SPIRITUALITA FRANCESCANA IN COSTIERA AMALFITANA di Gennaro Esposito
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Suore Domenicane. Una lapide posta all’ingresso il 14 luglio 1948 ricorda che proprio nel complesso
monastico, luogo di adorazione fino al 1917 delle Clarisse, il Patronato aprì l’asilo infantile il 16 luglio 1923 e
lo affidò alle Suore Domenicane, che sono riuscite con la loro operosità e costante impegno a renderlo
fiorentissimo ed efficiente.
Anche la popolazione di Cetara, altro splendido tassello del mosaico di borghi della “Divina Costiera”, nel
1585, accolse l’edificazione di un Convento di Frati Minori Osservanti con ardente spirito religioso. Poche
notizie sono state trasmesse a riguardo della vita comunitaria, se non quelle filtrate in seguito alle diverse
visite pastorali degli Arcivescovi, che, quando si recavano a Cetara e ad Erchie, trovavano riposo e alloggio
presso tal Convento. Il 2 luglio 1676 l’Arcivescovo Mons. Bologna visitò l’edificio francescano e fu informato
dal parroco del paese della presenza di otto frati che vivevano di elemosina, proprio sull’esempio del
serafico Francesco d’Assisi. Una scrittura del 3 marzo 1707 rende noto invece che in quell’anno si
rinvenivano nel Convento quattro Padri sacerdoti, due laici, un terziario e un Oratorio di cinquantasei
fratelli detto “Terz’Ordine” che vestivano tutti un saio nero. Uno di questi padri era responsabile
dell’istruzione dei bambini, rispettando una tipica convenzione con l’Universitas di Cetara. Durante il
periodo napoleonico, la minaccia delle Leggi Eversive aveva duramente messo in difficoltà la sopravvivenza
di questo monastero; in particolare, una circolare del 3 luglio 1811 ne preannunciava la soppressione.
L’Arcivescovo Miccù intervenne con una lettera il 6 novembre 1812 nella quale si rivolgeva all’Intendente
puntualizzando che, per il ridotto numero di sacerdoti secolari come “tralci nella vigna del Signore”, se
fosse stato soppresso il Convento, la Comunità di cetaresi sarebbe rimasta una popolazione di uomini
selvaggi, all’oscuro di sacramenti e completamente senza fede e spirito religioso, come pecore al pascolo
senza il Buon Pastore. La lettera dell’Arcivescovo indusse il Ministro a dare ordine all’Intendente della
Provincia di non prendere provvedimenti relativi al Convento degli Osservanti di Cetara e di allargare la
suddetta comunità con religiosi provenienti da altri Conventi. Dunque, la roccaforte francescana fu
risparmiata dalle leggi napoleoniche, allo stesso modo di come era avvenuto per i Monasteri dei Frati
Osservanti di Montoro e di Cava. Il 1886 fu la volta di una maggiore minaccia di soppressione, ma la Chiesa
del convento riuscì a cavarsela rimanendo aperta grazie soprattutto all’intervento dei marinai cetaresi, che
avevano sempre dimostrato una grande devozione per l’edificio, un’ammirabile devozione premiata dai
francescani che attendevano fino a tarda ora i pescatori per dare inizio tutti insieme ai sacri uffizi.