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IL CALITRANO N. 16

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<strong>IL</strong> <strong>CALITRANO</strong> N. <strong>16</strong> n.s. – Gennaio-Aprile 2001<br />

LETTERA AL DIRETTORE<br />

CON LA REPUBBLICA PARTENOPEA E CON I VALORI DELLA RESISTENZA<br />

Ho letto con una certa curiosità l’articolo di Gerardo Cioffari su “Il Calitrano” di maggio-agosto riguardante la Repubblica Partenopea del 1799.<br />

Il titolo stesso “Da Calitri nel 1799 tanti fiaschi di vino” ne giustificava tale curiosità.Devo però confermare che ho provato una certa delusione, quando,<br />

dopo un’attenta lettura, ho dovuto purtroppo costatare che il Cioffari nulla di nuovo aggiunge a quanto già scritto dal professor Vito Acocella. Anzi,<br />

a dirla tutta, l’impressione che ho avuto è stata quella di trovarmi di fronte al capitolo XVI della storia di Calitri dell’Acocella edito nel 1951, più o<br />

meno elaborato, note comprese.<br />

Tant’è, ognuno è libero di scrivere quello che vuole: personalmente penso che quando non si ha nulla da dire, meglio sarebbe tacere. E avrei preferito<br />

certamente tacere se non fosse per una riflessione che il Cioffari fa in chiusura del suo articolo. Riflessione tanto lecita quanto discutibile che<br />

a mio avviso merita di essere approfondita. Il Cioffari nella sua riflessione accusa gli storici di essere manichei per il modo in cui fino ad oggi hanno<br />

affrontato e raccontato i fatti inerenti alla Repubblica Partenopea. A suo dire, l’aureola di eticità che circonda due grandi avvenimenti della nostra storia,<br />

la Rivoluzione Napoletana del 1799 e la Resistenza nel biennio 1943-45, è immeritata in quantio frutto di una storiografia che fatica ad essere imparziale.<br />

Voglio sgombrare subito il campo da qualsiasi equivoco: ognuno è libero di pensarla come vuole e dire quello che vuole, visto che viviamo in un<br />

regime – democratico (mi si conceda l’ossimoro). Però, vorrei per un attimo fare alcune considerazioni, premettendo che argomenti storici di tale portata<br />

non possono esaurirsi in un articolo di giornale data la complessità della materia. Innanzitutto è errato parlare di giacobinismo tout-court per<br />

quanto riguarda la Repubblica Partenopea: le posizioni in campo erano assai variegate, anzi, l’elemento moderato era maggioritario tra le forze sostenitrici<br />

della Repubblica. D’altra parte non si deve dimenticare che c’era stato TERMIDORO e che brillava da tempo la stella di Napoleone il quale,<br />

di lì a poco sarebbe stato incoronato imperatore. E sebbene fosse l’esercito francese l’asse portante della Repubblica Napoletana, qui, nel Regno dei<br />

Borboni, non si ebbe una nuova VANDEA.<br />

Nel breve periodo repubblicano, soltanto i fratelli Baccher, furono uccisi per ordine del governo rivoluzionario. È vero, invece, che l’esercito francese<br />

mostrò due volti inconciliabili tra loro: quello dell’emancipazione dal feudalismo e quello odioso della razzia delle nostre opere d’arte. Ma, è inconfutabile<br />

che la Repubblica Partenopea rappresentò nei suoi principi costitutivi quanto di più dirompente poteva esserci in una società conservatrice<br />

e retrograda come quella dominata da Re Nasone e consorte.<br />

Non a caso gli spiriti napoletani più sensibili e intellettualmente vivi si schierarono senza esitazione di sorta in favore di quei principi di libertà, di<br />

eguaglianza, di fratellanza che nella pure breve vita, la Repubblica riuscì ad incarnare. Voglio qui ricordare Francesco Mario Pagano, il quale, educato<br />

alla scuola del Filangieri, fu autore di un innovativo progetto di Costituzione che purtroppo non fu mai approvato per la breve durata della Repubblica.<br />

E poi, come non ricordare la “portoghesina” Eleonora Fonseca Pimentel, direttrice del “Monitore Napoletano” figura autorevolissima e punto<br />

di riferimento dei repubblicani di Napoli.E ancora, Ferdinando Caracciolo, Ettore Carafa, Luisa Sanfelice, padre Nicola De Meo, Vincenzo Cuoco,<br />

Pietro Colletta, Gennaro Serra di Cassano e tant’altra intellighenzia illuminata napoletana.<br />

Ecco da chi era formata la testa pensante della Repubblica. Non è colpa quindi degli storici se l’armata cristiana (sic) del cardinale Ruffo era viceversa<br />

composta dai lazzari e delinquenti vari, tra i quali figure di spicco erano i vari Michele Pezza detto fra diavolo, Gaetano Mammone, e soprattutto<br />

il “MENINO” del Re, il famigerato Gennaro Revelli. Sì, quel Gennaro Revelli che in Altamura non esitò in nome della Santa Fede, a violare<br />

un convento di suore orsoline, dove, prima gozzovigliò con i suoi accoliti, poi dette vita ad uno stupro collettivo delle malcapitate suore, infine le fece<br />

sgozzare tutte. Questa è la storia Della Repubblica Napoletana tramandataci da Colletta a Cuoco, da Dumas a Croce e via discorrendo fino ad oggi.<br />

Tutti di parte? Su via siamo seri! Personalmente credo che a duecento anni da quei fatti, sia ormai giunto il momento che la Chiesa Cattolica chieda<br />

scusa per quella atrocità che un esercito, impropriamente detto della Santa Fede, commise in suo nome.<br />

E veniamo al presunto processo di “MORALIZZAZIONE” riguardante la Resistenza. Dico presunto in quanto, a differenza della Repubblica<br />

Partenopea, la Resistenza ha avuto numerosissimi interpreti non allineati alla cosiddetta “storiografia ufficiale”, cito due nomi per tutti, il “negazionista”<br />

Ernest Nolte allievo di Heidegger e Renzo De Felice. E comunque non è mia intenzione affrontare l’argomento in chiave di lettura storiografica,<br />

e neanche voglio confutare, qui, in questa sede l’affermazione del Cioffari secondo cui, i regimi comunisti sarebbero stati più tirannici dei<br />

regimi nazifascisti. Sarebbe un discorso troppo lungo che non credo ci aiuterebbe a fare chiarezza nel fare emergere le differenze profonde tra i due<br />

tipi di regime.<br />

Vorrei fare soltanto una precisazione di tipo cronologico. Al Cioffari che nega valore alla Resistenza in quanto i protagonisti principali erano comunisti<br />

e quindi simpatizzanti di quei regimi che a suo dire erano peggiori di quelli fascisti, vorrei obiettare che quando avvenne la scelta resistenziale,<br />

di regime comunista ce n’era uno solo: l’Unione Sovietica. E bisogna pur dire che di quel regime ben poco si sapeva, vista la libertà usufruita dagli Italiani<br />

durante il ventennio fascista. Per inciso, aggiungo che uomini come Churchill e Roosevelt preferirono allearsi con il comunista Stalin contro i nazifascismi<br />

Hitler e Mussolini.<br />

Detto questo, passo a quello che a mio avviso è veramente inaccettabile della tesi del Cioffari, e cioè all’affermazione, semplicistica, con cui liquida<br />

tutta l’esperienza resistenziale: Resistenza uguale valori fasulli in quanto movimento prettamente comunista. In questo modo egli offende tutto quel<br />

grandioso movimento che dette vita alla Resistenza, riducendolo e identificandolo come comunista. Così facendo Cioffari ignora completamente le motivazioni<br />

individuali che portarono migliaia di Italiani di diverso orientamento ideologico a scrivere una delle pagine più belle, se di bello si può parlare<br />

quando si parla di guerra, della nostra storia patria. Come non riconoscere valore morale e tutta quella gente che non aspettò la liberazione standosene<br />

rintanata nelle proprie case, ma, che imbracciò le armi, mettendo in gioco la vita per scacciare l’oppressore tedesco?<br />

Vogliamo liquidare come comunista tutta l’esperienza resistenziale?, facciamolo pure, sapendo però che così facendo si offende e i partigiani non<br />

comunisti, che pure furono tanti, e i partigiani comunisti. E poi, come si fa ad omologare quell’originalità tutta italiana quale fu appunto il movimento<br />

comunista nel nostro Paese, ai regimi dell’Est? Con tutti i difetti e gli errori che si possono addebitare al Partito Comunista Italiano, è innegabile che<br />

esso fu promotore di grandi lotte per l’emancipazione dei ceti meno abbienti; e fino a metà degli anni settanta funzionò come importante spinta propulsiva<br />

nel processo di modernizzazione della nostra società.<br />

Prima di concludere devo aggiungere una nota di tipo personale di cui ne avrei fatto volentieri a meno: anche chi scrive questo articolo è appartenuto<br />

per diciassette anni alla “chiesa” comunista, e, contrariamente a quello che il Cioffari pensa dei comunisti, in quella “chiesa” ha imparato e praticato<br />

quell’agire molto cristiano che va sotto il nome di “solidarietà”: lì ho appreso il rispetto per i “diversi”, per gli “zingari, per la gente che ha il colore<br />

della pelle diverso dalla mia, a lottare a fianco dei più deboli e ad affrancarmi dalla meschinità del vivere quotidiano.<br />

Non aggiungo altro, solamente vorrei dare un consiglio al Cioffari: si tolga l’elmetto, non serve più, la guerra è finita, i muri sono crollati, e noi<br />

che siamo gli sconfitti, meritiamo un po’ di rispetto in più, i suoi toni da scomunica sono anacronistici all’alba del 21° secolo.<br />

Cordialmente.<br />

Antonio Maffucci<br />

(da Roma)<br />

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