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Dicembre+inserto Pola

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invita alla gioia di vivere pur celando in

sé un pericolo mortale. È possibile, certo,

opporre una strenua Resistenza al virus,

recita il titolo di un’opera, ma per

farlo occorre lasciarsi contaminare dalla

vita, buttarsi nella mischia come fanno

le intrepide figure nere al centro della

scena, trovando quindi il modo di reagire

alla minaccia del temibile nemico.

Del resto, quello in cui viviamo – sembra

dire Galgani – è un mondo popolato

di virus non solo biologici ma anche sociali,

i quali possono avere effetti ancora

più nefasti di quelli della pandemia. Il

rischio in questa situazione è farsi guidare

dall’istinto, senza capire che proprio

ciò che ci separa è anche ciò che ci

unisce: distanti per paura del contagio,

siamo, da questa stessa paura, collegati

indissolubilmente l’uno all’altro. Un

concetto espresso, nell’opera Teatro del

silenzio, dalla complessa trama di linee

dove il rosso, colore del contagio, s’intreccia

al nero, indicatore dell’assenza di

pericolo, mostrando la distanza impossibile

tra vite interdipendenti all’interno

del medesimo sistema sociale. Proprio

come in una rete anche noi siamo fili annodati

gli uni agli altri da vincoli che non

possiamo sciogliere se non rinunciando

all’integrità della rete stessa: non “io

contro gli altri”, quindi, ma “io insieme

agli altri”, in un abbraccio solidale. La

pandemia diventa così uno straordinario

esperimento sociale, una messa alla

prova dell’agire individuale in favore del

bene collettivo. Cambiano gli stili di vita,

gli assetti economici e politici, cambia

pure L’origine del vento, titolo di un’opera

emblematica del ruolo della Cina non

solo nella diffusione del virus, ma anche,

e soprattutto, nell’essere “origine di un

vento”, appunto, che soffia forte e che

scompagina insieme alle fondamenta

culturali del colosso estremorientale anche

gli equilibri globali. L’effigie di Mao

Tse-Tung assume l’aspetto di un’icona

pop, con tanto di camicia alla moda e

lo sguardo fiero di chi sa di essere un

simbolo ancora irrinunciabile per tanti.

È il volto di una storia che il presente

non ha cancellato, ma a cui ha dato invece

un appeal accattivante, vestendolo

di suggestioni venute dall’Occidente. Ed

è sempre la Cina ad offrire lo spunto per

un’opera, Ideogramma in nero, in cui i

tre colori della tradizione calligrafica – il

bianco del foglio, il nero dell’inchiostro

e il rosso del sigillo – appaiono destrutturati

in una composizione astratta. Al

gesto dinamico del pennello che scorre

sul supporto subentra in questo caso

il ritmo generato dalla musicalità del

colore – note gravi si alternano a suoni

acuti, lunghe pause ad improvvise ripartenze

– e dall’avvicendarsi sulla “pelle”

del dipinto di zone piatte ed opache ad

altre scabre e in rilievo. La forma bianca

domina il centro dell’opera con la propria

esistenza placida, ferma, assoluta,

mentre intorno dilagano silenzi in nero

e voci tonanti in rosso Cina. In altri lavori

come Equilibrio in volo e Girasoli,

la presenza di un fulcro irradiante suggerisce

una lenta impercettibile rotazione

che cattura lo sguardo impedendogli

di “annegare” nella profondità del bianco

o di farsi abbagliare dalla luminosità

dell’oro. Gli inserti in bronzo accentuano

un’idea del colore come materiale

plastico, concreto, scultoreo, mentre la

varietà di materiali – fresato, acrilico e

sabbia – conferma una scelta espressiva

da sempre fondata nell’opera di

Galgani sull’accordo di più elementi

ciascuno dei quali portatore di una propria

specificità.

Girasoli (2019), fresato di pneumatico, sabbia, bronzo e acrilici su tela, cm 140x110

L’origine del vento (2020), acrilici su tela, cm 80x56

GIULIO GALGANI

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