Mie care nipoti ... - Cambiailmondo
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alcune per aria.<br />
Di che si trattava?<br />
Alcuni di noi, e io tra questi, venimmo in possesso, non ricordo più come, dell’aggeggio<br />
che provocava lo scoppio delle mine antiuomo.<br />
Esso era costituito da un piccolo cilindro, lungo non più di dieci centimetri, al cui interno<br />
delle dimensioni di qualche centimetro, incassato in una molla potente, si trovava una<br />
specie di punteruolo trattenuto da un morsetto posto su un lato del cilindro: quando il<br />
morsetto veniva strappato, il punteruolo scattava spinto dalla molla e faceva scoppiare<br />
la mina.<br />
Noi usammo invece il congegno per spararci pallottole di fucile, avendo però l’accortezza<br />
di proteggere la mano che reggeva l’insolita arma con un bossolo di mitragliatrice<br />
tagliato dalla parte della capsula e infilato nella bocca del cilindro: ci andava proprio<br />
bene, e dentro di esso veniva introdotta la pallottola.<br />
Ricordo che, per procurarci i bossoli di mitragliatrice, incappammo un giorno, io e mio<br />
cugino Salvatore, in un nido di vespe molto arrabbiate dalle quali dovemmo scappare in<br />
tutta fretta, il tempo appena di raccogliere i bossoli che cercavamo sparsi per terra.<br />
I bossoli li trovammo non lontano dalla masseria di Colle S. Giacomo, lungo la<br />
provinciale per Lanciano, accanto a una mitragliatrice abbandonata in mezzo alla<br />
campagna, a qualche decina di metri dalla strada, ma per nostra sfortuna proprio lì le<br />
vespe avevano disposto il loro puntuto accampamento.<br />
Insomma, ne combinammo delle belle. Ma le circostanze erano quelle; né in giro vi era<br />
altro di tanto importante e divertente che potesse attirare la nostra attenzione!<br />
L’altra grande, pericolosa avventura di quei giorni nella quale eravamo tutti coinvolti,<br />
bambini ragazzi e adulti, erano le malattie che imperversarono a Orsogna nei mesi<br />
successivi al nostro rientro.<br />
Pidocchi e cimici che scorrazzavano in folla nei letti, nei vestiti e tra i capelli, il tifo<br />
petecchiale che mieté diverse vittime in paese colpendo soprattutto le donne, la rogna<br />
di cui ci si poteva liberare solo ricoprendo per diversi giorni il corpo con un impasto di<br />
zolfo: questo era il quadro sanitario di quei mesi!<br />
Sembrava che l’aria stessa del paese fosse impregnata di miasmi malefici, l’acqua o<br />
non c’era o era inquinata, i cumuli di sporcizia erano sparsi dappertutto, i vestiti e la<br />
biancheria intima erano ridotti a stracci e non si cambiavano perché non ne avevamo<br />
altri, l’assenza di ogni igiene personale era poi la norma, frutto delle circostanze; inoltre,<br />
il fisico sfibrato dalla sottoalimentazione imposta dalla guerra e che continuava nel<br />
dopoguerra non aiutava certo a resistere alle malattie.<br />
Naturalmente, contro le malattie ci si difendeva come si poteva: contro il tifo, ad<br />
esempio, con vaccinazioni che non avevano però sempre il loro effetto.<br />
Io, di vaccinazioni contro il tifo, ne feci addirittura due.<br />
La prima assieme alle mie sorelle presso un medico polacco, di origine ebraica, che<br />
era stato internato dai fascisti a Orsogna: se il mio ricordo è esatto, la vaccinazione<br />
consisteva in tre iniezioni fatte, nel giro di qualche settimana, alla spina dorsale, ma alla<br />
seconda iniezione io svenni e caddi come corpo morto cade sotto l’occhio del medico,<br />
così mi guardai bene dal completare la cura.<br />
La seconda vaccinazione, con una sola iniezione al petto praticata dal medico condotto,<br />
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