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invita alla gioia di vivere pur celando in
sé un pericolo mortale. È possibile, certo,
opporre una strenua Resistenza al virus,
recita il titolo di un’opera, ma per
farlo occorre lasciarsi contaminare dalla
vita, buttarsi nella mischia come fanno
le intrepide figure nere al centro della
scena, trovando quindi il modo di reagire
alla minaccia del temibile nemico.
Del resto, quello in cui viviamo – sembra
dire Galgani – è un mondo popolato
di virus non solo biologici ma anche sociali,
i quali possono avere effetti ancora
più nefasti di quelli della pandemia. Il
rischio in questa situazione è farsi guidare
dall’istinto, senza capire che proprio
ciò che ci separa è anche ciò che ci
unisce: distanti per paura del contagio,
siamo, da questa stessa paura, collegati
indissolubilmente l’uno all’altro. Un
concetto espresso, nell’opera Teatro del
silenzio, dalla complessa trama di linee
dove il rosso, colore del contagio, s’intreccia
al nero, indicatore dell’assenza di
pericolo, mostrando la distanza impossibile
tra vite interdipendenti all’interno
del medesimo sistema sociale. Proprio
come in una rete anche noi siamo fili annodati
gli uni agli altri da vincoli che non
possiamo sciogliere se non rinunciando
all’integrità della rete stessa: non “io
contro gli altri”, quindi, ma “io insieme
agli altri”, in un abbraccio solidale. La
pandemia diventa così uno straordinario
esperimento sociale, una messa alla
prova dell’agire individuale in favore del
bene collettivo. Cambiano gli stili di vita,
gli assetti economici e politici, cambia
pure L’origine del vento, titolo di un’opera
emblematica del ruolo della Cina non
solo nella diffusione del virus, ma anche,
e soprattutto, nell’essere “origine di un
vento”, appunto, che soffia forte e che
scompagina insieme alle fondamenta
culturali del colosso estremorientale anche
gli equilibri globali. L’effigie di Mao
Tse-Tung assume l’aspetto di un’icona
pop, con tanto di camicia alla moda e
lo sguardo fiero di chi sa di essere un
simbolo ancora irrinunciabile per tanti.
È il volto di una storia che il presente
non ha cancellato, ma a cui ha dato invece
un appeal accattivante, vestendolo
di suggestioni venute dall’Occidente. Ed
è sempre la Cina ad offrire lo spunto per
un’opera, Ideogramma in nero, in cui i
tre colori della tradizione calligrafica – il
bianco del foglio, il nero dell’inchiostro
e il rosso del sigillo – appaiono destrutturati
in una composizione astratta. Al
gesto dinamico del pennello che scorre
sul supporto subentra in questo caso
il ritmo generato dalla musicalità del
colore – note gravi si alternano a suoni
acuti, lunghe pause ad improvvise ripartenze
– e dall’avvicendarsi sulla “pelle”
del dipinto di zone piatte ed opache ad
altre scabre e in rilievo. La forma bianca
domina il centro dell’opera con la propria
esistenza placida, ferma, assoluta,
mentre intorno dilagano silenzi in nero
e voci tonanti in rosso Cina. In altri lavori
come Equilibrio in volo e Girasoli,
la presenza di un fulcro irradiante suggerisce
una lenta impercettibile rotazione
che cattura lo sguardo impedendogli
di “annegare” nella profondità del bianco
o di farsi abbagliare dalla luminosità
dell’oro. Gli inserti in bronzo accentuano
un’idea del colore come materiale
plastico, concreto, scultoreo, mentre la
varietà di materiali – fresato, acrilico e
sabbia – conferma una scelta espressiva
da sempre fondata nell’opera di
Galgani sull’accordo di più elementi
ciascuno dei quali portatore di una propria
specificità.
Girasoli (2019), fresato di pneumatico, sabbia, bronzo e acrilici su tela, cm 140x110
L’origine del vento (2020), acrilici su tela, cm 80x56
GIULIO GALGANI
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