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TESI DES HAYES - UniCA Eprints - Università degli studi di Cagliari.

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tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong>ritti e prerogative da una parte, e l’adesione a una mentalità più pratica dall’altra. Un<br />

mondo, insomma, “dove compattezza e staticità non sono scontate” 117 .<br />

Un riesame che si inserisce perfettamente sul tronco dei nuovi <strong>stu<strong>di</strong></strong> sul tema storiografico<br />

della nobiltà apparsi a partire dalla fine <strong>degli</strong> anni Ottanta del Novecento. Da Meyer a Labatut a<br />

Vovelle, a Visceglia a Musi, per fare qualche nome, si alzò unanime la considerazione che<br />

nell’antico regime “le nobiltà non [furono] mai uguali a se stesse” 118 . Proprio come nel resto<br />

d’Europa, anche per la Sardegna si ricostruisce il quadro <strong>di</strong> una feudalità che, piuttosto che<br />

appiattirsi sugli stessi schemi socio-politici, appariva stratificata a <strong>di</strong>versi livelli, segmentata, da<br />

intendere “come costruzione <strong>di</strong>namica e pluri-<strong>di</strong>mensionale” 119 .<br />

Fu durante il viceregno <strong>di</strong> Des Hayes che crebbe l’inquietu<strong>di</strong>ne del governo davanti al<br />

ritratto dell’aristocrazia feudale emerso con chiarezza fin dagli anni Cinquanta, soprattutto dalle<br />

indagini che l’avvocato fiscale Dani aveva svolto sulla <strong>di</strong>mensione dei possessi signorili, sulle<br />

prerogative ad essi inerenti e sui poteri che conferivano sui vassalli 120 . Oltre la metà del territorio<br />

sardo rientrava in concessioni <strong>di</strong> tipo allo<strong>di</strong>ale, e, quel che era peggio, buona parte <strong>di</strong> quelle terre era<br />

ancora in mano all’alta aristocrazia iberica. Su 365, infatti, ben 191 erano i villaggi che versavano i<br />

loro tributi a potenti signori come i Nules, i Bejar, i Gandía, i De Silva, i Centelles, i Borgia, gli<br />

Hijar, che godevano <strong>di</strong> un’amplissima giuris<strong>di</strong>zione civile e criminale, <strong>di</strong> primo e secondo grado 121 .<br />

Lontani da tempo dai loro posse<strong>di</strong>menti sar<strong>di</strong> e mai costretti dal governo sabaudo a risiedere<br />

stabilmente nell’isola, essi delegavano l’amministrazione dei feu<strong>di</strong> a dei reggitori o podatari, per<br />

delega o per procura 122 .<br />

117<br />

Ivi, p. 324. Eccettuati gli <strong>stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> Lepori e il saggio <strong>di</strong> Giuseppe Mele sulla società gallurese e la nobiltà tempiese (G.<br />

Mele, Da pastori a signori. Ricchezza e prestigio sociale nella Gallura del Settecento, Edes, Sassari 1994) – dove viene<br />

messa in risalto la capacità dei Pes <strong>di</strong> Villamarina <strong>di</strong> arricchire il proprio patrimonio attraverso l’attività impren<strong>di</strong>toriale,<br />

e compiere la scalata nobiliare sino a far parte della nobiltà <strong>di</strong> corte – è risultata scarsa l’attenzione al mondo nobiliare<br />

sardo prerivoluzionario.<br />

118<br />

J. P. Labatut, Le nobiltà europee dal XV al XVIII secolo, Il Mulino, Bologna 1982, Prefazione <strong>di</strong> Angelantonio<br />

Spagnoletti, p. XIII. Labatut ci riporta in un’Europa dalle molte nobiltà, ovvia conseguenza delle <strong>di</strong>versificazioni<br />

nazionali e delle <strong>di</strong>fferenti identità locali. “Ma mi ha sorpreso una cosa – aveva scritto l’abate Coyer nel suo Voyages<br />

d’Italie ed de Hollande – l’or<strong>di</strong>ne nel <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne” (P. Serna, Il nobile, in M. Vovelle, L’Uomo dell’Illuminismo, E<strong>di</strong>tori<br />

Laterza, Bari, 1992, p. 3). Sull’argomento v. anche A. Musi, Il feudalesimo nell’Europa moderna, il Mulino, Bologna<br />

2007; M. A. Visceglia, La nobiltà nel Mezzogiorno d’Italia in età moderna, in «Storica», 1997, 7.<br />

119<br />

M. A. Visceglia, La nobiltà nel Mezzogiorno d’Italia, cit., p. 95.<br />

120<br />

Il primo sguardo attento alla composita realtà feudale sarda da parte del governo sabaudo risale proprio agli anni<br />

Cinquanta del Settecento. Allora la necessità <strong>di</strong> acquisire il maggior numero possibile <strong>di</strong> informazioni e dati precisi<br />

sull’isola aveva portato a realizzare <strong>di</strong>verse indagini. Tra queste, una aveva illuminato la situazione della gestione del<br />

sistema feudale nelle campagne sarde in un momento in cui vi fu l’urgenza <strong>di</strong> esaminare lo stato del patrimonio regio.<br />

Fu Ludovico Dani, avvocato fiscale nel Supremo Consiglio <strong>di</strong> Sardegna, il maggior esperto <strong>degli</strong> usi feudali <strong>di</strong><br />

Sardegna (M. Lepori, Dalla Spagna ai Savoia, cit., pp. 66-73).<br />

121<br />

La situazione non era cambiata dai tempi del primo viceré Pallavicino <strong>di</strong> Saint Remy. Nel momento del passaggio al<br />

Piemonte, l’isola era in mano a pochi ma gran<strong>di</strong> feudatari: se nel Sud si spartivano il territorio i marchesi <strong>di</strong> Villasor, <strong>di</strong><br />

Laconi, <strong>di</strong> Quirra, e il duca <strong>di</strong> Mandas, nel Nord invece spiccavano i marchesi <strong>di</strong> Tiesi e <strong>di</strong> Mores, il barone <strong>di</strong> Sorso e il<br />

conte <strong>di</strong> Monteleone.<br />

122<br />

Antonello Mattone ha oltretutto evidenziato che questa “situazione rimase sempre la stessa sino al momento<br />

dell’abolizione e del riscatto dei feu<strong>di</strong> nel 1836-40: sul totale dei 356 villaggi dell’isola, 185 appartenevano a quella<br />

data a sei gran<strong>di</strong> feudatari residenti in Spagna” (A. Mattone, Istituzioni e riforme, cit., p. 358). Come luogotenenti, i<br />

25

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