Scavi a Veleia - Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della ...
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Alle origini del Museo di Parma – uno dei più antichi d’Italia – c’è l’indagine<br />
archeologica sulla città romana di <strong>Veleia</strong>, la piccola “Pompei” di Filippo<br />
di Borbone. È un’indagine che ha sempre suscitato grande interesse tra gli<br />
studiosi e tra il pubblico, non solo <strong>per</strong> la sua obiettiva importanza storica,<br />
ma anche <strong>per</strong> altre ragioni che, nel tempo, hanno contribuito a tener desta la<br />
curiosità, non ultimo un certo alone di “mistero” su quella ricca e antica città<br />
nascosta in fondo ad una valle dell’Appennino.<br />
Il libro di Anna Maria Riccomini racconta appunto le vicende di quella<br />
esplorazione, e di conseguenza racconta le vicende <strong>della</strong> nascita del Museo di<br />
Parma, fondato nel 1760 <strong>per</strong> accogliere gli oggetti rinvenuti negli scavi.<br />
Guardandolo dal mio particolare punto di vista, dunque, il libro è anche<br />
una buona occasione <strong>per</strong> dare visibilità al Museo, del quale vale la pena di<br />
render note non solo le collezioni, ma anche la storia, così lunga e così intrecciata<br />
con le vicende <strong>della</strong> storia e <strong>della</strong> cultura del nostro Paese.<br />
E poiché la fonte principale dell’Autrice è naturalmente l’archivio del<br />
Museo di Parma, esplorato con cura meticolosa, il volume viene a dar voce<br />
all’archivio stesso, non meno importante delle collezioni esposte, ma inevitabilmente<br />
inaccessibile al grande pubblico.<br />
La narrazione, si è detto, è la storia fedele di come si sono svolte le prime<br />
indagini a <strong>Veleia</strong>, e su un altro piano è una storia emblematica del modo<br />
in cui si svolgeva tra ’700 e ’800 la ricerca archeologica. Dalla descrizione<br />
degli atti e dalla citazione puntuale delle parole dei protagonisti esce,<br />
tra l’altro, un ritratto oggettivo, senza antistorici giudizi a posteriori, del<br />
modo di lavorare e di sentire degli archeologi del tempo, non solo sul piano<br />
professionale – che guardiamo ormai in prospettiva storica – ma anche<br />
sul piano umano. E quest’ultimo, nel bene e nel male, non è poi così lontano<br />
da noi! Mutatis mutandis, possiamo capire <strong>per</strong>fettamente sia il viscerale<br />
senso d’appartenenza del De Lama al suo Museo, che amava “qual figlio”,<br />
sia – ahimè – le rivalità tra studiosi, che finirono <strong>per</strong> ostacolare qualsiasi<br />
progetto di pubblicazione, nonostante le sollecitazioni che provenivano<br />
dal governo ducale.<br />
Altra materia di riflessione – ancora una volta nel bene e nel male, ma comunque<br />
attualissima e <strong>per</strong> certi versi un po’ amara – il libro ce la fornisce appunto<br />
a proposito dell’attenzione in cui il governo considerava e seguiva quell’importante<br />
ricerca archeologica, vedendola (e usandola) come mezzo di promozione<br />
culturale del Ducato. E nonostante la delusione <strong>della</strong> mancata pub-