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se tu vieni quassu

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moglie di Spinola, i Giuntini-Antinori. Da questa fattoria organizzarono la resistenza, for<strong>se</strong><br />

mettendosi già in contatto con un ex tenente colonnello della loro Divisione, Vito Finazzo. Pre<strong>se</strong>ro<br />

a compiere incursioni armate, con una autoblinda, lungo la strada aretina, esponendo in tal modo i<br />

familiari di Gianluca, tra i quali la moglie Luisa e la piccola figlia Franca, a gravi pericoli. Fu<br />

pertanto deciso di nascondere i due sardi, uno alla Tenuta di Ariano, presso Volterra, e l’altro da una<br />

famiglia amica nei pressi di S. Casciano Val di Pesa, gli Zerini. Spinola faceva la spola e teneva i<br />

collegamenti, avvalendosi della conoscenza diretta di Vito Finazzo entrato a far parte del Comitato<br />

Militare Toscano del CLN per il Partito Democratico Cristiano. A Spinola si era infine aggregato<br />

suo cugino, renitente alla leva della RSI, Franco S<strong>tu</strong>cchi Prinetti, figlio dei proprietari della Fattoria<br />

Badia a Coltibuono, a Gaiole in Chianti.<br />

Ci furono contatti con la XXIII Brigata Garibaldi “Guido Boscaglia” che operava nell’area<br />

delle Colline Metallifere Toscane e del Volterrano e rapporti di collaborazione. Inoltre Piredda e<br />

Vargiu si recavano di tanto in tanto a Firenze presso il Comando clandestino della Resistenza per<br />

prendere e portare informazioni sull’attività delle Bande partigiane e sui movimenti dei soldati<br />

tedeschi. All’inizio della ritirata tedesca dal Sud della Toscana il transito sulle strade statali <strong>se</strong>nesi,<br />

volterrane e fiorentine si fece intenso. All’inizio di giugno 1944 Spinola ricevette l’ordine di<br />

compiere azioni di sabotaggio ai ponti per ritardare la ritirata, onde esporre i soldati tedeschi ad<br />

azioni di guerriglia partigiana. Il 12 giugno, al calar della notte, i <strong>se</strong>i componenti della “piccola<br />

banda di Ariano”, agli ordini di Gianluca Spinola, si scontrarono con ingenti forze nemiche. Vi<br />

furono molti morti fra i tedeschi, compreso un ufficiale. Ma quattro dei <strong>se</strong>i partigiani furono<br />

cat<strong>tu</strong>rati 7 . Interrogati oppo<strong>se</strong>ro un impenetrabile silenzio. Dopo una simulazione di fucilazione<br />

furono rinchiusi nel tetro carcere di Volterra. Qui li confessò il cappellano, canonico Maurizio<br />

Cavallini, che, conoscendo la famiglia dello Spinola, registrò l’avvenimento nel suo diario di<br />

guerra. Purtroppo nulla poté dire del contenuto della confessione. Nella notte del 13 giugno i<br />

quattro prigionieri ed altri tre partigiani volterrani furono trasferiti verso una destinazione<br />

sconosciuta. Si trattava in realtà del pae<strong>se</strong> di Castelnuovo di Val di Cecina, ubicato 38 chilometri a<br />

sud di Volterra, dove in quelle stes<strong>se</strong> ore stavano confluendo altri 150 prigionieri, <strong>tu</strong>tti minatori del<br />

vicino villaggio di Niccioleta.<br />

Il giorno <strong>se</strong>guente 81 uomini furono fucilati, 21 deportati e 3 ricondotti nel carcere di<br />

Volterra. Adesso è noto il motivo della concentrazione di <strong>tu</strong>tti gli ostaggi a Castelnuovo e di<br />

compiere, proprio in questo luogo, l’eccidio. E’ stato infatti rinvenuto negli archivi militari tedeschi<br />

un telegramma che parla di 40 soldati germanici uccisi a Castelnuovo e di 800 partigiani in armi che<br />

avevano occupato il pae<strong>se</strong> e la via di comunicazione tra il sud e il nord dell’area immediatamente<br />

interna alla costa tirrenica della Toscana. Era un falso telegramma, <strong>tu</strong>ttavia da Berlino partì l’ordine<br />

al III Freiwilligen Bataillon “Italien”, di stanza a San<strong>se</strong>polcro, di spostarsi immediatamente in<br />

questo luogo per annientare i “banditen” e in tal modo dissuadere i partigiani e la popolazione dal<br />

compiere atti ostili ai tedeschi in ritirata.<br />

Il 10 giugno 1944, all’alba, Castelnuovo si trovò accerchiato, <strong>tu</strong>tte le ca<strong>se</strong> furono perquisite,<br />

gli uomini, alcune centinaia, raggruppati in una piazza sotto il tiro delle mitragliatrici. Ma di<br />

partigiani veri e propri nemmeno uno! Il giorno 10 giugno fu un giorno denso di avvenimenti che<br />

spostarono l’attenzione dei tedeschi verso Monterotondo Marittimo e l’area mineraria del<br />

mas<strong>se</strong>tano. E proprio a <strong>se</strong>guito di una battaglia tra tedeschi e partigiani della III Brigata Garibaldi<br />

“Banda Camicia Rossa”, cadrà eroicamente, insieme a quattro compagni, il capitano Alfredo<br />

Gallistru, nato a Ruinas, in Sardegna, Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria.<br />

Di <strong>tu</strong>tti i prigionieri di Castelnuovo soltanto quattro furono deportati in Germania, mentre gli<br />

altri riuscirono a fuggire nei boschi circostanti il pae<strong>se</strong> data l’esigua sorveglianza armata, poiché i<br />

militari si erano spostati a Monterotondo Marittimo distante una quindicina di chilometri.<br />

Ma a Castelnuovo doveva compiersi la vendetta tedesca, perciò il 14 giugno 1944 furono<br />

uccisi i minatori rastrellati a Niccioleta ed i partigiani già detenuti nel carcere di Volterra, in <strong>tu</strong>tto<br />

81 uomini. Il tenente Emil Block, comandante le SS del III Freiwilligen Bataillon “Italien” fu poco<br />

dopo decorato insieme agli altri ufficiali tedeschi per questa azione. Cat<strong>tu</strong>rato dagli americani nel<br />

Nord Italia, fu brevemente internato a Verona, poi liberato.<br />

7 Si salvarono il fattore di Ariano, Bruno Cappelletti e uno s<strong>tu</strong>dente universitario, Basilio Aruffo.<br />

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