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A cura di
Lorenzo Borghini
Il cinema
a casa
Birdman
Il “Viale del tramonto” dei nostri tempi
di Lorenzo Borghini
Iñárritu non è mai riuscito a convincermi
a pieno. Quando era in coppia
con lo sceneggiatore Arriaga puntava
tutto su storie ad incastri, riuscendo
a realizzare un ottimo film con Amores
Perros, un buon film con Babel e uno mediocre
con 21 Grammi. Ma poi il crack.
Dopo la rottura con Arriaga, i due, camminando
ciascuno con le proprie gambe,
hanno compiuto passi falsi; uno con The
Burning Plain e l’altro con Biutiful. Ma poi
è arrivato Birdman, ed è stato sufficiente
per polverizzare il sentore che si era impossessato
della mia mente: potrà Iñárritu
tornare ad ottimi livelli senza il compagno
Arriaga? E la risposta è sì. In Birdman c’è
tutto: vita, morte e miracoli. Potrei dire
di come Birdman rappresenti a pieno la
cultura americana parlando di Hollywood,
supereroi, social network, New York,
jazz e Broadway, ma non lo farò. Voglio
focalizzare la mia attenzione sulla prima
cosa che mi è saltata per la testa durante
la proiezione del film: Birdman è il Viale
del tramonto dei nostri tempi. Riggan
Thompson (uno strepitoso Michael Keaton)
è una star del cinema che ha raggiunto
un successo spaventoso interpretando
il ruolo di Birdman, un supereroe vestito
da uccello. Norma Desmond (Gloria
Swanson) in Viale del tramonto (Billy Wilder)
è una ex-diva del cinema muto divenuta
famosa per la sua bellezza e per le
pose statuarie che assumeva nei film. Entrambi
i protagonisti vengono risucchiati
dal proprio personaggio, dai divi che furono
non riuscendo ad essere più se stessi,
rimanendo aggrappati a quel barlume di
gloria passata. La differenza sostanziale è
che Riggan Thompson è ancora famoso,
anche se per la non esaltante cosa di aver
interpretato per tre volte un supereroe
vestito da pennuto; mentre Norma Desmond
è stata messa nel dimenticatoio: è
arrivato il suono, la presenza scenica non
è più tutto, Hollywood è andata avanti e
la povera Norma è rimasta indietro, ancorata
ai suoi ricordi come ad un salvagente
in mezzo al mare. Entrambi proiettano
le proprie frustrazioni: Norma sotto forma
dei suoi vecchi film propinati a ospiti
che sembrano mummie imbalsamate,
mentre Riggan sotto forma di allucinazioni
visivo-uditive in cui Birdman prende
il sopravvento dispensando consigli e
distruggendo la sua autostima ogni volta.
Entrambi sono intrappolati dentro un
vortice di scelte sbagliate, insicurezze e la
paura di non contare niente, di non essere
più sotto i riflettori della grande industria
cinematografica. La fama è il collante di
tutto, Hollywood è una macchina mangia
uomini inarrestabile che miete i sogni di
alcuni per regalarne ad altri: è l’industria
degli Studios, prendere o lasciare. I due
non sembrano proprio lasciare la palla
della celebrità, anzi. Norma arriverà addirittura
ad uccidere per riaccendere la luce
di quei riflettori che l’hanno abbandonata
ormai da anni, riflettori che si trasforma-
no in flash di paparazzi, domande lampo,
ma nulla importa, la missione è riuscita,
l’attenzione è tutta su Norma Desmond
che scende le scale in posa, quasi come
in uno dei suoi vecchi film. Riggan, invece,
dopo un volo pindarico col suo personaggio
alato, scende le scale del cielo,
atterra e con faccia sicura torna nel teatro.
Il suo spettacolo è l’ultima carta per
riaccendere le “luci della ribalta”, il tutto
per tutto della disperazione, ma il risultato
è diverso: Riggan non ha bisogno di sparare
ad un povero cristo per tornare sulle
prime pagine dei giornali; Riggan spara
in faccia all’arte, reinventa un teatro di verità
che aveva perso la linfa vitale ormai
da tempo, e allora chapeau, che si chiuda
il sipario, che scroscino gli applausi, Riggan
Thompson è tornato e con lui anche
Iñárritu ha ripreso a volare.
BIRDMAN
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