SPIRITUALITA FRANCESCANA IN COSTIERA AMALFITANA di Gennaro Esposito
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allora, tale convento, che era seriamente minacciato dalla scarsità idrica, ebbe a disposizione acqua proprio
per intercessione del santo, la quale sgorgava dalla roccia del giardino del convento incanalandosi nel
cortile e piombando in una vasca. L’acqua miracolosa, che fluiva senza scarseggiare né in estate o in tempi
di generale siccità, fu appellata “Sorgente di S. Bernardino”. Purtroppo, l’intervento di costui non ebbe
influenza nel limitare la tragedia che appena cinque anni dopo la ricostruzione sconvolse il complesso
religioso: nel 1440, una violentissima mareggiata, meglio indicata come “lop e’ mar”, distrusse la piccola
chiesa cancellandola fin dalle fondamenta. Si trattava di un’ eccezionale tempesta marittima, scaturita dall’
incontro di due venti opposti, in generale uno freddo proveniente da nord-ovest e uno caldo proveniente
da sud-est. Anche l’illustre Francesco Petrarca parla di questa devastante calamità naturale, in particolare
egli descrive quella abbattutasi su Napoli con ingenti danni a mezzanotte del giorno di Santa Caterina, il 25
novembre 1343, nella V Lettera del V Libro della raccolta epistolare indirizzata al cardinale Giovanni
Colonna mentre egli soggiornava a Napoli. Nel corso dei secoli, si sono verificate altre “lop e’ mar” che
hanno logorato le coste del Tirreno e in particolare la città di Amalfi, fino a considerare l’ultimo fenomeno
dell’ 11 gennaio 1987. Proprio l’azione demolitrice del mare ed altri fenomeni naturali hanno contribuito a
fare in modo che gli spostamenti tra Maiori e Minori potessero avvenire a piedi asciutti, delineando quel
profilo morfologico ed aspro che la Costiera, a strapiombo sul mare, tuttora presenta. Nonostante le
violenti forze della natura, la tenace volontà e industria degli uomini mostrano di non essersi date per vinte:
infatti, la chiesa fu nuovamente riedificata nello stesso posto vicino alla “loggia grande”, che nel 1613 fu
coperta e trasformata in dormitorio. Altre mareggiate ed alluvioni registrate dimostrano i notevoli
impedimenti di questo convento e di tutta l’Universitas maiorese, dove nel 1504 furono distrutti molti orti
e nell’ottobre del 1540 un diluvio arrecò notevoli danni a più persone. Alleate delle violenti forze naturali
erano le temibili forze dei Turchi, che il 26 giugno del 1544 misero a segno una sconvolgente invasione,
seminando distruzione e terrore, dalla quale i cittadini di Amalfi, di Minori e di altri centri costieri furono
liberati solamente per “voluntà et miracolo de Iddio et Sancto Andrea glorioso”. La violenza turca si abbatté
ancora nel 1588 quando una flotta di ben 120 galee si riversò sulla Costa e gli assalitori operarono
saccheggi, distruzioni ed uccisioni; non fu un caso che il convento venisse depredato e dato alle fiamme.
Alcuni maioresi che erano stati fatti prigionieri e condotti a Costantinopoli, conquistata dai Turchi il 29
maggio 1453, dopo essersi messi in salvo, ritornarono a Maiori dove lungo il corso del fiume Reginna
eressero una cappella dedicata alla Madonna delle Catene, offrendo in voto le catene della loro cattività.
Come se non fosse stata una novità, infuriarono nuovamente le forze naturali a mettere a rischio la vita del
complesso religioso: il 16 dicembre 1631 si abbatté la “catastrofe del secolo”, violentissima tempesta in tal
modo appellata per gli ingenti danni arrecati e ancora quella non meno devastante dell’8 settembre 1674
che distrusse le celle, la loggia, i dormitori, la cucina, le officine e la chiesa del monastero. In particolar
modo fu colpita la chiesa a tre navate con croce in mezzo e con diverse cappelle, i cui lavori di edificazione
erano cominciati nell’aprile 1511. La forza del mare era andata in vantaggio sulla tenacia dei cittadini
dell’Universitas di Maiori, ormai decisa a ricostruire chiesa e convento all’interno della città per avere una
maggiore garanzia di protezione dalla devastante furia marina. Risale a quell’epoca la lettera del Padre
Provinciale de’ Minori Osservanti indirizzata all’Arcivescovo, nella quale invitava quest’ultimo a dare il
consenso “pro constructione novi Conventus intra menia Terre Maiori”. Era già stato assegnato il luogo di
Casa Mandina, definito adatto alla meditazione e alla spiritualità francescana, come la nuova area sulla
quale sarebbero state poste le pietre del nuovo complesso religioso, messo in salvo dall’ “acqua perigliosa e
guata”. Non tardarono ad arrivare proteste e contestazioni che si opponevano a questa traslazione, come
quelle da parte del Capitolo della Collegiata e di alcuni cittadini. I primi a presentare una contestazione
furono ventiquattro cittadini, dopo che tale documento era stato legalizzato dal notaio Biagio Imperato
della città di Scala, borgo più antico della Costiera Amalfitana. Essi si opponevano all’edificazione in un
luogo che era frequentatissimo dalle donne e sito proprio vicino alla Chiesa Madre, onde evitare, dunque,