a ngelo p agano - la scuola poetica siciliana
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Tuttavia una ragione per <strong>la</strong> quale Federico II permise, anzi, incoraggiò<br />
<strong>la</strong> composizione di liriche cortesi che promuovevano l’ideale<br />
dell’individualismo sta nel fatto che si fornì ai suoi funzionari e personaggi<br />
del<strong>la</strong> corte uno “sfogo” innocuo quanto efficace per esprimere emozioni<br />
e ideali che, se presi letteralmente, potevano apparire anche sovversivi,<br />
minacciosi agli interessi dell’Impero e dell’Imperatore. Monteverdi<br />
mette in evidenza il carattere di evasione del<strong>la</strong> poesia dei Siciliani:<br />
La concezione ch’egli ebbe del<strong>la</strong> poesia ci è ormai chiara: poesia<br />
gioco, poesia oblio del<strong>la</strong> realtà. Ed è <strong>la</strong> concezione che ebbero,<br />
con lui, tutti i poeti del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> <strong>siciliana</strong>, ma che egli forse più di<br />
ogni altro e prima d’ogni altro contribuì a fissare (Monteverdi<br />
1962:365).<br />
La lirica amorosa in Sicilia perde in parte i contenuti tematici<br />
che aveva presso i primi trovatori. Scompare intanto il sirventese, il<br />
genere giul<strong>la</strong>resco per eccellenza e meno politicamente control<strong>la</strong>bile<br />
del<strong>la</strong> lirica trobadorica. Scompare anche perché non avrebbe più avuto<br />
senso nel<strong>la</strong> struttura statale del Regno. La reggia palermitana non era<br />
luogo in cui poter criticare apertamente l’imperatore e i suoi mentori<br />
oppure rivolgere invettive contro il governante mal consigliato o il<br />
principe di condotta non irreprensibile (Abu<strong>la</strong>fia 1998:234). In un tale<br />
clima potevano essere prevedibilissime eventuali contraddizioni, incongruenze<br />
fra creazione <strong>poetica</strong> e potere politico, situazione complessa<br />
in cui ci viene in soccorso efficacemente Maria Luisa Meneghetti:<br />
stato al<strong>la</strong> fine a Cristo divenendo con un’efficace immagine signore dei quattro elementi<br />
(acqua, terra, fuoco, aria), mentre Piero celebra se stesso introducendo<br />
l’immagine del<strong>la</strong> produttiva vigna del signore e sottolineando l’omonimia con il primo<br />
degli apostoli. Si viene così ad assicurare <strong>la</strong> perfetta equivalenza di Federico II con Cristo<br />
fondatore del<strong>la</strong> Chiesa (ivi:181). Con una simile autocelebrazione è evidente il ricorso<br />
all’etimologia, una figura retorica molto presente nel<strong>la</strong> cultura medio<strong>la</strong>tina. Il<br />
collegamento fra cose e nomi non era sicuramente arbitrario e <strong>la</strong> ricerca e <strong>la</strong> esposizione<br />
delle origini erano una via per <strong>la</strong> conoscenza del<strong>la</strong> realtà. Questo procedimento<br />
finalmente è seguito dai notai che intorno a Piero esplorarono ulteriormente lo spazio<br />
delle immagini da lui recuperate. Le immagini liturgiche del<strong>la</strong> vigna, del pollone fruttifero<br />
e dei pampini diventano perciò paradigmatiche ricorrendo nelle pagine di giudici,<br />
retori e filosofi coevi ed influenzando, come vedremo più avanti, anche l’ architettura<br />
e l’iconografia re<strong>la</strong>tiva all’imperatore Staufen.<br />
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