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Numero 10 - Caritas Italiana

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nazionale<br />

ruola quanti giustificano l’inerzia dolente e fatalista, attribuendola<br />

a fattori esterni.<br />

Arginare l’inclinazione alla lagna, stimolando e promuovendo<br />

iniziativa, creatività, scelte educative e culturali<br />

capaci di far emergere un pensiero aperto al Mediterraneo,<br />

all’Italia, all’Europa: è questa la leva strategica<br />

per poter parlare di sviluppo, non nelle intenzioni ma<br />

in azioni prive di ambiguità e di demagogia.<br />

Paninoteche, non librerie<br />

Gli ostacoli allo sviluppo sono insomma anzitutto culturali.<br />

Ma la Basilicata è culturalmente arretrata? Guardando<br />

alla fioritura delle idee e al fervore delle intelligenze,<br />

alle forme di espressione vitale costituite dalla<br />

cultura locale e dalla tradizione popolare e folcloristica,<br />

si può dire che la regione non è spenta. C’è vivacità, magari<br />

meno cultura civica, ma certo un vivo reticolo di solidarietà<br />

familiare e comunitaria, che deriva anche da<br />

20 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

viaggio al sud<br />

OLTRE LA GRANDE INDUSTRIA<br />

Interno degli stabilimenti Fiat a Melfi (Potenza).<br />

I grandi progetti industriali sono importanti,<br />

ma non bastano a garantire lo sviluppo della Basilicata,<br />

come delle altre regioni meridionali<br />

valori e radici cristiane. Si può dire che esista un familismo<br />

virtuoso, che consente di ammortizzare disoccupazione,<br />

miseria e squilibri sociali dove esistono. Permane<br />

inoltre una memoria condivisa, fatta di linguaggi,<br />

retaggi e paesaggi comuni.<br />

Se per cultura invece si intende l’elaborazione intellettuale<br />

dei dotti e l’azione di una classe dirigente, allora<br />

si notano le arretratezze. Invece di teatri, librerie, circoli<br />

culturali e sociali, quasi ovunque sono nate negli ultimi<br />

anni banche, gioiellerie, paninoteche. A riprova del fatto<br />

che i soldi (in Basilicata nelle banche sono depositate ingenti<br />

somme di denaro) dove ci sono non portano automaticamente<br />

cultura. Inoltre nel mezzogiorno d’Italia, e<br />

soprattutto in Basilicata, non esistono media (tv e giornali)<br />

di dimensione nazionale che parlino all’Italia; la Basilicata<br />

non è vista, non è letta. Come l’intero mezzogiorno<br />

d’Italia, è sottorappresentata; il baricentro della politica,<br />

dell’economia e dei media è spostato nel settentrione<br />

d’Italia, cuore d’Europa.<br />

Con altre parole, si può dire che in Basilicata si è seccato<br />

l’albero delle élite, la pianta che produce classe dirigente.<br />

In passato erano i notabili, il clero, gli agrari; poi è<br />

arrivata la borghesia statale, decorosa e rispettabile: la<br />

maestra, il maresciallo, il segretario comunale, l’impiegato<br />

alle poste o alle ferrovie. Oggi, declinate le precedenti classi<br />

dirigenti e tramontato il ceto cresciuto all’ombra dei<br />

partiti, chi emerge lo fa per proprio conto, indipendentemente<br />

e individualmente. Il tessuto delle relazioni sociali<br />

è sfilacciato, quello civico è debole, e all’orizzonte non si<br />

vede una classe dirigente in formazione, impiantata in un<br />

terreno culturale originale e meridionale.<br />

Parlare di sviluppo, in Basilicata oggi, significa dunque<br />

promuovere e favorire le connessioni (che mancano)<br />

tra soggetti (della cultura, della società, dell’imprenditoria)<br />

attivi e creativi; ovvero favorire e promuovere<br />

connessioni per dare vita a reti fatte non di rapporti subalterni,<br />

ma virtuosi. Fatte anche da una buona politica,<br />

oltre che da una libera mediazione culturale, da una sana<br />

e competente imprenditoria.<br />

In Basilicata, come nel resto del mezzogiorno, chi riuscirà<br />

a riconnettere questi rapporti virtuosi potrà guidare<br />

processi di sviluppo locale autentici, duraturi e rispettosi<br />

delle persone e delle comunità locali. Non c’è altra strada,<br />

per voltare la pagina della sudditanza e del lamento.<br />

nazionale<br />

Introduzione leggera. Leggerlo in francese fa un certo effetto.<br />

“Usure, racket, fraude: la mafia, première entreprise d'Italie”. Ma<br />

suscita un amaro compiacimento. Dopotutto è sempre esportazione<br />

d’immagine. Che parlino di noi, anche male, purché ne parlino.<br />

Non è la prima regola della comunicazione pubblicitaria?<br />

La recente inchiesta della Confesercenti, che segnala il volume<br />

degli affari mafiosi, è stata ampiamente divulgata in Italia. Ma pure<br />

all’estero, per esempio dal compassato Le Figaro, pronto a evidenziare<br />

che les italiens dopotutto non devono essere così pigri e fannulloni,<br />

se mettono in campo un volume annuo di più di 90 miliardi<br />

di euro di profitti, pari al 7% del Pil<br />

peninsulare (senza contare i proventi<br />

dei traffici di armi e droga), in un quadro<br />

di economia diffusa che coinvolge,<br />

secondo l’indagine, 160 mila commercianti,<br />

puntuali pagatori del pizzo,<br />

import mafieux corrisposto a Mafia<br />

Spa, impresa agile e capillare.<br />

Dopo l’introduzione leggera, intermezzo<br />

archeologico (in inglese).<br />

Quando si discute dei mali d’Italia,<br />

consulto un’altra inchiesta, L’Italia<br />

di oggi, datata 1904 e curata dai<br />

giornalisti inglesi Bolton King e<br />

Thomas Okey. Cosa si pensava un secolo fa del crimine<br />

organizzato in Italia? L’impressione è quella di un benevolo<br />

ottimismo. Intanto si parlava solo di camorra napoletana<br />

e mafia siciliana, senza citare la ‘ndrangheta<br />

calabrese. Inoltre ci si sbilanciava alquanto nel descrivere<br />

in negativo la camorra e nel concedere alla mafia<br />

(da intendersi persino come “forma degenerata di cavalleria”,<br />

“aristocrazia criminale”) addirittura un velato<br />

apprezzamento dei metodi praticati.<br />

Un punto di sovrapposizione tra camorra e mafia veniva<br />

comunque rintracciato nella comune propensione<br />

a usare la politica per proteggere traffici e affari illeciti. A<br />

Napoli e dintorni “il governo dà il suo tacito appoggio a<br />

un sistema che a sua volta gli assicura la maggioranza<br />

contrappunto<br />

MAFIA, IMPRESA ANTICA<br />

IL PIZZO È UN MALE INCURABILE?<br />

di Domenico Rosati<br />

Un sistema economico<br />

grandioso, una vicenda<br />

di intrecci perversi<br />

con la politica.<br />

Le notizie di oggi<br />

non si discostano dalle<br />

analisi di un secolo fa.<br />

Ma ci sono segni<br />

di evoluzione<br />

della cultura. Che<br />

alimentano la speranza<br />

dei collegi elettorali”. Pure in Sicilia<br />

“non è possibile a un candidato vincere<br />

un’elezione politica o amministrativa<br />

se (la mafia) non assicura la<br />

sua protezione”; vi sono “patroni”<br />

della mafia in parlamento e “il governo<br />

ha le sue bene intese relazioni<br />

coi grandi elettori mafiosi”.<br />

Rafforzamento delle strutture<br />

Vicenda immutabile? Priva di segni di<br />

speranza? Se il presente rivela non un<br />

indebolimento, ma un rafforzamento<br />

delle strutture mafiose e camorriste (e<br />

ciò rinvia anche alla connivenza<br />

esplicita o tacita con il potere di turno),<br />

vi sono tuttavia recenti episodi e<br />

testimonianze che, prima delle leggi e<br />

dopo le leggi, lasciano immaginare<br />

una possibile evoluzione, della cultura<br />

prima che delle abitudini. Il primo<br />

episodio è il gesto del vescovo (uscente)<br />

di Locri, Giancarlo Bregantini, che<br />

va a Duisburg a chiedere perdono per<br />

una sanguinaria vendetta di ‘ndrangheta<br />

e nel contempo invita al perdono<br />

reciproco, chiedendolo in primo luogo alle donne calabresi,<br />

delle quali, lui trentino, ha compreso il ruolo di custodi<br />

delle regole d’onore che includono la morte per chi<br />

abbia fatto sgarbo alla famiglia. Il secondo è l’annuncio degli<br />

industriali di Agrigento, che intendono espellere dall’associazione<br />

gli imprenditori che pagano il pizzo.<br />

Poca cosa, anche considerando i recenti arresti eccellenti<br />

in Sicilia, a fronte del “sistema economico” descritto<br />

e delle sue capacità di riproduzione in un contesto<br />

di disoccupazione e di precariato sovrabbondante; e<br />

anche di fronte al triste teatro dei conflitti tra figure istituzionali<br />

pagate per stroncare la criminalità organizzata.<br />

Ma i segni restano e, spesso, sostengono la pazienza,<br />

contrastano l’indifferenza e alimentano la speranza.<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 21

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