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Numero 18 - giugno 2007 - Società Filosofica Italiana

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ma anche la pietà), sempre ribadito pacatamente dal protagonista e dallo scrittore.<br />

Un «Per non dimenticare» attuale come non mai. Anche Francesco Rosi un po' di<br />

imbarazzo, da "osservatore non partecipante", deve averlo provato: tanto è vero<br />

che ha smorzato i toni (sempre pericolosamente urlati) che contraddistinguono il<br />

suo cinema e ha deciso di privilegiare il passo piano dell'elegia. Ma purtroppo il<br />

passo piano ha finito per dare al film la scansione di un educato sceneggiato<br />

televisivo, mentre l'accentuata volontà poetica lo ha rivestito di quella pomposa<br />

"carineria" che affligge la quasi totalità delle mega coproduzioni europee<br />

impegnate. Cinematograficamente parlando, La tregua non ha l'insopportabile<br />

esibizionismo di maniera di Tre fratelli, il folclore a buon mercato di Cronaca di una<br />

morte annunciata, il kitsch involontario e imbarazzante di Dimenticare Palermo. Ma<br />

non ha neppure quello che il cinema di Rosi aveva più di vent'anni fa: rabbia lucida,<br />

la voglia di sfidare l'eccesso, un senso impellente della storia. La tregua non sembra<br />

dettato dalla necessità, ma dal dovere. E dal dovere è nato il "compitino": un po' di<br />

Uomini contro )la sequenza iniziale), ma anche un po' di I girasoli (brutto film di De<br />

Sica del '70) e tanti treni e masse popolari alla Bondarcuk; tanta musicona retorica<br />

(di Luis Bacalov), troppa voce off e il "doveroso" bianco e nero per i flashback du<br />

Auschwitz (perché bianco e nero? perché fa documentario? o perché all'interno di<br />

un film a colori si creda abbia un effetto straniante?). Quello che regge il film di<br />

Rosi è l'interpretazione di John Turturro (e vengono i brividi al pensiero di un<br />

qualsiasi attore italiano della sua età costretto a quei primi piani silenziosi).<br />

Massimo Ghini crede di stare in un film di Salvatores, Stefano Dionisi brilla per<br />

inutilità e Rade Serbedzija ha la fastidiosa invadenza di un guitto. Non c'è un<br />

momento di vera poesia, un momento di vera passione. "La tregua", film, sarà<br />

dimenticato."<br />

il Manifesto - Roberto Silvestri: "Al cinema politico, non crede più nessuno. Il<br />

genere è ormai diventato paria, salvo che non accompagni processi storici<br />

irreversibili (L'uomo di marmo, Biko). La ricezione di immagini politiche esplicite ha<br />

creato nel corso del tempo una zona sempre più gelida e impenetrabile rispetto<br />

all'impegno obbligatorio. Sia che le immagini avessero il tono esplicito della crociata<br />

(come i documentari dei fronti di liberazione anti-imperialisti anni '60) sia che<br />

"stonassero", con suggestioni subdole o seducenti (come fu lo spot pro-"Sun City"<br />

che Berlusconi amava trasmettere durante l'apartheid, per glorificare un'economia<br />

di mercato davvero "perfetta"). Sia che, serie e emozionanti, indignate ma<br />

persuasive, toccassero la razionalità del pubblico, cui è pur permesso di pensare,<br />

analizzare e giudicare. Era quest'ultimo il terreno del grande e rimpianto cinema<br />

civile di Francesco Rosi. Le mani sulla città. Il caso Mattei. Salvatore Giuliano.<br />

Eppure oggi non ci si fiderebbe più troppo della "sostanza conoscitiva" contenuta e<br />

sprigionata in quelle immagini. Da quelle forme-racconto, tra Espresso anni d'oro e<br />

pulp magazine. Da Z l'orgia del potere. O da Indagine su un cittadino al di sopra di<br />

ogni sospetto... Film che nel '68 trovammo "autoritari", perché usavano come gli<br />

altri l'ipnosi, esibivano codici e simbologie usurate: celavano, con lo spettacolo,<br />

modi di produzione da grande fabbrica. E' per questo (e anche perché poi gli anni<br />

più torbidi cui siamo sopravvissuti non permisero che l'urlato o il grottesco) che<br />

Rosi e gli altri hanno poi cambiato strada. Hanno cercato vie indirette, forme<br />

apparentemente più deboli e umili, di comunicazione. Ritorni al melò. Esperimenti<br />

perché il pensiero critico facesse scintille e l'emozione pura (non quella indotta) si<br />

scatenasse, e non esattamente "verso il minuto 52 del secondo tempo". Fino a fare<br />

i "parassiti astuti" dei generi dominanti, come Rosi in Dimenticare Palermo col<br />

thriller made in Usa. Noi, ebrei tedeschi. Ed ecco che, davanti a un testo chiave<br />

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