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Dispensa - Istituto Teologico Marchigiano

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è ridotta ad una conoscenza caratterizzata dalla dimostrazione del cogito, quando il<br />

credente non cerca quella conoscenza che è possibile per mezzo dell‘obbedienza alla<br />

rivelazione di Dio, credibile per la ragione, non nell‘ordine della dimostrazione, ma<br />

secondo la verità di una fiducia e affidamento al Dio che parla e chiama alla comunione<br />

con sé.<br />

3.1.2. L’incredulità<br />

―L‘incredulità è la non curanza della verità o il rifiuto volontario di dare ad essa<br />

il proprio assenso‖ 65 .<br />

La fedeltà alla fede cammina per i sentieri del credere, in cui la prova e la fatica<br />

della fede sperimentano il fascino del non credere, del fermarsi nel cammino di una fede<br />

professata e ricevuta nei sacramenti della Chiesa. L‘abbandono della fede, spesso in<br />

seguito alla non curanza nella ricerca della verità e della fedeltà della fede alla vita, è la<br />

morte della fede e della comunione vivente con Dio, anche se rimane in ogni battezzato<br />

che perde il dono della fede la dignità di figlio di Dio e l‘amore di Dio che non smette di<br />

cercare i suoi figli. La gioia della fede, pur nelle prove che la fede deve affrontare,<br />

spesso non si accompagna a quella non credenza seria e pensosa che alle domande vere<br />

della vita sperimenta la sofferenza e la passione di non credere.<br />

Possiamo quindi anche parlare del non credente presente in ogni credente, in cui<br />

egli, chiamato ad interrogarsi sulla sua fede scava negli abissi del non credente che è in<br />

lui. Anche per il credente la fede rimane una chiamata alla libertà e una scelta libera e<br />

consapevole, che lo pone sempre sulla soglia , sfiorato dalla vertigine dell‘una o<br />

dell‘altra possibilità radicale. ―Il credente è in fondo un ateo che ogni giorno si sforza di<br />

cominciare a credere e — forse — il non credente, che soffre dell‘infinito dolore<br />

dell‘assenza di Dio, è un credente che ogni giorno di nuovo si sforza di cominciare a<br />

non credere. Se il credente non vivesse ogni giorno lo sforzo di cominciare a credere, la<br />

sua fede non sarebbe altro che una rassicurazione mondana, una delle ideologie che<br />

hanno ingannato il mondo e determinato l‘alienazione dell‘uomo. Contro ogni<br />

ideologia, la fede va concepita e vissuta come un continuo convertirsi a Dio, un<br />

continuo consegnargli il cuore, cominciando ogni giorno, in modo nuovo, a vivere la<br />

fatica di credere, di sperare, di amare: perciò la fede è preghiera, e chi non prega non<br />

vivrà di fede!‖ 66 .<br />

Da qui deriva l‘impegno e la responsabilità morale di vincere una certa<br />

negligenza della fede, una fede indolente, abitudinaria, fatta di intolleranza comoda<br />

verso la fatica di credere, che si difende condannando perché non sa vivere la sofferenza<br />

dell‘amore. A questo si deve aggiungere l‘impegno i una fede interrogante, anche<br />

dubbiosa, capace ogni giorno di cominciare a consegnarsi perdutamente all‘altro, per<br />

vivere ―il «sì» all‘incessante ricerca del Volto nascosto, del Silenzio al di là della<br />

Parola, e della Parola crocifissa dove il Silenzio si apre accogliente alla ricerca del<br />

cuore‖ 67 .<br />

Dostoevskij scrisse un giorno nei suoi appunti: «Sono un figlio del dubbio e<br />

dell‘incredulità. Quale terribile sofferenza mi è costata e mi costa questa sete di credere,<br />

che è tanto più forte nella mia anima quanto sono più numerosi gli argomenti contrari<br />

… È attraverso il crogiuolo del dubbio che è passato il mio ‗osanna‘» Nonostante ciò<br />

Dostoevskij poteva continuare: «Non c‘è niente di più bello, di più profondo, di più<br />

65 CCC, 2089.<br />

66 B. FORTE, L’essenza del cristianesimo, Mondatori, Milano 2002, 104-105.<br />

67 Ibidem, 105.<br />

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