Mie care nipoti ... - Cambiailmondo
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(forse qualcuno spiò anche fuori, attraverso lo stretto pertugio di ingresso alla grotta)<br />
compresero che avevamo a che fare con gli inglesi (in realtà, canadesi) e decisero che<br />
era arrivato il momento di lasciare il nostro provvidenziale e insolito ricovero.<br />
Fino a quel momento, anche se i soldati vi passavano e ripassavano quasi davanti, la<br />
grotta non era stata scoperta, tanto era ben mimetizzata, neppure dagli alleati.<br />
Ma il rischio per noi era che l’apparizione improvvisa di un numero abbastanza<br />
consistente di persone potesse essere scambiata dagli alleati per un agguato ordito da<br />
un gruppo di tedeschi e quindi metterci in mezzo ai guai.<br />
Della cosa naturalmente i nostri genitori erano molto preoccupati, ma risolsero il<br />
problema stabilendo di mandare avanti i bambini e i ragazzini: fummo così noi i primi<br />
a uscire all’esterno, ne eravamo parecchi, sventolando fazzoletti e stracci di vario<br />
colore!<br />
Quando abbandonammo la grotta, era la tarda mattinata del 24 dicembre del 1943;<br />
e quel giorno, anche se circondati da lutti e rovine e con la guerra attorno a noi che<br />
continuava, fummo tutti molto felici perché finalmente avevamo riacquistata la libertà.<br />
Lo spettacolo che ci si presentò, quando uscimmo a riveder il sole (per parafrasare<br />
Dante), fu quello di un ininterrotto via vai di soldati: gruppi che tornavano dal fronte,<br />
altri che vi si recavano. Visi stanchi, divise sporche e strappate, soldati feriti, gente<br />
insomma che tornava dall’inferno alla ricerca di un po’ di tregua e riposo nelle retrovie,<br />
per riprendere poi l’indomani la stessa via all’inverso!<br />
Mentre anche noi ci apprestavamo, accompagnati da alcuni soldati che ci avevano preso<br />
in consegna, a prendere la strada delle retrovie, ecco arrivare una colonna abbastanza<br />
numerosa di soldati tedeschi fatti prigionieri, la gran parte giovanissimi e anch’essi<br />
visibilmente assai provati e malridotti.<br />
Ci passarono proprio accanto, e a quel punto alcuni dei nostri non poterono trattenersi<br />
dall’inveire violentemente contro di loro, qualcuno, anzi, tentò anche di avvicinarsi per<br />
colpirli fisicamente.<br />
Fu, bisogna dire, una reazione istintiva, più forte di qualunque altro sentimento: essi<br />
erano i responsabili dei grandi patimenti sofferti durante i lunghi mesi della occupazione<br />
delle nostre terre e l’odio nei loro confronti era cresciuto in tutti nella stessa misura<br />
della paura che ci attanagliava ogni volta che si vedeva apparire una divisa tedesca<br />
all’orizzonte!<br />
I soldati che ci accompagnavano ci portarono in direzione della statale per Ortona; e<br />
la nostra prima tappa fu un ospedaletto da campo, organizzato in una casupola che si<br />
trovava in aperta campagna, a qualche centinaio di metri dalla strada e quasi all’altezza<br />
del casolare in cui abitavamo al momento dell’entrata in guerra dell’Italia.<br />
Si trattava in realtà di una rimessa per utensili agricoli, quindi assai piccola e poco<br />
capiente, utilizzata alla meglio per prestare i primi soccorsi ai soldati feriti.<br />
Quella rimessa, almeno fino a qualche anno fa, era ancora in piedi e, ogni volta che<br />
mi è capitato di percorrere con l’auto la Marrucina, non ho mai mancato passando di<br />
lì di rallentare e gettarle uno sguardo, perché essa è sempre restata uno dei punti vivi e<br />
indelebili dei miei ricordi di guerra.<br />
Forse i soldati feriti che vi abbiamo incontrato al nostro arrivo, tra i quali ricordo molto<br />
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