L' Premio “Luigi Coppola” - Ordine dei Medici Lecce
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Il Suicidio Medicalmente Assistito:<br />
il caso della Svizzera<br />
LA COMPLESSITÀ DI UN ARGOMENTO MOLTO DIBATTUTO CHE CHIAMA IN CAUSA<br />
DIRETTAMENTE IL RUOLO E LA DEONTOLOGIA DEL MEDICO<br />
di Francesco Marzo<br />
L’<br />
analisi bio-giuridica sul suicidio medicalmente<br />
assistito risulta essere assai complessa; anzitutto<br />
sarebbe opportuno che la classe medica avesse una<br />
chiara idea <strong>dei</strong> diritti di cui godono i malati, ossia il<br />
potere, garantito dalla Costituzione agli art. 2, 12, 32<br />
di autodeterminarsi nelle scelte di fine vita. In questo<br />
studio, un grande rilievo lo assume il concetto di<br />
“proporzionalità <strong>dei</strong> mezzi” che fa chiarezza sul come<br />
intendere determinate azioni, rispettivamente attive/passive,<br />
volontarie/involontarie, dirette/indirette. Il<br />
problema di quest’ultima coppia è, per esempio, legata<br />
alla difficoltà di stabilire in base a quale criterio valutare<br />
la diretta dipendenza di un effetto dall’atto considerato;<br />
cioè bisogna capire se “l’atto considerato è rispetto<br />
all’azione una causa materiale oppure lo è rispetto<br />
all’intenzione o ancora rispetto principio dell’ultimo ad<br />
agire”. Da un punto di vista giuridico, la distinzione<br />
diretto/indiretto cambia significato in ciascuna delle<br />
tre ipotesi. Questo giudizio, ad esempio, sulle cure<br />
palliative cambia notevolmente a seconda che consideriamo<br />
la morte del paziente come un effetto diretto<br />
della somministrazione <strong>dei</strong> medicinali analgesici, oppure<br />
come effetto indiretto dell’atto che ha solo l’intenzione<br />
di alleviare il dolore del paziente. Le linee guida di<br />
bioetica, sul suicidio medicalmente assistito, fanno<br />
leva sul criterio dell’ultimo ad agire. Consideriamo due<br />
ipotesi: quella di un medico che somministra delle<br />
25<br />
I malati godono del diritto,<br />
ossia del potere, garantito<br />
dalla Costituzione agli articoli 2, 12,<br />
32 di autodeterminarsi nelle scelte<br />
di fine vita<br />
cure palliative con degli oppiacei ad un malato terminale<br />
- nonostante la prevedibile conseguenza della riduzione<br />
della vita - oppure la prescrizione di barbiturici, da<br />
parte dello stesso medico, ad un paziente che abbia<br />
chiesto assistenza al suicidio; secondo il giudizio<br />
maggioritario della dottrina giuridica e medica, la prima<br />
di queste pratiche sarebbe ammessa, l’altra no.<br />
Invece, prendendo in considerazione il criterio c.d.<br />
dell’ultimo ad agire, risulterebbe più facile accettare<br />
questo tipo di trattamento di fine vita rispetto ad altre<br />
forme di eutanasia; molti giuristi, infatti, considerano<br />
determinante il fatto che l’azione di fornire materialmente<br />
il medicinale letale, non avrebbe alcun effetto<br />
senza un’ultima azione compiuta dal paziente stesso.<br />
La responsabilità del medico, dunque, sarebbe certamente<br />
meno “diretta” ed “invasiva” rispetto alle conseguenze<br />
mortali dovute alla somministrazione diretta<br />
di farmaci, ad esempio per endovena. Risulta anche<br />
difficile, a mio avviso, capire “perché al medico do-