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RIASSUNTO DE “I PROMESSI SPOSI” - brunocamaioni.com

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non ottenendo udienza neppure presso Perpetua, si affacciava alla finestra e si<br />

rivolgeva alla gente che passava, curva sotto il peso delle povere masserizie,<br />

implorando “con una voce mezza di pianto e mezza di rimprovero” che gli<br />

trovassero qualche cavalcatura, che lo aspettassero almeno, per fargli da scorta;<br />

ma vedendo che coloro o non gli davano nemmeno ascolto o gli rispondevano che<br />

s’ingegnasse <strong>com</strong>e gli altri, borbottava contro l’egoismo dei parrocchiani: “Oh<br />

che gente! che cuori! non c’è carità: ognun pensa a sé; e a me nessuno vuol<br />

pensare”. Non capiva il nostro curato, il quale non si peritava di tacciare gli altri<br />

di egoismo, che l’egoista era proprio lui, che voleva gli altri al suo servizio,<br />

mentre avrebbe dovuto lui prodigarsi per i suoi parrocchiani, e soprattutto pensare<br />

alla chiesa. A questo riguardo rabbrividiamo nel sentire le sue ciniche parole: “Al<br />

popolo tocca custodirla, che serve a lui. Se hanno un po’ di cuore per la loro<br />

chiesa, ci penseranno; se poi non hanno cuore, tal sia di loro.” Vogliamo credere<br />

almeno che avrà pensato a togliere dal ciborio il Sacramento, per salvarlo dalla<br />

sicura profanazione dei protestanti, che si accanivano soprattutto contro<br />

l’Eucarestia; ma l’Autore nulla dice in proposito, e noi dobbiamo purtroppo<br />

dubitarne, conoscendo il suo zelo sacerdotale. Se si dimenticò del Sacramento,<br />

non si dimenticò certamente del suo tesoro, che prelevò dallo scrigno e consegnò<br />

alla serva perché lo seppellisse nell’orto.<br />

Quand’ebbe <strong>com</strong>piuto quest’ultimo e più importante occultamento, Perpetua<br />

preparò una gerla con dentro un po’ di viveri e della biancheria per sé e per il<br />

padrone; quindi, con tono risoluto, disse al curato che andasse a prendere il<br />

breviario, il cappello e il bastone, per mettersi subito in strada. Don Abbondio<br />

sembrava proprio intontito, non avendo ancora deciso dove andare, e ci volle tutta<br />

l’autorità della donna per farlo muovere. Finalmente anche lui fu pronto, ma<br />

proprio mentre si accingevano a lasciare la canonica, ecco arrivare Agnese, la<br />

quale fece subito la sua proposta di rifugiarsi al castello, che Perpetua accolse con<br />

entusiasmo, <strong>com</strong>e una vera ispirazione del Signore, mentre il padrone non ne era<br />

troppo convinto. Prima chiese se era convertito davvero; non ostante tutto quello<br />

che ha visto e sentito lui stesso, egli nutre ancora dei sospetti: chi sa – pensava<br />

forse tra sé – la sua conversione potrebbe essere stato un fuoco di paglia. Poi,<br />

rassicurato da Agnese nei riguardi della conversione, obiettò che, andando lassù,<br />

rischiavano di mettersi in gabbia, di esser cioè assediati dagli alemanni, e forse<br />

anche dai cappelletti, bramosi di metter le mani su una preda tanto allettante. Ma<br />

Perpetua gli rimproverò questo suo continuo sospettare, dicendo che non era<br />

capace d’altro che d’impicciare e ostacolare ogni cosa con le sue sciocche<br />

obiezioni, con i suoi ragionamenti inconcludenti. Si decise dunque di mettersi la<br />

strada tra le gambe alla volta del castello; ma don Abbondio pretendeva ora che<br />

trovassero qualcuno per servirgli di scorta; il che fece perdere la pazienza alla<br />

serva, la quale gli dette ancora sulla voce, dimostrandogli quanto fosse assurda la<br />

sua pretesa, che intanto faceva loro perdere del tempo prezioso.<br />

Messisi finalmente in cammino, il curato se ne stette per un buon tratto zitto e<br />

mogio, guardandosi intorno con sospetto, nel timore di qualche brutto incontro.<br />

Ma a mano a mano che s’allontanavano dalla zona pericolosa, essendo scemata<br />

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