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IN QUESTO NUMERO<br />

L’Inserto “Storia e ricerca” continua, in questo numero,<br />

a proporre una serie di pagine “tratte” dal ricco<br />

passato della regione quarnerina e della penisola<br />

istriana. Avvenimenti documentati da fotografi e, come<br />

in apertura, proposte dal Museo civico di Fiume. Vicende<br />

effettivamente accadute, altre invece da ricondurre<br />

a miti, leggende e tradizioni che si sono consolidate<br />

nei tempi fi no a diventare realtà... almeno nelle<br />

tele di grandi artisti. È il caso, risollevato da Giacomo<br />

LA MOSTRA<br />

di Ilaria Rocchi-Rukavina<br />

Scriveva Susan Sontag (in Regarding the Pain<br />

of Others, pubblicato in italiano dalla Mondadori<br />

nel 2003, con il titolo "Davanti al dolore<br />

degli altri", pp. 112, euro 13), analizzando le<br />

problematiche inerenti alla comunicazione fotografi<br />

ca, che "un evento diventa reale – agli occhi di chi<br />

è altrove e lo segue in quanto 'notizia' – perché è fotografato”;<br />

le immagini fotografi che "forniscono un<br />

modo rapido per apprendere e una forma compatta<br />

per memorizzare", tanto che "la familiarità di certe<br />

fotografi e plasma la nostra conoscenza" del presente<br />

e del passato, e la loro ampia diffusione forma<br />

addirittura una memoria collettiva. È una narrazione<br />

che può farci capire ("Quelle immagini dicono:<br />

ecco ciò che gli esseri umani sono capaci di fare,<br />

ciò che – entusiasti e convinti di essere nel giusto<br />

– possono prestarsi a fare", ricorda la Sontag).<br />

La mostra allestita al Museco civico di Fiume<br />

(aperta fi no al 7 giugno 2006), curata da Nataša<br />

Matušić, Rhea Ivanuš non ha tanto la pretesa di<br />

"spiegare" una realtà, quanto l'intenzione di testimoniare<br />

una realtà attraverso la particolare fonte<br />

visiva, presentando al contempo un interessante<br />

materiale iconografi co fatto di ricordi di tempi lontani;<br />

di momenti “rubati” della vita nell’esercito e<br />

sui fronti; di quadri di un’umanità alle prese con gli<br />

stenti e le diffi coltà del periodo bellico e postbellico,<br />

ma con il morale ancora alto; ritratti di gente<br />

comune e di personaggi in vista; frammenti della<br />

violenza che ha contraddistinto il secolo scorso e<br />

dei valori che lo hanno segnato... Si offrono così i<br />

lavori scaturiti dagli obiettivi di fotografi noti e di<br />

Scotti, della presunta battaglia che si sarebbe svolta al<br />

largo delle acque di Salvore nel 1177.<br />

Nelle pagine 4 e 5 Kristjan Knez ricorda invece un<br />

capitolo di storia dell’Italia, ossia la fondazione dell’Impero,<br />

settant’anni fa, in seguito alla conquista dell’Etiopia.<br />

Si propongono anche alcune immagini pubblicitarie,<br />

quasi in collegamento all’articolo d’apertura,<br />

sulla funzione della propaganda nella costruzione<br />

del consenso a un regime. Daria Deghenghi, nelle pagi-<br />

Fotografi e di guerra e altre esposte al Museo civico di Fiume<br />

Immagini in «Positivo/Negativo»<br />

dei mutamenti del ’900<br />

altri rimasti anonimi. Immagini rilegate in album<br />

fotografi ci depositati al Museo storico croato di Zagabria<br />

ed esposte a Fiume, in una mostra dal titolo<br />

“Negativo/Positivo” in cui si rispolverano autentiche<br />

collezioni e album di istituzioni e cittadini privati.<br />

Raccolte di fotografi improvvisati – magari<br />

usando una Zeiss Ikon sequestrata a un soldato<br />

tedesco nella battaglia di Knin (1944) – e professionisti,<br />

ma anche da tanti nomi che diventeranno<br />

noti in tutt’altro ambito, come<br />

Vladimir Bakarić.<br />

La mostra in questione propone propone<br />

alcuni “itinerari”. Il primo riguarda<br />

il periodo tra l’inizio del ventesimo<br />

secolo e gli anni ’40. Tecnica<br />

tutto sommato modesta, scatti quasi<br />

amatoriali, queste prime foto ripercorrono<br />

spesso il periodo della<br />

leva trascorso nella Marina da<br />

guerra austro-ungarica e nell’esercito<br />

del Regno dei Serbi, Croati e<br />

Sloveni. Ma ci sono anche panoramiche<br />

di città adriatiche e cartoline<br />

che i marittimi inviavano alle proprie<br />

famiglie da porti e posti esotici.<br />

Alcuni autori cercano di cogliere la<br />

forza del mare in burrasca, quasi ad<br />

anticipare i burrascosi momenti che<br />

la storia stava riservando alle genti di<br />

queste terre. Si va così a “curiosare” tra<br />

gli album ingialliti della famiglia Zaccaria,<br />

degli uffi ciali di marina Leo ed Ernesto<br />

Zaccaria.<br />

Segue a pagina 2<br />

ne 6 e 7, riporta un’iniziativa in campo storico avviata<br />

da studenti della Facoltà di Pola, membri dell’associazione<br />

IIII, che hanno promosso la pubblicazione della<br />

rivista “Epulo”. L’Inserto si chiude su un fatto avvenuto<br />

il 31 maggio 1916, in pieno svolgimento del primo<br />

confl itto mondiale. In una guerra combattuta “in trincea”,<br />

sulla terraferma, fu praticamente l’unica battaglia<br />

signifi cativa disputata tra le fl otte inglese e tedesca,<br />

al largo della pensiola dello Jutland.<br />

DEL POPOLO<br />

storia<br />

e ricerca<br />

www.edit.hr/lavoce Anno II • n. 5 • Sabato, 6 maggio 2006


2 storia e ricerca<br />

LA MOSTRA<br />

Sopra: soldati italiani a Sussak (11 aprile 1941). Nelle foto sotto: aprile 1941 a Sussak, sull’edifi cio<br />

dell’odierna scuola viene issata la bandiera italiana e posta la targa italiana per poste, telegrafo e<br />

telefono; la capitolazione dell’Italia (Fiume-Sussak, settembre 1943) in una immagine del Servizio<br />

fotografi co dello ZAVNOH; in fondo, la cartolina inviata a casa da un marinaio di leva a Pola<br />

Dalla prima pagina<br />

Con un brusco “salto” temporale<br />

si passa quindi agli album<br />

partigiani: abbondante materiale<br />

iconografi co che enfatizza la<br />

lotta antifascista, la “rivoluzione”,<br />

il comunismo, l’alleanza<br />

con l’URSS di Stalin, la fi gura<br />

di Tito. I primi lavori risalgono<br />

all’ottobre 1941 e documentano<br />

le battaglie combattute, le marce,<br />

i feriti, sedute e discussioni tra i<br />

comandanti, l’attività artisticoculturale<br />

(nel 1943 a Otočac si<br />

costituisce una Sezione fotografi<br />

ca del dipartimento propaganda<br />

dello Zavnoh – il Consiglio territoriale<br />

antifascista di liberazione<br />

popolare della Croazia), i sorrisi<br />

delle partigiane (e tra questi<br />

il volto aperto della fotoreporter<br />

ebrea Elvira Kohn). Sono tutte<br />

foto che denotano l’acquisizione<br />

della consapevolezza del<br />

ruolo della propaganda quale<br />

mezzo psicologico da impiegare<br />

in guerra, con l’obiettivo di amplifi<br />

care la percezione del movimento<br />

partigiano e antifascista<br />

come un movimento di massa.<br />

Le foto della lotta popolare intendono<br />

fornire la prova visiva<br />

del valore dei combattenti e ribadire<br />

con la fotografi a la retorica<br />

del partigiano perfetto, antesignano<br />

di un regime che sarà<br />

altrettanto perfetto. Uno scopo<br />

abilmente raggiunto anche grazie<br />

all’utilizzo quasi esclusivo<br />

di fotografi e scattate dagli stessi<br />

soldati e dai protagonisti di quelle<br />

battaglie. La documentazione<br />

fotografi ca delle azioni di guerra<br />

è praticamente inesistente o limitata<br />

a immagini che descrivono<br />

le fasi preparatorie dell'assalto e<br />

la resa del nemico. Immagini di<br />

militari in marcia, costruzioni di<br />

strade e ponti, momenti di esaltazione<br />

collettiva, saluti e abbracci,<br />

il tutto spesso supportato da brevi<br />

didascalie e slogan. Una sezione<br />

della mostra è dedicata allo Stato<br />

Indipendente Croato (NDH)<br />

– con materiale “ereditato” dal<br />

museo di guerra del regime ustascia<br />

diretto da Milan Praunsperger<br />

– un’altra ancora al periodo<br />

dell’immediato dopoguerra al<br />

1990, mentre l’ultima sezione è<br />

riservata alla guerra patriottica<br />

1991 – 1995 in Croazia.<br />

Il titolo di "Positivo/<br />

Negativo" è stato assegnato alla<br />

mostra in riferimento al tipo di<br />

materiale di cui si è potuto avvalere<br />

il Museo storico di Zagabria.<br />

Non c'è interpretazione,<br />

bensì una cartellata storica di<br />

alcuni momenti del Ventesimo<br />

secolo in Croazia. Che, per l'appunto,<br />

hanno ciascuno il proprio<br />

lato "positivo/negativo".<br />

In prima pagina, Fiume<br />

dopo la liberazione (maggio<br />

1945, foto di Viktor Hreljanović)<br />

e un corteo oltrepassa il ponteconfi<br />

ne sull’Eneo (foto di Milan<br />

Martinović, maggio 1945)<br />

PAGINE ISTRIANE<br />

di Giacomo Scotti<br />

Alcuni anni addietro, scrivendo<br />

a quattro mani con il mio<br />

caro amico scomparso Mario<br />

Maurel il libro delle sue memorie Il<br />

paese del faro, edito poi a Trieste<br />

nel 2002 - ricordai che il nome di<br />

Salvore, la piccola patria di Mario,<br />

era diventato famoso per una battaglia<br />

navale svoltasi nelle sue acque<br />

nel lontano anno 1177 e conclusasi,<br />

stando alla tradizione, con la vittoria<br />

della fl otta unita dei Veneziani<br />

e di Papa Alessandro III sulla fl otta<br />

dell’imperatore tedesco Federico<br />

Barbarossa. Aggiunsi però subito<br />

che la tradizione “va un po’ corretta”.<br />

Oggi dirò che quella tradizione<br />

poggia su un falso storico, anche se<br />

qualcuno insiste nel dire che quell’anno<br />

la battaglia fu combattuta fra<br />

una modesta schiera di navi condotta<br />

dall’ultimo fi glio di Barbarossa,<br />

Ottone, e alcune galee veneziane e<br />

istriane guidate da Sebastiano Ziani,<br />

doge dal 1172 al 1178 il quale attese<br />

il nemico in agguato dietro il promontorio<br />

di Salvore.<br />

Stando a un affresco dipinto nel<br />

Quattrocento da Spinello Aretino,<br />

che si trova nella Sala della Balìa<br />

o dei Priori del Palazzo Pubblico di<br />

Siena che ho avuto la fortuna di ammirare<br />

all’inizio di febbraio di questo<br />

2006, provando profondi brividi<br />

alla vista di terribili particolari, lo<br />

Sabato, 6 maggio 2006<br />

Coinvolti un<br />

Lo scontro ne<br />

che probabil<br />

scontro fu poderoso, Ottone non resistette<br />

all’urto dell’avversario e dovette<br />

capitolare. La medesima battaglia<br />

fu descritta pure in un grandioso<br />

quadro dipinto da Tintoretto alias<br />

Jacopo Robusti nel primo decennio<br />

dei Seicento; lo si ammira nel Palazzo<br />

Ducale di Venezia, nella sala<br />

del Consiglio Maggiore. Nel medesimo<br />

Palazzo Ducale, nella sala del<br />

Consiglio dei Dieci, si trova invece<br />

un dipinto di Francesco e Leandro<br />

Bassano – è della fi ne del Cinquecento<br />

– che pure festeggia la vittoria<br />

di Sebastiano Ziani su Ottone. Qui<br />

il papa Alessandro III è raffi gurato<br />

mentre riceve il doge ancora in tenuta<br />

da combattimento, con il mantello<br />

buttato sopra l’armatura.<br />

Come si svolsero i fatti<br />

La verità storica fu completamente<br />

diversa da quella descritta<br />

dai pittori. Salito sul seggio dogale<br />

di Venezia il 29 settembre 1172 grazie<br />

alle sue enormi ricchezze, frutto<br />

di attività mercantili e di strozzinaggio,<br />

Ziani era stato in precedenza<br />

rettore di Sebenico. Lo stesso<br />

anno in cui fu eletto, fu indotto<br />

a imbracciare le armi. Pur avendo<br />

aderito alla Lega Lombarda costituitasi<br />

contro l’imperatore tedesco<br />

Federico I di Hohenstaufen, detto<br />

il Barbarossa, quando questi spedì<br />

Alessandro III e il Barbarossa in un dipinto di Federico Zuccari<br />

(del 1582) per la Sala del Maggior Consiglio nel Palazzo Ducale


Sabato, 6 maggio 2006<br />

doge, un papa, l’imperatore Barbarossa e il mare<br />

lle acque di Salvore<br />

mente non ci fu<br />

Descritto ed esaltato dai pittori, si sarebbe disputato nel 1177<br />

come suo cancelliere ad Ancona<br />

l’arcivescovo di Magonza, il doge<br />

inviò una fl otta di quaranta navi in<br />

aiuto delle forze imperiali contro<br />

la città adriatica con la quale aveva<br />

dei conti in sospeso. Ancona riuscì<br />

a contenere l’assedio facendo fallire<br />

l’impresa, ma l’essersi schierata<br />

con l’imperatore pose Venezia pur<br />

sempre in una posizione favorevole<br />

di mediatrice “nell’intrico internazionale”,<br />

come si esprime Claudio<br />

Rendina, lo storico dei Dogi. “Agli<br />

occhi del papa e dell’imperatore –<br />

aggiunge lo storico – Venezia appare<br />

forse più come la “Serenissima”,<br />

luogo ideale comunque dove porre<br />

fi ne alle loro contese” che da anni<br />

opponevano il papa Alessandro III<br />

all’imperatore tedesco (Federico I<br />

Barbarossa appoggiava l’antipapa<br />

Vittore IV). Per fortuna di Alessandro,<br />

il Barbarossa fu poi sconfi tto a<br />

Legnano il 29 maggio 1176 e perciò<br />

costretto a cercare la pace col papa.<br />

Il 24 marzo 1177, scortato dalle<br />

galee normanne e con un numeroso<br />

seguito di cardinali e vescovi,<br />

Alessandro III sbarcò a Venezia e<br />

l’indomani, festa dell’annunciazione<br />

o della Sensa, entrò nella<br />

basilica di San Marco, mentre il<br />

Barbarossa si fermava a Chioggia.<br />

Vennero così condotti negoziati a<br />

distanza che dopo alcuni mesi sfociarono<br />

fi nalmente in un accordo:<br />

il papa tolse lo scomunica dal capo<br />

del Barbarossa, quest’ultimo si dichiarò<br />

umile servitore del papa. La<br />

riconciliazione avvenne il 24 luglio<br />

nella basilica marciana, “presente<br />

un’immensa moltitudine di<br />

uomini e donne, l’imperatore portò<br />

obbedienza e devozione al papa<br />

con umiltà e ossequio”; a sua volta<br />

il papa gli impartì l’ordinazione<br />

a imperatore. Al canto del “Te<br />

Deum” fu proclamata la pace.<br />

Venezia entra<br />

nella leggenda<br />

Venezia entrava così nella leggenda<br />

e cominciava anche la leggenda<br />

della battaglia navale nelle<br />

acque di Salvore. Il papa avrebbe<br />

riconosciuto la sovranità di Venezia<br />

sull’Adriatico, inviando al doge un<br />

anello d’oro benedetto come segno<br />

del dominio veneziano, appunto, su<br />

quel mare. Da allora i dogi celebreranno<br />

gli sponsali con l’Adriatico<br />

ripetendo le parole che, sempre<br />

secondo la leggenda, Alessandro<br />

III avrebbe pronunciato inviando<br />

quell’anello: “affi nché i tempi avvenire<br />

sappiano che il mare è vo-<br />

stro e vi appartiene come la sposa<br />

allo sposo”.<br />

Quella dell’origine dello “Sposalizio<br />

del Mare”, però, non è l’unica<br />

leggenda legata alla mediazione di<br />

Venezia nella pace fra Alessandro III<br />

e l’imperatore Federico Barbarossa.<br />

Altre ne fi orirono, alimentate ovviamente<br />

dallo stesso governo veneziano.<br />

Una di queste narra di un arrivo<br />

clandestino a Venezia di papa Alessandro,<br />

che non ci fa una bella fi gura.<br />

Nel dipinto del Tintoretto, infatti,<br />

il papa arriva mascherato da pellegrino<br />

per sfuggire alle persecuzioni del<br />

Barbarossa, ed a scoprirlo è il doge<br />

Ziani, il vincitore di Salvore. Il papa<br />

sarà perciò costretto a premiarlo con<br />

l’offerta di un cero, della spada, dell’anello,<br />

con otto stendardi azzurri,<br />

trombe d’oro, cuscino e sedia d’oro.<br />

Perché soltanto così si può sposare<br />

il mare. Questi doni, naturalmente,<br />

furono concessi al doge appena sei<br />

mesi dopo l’arrivo del papa pellegrino,<br />

tanto fu il tempo che Alessandro<br />

III rimase nascosto nel monastero di<br />

Santa Maria della Carità, “mentre i<br />

veneziani – scrive Rendina – riuscivano<br />

a respingere in una fantomatica<br />

battaglia navale presso Salvore la<br />

fl otta imperiale” formata da navi pisane<br />

e genovesi, guidate dal già ricordato<br />

Ottone, fi glio del Barbarossa,<br />

fatto poi prigioniero e liberato<br />

soltanto a pace conclusa. Sempre<br />

secondo la leggenda, nell’occasione<br />

il papa avrebbe donato al doge il pileo<br />

e lo stocco come insegne ducali<br />

e una “rosa d’oro” consegnata nella<br />

quarta domenica di Quaresima, che<br />

fu perciò detta “dominica rosarum”,<br />

la Domenica delle Rose. La verità<br />

storica, così, andò a farsi friggere. Il<br />

falso divenne verità grazie soprattutto<br />

ai dipinti di Spinello, del Tintoretto<br />

e dei Bassano che illustrarono, ad<br />

alcuni secoli di distanza, “la battaglia<br />

che non c’è mai stata”.<br />

I dipinti, naturalmente, furono<br />

eseguiti su suggerimento degli autorevoli<br />

committenti dei pittori. Quando<br />

dipinse il suo quadro, tra il 1407<br />

e il 1408, Spinello aveva 84 anni, si<br />

fece aiutare dal fi glio e da Martino<br />

di Bartolomeo, descrivendo la battaglia<br />

secondo il racconto fattogli da<br />

un certo Betto Benedetti che aveva<br />

disegnato sulla carta i fatti inventati.<br />

Il committente del dipinto era il<br />

governo di Siena che all’epoca, sostenendo<br />

al soglio pontifi cio il veneziano<br />

Gregorio XII, intese celebrare<br />

soprattutto un illustre toscano, quel<br />

papa Alessandro III morto e sepolto<br />

due secoli prima: il pisano Orlando<br />

Bandinelli. Spinello lo raffi gurò<br />

mentre, insieme al doge di Venezia<br />

e al Barbarossa, era in cammino per<br />

Roma. Alle loro spalle è ancora in<br />

corso la grande cruenta battaglia:<br />

balestre puntate, lunghe lance in atto<br />

di colpire, uomini e mare. S’intravede<br />

pure un rostro che sbreccerà la<br />

nave contro la quale è puntato; lanciato<br />

da un mangano, un proiettile di<br />

pietra solleverà un nugolo di schegge.<br />

Mentre intorno ancora infuriano<br />

gli scontri, si arriva alla resa di ottone<br />

al doge. Di qui la concessione<br />

dell’anello del papa e delle insegne<br />

regali allo stesso doge, di qui la cerimonia<br />

dello sposalizio del mare,<br />

consacrazione di possesso. “A qualcuno<br />

piace crederlo - scrive la Facchini<br />

- e porta a testimonianza della<br />

sua fede la lapide celebrativa nella<br />

chiesa di San Giovanni a Salvore”.<br />

Nella grande tela dei Bassano<br />

si vedono: a destra sullo sfondo, le<br />

galee vittoriose appena arrivate sulla<br />

Laguna dal luogo dello scontro,<br />

mentre il papa benedice il vincitore,<br />

presente sulle rive tutta la popolazione<br />

di Venezia. I due pittori, “ciarlieri<br />

sul dopo, sorvolano sulla battaglia”<br />

che è stata invece descritta dal Tintoretto<br />

nei minimi particolari inventati:<br />

il mare è gremito di navi prese<br />

d’assalto dai veneziani e istriani lanciatisi<br />

all’arrembaggio; gli equipaggi<br />

imperiali sono ormai rassegnati<br />

alla sconfi tta, “incalzati e inchiodati,<br />

riversi sulle tolde, aggrappati ai relitti,<br />

morti”. Al centro del dipinto si<br />

“legge” la vergogna degli imperiali<br />

sconfi tti. Ottone chiede clemenza<br />

al doge vittorioso che lo riceve sul<br />

ponte di poppa della nave ammiraglia.<br />

A sinistra si vede la costa istriana:<br />

Punta Salvore dominata dalla<br />

chiesa romanica di San Giovanni;<br />

i vessilli con il leone di San Marco<br />

si impennano sugli alberi delle galee<br />

vittoriose.<br />

Il dipinto del Tintoretto, l’abbiamo<br />

detto, è del Seicento: “la Serenissima<br />

al tramonto ha bisogna di autocelebrarsi”,<br />

scrive la Facchini, ed<br />

è così. Non a caso i dipinti presenti<br />

nel Palazzo Ducale, quelli che rievocano<br />

l’arrivo di Alessandro III a Venezia,<br />

l’omaggio dell’imperatore, la<br />

battaglia di Salvore, lo sposalizio del<br />

mare sono ben undici. Oltre a quello<br />

del Tintoretto, ci sono tele di Palma<br />

il Giovane e d’altri pittori, tutte eseguite<br />

– ci dice il Rendina – in sostituzione<br />

di ventidue affreschi preesistenti<br />

e andati perduti nell’incendio<br />

che danneggiò gravemente quel<br />

Palazzo nel 1577. A questi quadri si<br />

aggiunge quello di Siena. Fin troppi<br />

per un mito.<br />

storia e ricerca 3<br />

Tra leggenda, tradizione e storia<br />

La «Serenissima<br />

Regina dei Mari»<br />

Nei secoli scorsi la festa della Sensa è stata una delle<br />

celebrazioni più importanti e sfarzose di Venezia, in<br />

cui si intrecciano leggenda, mito e storia della città.<br />

Momento culminante è una sorta di rito propoziatorio,<br />

lo “Sposalizio con il Mare”. E oggi la Festa è celebrata<br />

come una festa del Mare e quindi di festa della città che<br />

trae dal suo rapporto col mare, ragione di vita. Si svolge<br />

tutti gli anni il giorno dell’Ascensione a maggio.<br />

Le sue origini sono molto antiche. Storicamente,<br />

commemora due vittorie veneziane, lontane una<br />

dall’altra di quasi due secoli: una navale ed una<br />

degli Slavi. Questo è l’inizio del lento<br />

cammino intrapreso da Venezia per<br />

il dominio del Mare Adriatico, al<br />

quale tendeva fin dalle sue origini<br />

non tanto per motivi di conquista,<br />

quanto per ragioni di vita. L’arresto<br />

dell’espansione slava permetterà alla<br />

Repubblica di raggiungere questo suo<br />

obiettivo ed il possesso territoriale<br />

diventerà ormai superfluo, tanto che<br />

le città dalmate daranno ormai blandi<br />

tributi, regolati secondo le proprie<br />

risorse naturali ed economiche.<br />

A ricordo dell’ardua impresa, si dà<br />

inizio alla celebrazione della Festa<br />

della Sensa, limitata originariamente<br />

alla sola benedizione del Mare<br />

(il Doge, a bordo della galea<br />

dogale, che in seguito divenne il<br />

famoso Bucintoro, seguita da un<br />

corteo d’imbarcazioni si portava<br />

Vescovo di Olivolo benediceva le acque<br />

marine in segno di pace e gratitudine). Il<br />

rito divenne più complesso e sfarzoso quando con la<br />

stessa festa si cominciò a rievocare l’altra vittoria<br />

veneziana, quella diplomatica. Siamo ora nell’anno<br />

1177, le due massime autorità europee firmano a Venezia<br />

la pace che pone fine alla secolare lotta tra Papato e<br />

Impero: mediatore tra Papa Alessandro III e Federico<br />

Barbarossa è il doge Sebastiano Ziani.<br />

Il Papa riconoscente ai veneziani, colma la città di<br />

doni e consegna al Doge Ziani un anello benedetto<br />

pronunciando le parole: “Ricevilo in pegno della<br />

sovranità che Voi ed i successori Vostri avrete<br />

perpetuamente sul Mare” e, secondo il Sanudo, si<br />

precisava anche un invito a nozze “... lo sposasse lo<br />

Mar si come l’omo sposa la dona per esser so signor”.<br />

E così l’iniziale visita al mare e la sua benedizione si<br />

trasformano in un atto di investitura e di possesso: il<br />

dominio veneziano dell’Adriatico è riconosciuto dalle<br />

due massime potenze europee del tempo.<br />

Probabilmente la cerimonia dello “Sposalizio con il<br />

Mare”, al di là della leggenda e della tradizione, aveva<br />

precedenti origini bizantine, oppure si innestava su<br />

antichi riti pagani propiziatori. Il doge, con il seguito,<br />

si imbarcava sul Bucintoro e, raggiunta la bocca di<br />

porto di San Nicolò, gettava in mare un anello d’oro. Il<br />

Bucintoro era seguito da un folto e colorato corteo di<br />

barche ornate a festa, con i rappresentanti dei mestieri<br />

e delle principali corporazioni cittadine. Questa Festa si<br />

celebra tuttora anche se, bisogna dirlo, decisamente con<br />

minore sfarzo. Comunque, ancora oggi, il sindaco della<br />

città, nel giorno dell’Ascensione raggiunge, a bordo del<br />

Piccolo Bucintoro usato durante la Regata Storica, la<br />

bocca di Porto e porta avanti la tradizione, affiancato<br />

dalle Società della voga veneziane, gettando in laguna la<br />

vera d’oro che rappresenta l’unione di Venezia col Mare.


4<br />

SCHEGGE<br />

Sabato, 6 maggio 2006<br />

La politica espansionistica del<br />

regno sabaudo guardava con interesse<br />

al Medio Oriente e all’Africa<br />

settentrionale già nel periodo<br />

antecedente la prima guerra mondiale.<br />

Il fascismo, per certi aspetti,<br />

non fece altro che sviluppare i<br />

piani di conquista, auspicando al<br />

contempo di riscattare la Nazione<br />

umiliata alla conferenza della pace<br />

all’indomani della Grande guerra.<br />

Anche la genesi del confl itto italo-etiopico<br />

ha in primo luogo motivazioni<br />

politiche, che dovevano<br />

elevare a potenza e dare prestigio<br />

alla nazione italiana (1) .<br />

“Áddis Abeba (in amarico<br />

Addì Abebà o Ababà = il nuovo<br />

fiore) (...) capitale dell’Africa<br />

Orientale Italiana e sede del Vicerè<br />

d’Etiopia, è sparsa in un’ampia<br />

conca boscosa d’eucalipti appoggiata<br />

a nord dalle alture di<br />

Entótto e parte verso sud sull’amplissima<br />

ondulata alta valle dell’Auàsc,<br />

su uno sfondo di monti<br />

vulcanici dalle linee solenni (...).<br />

Occupata il 5 maggio 1936 dalla<br />

colonna Badoglio, la capitale<br />

barbarica del Negus si sta rapidissimamente<br />

trasformando, per<br />

opera dell’Italia, da informe agglomerato<br />

di capanne, di accampamenti<br />

abissini, di case di cicca<br />

e di negozi dall’apparenza orientale<br />

alla sua funzione di capitale,<br />

di emporio commerciale e di centro<br />

industriale e a tutte le esigenze<br />

della vita civile” (2) . Questa è la<br />

descrizione della capitale etiopica<br />

tratta dalla “Guida dell’Africa<br />

Orientale Italiana” pubblicata nel<br />

1938 dalla “Consociazione Turistica<br />

Italiana” (già Touring Club<br />

Italiano). La Guida venne realizzata<br />

“alla distanza di due anni e<br />

quattro mesi dalla data del 9 maggio<br />

1936-XIV, nella quale il Duce<br />

da Palazzo Venezia proclamava<br />

al mondo il ritorno dell’Impero<br />

(...)” scrive in apertura il senatore<br />

Carlo Bonardi (3) .<br />

Nell’autunno del 1935 l’esercito<br />

italiano iniziava l’offensiva<br />

contro il regno del Negus Hailè<br />

Sellassiè, unica realtà politica dell’Africa,<br />

assieme alla Liberia, a<br />

godere dell’indipendenza. “L’esercito<br />

etiopico, negli ultimi anni, per<br />

diretto interessamento del Negus e<br />

per il compiacente aiuto fornito da<br />

altri governi, sembrava avesse fatto,<br />

specie per quanto riguardava<br />

la fanteria, notevoli progressi. Un<br />

quarto, circa, delle forze poteva ritenersi<br />

fornito di buona istruzione<br />

militare all’europea; quasi tutti gli<br />

armati potevano ritenersi provvisti<br />

di fucili a ripetizione, di vari modelli<br />

e calibri, ma in prevalenza di<br />

tipi moderni, con circa 150 cartucce<br />

di dotazione individuale” (4) ,<br />

scrive Pietro Badoglio.<br />

Il confl itto fu cruento e atroce,<br />

l’esercito italiano compì nequizie<br />

di ogni genere, attaccando indiscriminatamente<br />

sia le forze militari<br />

del Negus sia i civili. L’av-<br />

storia e ricerca<br />

Il 9 maggio 1936, le truppe capeggiate da Pietro Badoglio entravano ad Addis Abeba<br />

In Etiopia, alla ricerca di «un posto al sole»:<br />

settant’anni fa sorgeva l’Impero italiano<br />

di Kristjan Knez<br />

Il 5 maggio di settant’anni<br />

or sono le truppe italiane,<br />

capeggiate da Pietro Badoglio,<br />

entrarono in Addis Abeba,<br />

capitale dell’Impero d’Etiopia.<br />

Quattro giorni più tardi Beni-<br />

to Mussolini fondava l’Impero,<br />

obiettivo che rientrava nella<br />

politica imperialistica del Duce,<br />

che ambiva ad espandere l’infl<br />

uenza italiana su buona parte<br />

del bacino mediterraneo nonché<br />

in Africa Orientale, ove l’Italia<br />

nutriva non pochi interessi, viste<br />

le colonie che già possedeva.<br />

La cosiddetta guerra d’Abissinia<br />

fu l’ultima guerra coloniale<br />

di conquista condotta da una<br />

nazione del vecchio continente.<br />

Il Regno d’Italia, unifi catosi relativamente<br />

tardi, iniziò a volgere<br />

lo sguardo ai territori d’oltremare,<br />

quando il globo era quasi<br />

completamente ripartiro tra<br />

le potenze coloniali di vecchia<br />

data (Regno Unito e Francia in<br />

particolare). Nonostante la diffi<br />

coltà di trovare territori non<br />

soggetti a nazioni terze, l’Italia<br />

non si arrese e non rinunciò a<br />

conquistarsi “un posto al sole”.<br />

Qui ricordiamo le prime esperienze<br />

coloniali, ossia la creazione<br />

di alcune basi situate lungo<br />

il Mar Rosso (nel 1885 venne<br />

occupata la baia di Assab),<br />

la costituzione del protettorato<br />

italiano su alcuni tratti costieri<br />

della Somalia (1889), che il<br />

sultano di Zanzibar dette in affi<br />

tto nel 1892, mentre nel 1905<br />

il territorio passò defi nitivamente<br />

all’Italia. In Eritrea quest’ultima<br />

aveva ottenuto nuove fette di<br />

territorio, e cozzò contro la politica<br />

espansionistica dell’imperatore<br />

Menelik. In questo contesto<br />

non possiamo omettere lo scacco<br />

subito dagli Italiani ad Adua<br />

(1 marzo 1896), un insuccesso<br />

che mise in secondo piano addirittura<br />

l’altrettanto amara sconfi<br />

tta navale avvenuta nelle acque<br />

dalmate di Lissa trent’anni prima.<br />

Menelik era intenzionato a<br />

unifi care l’Etiopia, e con la pace<br />

di Addis Abeba del 1896 ottenne<br />

il riconoscimento internazionale<br />

dell’Impero d’Etiopia. Nel<br />

1911-1912 il regio esercito attaccò<br />

e conquistò i territori turchi<br />

della Tripolitania e della Cirenaica,<br />

favorito dai confl itti che<br />

impegnavano le forze ottomane<br />

nei Balcani. Alla fi ne il tricolore<br />

venne issato anche nelle isole<br />

greche del Dodecaneso.<br />

Mussolini al popolo e al mondo<br />

Camicie nere della Rivoluzione,<br />

Uomini e donne di tutta Italia,<br />

Italiani e amici dell’Italia al di là dei<br />

monti e al di là dei mari, ascoltate!<br />

Il Maresciallo Badoglio mi telegrafa:<br />

Oggi 5 maggio alle ore 16, alla testa delle<br />

truppe vittoriose sono entrato in Addis<br />

Abeba.<br />

Durante i trenta secoli della sua storia,<br />

l’Italia ha vissuto molte ore memorabili,<br />

ma questa di oggi è certamente una delle<br />

più solenni.<br />

Annuncio al popolo italiano e al mondo<br />

che la guerra è fi nita.<br />

Annuncio al popolo italiano e al mondo<br />

che la pace è ristabilita.<br />

Non è senza emozione e senza fi erezza<br />

che, dopo sette mesi di aspre ostilità,<br />

che si tratta della nostra pace, della<br />

pace romana, che si esprime in questa<br />

semplice, irrevocabile, defi nitiva proposizione:<br />

l’Etiopia è italiana.<br />

Italiana di fatto perchè occupata dalle<br />

nostre Armate vittoriose, italiana di<br />

diritto perchè col gladio di Roma è la<br />

civiltà che trionfa sulla barbarie, la giustizia<br />

che trionfa sull’arbitrio crudele,<br />

la redenzione dei miseri che trionfa sulla<br />

schiavitù millenaria.<br />

Con le popolazioni dell’Etiopia, la<br />

pace è già un fatto compiuto. Le molteplici<br />

razze dell’ex-impero del Leone<br />

di Giuda hanno dimostrato per chiarissimi<br />

segni di voler vivere e lavorare<br />

tranquillamente all’ombra del tricolore<br />

d’Italia.<br />

Il capo e i ras battuti e fuggiaschi non<br />

contano più e nessuna forza al mondo<br />

potrà mai farli contare.<br />

Nell’adunata del 2 ottobre io promisi<br />

solennemente che avrei fatto tutto il<br />

possibile onde evitare che un confl itto<br />

africano si dilatasse in una guerra europea.<br />

Ho mantenuto tale impegno e<br />

più che mai sono convinto che turbare<br />

la pace dell’Europa signifi ca far crollare<br />

l’Europa.<br />

Ma debbo immediatamente aggiungere<br />

che noi siamo pronti a difendere la<br />

nostra folgorante vittoria con la stessa<br />

intrepida e inesorabile decisione con la<br />

quale l’abbiamo conquistata.<br />

versario venne bombardato pesantemente<br />

e colpito con i gas, vietati<br />

dalle convenzioni internazionali.<br />

Il generale Rodolfo Graziani non<br />

indugiò ad usare siffatta arma. Il<br />

15 dicembre 1935 telegrafava a<br />

Badoglio e a Lessona per ottenere<br />

l’autorizzazione a fare ricorso<br />

ai gas contro il nemico. Romano<br />

Canosa, nel volume su Rodolfo<br />

Graziani, riporta le comunicazioni<br />

telegrafi che che si conservano<br />

all’Archivio Centrale dello Stato<br />

a Roma (Fondo Graziani). In data<br />

surricordata si legge “Contro orde<br />

barbare pronte a compiere ogni eccidio<br />

quali quelli che avanzano, ritengo<br />

non debba risparmiarsi alcuna<br />

arma. Chiedo pertanto massima<br />

libertà di azione per impiego gas<br />

asfi ssianti tanto più che non vi è<br />

alcun pericolo colpire popolazioni<br />

civili”. Il giorno seguente Badoglio<br />

autorizzava la richiesta con<br />

la seguente comunicazione: “Sta<br />

bene impiego gas nel caso V.E.<br />

lo ritenga necessario per supreme<br />

ragioni di difesa” (5) . Nei giorni<br />

successivi lo stesso telegrafava<br />

al Ministero delle Colonie comunicando<br />

che era già stata utilizzata<br />

dell’iprite e che non avrebbe esitato<br />

ad impiegare i lanciafi amme in<br />

caso di necessità.<br />

Alla fi ne, Badoglio, divenuto<br />

primo Vicerè d’Etiopia, scrive:<br />

“Questa grande impresa, che ha<br />

assicurato all’Italia un impero, è<br />

stata compiuta nel breve giro di un<br />

anno. Da un modesto, direi quasi<br />

timido, progetto difensivo – dopo<br />

che l’ultima tra le tante aggressioni,<br />

quella di Ual Ual, aveva resa<br />

evidente la necessità di risolvere<br />

defi nitivamente con le armi il problema<br />

etiopico, per togliere una<br />

minaccia perenne alle nostre colonie<br />

dell’Africa Orientale e ripa-<br />

Noi sentiamo così di interpretare la<br />

volontà dei combattenti d’Africa, di quelli<br />

che sono morti, che sono gloriosamente<br />

caduti da combattenti d’Africa, e la cui<br />

memoria rimarrà custodita per generazioni<br />

nel cuore di tutto il popolo italiano,<br />

e delle centinaia di migliaia di soldati e<br />

Camicie nere che in sette mesi di campagna<br />

militare hanno compiuto prodigi tali<br />

da costringere il mondo alla incondizionata<br />

ammirazione.<br />

Ad essi va la profonda e devota riconoscenza<br />

della Patria e tale riconoscenza<br />

va anche ai centomila operai che durante<br />

questi mesi hanno lavorato con un accanimento<br />

sovrumano.<br />

rare inammissibili offese recate da<br />

uno stato barbaro alla nostra millenaria<br />

civiltà - si passava rapidamente<br />

ad un orientamento difensivo.<br />

Obiettivo: la distruzione dell’impero<br />

etiopico e la conquista<br />

dell’impero negussita” (6) . In realtà<br />

l’Italia fascista aveva messo in<br />

moto la macchina bellica con l’intento<br />

di colpire una volta per tutte<br />

l’acerrimo nemico in terra africana.<br />

Le intenzioni italiane risultano<br />

chiare se osserviamo le forze<br />

schierate nel confl itto. Alla fi ne<br />

dei combattimenti (maggio 1936)<br />

L’obelisco di Axum, rientrato lo<br />

scorso anno in patria: era stato<br />

portato in Italia in seguito alla<br />

conquista dell’Etiopia<br />

Questa d’oggi è una incancellabile data<br />

per la Rivoluzione delle Camicie nere e il<br />

popolo italiano che ha resistito, che non ha<br />

piegato dinanzi all’assedio e all’ostilità societaria,<br />

merita quale protagonista di vivere<br />

questa grande giornata.<br />

Camicie nere della Rivoluzione, uomini<br />

e donne di tutta Italia!<br />

Una tappa del nostro cammino è raggiunta.<br />

Continuiamo a marciare nella pace per<br />

i compiti che ci aspettano domani e che<br />

fronteggeremo col nostro coraggio, colla<br />

nostra fede, colla nostra volontà.<br />

Viva l’Italia!<br />

(Dal “Corriere della Sera”, 6 maggio 1936, p.1.)<br />

il corpo di spedizione annoverava 330 000 unità,<br />

87 000 ascari e 100 000 lavoratori italiani<br />

militarizzati, il regio esercito poteva contare<br />

anche su circa 14 000 automezzi, 250 carri armati<br />

e 350 velivoli. Sono cifre, scrive Nicola<br />

Labanca, che evidenziano il carattere di confl<br />

itto nazionale e moderno voluto dal fascismo,<br />

non certo coloniale (7) .<br />

Tale guerra venne presentata come uno<br />

scontro tra popoli di rango superiore ed inferiore<br />

in cui l’Italia, ritenuta preminente per<br />

civiltà, infl isse una dura sconfi tta a un impero<br />

defi nito retrivo, all’interno dei cui confi ni continuava<br />

a persistere la schiavitù. La posizione<br />

di potenza coloniale è evidente nel libro di Pietro<br />

Badoglio che scrive: “La guerra è stata vinta<br />

integralmente, dalla capacità dei capi e dalle<br />

altissime virtù dei gregari. Gli uni e gli altri<br />

esprimevano le intrinseche qualità della nostra<br />

razza, potenziata dallo spirito dell’Italia nuova<br />

guidata dal Duce. È la razza che ha saputo<br />

trionfare su ogni diffi coltà, su ogni pericolo, su<br />

ogni sacrifi cio, confermando ancora una volta<br />

al mondo intero – ammirato se pure avverso<br />

– il nostro diritto ai più alti destini. La guerra<br />

è stata vinta rapidamente, per la nostra immensa<br />

superiorià morale, spirituale e culturale, per<br />

la schiacciante superiorà degli armamenti e di<br />

ogni altro mezzo” (8) . Sintetizzando possiamo<br />

dire che il confl itto venne rappresentato come<br />

un intervento militare da parte di una nazione<br />

civile e civilizzatrice nei confronti di una realtà<br />

“barbara” e anacronistica.<br />

Nel periodo antecedente lo scoppio delle<br />

ostilità il mercato librario italiano venne invaso<br />

da una miriade di volumi e opuscoli concernenti<br />

l’Etiopia, la sua società e la sua realtà,<br />

quasi sempre considerata infi ma e selvaggia<br />

rispetto alla civiltà italiana, erede diretta di<br />

Roma. Le case editrici pubblicarono sia opere<br />

di autori italiani, come, ad esempio, “L’ultimo<br />

baluardo della schiavitù: l’Abissinia” di G. C.<br />

Baravelli, professore all’Università di Roma,<br />

sia lavori tradotti da altre lingue come “Orrori<br />

e miserie della schiavitù in Abissinia” di Warel<br />

Ludwig, oppure “Orrori della schiavitù in Etiopia”<br />

di Lady Simon, moglie dell’ex ministro<br />

degli affari esteri britannico Sir John Simon.<br />

La questione della schiavitù aveva appassionato<br />

gli animi in tutta Europa, quella realtà necessitava<br />

pertanto un cambiamento radicale. In<br />

Italia tale aspetto venne rappresentato con toni<br />

piuttosto accesi. “La razza bianca – si legge nel<br />

volume di Ugo Nanni -, industre, laboriosa, dominatrice,<br />

che mai conobbe limiti alla propria<br />

intraprendenza, non può evidentemente arrestarsi<br />

alle soglie di un impero negro, dove una<br />

casta feudale, imbevuta di pregiudizi e divorata<br />

da un disperato orgoglio, isterilisce le ener-<br />

gie naturali del paese natio, anziché trarne sostanza<br />

preziosa e materia plastica per rinnovate<br />

espressioni del genio umano” (9) . L’Etiopia<br />

venne defi nita “(...) un paese che vive in pieno<br />

medio evo”, mentre il regime politico era ritenuto<br />

“(...) di pretta marca barbarica” (10) . Per<br />

quanto attiene gli schiavi ricordiamo che questi<br />

non venivano incatenati e sottoposti alla sferza<br />

del sole e del padrone bensì erano dei servi che<br />

non percepivano alcuna remunerazione, “(...)<br />

accomunati alle bestie da soma e mantenuti<br />

in uno stato di degradante abiezione che impedisce<br />

loro di desiderare una sorte più benigna”<br />

(11) . Possedere un servo era comunque una<br />

pratica molto diffusa, ed i ricchi proprietari ne<br />

possedevano anche sino a cinquanta (12) .<br />

Il 9 maggio 1936 Benito Mussolini fondava<br />

l’Impero. Nel suo discorso dichiarò che “I territori<br />

e le genti che appartenevano all’Impero<br />

di Etiopia sono posti sotto la sovranità piena e<br />

Sabato, 6 maggio 2006<br />

5<br />

La conquista del paese africano costituì uno<br />

dei momenti in cui il “consenso” al fascismo<br />

raggiunse l’apice. E la propaganda fu fondamentale,<br />

un’arma, non meno importante<br />

di quelle militari. Infatti, la Seconda guerra<br />

mondiale fu combattuta anche attraverso la<br />

diffusione di cartoline, manifesti, attraverso<br />

la stampa, la radio, il cinema, i messaggi che<br />

“investirono” la popolazione.<br />

La propaganda relativa alla campagna<br />

d’Africa – qui riprodotte pagine di giornali<br />

e pubblicità – è legata alle operazioni sui due<br />

fronti etiopico e libico. Molti manifesti tentano<br />

di dare una giustifi cazione alle iniziative di<br />

conquista dell’impero: la politica estera fascista,<br />

ispirata al prestigio internazionale, puntò<br />

soprattutto all’espansione coloniale: oltre alla<br />

Libia (perduta nella Grande Guerra), Mussolini<br />

conquistò l’Etiopia con una serie di<br />

battaglie sleali e formò l’Impero Italiano.<br />

intera del Regno d’Italia mentre il titolo di Imperatore<br />

d’Etiopia viene assunto per sè e per i<br />

suoi successori dal Re d’Italia”. L’Etiopia aveva<br />

una superfi cie di quasi 1.150.000 chilometri<br />

quadrati ed una popolazione compresa tra 6 e<br />

15 milioni di abitanti.<br />

In un editoriale pubblicato dal “Corriere<br />

della Sera” intitolato “Impero” si riscontra<br />

l’enfasi che seguì alla fondazione dell’Impero.<br />

A mo’ d’esempio riportiamo alcuni passi del<br />

pezzo apparso sul quotidiano milanese domenica<br />

10 maggio 1936: “L’Impero è risorto! Il<br />

nuovo Impero fascista, come quello dei nostri<br />

padri antichi, per virtù di armi, associata a una<br />

mirabile virtù di governo. (...) Grande parola, e<br />

grandissima cosa. Dopo quindici secoli, Roma<br />

diventa ancora una volta il centro animatore di<br />

un possente organismo politico; riunisce sotto<br />

di sè popoli diversi di razza, di religione, di livello<br />

civile e tutti li comprende sotto una legge<br />

illuminata; tutti li accomuna in un regime di<br />

autorità e di armonia. (...). La grandezza della<br />

nostra vittoria apparirà sempre maggiore col<br />

tempo, quando l’Impero conquistato col sangue<br />

sarà stato, come ha detto il Duce, fecondato<br />

col lavoro”. La vittoria africana e la fondazione<br />

dell’Impero, il venir meno delle sanzioni<br />

economiche, che rappresentavano una sorta di<br />

“riconoscimento del fatto compiuto implicito”,<br />

produssero un notevole entusiamo tra gli Italiani,<br />

mentre Mussolini godette di un prestigio<br />

che mai più si sarebbe manifestato (13) . Per i fascisti<br />

più convinti la conquista del paese africano<br />

rappresentava la rinascita della Roma imperiale.<br />

Per il fascismo questo avvenimento rappresentò<br />

l’apice degli “anni del consenso”.<br />

Note:<br />

(1) F. Chabod, L’Italia contemporanea (1918-1948), Torino 1961,<br />

p. 91.<br />

(2) Guida dell’Africa Orientale Italiana, Milano 1938, p. 47<strong>6.</strong><br />

(3) Ibidem, p. 5.<br />

(4) P. Badoglio, La guerra d’Etiopia, Milano 1936, p. 11.<br />

(5) R. Canosa, Graziani. Il maresciallo d’Italia dalla guerra<br />

d’Etiopia alla Repubblica di Salò, Milano 2005, p. 91.<br />

(6) P. Badoglio, op. cit. p. 207.<br />

(7) N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana,<br />

Bologna 2002, p. 189.<br />

(8) P. Badoglio, op. cit., pp. 210-211.<br />

(9) U. Nanni, Che cosa è l’Etiopia, Milano 1935, p. 9.<br />

(10) Ibidem, p. 98.<br />

(11) Ibidem, p. 172.<br />

(12) M. Murat, Come è l’Etiopia (Abissinia), Piacenza 1935, p. 214.<br />

(13) Cfr. R. De Felice, Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso<br />

1929-1936, Torino 1974, p. 758.


6 storia e ricerca<br />

Forse sarà il caso di chiarire<br />

subito un punto. Quella<br />

che vi stiamo presentando<br />

non è una rivista di storia di<br />

sublime valore metodologicoscientifi<br />

co, ma neanche aspira<br />

a siffatte altezze. Il suo valore<br />

è di tutt’altra natura. “Epulon”<br />

(Epulo), la rivista uffi ciale degli<br />

studenti di storia della Facoltà<br />

di Lettere e Filosofi a di Pola,<br />

riuniti nel circolo ISHA (International<br />

Students of History Association),<br />

trova il suo merito,<br />

i pregi e i molteplici vantaggi,<br />

semplicemente nel suo essere<br />

gestita da soli studenti, che – e<br />

questo è da tenere bene a mente<br />

– fi rmano gli articoli, la redazione,<br />

l’impaginazione e la<br />

pubblicazione dell’opera senza<br />

alcun soccorso da parte dei docenti.<br />

Sicuramente, però, appartiene<br />

piuttosto alla sfera della<br />

propedeutica storiografi ca che<br />

non alla storiografi a in quanto<br />

scienza. Di regola le fonti non<br />

sono d’archivio ma bibliografi -<br />

che, citate – questo sì – accuratamente<br />

nelle note a piè di pagina.<br />

Talvolta l’elaborazione del<br />

tema presenta rilevanti lacune e<br />

spesso le conclusioni si presentano<br />

affrettate e grossolane. Ma<br />

non è questo il punto. Ciò che in<br />

“Epulon” è degno della massima<br />

considerazione, risiede nella<br />

decisione, matura e consapevole<br />

dei suoi autori, di studiare meglio<br />

e più di propria spontanea<br />

iniziativa, di fare oltre lo stretto<br />

necessario e di comunicare le<br />

proprie scoperte, assaporando<br />

(perché no?), da buon principio,<br />

il piacere di essere ascoltati.<br />

Il periodico degli studenti<br />

polesi attualmente diretto da<br />

Željko Cetina con l’aiuto di<br />

Dragan Živković e Ozren Catela,<br />

esce una volta l’anno con<br />

il concorso della Città di Pola e<br />

della Regione istriana. La tiratura<br />

è minima, 500 copie, la veste<br />

grafi ca essenziale. Il numero<br />

quattro (aprile 2006) apre con<br />

l’editoriale di Milan Radošević<br />

che spiega in maniera succinta<br />

la scelta del tema dell’edizione:<br />

i grandi del passato ai margini<br />

della società. Un titolo ampio<br />

abbastanza per dare un comune<br />

denominatore alla gran parte<br />

dei saggi contenuti nel tomo,<br />

dedicati appunto agli illustri<br />

(incompresi, anche emarginati)<br />

della storia, della fi losofi a, della<br />

scienza e della letteratura, classifi<br />

cati nei due capitoli distinti<br />

della storia nazionale e universale.<br />

Fuori… concorrenza è il<br />

saggio datato 2002 dello storico<br />

“ospite” Ivo Goldstein, che<br />

inaugura la pubblicazione con<br />

“Josip Broz Tito: tra ricerche<br />

storiografi che scrupolose e manipolazioni<br />

politiche”. Una lettura<br />

avvincente, in cui la voce<br />

di un autorevole storico mette a<br />

nudo la fi gura dello statista idolatrato<br />

che, nonostante i fi umi<br />

d’inchiostro spesi nel tentativo<br />

di tratteggiarne un ritratto perlomeno<br />

verosimile, è sempre in<br />

attesa di una monografi a scientifi<br />

camente fondata e distante<br />

dall’inevitabile bipolarità delle<br />

posizioni politiche attualmente<br />

in voga. Questo, a parere di<br />

Goldstein, per tre ostacoli fon-<br />

damentali: intanto, e questo è<br />

chiaro, perché i ricordi personali<br />

e soggettivi sono ancora<br />

“freschi” e contribuiscono ad<br />

offuscare il giudizio, in secondo<br />

luogo, perché le fonti d’importanza<br />

strategica (documenti<br />

e verbali del Comintern, del<br />

Politburo, dell’OZNA e dell’UDBA,<br />

documentazione concernente<br />

il “caso Hebrang” ecc)<br />

sono inaccessibili, e infi ne, per<br />

problemi intrinseci della stessa<br />

storiografi a nazionale, sostanzialmente<br />

“defi citaria nel genere<br />

monografi co” e quindi povera<br />

di tradizione e di validi modelli<br />

da prendere a spunto.<br />

Il capitolo della storia nazionale<br />

parte con un saggio di<br />

Marin Percan sui cinque sarcofagi<br />

della Cattedrale di Pola<br />

che custodiscono le reliquie dei<br />

santi Giorgio, Teodoro, Demetrio,<br />

Basilio, Floro, e del beato<br />

Salomone che fu re di Unghe-<br />

ria. Di Mario Miletić e Nevena<br />

Radović le rispettive ricerche su<br />

due personaggi di storia canonica,<br />

il vescovo Nikola Modruški<br />

e fra Luka Ibrašimović: il primo,<br />

uomo di lettere e alti onori<br />

di Stato, nunzio papale alla Corte<br />

di Matijaš Korvin, poi esiliato<br />

probabilmente per l’opposizione<br />

alla centralizzazione del<br />

Regno croato-ungarico, continuò<br />

in Italia la sua missione di<br />

difesa del glagolitico e della celebrazione<br />

dei riti liturgici nella<br />

lingua volgare fino alla morte,<br />

sopravvenuta nel 1480, l’altro,<br />

il frate Luka Ibrašimović, vicario<br />

del Vescovo di Zagabria in<br />

terra slavone (contesa in fatto di<br />

sovrintendenza territoriale dalla<br />

Diocesi zagabrese e dal vescovato<br />

di Bosnia) di cui la storia<br />

ricorda innanzi tutto la sua<br />

ascesa a mito nazional-popolare<br />

per il ruolo giocato nella liberazione<br />

di Požega dal dominio<br />

Sabato, 6 maggio 2006<br />

INIZIATIVE Gli studenti di storia della Facoltà di Pola, riuniti nel circolo ISHA,<br />

Scavare nel passato, studiare<br />

e... il piacere di essere ascoltati<br />

di Daria Deghenghi<br />

ATTUALITÀ<br />

L’avevano defi nita l’ “Ostpolitik“<br />

di Piero Fassino, la svolta<br />

che doveva portare, nella seconda<br />

metà degli anni ‘90, durante i<br />

due governi del centrosinistra, ad<br />

un asse privilegiato tra l’Italia e<br />

l’ex Jugoslavia. La “porta d’ingresso“<br />

a tale ambizione italiana<br />

si è sempre chiamata Slovenia,<br />

il paese più vicino, quello confi<br />

nante, quello su cui oggi punta<br />

economicamente e ambiziosamente<br />

anche il Friuli Venezia<br />

Željko Cetina<br />

e Dragan<br />

Živković<br />

Giulia di Riccardo Illy, dove tra<br />

l’altro vive una notevole comunità<br />

slovena.<br />

La lunga parentesi berlusconiana<br />

ha congelato l’ “Ostpolitik“,<br />

spingendo ulteriormente Lubiana<br />

tra le morbide e materne braccia<br />

germaniche. Ma dopo la vittoria<br />

dell’Unione è probabile che se ne<br />

ricominci a parlare di più anche a<br />

Roma. Quali sono i capitoli ancora<br />

da chiudere o da sdoganare tra<br />

Italia e Slovenia perchè si possa<br />

parlare di un rilancio delle ambizioni<br />

italiane in questa parte dell’<br />

ex Jugoslavia? La comune appartenenza<br />

europea da sola non basta.<br />

Al pettine ci sono ancora dei<br />

nodi che andrebbero sciolti e che<br />

riconducono la vicenda italo-slovena<br />

alle incomprensioni e alle<br />

diverse interpretazioni di alcune<br />

fondamentali tappe storiche e<br />

del diritto internazionale quali; il<br />

trattato di pace di Parigi, il Memorandum<br />

di Londra, gli Accor-<br />

di di Osimo, l’esodo degli Istriani,<br />

i diritti delle due minoranze,<br />

nonchè la successione dei trattati<br />

bilaterali dopo l’indipendenza di<br />

Lubiana. La Slovenia è il primo<br />

e per ora l’unico paese ex-jugoslavo<br />

diventato membro dell’UE,<br />

anche con l’appoggio esplicito di<br />

Romano Prodi. E ridiventa perciò<br />

attualissimo il libro “Italia Slovenia<br />

1990/1994” scritto dal giornalista<br />

e storico piranese Stefano<br />

Lusa con una prefazione fi rmata<br />

dei turchi dopo 150 anni di oppressione.<br />

Anita Buhin firma un<br />

saggio sulla rivolta contadina<br />

di Prostimo nel 1921, il primo<br />

tentativo di insurrezione antifascista<br />

in Istria, antecedente alla<br />

stessa Repubblica dei minatori<br />

di Albona che ciononostante si<br />

è portata via tutto il merito… La<br />

studentessa narra l’episodio della<br />

sommossa con dovizia di dettagli<br />

davvero degna di ammirazione<br />

e pone l’accento della sua<br />

dissertazione sul fatto che il movimento<br />

dei contadini di Prostimo<br />

non abbia tratto la sua forza<br />

motrice né da impulsi nazionalistici,<br />

né da radicate convinzioni<br />

comuniste, ma neanche da motivi<br />

politici di aperto antagonismo<br />

allo Stato italiano, argomentando<br />

invece a favore della<br />

tesi secondo la quale si è trattato<br />

di pura e comprensibile “risposta<br />

organica” alle incursioni dei<br />

militanti fascisti. Segue un soli-<br />

Stefano Lusa ha descritto le relazioni tra Roma e Lubiana dal 1990 al 1994<br />

Rapporti italo-sloveni: cambieranno rotta con l’avvento del<br />

dal prestigioso storico e diplomatico,<br />

nonchè protagonista dei<br />

rapporti italo-jugoslavi dal dopoguerra<br />

in poi, Diego de Castro, illustre<br />

piranese anche lui.<br />

Il libro di Lusa approfondisce,<br />

seguendo una documentazione<br />

ed un attendibile approccio<br />

storiografi co dalle inevitabili venature<br />

giornalistiche, un periodo<br />

tutto sommato breve ma assolutamente<br />

chiave per la comprensione<br />

dei problemi che tutt’ora


Sabato, 6 maggio 2006<br />

hanno promosso la stampa della rivista «Epulon»<br />

do saggio di Aleksandar Žigant<br />

su Miroslav Krleža che parte<br />

alla ricerca delle radici di un<br />

culto della personalità incentivato,<br />

a quanto pare, dallo stesso<br />

scrittore. Infine, Ivan Žagar<br />

propone il tema dei tifosi di<br />

calcio nel periodo intercorso<br />

tra la morte di Tito e il 1986,<br />

rivisitandolo dal punto di vista<br />

storiografico dopo una nutrita<br />

serie di ricerche condotte prevalentemente<br />

in campo sociologico<br />

e psicologico.<br />

Apre il capitolo della storia<br />

universale un testo divertente<br />

quanto istruttivo su Diogene<br />

di Sinope (“Il filosofo della<br />

botte”), di Melena Rupčić e<br />

Jasenko Zekić. Allettante lettura,<br />

ricca di curiosità attinte ad<br />

un vasto elenco di fonti bibliografiche<br />

(da Diogene Laerzio,<br />

Plutarco e Luciano di Samòsata<br />

a Hegel), che dipinge un<br />

Diogene cinico – il Cinico per<br />

antonomasia – autosufficiente,<br />

libero da qualsiasi vincolo<br />

familiare o politico, estraneo<br />

a tutte le convenzioni sociali,<br />

esibizionista e polemico nei<br />

confronti delle dottrine trionfanti<br />

di Platone e Aristotele (la<br />

dialettica è vuota e la definizione<br />

è tautologia), indifferente<br />

ai potenti e allo stesso Alessandro<br />

Magno (“Lasciami il<br />

mio sole“, gli disse, disturbato<br />

mentre prendeva il sole), come<br />

lo descrive del resto la vasta<br />

letteratura aneddotica costruita<br />

attorno alla sua figura. E ancora<br />

testi di carattere prevalentemente<br />

biografico su Galileo<br />

Galilei (di Hrvoje Badurina),<br />

l’emblema del “grande” messo<br />

all’indice dal suo tempo (non a<br />

caso la redazione gli ha dedicato<br />

la copertina), Emiliano Zapata<br />

(di Hana Žerić), Mahatma<br />

Gandhi (Marlena Lakić) e Martin<br />

Luther King (Luka Tidić).<br />

Valido, infine, il contributo di<br />

Goran Šaponja sul comandante<br />

di sottomarino Georg von<br />

Trapp, nato a Zara, eroe della<br />

marina asburgica nel primo<br />

conflitto mondiale, poi oppositore<br />

del nazismo ed esiliato nel<br />

Vermont (USA) assieme alla<br />

famiglia che, dopo la bancarotta<br />

negli anni trenta, in seguito<br />

ad una serie di circostanze<br />

fortuite, ha trovato il modo di<br />

monetizzare un talento comune<br />

a padre, prole e governante<br />

(moglie in seconde nozze):<br />

il canto. Suona familiare? Ovvio,<br />

la storia è stata riproposta<br />

in versione romanzata in “Tutti<br />

insieme appassionatamente”,<br />

spettacolo di successo a Brodway<br />

e successivo film di fama<br />

planetaria.<br />

Spazio quindi alle rubriche<br />

fisse: “Colore”, “Patrimonio<br />

culturale”, “Diario di viaggio”<br />

e “Anniversari” (in questo numero,<br />

tra gli altri argomenti,<br />

articoli sui 150 anni del cantiere<br />

navale polese, i 250 della<br />

nascita di Mozart, l’85.esimo<br />

della Repubblica di Albona e<br />

via elencando), quindi l’intervista<br />

con il docente Igor Duda<br />

sull’applicazione del processo<br />

di Bologna per la rubrica<br />

“Metodica dell’insegnamento<br />

di storia”, un testo sullo sbarco<br />

in Normandia per la rubrica<br />

“Le grandi battaglie della storia”,<br />

un veloce aggiornamento<br />

sulle novità editoriali e “Curiosità”,<br />

la rubrica dedicata ad<br />

argomenti di vario interesse<br />

umanistico.<br />

nuovo governo di centro-sinistra?<br />

assillano i rapporti tra i due paesi<br />

vicini. È il periodo che va dall’affermazione<br />

della prima democrazia<br />

parlamentare slovena e<br />

dell’indipendenza nazionale del<br />

paese, al 1994, anno che segna<br />

una preoccupante crisi nei rapporti<br />

tra Roma e Lubiana, con un<br />

governo Berlusconi già in declino<br />

ma che, consigliato dalla destra<br />

nazionalista di frontiera, con<br />

roccaforte Trieste, continua ad<br />

ostacolare e a condizionare l’av-<br />

vicinamento della Slovenia ai<br />

quindici con richieste di revisione<br />

sul campo dei trattati bilaterali<br />

e un recupero del peso contrattuale<br />

delle organizzazioni degli<br />

esuli istriani. È il periodo degli<br />

accordi falliti di Aquileia e del<br />

muro contro muro. Ma è anche<br />

il periodo in cui a Bruxelles e a<br />

Madrid emergono le prime bozze<br />

di quello che più tardi sarebbe<br />

stato chiamato“il compromesso<br />

spagnolo“ sui beni abbandona-<br />

ti. Un capitolo la cui comprensione<br />

è essenzale per chi voglia<br />

affrontare e risolvere quei nodi<br />

che proprio allora s’ingrovigliarono<br />

a dismisura e che continuano<br />

a condizionare tutt’oggi, nonostante<br />

l’UE, i rapporti tra i due<br />

paesi. Una lettura che risulterà<br />

utile anche a chi guiderà la Farnesina<br />

nei prossimi anni.<br />

Franco Juri<br />

(tratto da “Osservatorio<br />

sui Balcani”)<br />

LIBRI<br />

storia e ricerca 7<br />

Radiografi a degli orrori<br />

del XX secolo<br />

Per genocidio intendiamo la<br />

distruzione di una nazione o di un<br />

gruppo etnico; il genocidio è diretto<br />

contro il gruppo nazionale in quanto<br />

entità, e le azioni che esso provoca<br />

sono condotte contro individui, non<br />

a causa delle loro qualità individuali,<br />

ma in quanto membri del gruppo<br />

nazionale. Giuridicamente, è il più<br />

terribile dei delitti, considerato un<br />

crimine contro l'umanità "aggravato".<br />

Questa parola, genocidio,<br />

troppo spesso pronunciata e sentita<br />

nel corso del XX secolo, fu coniata<br />

nel 1944 da un docente di diritto<br />

internazionale polacco, Raphael<br />

Lemkin, nel nono capitolo del suo<br />

libro "Axis Rule in occupied Europe",<br />

con particolare riferimento alle<br />

pratiche militari della Germania nazista.<br />

Ma la nozione stessa del termine,<br />

sancita dalla convenzione<br />

dell'ONU del 1948, suscita oggi<br />

numerose obiezioni e accesi dibattiti<br />

in quanto applicata a situazioni<br />

storiche molto diverse.<br />

Quali caratteristiche hanno avuto<br />

i tanti orrori perpetrati ovunque<br />

nel corso del secolo scorso? Perché<br />

hanno accomunato democrazie liberali<br />

e regimi dittatoriali? Per quali<br />

motivi il genocidio rappresenta il<br />

lato oscuro della modernità? Sono<br />

soltanto alcune delle domande che<br />

trovano risposta (o un'ipotesi di risposta)<br />

in questo libro curato da R.<br />

Gellately – B. Kiernan), Il secolo<br />

del genocidio (Longanesi, 2006,<br />

pp. 512, euro 24), che rivisita criticamente<br />

in diciassette contributi<br />

di altrettanti studiosi l'assassinio di<br />

massa, la violazione dei diritti umani:<br />

dalla "soluzione fi nale" messa in<br />

atto dal nazismo contro gli ebrei, il<br />

terrore staliniano, le persecuzioni<br />

contro le popolazioni indigene in<br />

Africa, Australia e Nord America,<br />

le atrocità consumate più o meno<br />

recentemente in Armenia, nella<br />

Cambogia di Pol Pot, nella ex Iugoslavia,<br />

a Timor Est, in Ruanda,<br />

Etiopia e Guatemala.<br />

Tutti i continenti, in tempi e<br />

modi differenti, sono stati colpiti<br />

da questo virus che, ovunque si presenti,<br />

provoca una catastrofe della<br />

ragione, del buon senso, un'offesa<br />

all'uomo in quanto tale. E il ventesimo<br />

secolo sarà ricordato come uno<br />

dei periodi più terribili della storia<br />

dell'uomo. Un secolo in cui la furia<br />

omicida ha travolto i valori fondamentali<br />

dell'umanità. In cento anni<br />

si sono verifi cate due guerre mondiali,<br />

il nazismo, il fascismo, lo stalinismo,<br />

le bombe atomiche di Hiroshima<br />

e Nagasaki, la guerra del<br />

Vietnam, il genocidio in Ruanda,<br />

la guerra dei Balcani e centinaia di<br />

confl itti locali che hanno mietuto<br />

milioni di vite. Quali sono le cause<br />

profonde della guerra e del genocidio<br />

nel ventesimo secolo? Che cosa<br />

ha coinvolto milioni di uomini in<br />

immani bagni di sangue? Argomento<br />

del libro è dunque quello indicato<br />

dal titolo, ossia (almeno nelle intenzioni)<br />

"tutti i genocidi" compiuti in<br />

un secolo, il XX, che di distruzioni<br />

ne ha conosciute diverse. Scopo degli<br />

autori, aiutare a comprendere la<br />

tipologia della violenza verifi catasi<br />

in passato con lo scopo di contribuire<br />

allla "prevenzione" e alla "repressione"<br />

del delitto di genocidio.<br />

A tal fi ne, vengono rivisitate alcune<br />

caratteristiche di tale violenza. Il<br />

volume è introdotto da uno studio<br />

dell'eccidio di massa e del genocidio<br />

(di Robert Gellately, Ben Kiernan)<br />

e diviso in quattro parti. Nella<br />

prima, intitolata “Genocidi e modernità”,<br />

Ben Kiernan affronta le<br />

caratteristiche degli eccidi novecen-<br />

Il secolo del genocidio<br />

teschi, i loro temi di fondo; Eric D.<br />

Weitz propone una rifl essione sulle<br />

correlazioni tra i concetti di guerra,<br />

razza e rivoluzione nel Novecento;<br />

Omer Bartov cerca di risalire alle<br />

radici del genocidio moderno, incentrando<br />

il suo saggio sulla macro<br />

e microstoria dell'eccidio di massa,<br />

mentre Marie Fleming si occupa di<br />

genocidio e corpo politico nell'era<br />

della modernità. Incentrata sui problemi<br />

coloniali, dei popoli indigeni<br />

(dalle “soluzioni fi nali” nelle colonie<br />

della Germania guglielmina a<br />

Timor est), è la seconda parte, con<br />

contributi di Elazar Barkan, Isabel<br />

V. Hull e John G. Taylor. Armeni, il<br />

Grande terrore nell'Unione Sovietica,<br />

l’Olocausto e una visione sulla<br />

storia contemporanea del Giappone<br />

sono contenuti nella parte terza, fi rmata<br />

da Jay Winter, Nicolas Werth,<br />

Robert Gellately e Gavan McCormack.<br />

L'analisi sfocia infi ne in una<br />

ricostruzione storica dei genocidi<br />

e degli eccidi di massa dopo il ’45<br />

(Bali, Cambogia ed Etiopia, Ruanda,<br />

Guatemala), per concludere con<br />

la pulizia etnica attuata nell’ex Jugoslavia<br />

(saggi di Leslie Dwyer,<br />

Degung Santikarma, Edward Kissi,<br />

Robert Melson, Greg Grandin e<br />

Jacques Semelin).<br />

Il genocidio, un dramma sempre<br />

in agguato, un pensiero mai sotterrato:<br />

dopo l'olocausto della Seconda<br />

guerra mondiale sembrava<br />

impossibile che l'umanità potesse<br />

ripetere medesimi rituali di sterminio<br />

programmato, di fredda eliminazione<br />

fi sica di un popolo intero.<br />

E invece ancora si sono riproposti<br />

scenari analoghi nell'ex Jugoslavia,<br />

in Ruanda con il genocidio dei Tutsi,<br />

nella Cambogia della fi ne degli<br />

anni Settanta (1.860.000 morti), in<br />

Sudafrica, in Amazzonia, con l'etnocidio<br />

delle tribù amerinde... Dunque<br />

un volume drammaticamente<br />

attuale, il cui interesse non risiede<br />

solo nell'analisi storica di confl itti<br />

ormai cessati, ma proprio nella<br />

possibilità concreta del loro ripetersi<br />

in tempi e luoghi magari assai<br />

differenti, ma con le medesime<br />

modalità. Al di là dei distinguo più<br />

o meno sottili che accompagnano la<br />

rifl essione su un problema storicogiuridico<br />

(ed etico) così delicato e<br />

universale, lo spettro del genocidio<br />

è ancora tra noi.<br />

Robert Gellately, attualmente<br />

professore di Storia alla Florida<br />

State University, ha dedicato i<br />

suoi studi soprattutto al nazismo e<br />

all’Olocausto. Con Longanesi ha<br />

pubblicato nel 2002 "Il popolo di<br />

Hitler". Ben Kiernan è docente di<br />

Storia e direttore del Genocide Studies<br />

Program alla Yale University.<br />

Ha indagato in particolare la società<br />

cambogiana, pubblicando due volumi<br />

sul regime di Pol Pot.


8 storia e ricerca<br />

Alle 14.18 del 31 maggio<br />

1916, nelle acque del Mare<br />

del Nord, l'incrociatore inglese<br />

"Galatea" alzò il segnale a<br />

bandiere "nemico in vista": dieci<br />

minuti dopo ebbe inizio la più<br />

grande battaglia navale della storia,<br />

l'ultima in cui l'aviazione non<br />

abbia giocato alcun ruolo. Al largo<br />

della penisola dello Jutland (Skaggerak,<br />

in tedesco), 16 corazzate e<br />

5 incrociatori da battaglia tedeschi<br />

con le loro 80 navi di scorta affrontarono<br />

151 unità inglesi, fra le<br />

quali 28 corazzate e 9 incrociatori.<br />

L'esito dello scontro, che si protrasse<br />

fi no al mattino successivo,<br />

fu incerto. Gli inglesi, pur subendo<br />

le perdite più pesanti (morirono<br />

tragicamente 6094 tra uffi ciali<br />

e marinai) rimasero padroni del<br />

mare e i tedeschi non tentarono altre<br />

uscite in forze nel corso di tutta<br />

la Prima guerra mondiale.<br />

Il confl itto, combattuto essenzialmente<br />

sulla terraferma, ridusse<br />

in maniera netta l'importanza<br />

delle marine militari europee, dominatrici<br />

della scena mondiale per<br />

tutto l'Ottocento. Ciò valse soprattutto<br />

per la Royal Navy britannica,<br />

che perse la propria posizione di<br />

pilastro dell'equilibrio internazionale.<br />

Infatti, l'immenso confl itto<br />

1914-18 ebbe effetti devastanti<br />

per la Gran Bretagna, specie dal<br />

punto di vista strettamente militare:<br />

l'entrata in guerra (5 agosto<br />

1914) mise presto in crisi le tradizionali<br />

concezioni strategiche del<br />

governo di Londra, basate sulla<br />

preminenza dell'elemento marittimo<br />

rispetto a quello terrestre.<br />

Di fronte ai successi della macchina<br />

militare tedesca sul Fronte<br />

Orientale (battaglie di Tannenberg<br />

e Laghi Masuri, agosto 1914) e<br />

su quello Occidentale (fi no alla<br />

battaglia della Marna, settembre<br />

1914), il Governo di Sua Maestà<br />

scelse un cambiamento radicale,<br />

privilegiando l'Esercito rispetto<br />

alla Marina (ma anche così l'impreparazione<br />

inglese alla guerra<br />

era pesante, visto che si riuscirono<br />

a mobilitare e inviare sul fronte<br />

francese appena cinque divisioni,<br />

poco equipaggiate e dotate di scarsa<br />

tecnica militare). Le navi inglesi<br />

vennero impegnate nel Blocco<br />

totale di ogni via commerciale<br />

verso Germania e Austria-Ungheria,<br />

tanto nel Mare del Nord quanto<br />

nel Mediterraneo. Ma Berlino<br />

aveva, nello scenario del Mare del<br />

Nord, un asso nella manica, da opporre<br />

con decisione a tale mossa:<br />

la Kriegsmarine, la seconda fl otta<br />

più forte del mondo (dopo quella<br />

britannica), costituita nell'ultimo<br />

decennio dell'Ottocento per volontà<br />

del Kaiser e dell'ammiraglio<br />

Von Tirpitz. La Kriegsmarine si<br />

era rafforzata molto nel corso del<br />

primo decennio del Novecento,<br />

così che agli inizi del 1914 poteva<br />

vantare una sostanziale parità<br />

nei confronti degli avversari, sia<br />

per numero di unità sia per qualità<br />

tecnica. Il Secondo Reich poteva<br />

quindi tentare di rompere l'isolamento<br />

forzato, con buone probabilità<br />

di successo.<br />

Teatro principale del confronto<br />

bellico erano le acque del Mare<br />

del Nord dove si trovavano i porti-base<br />

delle due maggiori fl otte<br />

da battaglia: la Grand Fleet britannica,<br />

comandata dall'ammiraglio<br />

Jellicoe, di stanza a Scapa<br />

Flow, all'estremità settentrionale<br />

della Scozia; e la Hochseefl otte, o<br />

Flotta d'alto mare, con sede nella<br />

base di Jade, collegata dal canale<br />

di Kiel al Mar Baltico, guidata inizialmente<br />

dall'ammiraglio Von Ingenohl.<br />

Questi però si rivelò incapace<br />

di condurre la forza navale<br />

tedesca verso il raggiungimento<br />

del proprio obiettivo, ovvero non<br />

la semplice difesa delle coste patrie<br />

bensì la rottura del Blocco<br />

inglese, impegnando<br />

in combattimento la<br />

Grand Fleet e distruggendola.<br />

Si trattava di<br />

una questione<br />

più legata a<br />

motivazioni<br />

politico-strategiche<br />

che<br />

economicomateriali,<br />

in quanto<br />

la Germania<br />

poteva<br />

benissimo<br />

procurarsi<br />

materie<br />

prime attraverso<br />

i<br />

vicini Paesi<br />

neutrali, eludendo<br />

quindi<br />

il Blocco marittimo.<br />

Ma era indispensabile,<br />

per<br />

Guglielmo II, conquistare<br />

anche il controllo<br />

dell'Acqua, interdipendente<br />

con quello della Terra,<br />

in modo da poter affrontare in<br />

posizione avvantaggiata le prossime<br />

sfi de del nemico. Il titubante<br />

Ingenohl venne rapidamente sostituito<br />

con il più esperto ammiraglio<br />

Von Pohl, che tuttavia era<br />

decisamente scettico riguardo alle<br />

potenzialità delle proprie forze, e<br />

quindi si impegnò in poche azioni<br />

di disturbo. Per sua fortuna, gli Inglesi<br />

non erano messi meglio dal<br />

punto di vista del comando; l'ammiraglio<br />

Jellicoe era tutt'altro che<br />

brillante, anzi la sua supponenza<br />

infi ciava la qualità e la potenza<br />

della Grand Fleet. Legato ossessivamente<br />

al potere, mediocre ed<br />

ossequioso, Jellicoe dimostrò ampiamente<br />

di non avere né carattere<br />

né abilità strategica; le sue "non"<br />

qualità avrebbero portato alle peggiori<br />

umiliazioni nella storia della<br />

Royal Navy.<br />

Già nell'agosto del 1914 avvenne<br />

il primo scontro tra i due<br />

contendenti, presso l'isola di Helgoland:<br />

vinsero gli Inglesi, che<br />

riuscirono ad affondare tre incrociatori<br />

nemici. Spaventati dall'insuccesso,<br />

i Tedeschi fecero ricorso<br />

ai sottomarini riuscendo a colare,<br />

Anno II / n. 5 6 maggio 2006<br />

del Kaiser sulle capacità delle proprie<br />

navi. Agli inizi del 1916 Von<br />

Pohl venne sollevato dal comando<br />

della Hochseefl otte; al suo posto<br />

l'ammiraglio Scheer, uomo energico<br />

e determinato, che impresse subito<br />

una netta svolta nel confronto<br />

con la fl otta britannica.<br />

Scheer era ben conscio delle<br />

capacità della propria fl otta; anzi,<br />

era fortemente determinato a dimostrarle<br />

sul campo. Così, il 31 maggio<br />

del 1916, la Hochseefl otte lasciò<br />

la base di Jade e prese il largo,<br />

intenzionata a cercare lo scontro<br />

con la prudente fl otta britannica. Lo<br />

scontro tra le due possenti forze avvenne<br />

esattamente lo stesso giorno,<br />

nello stretto danese dello Jutland:<br />

la battaglia tra la fl otta di Scheer e<br />

gli incrociatori del viceammiraglio<br />

Beatty sarebbe divenuta la maggiore<br />

del Primo confl itto mondiale, e<br />

una delle più importanti nella Storia<br />

Navale.<br />

Hochseefl otte<br />

contro Grand Fleet<br />

Nei primi mesi del 1916 il Mare<br />

del Nord era diventato un nido di<br />

U-Boote, poiché lo Stato Maggiore<br />

tedesco, senza fi ducia verso la propria<br />

Marina, aveva richiamato molte<br />

unità sottomarine dall'Oceano<br />

Atlantico. Ciò rispondeva anche a<br />

una necessità politica: gli Stati Uniti<br />

avevano inoltrato numerose proteste<br />

contro Berlino, poiché le loro<br />

navi commerciali (neutrali) venivano<br />

spesso attaccate e affondate<br />

dai Tedeschi. L'ammiraglio Scheer<br />

vide in ciò una possibilità unica<br />

per sorprendere e battere la fl otta<br />

avversaria. In concomitanza all'offensiva<br />

dell'esercito verso Verdun,<br />

la Hochseefl otte avrebbe simulato,<br />

con lo spostamento di poche unità,<br />

l'occupazione degli Stretti di Danimarca,<br />

importantissimi per la Gran<br />

Bretagna, poiché unica via di comunicazione<br />

rimasta con la Russia<br />

alleata. La Grand Fleet sarebbe<br />

caduta nella trappola, e avrebbe<br />

inviato il grosso delle proprie forze<br />

verso gli Stretti; qui, in un braccio<br />

di mare limitato, le navi tedesche,<br />

più leggere e manovrabili, avrebbero<br />

attaccato di colpo gli avversari,<br />

distruggendoli. Il piano ottenne<br />

l'approvazione dei vertici militari e<br />

del Kaiser. L'Ammiragliato di Londra<br />

cadde in pieno nel tranello ordinando<br />

sia all'ammiraglio Jellicoe<br />

che al suo viceammiraglio Beatty, a<br />

capo di una squadra formata da sei<br />

incrociatori di battaglia e quattro<br />

supercorazzate, di dirigersi verso<br />

il punto dove riteneva si sarebbero<br />

trovati i "pochi" incrociatori tedeschi<br />

(lo Stretto dello Jutland, ap-<br />

“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina<br />

IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina<br />

Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat<br />

edizione: STORIA E RICERCA<br />

Redattore esecutivo: Ilaria Rocchi Rukavina / Impaginazione: Vanja Dubravčić<br />

Collaboratori: Daria Deghenghi, Kristjan Knez, Giacomo Scotti<br />

Foto: Daria Deghenghi, Ivor Hreljanović, Kristjan Knez<br />

Sabato, 6 maggio 2006<br />

ANNIVERSARI Il 31 maggio del 1916 lo scontro al largo della penisola dello Jutland<br />

Come perdere una battaglia<br />

ma vincere la guerra<br />

nei mesi successivi, ben sei incrociatori<br />

avversari. Le perdite britanniche<br />

risultarono quindi più pesanti<br />

rispetto a quelle germaniche; inoltre,<br />

la corazzata "Audacious", fi ore<br />

all'occhiello della Grand Fleet,<br />

fi nì disgraziatamente in un campo<br />

minato al largo della costa irlandese,<br />

subendo a sua volta gravissimi<br />

danni. Dopo questa perdita,<br />

l'ammiraglio Jellicoe, pressato<br />

dalle critiche di governo<br />

e opinione pubblica,<br />

scelse una tattica<br />

"attendista", tenendo<br />

la propria fl otta<br />

rinchiusa nella<br />

baia di Scapa<br />

Flow, al riparo<br />

da mine e siluri<br />

nemici. Si<br />

venne a creare<br />

una situazione<br />

bizzarra:<br />

l'Ammiragliatobritannico,<br />

da un<br />

lato, non permetteva<br />

alle<br />

proprie navi di<br />

spingersi fi no<br />

alle acque costiere<br />

nemiche,<br />

provocando così<br />

la reazione della<br />

Hochseefl otte, terrorizzato<br />

da ulteriori<br />

gravi perdite; dall'altro<br />

lato, anche il Kaiser e gli<br />

ammiragli tedeschi temevano<br />

che le proprie navi da guerra potessero<br />

riportare perdite consistenti, e<br />

così aspettavano le condizioni tattiche<br />

favorevoli per scendere in campo<br />

aperto. In parole povere, per i<br />

Tedeschi spettava agli Inglesi favorire<br />

lo scontro, e per gli Inglesi era il<br />

contrario: sarebbero entrati in scena<br />

solo di fronte a una precisa minaccia<br />

da parte degli avversari. Così,<br />

per tutto il 1915, nulla o quasi nulla<br />

si mosse nel Mare del Nord, congelato<br />

in una condizione di stallo marittimo<br />

che non era di vantaggio a<br />

nessuno dei due contendenti, specialmente<br />

ai Tedeschi che subivano<br />

le restrizioni derivanti dal Blocco<br />

navale. L'insuccesso della guerra<br />

marittima gettò discredito sulla<br />

Kriegsmarine, e alimentò i dubbi<br />

punto). Beatty mise in moto, oltre<br />

alla sua squadra, anche ventiquattro<br />

corazzate semplici, altri tre incrociatori<br />

da battaglia, ventisei incrociatori<br />

leggeri e settantanove cacciatorpediniere.<br />

Scheer, dal canto<br />

suo, schierava sedici corazzate, undici<br />

incrociatori leggeri, cinque incrociatori<br />

da battaglia e sessantuno<br />

cacciatorpediniere.<br />

Già nelle prime ore pomeridiane<br />

del 31 maggio, le prime unità delle<br />

due fl otte si avvistarono, iniziando<br />

un violento cannoneggiamento. Via<br />

via presero parte allo scontro tutte<br />

le unità che sopraggiungevano nel<br />

teatro delle operazioni. La fl otta<br />

britannica si trovò subito in diffi -<br />

coltà: uno dopo l'altro numerosi incrociatori<br />

rimasero gravemente colpiti<br />

già dopo solo un'ora di combattimento;<br />

alcuni esplosero, inabissandosi<br />

velocemente e trascinando<br />

verso le profondità marine migliaia<br />

di uomini. L'acume di Beatty permise<br />

comunque di raddrizzare la situazione,<br />

assumendo nuove tattiche<br />

e nuove posizioni, più offensive,<br />

riuscendo ad infl iggere gravi perdite<br />

ai nemici. Dopo circa cinque ore,<br />

la battaglia, gigantesca per il numero<br />

di navi coinvolte, era terminata.<br />

Le due fl otte si separarono, dirigendosi<br />

verso i rispettivi porti. Da parte<br />

britannica le perdite furono 6097<br />

morti, tre incrociatori da battaglia,<br />

tre incrociatori corazzati, otto cacciatorpediniere;<br />

mentre i Tedeschi<br />

contarono 2551 morti, l'affondamento<br />

di una pre-corazzata, di un<br />

incrociatore e di quattro cacciatorpediniere.<br />

In Inghilterra, la grave sconfi tta<br />

ebbe effetti devastanti. Anzitutto,<br />

cadde del tutto la convinzione dell'invincibilità<br />

della propria fl otta.<br />

L'Ammiragliato si rese conto che la<br />

supremazia numerica delle proprie<br />

navi poteva poco o nulla contro la<br />

superiorità qualitativa del naviglio<br />

tedesco. Da questo punto di vista,<br />

la batosta fu salutare e portò alla<br />

costruzione di navi più veloci e leggere,<br />

capaci anche di combattere in<br />

spazi angusti.<br />

I Tedeschi vincitori, al contrario,<br />

non seppero cogliere i frutti né si<br />

resero conto del proprio successo:<br />

il Kaiser giudicò eccessive le perdite<br />

subite, in rapporto ai mediocri risultati<br />

raccolti e il governo tedesco<br />

decise di affi darsi all'unica arma capace,<br />

a suo dire, di garantire risultati<br />

strategicamente signifi cativi: il<br />

sottomarino. E l'intensifi carsi della<br />

guerra sottomarina, non solo nel<br />

Mare del Nord ma anche nell'Oceano<br />

Atlantico, continuò ad irritare gli<br />

Stati Uniti, che nella primavera del<br />

1917 avrebbero scelto di entrare in<br />

guerra a fi anco dell'Intesa.

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