Il GRIDO di Guerra - NOVEMBRE 2023
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Dio<br />
ama chi ama<br />
amore<br />
rischiare per<br />
Un commento a Matteo 25:14-30<br />
Siamo sulla strada verso Gerusalemme,<br />
città nella quale Gesù sarà catturato e<br />
condannato a morte. Gesù sta dando<br />
ai <strong>di</strong>scepoli le “istruzioni” per il tempo<br />
che verrà dopo la sua salita al cielo e prima<br />
del suo ritorno. All’inizio della parabola usa,<br />
infatti, la congiunzione “poiché” che la collega<br />
all’esortazione del versetto 13 dello stesso capitolo:<br />
“Vegliate perché non sapete né il giorno né l’ora”,<br />
inserita all’interno <strong>di</strong> quella sulle Dieci Vergini.<br />
I protagonisti della storia. C’è un Signore,<br />
che è chiaramente Gesù, che sta partendo per<br />
un lungo viaggio dal quale, però, tornerà, anche<br />
se nessuno sa quando. E ci sono tre servi ai<br />
quali affida un consistente deposito. A ciascuno<br />
secondo le proprie capacità, perché il padrone<br />
conosce bene i suoi servi. Insieme al deposito,<br />
affida ai servi anche la sua fiducia. Perché i servi<br />
avrebbero potuto anche scappare con la cassa!<br />
Del resto la somma era notevole. Pensate che<br />
un “talento” non era una moneta ma un valore<br />
che poteva essere quantificato sia in monete<br />
d’argento o d’oro e che equivaleva a circa<br />
6mila denari e (Matteo 20:2) un denaro era una<br />
giornata <strong>di</strong> lavoro agricolo. Quin<strong>di</strong> un solo talento<br />
equivaleva a circa 16 anni <strong>di</strong> lavoro.<br />
Come ho detto, il Signore conosceva<br />
bene i suoi servi e, infatti, al suo ritorno i primi<br />
due gli restituiscono il capitale ad<strong>di</strong>rittura<br />
raddoppiato. E ricevono per questo una duplice<br />
ricompensa: la possibilità <strong>di</strong> dominare su un<br />
patrimonio sproporzionato rispetto a quello, al<br />
poco, che avevano ricevuto in amministrazione e<br />
soprattutto la “gioia” che è quella che il Signore<br />
concede a coloro che ama.<br />
E veniamo all’altro personaggio della<br />
storia: il terzo servo il quale gli restituisce il talento<br />
ricevuto accompagnando il gesto con parole<br />
assai poco rispettose: “Tu sei un uomo duro, che<br />
mieti dove non hai seminato e raccogli dove non<br />
hai sparso”. Gli <strong>di</strong>ce, insomma, che si arricchisce<br />
sul lavoro degli altri perché è vero che il capitale è<br />
il suo ma non la fatica per farlo fruttare. “Ho avuto<br />
paura” gli <strong>di</strong>ce. Magari <strong>di</strong> perdere il talento e <strong>di</strong><br />
doverlo rifondere <strong>di</strong> tasca sua!<br />
Se avesse voluto seppellirlo, lo avrebbe<br />
potuto fare lui stesso. E così il Signore gli rigetta<br />
in faccia le sue stesse parole e l’immagine che<br />
gli ha dato <strong>di</strong> Lui, come in uno specchio. Forse<br />
il servo è davvero prigioniero <strong>di</strong> questa terribile<br />
immagine del suo Signore. Forse lo siamo anche<br />
noi. Che immagine abbiamo <strong>di</strong> Dio in noi? <strong>Il</strong><br />
talento è ormai per noi una dote naturale che il<br />
brano ci invita a mettere a frutto per il bene <strong>di</strong><br />
tutti.<br />
Per alcuni, la parabola è in verità un invito<br />
alla conversione rivolto a quel cristiano che spesso<br />
è ben contento del suo rassicurante “minimo”,<br />
della sua confortevole tiepidezza, che fa le cose<br />
come si sono sempre fatte perché non ha alcuna<br />
vera passione per il Regno e che anzi si affaccia<br />
alle nuove sfide e ai nuovi impegni che l’annuncio<br />
pone con “paura”. Costui è una persona che non<br />
guarda con audacia, creatività e generosità ai<br />
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