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Tiepolo maggio 2010 - Scuola media Statale "GB Tiepolo"

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18 VIAGGI<br />

Una Vienna diversa e<br />

imprevedibile<br />

L'architettura per Hundertwassert<br />

"L'uomo moderno è costretto a camminare<br />

su pavimenti rigidi e piatti<br />

come quelli in asfalto delle strade o<br />

degli uffici; questo costringe l'uomo<br />

a estraniarsi dalla sua profonda natura<br />

e dal contatto con la sua anima,<br />

cosa non buona per l'equilibrio e la<br />

salute fisica e mentale. Un pavimento<br />

ineguale e irregolare è la riscoperta<br />

dell'equilibrio mentale, della dignità<br />

dell'uomo che è stata violentata dall'ostile<br />

e innaturale sistema del reticolato<br />

urbano."<br />

Frederick Hundertwasser è stato<br />

uno scultore, un pittore ed un architetto.<br />

Hunndertwasser non è mai comune,<br />

non è mai banale e non è soprattutto<br />

prevedibile. Il genio di questo grande<br />

personaggio austriaco ha dato alla<br />

luce alcune delle costruzioni più eccentriche<br />

e bizzarre di tutta Europa.<br />

Nel quartiere Landstrasse, per dare<br />

pregio ad una zona un po’ degradata,<br />

Hundertwasser ha realizzato case<br />

asimmetriche, dai colori vivaci e ricche<br />

di verde. Quando siamo entrati<br />

nel folle microcosmo di Hundertwasser<br />

fatto di dossi, scale a chiocciola<br />

vertiginose e fontane che<br />

gettano acqua dal basso verso l’alto,<br />

abbiamo abbandonato la nostra conoscenza<br />

convenzionale della città<br />

perché in questo quartiere di Vienna<br />

le costruzioni non sono plasmate secondo<br />

i rigidi modelli dell’uomo, ma<br />

seguono le linee irregolari e sinuose<br />

della natura. Questo complesso di 50<br />

appartamenti, esprime un concetto<br />

diverso di architettura. Non esistono<br />

spigoli vivi: tra due corpi scala ve-<br />

Crespi d’Adda,<br />

villaggio industriale<br />

Crespi d’Adda è un villaggio industriale<br />

situato lungo l’autostrada Milano-Bergamo.<br />

Il villaggio, che sorge<br />

in un bassopiano delimitato dalle<br />

sponde dell’Adda e del suo affluente<br />

Brembo, fu fondato dalla famiglia<br />

Crespi durante la seconda rivoluzione<br />

industriale, intorno alla seconda<br />

metà dell’ottocento.<br />

Martedì 16 aprile ho avuto modo di<br />

visitare Crespi d’Adda con i miei<br />

compagni di classe in occasione di<br />

una gita scolastica.<br />

Il fulcro del villaggio era costituito<br />

dalla nota fabbrica, tuttora esistente<br />

ma non più utilizzata. La guida ci ha<br />

spiegato la vita degli operai lavoratori<br />

in fabbrica e ci ha mostrato le<br />

abitazioni da essi occupate, costruite<br />

per ordine della famiglia Crespi. I<br />

Crespi considerati all’epoca personaggi<br />

illuminati, si ispirarono alle<br />

idee di Robert Owen e cercarono di<br />

“ curare” il benessere dei propri dipendenti<br />

creando un ambiente sociale<br />

positivo intorno alla fabbrica.<br />

I Crespi, seguendo la teoria di Owen,<br />

pensavano che un clima di benessere<br />

comune avrebbe agevolato gli operai,<br />

che avrebbero di conseguenza lavorato<br />

meglio.<br />

È stato davvero molto interessante<br />

trati, coronati con una guglia a bulbo<br />

da minareto,sono inseriti giardini<br />

pensili digradanti a terrazze e ciascun<br />

inquilino ha concordato con l'artista<br />

la personalizzazione del proprio settore<br />

di facciata. I muri per gli edifici<br />

rappresentano una sorta di pelle<br />

come i vestiti per l'uomo. Le finestre<br />

invece sono come gli occhi, un ponte<br />

fra interno ed esterno. La facciata<br />

non è perfettamente dritta e piatta,<br />

bensì inarcata e ingobbita ed interrotta<br />

da mosaici irregolari. Per Hundertwasser<br />

il Paradiso può essere<br />

realizzato solo con le proprie mani e<br />

con la propria creatività, in assoluta<br />

armonia con la libera creatività della<br />

natura. Tutti noi ci siamo sentiti sorpresi<br />

e stupefatti da tutta l’originalità<br />

creativa di questo luogo, tutti abbiamo<br />

scoperto che la libertà è ancora<br />

possibile nell’arte e anche in<br />

quell’arte che deve fare i conti con la<br />

realtà e con il bisogno di coloro a cui<br />

è destinata come nessun’altra: l’architettura.<br />

Troppo spesso le nostre<br />

Città sono prive di Fantasia e di allegria,<br />

mentre in questa architettura<br />

sia l’una che l’altra ci vengono regalate<br />

a piene mani. Non so se a Milano<br />

la commissione del paesaggio<br />

approverebbe un intervento simile,<br />

ma so che a noi tutti hanno colpito i<br />

colori, le sorprese stilistiche e la<br />

magia che tutto ad un tratto abbiamo<br />

incontrato nella “seria” e “tradizionalista”<br />

Vienna…..che evidentemente tanto<br />

seria e tradizionalista non è.<br />

Prof. Patrizia Pimpinelli con i<br />

suoi alunni di 3ª I ed L<br />

ammirare l’ordine urbanistico delle<br />

case operaie, oggi ristrutturate e abitate<br />

perlopiù da anziani.<br />

Inoltre la città predisponeva di una<br />

serie di servizi molto innovativi,<br />

quali un asilo, la scuola, un teatro, un<br />

circolo dopolavoro, un ambulatorio<br />

medico.<br />

La chiesa che riprende lo stile rinascimentale<br />

sorgeva un po’ fuori dal<br />

villaggio ad un chilometro circa dal<br />

cimitero.<br />

Nel cimitero non ci sono solo le<br />

tombe degli operai ma anche il mausoleo<br />

dei Crespi, che ospita più di<br />

cinquanta bare al suo interno. Esso è<br />

accessibile tuttora solamente dai discendenti<br />

dei Crespi.<br />

La struttura imponente del cimitero<br />

richiama l’immagine di una figura<br />

con le braccia aperte in atto di proteggere<br />

ed abbracciare le anime di<br />

tutto il paese.<br />

Nel 1995 Crespi d’Adda è entrato a<br />

far parte della lista dei “Beni patrimonio<br />

dell’umanità” dell’UNESCO.<br />

Ho apprezzato molto questa visita<br />

perché mi ha dato l’occasione di conoscere<br />

una realtà così differente rispetto<br />

a quella vissuta in una<br />

metropoli come Milano.<br />

Cecilia D’Agostino, 3ª F<br />

Le nostre mostre<br />

L’universo secondo Yayoi Kusama<br />

Yayoi Kusama nasce a Matsumoto,<br />

in Giappone, nel 1929 e ancor oggi,<br />

a 80 anni, continua a produrre opere<br />

di carattere un po’ particolare, pur vivendo<br />

da diversi anni, per sua scelta,<br />

all’interno di un manicomio giapponese.<br />

Da bambina, a 10 anni, assiste<br />

ad un evento tragico che le condizionerà<br />

il resto della sua vita: il padre si<br />

suicida, tagliandosi le vene, nel giardino<br />

di casa e Yayoi rimane impressionata<br />

dalle macchie di sangue<br />

sparse sulla neve, dando origine alla<br />

sua visione ossessiva di una rete che<br />

va a ricoprire il mondo imprigionandolo.<br />

Le maglie fitte di questa rete si<br />

traducono nella rappresentazione di<br />

innumerevoli pois, di dimensioni diverse,<br />

che diverranno l’elemento caratterizzante<br />

delle sue composizioni<br />

di vario genere: quadri, sculture, filmati,<br />

vestiti, ecc.<br />

Presso il Pac di Milano, abbiamo potuto<br />

vedere alcune delle sue opere in<br />

cui questi pois, da lei riprodotti a<br />

mano in modo perfetto senza l’utilizzo<br />

di strumenti quali stampi o<br />

compassi, ci sono sembrati come dei<br />

pianeti in mezzo all’universo (“Dots<br />

obsession”) .<br />

Nelle tele di grandi dimensioni, intitolate<br />

“Infinity”, l’artista ha ripetuto<br />

in modo ossessivo, utilizzando completamente<br />

tutto lo spazio del supporto,<br />

delle pennellate circolari, con<br />

andamento ad onda, per creare una<br />

sensazione di spazio infinito in cui<br />

perdersi.<br />

Tra le sculture che abbiamo visto ci<br />

sono stati i “Flowers that bloom at<br />

midnight”, grandi fiori in vetroresina<br />

che possono raggiungere i 5 m di altezza,<br />

decorati con colori brillanti e<br />

vivi, che ci hanno dato una sensazione<br />

di allegria; le “Pumpkin” zucche<br />

gialle, di diverse dimensioni,<br />

decorate con pois neri, fatti in questo<br />

caso con l’aiuto del computer, la cui<br />

particolarità è quella di venire prodotte<br />

(quelle più grandi) in tanti<br />

pezzi che per essere assemblati necessitano<br />

di una persona al loro interno,<br />

successivamente liberata solo<br />

quanto la scultura è stata completamente<br />

ricostruita. L’opera chiamata<br />

“Life ripetitive vision” è composta<br />

da 47 forme tentacolari, in gommapiuma<br />

rivestite da tela colorata di<br />

giallo con pois neri, appoggiate casualmente<br />

sul pavimento, che ci<br />

hanno fatto pensare a dei tentacoli di<br />

una grande piovra o a delle radici che<br />

perforavano il suolo salendo verso il<br />

cielo. In un grande spazio abbiamo<br />

trovato 880 sfere di acciaio lucido<br />

che, ci è stato detto, fanno parte di<br />

una composizione iniziale di 1500<br />

palle (opera chiamata “Narcissus<br />

garden”) esposte, abusivamente, durante<br />

la Biennale di Venezia del 1966<br />

e che Yayoi Kusama, con l’artista italiano<br />

Lucio Fontana, per provocazione<br />

iniziò a vendere per 1.200 Lire<br />

ciascuna (oggi pari circa a 0,60 €).<br />

Sempre all’interno della mostra, ci<br />

siamo divertiti ad entrare nella composizione<br />

chiamata “Aftermath of<br />

obliteration of eternity” che riproduce<br />

una piccola stanza, senza finestre,<br />

internamente rivestita da<br />

specchi e con luci a led sospese, in<br />

cui, stando su una pedana centrale,<br />

assisti ad uno stupefacente spettacolo<br />

di luci ad intermittenza riflesse dagli<br />

specchi e dall’acqua che circonda la<br />

pedana.<br />

Un cubo fatto totalmente di specchio<br />

con inseriti alcuni fori circolari (“The<br />

passing of winter”), da cui potevi<br />

guardare come da tante finestre, ci ha<br />

permesso di vedere riprodotto all’infinito<br />

lo spazio e ci ha fatto ricordare<br />

dei disegni eseguiti nei mesi scorsi<br />

per Tecnica con la prof.sa Pimpinelli.<br />

Questa visita alla scoperta dell’arte<br />

di Yayoi Kusama, unica artista femminile<br />

giapponese ad avere ricevuto<br />

un riconoscimento ufficiale dall’Imperatore,<br />

è stata sicuramente per noi<br />

una bella esperienza: le sue opere, in<br />

generale, ci hanno piacevolmente incuriosito<br />

e divertito.<br />

Andrea Collini,<br />

Alessia Gioia,<br />

Alessandro Merl, 1ª I<br />

In visita alla mostra “La monaca di Monza”<br />

ed in giro per Milano<br />

“ quel cielo di Lombardia così bello<br />

quando è bello…” non sovrastava<br />

certo Milano quel martedì 23 febbraio;<br />

anzi tirava un’arietta gelidina<br />

quando noi della 3 a I accompagnati<br />

dalle Prof Calzoni e Pimpinelli ci<br />

siamo recati al Castello Sforzesco,<br />

alla mostra “La monaca di Monza”.<br />

Puntuali alle 14.30 ci siamo incontrati<br />

con la nostra guida che ci ha<br />

condotti attraverso le sale.<br />

I quadri esposti raffiguravano donne<br />

private della libertà di scegliere il<br />

proprio avvenire e che sono andate<br />

incontro “innocenti” ad un destino<br />

crudele. Per esempio: Anna Bolena,<br />

ritratta nel momento in cui portava la<br />

mano al capo per constatare se ci<br />

fosse ancora il diadema, ma non sentendolo<br />

capisce di essere stata condannata<br />

a morte. Al collo teneva<br />

ancora il ciondolo con l’effigie del re<br />

d’Inghilterra Enrico VIII. L’autore<br />

del dipinto è Guardasson.<br />

Altra donna famosa che Dante immagina<br />

di incontrare nel Purgatorio<br />

è Pia dei Tolomei, accusata anch’essa<br />

di adulterio e segregata nelle<br />

stanze più remote del castello, ritratta<br />

affacciata sul balcone con lo sguardo<br />

perso nel vuoto.<br />

Eccoci giunti davanti al quadro di<br />

Marianna de Leyva, in religione<br />

Suor Virginia che Manzoni inserì<br />

nella trama del romanzo come suor<br />

Gertrude, la monaca di Monza dei<br />

Promessi Sposi; il ritratto la mostra<br />

umile, con gli occhi bassi, ma con<br />

una ciocca di capelli sfuggenti dalla<br />

cuffia in senso di ribellione ed insofferenza<br />

alle regole. La figura della<br />

monaca di Monza riflette la condizione<br />

delle altre “mal monacate” dell’epoca,<br />

che erano spesso segregate<br />

in casa e costrette a subire la volontà<br />

altrui per ragioni di calcolo e di inte-<br />

resse. Così impreparata alla vita subì<br />

il fascino di Paolo Osio che la trascinò<br />

in uno scandalo famigerato,<br />

quando “la sventurata rispose”.<br />

Virginia de Leyva era stata rinchiusa<br />

nel Bocchetto, in Cordusio (luogo in<br />

cui le monache che avevano commesso<br />

dei reati sostavano prima di<br />

essere processate), perché accusata<br />

di cinque omicidi, di un aborto e<br />

della nascita di un bambino dato in<br />

adozione. Confrontando le nostre<br />

opinioni tre quadri ci hanno colpito<br />

in particolare. Il primo rappresenta<br />

una monaca con il volto cadaverico<br />

che guarda una finestra da cui entrano<br />

farfalle colorate, ed è proprio il<br />

contrasto fra colori tristi (scuri) e colori<br />

allegri (chiari), che sottolinea la<br />

libertà di chi può volare e la tristezza<br />

di chi è intrappolato nel chiuso di<br />

una stanza.<br />

Il secondo dipinto raffigura una famiglia<br />

durante la lettura di alcuni<br />

passi dei Promessi Sposi del Manzoni,<br />

sullo sfondo si possono notare<br />

dei quadretti che illustrano degli episodi<br />

dei Promessi Sposi e subito a<br />

lato una statua in marmo raffigurante<br />

il celebre Manzoni.<br />

Completato il giro della mostra, la<br />

guida ci ha fatto sostare sotto i portici<br />

al piano terreno per mostrarci la colonna<br />

infame con la famosa iscrizione<br />

dell’epoca della peste. Da lì ci<br />

siamo portati in piazza Cordusio, che<br />

ora è molto diversa rispetto a quella<br />

descritta dal Manzoni; intanto che<br />

noi ci guardavamo attorno, ammirando<br />

il palazzo della Posta e quello<br />

delle Assicurazioni, la guida ci leggeva<br />

dei brani dei “Promessi Sposi”<br />

affinché ci calassimo nell’atmosfera.<br />

Proseguendo ci siamo recati in<br />

piazza Mercanti, dove abbiamo visto<br />

la formella della scrofa semilanuta,<br />

Alunni della 3 a I<br />

La Monaca di Monza di Molteni.<br />

che ci ha ricordato le antichissime<br />

origini di Milano, e il dirimpettaio<br />

palazzo dei Giureconsulti la cui facciata<br />

è ornata di statue che rinviano<br />

ai vari cambiamenti della proprietà.<br />

Con un’altra breve passeggiata ci<br />

siamo portati in Piazza della Scala<br />

per osservare Palazzo Marino, ed abbiamo<br />

appreso che Tommaso Marino<br />

era il nonno della monaca di Monza<br />

e che aveva fatto costruire la sua “casetta”<br />

a partire dal 1558, ma non riuscì<br />

a vederla terminata; in seguito<br />

venne ristrutturata come noi la vediamo<br />

ora da Luca Beltrami nel<br />

1889. Dietro a Palazzo Marino ci<br />

siamo ritrovati in piazza S. Fedele,<br />

dove abbiamo potuto ammirare la<br />

chiesa ed al centro della piazza la statua<br />

del Manzoni. Si dice che proprio<br />

scendendo dai gradini della chiesa il<br />

22 <strong>maggio</strong> del 1873 lo scrittore scivolò,<br />

battè la testa e dopo pochi<br />

giorni morì in casa sua. Eccoci ora<br />

davanti alla casa di don Lisander,<br />

bella ed imponente sobria nel suo<br />

color mattone ed ora adibita a casa<br />

museo per custodire intatte le memorie<br />

del grande Milanese. Infine<br />

per completare il tour la guida ci ha<br />

condotti a vedere dall’esterno la casa<br />

di Leone Leoni, sul cui cornicione<br />

della facciata sono scolpiti quattro<br />

leoni che sbranano un satiro.<br />

Arrivati in piazza del Duomo nella<br />

parte dietro l’abside abbiamo potuto<br />

leggere la targa che ricorda il forno<br />

delle Grucce, nominato dallo stesso<br />

Manzoni durante l’episodio dell’insurrezione<br />

del pane. Finalmente<br />

dopo quattro ore di girovagare, con<br />

le poche forze rimaste, ci siamo rifugiati<br />

nel tram che ci ha ricondotti a<br />

scuola e da lì ciascuno è tornato a<br />

casa, consapevole di aver imparato<br />

un po’ di più della sua città.<br />

3ª I

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