SPIRITUALITA FRANCESCANA IN COSTIERA AMALFITANA di Gennaro Esposito
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possibili inconvenienti. Il 19 maggio 1675 si riunirono pubblico Parlamento con l’intervento del R.
Governatore ed alcuni deputati eletti. Tra le persone contrarie, si distinse il Prevosto, ovvero il sacerdote
della Collegiata, oltre al Capitolo della Chiesa Madre di Maiori. Costoro si recarono personalmente
dall’Arcivescovo per protestare a riguardo della delicata questione, anche se alla fine il governatore riuscì
ad imporsi intimorendo i cittadini contrari. Il Capitolo, esponente della fazione contraria alla traslazione del
convento, presentò una lunga relazione sia all’Arcivescovo che alla S. Congregazione, nella quale, in tre
capitoli, vennero esposte le ragioni dell’opposizione. L’Arcivescovo, che si trovava nel vortice di questa
disputa, venne indotto a promuovere un vero e proprio processo. Gli giunse un altro ricorso sottoscritto
daa trentuno cittadini, nel quale si discuteva a riguardo del luogo designato per l’edificazione del convento,
sito al centro della città, luogo limitato dalla presenza dei palazzi dei cittadini più facoltosi di Maiori e
connesso alla Chiesa di Santa Maria a Mare, al Convento di S. Domenico e al Monastero delle Donne
Monache della Pietà. L’Arcivescovo, ancora una volta, veniva supplicato a bloccare la traslazione del
Convento dentro le mura della città, al fine di evitare problemi e disordini ben più insidiosi, riguardanti il
carattere socio-economico. Non poteva non aver voce in capitolo il sindaco Giacinto da Ponte,
confermando che i Padri avevano ottenuto in donazione pochi giorni prima il palazzo dei signori “De Ponte”
ed esplicitando la volontà dei francescani di rinunciare al luogo originario. La fondazione del complesso
monastico richiedeva la demolizione di molti palazzi dei cittadini che dimoravano proprio in quel preciso
luogo, tanto che l’Universitas maiorese aveva affidato all’ingegnere Francesco Giordano il compito di
stimare l’entità della riparazione. Dopo la deliberazione consiliare e la relazione del tecnico Giordano,
l’Arcivescovo, l’Arcivescovo Mons. Simplicio Caravita, subentrato a Mons. Miroballo, successore di Mons.
Quaranta, nel 1682, inviò alla S. Congregazione una relazione nella quale chiariva la sua consapevolezza
nell’aver conosciuto personalmente che il convento era stato totalmente danneggiato e reso inabitabile dal
mare così come la strada che fiancheggiava l’edificio. Si poteva ancora leggere che l’Universitas di maiori
aveva proposto un nuovo luogo all’interno delle mura cittadine per la fatidica traslazione, detto “Sepetito”,
ma i padri non avevano accettato perché il luogo non era adeguato alle loro necessità di povertà religiosa,
oltre alle solite limitazioni economiche. I francescani avevano optato per il palazzo donato loro dal signore
Andrea del Ponte, affiancato da due giardini. La questione volgeva al termine quando prevalse il deliberato
del Sindaco e dei cittadini della concessione di ben trecento ducati per la riparazione del convento e
soprattutto il buon senso spirituale dei frati. Abbandonare quel luogo avrebbe significato arrendersi,
gettando la spugna in un modo non sicuramente nobile per i tenaci maioresi, e, come aggiungeva il cronista
all’epoca, il complesso religioso si sarebbe trasformato in un lido. Finalmente, dopo più di un decennio di
contrasti ed interminabili discussioni, iniziarono i lavori di restauro del convento e della chiesa, purtroppo
sminuiti dalla furiosa inondazione del 9 novembre 1735, la quale distrusse argini, mura e giardino, senza
contare gli allagamenti causati dal torrente “Vallone”. Il fervore religioso dei maioresi fu premiato dalla
protezione della Madonna, la quale stese la sua mano misericordiosa nell’evitare ulteriori vittime e danni.
In occasione di questo salvifico e miracoloso intervento, si volle benedire la Madonna con l’istituzione della
festa del Patrocinio di S. Maria a Mare, tuttora celebrata la terza domenica del mese di novembre. Non
passarono meno di quattro anni che la città conobbe ancora rovina per una terribile alluvione, che questa
volta, sconvolse gravemente con morti, feriti, seri danni al convento e alla chiesa, tanto che il complesso
monastico era divenuto una piscina dalle mura limacciose. Questa vicenda aveva ormai assunto
un’atmosfera tragi-comica, considerando che la caparbietà dei francescani e dei fedeli aveva permesso
ancora una volta alla disastrata “Casa di Dio” di recuperare la propria magnificenza, che fu consacrata con
solennità dall’Arcivescovo Mons. Antonio Puoti il 6 luglio 1783. Un’altra insidia si nascondeva all’orizzonte,
ovvero le Leggi eversive del 7 ottobre 1809 che sopprimevano la piccola comunità francescana. Nel luglio
del 1806, l’Arcivescovo Mons. Miccù aveva inviato una relazione sullo stato religioso ed economico di tutti i
complessi religiosi maschili e femminili della Diocesi al Governo. Egli lamentava l’assenza di una “Scuola