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Dispensa - Istituto Teologico Marchigiano

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Il Credo è la professione pubblica della fede come risposta ad una Parola<br />

rivelata, annunciata dalla Chiesa. Questa confessio fidei, che ha una struttura trinitaria e<br />

accoglie la rivelazione storico-salvifica della salvezza in Cristo, è pronunciata dal<br />

credente perché la riconosce come «simbolo» della sua risposta alla domanda di senso,<br />

simbolicamente contenuta nel suo agire. La sua professio fidei è simbolo perché è la sua<br />

risposta attraverso l‘«Amen» della fede e manifesta il nucleo del simbolo quale<br />

incontro, riconoscimento, dialogo e comunione. ―Nella designazione della professione<br />

di fede come simbolo, si ha al contempo una profonda spiegazione della sua vera natura.<br />

In effetti, è proprio questo il senso primordiale delle formulazioni dogmatiche avutesi<br />

nella chiesa: agevolare l‘unanime riconoscimento di Dio, facilitare l‘adorazione<br />

comune. Nella sua qualità di simbolo, la professione di fede ora richiama l‘altro, addita<br />

l‘unione degli spiriti nell‘unica parola‖ 70 . Ma l‘espressione simbolica del Credo è<br />

possibile per il simbolo che è la Parola di Dio, rivelazione del mysterion salvifico di<br />

Dio. ―Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (cfr Col 1, 15; 1 Tim 1, 17) nel suo<br />

grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33, 11; Gv 15, 14-15) e si<br />

intrattiene con essi (cfr. Bar 3, 38), per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé‖ 71 .<br />

Questo chiede la verità del simbolo della fede, per poter vivere il riconoscimento<br />

della verità salvifica della fede. Così la fedeltà alla fede, la verità del «credere Deum»,<br />

diventa impegno e verifica della conoscenza e professione della fede, che non può<br />

essere né falsa, né parziale, ma custodita in tutta la sua integrità, prendendosi cura della<br />

sua crescita e della sua simbolica esistenziale.<br />

Considerando questo impegno di autenticità e fedeltà alla fede si devono<br />

considerare alcuni atteggiamenti e scelte che rappresentano un‘infedeltà al dono di fede,<br />

come è contenuto nel simbolo della fede professata.<br />

3.2.1. La superstizione<br />

―La superstizione è la deviazione del sentimento religioso e delle pratiche che<br />

esso impone. Può anche presentarsi mascherata sotto il culto che rendiamo al vero Dio,<br />

per esempio, quando si attribuisce un'importanza in qualche misura magica a certe<br />

pratiche, peraltro legittime o necessarie. Attribuire alla sola materialità delle preghiere o<br />

dei segni sacramentali la loro efficacia, prescindendo dalle disposizioni interiori che<br />

richiedono, è cadere nella superstizione‖ 72 .<br />

La superstizione si presenta come un insieme di comportamenti il cui carattere<br />

immediato è quello di una sospensione della razionalità, affidandosi all‘efficacia utopica<br />

dell‘irrazionale. Così possiamo definire le pratiche superstiziose come schegge<br />

irrazionali di una fede che ha perso la sua identità. Dal punto di vista psicologico, la<br />

superstizione rivela il mondo delle paure inconsce della persona di fronte al futuro, alla<br />

malattia o a rischi imminenti. Assume forme svariate, quali l‘invocazione dei morti, gli<br />

scongiuri davanti a simboli visti come pericolo imminente, l‘uso di oggetti o simboli<br />

che proteggono contro pericoli per il futuro.<br />

Quando le forme di superstizione non incidono profondamente nel rapporto con Dio e<br />

nella serenità dei rapporti con gli altri, si parla di vana osservanza, cioè di gesti che<br />

rivelano la credulità o superficialità della fede. In genere si può affermare che la<br />

superstizione agisce quasi come un surrogato e quindi si esprime spesso insieme alla<br />

70 J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 1969, 62.<br />

71 DV, 2.<br />

72 CCC, 2111.<br />

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