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Mie care nipoti ... - Cambiailmondo

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minuti, lavorava anche lui con gli inglesi (anche se non ho mai saputo che cosa facesse<br />

esattamente), e perciò andò via subito salendo su un camion e lo rivedemmo solo alla<br />

fine della guerra.<br />

Insomma, la nostra vita stava quasi tornando alla normalità, soprattutto se paragonata<br />

a quella di chi viveva ancora sotto i tedeschi, con l’incubo dei bombardamenti e della<br />

fame, ma non era naturalmente la normalità.<br />

E’ vero, dopo la conquista di Ortona e i tentativi di sfondamento su Orsogna costati<br />

-come del resto tutta la battaglia del Sangro e del Moro- tantissime vite, di soldati<br />

innanzitutto di cui sono testimonianza i due cimiteri di guerra di Ortona e di Torino<br />

di Sangro, ma anche di civili, durante i mesi invernali l’attività militare si era ridotta<br />

al minimo dall’una e dall’altra parte, e il lungo e rigido inverno servì agli alleati per<br />

accumulare forze in vista dell’arrivo della primavera, quando riprese l’offensiva per<br />

cacciare i tedeschi dall’Italia e, intanto, sloggiarli da Orsogna.<br />

Tuttavia i fatti si incaricavano, ogni tanto, di ricordarci che eravamo sempre in guerra.<br />

Ad esempio, le bombe di aereo che i tedeschi un giorno lanciarono sulla strada dove<br />

stavamo lavorando.<br />

Fu un fuggi fuggi generale, ma per fortuna gli aerei (ne erano due), che rappresentarono<br />

una vera sorpresa perché i tedeschi non avevano ormai quasi più aviazione, andarono<br />

via subito e sganciarono solo qualche bomba.<br />

Ogni tanto ci capitava anche di assistere a bombardamenti su Orsogna o di vedere<br />

pattuglie tedesche che si spostavano nelle campagne ai margini del paese, una volta ne<br />

vedemmo anche una che si aggirava attorno alla masseria di Colle S. Giacomo.<br />

Alla vigilia dell’estate, proprio agli inizi di giugno del ’44, anche Orsogna fu strappata<br />

ai tedeschi, e si aprì così finalmente per noi la via del ritorno.<br />

Noi fummo tra i primi a rimettere piede in paese, assieme a tutti gli altri che, come noi,<br />

avevano passato il fronte o, comunque, non si erano, con lo sfollamento, allontanati<br />

dall’Abruzzo.<br />

Quello che trovammo non ci sono parole per descriverlo: eravamo di fronte a un cumulo<br />

di macerie, che nascondevano anche insidie mortali, e gli edifici che non avevano subìto<br />

gravi danni si potevano davvero contare sulle dita di poche mani!<br />

La nostra casa in paese, come anche le case del vicinato, fu tra quelle non danneggiate,<br />

anche se sulle pareti esterne erano evidenti i segni delle schegge che le avevano<br />

colpite.<br />

Tra l’altro, trovammo tutto il piano terra fortificato con il legname di una vicina<br />

falegnameria, segno che essa era stata utilizzata dai tedeschi, più che come punto di<br />

difesa, come osservatorio, forse in ragione del fatto che affacciava direttamente sulla<br />

valle dell’Arenale e da lì quindi si potevano tenere sotto controllo alcune possibili<br />

vie d’attacco da parte degli alleati, e cioè la valle, appunto, e la statale che viene da<br />

Ortona.<br />

Ritrovammo intatto anche il muretto che chiudeva il sottoscala, con il suo prezioso<br />

piccolo tesoro, e in più i tedeschi avevano portato in casa -prendendolo chi sa dove-<br />

anche un tavolo da cucina molto grande e robusto che restò nostro, mentre tutto il<br />

legname del pian terreno tornò al suo legittimo proprietario.<br />

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