SPIRITUALITA FRANCESCANA IN COSTIERA AMALFITANA di Gennaro Esposito
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tanto da divenire, con la Grazia del Signore, modello di mansuetudine e di calma imperturbabile. Dopo aver
studiato con grande impegno nei Conventi di Nocera Inferiore, Aversa e Maddaloni, venne ordinato
Sacerdote in Amalfi ed esercitò il suo apostolato a Napoli, Giugliano, Montella, Sorrento, Ischia, Ravello e
Capri. Vissuti otto anni nella cittadina della Costiera Amalfitana, non senza sgomento prese la notizia in cui
gli si esplicitava l’obbedienza per Napoli. Il Padre, che era solito definirsi “ servo inutile nelle mani del
Signore, nel convento di S. Antonio a Porta Medina (Napoli) la sua ascesi si evidenziò anche con elevazioni
da terra durante le intense preghiere. La sua predicazione, pur essendo profonda e teologica da lasciare
interdetti i suoi dotti confratelli di S. Lorenzo Maggiore, non gli fu attribuito il titolo di Dottore della
Chiesa 19 . Le sue prediche, dunque, semplici ed infuocate, erano capaci di orientare i cuori più duri verso
mete più sante. Padre Bonaventura, che tanto sembra tradursi nella figura di Padre Pio, fu trovato più volte
svenuto nel suo confessionale, spesso assediato da uomini penitenti, che venivano rimessi sul retto
cammino dal Beato, che spendeva tutte le sue energie in giornate laboriose ed estenuanti. Durante la
seconda metà del XVII secolo, mentre Napoli era invasa dalla pesta, probabilmente diffusa da soldati
spagnoli, si distinse nell’assistenza personale degli appestati. All’inizio del 1710, ormai vecchio e malato, fu
inviato al convento di Ravello, dove trascorse gli ultimi due anni della sua vita terrena. L’amabile
francescano giunse per la prima volta a Ravello il 4 Gennaio del 1710: l’antica casa dell’ordine dei Frati
Minori Conventuali era desolata, mal ridotta, priva di tutto e persino le suppellettili ecclesiastiche erano
poco decorose e sgraziate. Fu questo uno dei principali motivi che spinsero tutti i fratelli ad abbandonare la
casa conventuale, lasciando in solitudine Padre Bonaventura, che fedele al Padre Provinciale e più ancora
alla carità verso le anime bisognose e all’amore per la povertà, decise di restare in Ravello. Ivi trascorse i
suoi giorni all’insegna della semplicità e della confessione, che possono essere considerati i due pilastri che
hanno dominato la vita del frate sino al sopraggiungere di sorella morte. Il frate, che trascorreva i sui giorni
all’insegna della preghiera, della confessione e della predicazione, “si macerava colle discipline, coi cilizi, e
con altre penitenze” mentre, pur di sovvenire alle necessità degli ultimi, si privava anche del pane
quotidiano, unico mezzo di sostentamento.
Nell’ottobre 1711, assalito dalla febbre, trascorse gli ultimi giorni nella sua cella in compagnia del Cristo
Crocifisso che pendeva dalla parete. “Ave Maria, Ave Maria, Ave Maria”: furono le ultime parole del saggio
ed umile francescano, i cui occhi si chiusero non definitivamente il 26 dello stesso mese, privando il popolo
ravellese, che lo pianse con devozione filiale, di un tesoro inestimabile. Morto fra il pianto popolare ed il
suono delle campane sciolte in un concerto di gloria, tre giorni dopo la morte, il corpo del Beato fu
trasportato dall’Oratorio in chiesa per essere sotterrato alla presenza del Vescovo. Durante il trasporto, alla
vista del Tabernacolo, la salma aprì gli occhi, rimasti sempre chiusi dal momento in cui egli era spirato, e
quasi chinò la testa di fronte al SS. Sacramento, destando meraviglia negli occhi di tutti. Il fenomeno,
osservato da tutti i presenti, venne interpretato come un segno con il quale il Signore aveva voluto
premiare la grande devozione eucaristica del suo Servo. Nella ricognizione del 9 aprile 1740, a quasi
trent’anni dalla morte, il corpo del Beato Bonaventura, fulgida figura sacerdotale che a Ravello ha lasciato
un profumo ineffabile di carità, obbedienza e santità, fu trovato intatto, flessibile, odoroso e di colore
vermiglio. Essendo la nuova cassa di legno, dove doveva essere tumulato, risultata troppo stretta a
contenere la larghezza del torace, al comando dell’obbedienza, il corpo, con visibile movimento delle
spalle e delle braccia, si adattò da sé nell’angusta bara preparatagli.
Il rapporto tra il Beato Bonaventura da Potenza e Ravello, città che ebbe il privilegio di venire in contatto
diretto con alcuni giganti e campioni della fede, è individuato principalmente dalle vicende che hanno
interessato il convento di S. Francesco, presso il quale il frate potentino fu Primus Habitator all’indomani
della reintegrazione della comunità monastica, che aveva subito il procedimento di soppressione