Archeomatica_1_2022
GIGAPIXEL ALLA GALLERIA NAZIONALE DELL'UMBRIA
GIGAPIXEL ALLA GALLERIA NAZIONALE DELL'UMBRIA
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ivista trimestrale, Anno XIV - Numero I Marzo 2022
ArcheomaticA
Tecnologie per i Beni Culturali
GIGAPIXEL alla Galleria
Nazionale dell'Umbria
GlobaLID for archaeological metals
Tecnologia al Museo Dante a Ravenna
Mausoleo di Sant'Urbano sulla via Appia Antica
Metal Detectors e prospezione archeologica
www.archeomatica.it
Robotica e compatibilità
EDITORIALE
Cari lettori,
solo nell’area archeologica delle tombe di Saqqara nel Basso Egitto a Il Cairo i risultati delle
campagne di rilevamento, a partire dalle missioni italiane condotte da Edda Bresciani, di recente
scomparsa, con tecnologie e metodi d’indagine cartografica hanno apportato, negli ultimi anni,
un progresso reale ed un avanzamento tale da non avere confronti. Un progresso che è provato
dall’ingente numero di reperti portati alla luce dalle tombe catalogate, come ormai quasi
quotidianamente si legge nella cronaca, nei reportages e nei dossier internazionali. Non sarebbe
improprio dire che le indagini archeologiche anche dall’anticipazione dell’esperienza di Saqqara
si siano sempre più spesso estese ad un territorio e alle sue caratteristiche geomorfologiche e
di antropizzazione. La mole di metadati vecchi e nuovi da archiviare e archiviati, nelle diverse
condizioni e soprattutto nei componenti materiali non soltanto degli oggetti ritrovati, ma anche dei
materiali di riproduzione e scansione, hanno sempre più affinato la capacità di immagazzinamento,
collegamento e trasmissione dei codici che regolano l’oggettività e il funzionamento
dell’accessione alla banca dati, rispondendo al linguaggio naturale ed all’informazione numerica
trasmigrata o traslitterata. Non può stupire che la robotica attuale di droni, aerei e natanti da
rilevamento, di sonde spaziali e di stazioni fisse e mobili, cosiddette autonome, di monitoraggio
museale e archeologico seguano le impostazioni e i metodi ricettivi della comunicazione di uno
smartphone, utilizzabili da chiunque.
L’elettronica non ha mai smesso di lavorare, come i primi archeologi e storici, sulla concordanza
dei rispettivi parametri di catalogazione dei documenti, sempre più spesso ancorati ad
un’immagine diversificata nelle diverse discipline e tecnologie di profondità applicate, che non
deve essere per forza omologata, ma il più possibile definita, perché non solo l’esperto, ma
chiunque possa afferrarne l’oggetto.
Eppure anche gli studiosi, i ricercatori, gli specialisti, i curatori, i periti, gli esperti e i visitatori
e i lettori in genere affrontano ogni giorno le difficoltà delle differenze non solo dei dati di
definizione, ma delle immagini risultanti di uno stesso oggetto quando provengono da differenti
archivi e anche di uno stesso sistema che su base nazionale abbia adottato caratteristiche uniformi
di comunicazione nel secolo scorso. Sistema in cui il copyright ha la funzione primaria di certificare
l’oggetto in sua assenza e la proprietà del museo per la sua conservazione, come il perito di CTU
che offra ad un giudice la propria esperienza di interprete: per chi non lo identifica e perché se ne
possa parlare.
Questo numero di Archeomatica si è occupato di esperienze disparate e localizzate che abbiano
avuto il fine ultimo di reperibilità dell’opera catalogata dentro la memoria del robot, come a
Pompei lo Spot, o la banca dati a questo collegata nei diversi formati e display di scorrimento,
come al Museo Dante di Ravenna.
Un robot di monitoraggio non del tutto dissimile dal Metal Detector, ancora oggi di uso
generalizzato e del quale in questo numero di Archeomatica si legge un’interessante cronistoria
dell’impiego dapprima in archeologia. Ma anche il robot che ha cominciato su Marte ad essere
pensato come sonda di restituzione del dato e dell’immagine conoscitiva a tutti sconosciuta, non
per questo irraggiungibile, conoscibile invece nella sua provenienza e perfino nel materiale grezzo
di cui è fatta, da dove prelevato.
Ogni analisi del trasporto effettivo su un nuovo supporto linguistico, materiale o alfanumerico si
fonda, in termini informatici, sulla compatibilità, che non deve essere congelata strutturalmente
ad un’identità presunta o ad un’idea, fisica o matematica, ma in quanto esistita commisurata
all’oggetto, tanto all’impressione visiva che contiene e che esprime, quanto all’impulso che ha
generato, sinergico, con tutti i suoi errori scientifici o opinabili di trasmissione al futuro, compresa
l’immensità bibliografica che travalica i suoi confini naturali ed i sostrati intangibili di cui l’oggetto
si compone e che solo un computer è in grado di restituire alla percezione, e di surrogarlo quando
l’oggetto non c’è o ve ne siano altri al suo posto.
Buona lettura,
Francesca Salvemini
IN QUESTO NUMERO
DOCUMENTAZIONE
6 Conoscenza e
divulgazione del
patrimonio culturale.
Analisi e rilievo del
Mausoleo di Sant’Urbano
sulla via Appia Antica
di Maria Grazia Cianci,
Sara Colaceci
Un nuovo modo di vedere l'arte con la tecnologia
di Haltadefinizione. In copertina
la ripresa 3D di Arnolfo di Cambio, Figura
maschile, frammento della Fontana degli
assetati, conservato presso la Galleria Nazionale
dell’Umbria.
28 “Metal Detectors”: la
tecnologia
attuale per la
prospezione archeologica
di Renato Di Cesare, Marco Lisi
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su Twitter, Facebook e Instagram
ArcheomaticA
Tecnologie per i Beni Culturali
Anno XIV, N° 1 - MARZO 2022
Archeomatica, trimestrale pubblicata dal 2009, è la prima rivista
italiana interamente dedicata alla divulgazione, promozione
e interscambio di conoscenze sulle tecnologie per la tutela,
la conservazione, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio
culturale italiano ed internazionale. Pubblica argomenti su
tecnologie per il rilievo e la documentazione, per l'analisi e la
diagnosi, per l'intervento di restauro o per la manutenzione e,
in ultimo, per la fruizione legata all'indotto dei musei e dei
parchi archeologici, senza tralasciare le modalità di fruizione
avanzata del web con il suo social networking e le periferiche
"smart". Collabora con tutti i riferimenti del settore sia italiani
che stranieri, tra i quali professionisti, istituzioni, accademia,
enti di ricerca e pubbliche amministrazioni.
Direttore
Renzo Carlucci
dir@archeomatica.it
Direttore Responsabile
Michele Fasolo
michele.fasolo@archeomatica.it
Comitato scientifico
Giuseppe Ceraudo, Annalisa Cipriani, Maurizio
Forte, Bernard Frischer, Giovanni Ettore
Gigante, Mario Micheli, Stefano Monti,
Luca Papi, Marco Ramazzotti,
Antonino Saggio, Francesca Salvemini,
Rodolfo Maria Strollo
Redazione
Maria Chiara Spezia
redazione@archeomatica.it
Matteo Serpetti
matteo.serpetti@archeomatica.it
Valerio Carlucci
valerio.carlucci@archeomatica.it
MUSEI
14 Tra innovazione e
conservazione: i gigapixel in
Galleria Nazionale dell’Umbria
di Eleonora Ligas, Luca Ponzio,
GUEST PAPER
10 GlobaLID : A new
database and interactive
web tool for provenancing
archaeological metals
By Thomas Rose, Sabine Klein, Katrin
J. Westner, Yiu-Kang Hsu
RUBRICHE
24 ARCHEOLOGIA
FORENSE
32 AZIENDE E
PRODOTTI
Soluzioni allo Stato
dell'Arte
36 AGORÀ
Notizie dal mondo delle
Tecnologie dei Beni
Culturali
42 EVENTI
Anna Umattino
INSERZIONISTI
ASITA 19
BMTA 27
ESRI 43
ISPRS 35
NAIS 44
28 Riqualificazione del Museo
Dante a Ravenna in chiave
tecnologica
PLANETEK 2
STONEX 13
STRUMENTI TOPOGRAFICI 43
TEOREMA 42
di Touchwindow
una pubblicazione
Science & Technology Communication
Science & Technology Communication
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Archeomatica è una testata registrata al
Tribunale di Roma con il numero 395/2009
del 19 novembre 2009
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dell’editore.
Data chiusura in redazione: 30 maggio 2022
DOCUMENTAZIONE
Conoscenza e divulgazione del patrimonio
culturale. Analisi e rilievo del Mausoleo di
Sant’Urbano sulla via Appia Antica
di Maria Grazia Cianci, Sara Colaceci
Fig. 1 - Pietro Rosa. Tavola seconda della via Appia e Tavola terza della via
Appia Antica, 1849 (ASR, Stragr. 301 tav. 2 e Stragr. 301 tav. 3).
Fig. 2 - Il Mausoleo di Sant’Urbano con la domus
Marmeniae in primo piano, foto Alinari, 1910.
Le metodologie di rilievo
integrato, costituite da
acquisizioni con laser
scanner, fotogrammetria
terrestre ed aerea, applicate
al Mausoleo di Sant’Urbano
al IV miglio della via Appia
Antica, consentiranno di
mettere in atto un processo
di conoscenza finalizzato
alla valorizzazione e alla
divulgazione.
INQUADRAMENTO DELLA RICERCA
Il Mausoleo di Sant’Urbano, al IV miglio della via Appia
Antica, è stato acquisito dallo Stato italiano nel 2021,
entrando così a far parte del Parco Archeologico dell’Appia
Antica.
Tale occasione ha permesso di stipulare un accordo di
collaborazione scientifica tra il medesimo parco, il Dipartimento
di Architettura dell’Università degli Studi Roma
Tre e il Dipartimento di Studi umanistici, filosofici e di
Storia dell’arte dell’Università degli Studi di Roma Tor
Vergata.
Gli intenti prefissati mirano all’attuazione di attività di
studio, di rilievo e di analisi del manufatto. In particolare,
il Dipartimento di Architettura si occuperà del rilevamento
architettonico attraverso metodologie integrate
strumentali e fotogrammetriche, nell’ambito di un processo
più vasto finalizzato alla conoscenza, alla valorizzazione
e alla divulgazione del patrimonio culturale.
Tali tematiche inducono ad un’ampia riflessione sul patrimonio
culturale, sul ruolo che esso assume all’interno
della città contemporanea, le misure di tutela, le modalità
di fruizione e le strategie di valorizzazione.
Per attuare efficaci criteri di tutela e adeguate procedure
di valorizzazione dei beni materiali è necessario saper
identificare strumenti e metodologie in grado di fornire
dati e promuovere analisi indispensabili per affrontare i
differenti processi connessi alla conoscenza.
6 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 7
IL CONTESTO
Partendo dal concetto di sistema storico-ambientale, secondo
il quale “Le risorse e i caratteri fisico-naturalistici
e quelli storici – considerati come sistema e nella loro reciproca
interrelazione – siano da assumere come elemento
primario e prioritario, ordinatore e qualificatore nella riorganizzazione
fisica, funzionale e formale del territorio
antropizzato” (Calzolari 1999), è indispensabile considerare
i contesti in cui viviamo come l’interrelazione di componenti
naturali e di componenti antropiche.
È d’obbligo, dunque, analizzare gli ambiti fisico-naturalistici
per comprendere il nesso che i manufatti costruiti
instaurano con il luogo.
Il mausoleo è parte integrante del sistema storico-ambientale
dell’Appia Antica, quindi occorrerà tener conto
dell’oggetto e del contesto in cui esso si inserisce (Bonamico,
Colini & Fidenzoni 1968) (Canina 1853) (Spera 1999).
L’area è caratterizzata, dal punto di vista geo-morfologico,
dal pianoro vulcanico compreso tra il fosso dell’Almone
e il fosso di Grotta Perfetta caratterizzato, a sua volta,
dalla colata lavica di Capo di Bove. Il pianoro deriva, infatti,
dalle eruzioni dell’antico Vulcano dei Colli Albani, il
quale ha avuto un ruolo fondamentale e determinante per
la formazione e per la costituzione del territorio romano
(Parotto 2008).
I numerosi pianori vulcanici, provenienti dal centro eruttivo
e discendenti verso la piana alluvionale del Tevere, sono
solcati da valli con i rispettivi fossi che arrivano al fiume.
Le valli incise dai corsi d’acqua sono state formate dai
complessi ed articolati fenomeni di erosione delle acque
durante le fasi geologiche.
Tali condizioni geo-morfologiche hanno condizionato la nascita
e lo sviluppo della città di Roma (Funiciello, Grant,
De Rita & Parotto 2006). L’intima relazione tra fisicità e
antropizzazione è evidente leggendo il sistema storicoambientale
dell’Appia Antica.
Sul pianoro alle quote più alte, infatti, si impianta l’infrastruttura
antropica lineare viaria, la quale traeva vantaggio
dell’essere tracciato di crinale poiché sfruttava una
particolare porzione fisica, aveva maggiore visibilità, aveva
maggiore sicurezza ed era lontana dalle acque.
Accanto a tale tracciato di percorrenza dal valore di strutturazione
territoriale di crinale, furono costruite numerose
strutture antropiche dalle funzioni variegate (fig. 1).
Ai lati di essa, infatti, insistono le strutture antropiche
puntiformi di carattere sepolcrale, le strutture abitative
con valenza produttiva, i complessi cimiteriali cristiani e
i casali agricoli.
Tale ricchezza, insieme al sistema vegetazionale del settore
meridionale della città di Roma, costituisce un patrimonio
culturale ancora da valorizzare pienamente (Tomassetti
1975) (Bortolotti 1988).
È manifesta, pertanto, la valenza di sistema, quale interrelazione
di componenti, che coinvolge le stratificazioni
naturali e le sovrapposizioni antropiche (fig. 2).
IL RILEVAMENTO INTEGRATO DELL’ARCHITETTURA PER LA
CONOSCENZA DEL MANUFATTO
Il sito presso il quale si trova il Mausoleo di Sant’Urbano è
un’area tra la via Appia antica e via dei Lugari. Allo stato
attuale, si accede tramite due ingressi posti ognuno su entrambe
le vie. Il mausoleo si trova nella parte meridionale
dell’area e un breve tracciato con basolato, di cui una
porzione ancora visibile, lo congiunge alla Regina Viarum.
Alberi, prevalentemente pini, e arbusti punteggiano l’a-
Fig. 3 – Stato di fatto del Mausoleo di Sant’Urbano dopo l’acquisizione da
parte del Parco Archeologico dell’Appia Antica e prima degli interventi di
ripulitura, luglio 2021.
rea verde, alcuni dei quali situati in aiuole realizzate dalla
proprietà precedente (figg. 3-4).
Il rilevamento, inteso come operazione di lettura del manufatto
architettonico da attuarsi con metodo scientifico,
è una fase fondamentale e imprescindibile per costruire
quel processo di conoscenza indispensabile per ogni tipo
di indagine e punto di riferimento costante per le analisi
generali e puntuali (Docci & Maestri 2009).
Esso consente la definizione di un modello geometricodimensionale
del mausoleo corretto in ogni sua parte, il
quale permette non soltanto una comprensione generale
della configurazione spaziale tridimensionale e dell’articolazione
strutturale, bensì costituisce la base per le successive
indagini.
In tale ottica, in effetti, esso favorisce il monitoraggio
dello stato di fatto, il controllo della stabilità strutturale,
l’individuazione delle patologie di degrado, la progettazione
di interventi per il restauro e la pianificazione della
gestione del sito.
È possibile effettuare un rilevamento completo del mausoleo
se si applicano metodi integrati, ossia l’interazione
di più metodologie distinte in maniera tale da compensare
le criticità di ciascun metodo ottimizzando i vantaggi di
ognuno (Bianchini, Inglese & Ippolito 2016).
Il progetto di rilievo del mausoleo prevede una fase di acquisizione
dati con laser scanner 3d e con fotogrammetria
digitale terrestre e aerea.
Con il laser scanner ci si prefigge di acquisire la maggior
parte dei dati metrici, interni ed esterni, che consentiranno
di restituire l’articolazione architettonico-volumetrica.
Considerata la situazione attuale del sito in cui sorge il
mausoleo, caratterizzato dalla presenza di numerosi alberi,
si predisporranno le posizioni dei punti di stazione
per le acquisizioni con il laser scanner in maniera tale da
ridurre le zone d’ombra causate dai tronchi e dalle parti
inferiori delle chiome (fig. 5).
La fotogrammetria digitale sarà utilizzata non soltanto per
contenere ed uniformare le zone d’ombra che si potrebbero
determinare durante la scansione laser, ma soprattutto
per acquisire le parti superiori inaccessibili tramite tecni-
Fig. 4 – Resti della scalinata d’accesso nella parete frontale, luglio 2021.
ca strumentale (Cianci & Colaceci 2017). Tale metodo di
rilevamento sarà preceduto da un progetto di ripresa finalizzato
alla corretta acquisizione di immagini fotografiche,
con l’obiettivo di garantire l’adeguata sovrapposizione
delle medesime per ricavare un valido modello numerico
per punti (Russo 2020). Il rilievo aerofotogrammetrico
del mausoleo tramite SAPR (sistemi aeromobili a pilotaggio
Fig. 5 – Progetto di rilievo con evidenziate le posizioni delle stazioni da cui acquisire con il laser scanner.
remoto), comunemente detto drone, georeferenziato con
rete topografica di ancoraggio, sarà necessario per acquisire
immagini ad alta risoluzione dall’alto.
Questo permetterà di acquisire: lo stato di fatto delle coperture
del mausoleo, laddove siano ancora presenti e laddove
siano crollate come nella camera principale, il tracciato
con basolato che congiungeva il mausoleo alla via
Appia Antica, i resti della scalinata frontale d’accesso e la
situazione generale del sito. L’acquisizione di dati dall’alto
del mausoleo, inoltre, è indispensabile per le analisi
planimetriche sul rapporto che esso stabilisce con la via
Appia Antica, sulla relazione con la domus Marmeniae attualmente
interrata.
Si comprende, dunque, come sia indispensabile ottenere
un modello che permetta di arrivare alla conoscenza profonda
del manufatto, basata non soltanto sulla mole dei
dati acquisiti ma soprattutto alla qualità dell’informazione,
che è sia stazionale, sia metrica, sia dimensionale, sia
cromatica. Ciò impone una corretta capacità di lettura del
dato, una competenza disciplinare e una consapevole interpretazione
delle componenti dell’architettura.
Dunque, l’obiettivo di avere informazioni tridimensionali
complete, fondate sulla quantità e sulla qualità dei dati,
impone l’integrazione di molteplici metodi di rilevamento.
Tali operazioni sono finalizzate ad una piena conoscenza
del patrimonio culturale permettendone la sua lettura
multidisciplinare.
VALORIZZAZIONE E COMUNICAZIONE DEL BENE CULTURALE
Il rilievo strumentale con laser scanner consente l’acquisizione
di dati metrici, e non solo, in tempi rapidi, grazie
alla produzione del modello numerico per punti (ossia la
nuvola di punti).
La scansione laser ha la caratteristica di associare il dato
metrico ad un valore RGB. Il primo corrisponde al valore
X, Y, Z di ogni punto rispetto ad un unico sistema di rifermento
basandosi su principi di acquisizione di coordinate
polari. Il secondo è ottenuto dalle riprese fotografiche di
una macchina interna al laser scanner.
Tale caratteristica permette di considerare
la nuvola di punti secondo
una duplice valenza: da una parte, la
valenza oggettiva dell’informazione
metrica; dall’altra parte, la valenza
di simulazione del reale dal forte impatto
visuale.
Questa fase può essere sviluppata
tramite la componente relativa agli
aspetti visuali e alla simulazione del
reale del modello numerico per punti
del mausoleo navigabile ed esplorabile,
oppure tramite la ricostruzione
del modello virtuale NURBS. Lo scopo
mira a ridurre la quantità elevata
dei dati in un modello che, tramite
enti geometrici definiti, consenta una
adeguata corrispondenza con il manufatto
reale grazie ad ottimali livelli di
discretizzazione.
Questo modello può essere interattivo,
sperimentando ed applicando
modalità immersive con tecniche di
realtà virtuale e realtà aumentata
(VR/AR) e rispondendo, in tal modo,
alle nuove esigenze richieste dai Beni
Culturali. Le modalità di fruizione virtuale,
a volte, sono l’unica possibilità
8 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 9
per consentire condizioni di divulgazione.
Ulteriore campo di ricerca è la possibilità di creare database
associati ai modelli tridimensionali, in maniera tale da
determinare dei modelli informatizzati provvisti dell’apparato
grafico, dell’apparato geometrico-dimensionale e
dell’apparato descrittivo-informativo.
Il modello virtuale digitale diventa, così, il fulcro della
raccolta di dati sia metrici che informativi del manufatto e
del contesto storico, archeologico e materico, utile a facilitare
l’insieme delle strategie di osservazione, di ricerca
e di esplorazione.
Tali operazioni, basandosi sull’interazione dei saperi, favoriscono
tutti quei processi volti alla gestione e al monitoraggio
del singolo manufatto e all’amministrazione
dell’area.
L’importanza del rilievo del mausoleo si colloca, pertanto,
anche all’interno della digitalizzazione del patrimonio
culturale per favorirne la valorizzazione, la divulgazione e
la fruizione.
In tal senso, esso è propedeutico alla costruzione di modelli
interattivi per la comprensione e la ricezione del bene
da parte dei visitatori interessati alle trasformazioni del
manufatto e dell’area in cui esso si colloca. Esso sostiene
l’approfondimento dell’architettura esistente nella sua
componente spaziale e nella sua percezione immersiva. La
consapevolezza della multidimensionalità dei fenomeni è
condizione basilare per poter attuare simili procedure.
La digitalizzazione del patrimonio culturale, architettonico-archeologico,
è uno dei punti HORIZON EUROPE, ed è
strettamente legato alle direttive della Carta di Londra e
della Carta di Atene, che configurano gli aspetti essenziali
da seguire per la rappresentazione digitale dell’architettura
e dell’archeologia.
I vantaggi e le problematiche degli strumenti e delle tecniche
digitali per la documentazione e la condivisione dei
dati costituiscono tematiche attuali nel campo della comunicazione
e della fruizione del patrimonio culturale.
L’obiettivo ambizioso mira a sfruttare le potenzialità delle
tecniche digitali per mettere a sistema dati eterogenei
provenienti da strumenti e processi di acquisizione ed elaborazione
differenti.
Esso, inoltre, punta a riconquistare organicità, oltre che
fruibilità, del bene inserito in un contesto più ampio, recuperando
quel legame esistente tra l’ambito territoriale e
l’ambito architettonico, considerati come parte integrande
del sistema storico-ambientale.
Le procedure e le strategie descritte, attuabili attraverso
la fase di acquisizione dei dati con differenti strumenti
tra loro integrati, la fase di elaborazione con applicativi
specifici e la fase di restituzione tramite molteplici output
grafici, offrono la possibilità di restituzione grafica
digitale e la possibilità di esposizione museale immersiva
virtuale. A tal proposito, gli obiettivi di documentazione/
monitoraggio, da un lato, e gli obiettivi di valorizzazione/
divulgazione, dall’altro lato, possono essere condotti simultaneamente.
L’attuale esigenza nel campo dei Beni Culturali riguardante
la conoscenza, la valorizzazione e la comunicazione del
patrimonio culturale sollecita ampi filoni di ricerca, teorici
e applicativi, e richiede saperi disciplinari multipli. La
collaborazione di ricercatori afferenti a settori disciplinari
diversi è punto di forza nel condurre i processi di indagine,
in cui ogni contributo permette di affrontare problematiche,
materiali e immateriali, da punti di vista diversi.
Gli istituti culturali e gli enti di ricerca, soprattutto in
seguito all’emergenza pandemica, saranno sempre più
impegnati a trovare nuovi sistemi di conoscenza, di valorizzazione
e di divulgazione del patrimonio culturale. In
tale scenario, in cui il settore dell’ICT vedrà una maggiore
crescita, è necessario sperimentare metodi innovativi di
conoscenza delle aree archeologiche e paesaggistiche attraverso
modelli interattivi e fruibili da diverse tipologie
di utenti.
Bibliografia
Bianchini C, Inglese C. & Ippolito A. (2016) I teatri del Mediterraneo
come esperienza di rilevamento integrato. Roma:
Sapienza Università Editrice
Bonamico S., Colini A.M. & Fidenzoni P. (a cura di) (1968) La
carta storico-monumentale dell’Agro Romano. Capitolium,
(11-12), 1-25
Bortolotti L. (1988) Roma fuori le mura. Bari-Roma: Laterza
Calzolari V. (1999) Storia e natura come sistema. Roma: Argos
Canina L. (1853) La prima parte della Via Appia dalla Porta
Capena a Boville, vol. 1. Roma
Cianci M. G. & Colaceci S. (2017) The methodology of interpreting
and promoting historical heritage: the Maxentius complex
on the Appia Antica. Disegnarecon, vol. 10 (19), 1-18.
Docci M. & Maestri D. (2009) Manuale di rilevamento architettonico
e urbano. Bari-Roma: Laterza
Funiciello R., Grant H., De Rita D. & Parotto M. (2006). I sette
colli. Guida geologica a una Roma mai vista. Milano: Raffaello
Cortina Editore
Parotto M. (2008). Evoluzione paleogeografica dell’area romana:
una breve sintesi. In Funiciello R. (a cura di). La geologia
di Roma dal centro storico alla periferia. Firenze: Istituto Poligrafico
e Zecca dello Stato, 25-38
Russo M. (2020) La fotomodellazione in ambito archeologico.
Potenzialità, limiti e prospettive. In Asciutti M. (a cura di).
Storia-Restauro. Ricerche a Roma e nel Lazio. Roma: GBE /
Ginevra Bentivoglio EditoriA, 133-147
Spera L. (1999) Il paesaggio suburbano di Roma dall’antichità
al Medioevo. Roma: L’Erma di Bretschneider
Tomassetti G. (1975) La campagna romana antica, medievale e
moderna. Nuova edizione aggiornata (a cura di) Chiumenti L.
& Bilancia F. Firenze: Leo S. Olschki
Abstract
The paper focuses on the basilica in Contrada S. Salvatore and the epigean The
Mausoleum of Sant’Urbano is located on the IV mile of the Via Appia Antica.
The Italian State acquired the mausoleum in 2021, which became part of the
Appia Antica Archaeological Park. This opportunity made it possible to enter
into a scientific collaboration agreement between the park, the Department
of Architecture of the University of Roma Tre and the Department of Humanities,
Philosophy and History of Art of the University of Rome Tor Vergata. The
objectives aim at the implementation of study, survey and analysis activities
of the artifact.
Parole Chiave
Rilievo; Archeologia; Mausoleo di Sant’Urbano; Parco Archeologico Appia
Antica; rilevamento; divulgazione; valorizzazione; conoscenza; patrimonio
culturale; AR/VR; Laser scanner
Autore
Maria Grazia Cianci
mariagrazia.cianci@uniroma3.it
Dipartimento di Architettura, Università degli Studi Roma Tre
Sara Colaceci
sara.colaceci@uniroma1.it
Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura, Sapienza
Università di Roma
GUEST PAPER
GlobaLID: A new database and
interactive web tool for
provenancing archaeological metals
By Thomas Rose, Sabine Klein, Katrin J. Westner, Yiu-Kang Hsu
Lead isotopes are an
everyday method to reconstruct
the raw material origin
of metal objects by comparison
of sample data with
reference data. Until this
point, no global and open
infrastructure exists that
collects and provides access
to such reference data. GlobaLID
aims to provide such an
infrastructure.
Reconstructing the raw material
source of archaeological
objects can provide valuable
insights into past exchange
networks. Usually a range of
scientific methods like petrography,
elemental analyses, and
isotope analyses is used for this
task. In most cases, the data of
the archaeological materials are
compared to reference data, i.e.
data acquired from source materials
than can be firmly linked to
a geographic location, like metal
ores of known deposits (Wilson
and Pollard 2001).
For tracing sources of metal in
copper, lead, and silver artifacts,
the analysis of their lead isotope
ratios is a standard method nowadays.
Lead isotopes are a radiogenic
isotope system and hence
their ratios change with time.
Formation of an ore deposit stops
this clock because the radioactive
parent isotopes are separated
from the lead. Consequently no
further radiogenic growth of lead
can occur. Lead isotopes are thus
an indicator for the formation
ages of the ore deposits. Ores
for archaeological metal artifacts
usually contain traces of lead,
which are incorporated into the
finished products during the metalworking
processes. The isotopic
signature is not altered during
smelting, allowing to directly link
the metal to its ore. The latter is
what makes lead isotopes particu-
10 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 11
Fig. 2 - The plot area to create and customize plots and inspect data from the database more closely.
larly well suited for the raw material reconstruction (Killick
et al. 2020).
An extensive reference database is indispensable for a successful
reconstruction of the raw material origin using lead
isotopes. If ore deposits are not represented in the database,
either because they were not sampled, all ore was
mined in the past or the mine is not recognised as such
anymore, it will be impossible to link the metal object to
this deposit. Another problem is that ore deposits can form
at the same time and hence will have widely overlapping
isotope signatures. Conversely, multiple ore-forming stages
can occur in the same deposit and result in different
lead isotope signatures for each stage. Hence, it is often
necessary to include additional information in the database
like the geology and mineralogy of the deposits or for which
metal(s) it was exploited in the past (Baron et al. 2014).
Lead isotope reference data are currently scattered across
publications of all kinds and vary in their quality and amount
of additional information. Consequently, each group has to
build its own reference database, facing in one way or another
the same problems: (1) findability and accessibility of
the respective publications, (2) comparability of the data
and especially their meta-information, (3) and language
barriers. Moreover, the published lists are necessarily static
and therefore quickly become outdated.
It was more than 20 years ago that the Oxford group made
a first attempt to overcome at least the first obstacle by
publishing their reference database OXALID in open access
(Stos-Gale and Gale 2009). It gained wide popularity over
the years because it was only until the last couple of years
that similar databases became available (e. g. Artioli et al.
2016; García de Madinabeitia et al. 2021). Nevertheless, a
central repository for lead isotope data that would overcome
all the above-listed obstacles and provide a common
interface to lead isotope reference data is still missing.
GlobaLID aims not only to provide such a repository but also
to design an infrastructure that facilitates the interaction
with lead isotope data (Klein et al. 2022). The Global Lead
Isotope Database (https://globalid.dmt-lb.de/) consists of
two parts: a database (Westner et al. 2021) and an interactive
web application (GlobaLID Core Team 2021). The
database is the core of GlobaLID. It stores all the reference
data, their meta-information and the original reference of
the publication it is taken from. A lot of effort is made to
harmonise the additional information (e.g. reconstruction
of geographical locations) and to ensure that all data are
available in the highest possible quality. The second part is
an interactive web application (Fig. 1) that allows an easy
Fig. 3 - Example plots exported from the GlobaLID web application.
Fig. 4 - The current coverage of the GlobaLID web application.
access to the database through a web browser and to compare
one’s own data with the database (Fig. 2). The functionality
of the web application includes the most common
tasks in raw material reconstructions with lead isotope
data: various filters to interact with the database; a map
to inspect the geolocations; various plotting options (e. g.
histograms, density estimates, scatter plots) with different
axes (lead isotope ratios, parameters of different lead isotope
age models); customisation of the plots; download of
publication-ready plots (Fig. 3), the references from which
the data in the respective plot is taken from, and of the
reference data itself. The interface of the web application
was kept intentionally simple to provide easy access for all
users, including researchers without detailed knowledge in
lead isotope geochemistry. The database can also be downloaded
and used independently from the web application to
e. g. carry out more advanced data analyses than currently
possible with the web application.
Database and web application are published in open access
and open source and are free to use without a registration.
Both are under constant development to include more reference
data (Fig. 4), to design them closer to the needs and
expectations of the users, and to include additional features.
Stable versions of the database (published with a DOI)
are further available in a certified repository (Westner et al.
2021) while all working versions are available on the Github
pages of the database (https://github.com/archmetalDBM/
GlobaLID-database) and web application (https://github.
com/archmetalDBM/GlobaLID-App).
The aim of GlobaLID cannot be reached without the support
of the community (Klein et al. 2022). A high quality of the
reference data can only be achieved with expertise in different
scientific disciplines such as ore geology, mineralogy,
and isotope geochemistry. Of particular importance is the
contribution from local experts who specialize in ore deposit
geologies of certain regions. Additionally, the core team
neither has access to all lead isotope publication nor can it
read all non-English publications. Hence, the web application
also includes the option to upload data for the database.
These data will be checked for their consistency by the
core team and enriched with additional meta-information
before being made available in the database. Each contributor
is mentioned in the web application and wherever
possible.
Similarly, everybody is invited to get involved in the development
of the web application by providing feedback,
suggesting features etc. on its GitHub page – the web application
can only be as good as it meets the needs of its users
and we are firmly committed to make it as good as possible.
Bibliografia
Artioli G, Angelini I, Nimis P, Villa IM (2016) A lead-isotope database of
copper ores from the Southeastern Alps: A tool for the investigation of
prehistoric copper metallurgy. J. Archaeol. Sci. 75:27–39. https://doi.
org/10.1016/j.jas.2016.09.005
Baron S, Tămaş CG, Le Carlier C (2014) How Mineralogy and Geochemistry
Can Improve the Significance of Pb Isotopes in Metal Provenance Studies.
Archaeometry 56:665–680. https://doi.org/10.1111/arcm.12037
García de Madinabeitia S, Gil Ibarguchi JI, Santos Zalduegui, J. F. (2021)
IBERLID: A lead isotope database and tool for metal provenance and
ore deposits research. Ore Geology Reviews 137:104279. https://doi.
org/10.1016/j.oregeorev.2021.104279
GlobaLID Core Team (2021) GlobaLID web application: V. 1.0, database
status: 15 November 2021. https://globalid.dmt-lb.de/
Killick DJ, Stephens JA, Fenn TR (2020) Geological constraints on the use of
lead isotopes for provenance in archaeometallurgy. Archaeometry 62:86–
105. https://doi.org/10.1111/arcm.12573
Klein S, Rose T, Westner KJ, Hsu Y-K (2022) From OXALID to GlobaLID:
Introducing a modern and FAIR lead isotope database with an interactive
application. Archaeometry. https://doi.org/10.1111/arcm.12762
Stos-Gale ZA, Gale NH (2009) Metal provenancing using isotopes and the
Oxford archaeological lead isotope database (OXALID). Archaeol Anthropol
Sci 1:195–213. https://doi.org/10.1007/s12520-009-0011-6
Westner KJ, Rose T, Klein S, Hsu Y-K (2021) GlobaLID – Global Lead Isotope
Database: V. 1.0. GFZ Data Services
Wilson L, Pollard AM (2001) The provenance hypothesis. In: Brothwell DR,
Pollard AM (eds) Handbook of archaeological sciences. Wiley, Chichester,
New York, pp 507–517.
Abstract
Lead isotope signatures of non-ferrous metals are a well-established approach
to tracing ore sources, which can provide important information to reconstruct
past exchange networks. Like many other provenancing methods, the
usefulness of lead isotopes in provenance studies relies heavily on a comprehensive
reference database. GlobaLID aims to provide an infrastructure
for a central storage of lead isotope data. It consists of a comprehensively
evaluated database with extensive geological and contextual information and
of a web application that provides an intuitive interface to interact with the
database, options for comparison with own sample data, and to design and
download publication-ready lead isotope plots.
Parole chiave
Lead isotopes; exchange networks; archaeometallurgy; provenance; open access
Autore
Thomas Rose, Thomas.Rose@bergbaumuseum.de
Sabine Klein, Sabine.Klein@bergbaumuseum.de
Yiu-Kang Hsu, yiu-kang.hsu@bergbaumuseum.de
Deutsches Bergbau-Museum Bochum
Leibniz-Forschungsmuseum für Georessourcen
Am Bergbaumuseum 31
44791 Bochum
Katrin J. Westner
katrin.westner@ens-lyon.fr
Laboratoire de Géologie de Lyon : Terre, Planètes, Environnement
UMR CNRS 5276 (CNRS, ENS, Université Lyon1, UJM)
Ecole Normale Supérieure de Lyon
46, Allée d'Italie 69364 Lyon cedex 07 France
12 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 13
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MUSEI
Tra innovazione e conservazione:
i gigapixel in Galleria Nazionale dell’Umbria
di Eleonora Ligas, Luca Ponzio, Anna Umattino
Fig. 1 - Digitalizzazione FlyBy-O, Polittico di San Francesco al prato, Taddeo di Bartolo. Galleria Nazionale dell’Umbria.
Gigapixel, 3D e indagini diagnostiche:
parole chiave per
narrare l’ambizioso progetto
di digitalizzazione messo
in campo dalla Galleria
Nazionale dell’Umbria, con
la collaborazione di Haltadefinizione,
in occasione
del riallestimento del museo
perugino.
Conservare, valorizzare, divulgare, tutelare la memoria del
passato per trasmetterla in una nuova forma, sono solo alcune
delle opportunità che oggi l’evoluzione tecnologica applicata
ai beni culturali offre ai musei e agli enti preposti alla conservazione.
Copie digitali di opere d’arte, cloni fisici ottenuti attraverso
la mappatura e la stampa 3D sono i nuovi strumenti su cui possono
contare le realtà museali per valorizzare le loro collezioni.
Le nuove modalità di fruizione permettono infatti di proporre l’opera
attraverso strumenti in grado non solo di accrescere l’esperienza
dal vivo all’interno di un percorso museale, ma anche di essere utili
per la comunicazione e la divulgazione online, per supportare le
attività di restauro o per dare vita a esperienze immersive.
Il riallestimento della Galleria Nazionale dell’Umbria è un eccellente
‘caso’ per indagare la relazione tra arte e tecnologia.
Accanto ai lavori, la Direzione ha scelto di condurre una ambiziosa
campagna di digitalizzazione su cento opere d’arte tra dipinti,
statue, sculture, pale d’altare e arredi, affidata ad Haltadefinizione,
tech company della casa editrice Franco Cosimo Panini S.p.a.,
specializzata nell’acquisizione di beni culturali con tecnologie in-
14 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 15
novative.
Tra i capolavori selezionati vi sono importanti
opere del Medioevo e del Rinascimento di artisti
quali Arnolfo di Cambio, Nicola e Giovanni Pisano,
Duccio, Gentile da Fabriano, Beato Angelico,
Benozzo Gozzoli, Giovanni Boccati e Piero della
Francesca e artisti umbri tra cui Benedetto Bonfigli,
Bartolomeo Caporali, Fiorenzo di Lorenzo,
Perugino, Pinturicchio e ai loro allievi e seguaci.
UN NUOVO MODO DI VEDERE L’ARTE CON LA
TECNOLOGIA DI HALTADEFINIZIONE
Dal 2017 tech company della casa editrice Franco
Cosimo Panini, Haltadefinizione nasce nel
2004 come azienda indipendente concentrando
le proprie attività sulle immagini d’arte in altissima
definizione e sulle tecnologie di acquisizione
in gigapixel. Sin dall’inizio, infatti, si è
dedicata esclusivamente al mondo dei beni culturali
e alla loro conservazione e valorizzazione
attraverso le tecnologie digitali, al cui sviluppo
ha contribuito grazie alla collaborazione con il
partner tecnologico Memooria.
Già nel 2007, infatti, Haltadefinizione aveva pubblicato la più
grande immagine in gigapixel disponibile all’epoca, l’Ultima
Cena di Leonardo da Vinci (un’immagine da 16.1 gigapixel) –
per alcuni anni la più grande foto panoramica in gigapixel mai
pubblicata. In seguito, ha continuato a sviluppare software e
tecnologie per l’acquisizione di immagini in gigapixel, collaborando
al contempo con le più importanti istituzioni culturali
italiane e straniere, mettendo al loro servizio il know-how
via via sviluppato. Se da un lato è stato ideato un nuovo modo
di vedere le opere d’arte, allo stesso tempo Haltadefinizione
ha garantito alle istituzioni una collaborazione costante
basata sulla fornitura delle più aggiornate tecnologie per la
conservazione, la tutela e lo studio di capolavori quali il già
citato Cenacolo di Leonardo, la Cappella degli Scrovegni a Padova
o numerose opere della Pinacoteca di Brera, degli Uffizi
o delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma. Sono oltre
700 le opere digitalizzate e fruibili gratuitamente nell’image
bank, la galleria virtuale disponibile sul sito, tra cui lo
Sposalizio della Vergine o la Fornarina di Raffaello, il Bacio
di Hayez, la Nascita di Venere o la Primavera di Botticelli,
il Bacco o la Vocazione di San Matteo di Caravaggio, il Tondo
Doni di Michelangelo o l’Annunciazione e
l’Adorazione dei Magi di Leonardo, solo per
citarne alcuni.
Da sempre impegnata nell’attività di promozione
di un approccio innovativo alla valorizzazione
delle opere d’arte e dei beni culturali
attraverso la gestione di un percorso creativo
che parte dall’acquisizione digitale di
immagini in altissima definizione (gigapixel)
e 3D, per arrivare alla diffusione di contenuti
di eccezionale qualità tramite una piattaforma
software appositamente sviluppata che
permette di gestire l’incredibile risoluzione
delle immagini digitali.
Fig.2 - Allestimento scanner FlyBy-O presso la Galleria Nazionale dell’Umbria.
IL PROGETTO DI DIGITALIZZAZIONE DELLA
GALLERIA
NAZIONALE DELL’UMBRIA
Dal mese di marzo presso la Galleria Nazionale
dell’Umbria è in corso una intensa campagna
di digitalizzazione. L’obiettivo finale
è fornire al museo un archivio digitale di immagini
in altissima definizione per soddisfare tutte le esigenze
di valorizzazione digitale online e offline, di catalogazione, di
riproduzione, di documentazione dello stato di conservazione
e di studio. L’acquisizione digitale delle opere viene effettuata
con diversi sistemi hardware e restituita con metodi software
di elaborazione sviluppati da Haltadefinizione, i quali consentono
di raggiungere risoluzioni molto elevate, mantenendo un
ottimo livello di nitidezza, bassissimi valori di distorsione e
colori fedeli, grazie anche all’utilizzo di target cromatici specifici.
In passato queste tecnologie sono state utilizzate per i
progetti portati avanti, tra i tanti, con la Galleria degli Uffizi e
la Galleria dell’Accademia di Firenze, la Pinacoteca di Brera,
il Cenacolo Vinciano e la Pinacoteca Ambrosiana di Milano. La
stessa tecnologia è stata utilizzata per realizzare l’immagine
più grande e dettagliata esistente in altissima definizione del
Telo della Sindone, per la cui realizzazione nel 2008 la Santa
Sede ha autorizzato una apertura straordinaria del sistema di
conservazione della Reliquia.
Per pianificare ad hoc la campagna è stato fondamentale effettuare
un sopralluogo per studiare gli spazi e l’allestimento,
Fig.3 - Ripresa 3D, Arnolfo di Cambio, Figura maschile, frammento della Fontana degli assetati,
Galleria Nazionale dell’Umbria.
Fig. 4 - Modello 3D, Agostino di Duccio, Madonna con Bambino in terracotta, Galleria Nazionale dell’Umbria.
tenendo in considerazione non solo le caratteristiche delle
opere, in particolar modo le dimensioni, la presenza di vetri
conservativi, la possibilità, o talvolta l’impossibilità, di movimentare
un’opera dalla sua collocazione, ma anche gli spazi a
disposizione, le fonti di luce presenti e la necessità di operare
in modo assolutamente sicuro per le opere e per i tecnici preposti.
Un attento studio preliminare delle condizioni di lavoro
ha permesso al team di Haltadefinizione di progettare le attività
da svolgere fin nel più piccolo dettaglio, consentendo così
un’esecuzione del lavoro veloce, sicura per le opere e scarsamente
invasiva anche per la Galleria.
TECNICHE DI ACQUISIZIONE
Digitalizzazione con macchina di ripresa nodale
La tecnica nodale permette l’acquisizione di formati grandi
e piccoli da un unico punto di ripresa con risoluzioni che possono
superare i 1000 ppi a seconda del formato e prevede la
Fig. 5 e 6 - Acquisizione gigapixel, Maestro del Crocifisso di Roncione, Crocifisso di Roncione, Galleria Nazionale dell’Umbria.
16 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 17
realizzazione di scatti multipli successivamente montati per
ottenere un’immagine in gigapixel. La ripresa viene effettuata
con l’utilizzo di illuminanti privati della radiazione ultravioletta,
dannosa per le opere. Questa tecnica consente
di ottenere immagini ad alta risoluzione con grande fedeltà
nella riproduzione del colore. Nel caso delle opere della
Galleria la risoluzione di acquisizione sarà di circa 600 ppi
sulla misura reale degli oggetti.
Digitalizzazione con macchina Fly By-O
La macchina Fly By-O utilizza una tecnica di ripresa automatica
a matrice, lavora in modalità orizzontale ed è utile per
riprendere dipinti, arazzi e documenti di grande dimensione
come mappe e carte di grandissimi formati che necessitano
di un appoggio orizzontale. Il carrello mobile del macchinario
orizzontale può essere esteso fino a consentire la scansione
di formati alti 150 cm e con lunghezze notevoli, come
ad esempio rotoli manoscritti o stampati su supporti eterogenei.
Anche in questo caso la zona illuminata è circoscritta
all’area fotografata, limitando al minimo l’esposizione alla
luce ed eliminando la possibilità che vi siano radiazioni termiche
causate dalle lampade. Gli illuminanti sono filtrati
in maniera da eliminare la radiazione UV. L’applicazione di
questa tecnologia viene eseguita attraverso molteplici scatti
di dettaglio successivamente ricomposti digitalmente a
formare un’unica immagine in altissima definizione del singolo
oggetto. Vengono così realizzate immagini con risoluzioni
ottiche compresa tra i 400 e i 2000 ppi calcolati sulla
misura reale dei documenti, con livelli di accuratezza e di
dettaglio molto elevati, nel rispetto dei parametri A della
ISO/TS19264-1, che consentono di fruire in maniera semplice
e rapida di immagini digitali di qualità, che permettono
un’analisi estremamente approfondita dell’oggetto ripreso.
Inoltre, il Fly By-O dispone di un modulo aggiuntivo robotizzato
per realizzare acquisizioni 3D, utile per eseguire la
fotogrammetria rapida dei dipinti.
di conservazione preventiva e alerting (semi) automatico su
situazioni di criticità.
Per l’acquisizione 3D il sistema manuale è stato affiancato,
nei casi in cui si è ritenuto più efficace, da un sistema combinato
di laser scanner e scansione a luce strutturata, la nuova
frontiera degli scanner 3D ibridi portatili a luce strutturata che
combinano le migliori tecnologie di scansione 3D e diverse sorgenti
luminose.
DOCUMENTAZIONE PER FINALITÀ DIAGNOSTICHE
Il Fly By-O e il sistema nodale dispongono di un modulo aggiuntivo
per realizzare acquisizioni diagnostiche con UV e IR.
La ripresa con fluorescenza visibile indotta da radiazione UV
(365 nm) con illuminazione led con spettro di emissione 365-
370 nm, fornisce la possibilità di osservare il comportamento
degli strati più superficiali dell’opera (vernici, strati filmogeni
protettivi) e il riconoscimento di alcuni pigmenti, leganti, adesivi
e prodotti di restauro. Nel caso di opere di tipo cartaceo
può aiutare a distinguere eventuali pattern di deterioramento
e per la migliore lettura delle aree in cui l’inchiostro risulta
sbiadito, prezioso aiuto in fase di restauri digitali dei documenti.
Attraverso la riflettografia del vicino infrarosso (780 - 950 nm)
è possibile descrivere contestualmente elementi della pellicola
pittorica e appartenenti a porzioni stratigraficamente inferiori
come, ad esempio, il disegno preparatorio realizzato con
materiali carboniosi sulla preparazione.
Nel caso della campagna di digitalizzazione presso la Galleria
Digitalizzazione Pano 360
Nelle due sale della Galleria in cui sono presenti affreschi
sono state utilizzate tecniche di ripresa su testa nodale in
grado di acquisire l’intera stanza a 360°, che successivamente
potrà essere fruita con visori appositi.
Attraverso i visori sarà possibile ammirare gli affreschi nella
loro collocazione originaria con un visore multimediale a
360° che consentirà di ingrandire l’immagine decine di volte
senza mai perdere definizione.
Digitalizzazione 3D
Nel caso di statue e arredi sono state utilizzate tecniche di
ripresa fotogrammetriche manuali macro per l’acquisizione
3D. I risultati saranno modelli tridimensionali sotto forma di
mesh colorate .obj con risoluzione fino a 0,5mm. L’acquisizione
fotogrammetrica prevede la realizzazione di una rete
di fotografie del soggetto, acquisite da più punti di vista,
che permettono così di effettuare una triangolazione spaziale
degli elementi ripresi. Tale triangolazione permette di
rappresentare una nuvola di punti aventi coordinate spaziali
(X, Y, Z) e cromatiche (L, A, B) accurate, metriche e confrontabili
nel tempo.
La scansione fotogrammetrica, pertanto, è particolarmente
efficace nella riproduzione affidabile del colore per ogni
punto nello spazio e permette di ottenere una immagine
metrica ortorettificata (senza distorsioni prospettiche)
dell’opera.
Tali dati saranno particolarmente utili per indagini di tipo
conservativo e monitoraggio periodico dello stato di conservazione
del bene, e consentiranno la definizione di politiche
Nazionale dell’Umbria sono stati valutati i singoli scenari e per
alcune opere si è proceduto con l’esecuzione di analisi diagnostiche
focalizzate solo su alcune zone e non sull’intera opera.
Tra le opere oggetto di indagine possono essere citati il Polittico
dei Domenicani di Beato Angelico, la Pala della Sapienza
Nuova di Benozzo Gozzoli.
LA RESTITUZIONE DEI CAPOLAVORI IN DIGITALE
I capolavori digitalizzati saranno restituiti alla Galleria Nazionale
dell’Umbria attraverso la piattaforma evoluta per la gestione
delle immagini (Coosmo) di Haltadefinizione.
Dal momento che le immagini gigapixel sono costituite da file
di grandissime dimensioni, misurabili nell’ordine di decine di
Gigabyte, la piattaforma online appositamente sviluppata agevola
la gestione e la fruizione dei file stessi.
La piattaforma includerà l’accesso riservato per l’Ente alle
proprie opere in gigapixel con visualizzazione in tempo reale
dell’immagine, un’infrastruttura in grado di erogare le immagini
gigapixel e 360 verso terzi (ad esempio il sito della Gallerie
Nazionale dell’Umbria) in modo facile e veloce, senza che sia
necessario disporre di server particolari o di una banda particolarmente
potente per la trasmissione dei dati.
Le immagini inoltre possono essere protette con filigrana visibile,
personalizzabile e multilivello per garantire la massima
protezione del contenuto, o con filigrana invisibile attraverso
un algoritmo che inserisce nell’immagine un codice invisibile e
rintracciabile successivamente sui file digitali.
CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI
Durante questi mesi tre set up hanno lavorato contemporaneamente
per portare avanti nel più breve tempo possibile la
campagna di acquisizione che ha interessato cento opere della
Galleria Nazionale dell’Umbria, un progetto che sintetizza
perfettamente come le tecnologie sviluppate da Haltadefinizione
possono essere applicate agilmente a qualsiasi tipologia
di opera d’arte ottenendo la massima qualità possibile. Le tecniche
di acquisizione fotografica adottate sono state validate
dall’Istituto Centrale per il Restauro, il quale ha constatato
la completa non invasività e dannosità per gli oggetti fotografati,
una garanzia molto importante per i musei e gli enti che
decidano di intraprendere un percorso di digitalizzazione di
singole opere o di intere collezioni. Il ramo ricerca e sviluppo
di Haltadefinizione è costantemente impegnato nella studio
e nella progettazione di nuove tecnologie custom applicabili
all’acquisizione e alla fruizione di immagini di altissima qualità,
sia con tecnologia gigapixel che 3D, per garantire risultati
eccellenti in ogni condizione di ripresa.
Per quanto riguarda l'archiviazione dei fotogrammi i metadati
associati alle immagini sono compatibili con le specifiche ICCD
OA/O3.
Abstract
The rennovation of the National Gallery of Umbria is an excellent case study
of the relationship between art and technology. Beside the construction work,
Haltadefinizione conducted an ambitious digitization project involving more
than one hundred works of art, including paintings, statues, altarpieces and
furnishings. Ultra-high definition 3D digitization delivers a digital archive to
the museum, which supports enhanced uses online and offline, including cataloging,
reproductions, documentation of conservation status and scholarship.
Parole Chiave
Musei; digitale; tecnologie beni culturali; tutela; gigapixel
Autore
Eleonora Ligas, Storica dell’arte
eleonora.ligas@haltadefinizione.com
Luca Ponzio, Fondatore di Haltadefinizione
luca.ponzio@haltadefinizione.com
Anna Umattino, Conservation scientist
18 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
MUSEI
Riqualificazione del Museo Dante
a Ravenna in chiave tecnologica
di Touchwindow
Il museo è un luogo del tempo nel
tempo, dove l’interattività e la multimedialità
si uniscono al prestigio di
reperti storici di inestimabile valore.
Proiezioni immersive e nuovi applicativi
software per il Museo Dante
di Ravenna, un allestimento contemporaneo
e fruibile per consolidare la
valorizzazione della poesia di Dante.
L’Amministrazione Comunale ha affidato
il progetto per la riqualifica globale
del museo all’azienda Touchwindow
pionieri dell’innovazione digitale.
In occasione delle celebrazioni dell’anno dantesco il Comune
di Ravenna ha omaggiato l’illustre poeta con la scelta
di rinnovare e riqualificare in chiave tecnologica il Museo
Dante. Sito all’interno del complesso conventuale francescano
a pochi passi dalla tomba del poeta lo spazio che in passato
era deposito di cimeli comunali danteschi si trasforma
oggi in spazio interattivo. Richiamando le parole di Dante:
“e quindi uscimmo a riveder le stelle”,(canto XXXIV dell’Inferno,
verso 139), il comune di Ravenna ha commissionato il
totale refitting tecnologico delle sale espositive all’azienda
Touchwindow, professionisti nella creazione, progettazione,
produzione, attivazione e gestione di spazi altamente interattivi.
Un vero e proprio viaggio, lungo le diverse sale dove
vengono rivissute le opere e i giorni, la vita e la memoria del
poeta più conosciuto al mondo.
CONCEPT
Touchwindow ha reso i diversi ambienti più attrattivi per i
visitatori rivoluzionando completamente la customer experience
attraverso percorsi immersivi dagli effetti audio-visivi
e software capaci di veicolare le informazioni in modalità
interattiva. Sin dai primi incontri per la definizione del
nuovo allestimento del museo l’azienda ha individuato due
precise aree di lavoro: da un lato rendere fruibili le informazioni
storiche, artistiche e letterarie attraverso software
e strumenti audiovisivi altamente innovativi, dall’altro creare
aree immersive di forte impatto che potessero dare al
visitatore la possibilità di ripercorrere gli episodi più intensi
della vita di Dante Alighieri o di vivere la suggestiva atmosfera
dei canti della Divina Commedia. Il dipartimento grafico,
i visual artist e gli sviluppatori software hanno messo in
atto un’intensa attività di ricerca per individuare le migliori
modalità di presentazione dei contenuti sia didascalici che
grafici, focalizzandosi sull’obiettivo di sorprendere il visitatore
e coinvolgerlo nelle dinamiche di attivazione delle diverse
installazioni audiovisive, senza mai perdere di vista la
funzione divulgativa e formativa del museo. In parallelo il
dipartimento tecnico ha sviluppato materialmente la vision
dei creativi, attraverso la scelta di strumentazioni e materiali
che potessero massimizzare la resa dei contenuti e gli effetti
scenografici, integrandosi perfettamente all’estetica delle
varie sale del museo, nel totale rispetto del valore storico
dell’edificio e del progetto globale di restyling.
20 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 21
PROGETTAZIONE
L’intervento è stato inquadrato all’interno di una più ampia
opera di totale rinnovamento funzionale ed impiantistico del
museo che ha richiesto una stretta e costante collaborazione
con gli architetti, attraverso la quale sono state definite le
linee guida estetiche, gestione dell’immagine coordinata, la
rivalorizzazione di tutti i suoi spazi e la rielaborazione del
marchio del museo. L’allestimento fisico dei device e delle
strumentazioni così come i contenuti caricati sui software e le
immagini proiettate, sono stati sviluppati in totale conformità
del concept e dell’allestimento scenografico globale progettato
assieme agli architetti. Trattandosi di un edificio dall’inestimabile
valore storico l’azienda ha operato nel massimo
rispetto della struttura preesistente, minimizzando l’impatto
degli interventi sulle pareti e sui soffitti, ricercando materiali
funzionali, leggeri e flessibili. Difatti sono state create strutture
ad hoc per sostenere il peso delle installazioni, senza mai
perdere di vista l’estetica di ogni elemento. Ogni sala ha conservato
intatta la propria antica bellezza risaltata rispettosamente
dalle tecnologie di Touchwindow . Grazie all'esperienza
di system integrator e alla collaborazione con Crestron è
stato sviluppato parallelamente un capillare sistema di
controllo delle sale che tramite un touch panel permette al
personale del museo di gestire in maniera automatizzata
l’accensione e lo spegnimento di tutti i dispositivi connessi
alla rete, di controllare singolarmente ogni sala e di
scegliere la modalità di fruizione dei contenuti a seconda che
siano presenti utenti singoli o gruppi guidati. In questo modo
è possibile monitorare in maniera non invasiva ogni angolo
del museo, garantendone la tutela ed il corretto
funzionamento.
PRODUZIONE
L’ intervento ha interessato tutte le otto sale che compongono
il Museo Dante nelle quale è stato messo in campo il completo
know-how dell’azienda: dalla programmazione software alla
creazione di contenuti, dalle installazioni audiovisive al controllo
automatizzato degli ambienti. Il viaggio del visitatore
inizia nella “Sala del tempo” in cui è presente una duplice
installazione. Lungo la parete è stata realizzata una timeline
tramite la proiezione di sfere fluttuanti sulle quali sono
riportate le date più significative della vita di Dante. Grazie
ai sensori di prossimità, quando il visitatore si avvicina ad un
determinato punto della timeline, la stessa reagisce con una
vera e propria esplosione di immagini ed informazioni completata
dai relativi contenuti audio, fruibili tramite le cuffie
single-cup installate a parete.
Nella parte opposta della sala sono invece stati installati degli
schermi circolari olografici da retroproiezione sui quali il visitatore
può osservare immagini relative alla vita di Dante mentre
ascolta gli approfondimenti provenienti dalle campane sonore
che si attivano assieme alla proiezione tramite i sensori
di presenza. Nella “Sala del volto” è stata creata una proiezione
tramite video mapping su tre sculture in gesso raffiguranti
il volto di Dante, rivalorizzate diventando veri e propri display
dinamici. La parete opposta è stata adibita alla proiezione di
alcuni versi del Boccaccio, in cui vengono descritti i lineamenti
del poeta, udibili in contemporanea tramite diffusione audio.
Nella “Sala Montevideo” riccamente affrescata e custode
di alcuni preziosi cimeli, sono stati installati 4 QR-code che
reindirizzano i visitatori ad approfondimenti e dettagli inerenti
agli oggetti presenti nella sala, consultabili su smartphone e
tablet. Nella “Sala del culto”, così come all’ingresso, è stato
fatto un totale restyling dei contenuti e del software dei tavoli
interattivi preesistenti. Il software Touchviewer, tramite
la sua interfaccia intuitiva e alla sua struttura a cartelle ha
permesso di predisporre numerosi approfondimenti legati alla
presenza di Dante a Ravenna, accessibili tramite un semplice
tocco. È stato possibile inoltre creare una mappa del museo
e della città di Ravenna, sulle quali, grazie alla funzione POI
(point of interest), il visitatore può selezionare i luoghi evi-
denziati e scoprire anteprime e spunti per proseguire la visita.
Nella “Sala della fama” si offre un’esperienza immersiva
nel mondo della pop art, grazie alle proiezioni su tre pareti
verticali di locandine, francobolli e prodotti commerciali in
cui è raffigurato Dante Alighieri le quali, tramite un software
custom sviluppato ad hoc, si ingrandiscono e rimpiccioliscono
creando un effetto fortemente suggestivo. Il percorso termina
con le ultime sale dedicate alle tre cantiche della Divina Commedia,
dove la vera protagonista è la customer experience.
Grazie a una successione di schermi olografici in policarbonato
che sembrano sospesi a mezz’aria, le proiezioni dei passaggi
più significativi prendono vita e diventano tridimensionali, i
colori variano a seconda dell’angolazione e l’audio completa il
quadro creando una dimensione parallela nella quale il visitatore
ripercorre l’esperienza di Dante, incontrando i personaggi
più celebri della Divina Commedia. Circondato da immagini
e suoni suggestivi il visitatore può inoltre dedicarsi agli approfondimenti
presso le dodici postazioni di ascolto composte da
altrettanti pannelli informativi e cuffie single-cup. Il prestigioso
progetto, tracciato da un Comitato Scientifico (in base
alle convenzione del Nov.2018 stilata tra Comune di Ravenna,
Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna e Centro Dantesco
dei frati minori conventuali) ha previsto numerosi interventi,
realizzati nel massimo rispetto della struttura preesistente,
ed ha richiesto una stretta e costante collaborazione tra tutti
i professionisti coinvolti e lo staff del Comune di Ravenna,
un gruppo di lavoro composto da professionalità dell’ufficio
cultura e della Biblioteca Classense che ha realizzato l’imponente
lavoro di redazione dei testi e la selezione delle oltre
quattrocento immagini fruibili attraverso le installazioni interattive
che accompagnano i visitatori in tutte e nove le sale
del museo.
ATTIVAZIONE E MANUTENZIONE
Nell’ottica di rendere il museo un vero e proprio polo culturale
non solo per la divulgazione dell’incredibile eredità culturale
di Dante, ma anche per la valorizzazione e la promozione di
tutto l’immenso patrimonio culturale della città di Ravenna,
Touchwindow è riuscita a rappresentare il passato in chiave futuristica.
Utilizzando il potere evocativo delle immagini -come
lo stesso Dante ricorda: “Pigliare occhi, per aver la mente”
(canto XXVII del Paradiso)- e potenziandolo con strumenti tecnologici
d’avanguardia, ha permesso di creare un allestimento
coinvolgente, ipnotico, contemporaneo ed educativo in grado
22 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 23
di partecipare ai visitatori di ogni età un percorso che punta
dritto al cuore della Divina Commedia e di Dante stesso.
Museo Dante di Ravenna è un luogo del tempo nel tempo, in
cui il visitatore non può far altro che immergersi, un percorso
fisico e immaginifico vero e proprio, concepito per offrire
anche ai turisti un’esperienza emozionale ed educativa, attraverso
un progetto pensato in chiave contemporanea, dove
l’interattività e la multimedialità del nostro tempo si uniscono
al prestigio di reperti storici di inestimabile valore.
Abstract
The Municipality of Ravenna has commissioned the total technological refitting
of the exhibition rooms of the Dante Museum to the company Touchwindow,
professionals in the creation, design, production, activation and
management of highly interactive spaces. Touchwindow has made the different
environments more attractive to visitors, completely revolutionizing the
customer experience through immersive paths with audio-visual effects and
software capable of conveying information in interactive mode.
Parole Chiave
Digitalizzazione; musei; innovazione; allestimento multimediale; multimedialità;
esperienze digitali; interactive experience; parete Interattiva; multiutente;
system integrator; digital environment
Autore
Touchwindow
info@touchwindow.it -
Digital Experience & Interaction: Touchwindow
Allestimento a cura di Comune di Ravenna ai sensi della convenzione tra Comune
di Ravenna, Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna e Centro dantesco dei
frati minori conventuali.
ARCHEOLOGIA FORENSE
L'Archeologia Forense tra etica e deontologia
L’etica e la deontologia dell’archeologo forense:
tra rispetto delle norme e coscienza morale e professionale
di Pier Matteo Barone
Negli ultimi anni, sempre più spesso il professionista archeologo viene incaricato dai Tribunali
civili e penali dello svolgimento di consulenze tecniche d'ufficio (CTU) e perizie. Lo sviluppo
della professione dell’archeologo in ambito forense può essere collegato ad un principale fattore:
i magistrati si stanno rendendo conto, sempre di più, quanto la consulenza archeologica
sia assolutamente necessaria per far luce in molti casi di illeciti civili e penali.
In ambito sia civile che penale, il Giudice ha
facoltà di incaricare un professionista, un esperto
o un tecnico come suo ausiliario, quando occorre
redimere questioni tecniche complesse, svolgere
indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono
specifiche competenze tecniche, scientifiche o
artistiche (art. 221 c.p.p. e art. 61 c.p.c.).
Il ruolo dell’esperto incaricato non è solo di riferire
al Giudice, ma piuttosto di fornirgli una conoscenza
che non può possedere, una regola scientifica o una
tecnica che può essere necessaria, nel corso di un
procedimento, per accertare e/o per valutare una
situazione o una problematica.
In tale inquadramento il professionista incaricato dal
Giudice svolge un’attività in funzione del processo
e nel superiore interesse della giustizia, quindi, la
sua relazione tecnica deve essere per sua natura
neutra, non classificabile né a carico né a discarico
dell’imputato o delle parti, sottratta al potere
dispositivo delle parti e rimessa essenzialmente al
potere discrezionale del Giudice. Per tale motivo
l’ausiliario del giudice, sia in ambito civile che penale,
in sede di conferimento dell’incarico, deve prestare
giuramento “di bene e fedelmente adempiere le
funzioni affidategli al solo scopo di fare conoscere
ai giudici la verità” (art. 193 c.p.c.). Il giuramento
obbliga l’ausiliario del giudice a determinate
responsabilità ed a rispettare strettamente le norme
deontologiche e morali.
È opportuno precisare che il professionista iscritto
Fig. 1 - Alcuni requisiti essenziali che il consulente dovrebbe possedere.
24 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 25
all’albo dei Consulenti tecnici del Tribunale civile e/o
all›albo dei Periti del Tribunale penale non può rifiutarsi
di adempiere al mandato assegnato dal Giudice, (art. 63
c.p.c. e 221 c.p.p.), salvo nei casi in cui ricorrano i motivi
di astensione tassativamente previsti dalla legge (art.
51 c.p.c. e 36 c.p.p.), nel qual caso il professionista ha
l'obbligo di dichiararlo. La domanda di iscrizione ai suddetti
albi costituisce infatti una sorta di consenso preventivo del
consulente/perito ad esercitare tali funzioni.
Di seguito viene illustrata la distinzione degli incarichi
conferiti in ambito civile e penale al fine di definire
successivamente le responsabilità relative.
INCARICO AL CTU
In ambito civile il professionista incaricato dal Giudice è
definito Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU), la cui nomina è
normata principalmente dagli articoli 61 e 191 c.p.c. Il CTU
deve essere scelto tra i soggetti iscritti nell’apposito Albo
dei Consulenti tecnici istituito presso ogni Tribunale civile.
Il giudice non è tenuto in modo vincolante ad operare una
scelta esclusivamente sulla base del suddetto albo; infatti,
egli può nominare un consulente iscritto nell’albo di un
tribunale diverso rispetto a quello di causa o può scegliere
un esperto non iscritto in alcun albo.
All’udienza fissata per la raccolta del giuramento e il
conferimento dell’incarico del CTU, il giudice, oltre a
ricordare al consulente l’importanza delle funzioni e a
ricevere il giuramento di rito, assume ulteriori provvedimenti
quali: determina, insieme al CTU, la data, l’ora e il luogo
d’inizio delle operazioni peritali; espone il quesito e
delimita i poteri di indagine del consulente; autorizza il
CTU al ritiro dei fascicoli di parte ovvero copia di atti del
fascicolo d’ufficio ove ciò è necessario; assegna un termine
per la consegna della bozza di relazione tecnica alle parti
e per il deposito della relazione tecnica finale; conferisce
l’incarico al fine di esperire il tentativo di conciliazione tra
le parti; provvede sulla richiesta di proroga, ove il termine
non sia già scaduto, del termine per la nomina dei consulenti
di parte; autorizza eventuali richieste del CTU (l’uso del
mezzo proprio, la collaborazione di coadiutori, accesso a
luoghi, acconto spese, ecc.).
L’elaborazione della consulenza tecnica d’ufficio si articola
in tre fasi:
1. la relazione del CTU, in bozza ma già completa, viene
inviata alle Parti nel termine disposto dal giudice durante
l’udienza di affidamento dell’incarico;
2. le Parti trasmettono al consulente le proprie osservazioni
sulla relazione di consulenza tecnica entro l’ulteriore
termine fissato dal giudice;
3. nell’ulteriore termine assegnato dal giudice, il consulente
deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni
delle parti e una sintetica valutazione conclusiva sulle
stesse.
Quindi, il CTU, a conclusione del proprio lavoro, deve
tener conto delle osservazioni di parte dandone atto nel
corpo della relazione finale, fornendo eventuali risposte o
chiarimenti.
Una volta depositata la consulenza tecnica d’ufficio, il
Giudice non è strettamente vincolato alle conclusioni
a cui è pervenuto il CTU. Infatti, il giudice può: aderire
alle conclusioni della CTU senza particolare motivazione;
discostarsene, dando adeguata motivazione; aderire alla
CTU dandone motivazione, se la consulenza tecnica d’ufficio
non abbia dato risposta alle critiche di una consulenza
tecnica di parte.
INCARICO AL PERITO
In ambito penale, il professionista incaricato dal giudice è
definito Perito, la cui nomina è normata dagli articoli da
220 a 232 e 508 c.p.p. Il Perito deve essere scelto tra i
soggetti iscritti nell’apposito Albo dei Periti istituito presso
ogni Tribunale penale e, solo in via meramente sussidiaria,
può essere scelto tra persone particolarmente competenti
nella materia.
La perizia può essere disposta in diverse fasi del processo
penale: in incidente probatorio; in udienza preliminare; nel
giudizio abbreviato; in dibattimento; nel procedimento di
esecuzione; nel giudizio di revisione.
All’udienza fissata per il conferimento dell’incarico al
perito, il giudice, accertate le generalità del Perito, gli
chiede se si trova in una delle condizioni di incapacità o
incompatibilità previste dalla legge, lo avverte degli obblighi
e delle responsabilità previste dalla legge penale (tra cui
rispettare il segreto nello svolgimento delle operazioni
peritali) e lo invita a giurare la seguente dichiarazione:
“consapevole della responsabilità morale e giuridica che
assumo nello svolgimento dell’incarico, mi impegno ad
adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far
conoscere la verità”. Inoltre, nella stessa sede, il Giudice:
formula i quesiti, sentiti il Perito, i Consulenti tecnici di
parte, il Pubblico Ministero e i Difensori presenti; autorizza
il Perito a prendere visione degli atti, dei documenti e
delle cose prodotti dalle parti, dei quali la legge prevede
l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento; determina
che il Perito debba procedere immediatamente ai necessari
accertamenti e rispondere ai quesiti con parere messo a
verbale e/o concede un termine (del quale devono essere
avvertiti le parti e i consulenti tecnici), che non può
superare i novanta giorni e può essere prorogato dal giudice;
autorizza eventuali richieste del Perito (assistere all’esame
delle parti e all’assunzione di prove, servirsi di ausiliari di
sua fiducia, ecc.). Riguardo l’opera dei collaboratori del
Perito, la normativa indica specificatamente che essa debba
essere limitata solo allo svolgimento di attività materiali,
non implicanti apprezzamenti e valutazioni, e ad analisi di
laboratorio (art. 228 c.p.p.).
L’art. 227 c.p.p. stabilisce che il parere peritale debba
essere espresso in forma orale, con dichiarazioni raccolte
a verbale, e solo eccezionalmente mediante il deposito
di una relazione scritta. Anche se nella pratica la seconda
modalità di esplicitazione dei risultati dell’attività peritale
costituisce la regola, il deposito della relazione scritta
rimane un elemento accessorio rispetto all’esposizione orale
del parere da parte del Perito. La lettura della relazione
peritale, quindi, è disposta solo dopo l’esame orale del
Perito, che è condizione necessaria ai fini dell’acquisizione
della prova (art. 511 c.p.p.); infatti, secondo la normativa
(art. 501 c.p.p.) l’esame orale del perito in dibattimento
rientra nelle disposizioni dettate in tema di esame dei
testimoni, e il suo mancato svolgimento determina
l’inutilizzabilità della prova o per lo meno, produce una
nullità a regime intermedio per violazione dei diritti di
difesa delle parti.
APPROCCIO DEONTOLOGICO E RESPONSABILITÀ
DEL CTU E DEL PERITO
Il consulente archeologo forense deve possedere alcuni
requisiti essenziali sintetizzati nella Figura 1.
Le consulenze tecniche d’ufficio, le perizie e le operazioni
svolte dal CTU e/o dal Perito devono essere inattaccabili sul
piano della forma. Si sottolinea che il compito dell’ausiliario
del giudice non è quello di fornire valutazioni di tipo
giuridico o attribuire responsabilità, ma solo di sviluppare
gli elementi tecnici sui quali si fonderà il giudizio del
magistrato competente.
I CTU ed i Periti, nell’adempimento delle proprie funzioni,
possono incorrere in tre tipologie di responsabilità: la
responsabilità disciplinare, la responsabilità civile e la
responsabilità penale.
La responsabilità disciplinare dei consulenti tecnici e periti
viene valutata dal presidente del Tribunale e interessa i
seguenti aspetti: non aver tenuto una “condotta morale
specchiata” (riguardanti casi non necessariamente riferiti a
violazioni dell’incarico di CTU); non aver ottemperato agli
obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti (art. 19 disp. att.
c.p.c. e artt.69 e 70 disp. att. c.p.p.). Le sanzioni disciplinari
applicabili ai CTU ed ai Periti sono: l’avvertimento; la
sospensione dall’albo per un tempo non superiore a un
anno; la cancellazione dall’albo (art. 20 disp. att. c.p.c. e
art. 70 disp. att. c.p.p.).
La responsabilità civile obbliga il CTU o il Perito a risarcire i
danni arrecati alle parti a causa della propria condotta, per
violazione dei doveri di diligenza e correttezza e per infedele
o cattivo espletamento dell’incarico. Ciò trova fondamento
nell’art. 64 c.p.c. secondo il quale “il consulente tecnico
che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli
sono richiesti, è punito con l’arresto fino a un anno o con
l’ammenda fino a 10.329 euro . . .. In ogni caso è dovuto il
risarcimento dei danni causati alle parti”.
La responsabilità penale del CTU e/o del Perito è dovuta al
fatto che esso, in quanto ausiliario del giudice, riveste la
qualifica di pubblico ufficiale conforme alla definizione data
all’art. 357 c.p., secondo il quale “agli effetti della legge
penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una
pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa”.
All’ausiliare del Giudice, quindi, si applicano le fattispecie
di reato collegate a questa peculiare qualifica (es. peculato,
concussione, corruzione, abuso d’ufficio, falsità in atti sia
materiale che ideologica, ecc). In tabella 1 vengono riportate
le tipologie di reati penali maggiormente ricorrenti in tema
di CTU e perizie.
Tra i reati indicati in tabella 1, merita un approfondimento il
reato per falsa perizia, normato dall’art.373 c.p., secondo il
quale “Il perito o l’interprete, che, nominato dall’Autorità
giudiziaria dà parere o interpretazioni mendaci, o afferma
fatti non conformi al vero, soggiace alle pene stabilite
nell’articolo precedente 1 . La condanna importa, oltre
l’interdizione dai pubblici uffici, l’interdizione dalla
professione o dall’arte”.
È da sottolineare che il perito incorre nel reato di falsa
perizia quando: nasconda la sua incompetenza; nasconda
la sua incapacità naturale o legale nel redigere la perizia;
taccia sulla sua condizione di incompatibilità; non si attivi
nelle indagini necessarie; non fornisca determinati elementi
di valutazione o fornisca interpretazioni compendiate in
affermazioni non rispondenti al vero.
Generalmente, per casi in cui sia da accertare un reato
penale compiuto da un CTU o un Perito, il giudice si riserva
di nominare un proprio Perito. È naturale che il Perito
incaricato a stabilire la sussistenza di un reato penale
nell’attività, la consulenza o la perizia di un altro Perito o CTU
debba necessariamente esercitare la stessa professione del
perito indagato. Questo aspetto, particolarmente delicato,
determina la scelta da parte del Giudice di nominare come
Perito un professionista che non sia iscritto nello stesso Albo
professionale regionale del perito indagato.
CONCLUSIONI
Appare evidente come nello svolgimento di Consulenze
Tecniche d’Ufficio e Perizie, l’aspetto etico e deontologico
del tecnico incaricato sia di primaria importanza, non
solo per evitare di incorrere in “spiacevoli incidenti” che
possono minare la pratica della professione, ma anche per
poter fornire all’organo giudicante un mezzo, corretto sia
nella forma che nella sostanza, che possa essere utile alla
giustizia e quindi alla società.
La famosa “regola 702” (dedotta dalle sentenze Freye
e Daubert) afferma che un testimone esperto deve: i)
presentare fatti e dati sufficienti; ii) ricostruire gli eventi sulla
Reato Esempio di condotta Pena
Reclusione fino a 6 mesi o multa
Art.366 c.p.
Rifiuto di uffici
legalmente dovuti.
Art.328 c.p.
Omissione di atti
d’ufficio.
Art.373 c.p.
Falsa Perizia
Art.374 c.p.
Frode processuale
Il CTU/Perito non si presenta all’udienza per assumere
l’incarico e prestare il giuramento, oppure fornisce false
giustificazioni per essere sostituito.
Il CTU/Perito ritarda il deposito della relazione senza
addurre alcuna valida giustificazione; oppure si rifiuta di
adempiere all’incarico assunto senza giustificato motivo.
Il CTU/Perito fornisce dolosamente un parere falso o
afferma l’esistenza di fatti non veri e da ciò deriva una
condanna per la parte che subisce la falsità.
Il CTU/Perito modifica artificiosamente lo stato dei luoghi o
delle cose su cui si deve svolgere la consulenza.
da 30 a 516 euro.
Pena accessoria: interdizione
dall’esercizio della professione
Reclusione fino a 1 anno o multa
fino a 1.032 euro.
Pena accessoria: interdizione
dall’esercizio della professione
Reclusione da 2 a 6 anni.
Pena accessoria: interdizione
dall’esercizio della professione
Reclusione da 6 mesi a 3 anni.
Pena accessoria: interdizione
dall’esercizio della professione
Tab. 1 - Principali tipologie di reati penali ricorrenti in tema di CTU e perizie.
26 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 27
base di principi e metodi affidabili; e 3) applicare in modo
affidabile i principi e i metodi al caso. In Daubert, la Corte
non aveva ancora sottolineato il principio dell’accettazione
generale da parte della comunità scientifica, ma ha posto
l’onere su un giudice di determinare l’ammissibilità di
nuove prove sulla base della valutazione critica del giudice
dell’affidabilità dei metodi e delle procedure utilizzate
da un esperto. Questa valutazione deve essere condotta
considerando principi come la possibilità di sottoporre la
teoria o la tecnica scientifica ad un’analisi empirica per
verificarla o confutarla; l’esistenza di una revisione critica
da parte di esperti del settore; un’indicazione del margine
di errore noto o potenziale; e l’esistenza di standard relativi
all’uso della tecnica impiegata. Da quel caso, la “regola
702” è diventata un punto di riferimento per la valutazione
delle prove scientifiche. Questa sentenza ha reso i giudici
i custodi della legge e ha ribadito che essi hanno l’ultima
parola sulla validità delle conoscenze presentate al
processo. Anche se una parte riconosce di aver bisogno della
scienza per far luce su questioni particolarmente complesse
per le quali un giudice non possiede gli strumenti necessari
all’interpretazione, il giudice si riserva comunque il diritto
di decidere a chi riconoscere il titolo di scienziato.
Note
1 Art. 372 c.p. Falsa testimonianza: chiunque, deponendo come testimone innanzi all’autorità
giudiziaria o alla Corte penale internazionale afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in
tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da
due a sei anni.
Abstract
In recent years, more and more often the professional archaeologist is commissioned
by civil and criminal courts to carry out technical consultations and expert
reports. The development of the archaeological profession in the forensic field
can be linked to two main factors: the justice system is realizing, more and more,
how much the archaeological consultancy is absolutely necessary to shed light on
many cases of civil and criminal offences.
Bibliografia
Buckles, T. Crime Scene Investigation, Criminalistics, and The
Law, 2006, Cengage Learning. ISBN: 978-1401859299
Dixon, L., Gill, B. Changes in the Standards for Admitting Expert
Evidence in Federal Civil Cases Since the Daubert Decision,
RAND Institute for Civil Justice, 2002.
Morgan, R.M. Bull, P.A., Forensic geoscience and crime detection,
Minerva Med. Leg., 127, 2007, pp. 73-89.
Barone, P.M. Contestualizzare l’Archeologia Forense; Archeomatica
- Tecnologie per i Beni Culturali, Anno XII - Numero 2 Giugno 2020
Barone, P.M. Legal Consultancy in Forensic Archaeology: An Introduction
to Italian Regulations and Professional Ethics. Glob
J of Forensic Sci & Med 1(3): 2019. GJFSM.MS.ID.000511.
Barone, P.M.; Groen, W.J.M. Multidisciplinary Approaches to Forensic
Archaeology: Topics discussed During the European Meetings
on Forensic Archaeology (EMFA); Springer, 2018; ISBN 978-3-
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Di Maggio, R.M., Barone, P.M. (eds.) Geoscientists at Crime Scenes:
A Companion to Forensic Geoscience; Soil Forensics; Springer International
Publishing, 2017; ISBN 978-3-319-58047-0.
Parole chiave
Archeologia forense; Deontologia; Etica; Consulenza
Autore
Pier Matteo Barone
matteo.barone@ntu.ac.uk
Archaeology and Classics Program, The American University of Rome, Via P. Roselli,
4 – 00153 Roma, Italia
Geoscienze Forensi Italia® -Forensic Geoscience, Italy, Rome, Italy
ORCID: 0000-0002-8232-4935
(P.M. Barone)
1998 2 022
ideazione e organizzazione
27-30 ottobre 2022 Paestum ● Tabacchificio Cafasso ● Parco Archeologico Museo Basilica
12 eventi unici al mondo tutti in una Borsa
ArcheoExperience
Laboratori di Archeologia Sperimentale con le tecniche utilizzate
dall’uomo per realizzare i manufatti di uso quotidiano.
ArcheoIncoming
Spazio espositivo e Workshop in qualità di Buyer dei tour operator
specialisti del turismo archeologico per l’incoming verso le
destinazioni italiane.
ArcheoIncontri
Conferenze stampa e presentazioni di progetti culturali e di sviluppo
territoriale.
ArcheoLavoro
Orientamento post diploma e post laurea con area espositiva
dedicata alle Università e presentazione dell’offerta formativa.
ArcheoStartUp
Presentazione di neo imprese per l’innovazione nel turismo
culturale e nella valorizzazione dei beni culturali.
In collaborazione con Associazione Startup Turismo
ArcheoVirtual
Workshop e Mostra multimediale sulle applicazioni digitali e sui
progetti di archeologia virtuale.
In collaborazione con ISPC Istituto di Scienze del Patrimonio
Culturale del CNR
Conferenze
Organizzazioni Governative e di Categoria, Istituzioni ed Enti Locali,
Associazioni Culturali e Professionali si confrontano su promozione
del turismo culturale, valorizzazione, gestione e fruizione del
patrimonio.
Incontri con i Protagonisti
Il grande pubblico con i più noti Divulgatori culturali, Archeologi,
Direttori di Musei, Accademici, Giornalisti.
International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”
Il Premio alla scoperta archeologica dell’anno intitolato all’archeologo
di Palmira.
Premi “Antonella Fiammenghi”, “Paestum Mario Napoli”, “Sebastiano Tusa”
Alle personalità impegnate a favore dell’archeologia, del dialogo
interculturale, del patrimonio sommerso e ai laureati con tesi
sul turismo archeologico e sull’archeologia subacquea.
Salone Espositivo
Salone Internazionale unico al mondo delle destinazioni turisticoarcheologiche.
da giovedì 27 a sabato 29 ottobre ore 10-19 domenica 30 ottobre ore 10-13
Workshop con i Buyer europei selezionati dall’ENIT e i Buyer nazionali
di ArcheoIncoming
I Buyer incontrano gli operatori turistici dell’offerta.
sabato 29 ottobre ore 10-14 | 15-18
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REGISTRAZIONE ONLINE
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info 089.253170
info@bmta.it seguici su #BMTA2022
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DOCUMENTAZIONE
“Metal Detectors”: la tecnologia
attuale per la prospezione archeologica
di Renato Di Cesare, Marco Lisi
Il “metal detector” (in italiano, cercametalli)
è uno strumento che utilizza alcune
proprietà elettromagnetiche dei metalli
per rilevare la presenza di oggetti metallici
sepolti nel terreno.
Originariamente sviluppati per applicazioni
militari, più precisamente per
bonificare i campi minati, i cercametalli
trovano uso in molte altre applicazioni:
dalla rilevazione di armi sui passeggeri
negli aeroporti alle ricerche geologiche e
(con molte riserve) archeologiche, ovvero,
più banalmente, all’individuazione di
cavi elettrici o tubi metallici interrati o
nelle pareti di edifici.
Parlando più specificatamente di archeologia,
i cercametalli hanno svolto e svolgono tuttora
un ruolo significativo come strumento nella ricerca
di reperti archeologici sepolti. Purtroppo sono
spesso associati, soprattutto in Italia, ad una nomea
negativa, che li associa ai “tombaroli” e ad attività in
generale poco legali.
Rispettando la legislazione vigente e le regole del
buon senso e della buona creanza, questi strumenti
possono tuttavia essere un ausilio utilissimo ad una
ricerca archeologica professionalmente condotta.
Il dibattito sul loro uso è tuttavia molto acceso, non
solo in Italia. Prestigiosi quotidiani americani, come
il New York Times, sono arrivati ad esaltare l’uso dei
“metal detectors” come valido ausilio all’archeologia.
In Gran Bretagna il “metal detecting” è un hobby
diffusissimo, spesso assurto agli onori della cronaca
per ritrovamenti archeologici importanti, tanto che
si è resa necessaria una regolamentazione “ad hoc”,
gestita dal British Museum. Lo scopo è quello di evitare
gli abusi di un uso indiscriminato ed illegale dei
cercametalli, documentando al contempo i ritrovamenti
e dando loro un significato storico e scientifico.
In Italia, a parte le leggi dello Stato, che però rischiano,
con un’eccessiva semplificazione, di equiparare
hobbisti con “tombaroli”, molto dipende in pratica
dai regolamenti delle singole Regioni.
Piuttosto che entrare in una discussione di principio
sull’utilizzo dei cercametalli, lo scopo del presente
articolo vuole essere quello di descrivere da un punto
di vista prettamente tecnico la loro tecnologia,
con la convinzione che essi possano svolgere un ruolo
utile nell’ambito della prospezione archeologica del
sottosuolo.
BREVE STORIA DEL “METAL DETECTOR”
I primi esperimenti sull’uso dell’elettromagnetismo
per individuare oggetti metallici cominciarono alla
fine del diciannovesimo secolo, mentre un primo rudimentale
(e molto ingombrante) modello di “metal
detector” fu utilizzato in Francia, nel 1919, per trovare
bombe inesplose dopo la Prima Guerra Mondiale
(fig. 1).
Il moderno sviluppo dei cercametalli cominciò tuttavia
negli anni ’20, con i primi brevetti di apparati
portatili. Uno degli inventori, l’americano Shirl Herr,
prestò la sua consulenza durante il rinvenimento delle
galee romane dell’imperatore Caligola nel lago di
Nemi, nell’agosto del 1929.
28 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 29
Il merito di aver migliorato in modo decisivo le prestazioni
del “metal detector” è universalmente attribuito ad un ingegnere
polacco, Józef Stanisław Kosacki, negli anni della
Seconda Guerra mondiale.
Kosacki, ingegnere e professore, aveva resistito come ufficiale
all’invasione della Polonia da parte dei Tedeschi.
Fatto prigioniero, era riuscito a fuggire in Inghilterra, continuando
a servire come ufficiale dell’esercito polacco in
esilio. Nel 1941 egli perfezionò un suo precedente progetto
e lo offrì all’esercito inglese il quale, sotto il nome di
“Polish Mine Detector”, lo produsse immediatamente e ne
inviò cinquecento esemplari all’ Ottava Armata britannica
del generale Montgomery ad El Alamein (figure 2 e 3), per
bonificare i campi minati lasciati dalle truppe del generale
Rommel.
Durante il resto della guerra furono prodotte oltre centomila
unità del modello. Adottato anche dagli Americani, esso
fu utilizzato praticamente su tutti i fronti della guerra, in
Europa come nel Pacifico (fig. 4). Un modello molto simile
all’originale è stato utilizzato in Gran Bretagna fino al 1995.
Rimandando ad un successivo paragrafo la descrizione tecnica
del cercametalli “polacco”, vale la pena ricordare che
l’apparato funzionava a valvole ed era alimentato con batterie,
raggiungendo un peso complessivo di 14 chilogrammi.
Dagli anni ’40 ad oggi sia la ricerca che la tecnologia hanno
messo a disposizione, dei militari e dei civili, una grande
varietà di apparati basati su differenti principi fisici, con
soluzioni circuitali sempre più miniaturizzate e di avanguardia.
PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEI “METAL DETECTORS”
Limitandoci alle applicazioni civili, i “metal detectors”, nel
senso stretto del termine, trovano ampia applicazione nella
rilevazione di piccoli oggetti metallici in terreni ove è probabile
che siano presenti.
L’utilità di un metal detector è abbastanza intuitiva e con
esso è possibile effettuare delle prospezioni che mediamente
possono arrivare anche ad un metro di profondità o,
più realisticamente, intorno ai 20 ÷ 30 cm per piccole monetine
isolate o oggetti metallici di dimensioni equivalenti.
In prima analisi, da profani, tali prestazioni sembrerebbero
limitative ma, invece, sono di tutto rispetto se l’apparato
riesce a segnalare la presenza di questi oggetti in maniera
deterministica e, cioè, con una bassa probabilità di errore
e di inutili scavi.
È utile definire quali sono le caratteristiche principali che,
se soddisfatte, fanno di un apparato un oggetto professionale.
Tali caratteristiche, elencate in ordine di importanza,
sono:
• Stabilità relativa;
• Esclusione automatica del suolo o bilanciamento
automatico;
• Eliminazione automatica di oggetti da ritenere inquinanti;
• Regolazione della sensibilità;
• Discriminazione dei metalli.
Un buon metal detector deve assicurare, oltre ad una buona
sensibilità, la reiezione dell’“effetto terreno” e una discreta
stabilità della catena amplificatrice (cioè dell’elettronica)
in modo da non costringere a continui ritocchi della
stessa.
In genere i cercametalli commerciali di classe economica
attualmente disponibili in commercio sono dotati di buona
sensibilità, ma raramente sono in grado di minimizzare
in maniera significativa l’influenza negativa del suolo,
Fig. 1 - Cercametalli “portatile” usato in Francia dopo la Prima Guerra
Mondiale
non permettendo, quindi, la rilevazione di piccoli oggetti
metallici in terreni non “omogenei”. Inoltre richiedono la
massima attenzione dell’operatore per mantenere costante
la distanza della bobina di ricerca dalla superficie sottostante.
Anche i cercamine militari, utilizzati nel secondo conflitto
mondiale, erano affetti da tali problemi, ma solitamente il
loro utilizzo era orientato alla ricerca di ordigni metallici
di dimensioni molto più significative di una moneta. Eventuali
segnalazioni di “falsi bersagli” erano ovviamente ben
accette, mentre il contrario avrebbe rappresentato il “disastro”
e la probabile morte dell’operatore.
Un’altra caratteristica soddisfatta in quasi tutti i modelli
professionali, è la discriminazione della tipologia di metallo
(cioè la possibile reiezione di manufatti non “nobili”) che,
però, può considerarsi veramente efficace solo se indipendente
dalla forma, dalle dimensioni e dalla profondità di
interramento dell’oggetto.
PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO E POSSIBILI CONFIGURAZIONI
Tutte le possibili architetture di “metal detectors” si basano,
in un modo o nell’altro, sul comportamento dei materiali
metallici in presenza di un campo magnetico, fisso o
variabile nel tempo.
In particolare alcuni materiali, quali appunto il ferro (ma
anche il nickel e molti tipi di acciaio), rispondono ad un
campo magnetico esterno magnetizzandosi essi stessi, e
sono detti “ferromagnetici”. Altri, detti “diamagnetici”,
generano all’opposto un campo magnetico che si oppone al
campo magnetico esterno. Appartengono a questa categoria
molti materiali, anche non metallici, quali il rame, l’argento,
il mercurio, l’oro, il bismuto e il carbonio (negli stati
Fig. 2 - Cercametalli britannico nel deserto di El Alamein.
Fig. 3 - Mina anticarro metallica.
di diamante o di grafite). Questa distinzione dei materiali
sulla base della loro interazione con i campi magnetici (ed
elettromagnetici) è molto importante al fine di comprendere
le tecniche di ricerca.
La configurazione più antica di cercametalli è quella definita
con l’acronimo BFO (Beat Frequency Oscillation) in
relazione alla soluzione circuitale ed al principio su cui si
basa (fig. 5).
In pratica è equipaggiato con due oscillatori, di cui uno è
quello di riferimento (f1) ed è a frequenza fissa (tipicamente
stabilizzato da un quarzo), mentre l’altro (f2) è basato su
un circuito LC (Induttanza/Capacità).
La bobina di quest’ultimo circuito è la “testa” di ricerca
ed è dimensionata in modo da ottenere una frequenza di
oscillazione poco discosta da quella di riferimento (ragione
di pochi o centinaia di Herz).
I segnali provenienti dai due generatori confluiscono in un
circuito miscelatore (mixer) in modo da ottenere il battimento
tra gli stessi ovvero la somma e la differenza delle
due frequenze.
Un filtro passa basso, a valle del mixer, elimina il segnale
“somma” lasciando integro l’altro che è a frequenza audio
e si manifesta come un tono continuo.
Quando vi è un metallo nelle vicinanze della testa di ricerca,
si ha una variazione dell’induttanza della bobina con
conseguente variazione della frequenza di oscillazione e,
quindi, del tono audio che amplificato giunge sulle cuffie
dell’operatore.
Questa configurazione è di facile progettazione e realizzazione
ma, per contro, è caratterizzata da una eccessiva
influenza degli effetti del suolo. Infatti il suolo, che è
un miscuglio disomogeneo di materiali con caratteristiche
dielettriche differenti, causa una variazione dei parametri
elettrici della bobina di ricerca, e le immancabili variazioni
di quota di questa generano continue variazioni di frequenza
che, seppur piccole, rendono il sistema poco efficace.
Le caratteristiche di un cercametalli in configurazione BFO
possono essere così riassunte:
• Stabilità: buona
• Esclusione automatica del suolo o bilanciamento
automatico: difficile
• Eliminazione automatica di oggetti inquinanti:
improbabile
• Regolazione della sensibilità: buona
• Discriminazione dei metalli: possibile
Il più grande progresso nella tecnologia dei cercametalli è
avvenuto con lo sviluppo della configurazione cosiddetta
“Induction Balanced” (fig. 6).
Il sistema è basato su due avvolgimenti (bobine), delle quali
una agisce come trasmettitore, l’altra come ricevitore. Esse
possono lavorare in un intervallo di frequenze fra i 3 ed i
100 kHz.
Quando un oggetto metallico sepolto viene eccitato dal
campo elettromagnetico della bobina trasmittente, si generano
in esso correnti indotte che vengono rivelate dalla
bobina ricevente.
Questa configurazione permette di discriminare fra differenti
metalli, contando sul fatto che ogni metallo ha una
sua caratteristica risposta alle correnti alternate. In particolare
le frequenze più basse (Very long Frequencies, VLF)
penetrano più in profondità e sono adatte a materiali ad
alta conducibilità come l’oro, l’argento ed il rame, mentre
frequenze più alte, sebbene meno penetranti, sono più sensibili
a materiali meno conducibili, come il ferro (purtroppo,
anche ai terreni molto mineralizzati).
Per poter ottenere una buona eliminazione degli effetti del
terreno, compresi quelli dell’acqua salata, si può utilizzare
una configurazione di cercametalli molto più avanzata (e
Fig. 4 - Cercamine
usato dalle
truppe statunitensi
durante la
Seconda Guerra
Mondiale
Fig. 5 - Schema a blocchi di un cercametalli a BFO.
30 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 31
complicata), definita “Pulse Induction” (PI).
Un cercametalli “Pulse Induction” ha un principio di funzionamento
che ricorda in qualche modo quello di un radar
(fig. 7).
Un generatore invia un serie di impulsi di corrente alla testa
di ricerca, producendo un intenso campo magnetico
impulsato. L’avvolgimento (bobina) nella testa di ricerca
trasmette gli impulsi verso il terreno, generando, con un
piccolo ritardo, una serie di impulsi di risposta dall’oggetto
metallico eventualmente sepolto, eccitato dal campo elettromagnetico
esterno.
I cercametalli PI superano tutte le altre configurazioni
quando si tratta d’individuare oggetti piccoli in terreni intrisi
di acqua salmastra (spiagge) o molto ricchi di minerali
metallici. Per contro, non hanno la capacità di discriminare
fra differenti tipi di metalli.
Le caratteristiche di un cercametalli “Pulse Induction” possono
essere riassunte come segue:
Fig. 6 - Schema a blocchi di un cercametalli “Induction Balanced”.
APPLICAZIONI DEI “METAL DETECTORS” NELLA
RICERCA ARCHEOLOGICA
Il primo utilizzo storicamente riportato dell’utilizzo dei cercametalli
in ambito archeologico risale al 1958 ed è quello
dello storico militare americano Don Rickey che li utilizzò
per ricostruire lo scenario della storica battaglia di Little
Big Horn. Nel Nord-America, l’uso dei “metal detectors”
come strumento di ricerca storico-archeologica è stato per
lo più rivolto alla ricostruzione di teatri di guerra e di battaglie,
con il ritrovamento di manufatti ed esse relativi.
Nel 1995 uno studio molto esteso condotto sull’uso dei cercametalli
in archeologia nel Regno Unito dimostrò che ogni
anno decine di migliaia di ritrovamenti significativi erano
dovuti a cercatori amatoriali, animati dalla passione più che
da motivazioni disoneste (fig. 8).
Lo studio concluse che, nonostante le giustificate remore
nei confronti di scavi condotti in modo non scientifico, i
vantaggi di questo “hobby” erano di gran lunga maggiori
degli aspetti negativi. Da questa conclusione scaturì il già
citato “Treasure Code of Practice” del 1996 che stabiliva
linee guida sulla reportistica, il coordinamento da parte di
musei ed archeologi professionali ed alcune regole generali
da rispettare a livello governativo.
Al giorno d’oggi gli ausili tecnici in supporto alla prospezione
archeologica non invasiva sono vari e numerosi: fotografie
aeree e immagini da satellite, georadar (“ground
penetrating radar”), magnetometria, mappatura della conducibilità
del suolo. Anche i “metal detectors” di per sé
sono strumenti non invasivi: l’ostilità nei loro confronti è
principalmente dovuta all’abuso che se ne fa, da parte di
persone senza scrupoli ovvero prive di sensibilità culturale
nei confronti del patrimonio storico.
A loro merito si deve ascrivere il fatto che sono relativamente
economici e facili da usare. Se usati in maniera controllata
e sistematica, possono costituire un valido aiuto
alla ricerca archeologica, soprattutto nell’identificazione
di nuovi siti d’interesse e nella loro delimitazione.
Ancora una volta, si può dire che non è lo strumento ad
essere di per sé cattivo, ma è l’uso sbagliato che se ne fa a
renderlo tale.
• Stabilità: buona
• Esclusione automatica del suolo: ottima
• Eliminazione automatica di oggetti inquinanti: buona
• Regolazione della sensibilità: buona
• Discriminazione dei metalli: difficile
Tutte le configurazioni finora esposte si avvalgono negli ultimi
anni delle più moderne tecnologie elettroniche, quali
il processamento digitale dei segnali (“digital Signal Processing”,
DSP) e la localizzazione GNSS/GPS, utile quest’ultima
a memorizzare l’esatta posizione di possibili manufatti
interrati.
Fig. 7 - Schema a blocchi di un cercametalli “pulse induction”
Fig. 8 - Vaso di terracotta trovato da un cercatore amatoriale nel Somerset,
in Inghilterra. Il vaso conteneva più di cinquantamila monete romane
del terzo secolo dopo Cristo.
Abstract
The "metal detector" is an instrument that uses some electromagnetic properties
of metals to detect the presence of metal objects buried in the ground.
Originally developed for military applications, more precisely to clear minefields,
metal detectors find use in many other applications: from the detection
of weapons on passengers in airports to geological and (with many
reserves) archaeological research, or, more simply, to the identification of
electrical cables or metal pipes underground or in the walls of buildings.
Parole Chiave
Metal detectors; archeologia; tecnologia;
prospezione archeologica; ricerca
Autore
Marco Lisi, ingmarcolisi@gmail.com
Renato di Cesare, alphagrby9@gmail.com
AZIENDE E PRODOTTI
CULTURAL HERITAGE –
NEXTGEN: INNOVATIVE AP-
PROACHES IN DOCUMENTA-
TION, RESEARCH, MANA-
GEMENT AND EDUCATION
This year's International
Conference on Cultural Heritage
and New Technologies
will be titled Cultural
Heritage – NextGen: Innovative Approaches in Documentation,
Research, Management and Education.
50 years after the adoption of the UNESCO World Heritage
Convention, the protection of World Heritage
seems to be at a crossroads. While awareness of the
value of universal Cultural Heritage has raised considerably
and the number of sites enlisted at UNESCO
has been growing steadily, so has the pressure under
which global Cultural Heritage has found itself.
In 2008, UNESCO published a list with 14 categories
and many subcategories of threats to Cultural Heritage.
The threats range from war and crisis, weather
and climate change impact, natural disasters,
encroaching development, resource extraction, illegal
activities as well as management issues, such as
shortage of funding and/or skilled labor. Given the
challenges outlined above, there is an active process
of rethinking the policies to protect Cultural
Heritage in general, taking place within and between
political institutions, scientific communities and
civic society around the world.
We believe that technology can make a difference
and help to protect, research and valorize Cultural
Heritage in a sustainable way and to thereby
preserve it for the next generation. Technological
innovations enable the investigation of cultural heritage
assets following minimally invasive approaches,
they allow the wide dissemination of research
outcomes and the promotion of Cultural Heritage
to a broad audience, even during a global pandemic
that seriously affected free movement. Digital
technology and the scientific communities around it
provide research tools, knowledge and educational
opportunities to a practically unlimited audience,
thereby making Cultural Heritage more inclusive
and accessible. This increases the potential of Cultural
Heritage to contribute to the shaping of identities
and social cohesion of communities around the
world. Finally, technology offers the means for the
rapid documentation of the state of Cultural Heritage
assets and the monitoring of potential alterations
over time. It can, therefore, support management,
decision-making, restoration and conservation actions
for a sustainable Cultural Heritage around the
world.
case and discuss new research, exchange experiences
and ideas and to build an ever-growing community
around these topics. Since CHNT 26, 2021, the conference
on Cultural Heritage and New Technologies is
being organised by the CITY of Vienna (Department 7 –
Cultural Affairs) together with CHNT-ICOMOS Austria, a
sister association of the Austrian National Committee
of ICOMOS. With the upcoming conference we want to
contribute to the ongoing discussions by again bringing
together cultural heritage professionals, decision
makers, tech enthusiasts and other stakeholders with
a strong interest in the application of new technologies
in the field of cultural heritage.
The organizing committee invites all interested participant
and invites to submit the following contributions
by 27 June:
4 papers
4 short papers
4 posters
4 apps
Please find the Call for Papers here: https://chnt.at/
call-for-papers/
Publication formats for the Proceedings of CHNT 27 I
2022:
Presenters and session chairs who participated in
CHNT 27 have the possibility to publish their contributions
in the proceedings of the conference. From 2019
on, the proceedings of the Conference on Cultural Heritage
and New Technologies are being published as an
e-book series on propylaeum, the information service
for the classics in Heidelberg. The book and all of its
papers will be available permanently with persistent
identifiers (doi). The papers or the whole book will be
available there in open access under a creative commons
license. There are two formats for publishing in
the proceedings: Papers and short papers.
The first fixed sessions and round tables can be found
in the conference programme: https://chnt.at/programme/
CHNT-ICOMOS Austria
info@chnt.at
www.chnt.at
The Conference on Cultural Heritage and New
Technologies (CHNT) provides a platform to show-
32 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 33
Tecnologie per i Beni Culturali 33
SPOT IL QUADRUPEDE MECCANICO
MONITORA L’ANTICA POMPEI
Nell’antica Pompei un bizzarro quadrupede
meccanico avanza con agilità
e autonomia. È lo SPOT di Boston
Dynamics - sviluppato dall’azienda
americana di robotica Boston Dynamics
- un robot che cammina su diversi
tipi di terreni e monitora le
rovine del sito archeologico. SPOT,
equipaggiato in due modalità rispettivamente
con Leica BLKARC e con il
sensore Spot CAM+, ispeziona luoghi
anche di piccole dimensioni in tutta
sicurezza, acquisisce e registra dati
utili allo studio e alla progettazione
di interventi.
Per queste attività il Parco si sta
avvalendo della collaborazione di
aziende di Information Technology in
continua ricerca e innovazione, come
Leica Geosystems (part of Hexagon)
e Sprint Reply, società del Gruppo
Reply specializzata in robotica e process
automation. In questa prima fase
di sperimentazione è stato utilizzato
anche il Leica BLK2FLY, il primo laser
scanner volante in grado di effettuare
scansioni 3D in autonomia. Queste
piattaforme intelligenti per l’analisi
dei dati, come quella realizzata da
Sprint Reply, sono la necessaria base
per rendere i dati, acquisiti durante
le ispezioni dei robot, fruibili e utili
per le applicazioni del parco archeologico
di Pompei.
Parco Archeolgico di Pompei
“I progressi tecnologici nel mondo
della robotica, dell’intelligenza artificiale
e dei sistemi cosiddetti autonomi,
hanno prodotto soluzioni e
innovazioni più facilmente associate
al mondo industriale e manifatturiero,
che finora non avevano trovato
applicazione all’interno dei siti archeologici
a causa dell’eterogeneità
delle condizioni ambientali, dell’estensione
del sito”, dichiara il direttore
generale, Gabriel Zuchtriegel.
L'obiettivo, hanno aggiunto, è quello
di “migliorare sia la qualità del monitoraggio
delle aree esistenti, sia di
approfondire la nostra conoscenza
dello stato di avanzamento dei lavori
nelle aree in fase di recupero o ripristino,
e quindi gestire la messa in
sicurezza del sito, così come quella
dei lavoratori”.
STONEX CUBE-3D – SOFTWARE
DI FOTOGRAMMETRIA ED ELA-
BORAZIONE DATI 3D
Cube-3d è un software di Fotogrammetria,
per la mappatura
e l'elaborazione di immagini aeree,
dedicato agli specialisti del
rilevamento del territorio. È in
grado di trasformare con estrema
precisione le immagini rilevate,
creando mappe digitali altamente
accurate e modelli 3D.
Il programma può importare i rilievi
Cube-a ed è completamente
compatibile con le scansioni
registrate Stonex e con qualsiasi
“Nuvola di punti” di terze parti.
È possibile disegnare su nuvole
di punti o mesh e unire i dati
importati da strumenti di rilievo
tradizionali, il tutto in un unico
software. I dati possono poi essere
elaborati e migliorati grazie
ai vari strumenti CAD. Tra
le molte funzioni disponibili, le
più apprezzate sono la classificazione
automatica, l'ortofoto,
le sezioni trasversali e le linee
di profilo, il calcolo del
volume, e altro ancora.
La configurazione delle
licenze è molto flessibile,
dall'abbonamento
perpetuo a quello temporaneo,
ogni esigenza
può essere soddisfatta.
Generatore di punti 3D
e modelli digitali
Il programma può elaborare,
in un unico progetto,
immagini catturate da qualsiasi
fotocamera manuale, drone
UAV o fotocamera multipla, e
creare modelli 3D ad alta definizione,
estremamente accurati e
dettagliati.
Vasta gamma di opzioni di importazione
Senza selezionare un sistema di
riferimento o inserire dettagli
sui formati utilizzati, Cube-3d
può ricevere dati direttamente
da Cube-a, con le impostazioni
definite in quest'ultimo, e utilizzarli,
per esempio, come punto
di controllo per la georeferenziazione
dei modelli.
È possibile importare nuvole di
punti da lidar, laser scanner, e
senza limitazioni, da qualsiasi
strumento in grado di generarle.
Orientamento infallibile
Cube-3d rileva automaticamente
sia i GCP che i punti di dettaglio,
permettendo all'operatore
di controllare la posizione dei
target rilevati, nella prima fase
dell'orientamento.
REALIZZAZIONE DEL DIGITAL TWIN DELLA STATUA
DEL SAN GIUSEPPE DI MACERATA
Nuove tecnologie e nuovi metodi di rappresentazione
portano alla nascita della 4Dservice guidata
dall’ingegnere Carlo Muffato, libero professionista
specializzato in rilievi laser scanner, fotogrammetria
terrestre ed aerea, modellazione 3d, rendering,
tour virtuali e BIM. Nel 2021 l’artista Madrileno Jesus
Arevalo Jimenez, specializzato nella scultura in
legno e operante principalmente in Spagna, Regno
Unito (County Hall, Londra) e Israele (Domus Galilaeae
International Center), aveva realizzato per il
Seminario Diocesano Redemptoris Mater di Macerata
la statua del San Giuseppe.
La caratteristica principale delle opere dell’artista è
l’intaglio di pezzi direttamente su grandi tronchi di
cedro, l'intaglio diretto su tronchi d'albero e blocchi
di pietra, attivando e sviluppando enormemente la
naturalezza dell'arte sacra attraverso la composizione
scultorea ottenuta anche dai frammenti più minuti
e riconnettendo la stratificazione dei materiali
prelevati nei due emisferi. Insieme alla modellazione
degli agenti naturali, la memoria dell'evoluzione
conservata nei materiali della ricerca dell'artista è
fondamentale per l'evoluzione umana, incalcolabilmente
anteriore all'uomo stesso.
Il 7 febbraio 2022 il Vice Rettore del Seminario ha
affidato l’incarico di svolgere la scansione della statua
per creare un file.stl alla 4Dservice.Il lavoro si
è basato principalmente sulla realizzazione di un
digital twin modello 3d fedele all’originale - della
statua del S. Giuseppe. La statua in legno alta
1.92 m, raffigura il S. Giuseppe che regge con la
mano destra il Gesù bambino
e con la mano sinistra un
bastone. Per la scansione è
stata utilizzata la tecnica
della fotogrammetria digitale
e per evitare errori di
modellazione il bastone è
stato rimosso per essere poi
modellato successivamente.
Nella prima fase sono state
scattate numerose foto da
angolazioni diverse della
statua e la creazione di un
set di luci che ha permesso
una perfetta ed omogenea
illuminazione da tutti i lati.
Successivamente sono stati
posizionati dei punti di riferimento
(target) intorno
all’oggetto, con lo scopo di
avere nelle foto dei punti
riconoscibili, risultati utili in una fase successiva, ovvero
per scalare il modello in maniera precisa.
La seconda fase si è basata sul processo di ricostruzione
ed elaborazione tramite il software Reality Capture,
che, in automatico, ha generato nuvole di punti
delle varie porzioni della statua. Tali porzioni sono state
unite in seguito tra loro tramite punti omologhi impostati
dall’operatore per avere un unico modello sul
quale calcolare la mesh, ovvero un insieme di poligoni
che formano il modello 3D.
L’oggetto virtuale così ottenuto è stato quindi “semplificato”,
riducendone i vertici eccessivi e poi ottimizzato
per la stampa 3D, chiudendo tutti i buchi eventualmente
presenti nella mesh e rimodellando aree dove
la fotogrammetria non è riuscita a creare superfici (ad
esempio il buco nella mano che teneva il bastone).
La fase finale è stata quella della texturizzazione,
dove al modello sono stati applicati i materiali per una
resa fotorealistica. Tale processo ha reso possibile la
fedele riproduzione dell’oggetto, permettendone poi
la stampa in 3D.
34 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
XXIV TH
CONGRESS OF THE INTERNATIONAL SOCIETY
FOR PHOTOGRAMMETRY AND REMOTE SENSING
NICE, FRANCE
6 - 11 JUNE 2022
Don't miss the major meeting of
the Geospatial Community
www.isprs2022-nice .com
PLATINUM GOLD SILVER BRONZE
AGORÀ
Il progetto VADUS: un metaforico
guado verso i beni culturali difficilmente
raggiungibili – Il progetto VA-
DUS (Virtual Access and Digitization
for Unreachable Sites), il cui acronimo
significa guado, ha come obiettivo
primario quello di offrire ai turisti
la possibilità di fruire di beni culturali
non facilmente raggiungibili mediante
l’utilizzo di un metaforico passaggio
sicuro di natura virtuale atto a superare
le difficoltà legate al loro accesso
fisico (per guerre e ostacoli ambientali)
e alla loro completa e facile comprensibilità
creata da una mancanza
di parti significative del bene stesso
(disperse, allocate in altre strutture e
contesti, evidenziabili solo con strumentazione
scientifica dedicata).
Tale obiettivo è raggiunto da VADUS attraverso
la creazione di un servizio SaaS
(Software as a Service) pre-commerciale
che, sfruttando la convergenza tra
5G, infrastruttura Cloud e asset satellitari,
possa offrire una nuova esperienza
di fruizione dei beni culturali in realtà
virtuale; quest’ultima sarà infatti non
solo basata su modelli 3D accurati e ad
alta definizione, ma anche arricchita
da informazioni multimediali in grado
di rivelare anche gli aspetti più nascosti
e segreti delle opere d’arte grazie ad
un utilizzo, opportunamente filtrato
ed elaborato, di risultati provenienti
da ricostruzioni fotogrammetriche
e modellazioni digitali, da storytelling
accattivanti con strati informativi
scientificamente corretti e da tecnologie
diagnostiche strumentali basate
su RGB & IR - ITR (Red Green Blue &
Infrared Imaging Topological Radar) LIF
(Laser Induced Fluorescense). In particolare,
queste ultime permetteranno
rispettivamente di produrre modelli
puntiformi di natura colorimetrica, rilevare
particolari nascosti che non sono
direttamente visibili ad occhio nudo,
nonché di individuare la natura dei materiali
utilizzati.
Gli elementi caratterizzanti il progetto
VADUS risiedono nei seguenti aspetti:
4 Utilizzo di servizi Satellitari (Galileo
e EO) per supportare la mobilità
del turista nei siti visitati.
4 Utilizzo di strumenti diagnostici
nel campo del patrimonio culturale,
sviluppati per azioni di conservazione
e restauro, al fine di
ottenere informazioni aggiuntive
che possono riguardare la tipologia
dei materiali utilizzati e lo stato di
salute dell’opere.
4 Creazione modelli 3D accurati e
ad alta definizione che, oltre ad
essere impiegati nello sviluppo del
servizio offerto da VADUS, possono
essere non solo di diretto supporto
all’interpretazione storico/
archeologica e antropica dei beni
culturali, ma anche di base per
sviluppo di nuovi servizi e prodotti
(virtual tour, 360°views, HBIM, digital
twin) utilizzabili nella progettazione
di interventi e strategie di
conservazione, valorizzazione e
fruizione.
4 Implementazione di storytelling
caratterizzati da contenuti
informativi affidabili e scientificamente
corretti in quanto sviluppati
in accordo con le autorità delegate
alla fruizione, gestione e conservazione
dei beni culturali.
4 Utilizzo di piattaforme Cloud per
la storicizzazione e conservazione
dei dati e delle risorse multimediali
da condividere con la comunità
scientifica preservando la proprietà
intellettuale e l’integrità delle
risorse anche rispetto a cyber-attack.
4 Utilizzo del 5G per soddisfare contemporaneamente
molti utenti,
senza vincoli nei percorsi di vista
e di collegamenti (fisici mediante
cavo o digitali) dei devices utilizzati
a sistemi IT locali e/o a computer
grafici; a ciò si aggiunge la
disponibilità di un’ampia banda
per il trasferimento di modelli ad
alta risoluzione con assenza di latenza.
Nel quadro di riferimento suddetto, le
attività dimostrative del servizio sono
previste per la Casa di Diana ad Ostia
Antica, per l’Aula Isiaca del Palatino e
per la Fortezza del Pastiss (Museo civico
Pietro Micca di Torino); per ciascuna
di esse, in coerenza con le finalità di
valorizzazione e gestione dell’istituzione
culturale, sono state individuate
specifiche soluzioni di realtà virtuale.
Queste ultime, ricorrendo anche al
supporto di una apposita app (installabile
sui device personali e/o forniti ai
turisti), consentiranno di effettuare
e gestire la visita virtuale, all’interno
della quale saranno attivabili, in
specifici punti di interesse del sito,
elementi multimediali aggiuntivi (video,
immagini, descrizioni e audio,
ricostruzioni virtuali e oggetti 3D) con
particolari focus su specifici aspetti
storico/archeologici e sui risultati delle
tecnologie diagnostiche impiegate.
La Casa di Diana, non aperta al pubblico,
è uno dei più importanti caseggiati
ostiensi risalente alla prima metà del II
secolo d.C. ed era adibita a residenza
del ceto medio e ad attività commerciali.
Per essa lo storytelling riguarderà
i principali ambienti del piano terra,
rappresentati dal tablinium, il mitreo
con il suo vestibolo e i relativi connettivi
necessari a dare continuità alla visita
virtuale. Lo storytelling descriverà
nei corridoi di ingresso le caratteristiche
dell’edificio e della sua storia
(fasi edilizie, restauri illustrati anche
con foto d’epoca), nel tablinium i suoi
affreschi con un focus sulle misure laser
(RGB– ITR, LIF) per evidenziare i
diversi interventi di restauro e i materiali
utilizzati, nel vestibolo la sua
funzione cerimoniale e le caratteristiche
delle murature ottenute con
tecniche laser, nel Mitreo la sua storia
con un focus sugli altri mitrei di Ostia.
La Fortezza del Pastiss, posta sotto il
livello stradale (da -7 a -14 m) è visitabile
solamente dietro appuntamento
ed è caratterizzata da una accessibilità
molto difficile; il Pastiss era una casamatta
costruita tra il 1572 e il 1574
posta a protezione ravvicinata di un
bastione della Cittadella di Torino e
avrebbe dovuto far parte di un più ampio
progetto di opere di fortificazione
che però non furono portate a termine.
Il pubblico potrà fruire di una vista
virtuale per le due grandi Sale di Combattimento
del secondo livello che
fornirà uno storytelling incentrato
sulla storia del recupero del Pastiss
e dell’assedio di Torino del 1706 non
solo attraverso strati informativi liberamente
attivabili, ma anche con la
36 36 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali
37
virtualizzazione dei dipinti custoditi
nel Museo Micca che permetteranno
di accedere a diversi focus di approfondimento
(da quelli descrittivi, collegabili
alle tecniche della guerra e
ai personaggi riprodotti, a quelli più
nascosti ricavati dalle analisi diagnostiche
IR-ITR e LIF).
L’Aula Isiaca, chiusa al pubblico, è un
ambiente interrato situato al di sotto
della Basilica della Domus Flavia che
faceva parte della vasta residenza di
Augusto. L’ambiente absidato era riccamente
e affrescato da pitture, databili
intorno al 30 a.C., che presentano
numerosi richiami all’Egitto e alla dea
Iside, come fiori di loto, serpenti, vasi
rituali, ghirlande di rose, che ne giustificano
l’attuale denominazione; tutti
gli affreschi sono stati rimossi per ragioni
conservative e sono conservati nel
vicino Antiquarium. In questo la visita
prevede il riposizionamento virtuale
degli affreschi all’interno dell’Aula
Isiaca per permettere una completa ricontestualizzazione
degli ambienti con
uno storytelling riguardante la storia
del complesso e la presentazione dei
risultati derivanti dalle misure laser
(RGB– ITR, LIF).
Il Progetto VADUS è cofinanziato da ESA
(European Space Agency) nell’ambito
della call ARTES 20 Applications integrating
space asset(s) and 5G networks
in L’Aquila /the Abruzzo region, Roma
Capitale and Municipality of Torino
(L’ART), con focus Cultural Heritage:
Fruition & Diffusion. Il Consorzio esecutore
è guidato da NEXT Ingegneria
dei Sistemi e vede la partecipazione di
TIM, ENEA, dell’Università di Roma La
Sapienza, con il Centro interdipartimentale
CITERA e il Dipartimento DIAG,
e dei Parchi Archeologici del Colosseo
e di Ostia Antica. In particolare, ENEA
effettuerà i rilievi strumentali, mediante
le suddette tecniche laser, di parti
significative dei siti (i.e. affreschi,
pitture, quadri) per fornire, dopo opportuna
rielaborazione informazioni di
natura scientifica e conservativa (i.e.
spettri, immagini, 3D, report); Citera
effettuerà mediante tecniche fotogrammetriche
e di computer design
l’implementazione di accurati modelli
3D dei siti e di ricostruzione di eventuali
parti mancanti, e si occuperà, con
il contributo dei parchi archeologici
di Ostia Antica e Colosseo, nonché di
stakeholder istituzionali, della realizzazione
degli storytelling con i relativi layer
informativi di natura scientifica
(provenienti principalmente da ENEA)
e storico/archeologica. Next provvederà
allo sviluppo della piattaforma
e della sua componente applicativa
verso i device dei turisti utilizzando
sia l’infrastruttura 5G messa a disposizione
da TIM, ottimizzata secondo
le indicazioni fornite dal DIAG, sia i
modelli 3D e gli storytelling sviluppati
dagli altri partner. Attualmente il
progetto è nella fase di preparazione
all’esecuzione dei test preliminari di
verifica in house del sistema proposto
con il modello 3D e i materiali multimediali
relativi alla Casa di Diana; a
valle della validazione del sistema e
delle relative analisi dei risultati ottenuti,
si procederà alle necessarie
calibrazioni e perfezionamento del
servizio, che saranno seguite dalle
attività di dimostrazione nei siti previsti
con i turisti e gli stakeholders. Il
sito ufficiale del progetto può essere
raggiunto in:
https://business.esa.int/projects/vadus
Ultra-high acoustic remote sensing
nel parco sommerso di Baia
– Prosegue l’accordo operativo tra il
Parco Archeologico dei Campi Flegrei
(PAFLEG) e la sede CNR ISPC di Napoli
che contempla l’utilizzo di tecniche
non invasive di telerilevamento acustico
subacqueo per il monitoraggio
e la conservazione di beni culturali
sommersi nell’Area Marina Protetta di
Baia. Dopo la campagna in mare del
2021 finalizzata all’esplorazione del
patrimonio culturale sepolto dai sedimenti
marini, la recente occasione di
studio e analisi dei resti archeologici
sommersi avvenuta grazie all’impiego
di un sonar batimetrico di ultima generazione,
ha permesso la mappatura
ad altissima risoluzione della
villa Pisoni nella cosiddetta
“zona A” dell’Area Marina
Protetta di Baia.
I dati acquisiti hanno consentito
di elaborare un modello
digitale 3D a scala centimetrica
del fondale con un dettaglio
tale da permettere di
ridisegnare parti della villa
e di valutare e monitorare
lo stato di conservazione dei
resti archeologici sommersi.
L’indagine con il sistema Norbit
Winghead® i77h è stata coordinata
da Crescenzo Violante, primo tecnologo
del CNR ISPC di Napoli e responsabile
scientifico dell’accordo operativo
con PAFLEG. L’attività è stata svolta in
collaborazione con la società norvegese
Norbit subsea e la 2B Control di
Bologna. Il fondale marino da cui affiorano
i resti della villa è stato investigato
con un ecoscandaglio multifascio
compatto, il Norbit Winghead® i77h,
che integra un sistema di posizionamento
inerziale GNSS/INS. Fin dagli
anni ‘60 il sito sommerso di Baia è
stato un luogo simbolo per la ricerca e
la sperimentazione di nuove tecniche
dell’emergente archeologia subacquea
italiana: mosaici, domus, porti
di attracco sono al momento sommersi
fino a profondità di circa 15 m.
Le nuove indagini geofisiche effettuate
nel presente studio forniscono
ulteriori strumenti per la caratterizzazione,
gestione e digitalizzazione
dei beni culturali sommersi che ben
si integrano con quelli derivati dalle
tradizionali indagini subacquee. L’elaborazione
e l’integrazione di dati rilevati
da remoto (imbarcazioni e droni
marini) permette di estrarre informazioni,
sviluppare modelli per la ricerca
archeologica e per la ricostruzione e
la conservazione dei manufatti e dei
paesaggi culturali sommersi. Il rilievo
da remoto consente, inoltre, di preservare
i beni culturali sommersi nel
contesto in cui si trovano con significative
implicazioni per la conservazione
archeologica e l’uso consapevole ed
efficiente delle risorse ambientali e
culturali. Naturalmente ogni oggetto
virtuale dovrà essere schedato con le
caratteristiche della tecnologia e le
specifiche di compatibilità alla banca
dati nazionale di documentazione.
AGORÀ
Meccanismo di Anticitera nuove ricerche
sul “computer” ellenistico
– Antikythera è un'isoletta rocciosa,
situata tra Creta e la Grecia continentale:
nei primi del 1900 un gruppo di
subacquei greci dell’ isola del Mediterraneo
orientale di Simy erano alla
ricerca di spugne naturali, quando a
causa di una tempesta persero la rotta
e fortuitamente scoprirono il relitto di
un'enorme nave che all'epoca trasportava
statue in bronzo ed in marmo.
Dopo la segnalazione alle autorità del
ritrovamento, gli archeologi lavorarono
sul relitto sino al settembre del 1901 e
presso il Museo Archeologico Nazionale
di Atene iniziarono i lavori di catalogazione
e restauro (tra le sculture recuperate:
l’Efebo di Anticitera che, con
i suoi 1,96 metri di altezza, non corrisponde
a modelli iconografici conosciuti
e secondo alcuni studiosi potrebbe
essere Perseo che tiene la testa della
Gorgone uccisa o un giovane Eracle
con il pomo delle Esperidi, per altri un
Fig. 2 - La parte anteriore e posteriore della Macchina di Antikytera,
credit: Tony Freeth, Scientific American, Gennaio 2022
Hermes erudito che declama e che tiene
in mano un caduceo. Attribuito allo
scultore Euphranor, resta un brillante
prodotto della scultura in bronzo del
Peloponneso.)
Tra i reperti che inizialmente erano
sfuggiti all'attenzione, venne individuato
un grumo delle dimensioni di un
grande dizionario, uno strano oggetto
che presentava tracce di corrosione ed
era in buona parte inglobato in calcificazioni
e sedimentazioni dovute ad animali
marini. Inizialmente costituito da
un unico blocco, si era poi frammentato
in varie parti, rivelando ruote dentate
di precisione in bronzo delle dimensioni
di una moneta, molte delle quali
con iscrizioni. Spyridon Stais nel 1902
esaminò alcuni frammenti e comprese
subito che si trattava di un meccanismo
complesso.
Era l’acme della tecnologia antica: la
macchina di Anticitera, nota anche
come il meccanismo di Antikythera -
oggi conservata nel Museo Archeologico
Nazionale di Atene, insieme ad una sua
ricostruzione riprodotta in tempi moderni
- è un oggetto composito, che
ha sconcertato gli storici della scienza
per più di centoventi anni, un vero e
proprio computer analogico. Il relitto,
a giudicare dalla ceramica facente
parte del carico, fu fatto risalire alla
cultura rodiota del I secolo a.C., secondo
le conoscenze dell'epoca, poiché
ingranaggi come questi non furono presenti
nell'antica Grecia, o in qualsiasi
altra parte del mondo, fino a molti secoli
dopo il naufragio. Il ritrovamento
generò un'interminabile controversia,
molte furono le polemiche e le supposizioni:
alcuni esperti sostenevano che
i resti appartenessero ad un planetario,
altri ad un astrolabio e
nel corso dei decenni
la massa originale fu
divisa in 82 frammenti,
lasciando ai ricercatori
un puzzle diabolicamente
difficile da ricostruire.
Oggi si possiede
una ragionevole comprensione
di alcuni dei
suoi meccanismi, ma ci
sono ancora misteri irrisolti.
Archeomatica nel
Dicembre 2017, nella
sezione International,
ha dedicato un articolo
al meccanismo di
Antikythera: “The new
findings from Antikythera
mechanism” di
Aristeidis Voulgaris, Andreas Vossinakis
e Christophoros Mouratidis, uno studio
che mira a indagare il calendario astronomico
del quadrante della piastra
frontale del suo meccanismo.
Nel Marzo 2021 una nuova analisi della
macchina dell’ UCL Antikythera Research
Team - Tony Freeth (matematico
e regista); Adam Wojcik (scienziato dei
materiali); Lindsay MacDonald (scienziato
delle immagini); Myrto Georgakopoulou
(archeometallurgista); e due
studenti laureati, David Higgon (orologiaio)
e Aris Dacanalis (fisico) - ha proposto
presso l'University College di Londra
un nuovo modello di funzionamento
degli ingranaggi sulla parte anteriore
della macchina. Lo studio è stato di
recente pubblicato - Gennaio 2022 - su
Scientific American.
I greci erano abili astronomi ad occhio
nudo, guardavano il cielo notturno da
una prospettiva geocentrica, ogni notte,
mentre la Terra girava sul suo asse,
vedevano la cupola di stelle che ruotava
e le posizioni relative delle stelle
rimanevano invariate, difatti vennero
chiamate "stelle fisse". Si resero conto
che corpi si muovevano sullo sfondo
delle stelle e gli altri corpi in movimento,
chiamati "erranti" a causa dei loro
movimenti erratici, erano i pianeti.
(Queste rotazioni sono chiamate cicli
sinodici apparentemente anomale per
gli scienziati dell’epoca e avvengono
perché i pianeti orbitano intorno al sole
e non come credevano gli antichi greci,
alla Terra.)
Tutti i corpi astronomici in movimento
hanno orbite apparentemente vicine
al piano del moto della Terra intorno
al sole, la cosiddetta eclittica, il che
significa che tutti seguono più o meno
lo stesso percorso attraverso le stelle.
Prevedere le posizioni dei pianeti lungo
l'eclittica era molto difficile per i primi
astronomi e questo compito molto
probabilmente era una delle funzioni
primarie del meccanismo di Antikythera,
insieme a quella di tracciare le posizioni
del sole e della luna, che hanno
movimenti variabili rispetto alle stelle.
Gran parte del design del meccanismo
si basa sulla saggezza degli scienziati
Babilonesi che registravano le posizioni
quotidiane dei corpi astronomici su tavolette
di argilla, rivelando che il sole,
la luna e i pianeti si muovevano in cicli
ripetuti. Il meccanismo di Antikythera
infatti utilizza diverse relazioni di periodo,
calcolo di origine babilonese.
Il filologo tedesco Albert Rehm fu il primo
a capire che 'Antikythera' era una
38 ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali
39
macchina calcolatrice. Tra il 1905 e il
1906 fece scoperte cruciali, che registrò
nei suoi appunti di ricerca senza
pubblicarle. Trovò Il numero 19 iscritto
su uno dei frammenti di Antikythera: un
chiaro riferimento alla relazione del periodo
di 19 anni della luna nota come ciclo
metonico, dal nome dell'astronomo
greco Meton, ma scoperto molto prima
dai Babilonesi. Sullo stesso frammento,
Rehm trovò i numeri 76 - un perfezionamento
greco del ciclo di 19 anni - e
223, per il numero di mesi lunari, in un
ciclo di previsione dell'eclissi babilonese
chiamato ciclo di Saros. Erano i cicli
astronomici ripetitivi che furono la forza
trainante dell'astronomia predittiva
babilonese.
La seconda figura chiave nella storia
della ricerca di Antikythera fu il fisico
britannico, diventato storico della
scienza, Derek J. de Solla Price. Nel
1974, dopo 20 anni di ricerca, pubblicò
un importante documento, "Gears from
the Greeks", con riferimento a notevoli
citazioni del giurista, oratore e politico
romano Cicerone (106-43 a.C.). Una di
questa citazioni descriveva una macchina
realizzata dal matematico e inventore
Archimede (circa 287-212 AEC), un
dispositivo che captava i divergenti movimenti
e le diverse velocità del sole,
della luna e delle cinque stelle chiamate
“vagabonde” (gli allora cinque
pianeti). La macchina descritta ricorda
proprio il meccanismo di Antikitera ed
il passaggio suggerisce che Archimede,
sebbene sia vissuto prima che il dispositivo
fosse costruito, potrebbe aver
fondato la tradizione che ha portato
alla nascita del noto meccanismo. Vi è
infatti la possibilità che il meccanismo
di Antikythera fosse basato proprio su
un progetto di Archimede. Nel De Re
Publica, nelle Tusculanae Disputationes
e nel De Natura Deorum, Cicerone aveva
fatto quindi riferimento ai planetari
in bronzo costruiti da Archimede che
mostravano la Terra, la Luna, il Sole, il
mese lunare e le eclissi, portati a Roma,
dopo il saccheggio di Siracusa e la morte
di Archimede nel 212 a.C., dal generale
romano Marco Claudio Marcello.
Per decenni i ricercatori hanno tentato
di decifrare il funzionamento del dispositivo
osservando la superficie dei suoi
frammenti disintegrati, ma all'inizio
degli anni '70 finalmente riuscirono ad
esaminare l’interno del meccanismo.
Price lavorò con il radiologo greco Charalambos
Karakalos per ottenere radiografie
dei frammenti, furono trovati 30
ingranaggi distinti: 27 nel frammento
Fig. 3 - Grafica di Tony Freeth e Jen Christiansen, Modello del UCL Antikythera Research Team.
più grande e uno ciascuno negli altri
tre. Karakalos, con sua moglie Emily,
fu in grado di stimare per la prima volta
il numero di denti degli ingranaggi,
un passaggio fondamentale per capire
cosa calcolasse il meccanismo.
Le scansioni a raggi X erano bidimensionali,
il che significava che la struttura
degli ingranaggi appariva appiattita
e in molti esiti rivelava solo immagini
parziali degli ingranaggi, ma nonostante
queste parziali deformazioni, Price,
spinto da una caratteristica prominente
sulla parte anteriore del meccanismo,
chiamata ruota motrice principale,
identificò un insieme di ingranaggi collegati:
un treno di ingranaggi che iniziava
con una ruota dentellata di 38 denti
(due volte 19, poiché un ingranaggio
con solo 19 denti sarebbe stato un po'
troppo piccolo), che ne azionava (tramite
altri ingranaggi) un altro da 127
denti (metà di 254: il numero completo
avrebbe richiesto un ingranaggio troppo
grande).
Come accennato in precedenza, sembra
che il dispositivo fosse utilizzato
per prevedere le posizioni del sole, della
luna e dei pianeti in un giorno specifico
nel passato o nel futuro. Un utente
potrebbe quindi semplicemente girare
una manovella sull'intervallo di tempo
desiderato per vedere le previsioni
astronomiche. Il meccanismo mostrava
posizioni, ad esempio, su un "quadrante
zodiacale" nella parte anteriore del
meccanismo, dove l'eclittica era divisa
in una dozzina di sezioni di 30 gradi che
rappresentavano le costellazioni dello
zodiaco. Price determinò correttamente
le posizioni relative dei principali
frammenti e definì l'architettura generale
della macchina, con quadranti della
data e dello zodiaco nella parte anteriore
e due grandi sistemi di quadrante
nella parte posteriore. I risultati di
Price furono un passo significativo nella
decodifica del mistero di Antikythera.
Una terza figura chiave nella storia della
ricerca di Antikythera è Michael Wright,
ex curatore di ingegneria meccanica al
Museo della Scienza di Londra. In collaborazione
con il professore australiano
di informatica Alan G. Bromley, Wright
svolse nel 1990 un secondo studio utilizzando
la tomografia assiale - prima
tecnica a raggi X 3-D - ma Bromley morì
prima che questo lavoro portasse i suoi
frutti. Wright continuò il suo studio facendo
importanti progressi: identificò il
numero cruciale dei denti degli ingranaggi
e comprese il quadrante superiore
sul retro del dispositivo.
Il terzo studio radiografico - pubblicato
su Nature nel 2006 - completò la comprensione
del retro del meccanismo e fu
condotto nel 2005 da un gruppo di accademici
inglesi e greci in collaborazione
con il Museo Archeologico Nazionale di
Atene. X-Tek Systems (ora di proprietà
di Nikon) sviluppò un prototipo di macchina
a raggi X per acquisire immagini a
raggi X 3D ad alta risoluzione utilizzando
la tomografia computerizzata a raggi
X microfocus (TC a raggi X). Hewlett-
Packard utilizzò una brillante tecnica di
imaging digitale, chiamata mappatura
della trama polinomiale, per migliorare
i dettagli delle superfici: i nuovi dati
furono sorprendenti. Il meccanismo
prevedeva le eclissi oltre ai moti dei
corpi astronomici; una scoperta collegata
all'iscrizione che aveva trovato
Rehm e che menzionava i 223 mesi del
ciclo di eclissi di Saros. I nuovi raggi X
rivelarono un grande ingranaggio di 223
denti nella parte posteriore del meccanismo
atto a far girare una lancetta
intorno a un quadrante che si estende
a spirale, compiendo quattro giri in to-
AGORÀ
tale, divisi in 223 sezioni,
per 223 mesi.
Il quadrante Saros,
chiamato così come
il nome abituale del
ciclo delle eclissi
babilonesi predice
quali mesi saranno
caratterizzati da
eclissi, insieme alle
caratteristiche di
ciascuna. La scoperta
rilevò una nuova
caratteristica del dispositivo,
ma lasciò
in sospeso un enorme
problema: che
funzione avevano un gruppo di quattro ingranaggi all'interno
della circonferenza?
Dopo mesi e mesi di studio questi ingranaggi risultarono calcolare
il moto variabile della luna. La luna ha un moto variabile
perché ha un'orbita ellittica: quando è più lontano dalla
Terra, si muove più lentamente contro le stelle; quando è più
vicino, si muove più velocemente. L'orbita della luna, però,
non è fissa nello spazio: l'intera orbita ruota in poco meno di
nove anni. Gli antichi greci non conoscevano le orbite ellittiche,
ma spiegarono il sottile movimento della luna combinando
due movimenti. Wright studiò due dei quattro misteriosi
ingranaggi sul retro del meccanismo e notò che uno di
essi aveva un perno sulla faccia che si agganciava con una
fessura sull'altro ingranaggio e che gli ingranaggi ruotavano
su assi diversi separati da poco più di un millimetro, il che
significava che il sistema generava un movimento variabile.
Gli assi degli ingranaggi non sono fissi, ma sono montati in
modo epicicloidale sul grande ingranaggio da 223 denti.
Wright scartò l'idea che questi ingranaggi calcolassero il moto
variabile della luna perché nel suo modello, l'ingranaggio da
223 denti girava troppo velocemente perché avesse un senso.
Nel nuovo modello, realizzato da Tony Freeth e dal suo team,
l'ingranaggio da 223 denti ruota molto lentamente per girare
la lancetta del quadrante Saros. Calcolare la teoria epiciclica
della luna con ingranaggi epiciclici a perni e scanalature
era molto probabilmente una concezione straordinaria degli
antichi greci e rafforzerebbe l’idea che la macchina fosse
progettata da Archimede.
Fig. 4 - Ruota motrice principale del meccanismo di
Antikythera, foto scattata dal team di Archeomatica
LA PARTE ANTERIORE DEL MECCANISMO
La caratteristica più evidente della parte anteriore del frammento
più grande è la ruota motrice principale, progettata
per ruotare una volta all'anno: non è un disco piatto come
la maggior parte degli altri ingranaggi, ma ha quattro raggi
che sostengono cuscinetti e fori circolari e che servivano per
girare gli assi. Il bordo esterno dell'ingranaggio contiene un
anello di pilastri, piccole dita che si alzano perpendicolarmente,
con spalle ed estremità forate che erano chiaramente
destinate a portare piastre. Quattro pilastri corti, invece,
reggevano una piastra rettangolare e quattro pilastri lunghi
ne reggevano una circolare.
Seguendo Price, Wright propose un esteso sistema epicicloidale:
l'idea che i due cerchi che i Greci usavano per spiegare
gli strani moti inversi dei pianeti fosse stato montato sulla
ruota motrice principale. Wright costruì un vero e proprio
sistema di ingranaggi in ottone per mostrarne il funzionamento,
nel 2002 pubblicò anche un modello di planetario
innovativo per il meccanismo di Antikythera, che mostrava
tutti e cinque i pianeti conosciuti nel mondo antico (la scoperta
di Urano e Nettuno nel XVIII e XIX secolo, rispettivamente,
richiese l'avvento dei telescopi). Mostrò che le teorie
epicicliche potevano essere tradotte in treni di ingranaggi
epiciclici con meccanismi a perni e fessure per visualizzare i
movimenti variabili dei pianeti.
Il modello di Wright presentava otto uscite coassiali - tubi
tutti centrati su un singolo asse - che portavano informazioni
al display frontale del dispositivo. Era davvero plausibile che
gli antichi greci potessero costruire un sistema così avanzato?
il suo sistema di ingranaggi non corrispondeva all'economia
e all'ingegnosità dei noti treni di ingranaggi. La sfida che il
team dell’ UCL ha dovuto affrontare è stata quella di riconciliare
le uscite coassiali di Wright con le conoscenze che
avevano a disposizione sul resto del dispositivo. Un indizio
cruciale è apparso dallo studio TC a raggi X del 2005, che,
oltre a mostrare gli ingranaggi in tre dimensioni, hanno rivelato
migliaia di nuovi caratteri di testo nascosti all'interno
dei frammenti. Nelle sue note di ricerca dal 1905 al 1906,
Rehm aveva proposto che le posizioni del sole e dei pianeti
fossero visualizzate in un sistema concentrico di anelli; il
meccanismo originariamente aveva due coperchi, anteriore e
posteriore, che proteggevano i display e includevano ampie
iscrizioni. L'iscrizione sul retro, rivelata nelle scansioni del
2005, era un vero e proprio manuale utente per il dispositivo.
Nel 2016 Alexander Jones, professore di storia dell'astronomia
alla New York University, scoprì che la prova definitiva
dell'idea di Rehm era all'interno di questa iscrizione: una descrizione
dettagliata di come il sole e i pianeti siano stati
visualizzati in anelli, con perline di riferimento per mostrare
le loro posizioni.
Qualsiasi modello per il funzionamento del meccanismo dovrebbe
corrispondere a questa descrizione, una spiegazione
letteralmente iscritta sulla copertina posteriore del dispositivo
che descrive come il sole e i pianeti sono stati visualizzati.
Eppure i modelli precedenti non erano riusciti a incorporare
questo sistema ad anello a causa di un problema tecnico.
Wright aveva scoperto che il dispositivo utilizzava una sfera
semilunare per mostrare la fase della luna, che calcolava
meccanicamente sottraendo un input per il sole da un input
per la luna, ma tale processo sembrava essere incompatibile
con un sistema ad anello per la visualizzazione dei pianeti,
perché le uscite per Mercurio e Venere impedivano al
dispositivo per le fasi lunari di accedere all'input dal sistema
di ingranaggi del sole. Nel 2018 Higgon, uno degli studenti
laureati del team UCL, ebbe un'idea, risolse ordinatamente
questo problema tecnico e spiegò un misterioso blocco forato
su uno dei raggi della ruota motrice principale. Questo
blocco probabilmente serviva a trasmettere la rotazione del
"sole medio" (al contrario della rotazione variabile del "sole
vero") direttamente al dispositivo per le fasi lunari. Questa
configurazione - un sistema di anelli - rifletteva pienamente
la descrizione nell'iscrizione sul retro della copertina.
Nel tentativo di decifrare la parte anteriore del dispositivo
bisognava identificare i cicli planetari incorporati nel meccanismo,
importanti per definire come i treni di ingranaggi
calcolassero le posizioni planetarie, e ricerche precedenti
presumevano che si sarebbero basati sulle relazioni del periodo
planetario derivate dai Babilonesi, ma nel 2016 Jones
fece un'altra scoperta che costrinse a scartare questa ipotesi.
La TAC a raggi X dell'iscrizione in copertina mostrava la divisione
in sezioni per ciascuno dei cinque pianeti. Nella sezione
Venere, Jones trovò il numero 462 e nella sezione di Saturno
40 40 ArcheomaticA N°1 N°1 marzo marzo 2022 2022
Tecnologie per i i Beni Culturali
41
trovò il numero 442. Nessuna ricerca precedente aveva suggerito
che gli antichi astronomi li conoscessero, in effetti essi
rappresentavano relazioni periodiche più accurate di quelle
trovate dai Babilonesi (289 cicli sinodici in 462 anni per Venere
e 427 cicli sinodici in 442 anni per Saturno).
Jones non capì subito come gli antichi greci derivassero entrambi
questi periodi, ma Dacanalis, un altro studente laureato
dell ‘UCL assemblò una lista completa delle relazioni
dei periodi planetari e dei loro errori stimati dall'astronomia
babilonese. Il ritrovamento di un processo, sviluppato dal filosofo
Parmenide di Elea (dal sesto al quinto secolo a.C.) e
riportato da Platone (dal quinto al quarto secolo a.C), servì
per combinare le relazioni di periodo conosciute per ottenere
quelle migliori.
Con certezza qualsiasi metodo utilizzato dai creatori di Antikythera
avrebbe richiesto tre criteri portanti: accuratezza,
fattorizzabilità ed economia, il metodo doveva essere accurato
per corrispondere alle relazioni di periodo conosciute per
Venere e Saturno, e doveva essere fattorizzabile in modo che
i pianeti potessero essere calcolati con ingranaggi abbastanza
piccoli da entrare nel meccanismo. Per rendere il sistema
economico, diversi pianeti avrebbero potuto condividere gli
ingranaggi se le loro relazioni di periodo avessero condiviso
fattori primi, riducendo il numero di ingranaggi necessari e
tale economia era una caratteristica chiave dei treni di ingranaggi
sopravvissuti. Sulla base di questi criteri, il Team
ha derivato i periodi 462 e 442 utilizzando l'idea di Parmenide
e ha impiegato gli stessi parametri per scoprire i periodi
mancanti per gli altri pianeti, dove le iscrizioni sono andate
perdute o danneggiate. Grazie alle relazioni dei periodi per
i pianeti, hanno compreso come inserire i treni di ingranaggi
per i pianeti negli stretti spazi disponibili. Per Mercurio e Venere,
il Team ha teorizzato meccanismi economici a cinque
ingranaggi con dispositivi pin-and-slot, simili ai meccanismi
di Wright e la prova a sostegno della ricostruzione è stata
fornita da un frammento di quattro centimetri di diametro.
All'interno di questo pezzo, la TAC a raggi X ha mostrato un
disco attaccato a un ingranaggio da 63 denti, che girava in
una piastra a forma di D e il numero 63 condivide i fattori primi
3 e 7 con 462 (il periodo di Venere). Un treno di ingranaggi
che utilizzava l'ingranaggio a 63 denti potrebbe essere stato
progettato per corrispondere a cuscinetto su uno dei raggi
della ruota motrice principale. Un design simile per Mercurio
corrispondeva alle caratteristiche sul raggio opposto.
Per gli altri pianeti conosciuti - Marte, Giove e Saturno - il
Team ha concepito sistemi molto compatti per adattarsi allo
spazio disponibile. Christián C. Carman dell'Università Nazionale
di Quilmes in Argentina, lavorando in modo indipendente,
dimostrò come il sottile sistema di ingranaggi indiretti
per il movimento variabile della luna poteva essere adattata
anche ai pianeti.
L’UCL Antikythera Research ha dimostrato che questi sistemi
di ingranaggi possono essere estesi per incorporare le
nuove relazioni d'epoca per i pianeti, inoltre questo sistema
avrebbe permesso ai costruttori di Antikythera di montare
diversi ingranaggi sulla stessa piastra e progettarli in modo
che corrispondessero precisamente alle relazioni di periodo.
Gli economici treni di sette ingranaggi potevano intrecciarsi
tra le piastre sui pilastri della ruota motrice principale, in
modo che le loro uscite fossero conformi al consueto ordine
cosmologico dei corpi celesti - Luna, Mercurio, Venere, Sole,
Marte, Giove e Saturno - che determinava la disposizione del
sistema di anelli. Le dimensioni degli spazi disponibili tra le
piastre erano esattamente giuste per ospitare questi sistemi,
con una certa capacità di riserva e alcune prove ancora inspiegabili.
Lo studio ha aggiunto un meccanismo per il moto variabile
del sole e un meccanismo epiciclico per calcolare i "nodi"
della luna - punti in cui l'orbita della luna taglia il piano dell'
eclittica - rendendo possibile un'eclissi e le eclissi avvengono
solo quando il sole è vicino a uno di questi nodi durante la
luna piena o nuova. Gli astronomi medievali e rinascimentali
chiamavano "mano di drago" un puntatore a doppia punta per
i nodi della luna, inoltre, l'ingranaggio epicicloidale di questa
mano di drago spiegava esattamente anche un cuscinetto
prominente su uno dei raggi che prima sembrava non avere
alcuna funzione.
Lo studio in questione ha ulteriormente arricchito la comprensione
del noto meccanismo: il display frontale corrispondeva
alla descrizione nel manuale d'uso sul retro della
copertina, con il sole e i pianeti mostrati da perline su anelli
concentrici, la fase, la posizione e l'età della luna (il numero
di giorni dalla luna nuova), e la lancetta del drago gli anni
delle eclissi con le stagioni.
Con gli anelli concentrici per i pianeti, gli studiosi hanno dato
un senso anche all'iscrizione della copertina anteriore, che
riporta una lista formulaica degli eventi sinodici di ogni pianeta
(come le sue congiunzioni con il sole e i suoi punti stazionari)
e gli intervalli in giorni tra essi: sulla piastra posteriore,
le iscrizioni delle eclissi sono indicizzate alle marcature
sul quadrante del Saros; sulla piastra anteriore, le iscrizioni
relative alle alzate e ai tramonti delle stelle sono indicizzate
al quadrante dello Zodiaco.
L’ intuizione del Team è stata quella di verificare che le iscrizioni
sulla parte anteriore potessero riferirsi alle lettere di
indice sugli anelli planetari: se il puntatore del sole è ad una
di queste lettere, quindi la voce corrispondente dell'iscrizione
descrive il numero di giorni mancanti al prossimo evento
sinodico. Poiché il lato sinistro dell'iscrizione, dove ci si
aspetta di trovare queste lettere indice, è carente, non vi è
possibilità di provare l'ipotesi, ma la spiegazione e la descrizione
che il gruppo di ricerca ha generato potrebbe essere
convincente.
Il dispositivo è unico tra le scoperte del suo tempo e riscrive
da solo la nostra conoscenza della tecnologia utilizzata degli
antichi greci. Il primo meccanismo con ingranaggi di precisione
conosciuto è una meridiana e un calendario di origine
bizantina relativamente semplici, ma impressionanti per il
tempo, risalenti a circa il 600 d.C. Il meccanismo di Antikythera,
con i suoi ingranaggi di precisione con denti lunghi
circa un millimetro, è completamente diverso da qualsiasi
altro strumento del mondo antico. Perché ci sono voluti secoli
prima che gli scienziati reinventassero qualcosa di così
sofisticato come il dispositivo di Antikythera, e perché gli archeologi
non hanno scoperto altri meccanismi simili? Si hanno
forti ragioni per credere che questo oggetto non possa essere
stato l'unico modello del suo genere e con certezza ci siano
stati precursori del suo sviluppo. Il bronzo era un metallo
molto prezioso, e quando un congegno come questo smetteva
di funzionare, probabilmente veniva fuso per i suoi materiali,
cosicché solo un naufragio potrebbe essere in prospettiva
un'evenienza di trovarne di altri. Molte sono le lacune nella
documentazione storica e scoperte future potrebbero sorprendere
altrettanto, ma la ricerca di Antikythera dell'UCL è
sicuramente un progresso significativo a fronte di un'enorme
perdita di prove.
Fonte: Scientific American
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ArcheomaticA N°1 marzo 2022
Tecnologie per i Beni Culturali 43