di essere un

simbolo ancora irrinunciabile per tanti.

È il volto di una storia che il presente

non ha cancellato, ma a cui ha dato invece

un appeal accattivante, vestendolo

di suggestioni venute dall’Occidente. Ed

è sempre la Cina ad offrire lo spunto per

un’opera, Ideogramma in nero, in cui i

tre colori della tradizione calligrafica – il

bianco del foglio, il nero dell’inchiostro

e il rosso del sigillo – appaiono destrutturati

in una composizione astratta. Al

gesto dinamico del pennello che scorre

sul supporto subentra in questo caso

il ritmo generato dalla musicalità del

colore – note gravi si alternano a suoni

acuti, lunghe pause ad improvvise ripartenze

– e dall’avvicendarsi sulla “pelle”

del dipinto di zone piatte ed opache ad

altre scabre e in rilievo. La forma bianca

domina il centro dell’opera con la propria

esistenza placida, ferma, assoluta,

mentre intorno dilagano silenzi in nero

e voci tonanti in rosso Cina. In altri lavori

come Equilibrio in volo e Girasoli,

la presenza di un fulcro irradiante suggerisce

una lenta impercettibile rotazione

che cattura lo sguardo impedendogli

di “annegare” nella profondità del bianco

o di farsi abbagliare dalla luminosità

dell’oro. Gli inserti in bronzo accentuano

un’idea del colore come materiale

plastico, concreto, scultoreo, mentre la

varietà di materiali – fresato, acrilico e

sabbia – conferma una scelta espressiva

da sempre fondata nell’opera di

Galgani sull’accordo di più elementi

ciascuno dei quali portatore di una propria

specificità.

Girasoli (2019), fresato di pneumatico, sabbia, bronzo e acrilici su tela, cm 140x110

L’origine del vento (2020), acrilici su tela, cm 80x56

GIULIO GALGANI

39


presenta

Umberto Bianchini

Concerto, olio su tela, cm 120x80

Dicembre è un mese sempre significativo per le persone, accompagnato da feste, regali,

addobbi, cene con i parenti. Questo dicembre rimarrà nella storia e nella memoria di tutti

quelli che lo hanno vissuto. In questa occasione, la FirenzeArt Gallery vuole porre l’attenzione

sul pittore Umberto Bianchini scomparso agli inizi del 2010.

Perché questa scelta? Non di certo per un motivo commemorativo, più che altro per la

sua forma di espressione. L’opera di Bianchini si caratterizza per una pittura tenue, con cui

rappresenta volti delicati e ambienti domestici, come soffitte, stanze con specchi, mobili

con oggetti quotidiani, libri e vasi. Elementi che donano un senso di calma, di ambiente

confortevole, di accoglienza verso l’osservatore che, immergendosi negli oggetti rappresentati

oppure negli occhi delle donne ritratte, si sente a proprio agio in queste stanze, tra

questi oggetti e questi sguardi.

Bianchini non ritraeva ma raccontava i pensieri e le vicende dei personaggi e anche degli

oggetti con cui questi venivano raffigurati. Nato a Firenze nel 1934, dopo aver lavorato

nell’artigianato e nella grafica pubblicitaria, inizia a dipingere da autodidatta, trovando

nella pittura la sua forma espressiva. Risale al 1968 la sua prima mostra personale a Firenze.

Era socio del Gruppo Donatello, con cui ha esposto in collettive e personali, e dell’associazione

culturale Gada, allora diretta da Edda Vedda, con cui ha diviso studio e carriera.

FirenzeArt Gallery | Piazza Taddeo Gaddi 2/r, 50142 Firenze | + 39 055.224028 | www.firenzeart.it | info@firenzeart.it


Terrazza fiorentina, olio su tela, cm 80x60 (Collezione d’arte Sbrilli Miraldo)

Andrea Tirinnanzi, estimatore e promotore

dell’arte di Umberto Bianchini, ha

sempre intravisto qualcosa di particolare

negli occhi dei personaggi raffigurati

da questo pittore, occhi che le figure

non hanno mai avuto.

La FirenzeArt Gallery promuove dal

1988 l’arte di Umberto Bianchini; ricordiamo

le mostre realizzate a Montespertoli

dal 1999 al 2004, la mostra

Silenziose armonie curata da Gabriella

Gentilini nel novembre 2000, la collettiva

del 2005 a Firenze e la mostra antologica

Gli occhi dell’anima realizzata

nel 2016 con la curatela sempre di Gabriella

Gentilini. La galleria vanta una

vasta collezione di opere di Umberto

Bianchini grazie al fatto di averlo seguito

per tanti anni nel suo percorso di

crescita. Le opere sono tutte visibili e

acquistabili sul sito:

www.firenzeart.it

Un ringraziamento particolare alla Collezione

d’arte Sbrilli Miraldo.

Insieme, tecnica mista su tela, cm 80x60

FirenzeArt Gallery | Piazza Taddeo Gaddi 2/r, 50142 Firenze | + 39 055.224028 | www.firenzeart.it | info@firenzeart.it










Personaggi

Don Piero Malvaldi

La comunità di Forte dei Marmi nell’intervista al parroco di

Sant’Ermete Martire

Iniziative culturali e di solidarietà per favorire coesione e dialogo tra le varie

classi sociali della città

di Fabrizio Borghini / foto courtesy don Piero Malvaldi

Di don Piero Malvaldi, parroco

di Sant’Ermete Martire a Forte

dei Marmi, parlarono diffusamente

giornali, televisioni e radio

in occasione della Pasqua 2020 quando,

nel celebrare la messa, espresse la

sua parola dolorante di padre spirituale

di una comunità davanti a una chiesa

resa deserta dal primo lockdown. Lo

incontriamo all’indomani dell’estensione

della zona rossa alla nostra regione

con la prospettiva incombente che la

scena si possa ripetere in occasione del

prossimo Natale… «Il periodo di Pasqua

è stato delicato perché non eravamo

preparati e questa impreparazione

– dichiara don Piero – non ci ha consentito

nell’immediato di stabilire un

rapporto alternativo con i parrocchiani.

Con la creazione di un blog parrocchiale

abbiamo cercato di colmare un vuoto,

abbiamo portato avanti il catechismo e

abbiamo potuto dare un briciolo di spiritualità

a molte persone che avevano

perso fiducia in se stessi dopo essere

piombati nello sconforto».

Da quanti anni è parroco a Forte dei

Marmi?

Sono originario di Cascina in provincia

di Pisa e sono arrivato qui nel 1996. Mi

sono subito trovato bene perché i fortemarmini

sono gente buona e ospitale. È

un paese che ha due volti diversi, d’inverno

è una paese di settemila abitanti

con sacche di povertà che nel periodo

estivo, quando si trasforma in una delle

località marittime più esclusive, sono

poco evidenti anche se le distanze

sociali sono enormi. Ricchezza e miseria

convivono a stretto contatto di gomito

quotidianamente ma il luccichio

del lusso riesce solo apparentemente a

nascondere dei bisogni di cui io ho l’e-

Don Piero Malvaldi

satta misura perché molte famiglie si

rivolgono a me per risolvere problemi

giornalieri di sussistenza ai quali riesco

a far fronte grazie alla generosità non

ostentata di molte facoltose famiglie di

Milano, Firenze, Prato, Reggio Emilia,

Sassuolo.…

Giorgio Panariello, nel libro uscito

in questi giorni in cui racconta il

rapporto col fratello Franco, ricorda

come questa comunità, proprio nel

periodo più duro, in inverno quando

c’è poca possibilità di trovare lavoro,

abbia aiutato i due ragazzi dopo

la morte dei nonni…

È vero, Giorgio ha dovuto superare momenti

difficili. Ha cominciato alla nostra

Radio Forte dei Marmi facendo il dj e l’imitatore.

Con altri giovani come lui ha

inventato la rubrica Radio Squillo dove

fino al 1985 ha proposto per la prima

volta il personaggio di Merigo, credo

ispirandosi al sagrestano della sua parrocchia.

Ora la radio l’abbiamo ceduta

al signor Roberto Monciatti di Viareggio

anche se io sono rimasto nel consiglio

di amministrazione.

Anche dal punto religioso la comunità

vede convivere in armonia confessioni

diverse…

42

DON PIERO MALVALDI


Il reliquario di Sant’Ermete

Silvia Cecchi direttore del periodico I quaderni della propositura

Sì, fra i molti ricchi, che qui vengono

definiti “i signori” ma senza nessun

astio o polemica, c’è una folta comunità

russa che impropriamente definiamo

così perché ci sono anche ucraini,

moldavi, bielorussi; anche se d’inverno

vivono a Parigi, New York e Londra,

si sono radicati a Forte dei Marmi.

A questi nuovi villeggianti ho riservato

un altare ortodosso dove sono esposte

icone bellissime che raffigurano San

Nicola, il loro patrono; si avvicinano

all’altare e le sfiorano come volessero

accarezzarle.

Oltre alle icone in chiesa ci sono tantissime

opere d’arte…

L’arte sacra è un veicolo importante per

avvicinarsi alla spiritualità. Per esempio,

ai lati dell’altare ho posizionato due

crocifissi, uno dei quali in ceramica,

profano e modernissimo, è di Ernesto

Treccani, uno dei maggiori artisti del

Novecento. Abbiamo un pregevole bassorilievo

del maestro ornatista Michele

Pardini scomparso un anno fa e una

ricca collezione di ritratti di Sant’Ermete

donati ogni anno da un artista diverso.

Un vasto spazio laterale è addirittura

riservato ad una mostra…

L’artista Dimitry Kuzmin con la riproduzione del Salvator Mundi da lui realizzata

In collaborazione con l’associazione

Russkaya Versilia ne abbiamo allestita

una con opere dell’artista Dimitry

Kuzmin che ha esposto nel 2019 a Vin-

DON PIERO MALVALDI

43


ci in occasione dell’anno leonardiano. Il

2020 è stato l’anno di Raffaello e lui ha

voluto rendergli omaggio con questa

mostra. Dimitry, durante il lockdown di

marzo-aprile, ha realizzato una riproduzione

del Salvator Mundi che è stata aggiudicata

all’asta a un acquirente arabo.

Probabilmente ora si trova in un caveau

e allora abbiamo chiesto all’artista

di donare una riproduzione alla parrocchia

e l’abbiamo posizionata vicino a un

suo busto ligneo raffigurante Sant’Ermete

che contiene le reliquie del santo.

Lei fa ricorso anche al fumetto come

sussidio pastorale…

Con i bambini del catechismo amo molto

utilizzare il fumetto perché per loro è

il messaggio più immediato, ma lo faccio

anche con gli adolescenti, soprattutto

studenti, e con gli adulti; raggiungo

tutti quanti attraverso i loro indirizzi

email.

Un altro strumento di comunicazione

importante è rappresentato dal periodico

di formazione cristiana I quaderni

della propositura…

L’altare degli ortodossi

È un quadrimestrale che ha una tiratura

di duemilacinquecento copie molto utile

dal punto di vista pastorale a cui detti

vita anni fa mettendo a frutto il mio

dottorato in Scienze della Comunicazione

del Vangelo. Poi, essendo un impegno

troppo gravoso, l’ho affidato a una

bravissima giornalista professionista di

Prato, Silvia Cecchi che ha lavorato in

televisione, all’Ansa e al Giornale, che

ne è direttore responsabile mentre io

mi limito a scrivere l’editoriale e a curare

uno spazio nelle ultime pagine che

ho chiamato “Pillole di sorriso”, un antidoto

contro la depressione di questi

tempi. La scrittura è una “malattia” di

famiglia, sono lo zio di Marco Malvaldi,

l’autore de I racconti del Barlume.

Di tutte queste iniziative, qual è quella

di cui è più orgoglioso?

Di una di cui ancora non le ho parlato,

il Premio Amici di Forte dei Marmi che

è giunto alla 18ª edizione ed è stato

conferito a diciotto famiglie che amano

Forte dei Marmi e che hanno dimostrato

nel corso degli anni attaccamento

al paese e alla parrocchia, sono quelle

famiglie che anche in pieno inverno

mi telefonano chiedendomi: «Don Piero

c’è bisogno?». E se dico: «Sì, c’è bisogno»,

dopo pochi giorni arrivano gli

aiuti richiesti.

La chiesa di Sant’Ermete Martire a Forte dei Marmi

La croce in ceramica opera di Ernesto Treccani

44 DON PIERO MALVALDI


Salute e

società

Visite mediche gratuite per le persone in difficoltà grazie

al protocollo d’intesa tra Lions Club Garfagnana e la

Confraternita di Misericordia

di Paolo Dieni / foto courtesy Lions Club Garfagnana

La presentazione del progetto a Camporgiano

ACamporgiano, in provincia di

Lucca, con la firma del protocollo

d’intesa tra Lions Club Garfagnana

e la Confraternita di Misericordia, è

nata la Solidarietà Sanitaria Lions-Media

Valle del Serchio Visite Sanitarie Specialistiche

Gratuite. Racconta Quirino Fulceri,

presidente Lions Club Garfagnana: «Abbiamo

creato una rete di medici specialisti

per garantire visite mediche a tutte le persone

in difficoltà economica, il cui reddito

ISEE non superi la soglia di euro 8.000,00

(ottomila/00). Stiamo perfezionando un

accordo con l’Azienda USL Valle del Serchio

che collaborerà con noi inviando ai

medici volontari quei pazienti che sono in

possesso della certificazione sociale. Insomma

vogliamo aiutare veramente chi

ne ha bisogno. Oggi più di ieri molte persone,

a causa della pandemia in corso,

della lunghezza delle liste di attesa, della

difficoltà socio-economica che purtroppo

colpisce categorie già deboli, hanno dovuto

rinunciare alla prevenzione o a visite

mediche specialistiche. C’è quindi grande

bisogno di questo servizio. Voglio ricordare

e ringraziare sia Paolo Dieni, officer

distrettuale So.San di questo importante

Service Lions, sia Marco Busini,

governatore del Distretto

108 La. Senza il continuo

supporto del nostro Distretto

sarebbe stato più difficile

mettere a punto l’organizzazione

di questo Service che è

stato ispirato dal Service Nazionale

So.San (Solidarietà

Sanitaria). L’ultimo “grazie”

va alle persone forse più importanti,

ovvero tutti i medici

che si sono messi a disposizione

gratuitamente per effettuare

le visite. Un sentito

ringraziamento al dottor Sergio Orlandi,

responsabile del Service per il LC Garfagnana

e governatore della Misericordia di

Camporgiano, insieme al dottor Daniele

Ballati». Il dottor Sergio Orlandi ha spiegato:

«I medici effettueranno le visite nei

propri ambulatori; questa soluzione risulta

più snella e idonea al nostro territorio

e permette un’ottimizzazione del tempo

che i medici mettono a disposizione, oltre

ad un azzeramento dei costi di gestione».

«La nostra volontà – ha dichiarato Quirino

Fulci, presidente del Lions Club Garfagnana

– è di proseguire con iniziative

simili in altri Comuni». E infatti lo scorso

21 novembre a Fornaci di Barga sono stati

eseguiti 127 test sierologici grazie alla

collaborazione dei Lions con la Misericordia

del Barghigiano e al contributo economico

delle aziende private che hanno

compartecipato all’acquisto dei test.

Specialità coperte dalle visite gratuite:

• Cardiologia, Dr. Maurizio Lunardi

• Chirurgia, Prof. Pietro Iacconi

• Dermatologia, Dr. Giancarlo Alberigi

• Dermatologia, Dr.ssa Elisabetta Pifferi

• Oculistica, Dr.ssa Gaetanina Napolitano

• Odontoiatria, Dr. Matteo Migliorini

• Odontoiatria, Dr. Sergio Orlandi

La gestione degli appuntamenti è organizzata dalla Misericordia di Camporgiano

attraverso un servizio di prenotazione telefonica ai numeri

+ 39 0583.618618 e + 39 349.4906838 nella fascia oraria dalle ore 10.00 alle

ore 13.00, dal lunedì al sabato.

I medici che vogliono contribuire partecipando a questo importante servizio

possono mettersi in contatto con il dottor Sergio Orlandi.

VISITE MEDICHE GRATUITE

45


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Marta Sarti

Le stanze dei segreti

di Daniela Pronestì

Qualcosa di segreto si nasconde

nelle stanze che popolano i

collage di Marta Sarti. Ciascuna

diversa dalle altre, ciascuna

riccamente arredata con mobili d’antiquariato

o con oggetti dal design talmente

moderno da sembrare talvolta

avveniristico. Più che semplici stanze

di un ambiente domestico sono veri e

propri teatri in cui l’artista mette in scena

racconti ogni volta diversi e tutti attraversati

da un insondabile mistero. È

un significato che eccede la lettura didascalica

dell’immagine, rivelando connessioni

a dir poco originali tra figure e

oggetti, spazio e tempo. Occorre scrutarle

con attenzione, queste stanze dei

segreti, per capire che ogni cosa ha il

posto che le spetta, il posto necessario

a farla dialogare con ciò che sta intorno,

a mettere in relazione forme, colori e figure.

È così che le pieghe di una grande

tenda messa a sipario di una porta

richiamano le linee sinuose dei fianchi

di una donna vista di spalle, alla

cui sensualità sembrano riferirsi,

accentuandola, anche

il divano rosso a forma di labbra

in primo piano e subito accanto

una chaise longue a sua

volta rossa e dalle forme altrettanto

accattivanti. Ogni oggetto

in questa stanza è un

omaggio alla seduzione femminile

e all’enigma che questa

sottende, nell’equilibrio che

solo ad alcune donne riesce

fra grazia, eleganza e fascino.

Proseguendo in questa “caccia

al dettaglio”, alle tante argute

suggestioni che Marta Sarti

dissemina nei suoi collage come fossero

rebus, incontriamo un interno in cui

una tazza di tè ancora fumante sul tavolino

al centro della scena diventa indizio

di un’azione interrotta da qualcosa

– forse una telefonata o una visita improvvisa?

– che ha distolto la padrona

di casa da un momento di relax. La cosa

affascinante è che un particolare di per

sé poco influente scatena a tal punto la

curiosità dell’osservatore da spingerlo

a cercare di risolvere questo “enigma”

scrutando gli altri oggetti nella stanza.

Ma per quanto si concentri, per quan-

46

MARTA SARTI


to cerchi di collegare tra loro i vari elementi,

difficilmente riuscirà a sciogliere

i segreti di un’immagine dove c’è molto

da vedere e da scoprire. Anzi, quello

a cui inevitabilmente andrà incontro

è il paradosso delle opere d’intonazione

fantastica, nelle quali sforzarsi di capire

serve soltanto ad allontanare ancora di

più l’emersione del significato. Perché

la forza di queste immagini è appunto il

mistero di cui si diceva all’inizio, il loro

“contenere” più di quello che lo sguardo

permette di cogliere, un nucleo intorno

al quale ruotano tutti gli altri elementi

della composizione ma che rimane nascosto

nelle pieghe del racconto. Il latente

e il manifesto, si direbbe in termini

psicoanalitici. Molti gli esempi da portare,

come quello della silhouette femminile

che sotto un portico affacciato

sul mare sembra in procinto di spiccare

il volo con le sue forme agili e leggere,

come già fanno due gabbiani e un

aereo nel cielo azzurro sopra la tua testa.

E ancora, le complesse geometrie di

un vestito i cui colori e le cui forme rimbalzano

nello spazio circostante generando

una serie di inganni prospetti, di

punti di vista molteplici, di fronte ai quali

– proprio come accade con le architetture

impossibili di Escher – è inevitabile

sentirsi colti da un senso di vertigine, di

totale spiazzamento dettato dall’ambiguità

della rappresentazione. In effetti,

la costruzione dello spazio nelle opere

di Marta Sarti non è mai soltanto funzionale

alla creazione di un contesto nel

quale ambientare una storia, ma serve

a visualizzare l’iter mentale che l’artista

– e dopo di lei anche l’osservatore

– deve compiere per combinare tra loro

immagini molto diverse e spesso anche

contraddittorie. Un procedimento

non dissimile da quello che nel sogno

fa sembrare plausibile, e quindi dotata

di una relazione logica, quella che invece

è la combinazione assurda di più

cose slegate tra loro. Ma è proprio da

questo stravagante accordo di voci dissonanti

che nasce la melodia del fantastico,

quel senso del meraviglioso che

fa tornare bambini e che rende queste

opere un “cibo” per la mente di cui non

sentirsi mai sazi.

MARTA SARTI

47



A cura di

Rosanna Bari

Artigianato artistico

in Toscana

I mosaici di Lastrucci

Eccellenza nell’arte del commesso fiorentino

di Rosanna Bari / foto courtesy Bottega d’Arte Lastrucci

Il sodalizio artistico di Bruno Lastrucci

e del figlio Iacopo, maestri

nell’antica arte del commesso fiorentino,

inizia nel 2001, quando decidono

di aprire la loro bottega d’arte in via

de’ Macci 9, accanto alla basilica di Santa

Croce. Il laboratorio occupa gli spazi

di un antico luogo storico di Firenze,

il trecentesco ex Spedale di San Francesco

de’ Macci. Prima di allora, Bruno era

stato il direttore artistico della nota galleria

fiorentina e laboratorio di mosaici

Musiva. L’amore di Bruno per l’arte del

mosaico si manifesta già da bambino,

proprio lì dove lui abitava, nella pittoresca

zona di Santa Margherita a Montici,

dove ebbe l’opportunità di frequentare

la vicina bottega musiva dell’artista

americano Richard Almond Blow, facendone

il suo passatempo dopo la scuola.

Questa assidua frequentazione gli

diede la grande opportunità di venire a

contatto con pittori italiani ed internazionali,

instaurando con loro importanti

collaborazioni che lo porteranno ad

acquisire sempre più spessore nell’arte

del mosaico. Il suo lavoro è caratterizzato

dall’utilizzo di strumenti tradizionali

e dall’adozione di antiche tecniche di lavorazione

tramandate sin dal 1588, an-

Da destra, Bruno Lastrucci e il figlio Iacopo

no in cui il granduca Ferdinando I istituì

l’Opificio delle Pietre Dure, manifattura

di opere di intarsio con marmi pregiati e

pietre semipreziose, il cosiddetto “commesso

fiorentino”. Sue realizzazioni si

trovano in importanti collezioni private e

in esposizioni permanenti di musei, come

per esempio al Lizzadro Museum of

Lapidary Art, in Illinois, dove è esposto

il ritratto di Joseph Lizzadro, autorevole

collezionista di arte lapidea. La bottega

d’arte di Bruno Lastrucci ha ricevuto

inoltre importanti riconoscimenti: nel

2010, dalla Società di San Giovanni Battista

il Premio Bottega Artigiana Fiorentina

e nel 2018 il Premio Porcellino.

Nella loro bottega, Bruno e Iacopo sono

maestri anche nell’accoglienza dei

visitatori, che hanno così la possibilità

di assistere alla lavorazione di preziosi

manufatti, in quella che fu la tecnica importata

dagli artisti fiorentini del Cinquecento

dalla Roma dei fasti papali.

Bottega d’Arte Lastrucci

via de’ Macci 9 – Firenze

www.imosaicidilastrucci.it

info@imosaicidilastrucci.it

Un esempio di commesso fiorentino opera di Lastrucci

La bottega d’arte Lastrucci in via de’ Macci a Firenze

I MOSAICI DI LASTRUCCI

49


I libri del

Mese

L’arse argille consolerai

Firenze, Carlo Levi e la seconda guerra mondiale nell’appassionante

ricostruzione storica di Nicola Coccia

di Doretta Boretti

Ci sono libri che tutti dovrebbero

avere nelle loro abitazioni. Tra

questi un testo, un vero caleidoscopio

di artisti e di storie di vite vissute

in un arco di tempo che abbraccia più del

secolo passato, scritto con una precisione

storico-lessicale unica nel suo genere,

tale da renderlo, a mio avviso, un

vero gioiello della letteratura contemporanea.

Mi riferisco al pluripremiato libro

del giornalista e scrittore Nicola Coccia

L’arse argille consolerai. Dopo averlo letto

più volte, mi è venuto il desiderio di

formulare alcune domande all’autore.

Com’è nata l’idea di scrivere questo

libro?

Nell’ultima pagina di Cristo si è fermato

a Eboli, l’autore, Carlo Levi, ha voluto

aggiungere un luogo e una data: Firenze,

dicembre 1943 - luglio 1944. Il libro,

definito da Vittore Branca, accademico

della Crusca e membro del Comitato toscano

di Liberazione, «il più importate

del nostro dopoguerra», era stato scritto

a Firenze in otto mesi. Ma dove? In

quale appartamento? In quale strada? In

casa di Anna Maria Ichino, in Piazza Pitti

14. Di questa donna, coraggiosa, generosa,

anticonformista e antifascista, si

erano perse le tracce. Chi era? Da dove

veniva? Chi frequentava il suo alloggio.

Cosa stava succedendo in quei mesi a Firenze?

Il libro racconta il dietro le quinte

di Cristo si è fermato a Eboli: il dramma,

la guerra, gli amori, i segreti, ma anche il

tempo in cui Firenze era l’Atene d’Italia.

Ci sono voluti molti anni per la stesura?

Per la stesura vera e propria no. Ma

hanno richiesto sei anni le ricerche

compiute negli archivi di Stato di Matera,

Roma, Torino e Firenze. Nel capoluogo

toscano, poi, sono stati setacciati

tutti gli archivi: da quello universitario a

quello notarile, dall’Archivio storico del

Comune di Firenze a quello della Camera

di commercio, dai registri battesimali

dell’Opera del Duomo a quello diocesano.

Ci sono poi testimonianze dirette

delle persone che hanno conosciuto

Carlo Levi e che sono state rintracciate

in Lucania, Lazio, Toscana, Svizzera e

Stati Uniti. L’ultima testimonianza, inedita,

riguarda la figlia segreta di Carlo

Levi. Le pagine fotografiche sono ventiquattro;

diverse foto sono inedite.

Perché il titolo L’arse argille consolerai?

Cosa significa?

Il fascismo spedì Carlo Levi al confino

in Lucania, prima a Grassano e poi

a Aliano, in provincia di Matera. Proprio

mentre era al confino scrisse una poesia

dedicata alla donna che amava in quel

50

NICOLA COCCIA


Nicola Coccia

momento: Paola Olivetti, moglie del costruttore

delle macchine da scrivere. La

poesia dice: Paola vieni in questa terra

che non ti appartiene (la Lucania) perché

l’arse argille consolerai come una pioggia

improvvisa. Una poesia bellissima.

Pensando al faticoso momento di

vita sociale che stiamo attraversando,

secondo lei quanto è importante

ricordare?

Carlo Levi scrisse Cristo si è fermato a

Eboli durante i mesi più duri della guerra.

C’erano i bombardamenti, le retate

dei fascisti, gli arresti, le fucilazioni.

«Ogni giorno – scrisse – poteva essere

l’ultimo». Giorni duri come quelli di

oggi, ma anche pieni di speranza. Levi,

a Parigi, con i fratelli Rosselli, aveva

scritto il programma di Giustizia e

Libertà. I Rosselli, assassinati in Francia

da sicari fascisti, sono sepolti a Trespiano

nel quadrato d’onore. Sulle loro

tombe Piero Calamandrei ha fatto scrivere

“Giustizia e Libertà: per questo

morirono, per questo vivono”. Quei valori

sono ancora attualissimi. Se non ricordiamo

il nostro passato non saremo

in grado di costruire il futuro.

Siamo in periodo di festività natalizie:

a chi riceverà in regalo il suo libro cosa

suggerisce?

L’arse argille consolerai è un viaggio nella

vita di Carlo Levi e in altre decine e decine

di persone che lo hanno incontrato.

È un viaggio nella nostra Firenze che io

per primo non conoscevo. Manca un altro

viaggio, quello in Lucania, che consiglio

di fare appena possibile. La Lucania

è l’unica regione che ha due nomi, due

mari, un centinaio di castelli e una serie

di abbazie, opere d’arte, storie e leggende.

Ma è ancora oggi la regione più

misteriosa e più sconosciuta e anche

per questo la più integra del nostro paese.

Ad Aliano, il paese dove Carlo Levi

è stato confinato, c’è la sua tomba,

la casa del confino, la casa del podestà,

la caserma dei Carabinieri, l’ufficio postale,

la fossa del bersagliere in cui venne

gettato alla fine dell’Ottocento quel

militare che, dopo essere stato ospitato

e rifocillato, cercò di approfittarsi di

una donna. E poi c’è la pinacoteca con

ventisette opere di Carlo Levi e le sette

litografie che lui fece per Cristo si è fermato

a Eboli e che donò al Comune nel

suo ultimo viaggio a Aliano nel dicembre

1974. Un’ultima annotazione: a Marconia,

frazione di Pisticci, c’è il monumento

al confinato. In Basilicata il fascismo

ne spedì quasi tremila sui quindicimila

totali. A due chilometri ci sono ancora le

loro casette. Cosa che non troviamo più

neppure a Ventotene dove, ad opera dei

confinati, nacque l’Europa.

NICOLA COCCIA

51


Filippo Mugnai

Olio su digitale

mugnaifilippo@yahoo.it

@mugnaifilippo


A cura di

Lorenzo Borghini

Il cinema

a casa

Birdman

Il “Viale del tramonto” dei nostri tempi

di Lorenzo Borghini

Iñárritu non è mai riuscito a convincermi

a pieno. Quando era in coppia

con lo sceneggiatore Arriaga puntava

tutto su storie ad incastri, riuscendo

a realizzare un ottimo film con Amores

Perros, un buon film con Babel e uno mediocre

con 21 Grammi. Ma poi il crack.

Dopo la rottura con Arriaga, i due, camminando

ciascuno con le proprie gambe,

hanno compiuto passi falsi; uno con The

Burning Plain e l’altro con Biutiful. Ma poi

è arrivato Birdman, ed è stato sufficiente

per polverizzare il sentore che si era impossessato

della mia mente: potrà Iñárritu

tornare ad ottimi livelli senza il compagno

Arriaga? E la risposta è sì. In Birdman c’è

tutto: vita, morte e miracoli. Potrei dire

di come Birdman rappresenti a pieno la

cultura americana parlando di Hollywood,

supereroi, social network, New York,

jazz e Broadway, ma non lo farò. Voglio

focalizzare la mia attenzione sulla prima

cosa che mi è saltata per la testa durante

la proiezione del film: Birdman è il Viale

del tramonto dei nostri tempi. Riggan

Thompson (uno strepitoso Michael Keaton)

è una star del cinema che ha raggiunto

un successo spaventoso interpretando

il ruolo di Birdman, un supereroe vestito

da uccello. Norma Desmond (Gloria

Swanson) in Viale del tramonto (Billy Wilder)

è una ex-diva del cinema muto divenuta

famosa per la sua bellezza e per le

pose statuarie che assumeva nei film. Entrambi

i protagonisti vengono risucchiati

dal proprio personaggio, dai divi che furono

non riuscendo ad essere più se stessi,

rimanendo aggrappati a quel barlume di

gloria passata. La differenza sostanziale è

che Riggan Thompson è ancora famoso,

anche se per la non esaltante cosa di aver

interpretato per tre volte un supereroe

vestito da pennuto; mentre Norma Desmond

è stata messa nel dimenticatoio: è

arrivato il suono, la presenza scenica non

è più tutto, Hollywood è andata avanti e

la povera Norma è rimasta indietro, ancorata

ai suoi ricordi come ad un salvagente

in mezzo al mare. Entrambi proiettano

le proprie frustrazioni: Norma sotto forma

dei suoi vecchi film propinati a ospiti

che sembrano mummie imbalsamate,

mentre Riggan sotto forma di allucinazioni

visivo-uditive in cui Birdman prende

il sopravvento dispensando consigli e

distruggendo la sua autostima ogni volta.

Entrambi sono intrappolati dentro un

vortice di scelte sbagliate, insicurezze e la

paura di non contare niente, di non essere

più sotto i riflettori della grande industria

cinematografica. La fama è il collante di

tutto, Hollywood è una macchina mangia

uomini inarrestabile che miete i sogni di

alcuni per regalarne ad altri: è l’industria

degli Studios, prendere o lasciare. I due

non sembrano proprio lasciare la palla

della celebrità, anzi. Norma arriverà addirittura

ad uccidere per riaccendere la luce

di quei riflettori che l’hanno abbandonata

ormai da anni, riflettori che si trasforma-

no in flash di paparazzi, domande lampo,

ma nulla importa, la missione è riuscita,

l’attenzione è tutta su Norma Desmond

che scende le scale in posa, quasi come

in uno dei suoi vecchi film. Riggan, invece,

dopo un volo pindarico col suo personaggio

alato, scende le scale del cielo,

atterra e con faccia sicura torna nel teatro.

Il suo spettacolo è l’ultima carta per

riaccendere le “luci della ribalta”, il tutto

per tutto della disperazione, ma il risultato

è diverso: Riggan non ha bisogno di sparare

ad un povero cristo per tornare sulle

prime pagine dei giornali; Riggan spara

in faccia all’arte, reinventa un teatro di verità

che aveva perso la linfa vitale ormai

da tempo, e allora chapeau, che si chiuda

il sipario, che scroscino gli applausi, Riggan

Thompson è tornato e con lui anche

Iñárritu ha ripreso a volare.

BIRDMAN

53


Kristipo

La lupa capitolina, che secondo la tradizione ha allattato i gemelli Romolo e Remo, i leggendari

fondatori di Roma, rappresenta fin dall’antichità un simbolo della città eterna. Oggi che

l’umanità intera è vittima del Covid, soltanto la lupa può nutrire il mondo. Altri animali non

possono farlo. Il dipinto Lupo 2020 di KristiPo raffigura animali diversi in chiave astratta e tra

questi il più grande è appunto la lupa nutrice dell’uomo. Un quadro che invita alla speranza,

all’attesa del tempo in cui finalmente il mondo guarirà.

La lupa

Artista eclettica, pittrice, scultrice, poetessa, attrice e regista, KristiPo è nata a Mosca e risiede

attualmente a Montecatini Terme. La sua formazione è iniziata frequentando la scuola di cinema

e drammaturgia Sverdlovsk Film Studio a Ekaterinburg. Ha seguito il corso accademico di

arte e lingua italiana all’Istituto Michelangelo e nel 2017 si è diplomata all’Accademia di Belle

Arti di San Pietroburgo. È amante della natura ed animalista convinta.

kristi_po_art_galleria


La voce

dei poeti

Margherita Cardarelli

Poetessa e scrittrice innamorata della vita

di Giancarlo Bianchi / foto Beatrice Bausi Busi

Nata a Roma, Margherita Cardarelli

vive a Firenze fin dalla

prima infanzia. Laureata in

Lettere Moderne, ha discusso una tesi

in Storia Medievale su Grosseto.

Ha insegnato per più di trent’anni nelle

scuole medie di Firenze e provincia

(Certaldo, Impruneta, Fiesole e Prato).

Ha pubblicato le seguenti opere: Vita

con mio padre (ESI), Ritratti di famiglia

dedicato alla famiglia della madre

vicentina, Il nonno carbonaro (Novecento

Poesia) sul nonno di suo padre

fuggito in Maremma dopo un moto

carbonaro fallito, Good bye, Pola!

(Edizioni Pegaso) sull’esodo dall’Istria

dopo la seconda guerra mondiale il 10

febbraio 1947, Fra i banchi – La mia

vita (Risma) e Voci dal tempo (Edizioni

Pegaso). Ha inoltre scritto la biografia

di suo padre Romualdo Cardarelli

(due anni in prima linea dal 1916 al

1918) intitolata Diario di guerra (Polistampa).

Le nostre strade si sono incrociate

all’interno di Pianeta Poesia,

movimento fondato e diretto da Franco

Manescalchi quando Margherita pubblicò

Il nonno carbonaro nella collana

Novecento Poesia (Quaderni di Pianeta

Poesia), pagine preziose che ricordano

quanto importante sia non perdere

le proprie radici. Ha partecipato anche

all’antologia Pianeta donna (Youcanprint)

da me curata insieme a Brogi,

Manescalchi e Musone. Quello che mi

ha spinto a scrivere di lei è stato lo stupore

che ho provato leggendo la poesia

dal titolo Maternità all’interno della

raccolta poetica appena citata: Io non

sono mamma, / deserto il seno / e vuoto

il grembo. / La mia maternità / l’ho

vissuta / fra i banchi di scuola / e i miei

“figli di elezione”. Sì, si può essere madre

/ senza aver partorito, / sono stata

madre / il cuore / è stato il mio grembo.

A queste parole fanno eco i versi

di una sua recente poesia: Il mio cuore

/ un lago profondo…/ È tesoro immenso

/ dei miei affetti / che io sola

conosco. Margherita ha donato tutta

se stessa. Il cuore è stato il mio grembo

potrebbe essere il titolo di un suo

prossimo libro, ma è anche l’immagine

di tutta la sua intensa vita, dell’anima

di una poetessa che conserva gli occhi

di una bambina e vede nell’amore dei

suoi alunni lo scopo e il coronamento

di tutta la sua esistenza. Riporto uno

stralcio di Anna Maria Vezio tratto dalla

prefazione al volume Voci dal Tempo

(Edizioni Pegaso): «In ogni suo allievo

ha visto il proprio figlio non nato

donandosi con l’insegnamento e con

l’amore di madre ai suoi “figli d’elezione”».

Concludo con i versi di Ungaretti:

E il cuore quando d’un ultimo battito

/ avrà fatto cadere il muro d’ombra /

per condurmi, madre, sino al Signore,

/ come una volta mi darai la mano.

Margherita Cardarelli

MARGHERITA CARDARELLI

55


Krzysztof Konopka

Margherita Blonska

COLASANTI CASA D'ASTE - ROMA

Michal Ashkenasi

Alma Sheik


A cura di

Julia Ciardi

Percorsi trekking

in Toscana

La Quercia delle Streghe

Un monumento della natura nel cuore della Lucchesia

di Julia Ciardi

Chi di voi approfittando dell’ultimo

giorno in zona gialla non ha colto

l’occasione per fare qualcosa

di particolare prima di rimpiombare nel

lockdown? Io ho deciso di fare una bella

passeggiata ripercorrendo dopo tanti anni

la via che porta alla cosiddetta “Quercia

delle Streghe” (o Farnia delle Streghe),

un luogo magico nei pressi di Gragnano e

San Martino di Lucca. La secolare quercia

che domina il paesaggio si sviluppa in

orizzontale, quasi parallelamente al terreno,

caratteristica che le dà un aspetto davvero

inquietante. La leggenda racconta

che a darle questa insolita conformazione

siano state le streghe che si incontravano

per eseguire i loro riti di sabba danzando

e cantando sui rami della quercia. Un’altra

spiegazione la troviamo nel celebre Pinocchio

di Carlo Collodi: questa sarebbe

infatti la quercia dove il burattino viene

impiccato dal gatto e la volpe dopo averlo

derubato degli zecchini d’oro. Si tratta

di un esemplare di farnia – un tipo quercia

diffusissima in Europa –, la seconda più

grande della Toscana e con più di seicento

anni di vita.

Itinerario

Montecarlo di Lucca – direzione San

Martino in Colle – via della Chiesa di

San Martino in Colle – Quercia delle

Streghe – Montecarlo di Lucca (6 km

/percorso anulare)

Per arrivare alla Quercia delle Streghe

non ci sono indicazioni turistiche, è

quindi difficile trovarla. Ma seguendo

alla lettera questo percorso, ci si arriva

al primo colpo. La quercia si può

raggiungere sia a piedi che in bici o in

macchina per chi ha più difficoltà; si

trova uno spazio per parcheggiare proprio

ai piedi del grande albero. Si parte

dal borgo medievale di Montecarlo.

Camminando lungo le mura della fortezza

medievale, si svolta al bivio a destra

in direzione San Martino in Colle

e si prosegue per circa 2 km, fino ad

un secondo bivio sulla destra che consente

di immettersi in via della Chiesa

di San Martino in Colle. Poco dopo

aver imboccato questa strada, s’incontra

a sinistra una via sterrata che

scende in direzione “Alloro”. Da qui si

prosegue per 300 metri, fino a quando

apparirà davanti agli occhi la maestosa

quercia, vero e proprio spettacolo

della natura. All’interno della recinzione

si trova un prato fiorito dove è possibile

riposarsi e fare un picnic, anche

se per conoscere meglio i tesori di

questo territorio vale la pena, al ritorno,

fermarsi a Montecarlo al bar caffè

“Carlo IV”, dove prendere un aperitivo

sorseggiando i migliori vini di questa

località famosa per le sue vigne e

la tradizione delle cantine. Ogni anno

a settembre, dopo la vendemmia, qui

si svolge un festival del vino. Il nucleo

originario di Montecarlo era il borgo

di Vivinaia, antica proprietà dei Duchi

della Tuscia, che sorgeva alle pendici

del Colle del Cerruglio. Devastato dai

fiorentini nel 1331, il borgo fu rifondato

dalle autorità lucchesi sulla sommità

del colle, dove sorgeva l’omonima

rocca. Il nome Montecarlo (Mons Caroli)

gli venne dato in onore del principe

Carlo IV figlio del re Giovanni di

Boemia, liberatore di Lucca dall’occupazione

pisana.

La Quercia delle Streghe a San Martino in Colle

QUERCIA DELLE STREGHE

57


Annullamento, china, cm 15x30

Studio di anatomia, tecnica mista su carta

Mirella Biondi

mirellabiondi38@gmail.com

L’arte del segno

Leonardo, matita seppia, cm 35x50

Risorgere dal buio, tecnica mista su carta, cm 40x60


A cura di

Lucia Petraroli

Il super tifoso

Viola

Mario Sconcerti

Il presente della Fiorentina secondo una delle più autorevoli

firme del giornalismo sportivo italiano

di Lucia Petraroli

Una delle voci più autorevoli e

credibili del giornalismo italiano.

Prima firma del Corriere

della Sera, cronista sempre attento,

storico opinionista di calcio in TV. In

questa intervista Mario Sconcerti esprime

il suo personale giudizio sul presente

della Fiorentina.

Come giudica il momento in casa Fiorentina

con l’arrivo di Cesare Prandelli?

Tutto è successo nel peggiore momento

che ci potesse capitare. La Fiorentina

ha lavorato molto per non commettere

un errore di questo genere, errore

che per noi era già evidente, per Commisso

meno. Senza contare che anche

a Iachini è andato tutto male. Ci siamo

abituati ormai a padroni assenti in

società, lasciando i tesserati in sede a

dirigere. È un tipo di cultura imprenditoriale,

quasi patronale, non troppo

consona ad una squadra di calcio.

Con Prandelli, Firenze e la Fiorentina

possono tornare a sognare in grande?

Più che sogni spero che Prandelli porti

buonsenso. Si tratta di giocare bene a

calcio, accettando una città molto innamorata

ma anche molto esigente.

Cosa si aspetta dal gioco di Prandelli?

Questa Fiorentina è una buona squadra,

ma bisogna chiedersi rispetto a cosa.

Sicuramente sarà da metà classifica.

Speriamo possa fare rumore come ci

aspettavamo.

Confida nel mercato di gennaio per

aiutare a completare la rosa viola soprattutto

in fase offensiva?

Se aspettiamo un mercato dopo l’altro

commettiamo un grande errore. Commisso

non è Babbo Natale. La Fiorentina

è la seconda squadra ad avere

più sponsor, seconda solo alla Juve,

e Commisso sta facendo molto. Manca

ad oggi un centro sportivo di spessore

e Commisso anche in questo sta

incidendo. Le aziende prima investano,

altrimenti investa Firenze nella Fiorentina...

Come giudica il primo anno e mezzo

di Commisso alla presidenza della

Fiorentina e quali prospettive vede

per la società gigliata?

Un comportamento confuso come era

giusto che fosse, come confuso è stato

anche il comportamento dei tifosi, che

prima lo hanno osannato ed oggi lo criticano.

Ribadisco, i fiorentini possono

investire nella loro Fiorentina

se quello che hanno non

gli basta.

Come procederà la questione

stadio?

Mario Sconcerti (ph. courtesy www.fcinter1908.it)

Credo che Commisso in

questo abbia fatto bene il

suo lavoro tanto che è diventato

un problema nazionale,

con emendamenti

in atto. In altre città va tutto

molto più lento su questo

argomento. Non si può

chiedere ad un privato di

rifare lo stadio come vogliamo

noi per un quartiere

nostro. Il Comune deve

mediare. Nel caso in cui

Commisso dovesse trovare

l’area idonea, ci dobbiamo

fidare di lui.

MARIO SCONCERTI

59


Ritratti

d’artista

Mauro Mari Maris

Una vita fuori dall’ordinario trascorsa in mezzo ai colori

di Jacopo Chiostri

Se la sincerità di un pittore si giudica

dalla coerenza del suo stile

− e su questo non abbiamo

dubbi − Mauro Mari, il popolare “Maris”,

è l’artista più sincero che si possa

immaginare. Da quarant’anni, infatti,

è “ligio” a uno stile che si modifica nei

motivi che lo originano − «ogni giorno

è diverso, ce lo impongono gioie ed

amarezze...» − ma ha una cifra formale

assolutamente unica e personalissima.

I suoi smalti, i colori vivaci rafforzati da

una vernice trasparente che prepara di

persona, come del resto le cornici che

riadatta da vecchi quadri che gli portano

gli amici che gravitano attorno al

suo atelier in riva d’Arno, non distante

dal viadotto dell’Indiano, insomma la

sua poetica, informale e ricca di forza

espressiva, ne fanno un personaggio

singolare, per una volta non riferibile

ad altri (anche se il suo stile è stato

accostato al “dripping” di pollockiana

memoria). Ne abbiamo parlato, di Maris,

che non è molto in queste pagine:

lui, d’altra parte, è un fedele amico del

mondo che ruota attorno all’associazione

Toscana Cultura. Abbiamo raccontato

la storia della sua galleria, la San

Frediano nell’omonima via, dove son

passati i più importanti artisti dell’epoca,

dell’avventura di promoter d’arte

televisivo, poi dell’amicizia

con Schifano e di come il

celeberrimo artista con

la sua nota irruenza abbia

provato ad imporre le

proprie idee e i propri ritmi.

Ancora: abbiamo scritto,

a proposito dei dipinti,

della loro “frammentazione

segnigrafica e cromatica”

e ciò nonostante della

“sorprendente uniformità

compositiva” che li contraddistingue;

si è detto di

come i contrasti modellino

il mondo che vi è raffigurato

e di come sembra di

guadarlo, questo mondo,

da un aereo in volo. Tuttavia,

per capire appieno

la poetica di Maris bisogna

andare a trovarlo nel

suo piccolo regno, lì in riva

d’Arno, tra una colonia

di gatti, il fedele Caruso e le tele, di tutte

le dimensioni, fino a tre metri; occorre

osservarlo mentre media tra il diktat

delle vernici di cui si serve, che hanno

la tendenza a seccarsi rapidamente,

e la pacatezza con cui traduce nel suo

alfabeto i ricordi, le emozioni, i tanti

pensieri. Sono forme libere quelle che

vediamo, che chiedono di essere osservate,

non necessariamente capite:

«Ognuno è libero di vederci quello che

vuole», dice. In ultimo sono composizioni

che risultano sorprendentemente

familiari. Dietro a queste opere, dietro

a questo linguaggio e a questo intenso

lavoro − Maris dipinge quasi tutti i gior-

60

MAURO MARI MARIS


ni − c’è una storia fatta di alti e bassi,

di gioie e dolori, come la storia di ciascuno,

ma a tratti rocambolesca tanto

da essere raccontata in un piccolo libro

Vita.... Vita che è stato curato dalla storica

e critica d’arte Gabriella Gentilini e

al quale seguirà presto un altro. Perché

Maris sa di avere qualcosa da raccontare,

una vicenda, la sua,

che nell’espressione artistica

trova solo uno dei

tanti possibili sbocchi.

Nato nel 1940, già negli

anni Sessanta si dilettava

con la pittura, ma

il tempo non era molto,

c’era da lavorare, e imparò,

come si diceva una

volta, “da falegname”,

un lavoro che gli torna

utile oggi che adatta da

solo le cornici ai dipinti.

All’epoca i quadri erano

figurativi, paesaggi,

fiori, case, e se vogliamo

con un riferimento

alla pittura impressionista,

ma a questo periodo

seguì poi un lungo

distacco e riprese in

mano il pennello solo

agli inizi degli anni Ottanta. A causare

questa parentesi prolungata, oltre alle

vicissitudini private, c’era la consapevolezza

− lo dice senza ritrosie − che

per continuare avrebbe dovuto fare un

salto di qualità, il che comportava frequentare

una scuola. Non fu possibile,

e da allora scelse di essere libero,

di esprimere la creatività nell’astratto.

Ha prodotto migliaia di opere che sono

esplosioni di colore da cui nascono

effetti fantastici e surreali dove c’è tutto.

Occorre solo sganciarsi da pregiudizi

e condizionamenti visivo-percettivi

per riconoscerlo. I quadri di Maris hanno

viaggiato, lui stesso non saprebbe

dire in quali e quanti paesi, dopo magari

molti giri hanno trovato dimora. Alcuni

si trovano in esposizione permanente

in una galleria di Washington di cui

non ricorda il nome: e citiamo la circostanza,

che magari può sembrare curiosa,

perché questo è Maris, uno che

specie negli anni felici ha venduto tanto,

ma in fondo non se n’è mai curato

troppo perché la sua realizzazione sta

nell’atto creativo che gli consente, anche

ora che ha raggiunto la soglia preziosa

degli ottant’anni, di mantenere un

invidiabile spirito giovane. Mauro ci saluta

con un’opera recente: il formato è

insolito, ovalizzante, ma il motivo sono

tanti cuori. È il suo messaggio di pace

e di amore rivolto a tutti, non esclusi

coloro che lo hanno ferito e che continua

ad amare.

www.mauromaris.it

mauromaris@yahoo.it

MAURO MARI MARIS

61


Luciano Faggi

Dalla natura all’astrazione

+ 39 348 2267777

fagluc2006@libero.it


La voce

dei poeti

Elena Usseglio

Footing

Corro,

con la musica che mi isola dal mondo,

insieme al vento che asciuga le lacrime del

mio cuore.

Con ogni passo,

calpesto la rabbia…

Ogni goccia di sudore mi rende l’anima pura...

...Corro, corro,

senza meta…

fino a dove la tristezza

finisce

e ricomincia la vita...

Malumore

Un piccolo nero

granello

di pepe

crepato dal vento

si è frantumato

mutandosi

in un’afferrabile

polvere

che sa di pungente

che con l’odore ci

allontana

portandosi via

qualcosa

di noi

uno starnuto

rubato.

Il caminetto

Ipnotizzata dal fuoco del camino

avvolgo e brucio

i cattivi pensieri

coccolata dal rumore

della legna

scoppiettante…

Covid-19

La Luna

ammira la Terra

che sembra

imprigionata

dalla sua azzurra

vela chirurgica

in un cielo di speranza…

mentre le nuvole,

come cimose

cancellano per sempre

il VIRUS dalla lavagna

del mondo…

In moto

Il vento dipingeva

il paesaggio

con il suo caldo

alito…

I miei capelli

facevano

da pennello

e il mio cuore

da tavolozza

multicolore...

Sul pontile

Il vento mi porta

per un attimo

lontano

...La mia mente

muore

sfiorando

l’infinito

ascoltando

l’ultimo battito

del cuore

rapito dalle

onde…

L’oblò dei pensieri

...Colori che frullano

nell’acqua

schiumando via

lo sporco dell’anima…

Mentre

ti guardo girare

...riaffiora…

la mia grande tristezza…

la mia infinita rabbia...

che si nasconde …

col rumore

dei tuoi giri…

ipnotici

che mi ubriacano

la mente…

Elena Usseglio

Nata a Torino nel 1971, Elena

Usseglio vive a Viareggio

dal 1983. Sposata, ha tre

figlie, due gatti e un cane. Sportiva

da sempre, è appassionata di musica.

Quando può, si rilassa in cucina

preparando dolci. Scrive poesie

dall’età di sedici anni, ammucchiando,

nel suo cassetto impolverato dei

sogni, una raccolta infinita di versi.

elenausseglio@libero.it

ELENA USSEGLIO

63


Abbiamo iniziato questo

venticinquesimo anno di attività

pieni di entusiasmo e di aspettative, poi…

di sicuro non lo scorderemo facilmente!

Siamo comunque orgogliosi di aver portato

Benessere nelle Case delle Famiglie

facendole sentire in Armonia.

Auguriamo a Tutti un sereno Natale

ed un 2021 ricco di Salute!


A cura di

Laura Belli

Speciale

Pistoia

Sandro Bonaccorsi

L’inventore di “Monoeye”, un occhio puntato sulle

contraddizioni del mondo

di Laura Belli

Le opere di Sandro Bonaccorsi

catturano l’attenzione, si rimane

piacevolmente colpiti dalla nitidezza

delle linee, dalla vivacità dei colori

e da una certa ingenuità delle immagini

capaci di suscitare allegria e ammirazione.

Ad una più attenta osservazione,

si scopre, con meraviglia, che tutto scaturisce

da due cerchi concentrici e due

puntini neri che l’artista sapientemente

arricchisce con particolari che, non

scevri da una sottile ironia, li caratterizzano

e danno loro vita e nome: cane,

pappagallo, ragno… per ben cinquanta

animali che ci fissano con un unico

grande occhio talvolta attonito, spesso

stupito oppure aggressivo ma che comunque

sembra interrogarci. Nel tempo

l’artista è sempre rimasto fedele a questa

felice intuizione grafica che egli ha chiamato

“Monoeye”, semplice nella sua essenzialità

ma inarrestabile e inesauribile

nella fantasia del suo creatore. Egli ha

arricchito il suo panorama di personaggi

formando una sorta di alfabeto iconografico

e ha usato queste sue creature

per comporre narrazioni più complesse,

infondendo loro connotazioni fortemente

simboliche, capaci di suscitare emozioni

e riflessioni così da indurre chi guarda

ad interrogarsi sul presente e sul futuro

dell’umanità e del nostro pianeta. Denuncia

lieve e raffinata nella grafica, ma

non per questo meno caustica e incisiva,

la si può cogliere nell’opera Arca di carta

che l’autore presenta così: «La considero

il manifesto di tutto il mio lavoro; rappresenta

una piccola barchetta di carta

che naviga in un mare di mondi colorati,

in alto diversi uccellini “monoeye” tentano

di mettersi in salvo. Questi uccellini

sono figure libere e fragili, la cui salvezza

è rappresentata da una piccola imbarcazione

di carta che naviga non senza

difficoltà su questo mare di mondi rotolanti

e pazzi». È un’opera del 2015 e, visti

i contenuti, possiamo coglierne tutto

l’impatto premonitore. Messaggi attuali,

dunque, di denuncia, paura e speranza

− si pensi al recente ciclo di opere intitolato

CO.VIP 2019 − che l’artista affida

al suo personaggio Monoeye trasformato

di volta in volta in uccello, uomo, folla,

bambino, supereroe a comporre luminosi

quadri di forte significato. All’efficacia

del messaggio certamente contribuisce

il procedere creativo dell’artista: Bonaccorsi

disegna a mano le sue opere e poi

le ridisegna al computer unendo così alla

perizia grafica la sensibilità e il calore

della narrazione interiore. Nato a Pistoia

nel 1977, Bonaccorsi è un architetto

attivo in Italia e all’estero in vari ambiti

aziendali in qualità di direttore artistico e

creativo. Fa parte di commissioni comunali

riguardanti la progettazione, l’ambiente

e il paesaggio. È anche scrittore

e docente di arte e tecnologia.

www.sandrobonaccorsiarchitetto.it

info@sandrobonaccorsiarchitetto.it

sandro.bonaccorsi@tin.it

Arca di carta, arte digitale

Supereroi CO.VIP 2019, arte digitale

SANDRO BONACCORSI

65


L’avvocato

Risponde

A cura di

Aldo Fittante

Octopod

Il rivoluzionario brevetto sulle catene da neve con telecomando

di Aldo Fittante

Ho avuto modo di occuparmi recentemente

di una rivoluzionaria

invenzione denominata

“Octopod”, il cui brevetto è stato chiesto

ed ottenuto a livello italiano ed internazionale

da una start-up fiorentina. L’invenzione

è estremamente interessante in

quanto destinata a rivoluzionare il settore

nel quale si colloca: si tratta infatti delle

prime catene da neve al mondo azionabili

dall’interno dell’abitacolo, tramite

apposito telecomando e con veicolo in

movimento. Octopod, dunque, realizza il

sogno di poter montare le catene da neve

senza dover arrestare il proprio veicolo,

inserendo e disinserendo il dispositivo

elettronicamente attraverso un semplice

telecomando che consente l’impiego

delle catene solo dove necessario, ovvero

nei tratti di strada innevati o ghiacciati.

Si tratta di un brevetto rivoluzionario,

frutto di ricerche tecnologiche di molti

anni e sul quale la società fiorentina titolare

ha investito ingenti risorse, perché

su di esso punta decisamente per il futuro

date le enormi potenzialità applicative

e di mercato che il sistema è in grado di

soddisfare. L’invenzione è partita dall’attenta

osservazione del panorama dei sistemi

di catene da neve esistenti: i limiti

applicativi dei sistemi tradizionali sono

evidenti ad ogni automobilista e ancora

di più ai conducenti di mezzi pesanti e

veicoli commerciali, siano essi adibiti al

trasporto di merci o passeggeri. Il disagio

di dover arrestare il proprio veicolo

– trovandosi a sostare ai margini della

sede stradale

con possibile

intralcio della carreggiata ed operando

in condizioni di scarsa sicurezza – per

procedere alle sempre macchinose operazioni

di montaggio e rimozione delle

catene da neve, è noto a tutti. Octopod

è in grado di superare radicalmente tutti

gli inconvenienti dei dispositivi tradizionali:

il sistema brevettato consente infatti

l’azionamento ed il disinserimento

del dispositivo di aderenza supplementare

necessario in caso di neve o ghiaccio

direttamente dall’interno dell’abitacolo,

semplicemente premendo i pulsanti

on (estensione) e off (ritrazione) dell’apposito

telecomando. La rivoluzionaria

invenzione soddisfa appieno ogni esigenza

di semplicità, praticità e comodità

d’impiego, garantendo al tempo stesso

massima efficacia e totale sicurezza della

relativa applicazione. Sull’invenzione è

stata peraltro ottenuta la concessione di

brevetti a livello italiano ed internazionale,

confermandosi il brevetto uno strumento

giuridico fondamentale per le

imprese che, investendo in ricerca ed

innovazione tecnica e tecnologica, intendano

assicurarsi lo sfruttamento in

esclusiva del frutto dei propri investimenti

garantendosi in tal modo un’adeguata

remunerazione.

Aldo

Fittante

Avvocato in Firenze e Bruxelles, docente in Diritto della Proprietà Industriale

e ricercatore Università degli Studi di Firenze, già consulente

della “Commissione Parlamentare di Inchiesta sui Fenomeni della Contraffazione

e della Pirateria in Campo Commerciale” della Camera dei Deputati.

www.studiolegalefittante.it

66

OCTOPOD


A cura di

Paolo Bini

Arte del

Vino

Un nuovo anno con la guida Vitae 2021

di Paolo Bini

Èdavvero ben fornita la lista di

ciò che abbiamo sopportato

nel 2020 e quello a cui abbiamo,

seppur temporaneamente, rinunciato.

Il contatto del calice, il suono

romantico e tintinnante dei cristalli per

gli amanti del vino e della condivisione

hanno un significato ben più ampio

del mero libare assieme. Le consuete

rassegne di degustazione, solitamente

in concomitanza con le pubblicazioni

delle guide ai migliori vini, hanno subito

un’inevitabile rivisitazione dettata

dall’emergenza.

Orfani della kermesse associativa che

ogni anno abbracciava e riuniva i qualificati

professionisti del settore, i sommelier

italiani si sono parzialmente

appagati con la celebrazione virtuale

di Associazione Italiana Sommelier

che ha presentato online la nuova guida

Vitae 2021. Dopo aver comunicato

anticipatamente i nomi dei migliori seicentonovantaquattro

vini italiani, AIS

ha dato lustro con la diretta web ai ventidue

produttori (uno per regione) insigniti

del prestigioso Tastevin AIS che

riconosce, attraverso una loro etichetta,

l’incondizionata rappresentatività

dell’eccellenza territoriale. Quest’anno

il premio toscano è andato a Biondi

Santi, icona assoluta della vitivinicoltura

ilcinese, che ha presentato il Brunello

di Montalcino riserva Tenuta Greppo

2012, vino di indiscutibile espressività

nato dall’uva identitaria del territorio: la

Sangiovese. La qualità toscana è come

al solito emersa con centoventinove

massimi riconoscimenti e con numerosi

attestati che ne confermano il gran-

de valore. Vorremmo in momenti come

questi sentirci particolarmente campanilisti

e suggerirvi di leggere la guida

selezionando i nostri vini regionali per

brindare alla festa e a un futuro sicuramente

migliore. Ma il vino, lo abbiamo

detto subito, è condivisione di piacere

e cultura. Scegliete quindi i vini nazionali

che più vi attraggono facendo attenzione

al gioco degli abbinamenti che

abbiamo proposto più volte in questa

rubrica. Il momento della festa avrà un

sapore particolare e non scordate che

l’arrivo del nuovo anno dovrà trovarvi

pronti con flute ricchi di copiose bollicine

effervescenti. A voi spetterà la scelta

del desiderio prima di lasciare questo

2020 con pochi rimpianti e con il suono

romantico e tintinnante del brindisi.

Buon 2021, in alto i calici!

Brunello di Montalcino riserva DOCG Tenuta

Greppo 2012, Biondi Santi La guida AIS Vitae 2021

ARTE DEL VINO

67


Racconti sotto

l’albero

Un magico Babbo Natale nella

rossa pandemia

di Doretta Boretti

Mara Faggioli, Babbo Natale, olio su tela, cm 35x50

co tempo imbiancata. Guardo l’orologio.

È un po’ tardi per cenare, meglio

bere un bicchiere di latte caldo e andare

a letto. Bevo il latte, poi mi reco in

Trovarsi in una zona rossa al

tempo del Covid-19, comporta

attenersi a molte restrizioni,

come ad esempio: non

poter varcare i confini della propria

città. Nei giorni passati, e soprattutto

oggi, molti amici mi hanno

telefonato per farmi gli auguri, graditissimi

in questo tempo di festività

natalizie, però, nonostante tutto,

continuo a sentirmi ancora piuttosto

sola, anche perché le persone a

me care abitano oltre i confini della

mia città e non posso godere della

loro presenza. Ma questa sera mi

sta capitando una cosa piuttosto

inattesa. Sono le 19 e 30 e qualcuno

sta suonando il campanello

di casa. Non aspetto nessuno,

è ovvio, e a quest’ora della vigilia

di Natale poi! Chiedo al citofono:

«Chi è?». Mi risponde un ragazzo

del Pony Express (finalmente un

essere umano!) e mi dice di dovermi

consegnare un dono che proviene

da fuori città. Apro il portone

e lui, con tutte le precauzioni anti-contagio,

mi lascia il pacco sulle

scale condominiali e mi saluta.

La mia curiosità è a mille. Guardo

subito chi me lo ha inviato: Mara

Faggioli. No! La mia amica Mara?

Ma come ha fatto a capire che avevo

proprio bisogno di una super

coccola questo Natale? Rientro in

casa, scarto in fretta il regalo e...

meraviglia delle meraviglie: ecco

un bellissimo quadro. Un quadro

disegnato proprio per me, doppia,

anzi, tripla coccola, perché chissà

quanto tempo ha dovuto impiegare

per dipingerlo. Poso il dono

e prendo nel ripostiglio lo scaleo,

vado in camera delle mie figlie e appendo

il quadro coloratissimo, il colore

dominante il rosso, ad un chiodino

che c’è già sulla parete sinistra da pobagno,

esco dal bagno ed entro in camera

mia, poso la vestaglia sulla sedia

della scrivania, mi infilo il pigiama,

i calzini ed eccomi finalmente dentro

68

RACCONTI DI NATALE


al mio caro letto. È stata una giornata

piuttosto faticosa, ce ne sono stati

tanti di giorni faticosi in questo 2020,

ma il regalo che mi ha fatto Mara, devo

ammettere, mi ha restituito un po’

di serenità. Sono molto stanca, forse

sarà più facile entrare nel mondo dei

sogni...Cos’è questo bussare delicato

alla porta? È aperta… Forse sto già

dormendo. Voglio rannicchiarmi ancora

di più sotto le coperte… Ma chi è

che continua a bussare con così tanta

insistenza? Vorrei quasi fare finta di

non sentire ma istintivamente

volto la testa seguendo il

rumore. Non riesco a capire

cosa mi stia capitando.

Sto diventando matta? Eh,

penso proprio di sì. Ho sentito

spesso parlare della sindrome

di Stendhal… ma via,

non è possibile, devo fermare

la mente e aprire molto bene

gli occhi, ecco, sì, proprio

così… «Oh! Brava, finalmente

gli hai aperti gli occhi! Sono

proprio io. Quest’anno non mi

aspettavi vero?». Il Babbo Natale

che mi ha dipinto Mara?

Come può essersi materializzato

in questo modo? «La tua

amica ha insistito molto perché

venissi a portarti un dono

speciale». Cosa? Ma... «Guarda...».

Guardare? No, no, non

voglio più guardare, anzi li voglio

proprio richiudere gli occhi...

Testa mia aiutami, tutto

questo non può essere reale,

non ci credo, no, non ci credo.

«Mammina? Su, svegliati.

Ma quante volte hai gridato

che ti manchiamo da morire e

allora siamo venute. Ti sentivi

sola vero? Siamo tornate per

ricordarti che non ti abbiamo

dimenticata, come puoi avere

pensato una cosa simile?

Ci siamo e ci saremo sempre

per te. Sempre. Devi crederlo,

mamma. Credilo, e non scordarlo

mai. Prometticelo...».

«Sono così serene, non le fare

soffrire, svelta, asciugati le lacrime,

e guardale: lo vedi come

sono belle?». Ma che cosa

mi sta capitando? Non posso

parlare e vorrei gridare: «Ve lo

prometto, ve lo prometto!». Non riesco

a muovermi e non le posso toccare,

non le posso abbracciare... Mi

asciugo in fretta le lacrime e, con tutta

la forza che mi resta mi alzo dal letto,

mi dirigo velocemente verso la camera

delle mie ragazze, entro… e vedo

quel meraviglioso dipinto di Babbo

Natale, appeso al muro, che mi sorride,

sornione, con gli occhi che gli brillano

come due diamanti e con la mano

sinistra inguantata, con un candido

guanto bianco, semichiusa, ma con il

Mara Faggioli, Cartolina di Natale, olio su tela

dito indice allungato, appoggiato verticalmente

sull’ampia bocca, ornata da

bellissimi baffi anch’essi bianchi, talmente

diretto verso l’alto, da impormi,

dolcemente, di fare “silenzio”. Così, in

punta di piedi, rasserenata, mentre la

testa mi volteggia leggera, torno lentamente

nel mio caldo letto e... in questa

inaspettata, artistica, magica notte

di Natale, sogno. Sogno uno straordinario

cielo stellato, così affascinante,

così luminoso, così infinito, da colmare

in un unico sogno, tutti i miei sogni.

RACCONTI DI NATALE

69


Toscana

a tavola

A cura di

Franco Tozzi

Cinghiale in dolceforte

Dal XVII secolo una ricetta tradizionale della cucina fiorentina

di Franco Tozzi

Il cinghiale, in quanto selvaggina,

entra nell’alimentazione fin dalla

preistoria e sue raffigurazioni sono

presenti in numerosi siti. Storicamente

si inizia con Linceo di Samo, letterato e

gastronomo greco del IV sec. a.C., che

consiglia di dare la carne di pecora agli

schiavi e quella di cinghiale ai signori.

Plinio racconta che nei banchetti romani

solo la lombata era servita in tavola. Publio

Servilio Rullo inizia la moda del portarlo

in tavola intero ornato e ripieno. Il

primo allevamento di cinghiali è da attribuire

ad un contemporaneo di Cicerone,

Quinto Fulvio Lippino. Attraverso i secoli,

il cinghiale è sempre presente sulla

tavola dei nobili, ambito trofeo di caccia.

Le antiche ricette indicano sempre

modi di cucinarlo con salse ed intingoli,

ma il modo più tradizionale era “l’agrodolce”.

Questo era un modo di cucinare

la selvaggina nel Medioevo, con ingredienti

base quali uva passa, mandorle,

aceto, zenzero, miele e cannella, con aggiunte

in base alla zona e al gusto del

cuoco. Dall’antichità al Rinascimento si

arriva alla cioccolata: ma quando arriva

in Italia la cioccolata? Ne parla Francesco

Carletti, commerciante fiorentino

nei suoi racconti di viaggio in Spagna,

nel 1574, ma solo come bevanda “curiosa”

(in Spagna era arrivata con i frati

domenicani nel 1544). La cioccolata,

cioè il cacao lavorato e miscelato, entra

ufficialmente nell’Italia del Nord, a

Torino, al seguito delle truppe spagnole

agli inizi del Seicento e diventa famosa

quando il duca Filiberto di Savoia,

per i festeggiamenti della vittoria di San

Quintino, la offre a nobili e cortigiani. In

cucina, la troviamo alla metà del Seicento,

quando Carlo Nascia, cuoco di Ra-

Accademia del Coccio

Lungarno Buozzi, 53

Ponte a Signa

50055 Lastra a Signa (FI)

+ 39 334 380 22 29

www.accademiadelcoccio.it

info@accademiadelcoccio.it

nuccio II di Borbone, duca di Parma,

scrivendo come cucinare la lepre, parla

della salsa di mandorle e usa la cioccolata

come legante per la salsa. In Toscana

si continua a cuocere la “selvaggina

di pelo” con il classico agrodolce. Nel libro

Il panunto toscano, il cuoco Francesco

Gaudenzio descrive, nel 1705, il

“suo” agrodolce con gli ingredienti classici,

sostituendo alla cannella il mosto

cotto. Nel 1731 sbarcano a Livorno gli

Mosaico romano con scena di caccia al cinghiale (Villa del Casale di Piazza Armerina)

70

CINGHIALE IN DOLCEFORTE


spagnoli, al seguito dell’Infante di Spagna

che avrebbe dovuto, secondo le

idee delle potenze europee, prendere il

potere del Granducato al posto del moribondo

Gian Gastone, ultimo granduca

mediceo. Ma le cose vanno per le lunghe

e nel frattempo l’Infante era uso andare

a caccia, nel Barco di Artimino, uno

dei pochi svaghi possibili, anche perché

la vita mondana di Firenze non era certo

paragonabile a quella madrilena. Tra

i duemila spagnoli al seguito, l’Infante

aveva il suo cuoco che, lavorando a

stretto contatto con i cuochi granducali,

potrebbe aver insegnato loro l’uso

del cioccolato come legante nell’agresto,

modificando una ricetta storica e

sostituendo il mosto cotto. Sta di fatto

che, dal 1750 in poi, i testi gastronomici

riportano il dolceforte come salsa

per cuocere la selvaggina, diventando

nel tempo una tipica ricetta fiorentina.

Una curiosità: in Messico esiste un piatto

tradizionale identico al dolceforte; si

potrebbe, quindi, pensare che gli spagnoli

abbiano imparato questa preparazione

dagli Aztechi o dai Maya.

Caccia al cinghiale, Taccuino Sanitatis Casanatensis (XIV secolo)

La ricetta: cinghiale in dolceforte

Si comincia dalla “ciccia”: è preferibile

un bel cosciotto o la

lombata ben frollata. La prima

operazione è la marinatura, che dovrà

smorzare il sapore/odore di selvatico,

lasciando il gusto di questa

carne eccezionale. Prendere un chilo

di carne disossata e tagliarla a pezzetti

grossi come un’albicocca. Preparare

poi la marinata con: un litro

di vino rosso, un quartino di aceto

di vino rosso, una cipolla, due o tre

scalogni, due carote, due gambi di

sedano, un ciuffo di prezzemolo, un

rametto di ramerino, quattro o cinque

foglie di alloro, un pizzico abbondante

di timo, un pizzico di finocchio,

un pugnello di bacche di ginepro, un

pizzico di pepe in grani ed un pizzico

di chiodi di garofano. Tritare le verdure

e metterle in una pentola facendo

bollire per dieci minuti; levare e

lasciare raffreddare molto bene e dopo

immergerci i pezzetti di carne che andranno

lasciati a marinare tutta la notte.

Prima di passare alla cottura, levare

la carne dalla marinata e farla sgrondare

senza lavarla. Procedere, dunque, con

la preparazione del dolceforte, versando

in una ciotola quattro cucchiai da minestra

di aceto, un etto di uva passita

(no zibibbo) che in precedenza sarà stata

messa a mollo nel vin santo, un etto

di pinoli, mezzo etto di canditi di scorza

di agrumi, mezzo etto di zucchero ed altrettanto

cioccolato fondente grattugiato.

Mescolare bene e lasciare riposare.

Per la cottura occorrono altri ingredienti:

cipolla, aglio, sedano, prezzemolo,

olio, sale e pepe, nepitella, quattro fette

di spalla, 50 grammi di farina bianca.

Si passa quindi alle operazioni di cottura:

mettere la carne in un bel tegame di

terra insieme al battuto fatto con una ci-

polla, tre agli, una carota, due costole

di sedano, prezzemolo e la spalla

a pezzettini, il tutto ben tritato con la

mezzaluna. Versare nel tegame, aggiungere

pepe e sale, una pioggia di

nepitella, poi il cinghiale ed accendere

il fuoco. Quando la carne avrà

preso colorito, aggiungere la farina,

tirandola a cottura con il vino rosso,

in modo che il sapore si irrobustisca.

Quindi, passare il sugo allo

staccio e versarlo insieme al dolceforte;

abbassare il fuoco e lasciare

cuocere per altri quindici minuti,

levare e servire. Se la gola resiste,

sarebbe da mangiare, riscaldato, il

giorno dopo, in modo che tutte le

sfumature dei sapori si siano ben

miscelate ed incorporate alla carne.

Sia che lo si consumi subito oppure

il giorno dopo, dovrà essere servito

nel tegame di coccio.

CINGHIALE IN DOLCEFORTE

71


Movimento

Life Beyond Tourism

Travel To Dialogue

Valorizzare il sapere e “saper fare” di artigiani e artisti

toscani e italiani nel mondo

Il costante impegno del Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue nella

promozione delle espressioni culturali dei territori

di Stefania Macrì

Continuano le opportunità di

visibilità internazionale per

artigiani e artisti con il Movimento

Life Beyond Tourism Travel to

Dialogue. Proprio lo scorso ottobre

durante l’incontro Africa Virtual Urban

Thinkers Campus è stato dato

spazio a due artigiane italiane affiliate

al Movimento che hanno preso parte

al progetto Vo per Botteghe WEB: Gabriella

Gioielli, di Veronica e Valentina

Forroia con Gabriella Varchetta

(Golfo Aranci, Sardegna) e Pikijolillo

di Morena Fregona (Belluno). La

testimonianza tutta al femminile è

stata importante perché ha mostrato

l’entusiasmo con cui hanno accolto

la proposta di entrare a far parte

di un network internazionale e quan-

Pikjolillo

Gabriella Gioielli

to sia importante valorizzare

le realtà locali anche sul

piano commerciale grazie

al canale e-commerce

che hanno avuto modo

di avviare gratuitamente.

L’evento, organizzato

da United Cities and Local

Governments of Africa

(UCLG Africa), ha visto

la Fondazione Romualdo

Del Bianco prendere parte ad una serie

di incontri virtuali dal titolo Promoting

the commitment of Local and

Regional Governments and of Citizens

for the City We need in Africa,

in times of Covid-19 and beyond, allo

scopo di presentare l’orientamento

Life Beyond Tourism e le sue buone

Carlotta Del Bianco interviene all’incontro UCLG Africa

pratiche per proteggere e valorizzare

le tipiche espressioni culturali identitarie

locali, comprese quelle per sostenere

le produzioni artigianali e

artistiche durante la pandemia. Durante

l’incontro, dopo i saluti istituzionali

del presidente della Fondazione,

Paolo Del Bianco, vi è stato l’intervento

della vicepresidente

Carlotta Del Bianco, che ha

approfondito i progetti del

Movimento LBT-TTD, i corsi

di formazione a distanza e

la piattaforma di promozione

delle differenti specificità

territoriali ospitata nel portale

www.lifebeyondtourism.org,

il tutto all’interno della sessione

The challenges facing Culture

and Heritage during the

Covid-19 pandemic. Experience

of the City of Florence – Italy.

Life Beyond Tourism presenta l’artigiana del mese: Ginevra Gemmi

Artigiana orafa fiorentina, Ginevra Gemmi

vive e lavora nel cuore pulsante di Firenze,

l’Oltrarno, con bottega in via della

Chiesa 29 r. Per scelta personale realizza

pezzi unici senza creare stampi, così

da lasciare l’esclusiva dell'oggetto, ogni

volta differente, al cliente. L’impiego di

argento, bronzo ed oro assieme a pietre,

coralli ed intarsi di legni pregiati conferiscono

al gioiello un aspetto contemporaneo

attraverso le tecniche

orafe classiche.

Per informazioni:

https://www.lifebeyondtourism.org/

companies/ginevra-gemmi-gioielli/

Creare con mani, anello malachite su bronzo, pezzo unico

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MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE


Art in our Heart WEB e l’adesione dei fotografi al Movimento LBT-TTD

L’entusiasmo con cui numerosi

artisti hanno aderito ad Art

in our Heart WEB ha portato

all’estensione della validità del progetto

aprendo l’adesione gratuita anche

al vasto mondo dei fotografi e

ai foto-amatori. La fotografia, infatti,

è una forma artistica moderna che

accomuna un ampio numero di artisti

i cui archivi fotografici rappresentano

un vero e proprio patrimonio

di storia e cultura, perché raccontano

i tempi che sono stati, che sono e

che saranno. Per questo motivo è stato

creato un codice sconto esclusivo,

LBTphoto2020, attraverso cui iscriversi

al Movimento e aumentare le possibilità

di farsi conoscere nel mondo.

Per aderire al Movimento Life Beyond

Tourism e iniziare subito a usufruire

dei servizi basta collegarsi al link

https://bit.ly/lifebeyondtourismartist,

seguire le istruzioni automatiche

e inserire il codice LBTphoto2020.

Tra i servizi a disposizione dei fotografi

vi è anche la possibilità

di prendere

parte alle mostre d’arte su

www.lifebeyondtourism.org.

Attualmente è in corso

la mostra Art in our Heart

WEB, fino al 15 dicembre,

che vede in

esposizione trentadue

opere artistiche realizzate

da otto artisti italiani

e internazionali:

Sofia Becherucci e Arnaldo

Marini dall’Italia,

Maria Bostenaru Dan dalla Romania,

Jacek Gramatyka, Michał Träger

e Mieczyslaw Ziomek dalla Polonia,

Noor Hamada dal Bahrein, Alexander

Lantukhov dall’Ucraina.

Per visitare la mostra è sufficiente

scannerizzare il seguente Q&R code

con il proprio dispositivo mobile:

Il Movimento Life Beyond Tourism

Travel to Dialogue da sempre si occupa

della valorizzazione delle espressioni

culturali dei territori, dando

loro visibilità internazionale grazie

ad una serie di servizi a disposizione

dei propri affiliati. Questa necessità

è divenuta sempre più importante

in un periodo di emergenza sanitaria,

sociale ed economica che ha portato a

ripensare le vite quotidiane di ciascuno

ridisegnando il mondo del lavoro e

quello economico. In questo contesto

il Movimento LBT-TTD si è messo sin

da subito accanto agli artigiani italiani

e agli artisti di tutto il mondo per

sostenere le loro attività attraverso le

due importanti iniziative a cui artigiani

e artisti di ogni nazionalità hanno preso

parte con entusiasmo: Vo per Botteghe

WEB e Art in our Heart WEB.

Questo entusiasmo condiviso non

può che incentivare il Movimento Life

Beyond Tourism Travel to Dialogue

a proseguire sulla strada intrapresa,

certi che il futuro della ripresa economica,

sociale e culturale passi dalle

realtà artigianali e dalla riscoperta

delle tradizioni locali.

Se anche tu condividi questo pensiero

e vuoi entrare a far parte del Movimento

LBT-TTD contattaci all’indirizzo email

info@lifebeyondtourism.org.

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue

Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®, ideati dalla

Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere e comunicare il

patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme alle sue espressioni

culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che custodiscono, dando risalto

a residenti, viaggiatori, istituzioni culturali, pubbliche amministrazioni, aziende,

artigiani, artisti e tutti coloro che rappresentano la cultura dei vari territori, a livello

nazionale e internazionale. La società è diventata una Società Benefit.

Per info:

+ 39 055 284722

info@lifebeyondtourism.org

www.lifebeyondtourism.org

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE

73


B&B Hotels

Italia

B&B Hotels Italia a fianco della comunità

fiorentina per affrontare la pandemia

La catena trasforma il B&B Hotel Firenze Novoli in albergo sanitario

di Francesca Vivaldi

B&B Hotels, catena internazionale

con più di cinquecentotrenta

hotel in Europa e quarantadue

in Italia, mette a disposizione il B&B Hotel

Firenze Novoli per far fronte all’emergenza

Covid-19. La struttura, con le sue

ottantotto camere, è pronta ad accogliere,

nel massimo rispetto delle norme di

sicurezza e di sanificazione, il personale

sanitario e tutte le persone che necessitano

di uno spazio dedicato e adeguato

a trascorrere i giorni di isolamento. Con

questa decisione, il gruppo B&B Hotels

scende in campo a Firenze a fianco degli

enti preposti nella lotta contro il Coronavirus.

Un apporto concreto, destinato al

territorio in cui è presente il gruppo con

le sue strutture, che oggi acquista ancora

più significato e valore dimostrando la

vicinanza di B&B Hotels alla comunità locale.

Fin dall’inizio dell’emergenza B&B

Hotels Italia ha sviluppato un protocollo

di sanificazione dedicato, anticipando

i tempi e preparandosi a fronteggiare l’emergenza,

certificato dal Safety Label High

Quality Anti Covid-19, attuato in tutte

le sue strutture a tutela degli ospiti e del-

Il B&B Hotel Firenze - Novoli

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B&B HOTEL ITALIA


Valerio Duchini, presidente e amministratore delegato di B&B Hotels Italia

lo staff in hotel. A supporto, sono state

individuate 8 Golden Rules “Help us Helping

You” per assicurare il più alto livello

di protezione, tra cui l’utilizzo di dispositivi

DPI certificati e plexiglass protettivi

presso i desk di accoglienza. «Non

potevamo mancare a questa chiamata.

Vogliamo contribuire concretamente

all’emergenza sanitaria e speriamo che

le nostre strutture possano aiutare tutte

le persone in difficoltà e il nostro sistema

sanitario. È un momento difficile per tutti

che richiede sforzi straordinari da parte

di ogni componente della società. Spinti

dal forte senso di responsabilità e partecipazione

che ci contraddistinguono,

abbiamo messo a disposizione i nostri

hotel e le competenze a supporto della

comunità locale nel rispetto della salute

di tutti, in linea con i nostri valori di Corporate

Social Responsibility e la nostra

filosofia Only for Everyone» ha commentato

Valerio Duchini, presidente e amministratore

delegato di B&B Hotels Italia.

Su B&B Hotels

Destinazioni, design, prezzo, sicurezza.

B&B Hotels unisce il calore e

l’attenzione di una gestione di tipo familiare

all’offerta tipica di una grande

catena d’alberghi. Un’ospitalità di qualità

a prezzi contenuti e competitivi, senza

fronzoli ma con una forte attenzione

ai servizi. Quarantadue hotel in Italia.

Camere dal design moderno e funzionale

con bagno spazioso e soffione XL,

Wi-Fi in fibra fino a 200Mega, Smart TV

43 pollici con canali Sky e satellitari di

sport, cinema e informazione gratuiti e

chromecast integrata per condividere in

streaming contenuti audio e video proprio

come a casa.

hotelbb.com

B&B HOTEL ITALIA

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Arte del

gusto

A cura di

Elena Maria Petrini

Note di gusto e poesia al sapore di Negroni

di Elena Maria Petrini / foto Maurizio Mattei

Nonostante tutte le difficoltà che

quest’anno ci hanno messo

davvero a dura prova, brindiamo

ad un migliore 2021 con un cocktail

tutto fiorentino, il Negroni, raccontato

in modo insolito da un poeta che si fa

chiamare “l’artista del sonetto”, con

una composizione in rima alternata

dal titolo Auguri Negroni, 100 di questi

cocktail, e dal barman Paolo Severino

Baldini, professionista del bar, socio

fondatore e benemerito di ABI Professional

che riassume così la storia del

celebre cocktail: «Ai tempi di Firenze

capitale del Regno d’Italia (1865/1871),

la città, con i suoi splendidi palazzi, le

ville e le colline circostanti, era gremita

di personaggi italiani e stranieri provenienti

da ogni parte d’Europa. I ministeri,

le ambasciate e gli altri apparati

pubblici occupavano molte persone,

oltre ad importanti imprenditori e finanzieri

che si erano stabiliti in città.

Un periodo di grande splendore e vita

mondana, con feste fino all’alba. L’alta

borghesia frequentava il centro e vari

caffè come Leland, Doney, Giubbe Rosse,

Gilli, Paszkowski, Il Bottegone, Rivoire,

Harry’s Bar, Torricelli, Bruzzicelli,

ed altri. All’angolo tra le vie Tornabuoni

e della Spada si trovava il Coloniali Profumeria

Casoni, dove si potevano reperire

prodotti coloniali come spezie, tè,

caffè, cacao, liquori, distillati e le prime

macchine da caffè espresso. Dietro

il bancone c’era Fosco Scarselli. Fra

gli avventori del Casoni si distingueva

per classe ed eleganza il conte Cammillo

Negroni, amante del buon vivere.

Egli era solito bere il “Milano-Torino”

poi diventato “Americano”. Reduce dai

suoi viaggi a Londra e conoscitore del

Il barman Paolo Severino Baldini

gin, parlando con Fosco dell’Americano

diceva: “Buono è buono sì, ma un

po’ leggerino, proviamo ad irrobustirlo”.

Dopo qualche esperimento, la scelta

cadde sul gin e fu perfetto! Da allora

anche gli amici del conte iniziarono a

chiedere lo stesso cocktail». La storia

continua: tra il 1919 e il 1920 rientrò a

Firenze, dopo anni di esperienza a Londra,

Parigi e in Costa Azzurra, un altro

barman: Gigi Senesi. Fosco (1898)

e Gigi (1895) si conoscevano, e prima

Gigi al Grand Hotel Baglioni e dopo Fosco

iniziarono a proporre il Negroni alla

propria aristocratica clientela, favorendone

la grande diffusione. Nel 1928

Gigi divenne capo barman del Grand

Hotel Principe di Piemonte a Viareggio,

Ricetta Negroni

1/3 gin

1/3 bitter Campari

1/3 Martini rosso

decorazione con fetta d’arancia

Note di gusto: fresco, speziato e amarognolo

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NEGRONI


Un brindisi al Negroni: da sinistra, il barman Federico Pempori, Paolo Severino Baldini ed il ristoratore Giancarlo Carrai

durante un evento di qualche tempo fa all’ICLAB a Firenze

il migliore albergo della Versilia. Da qui

il Negroni si diffuse a Forte dei Marmi

per arrivare ad Achille Franceschi (con

la sua prima “Capannina” già nel 1929,

lasciata, dopo la fine della guerra, ai figli

Guido e Nevio) che nel 1978 ebbe

come capo barman proprio Paolo Severino

Baldini, che ha avuto l’onore

di lavorare in questo locale

considerato il tempio del

divertimento, della musica

e del bere di qualità, stando

a contatto con Gigi e condividendo

con lui importanti

esperienze professionali.

Da Giacosa al Baglioni, dal

Principe di Piemonte alla

Capannina, il Negroni prese

presto il volo verso il mondo

e nel 1933 il Coloniali Casoni

divenne Giacosa, mentre

nel 1934 Fosco fu chiamato

dai Della Gherardesca

a gestire il bar del Circolo

del Golf dell’Ugolino. Dopo

essere diventato famoso

a livello internazionale, nel

1961 il Negroni fu codificato

dall’IBA (International Bartender

Association) fra i cinquanta cocktail internazionali

e, dal 2011 ad oggi, tra i

settantasette totali.

Il Negroni in rima…

artistadelsonetto@gmail.com

NEGRONI

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Eccellenze toscane

in Cina

A cura di

Michele Taccetti

Roboticom

Altissima tecnologia toscana in Cina

di Michele Taccetti / foto courtesy Roboticom

Forse non molti sanno che alle porte

di Pisa, nel noto polo tecnologico

di Navacchio, ha sede una

azienda di robotica che fa conoscere la Toscana

nel mondo. Il brand “Roboticom”

della Fabrica Machinale Srl ha venduto oltre

200 robot in 23 paesi nel mondo, fra

cui la Cina, paese nel quale ha deciso di

rafforzare la propria presenza nei prossimi

anni grazie alla collaborazione con China

2000. L’azienda, leader mondiale del settore

grazie anche alla continua ricerca ed

al forte legame con il partner americano,

ha sviluppato tre avanzate linee di robot

per tre applicazioni diverse: Ortis, Sandrob

e Scultorob. Ortis è il primo sistema

robotico introdotto nel mercato (2007)

che consente di realizzare ogni tipologia di

modello per la produzione di ortesi e protesi

su misura. Rappresenta un prodotto

avveniristico per il settore perché può

adattarsi ad ogni realtà produttiva ed avere

possibilità di personalizzazioni. Il software

è 100% italiano ed è sviluppato nella sede

di Navacchio, la cui flessibilità produttiva

permette di contemplare altre aree di business.

Sandrob è la soluzione robotica per

finitura superficiale, ovvero carteggiare e

lucidare ogni superficie. In particolare è

molto apprezzato nel settore delle auto ed

è utilizzato dalle più importanti case automobilistiche.

Questo robot permette precisione

del lavoro e risparmio di tempo e

In queste foto alcuni esempi delle lavorazioni del marmo ottenute con Scultorob

costi. Scultorob, infine, è un sistema robotizzato

per la lavorazione artistica di diversi

materiali come la resina, il legno, il marmo

e materiali leggeri, garantendo flessibilità

e precisione. Roboticom è stata tra le prime

società che ha prodotto sistemi robotici

per la lavorazione artistica del marmo

e questo ha permesso importanti aperture

di mercato. L’alta tecnologia, il continuo

investire nella ricerca, oltre alla presenza

costante sui mercati internazionali, rappresentano

i punti di forza della Roboticom

che la rendono orgoglio del Made in Italy

nel mondo. Questa eccellenza toscana non

poteva passare inosservata al mercato cinese.

E infatti da qualche anno Roboticom

ha iniziato a vendere i propri prodotti sul

mercato cinese, programmando già per il

prossimo futuro una maggiore presenza

e una mirata proposta commerciale, certi

del fatto che la Cina rappresenti uno dei

mercati di riferimento futuri per l’export

dell’azienda. In tempo di Covid, l’azione di

Roboticom in Cina rappresenta una scommessa

ancora più impegnativa, ma la programmazione,

l’esperienza internazionale

e le capacità dell’azienda sono la miglior

garanzia di successo.

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TECNOLOGIA TOSCANA


GRAN CAFFÈ SAN MARCO

Un locale nuovo e poliedrico, con orari che coprono tutto l’arco della giornata.

Perfetto sia per un pranzo di lavoro che per una cena romantica o per qualche

ricorrenza importante

Piazza San Marco 11/R - 50121 Firenze

+ 3 9 0 5 5 2 1 5 8 3 3

www.grancaffesanmarco.it


Una banca coi piedi

per terra, la tua.

www.bancofiorentino.it

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