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Dicembre+inserto Pola

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A cura di

Lorenzo Borghini

Il cinema

a casa

Birdman

Il “Viale del tramonto” dei nostri tempi

di Lorenzo Borghini

Iñárritu non è mai riuscito a convincermi

a pieno. Quando era in coppia

con lo sceneggiatore Arriaga puntava

tutto su storie ad incastri, riuscendo

a realizzare un ottimo film con Amores

Perros, un buon film con Babel e uno mediocre

con 21 Grammi. Ma poi il crack.

Dopo la rottura con Arriaga, i due, camminando

ciascuno con le proprie gambe,

hanno compiuto passi falsi; uno con The

Burning Plain e l’altro con Biutiful. Ma poi

è arrivato Birdman, ed è stato sufficiente

per polverizzare il sentore che si era impossessato

della mia mente: potrà Iñárritu

tornare ad ottimi livelli senza il compagno

Arriaga? E la risposta è sì. In Birdman c’è

tutto: vita, morte e miracoli. Potrei dire

di come Birdman rappresenti a pieno la

cultura americana parlando di Hollywood,

supereroi, social network, New York,

jazz e Broadway, ma non lo farò. Voglio

focalizzare la mia attenzione sulla prima

cosa che mi è saltata per la testa durante

la proiezione del film: Birdman è il Viale

del tramonto dei nostri tempi. Riggan

Thompson (uno strepitoso Michael Keaton)

è una star del cinema che ha raggiunto

un successo spaventoso interpretando

il ruolo di Birdman, un supereroe vestito

da uccello. Norma Desmond (Gloria

Swanson) in Viale del tramonto (Billy Wilder)

è una ex-diva del cinema muto divenuta

famosa per la sua bellezza e per le

pose statuarie che assumeva nei film. Entrambi

i protagonisti vengono risucchiati

dal proprio personaggio, dai divi che furono

non riuscendo ad essere più se stessi,

rimanendo aggrappati a quel barlume di

gloria passata. La differenza sostanziale è

che Riggan Thompson è ancora famoso,

anche se per la non esaltante cosa di aver

interpretato per tre volte un supereroe

vestito da pennuto; mentre Norma Desmond

è stata messa nel dimenticatoio: è

arrivato il suono, la presenza scenica non

è più tutto, Hollywood è andata avanti e

la povera Norma è rimasta indietro, ancorata

ai suoi ricordi come ad un salvagente

in mezzo al mare. Entrambi proiettano

le proprie frustrazioni: Norma sotto forma

dei suoi vecchi film propinati a ospiti

che sembrano mummie imbalsamate,

mentre Riggan sotto forma di allucinazioni

visivo-uditive in cui Birdman prende

il sopravvento dispensando consigli e

distruggendo la sua autostima ogni volta.

Entrambi sono intrappolati dentro un

vortice di scelte sbagliate, insicurezze e la

paura di non contare niente, di non essere

più sotto i riflettori della grande industria

cinematografica. La fama è il collante di

tutto, Hollywood è una macchina mangia

uomini inarrestabile che miete i sogni di

alcuni per regalarne ad altri: è l’industria

degli Studios, prendere o lasciare. I due

non sembrano proprio lasciare la palla

della celebrità, anzi. Norma arriverà addirittura

ad uccidere per riaccendere la luce

di quei riflettori che l’hanno abbandonata

ormai da anni, riflettori che si trasforma-

no in flash di paparazzi, domande lampo,

ma nulla importa, la missione è riuscita,

l’attenzione è tutta su Norma Desmond

che scende le scale in posa, quasi come

in uno dei suoi vecchi film. Riggan, invece,

dopo un volo pindarico col suo personaggio

alato, scende le scale del cielo,

atterra e con faccia sicura torna nel teatro.

Il suo spettacolo è l’ultima carta per

riaccendere le “luci della ribalta”, il tutto

per tutto della disperazione, ma il risultato

è diverso: Riggan non ha bisogno di sparare

ad un povero cristo per tornare sulle

prime pagine dei giornali; Riggan spara

in faccia all’arte, reinventa un teatro di verità

che aveva perso la linfa vitale ormai

da tempo, e allora chapeau, che si chiuda

il sipario, che scroscino gli applausi, Riggan

Thompson è tornato e con lui anche

Iñárritu ha ripreso a volare.

BIRDMAN

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