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fortemente atteso dai<br />

pediatri di Roma e <strong>del</strong> Lazio e<br />

L’evento,<br />

da operatori sanitari e sociali<br />

provenienti anche da altre regioni d’Italia,<br />

ha visto la presenza di un folto ed<br />

interessato uditorio. Graditissima quanto<br />

inattesa la presenza in aula <strong>del</strong> prof.<br />

Jean Assimadi (ex-laureato <strong>del</strong>la <strong>Cattolica</strong><br />

ed attualmente Professore di Pediatria<br />

all’<strong>Università</strong> <strong>del</strong> Benin-Togo) e<br />

<strong>del</strong> prof. Vittorio De Luca (giornalista<br />

RAI e autore <strong>del</strong> recentissimo volume<br />

“ Stranieri tra noi” ).<br />

Dal lontano 1972, allorché nel Reparto<br />

di Isolamento Pediatrico <strong>del</strong><br />

nostro Policlinico venne ricoverato<br />

il primo bambino immigrato, proveniente<br />

dalla Somalia a causa di una<br />

linfoadenite tubercolare <strong>del</strong> collo,<br />

molto tempo è trascorso. Dopo di lui<br />

altri ne sono giunti da Paesi in via<br />

di sviluppo, mentre in Italia aumentavano<br />

le presenze di immigrati<br />

adulti, per lo più giovani, senza<br />

nucleo familiare al seguito ed in buone<br />

condizioni fisiche, tanto da poter<br />

affrontare i rischi e le fatiche <strong>del</strong> loro<br />

progetto migratorio.<br />

IMMIGRAZIONE<br />

Prendersi cura<br />

<strong>del</strong> bambino immigrato<br />

Il 16 aprile si è svolto il Convegno “Il<br />

bambino immigrato e il pediatra: caleidoscopio<br />

di problemi veri e falsi, situazioni<br />

vecchie e nuove”, promosso<br />

dal Dipartimento di Scienze Pediatriche<br />

Medico-Chirurgiche e di Neuroscienze<br />

<strong>del</strong>lo Sviluppo e dall’Istituto di<br />

Clinica pediatrica nell’ambito di un<br />

comune progetto di portare al di fuori<br />

<strong>del</strong>la nostra Istituzione informazione<br />

e formazione sulle problematiche<br />

emergenti, culturali ed assistenziali,<br />

<strong>del</strong>l’età evolutiva<br />

Orazio Ranno<br />

Progressivamente, quasi in sordina, è<br />

cresciuto il numero di bambini immigrati<br />

presenti nel territorio italiano,<br />

tanto da farci affermare, all’inizio degli<br />

anni novanta, che il bambino immigrato<br />

non era più quella figura virtuale<br />

di cui i pediatri avevano iniziato<br />

ad interessarsi sul finire degli anni<br />

settanta. Proprio in quel periodo cominciavano,<br />

infatti, a farsi sentire i<br />

primi effetti <strong>del</strong> ricongiungimento familiare<br />

reso possibile dalla legge<br />

n°39/90, meglio nota come legge Martelli.<br />

Questa possibilità ha contribuito<br />

notevolmente al progressivo, consistente<br />

incremento <strong>del</strong> numero di minori<br />

immigrati.<br />

Il nostro lavoro con questa tipologia di<br />

bambini, anche grazie all’aiuto di persone<br />

di buona volontà che, di volta in<br />

volta, avevano fatto da interpreti, si era<br />

sempre svolto regolarmente, fino all’incontro<br />

con un bambino yemenita,<br />

affetto da poliomielite in fase acuta, che,<br />

dopo aver peregrinato per diversi ambulatori<br />

pediatrici romani, era stato avviato<br />

al ricovero nella nostra Unità. Lo<br />

accompagnavano i genitori che parla-<br />

COMUNICARE<br />

15<br />

A destra il dott. Orazio Ranno<br />

e i suoi collaboratori con alcuni<br />

bambini immigrati ricoverati.<br />

vano (e capivano) solo l’arabo.<br />

L’uso esclusivo <strong>del</strong>la lingua araba, la<br />

evidente diversità di abitudini (la madre<br />

dormiva a terra su una coperta),<br />

le incomprensioni di tipo culturale<br />

(un isolamento pediatrico comporta<br />

<strong>del</strong>le restrizioni ambientali)… ..per la<br />

prima volta fummo messi in seria crisi!<br />

Ci rendemmo conto di poter affrontare<br />

la malattia poliomielite, ma<br />

di non riuscire a comunicare, né ad<br />

instaurare un corretto rapporto pediatra-medico-famiglia.<br />

Pur cogliendo<br />

i segni di un grave disagio socio-economico<br />

e culturale non riuscimmo ad<br />

attivare iniziative di sostegno o di relazione,<br />

al di fuori <strong>del</strong> facilitare il rientro<br />

in patria a iter diagnostico concluso.<br />

Da qui si fece strada in noi la<br />

necessità di una integrazione <strong>del</strong>la<br />

nostra preparazione, in ambito transculturale,<br />

che tenesse conto dei valori<br />

e <strong>del</strong>le peculiarità <strong>del</strong>le varie etnie<br />

e culture, <strong>del</strong> diverso modo di senti-

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