Scavi a Veleia - Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della ...
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ER MUSEI E TERRITORIO<br />
Materiali<br />
e Ricerche<br />
ISTITUTO PER I BENI ARTISTICI<br />
CULTURALI E NATURALI<br />
DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA<br />
<strong>Scavi</strong> a <strong>Veleia</strong><br />
L’archeologia a Parma<br />
tra Settecento e Ottocento<br />
Anna Maria Riccomini
6 ER MUSEI E TERRITORIO<br />
Materiali<br />
e Ricerche<br />
ISTITUTO PER I BENI ARTISTICI<br />
CULTURALI E NATURALI<br />
DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
© 2005 Materiali e Ricerche<br />
<strong>Istituto</strong> <strong>per</strong> i beni artistici culturali e naturali<br />
<strong>della</strong> Regione Emilia-Romagna<br />
Via Galliera 21 - 40121 Bologna<br />
www.ibc.regione.emilia-romagna.it<br />
© 2005 by CLUEB<br />
Coo<strong>per</strong>ativa Libraria Universitaria Editrice Bologna<br />
40126 Bologna - Via Marsala 31<br />
Tel. 051 220736 - Fax 051 237758<br />
www.clueb.com<br />
ISBN 88-491-2599-2
<strong>Scavi</strong> a <strong>Veleia</strong><br />
L’archeologia a Parma<br />
tra Settecento e Ottocento<br />
Anna Maria Riccomini
Riccomini, Anna Maria<br />
<strong>Scavi</strong> a <strong>Veleia</strong>. L’archeologia a Parma tra Settecento e Ottocento / Anna Maria Riccomini. – Bologna :<br />
CLUEB, 2005<br />
223 p. ; ill. ; 24 cm<br />
Finito di stampare nel mese di dicembre 2005<br />
da LIPE - S. Giovanni in Persiceto (BO)
INDICE<br />
Presentazioni<br />
Ezio Raimondi ..................................................................................................... 6<br />
Maria Bernabò Brea ............................................................................................ 7<br />
Premessa .............................................................................................................. 9<br />
Capitolo I. Costa, Caylus, Paciaudi e gli scavi di <strong>Veleia</strong> ....................................... 13<br />
1. Le campagne del 1760-1763 e la direzione del canonico Costa ............... 13<br />
2. Gli scavi di <strong>Veleia</strong> nella corrispondenza Costa-Caylus ............................. 20<br />
3. Gli scavi di <strong>Veleia</strong> nella corrispondenza Paciaudi-Caylus ........................ 29<br />
4. Le campagne del 1776-1781: gli ultimi scavi settecenteschi a <strong>Veleia</strong> ....... 58<br />
Capitolo II. L’edizione degli scavi I: i tentativi del Costa e del Paciaudi ............. 63<br />
Capitolo III. L’edizione degli scavi II: “Vogheristi e Antolinisti” e l’o<strong>per</strong>a del<br />
De Lama ......................................................................................... 87<br />
1. Il nuovo antiquario ducale: Pietro De Lama ............................................. 87<br />
2. Le antichità di <strong>Veleia</strong> all’epoca <strong>della</strong> dominazione francese .................... 92<br />
3. 1816: la ria<strong>per</strong>tura degli scavi .................................................................... 98<br />
4. Gli studi architettonici su <strong>Veleia</strong>: Luigi Voghera e Giovanni Antonio<br />
Antolini ...................................................................................................... 111<br />
4.1 Il Taccuino di viaggio dell’Antolini (1818) ......................................... 136<br />
5. Pietro De Lama e le antichità veleiati ........................................................ 140<br />
6. Il nuovo Museo di Antichità ...................................................................... 145<br />
7. La fortuna veleiate di un mosaico parmense ............................................. 160<br />
Capitolo IV. Le antichità di <strong>Veleia</strong> nei diari dei viaggiatori del Settecento e del<br />
primo Ottocento .............................................................................. 173<br />
Appendice documentaria ............................................................................... 189<br />
Indice dei nomi .................................................................................................... 209<br />
Abbreviazioni bibliografiche ............................................................................... 213<br />
5
Chi visita oggi un museo raramente è in grado di capire come le ordinate collezioni<br />
di oggetti e materiali siano frutto di una serie complessa di scelte e decisioni<br />
individuali, di relazioni tra <strong>per</strong>sone, di casualità, di vittorie e sconfitte.<br />
In fondo è una storia a più voci, un intrecciarsi vitale di molte storie, che hanno<br />
fatto sì che la ricchezza di un passato più o meno recente depositasse nel<br />
teatro o nel magazzino <strong>della</strong> nostra memoria quegli oggetti, quelle forme di vita,<br />
come testimoni e garanti di una tramando culturale che ci ammaestra e ci<br />
mette a confronto. Un museo è sempre una creatura nata nel tempo, un luogo<br />
dell’es<strong>per</strong>ienza e del dialogo.<br />
Un esempio di questo processo ci viene dal volume che proponiamo nella<br />
collana dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Beni</strong> <strong>Culturali</strong>: una indagine minuziosa e sensibile che<br />
scandaglia con sottile eleganza erudita la storia di una istituzione prestigiosa<br />
come il Museo Archeologico di Parma nel suo farsi in rapporto ai materiali e<br />
ai re<strong>per</strong>ti del municipium romano di <strong>Veleia</strong>, rinvenuti in ripetute e pazienti<br />
campagne di scavo, cominciando dalla tabula alimentaria di Traiano, fortunosamente<br />
sco<strong>per</strong>ta nel 1747.<br />
Le alterne fortune di quella che la pubblicistica settecentesca definiva<br />
con convinto fervore la “Pompei del Nord” si intrecciano con le opzioni<br />
conservative dei re<strong>per</strong>ti, con le idee guida sull’archeologia e l’antiquaria,<br />
con le <strong>per</strong>sonalità e le idiosincrasie dei protagonisti di questa pacifica avventura,<br />
dal padre teatino Paolo Maria Paciaudi antiquario ducale al suo allievo<br />
Pietro De Lama, sullo sfondo <strong>della</strong> attenta politica culturale del Ducato,<br />
da Filippo di Borbone alla duchessa Maria Luigia “donna e sovrana”.<br />
E intanto è la stessa nozione di museo che muta e si evolve nei suoi contenuti<br />
e nella sua funzione artistica e civile, tra gusto neoclassico e illuminismo.<br />
Anni gloriosi di un’onesta, attiva Italia preunitaria.<br />
Si compone così un affresco <strong>per</strong> molti versi sorprendente e affascinante<br />
che ci restituisce, nel gioco composito di uomini, cose e idee, una visione<br />
più esatta e problematica del passato e delle sue interne tensioni. E il lettore<br />
di oggi, pensiamo, saprà trarne una lezione anche <strong>per</strong> il proprio presente.<br />
Il nostro sguardo ha bisogno di una memoria critica, che sappia interpretare<br />
il mondo delle cose e ritrovarvi il loro mobile e molteplice volto umano.<br />
EZIO RAIMONDI<br />
Presidente dell’<strong>Istituto</strong> <strong>per</strong> i <strong>Beni</strong> <strong>Artistici</strong>,<br />
<strong>Culturali</strong> e <strong>Naturali</strong> <strong>della</strong> Regione Emilia-Romagna
Alle origini del Museo di Parma – uno dei più antichi d’Italia – c’è l’indagine<br />
archeologica sulla città romana di <strong>Veleia</strong>, la piccola “Pompei” di Filippo<br />
di Borbone. È un’indagine che ha sempre suscitato grande interesse tra gli<br />
studiosi e tra il pubblico, non solo <strong>per</strong> la sua obiettiva importanza storica,<br />
ma anche <strong>per</strong> altre ragioni che, nel tempo, hanno contribuito a tener desta la<br />
curiosità, non ultimo un certo alone di “mistero” su quella ricca e antica città<br />
nascosta in fondo ad una valle dell’Appennino.<br />
Il libro di Anna Maria Riccomini racconta appunto le vicende di quella<br />
esplorazione, e di conseguenza racconta le vicende <strong>della</strong> nascita del Museo di<br />
Parma, fondato nel 1760 <strong>per</strong> accogliere gli oggetti rinvenuti negli scavi.<br />
Guardandolo dal mio particolare punto di vista, dunque, il libro è anche<br />
una buona occasione <strong>per</strong> dare visibilità al Museo, del quale vale la pena di<br />
render note non solo le collezioni, ma anche la storia, così lunga e così intrecciata<br />
con le vicende <strong>della</strong> storia e <strong>della</strong> cultura del nostro Paese.<br />
E poiché la fonte principale dell’Autrice è naturalmente l’archivio del<br />
Museo di Parma, esplorato con cura meticolosa, il volume viene a dar voce<br />
all’archivio stesso, non meno importante delle collezioni esposte, ma inevitabilmente<br />
inaccessibile al grande pubblico.<br />
La narrazione, si è detto, è la storia fedele di come si sono svolte le prime<br />
indagini a <strong>Veleia</strong>, e su un altro piano è una storia emblematica del modo<br />
in cui si svolgeva tra ’700 e ’800 la ricerca archeologica. Dalla descrizione<br />
degli atti e dalla citazione puntuale delle parole dei protagonisti esce,<br />
tra l’altro, un ritratto oggettivo, senza antistorici giudizi a posteriori, del<br />
modo di lavorare e di sentire degli archeologi del tempo, non solo sul piano<br />
professionale – che guardiamo ormai in prospettiva storica – ma anche<br />
sul piano umano. E quest’ultimo, nel bene e nel male, non è poi così lontano<br />
da noi! Mutatis mutandis, possiamo capire <strong>per</strong>fettamente sia il viscerale<br />
senso d’appartenenza del De Lama al suo Museo, che amava “qual figlio”,<br />
sia – ahimè – le rivalità tra studiosi, che finirono <strong>per</strong> ostacolare qualsiasi<br />
progetto di pubblicazione, nonostante le sollecitazioni che provenivano<br />
dal governo ducale.<br />
Altra materia di riflessione – ancora una volta nel bene e nel male, ma comunque<br />
attualissima e <strong>per</strong> certi versi un po’ amara – il libro ce la fornisce appunto<br />
a proposito dell’attenzione in cui il governo considerava e seguiva quell’importante<br />
ricerca archeologica, vedendola (e usandola) come mezzo di promozione<br />
culturale del Ducato. E nonostante la delusione <strong>della</strong> mancata pub-
licazione, l’o<strong>per</strong>azione “di immagine” sembra in effetti riuscita, se tra le pagine<br />
dei diari di viaggio delle <strong>per</strong>sone di cultura che da ogni paese d’Europa attraversavano<br />
Parma gli oggetti del Museo e le “ruine” di <strong>Veleia</strong> sono ricordati<br />
come monumenti degni di memoria, capaci di far <strong>per</strong>cepire il senso o almeno<br />
di evocare l’emozione dell’antichità.<br />
MARIA BERNABÒ BREA<br />
Direttore del Museo<br />
Archeologico Nazionale di Parma
Premessa<br />
Intorno alla metà del Settecento la fortunata sco<strong>per</strong>ta <strong>della</strong> Tabula alimentaria<br />
di Traiano aveva improvvisamente fatto conoscere all’intero mondo antiquario<br />
l’esistenza del piccolo municipium romano di <strong>Veleia</strong>, sulle montagne<br />
del piacentino, e di lì a qualche anno avrebbe portato alla fondazione, nella<br />
capitale del ducato, di uno dei primi musei archeologici a<strong>per</strong>ti al pubblico,<br />
destinato ad ospitare i re<strong>per</strong>ti provenienti dagli scavi veleiati. Le vicende<br />
legate alla sco<strong>per</strong>ta <strong>della</strong> Tabula e alla nascita del Museo di Antichità di<br />
Parma, ufficialmente inaugurato nel 1760, sono state da tempo indagate;<br />
ancora in gran parte da scrivere rimanevano invece la storia delle prime campagne<br />
di scavo, comprese tra la seconda metà del XVIII secolo e i primi<br />
decenni di quello successivo e, più in generale, le tappe del lento maturarsi<br />
di una nuova sensibilità verso l’oggetto antico e del formarsi, in seno al ducato,<br />
di un importante centro di studi antiquari, presto riconosciuto come uno<br />
dei più vitali dell’Italia settentrionale.<br />
Scopo del presente lavoro è di colmare, almeno in parte, questa lacuna. Il<br />
<strong>per</strong>iodo cronologico preso in esame (1760-1825) intende coprire l’intero<br />
<strong>per</strong>iodo di scavi settecenteschi, con le due campagne del 1760-1765 e del<br />
1776-1781 e si spinge fino ai primi anni del regno di Maria Luigia d’Austria,<br />
che, dopo un lungo <strong>per</strong>iodo di silenzio e <strong>per</strong>sino di abbandono delle indagini<br />
archeologiche, segnano una vera e propria ripresa di iniziative culturali e<br />
quasi una nuova “risco<strong>per</strong>ta” delle antichità veleiati.<br />
Sono questi gli anni dominati dalle figure scientifiche dei due primi direttori<br />
del Museo di Antichità, il padre teatino Paolo Maria Paciaudi, illustre<br />
studioso giunto a Parma ormai alla fine di una gloriosa carriera che lo aveva<br />
visto al fianco dei principali antiquari del tempo e il giovane allievo Pietro<br />
De Lama, <strong>per</strong>sonaggio oggi assai meno noto, ma molto apprezzato dai suoi<br />
contemporanei <strong>per</strong> la cura e la competenza scientifica con cui <strong>per</strong> almeno<br />
quarant’anni promosse e tutelò le attività archeologiche del ducato.<br />
Preliminare a questo lavoro di ricostruzione storica di oltre sei decenni di<br />
intense ricerche archeologiche in quella che all’epoca veniva chiamata la<br />
9
10<br />
“Pompei del Nord” è stato, naturalmente, un meticoloso spoglio <strong>della</strong> vastissima<br />
documentazione d’archivio relativa alle varie campagne di scavo condotte<br />
a <strong>Veleia</strong> e in altre aree del ducato, alle misure di tutela e ai progetti di<br />
musealizzazione avviati fin dalla metà del XVIII secolo, agli articolati scambi<br />
di opinione con i maggiori antiquari del tempo, documentati dai ricchi<br />
carteggi del Paciaudi e del De Lama, materiale conservato finora in gran<br />
parte inedito presso diversi fondi archivistici emiliani (in particolare a<br />
Parma, nell’Archivio del Museo Archeologico, alla Biblioteca Palatina,<br />
all’Archivio di Stato e a Piacenza, nella Biblioteca Comunale) e al quale questo<br />
studio ha inteso ridare voce.<br />
Nel primo capitolo, interamente dedicato agli scavi condotti nel<br />
Settecento a <strong>Veleia</strong>, è stato approfondito il ruolo, davvero fondamentale, fornito<br />
alle ricerche dal conte di Caylus: il carteggio (in gran parte inedito) con<br />
il primo direttore degli scavi, il canonico piacentino Antonio Costa e quindi<br />
quello con il Paciaudi, pubblicato nel corso del XIX secolo, hanno <strong>per</strong>messo<br />
di evidenziare la posizione di rilievo avuta da <strong>Veleia</strong> nell’ambito delle<br />
ricerche condotte dal conte sulle tecniche artistiche e sulle produzioni artigianali<br />
degli Antichi. Per diversi anni <strong>Veleia</strong> divenne un vero e proprio laboratorio<br />
d’indagine archeologica e l’invio a Parigi di materiale veleiate (cocci<br />
di ceramica, vetri, frammenti di bronzo, ossa e altro materiale “minore”) fornirà<br />
al celebre antiquario la principale materia prima su cui condurre i suoi<br />
curiosi es<strong>per</strong>imenti. Le metodologie di ricerca professate dal Caylus portarono<br />
aria nuova nel panorama antiquario del ducato, tanto che già alla fine<br />
<strong>della</strong> prima campagna di scavi si registra una nuova attenzione <strong>per</strong> il materiale<br />
“comune” e, in generale, <strong>per</strong> gli aspetti produttivi e artigianali documentati<br />
dai re<strong>per</strong>ti, ma sarà soprattutto negli allestimenti del Museo di<br />
Antichità di Parma, voluti dal De Lama (ed esaminati nel terzo capitolo), che<br />
gli insegnamenti del Caylus sembreranno dare i loro frutti migliori.<br />
La corrispondenza tra il Caylus e il Paciaudi rivela tutta la difficoltà<br />
incontrata dal teatino ad accettare i metodi e le finalità di indagine seguiti<br />
dall’amico e bene si inquadrano nel dibattito scientifico che proprio in questi<br />
anni, ad o<strong>per</strong>a dello stesso Caylus e, soprattutto del Winckelmann, portò<br />
alla nascita <strong>della</strong> moderna scienza archeologica.<br />
Le divergenze di opinione sui modi di interpretare lo studio dell’antico e<br />
sulle finalità dell’indagine sul campo si inasprirono a proposito <strong>della</strong> pubblicazione<br />
dello scavo veleiate, o<strong>per</strong>azione già tentata, senza successo, dal<br />
Costa, e che impegnerà a lungo il Paciaudi. Fin dall’epoca <strong>della</strong> sco<strong>per</strong>ta<br />
<strong>della</strong> Tabula alimentaria il mondo scientifico era rimasto in attesa di conoscere<br />
i risultati delle indagini promosse nel ducato, ma anche gli sforzi del<br />
Paciaudi non dettero il risultato s<strong>per</strong>ato: i numerosi appunti preparatori <strong>per</strong><br />
una imponente (e mai pubblicata) o<strong>per</strong>a di edizione degli scavi, conservati
ancora manoscritti in diversi fondi archivistici parmigiani e discussi nel<br />
secondo capitolo, sono dunque una testimonianza preziosa <strong>per</strong> risalire ai<br />
modelli di pubblicazione scientifica (che un appassionato bibliofilo quale era<br />
il Paciaudi non poteva di certo trascurare) e seguire le fasi di avanzamento di<br />
quella che, almeno nelle intenzioni dell’autore, doveva presentarsi come una<br />
delle principali imprese editoriali e delle più moderne documentazioni<br />
archeologiche del suo tempo.<br />
La complessa o<strong>per</strong>a di catalogazione e di riallestimento del materiale<br />
archeologico parmense nella nuova sede che ancora ospita il Museo è argomento<br />
del terzo capitolo di quest’o<strong>per</strong>a. In questo stesso capitolo viene<br />
anche esaminata, alla luce <strong>della</strong> documentazione d’archivio e delle pubblicazioni<br />
archeologiche dell’epoca, il ruolo di primo piano che <strong>Veleia</strong> torna a giocare<br />
nell’ambito degli studi archeologici del primo Ottocento, grazie soprattutto<br />
all’illuminata politica culturale promossa a Parma dalla nuova Sovrana.<br />
Gli scavi di <strong>Veleia</strong> diventano ora un vero e proprio punto di riferimento <strong>per</strong><br />
la nascente archeologia <strong>della</strong> Cisalpina, e non è un caso che gli scopritori di<br />
importanti centri romani come Brescia, Forum Iulii o Villa del Foro, presso<br />
Alessandria, si siano fatti le ossa proprio sulle rovine veleiati. Ma <strong>Veleia</strong> fu<br />
<strong>per</strong> molti studiosi anche un valido modello architettonico e urbanistico “provinciale”,<br />
il più rappresentativo e meglio esplorato centro antico <strong>della</strong><br />
Cisalpina e dunque una fonte ideale da cui attingere le formule del linguaggio<br />
classico da riproporre nelle architetture “all’antica” dei cantieri nord-italiani:<br />
il capitolo analizza anche gli importanti contributi forniti alla conoscenza<br />
di <strong>Veleia</strong> da alcuni dei più celebri nomi dell’architettura di primo<br />
Ottocento, come Luigi Voghera (che al Museo Archeologico di Parma ha<br />
lasciato alcune tavole acquerellate e altro materiale, destinati ad un’o<strong>per</strong>a,<br />
mai pubblicata, su <strong>Veleia</strong>) o Giovanni Antolini, primo editore degli scavi<br />
veleiati.<br />
Il quarto e ultimo capitolo presenta una rassegna delle impressioni lasciate<br />
dalle rovine veleiati e dalle raccolte archeologiche del ducato nei tanti<br />
viaggiatori, soprattutto stranieri, in visita a Parma tra la fine del Settecento e<br />
i primi decenni del secolo successivo. Oltre a fornire un’interessante panoramica<br />
sulle curiosità, le conoscenze, i gusti artistici di alcuni dei principali<br />
protagonisti del Grand Tour, questa raccolta di fonti <strong>per</strong>mette di meglio valutare<br />
“dall’esterno” e da un punto di vista non tecnico il contributo fornito<br />
dalle indagini veleiati e, più in generale, dalle iniziative archeologiche parmensi<br />
allo studio dell’antico nell’Italia di età neoclassica.<br />
11
Questo studio è frutto di una revisione <strong>della</strong> mia tesi di dottorato in Archeologia Classica<br />
discussa presso l’Università di Pisa nel maggio del 2004.<br />
Desidero innanzitutto esprimere tutta la mia riconoscenza a Lucia Faedo, che mi ha<br />
costantemente seguito, con preziosi consigli, in ogni fase di questo lavoro. Utili suggerimenti<br />
<strong>per</strong> la revisione <strong>della</strong> tesi mi sono venuti anche da Maria Grazia Marzi, cui desidero esprimere<br />
il mio ringraziamento.<br />
Un sentito ringraziamento va anche a Maria Bernabò Brea, direttrice del Museo<br />
Archeologico Nazionale di Parma, <strong>per</strong> la completa disponibilità con cui ha sempre agevolato<br />
le mie ricerche, a Manuela Catarsi Dall’Aglio, Roberta Conversi, Anna Rita Marchi <strong>per</strong> la<br />
sollecita assistenza fornitami durante lo studio del materiale del Museo e in occasione <strong>della</strong><br />
campagna fotografica.<br />
Ancora una volta sono grata a Giovanna Larini <strong>per</strong> avermi in ogni modo aiutata nella consultazione<br />
dei documenti d’archivio.<br />
Questo lavoro è stato anche facilitato dalla cortese e valida collaborazione di Maria<br />
Giovanna Arrigoni Bertini (Università di Parma), Maria Luisa Corsi (Università di Pavia),<br />
Laura De Luca (Galleria d’Arte Moderna, Torino), Fulvia Donati (Università di Pisa),<br />
Isabella Fabbri (IBC Emilia-Romagna), Leonardo Farinelli (Biblioteca Palatina di Parma),<br />
Davide Gasparotto (Soprintendenza PSAD di Parma e Piacenza), Antonella Imolesi<br />
(Biblioteca Comunale, Forlì), Guglielma Manfredi (Accademia di Belle Arti di Parma),<br />
Marina Micozzi (Università <strong>della</strong> Tuscia), Maria Penagini Voghera (Archivio famiglia<br />
Voghera, Verona), Luciano Roncai (Politecnico di Milano), Giustina Scarola (Biblioteca<br />
Palatina di Parma).
Capitolo I<br />
Costa, Caylus, Paciaudi e gli scavi di <strong>Veleia</strong><br />
1. Le campagne del 1760-1763 e la direzione del canonico Costa<br />
«Personne ici n’a la moindre connoissance des découvertes de Velleja. Mettez-nous<br />
au fait, et dites-nous en en gros l’histoire, sans vous donner la peine<br />
d’un menu détail» scriveva da Roma nel luglio del 1760 il padre teatino<br />
Paolo Maria Paciaudi al conte di Caylus 1 . A<strong>per</strong>ti ufficialmente il 14 aprile<br />
di quello stesso anno <strong>per</strong> volere del duca Filippo di Borbone 2 , gli scavi dell’antica<br />
<strong>Veleia</strong> rimasero dunque, <strong>per</strong> i primi mesi di indagini, del tutto sconosciuti<br />
agli ambienti antiquari romani, mentre da Parigi il Caylus aveva<br />
già da tempo potuto informare l’amico sulle novità veleiati e stuzzicare così<br />
la sua curiosità di studioso, tanto che il Paciaudi non mancò di suggerirgli<br />
un’aggiunta nel quarto volume del Recueil, all’epoca ancora in preparazione<br />
3 . Il teatino era ben lontano dall’immaginare che di lì a un anno avrebbe<br />
ottenuto la nomina di antiquario e bibliotecario reale di don Filippo e che<br />
presto si sarebbe trovato a dirigere proprio quegli scavi di cui allora ignorava<br />
<strong>per</strong>sino l’esistenza; sembrava invece convinto che fosse intenzione dell’Infante<br />
affidare all’illustre antiquario francese il compito e l’onore di rendere<br />
pubblici i risultati delle indagini veleiati: «on vous priera d’en donner<br />
l’explication et vous ferez l’honneur à l’Infant, qui ne saurait avoir un Interprète<br />
plus savant, et plus recomandable», scriverà infatti al conte nel<br />
settembre del 1760, dopo aver conosciuto le opinioni in proposito del balì<br />
1 Sérieys 1802, p. 164, lettera del 22 luglio 1760.<br />
2 Montevecchi 1934, p. 557. A <strong>Veleia</strong> i lavori dovettero <strong>per</strong>ò iniziare fin dal mese precedente,<br />
e infatti già a partire dall’11 marzo 1760 si cominciano a registrare le spese relative<br />
agli scavi (Masnovo 1913, p. 101).<br />
3 Il 18 giugno del 1760 il Paciaudi scriveva infatti al Caylus, in risposta alle sue precedenti<br />
informazioni sugli scavi veleiati: «Je me réjoui de la fouille de Velleia, et je me réserve de<br />
voir un jour dans votre quatrième volume ces découvertes nouvelles» (Sérieys 1802, p. 151).<br />
Il quarto volume del Recueil venne pubblicato nel 1761.<br />
13
14<br />
di Breteuil, ambasciatore dei Cavalieri di Malta a Roma, amico del Caylus e<br />
ben inserito nella corte parmense 4 . Non conosciamo le vere intenzioni del<br />
duca, ma è certo che non si lasciò sfuggire l’opportunità di avere una consulenza<br />
scientifica tanto apprezzata e che avrebbe dato lustro e garantito<br />
successo all’impresa. La campagna di scavo venne in un primo momento<br />
condotta sotto la guida del cavaliere Ambrogio Martelli, tesoriere generale<br />
di Piacenza, e solo alcuni mesi più tardi la responsabilità scientifica dello<br />
scavo passerà nelle mani del conte canonico Antonio Costa, un erudito piacentino<br />
che nell’autunno del 1760 otterrà la tanto sospirata nomina di R.<br />
Prefetto e Direttore dei Musei del Ducato: un riconoscimento obbligato<br />
<strong>per</strong> l’appassionato cultore di antichità che era riuscito a salvare da distruzione<br />
sicura il monumento più celebre di tutta <strong>Veleia</strong>, la Tavola Alimentaria<br />
di Traiano, rinvenuta in pezzi nell’area del foro veleiate fin dal 1747. Le<br />
vicende che videro impegnati il Costa e il conte piacentino Giovanni Roncovieri<br />
nel recu<strong>per</strong>o dei vari frammenti <strong>della</strong> lamina, venduti dal parroco<br />
di Macinesso, loro scopritore, e dis<strong>per</strong>si tra le fonderie di Piacenza, Reggio<br />
Emilia, Cremona e Fidenza 5 sono fin troppo note <strong>per</strong> ri<strong>per</strong>correrle qui in<br />
dettaglio. L’interesse storico e archeologico di questo ritrovamento era tale<br />
da polarizzare sul piccolo ducato le attenzioni dei grandi nomi dell’antiquaria<br />
settecentesca, così che alla prima segnalazione del Contucci, del<br />
1748, seguirono subito le pubblicazioni del Muratori e del Maffei (non<br />
senza qualche polemica sulla priorità cronologica delle rispettive edizioni)<br />
e del giurista Antoine Terrasson 6 . L’Infante don Filippo poteva ben ralle-<br />
4 Sérieys 1802, p. 192, lettera del 27 settembre 1760.<br />
5 La storia <strong>della</strong> fortunata sco<strong>per</strong>ta, da parte di Donnino Rapaccioli, parroco di Macinesso,<br />
<strong>della</strong> Tavola Traiana e delle complesse fasi del suo recu<strong>per</strong>o ad o<strong>per</strong>a del Costa e del<br />
Roncovieri è stata, più o meno estesamente, ri<strong>per</strong>corsa da tutti gli editori <strong>della</strong> Tavola e spesso<br />
ricordata negli studi su <strong>Veleia</strong>, a partire dall’o<strong>per</strong>a, rimasta manoscritta, del Costa<br />
(AMANP, ms. 55, Intiera spiegazione <strong>della</strong> lamina traiana). Uno dei primi, e ben documentati,<br />
resoconti dell’intera vicenda si trova in Mariotti 1877, p. 158; vedi anche Tononi 1881,<br />
pp. 122-24; Masnovo 1913, pp. 97-98, nota 1; Criniti 1991, pp. 13-24 e ora soprattutto Albasi<br />
e Magnani 2003, che ricostruiscono con particolare cura documentaria le vicende <strong>della</strong><br />
sco<strong>per</strong>ta e <strong>della</strong> fortuna <strong>della</strong> Tavola fino ad oggi.<br />
6 Il Maffei, in una lettera ad Apostolo Zeno del 1748 (ma artificiosamente datata al novembre<br />
del 1747) aveva infatti pubblicato l’intestazione <strong>della</strong> Tavola, ma il primo a dare<br />
pubblica notizia del rinvenimento dell’iscrizione fu il gesuita Contuccio Contucci, con un articolo<br />
apparso nel Giornale dei Letterati di Roma del 1748 (XIV, pp. 102-04), cui fecero subito<br />
seguito gli studi di Ludovico Antonio Muratori (Muratori 1749), di Scipione Maffei<br />
(Maffei 1749, pp. 381-404) e, distanziato di un solo anno, quello del giurista A. Terrasson<br />
(Histoire de la Jurisprudence Romaine, Paris 1750, app. n. 38, pp. 27-43), che pubblicò la Tavola<br />
come inedita (vedi Mandich 1990, p. 403 e Criniti 1991, pp. 24-30). Sulla pubblicazione<br />
del Maffei e sulla contesa con il Muratori, vedi anche Criniti 2000-2001 e Idem 2001.
grarsi di questa fortunata sco<strong>per</strong>ta, che veniva a ricompensarlo (almeno in<br />
parte) <strong>della</strong> <strong>per</strong>dita del celeberrimo Museo Farnese, portato con sé da Carlo<br />
di Borbone, quando nel 1734 venne eletto re di Napoli, e così, quando si<br />
accese la contesa tra Benedetto XIV e il re di Sardegna, Carlo Emanuele<br />
III di Savoia, <strong>per</strong> il possesso <strong>della</strong> Tavola 7 , decise con energia di far valere i<br />
suoi diritti e assicurare alle raccolte ducali il pezzo che da allora in poi (e<br />
possiamo dire fino ad oggi) ha rappresentato il vanto <strong>della</strong> collezione archeologica<br />
parmense. Il ducato aveva avanzato le proprie richieste di prelazione<br />
fin dal 1748, ma il merito dell’acquisizione <strong>della</strong> Tavola Traiana va interamente<br />
ascritto alla sagacia e all’abilità diplomatica di Guillaume Du<br />
Tillot, che subito dopo la sua nomina a Ministro Segretario di Stato, nel<br />
1759, si incaricò di trattare con i proprietari la cessione del monumento al<br />
Museo di Antichità di Parma, che proprio da esso, come è noto, deve la<br />
sua origine 8 . Il Du Tillot fu il vero e proprio promotore degli scavi di Vele-<br />
7 La documentazione relativa alle trattative intercorse tra i vari aspiranti possessori <strong>della</strong><br />
Tavola è stata pubblicata in Masnovo 1913 e Nasalli Rocca 1924. Fin dal gennaio del 1748<br />
papa Benedetto XIV aveva infatti avanzato la sua richiesta di acquisto <strong>della</strong> Tavola, di proprietà<br />
del Costa e del Roncovieri, ma le pretese (poi presto ritirate in ossequio al pontefice)<br />
del re di Sardegna e soprattutto le esose richieste dei proprietari, e del Costa in particolare,<br />
che cercò sempre di fare <strong>della</strong> Tavola un buon affare, finirono presto <strong>per</strong> disgustare l’animo<br />
del papa, che nell’aprile dello stesso anno chiuse definitivamente ogni trattativa con i due<br />
nobili piacentini: «siamo stati 73 anni senza questa Lamina, staremo ancora con tutta indifferenza<br />
senza la medesima tutto il tempo che piacerà a Dio di tenerci in questo mondo: tanto<br />
più che se il conte Teologo [il Costa] venisse a Roma, gli faressimo vedere di quali statue, di<br />
quali busti, di quali bassorilievi, di quali iscrizioni, di quali lamine abbiamo arricchito il<br />
Campidoglio, ed esso stesso come uomo d’onore e d’intelligenza confesserebbe, che la deficienza<br />
<strong>della</strong> sua Lamina nulla scema il pregio del Campidoglio, in cui, se l’avessimo avuta<br />
l’avressimo collocata» (Masnovo 1913, p. 104). L’evidente stizza e le parole di ripicca con cui<br />
il papa liquida la faccenda fanno capire quanto in realtà avesse desiderato entrare in possesso<br />
<strong>della</strong> Tavola, <strong>per</strong> la quale aveva probabilmente già immaginato un posto d’onore nelle<br />
raccolte capitoline. Le richieste di re di Sardegna, oltre che con gli interessi antiquari e collezionistici<br />
del sovrano (esaminati in S. Pinto, a cura di, Arte di Corte a Torino da Carlo Emanuele<br />
III a Carlo Felice, Torino 1987, in part. pp. 12-64), si sposavano anche con le sue mire<br />
politiche di quegli anni: fino al 1762 il re continuò infatti ad aspirare ai territori di Parma e<br />
Piacenza e ancora nel 1749, quando Filippo di Borbone aveva già preso possesso del ducato<br />
assegnatoli con il Trattato di Aquisgrana, continuò a mantenere le proprie truppe di stanza a<br />
Piacenza; del tutto naturale, quindi, che tentasse l’acquisto <strong>della</strong> Tavola, rinvenuta proprio<br />
in territorio piacentino (<strong>per</strong> l’intera vicenda, vedi anche Criniti 1991, pp. 17-19; Idem 2001,<br />
pp. 391-93 e ora Albasi e Magnani 2003, p. 13).<br />
8 Da una lettera di Benedetto XIV al vescovo di Piacenza, del febbraio 1748, si ricava<br />
infatti che anche il ducato di Parma si era fatto avanti <strong>per</strong> il possesso <strong>della</strong> Tavola Traiana:<br />
«non ci eravamo certamente figurato, che o la corte di Torino o cotesto governo potessero<br />
15
16<br />
ia, una delle iniziative su cui maggiormente puntò <strong>per</strong> il rilancio culturale<br />
del piccolo ducato, prostrato da decenni di incuria e di mal governo, nonché<br />
depredato di gran parte dei suoi tesori artistici <strong>per</strong> mano degli ultimi<br />
Farnese. Il successo e la corretta gestione degli scavi dovevano, nelle intenzioni<br />
del ministro e nelle aspirazioni del duca, confermare la validità del<br />
complesso programma di riforme, di matrice a<strong>per</strong>tamente illuminista, avviato<br />
dal Du Tillot e che fu reso possibile grazie anche al concorso di un<br />
eccezionale team di studiosi stabilitisi a Parma proprio in quegli anni, così<br />
che la prima preoccupazione del ministro, una volta decisa l’esplorazione<br />
dell’antica <strong>Veleia</strong>, fu la scelta dei nomi più adatti a guidare degnamente<br />
l’impresa.<br />
La decisione iniziale di affidare la responsabilità dello scavo ad un direttore<br />
che, <strong>per</strong> sua stessa ammissione, si trovava poco a suo agio con le questioni<br />
<strong>della</strong> storia antica e gli innegabili tentennamenti (e i relativi ritardi)<br />
con cui la corte parmense giunse alla promozione del canonico Costa lasciano<br />
immaginare che il duca, dietro consiglio del ministro, s<strong>per</strong>asse di coinvolgere<br />
nei lavori qualche studioso ben più illustre e rappresentativo del<br />
mediocre e pressoché sconosciuto conte Costa. Le cortesi ma pressanti insistenze<br />
del conte e la scarsa disponibilità del Caylus ad occuparsi in prima<br />
<strong>per</strong>sona delle faccende di <strong>Veleia</strong> finirono, tuttavia, <strong>per</strong> orientare diversamente<br />
le scelte <strong>della</strong> corte. La sco<strong>per</strong>ta, già nell’aprile del 1760, del frammento<br />
<strong>della</strong> cosiddetta Lex de Gallia Cisalpina, costituì <strong>per</strong> il Costa il banco<br />
di prova <strong>per</strong> la sua ammissione alla nomina di Prefetto dei Musei 9 : il Du Tillot,<br />
infatti, gli aveva affidato il compito di redigere uno studio <strong>della</strong> tavola<br />
bronzea e lo zelo e la discreta erudizione con cui il canonico piacentino<br />
avere sopra essa veruna attenzione ...» (Masnovo 1913, p. 103). Il Du Tillot riuscì a convincere<br />
il Costa e il Roncovieri a cedere la Tavola al duca in cambio di un lauto vitalizio e<br />
<strong>della</strong> promessa, <strong>per</strong> il Costa, di un diretto coinvolgimento nelle attività antiquarie del ducato,<br />
promessa presto mantenuta con la nomina del conte canonico a Prefetto e Direttore<br />
dei Musei Ducali. Per la nascita e lo sviluppo del Museo di Antichità di Parma, vedi Marini<br />
Calvani 1979; Eadem, Il ruolo del Museo d’Antichità di Parma dagli scavi borbonici a <strong>Veleia</strong><br />
alle ricerche <strong>della</strong> nascente paletnologia italiana, in C. Morigi Govi e G. Sassatelli (a cura<br />
di), Dalla Stanza delle Antichità al Museo Civico. Storia <strong>della</strong> formazione del Museo Civico<br />
Archeologico di Bologna, Bologna 1984, pp. 483-92; M. Catarsi Dall’Aglio, Il Museo Archeologico<br />
di Parma: origine e progressi, in M. Bernabò Brea e A. Mutti (a cura di), «... Le<br />
terremare si scavano <strong>per</strong> concimare i prati ...». La nascita dell’archeologia preistorica a Parma<br />
nel dibattito culturale <strong>della</strong> seconda metà dell’Ottocento, Parma 1994, pp. 185-88, e infra,<br />
cap. III, § 6.<br />
9 Il Costa venne nominato Prefetto e Direttore dei Musei l’8 ottobre del 1760 (Montevecchi<br />
1934, pp. 558-59).
compilò le sue Osservazioni, conservate ancora manoscritte presso la Biblioteca<br />
Palatina di Parma 10 , e che ebbero la fortuna di incontrare il favore del<br />
sovrano, gli garantirono <strong>per</strong> alcuni anni il controllo scientifico sugli scavi veleiati.<br />
«J’ai été assommé, entre nous, des demandes, questions et doutes del Signor<br />
Conte Canonico. J’ai répondu ce que j’ai pu, car je suis bien éloigné<br />
d’être savant. Mais je lui ai conseillé de s’adresser en droiture à notre Académie»<br />
scriveva nel marzo del 1761 il conte di Caylus all’amico Paciaudi,<br />
ancora residente a Roma 11 . A pochi mesi dall’inizio del suo incarico, il Costa<br />
si era evidentemente trovato in difficoltà a gestire da solo lo scavo di un’intera<br />
città antica, pressoché ignorata dalle fonti e che stava restituendo materiale<br />
di considerevole importanza storica e artistica 12 e così, contravvenendo<br />
alle rigide disposizioni dall’alto, che gli imponevano il più assoluto riserbo<br />
sulle sco<strong>per</strong>te di <strong>Veleia</strong>, cercò di procurarsi la consulenza di antiquari più<br />
es<strong>per</strong>ti.<br />
Grazie all’intermediazione di un fratello benedettino, poté in un primo<br />
momento entrare in contatto con Pier Luigi Galletti, illustre studioso residente<br />
all’epoca nell’abbazia di S. Paolo a Roma e autore di importanti raccolte<br />
di iscrizioni di diverse città e territori italiani 13 : le riconosciute doti<br />
di epigrafista e la nomina a scrittore latino <strong>della</strong> Biblioteca Vaticana del<br />
Galletti, concessagli nel 1758 da Clemente XIII, ne facevano il corrispondente<br />
ideale <strong>per</strong> chi, come il Costa, temeva di trovarsi in difficoltà nella<br />
decifrazione o nell’integrazione delle numerose iscrizioni che continuava-<br />
10 Si tratta delle Osservazioni del Conte Antonio Costa Canonico Teologo <strong>della</strong> Chiesa Piacentina<br />
sopra la lamina dissotterrata in Macinesso il 24 aprile 1760, BPP, Ms. Parm. 1300. Lo<br />
studio del Costa, terminato fin dal luglio del 1760, comprendeva anche la trascrizione e la<br />
traduzione del testo <strong>della</strong> Lex, di cui si sarebbe in seguito servito l’antichista Gian Rinaldo<br />
Carli <strong>per</strong> la sua edizione del testo apparsa nelle Antichità italiche, del 1788 (vedi Nasalli Rocca<br />
1962, p. 66 e p. 72, nota 8 e Brunazzi 1991, in part. pp. 297-304).<br />
11 Nisard 1877, I, p. 255.<br />
12 Fin dal 1760, nell’area del foro, si erano infatti rimessi in luce, oltre alla già ricordata<br />
tavola <strong>della</strong> Lex de Gallia Cisalpina, la testa bronzea di fanciulla (Baebia Basilla ?), la testa, la<br />
mano e parte del panneggio in bronzo dorato <strong>della</strong> statua del cosiddetto Adriano, la statuetta<br />
dell’Eracle bibax con il suo piedistallo iscritto (CIL XI, 1159), oltre a numerose iscrizioni<br />
dedicatorie a diversi im<strong>per</strong>atori.<br />
13 Per un rapido inquadramento biografico del Galletti, vedi Ceresa 1998. Il carteggio tra<br />
il Costa e il Galletti, compreso tra il 1760 e il 1761, è in parte ricostruibile grazie al Copialettere<br />
dello stesso Costa conservato, ancora in gran parte inedito, alla Biblioteca Comunale di<br />
Piacenza (Costa ms. Pallastrelli: su questo manoscritto, vedi Montevecchi 1934, p. 555, n. 26<br />
e pp. 556-68 e Nasalli Rocca 1936, pp. 106-07). Per la collaborazione tra il Costa e il Galletti,<br />
vedi anche Criniti 1997, in part. p. 137 e Albasi e Magnani 2003, pp. 16 e 23.<br />
17<br />
13
18<br />
no ad affiorare sempre più numerose dal terreno dell’antica <strong>Veleia</strong>. Non<br />
appena vennero riportati alla luce i primi frammenti <strong>della</strong> tavola <strong>della</strong> Lex<br />
de Gallia Cisalpina, il Costa si precipitò a chiedere lumi al Galletti, s<strong>per</strong>ando<br />
di barattare qualche preziosa informazione di carattere storico o antiquario<br />
con il privilegio (che in questo modo veniva segretamente concesso<br />
all’erudito romano) di conoscere in anteprima le novità veleiati. A pochi<br />
giorni dall’a<strong>per</strong>tura degli scavi 14 , il canonico già informava il Galletti<br />
<strong>della</strong> «magnificenza d’ornati in marmo orientale», <strong>della</strong> presenza di un acquedotto<br />
«veramente del gusto antico romano», del ritrovamento di numerosi<br />
«idoletti», di numerose iscrizioni in marmo e delle tante «medaglie<br />
di tempi diversi, che cominciano dai tempi di Pompejo e vanno sino alla<br />
metà del quinto secolo» oltre, naturalmente, di quello <strong>della</strong> Lex, descritta<br />
come una «lamina grande <strong>per</strong> verso onzie diecinove nostre e quatordici<br />
<strong>per</strong> l’altro, tutta scritta» e si spingeva <strong>per</strong>sino a trascrivergli il testo di<br />
un’iscrizione funeraria romana, <strong>per</strong> la verità già nota da tempo, ma che il<br />
Costa credette di recentissima sco<strong>per</strong>ta 15 ; il mese successivo gli comunicava<br />
il fortunato ritrovamento dei frammenti <strong>della</strong> statua in bronzo dorato<br />
del cosiddetto Adriano, che il Costa, evidentemente incapace di riconoscere<br />
gli elementi ritrattistici <strong>della</strong> testa e ipotizzando un abbinamento con<br />
il frammento di iscrizione onoraria a un im<strong>per</strong>atore defunto rinvenuta, a<br />
suo dire, poco lontana, interpretò come statua di Giove, e lo informava<br />
14 La prima lettera inviata dal Costa al Galletti è in data 28 aprile 1760. Il 24 dello stesso<br />
mese era stata riportata alla luce la tavola bronzea con il frammento <strong>della</strong> Lex de Gallia Cisalpina.<br />
Per alcune osservazioni sulla corrispondenza Costa-Galletti, vedi anche Montevecchi<br />
1934, pp. 557-59.<br />
15 Si tratta di CIL XI, 1210, trovata a Valese, sui monti piacentini, e già descritta dall’abate<br />
Chiappini al Muratori nel 1739; era questa una delle iscrizioni raccolte nell’ex convento<br />
dei Canonici Lateranensi di S. Agostino a Piacenza, trasferite nel Museo di Antichità di Parma<br />
al principio del XIX secolo (vedi infra cap. III, § 6). Il Costa, quando inviò il testo dell’iscrizione<br />
al Galletti, era appena stato informato <strong>della</strong> “sco<strong>per</strong>ta” e non aveva ancora visto<br />
l’originale.<br />
16 Costa ms. Pallastrelli, lettere al Galletti del 26 e del 29 maggio 1760. Nell’iscrizione<br />
cui fa riferimento il Costa si sarebbero riconosciute le lettere «Divoi» («alli lineamenti ella»<br />
-la testa dell’Adriano – «sembra la testa di un Giove, a confermar la quale mia opinione<br />
giovasi mirabilmente un pezzo di marmo ivi trovato colle lettere DIVOI»). La testa in<br />
bronzo dorato del cosiddetto Adriano (ma in cui si tende oggi a riconoscere i tratti di Antonino<br />
Pio: vedi da ultimo Cavalieri 2003, p. 108) fu rinvenuta in prossimità dell’angolo<br />
nord-orientale del porticato del foro: in base alle relazioni di scavo del 1760, in questa stessa<br />
area si trovava la base con iscrizione in onore di Aureliano, che tuttavia non contiene alcun<br />
riferimento alla divinizzazione dell’im<strong>per</strong>atore e che comunque fu rimessa in luce solo<br />
alla fine di settembre di quell’anno. Non mancano a <strong>Veleia</strong> iscrizioni e titoli onorari conte-
<strong>della</strong> sco<strong>per</strong>ta, ancora in situ, di alcuni pavimenti musivi 16 . Ma siccome<br />
«Pregio degli Eruditi [è] l’instruire e guidare li ciechi», in cambio di tutte<br />
queste informazioni il Costa chiedeva al Galletti di guidarlo nella ricerca<br />
delle fonti antiche che avevano trattato di <strong>Veleia</strong>, di aiutarlo a interpretare<br />
le sigle, spesso <strong>per</strong> lui oscure, delle antiche iscrizioni, e in particolare di<br />
quelle <strong>della</strong> tavola bronzea che aveva appena avuto il compito di studiare,<br />
di fornirgli le «migliori notizie, che avere si possono dell’antichità, <strong>della</strong><br />
ricchezza e dell’estensione <strong>della</strong> Città di Velleja e se trovasi memoria<br />
quando e da chi sia stata piantata, quando e come sia stata tolta dai raggi<br />
del sole» 17 . Non sembra che il Galletti fosse entusiasta di mettere le proprie<br />
conoscenze al servizio del canonico piacentino (e di certo la clandestinità<br />
in cui veniva tenuta questa corrispondenza non devono averne incoraggiato<br />
la continuazione), ma non c’è dubbio che dovette sentirsi stimolato<br />
ad indagare su monumenti così interessanti e del tutto inediti. Fu<br />
dunque grazie ai suoi suggerimenti che il Costa poté integrare correttamente<br />
l’iscrizione dedicatoria del chalcidicum di <strong>Veleia</strong> 18 e sciogliere molte<br />
delle sigle <strong>della</strong> tavola bronzea, nella quale il Galletti, secondo un’interpretazione<br />
molto discussa negli studi successivi, ma di recente rivalutata,<br />
soprattutto nei contributi di carattere storiografico, riconobbe un frammento<br />
<strong>della</strong> Lex Rubria (citata, in effetti, nel testo <strong>della</strong> legge) 19 ; segnalazioni<br />
importanti, <strong>per</strong> lo studio delle epigrafi veleiati, furono poi quelle relative<br />
ai principali corpora di iscrizioni cinque e seicenteschi, segnalazioni<br />
che il Costa avrebbe preferito più mirate e commentate («non basta che<br />
lei si prenda l’incomodo di citarmi i libri, ma è necessario che lei mi dica<br />
sui lumi tolti da questi il di lei sentimento») 20 , cui il Galletti dovette far se-<br />
nenti la scritta «divo» o «divi» (vedi CIL XI, 1164, 1173, 1192), ma tutti furono rinvenuti<br />
in un momento successivo a questa prima menzione del Costa: è possibile che il canonico<br />
abbia effettivamente visto un frammento di iscrizione in onore di qualche im<strong>per</strong>atore divinizzato,<br />
scavato fin dal maggio del 1760 ma in seguito dis<strong>per</strong>so o reinterrato.<br />
17 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Galletti del 28 aprile 1760.<br />
18 CIL XI, 1189 (oggi nell’Antiquarium di <strong>Veleia</strong>). Nel luglio del 1760 il Galletti aveva<br />
infatti suggerito di integrare le lettere “Ba” al nome <strong>della</strong> dedicataria del monumento e<br />
leggere così “Baebia [Ba]silla” (Costa ms. Pallastrelli, lettera al Galletti del 2 luglio<br />
1761).<br />
19 Vedi Laffi 1986, a favore dell’identificazione del frammento veleiate con la Lex Rubria.<br />
La ricchissima bibliografia sulla Lex Rubria, in gran parte giuridica, è discussa in F.J. Bruna,<br />
Lex Rubria, Caesars Regelung für die richterlichen Kompetenzen der Munizipalmagistrate in<br />
Gallia Cisalpina. Text,Übersetzung und Kommentar mit Einleitungen, historischen Anhängen<br />
und Indizes, Leiden 1972, ma vedi ora anche l’aggiornata e completa bibliografia in Criniti<br />
2003.<br />
20 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Galletti del 29 maggio 1760.<br />
19
20<br />
guire la collazione dei manoscritti vaticani di Plinio il Vecchio e di Tito Livio<br />
21 , utilissima <strong>per</strong> meglio interpretare i brani relativi all’antico territorio<br />
veleiate. Il Galletti dovette probabilmente seguire anche la stesura dell’o<strong>per</strong>a<br />
del Costa sulle monete antiche rinvenute a <strong>Veleia</strong>, compilata a partire<br />
dal 1760 e rimasta manoscritta 22 ; ritengo infatti che si riferiscano a<br />
questa impresa i suoi consigli sulla consultazione dei celebri trattati numismatici<br />
del Vaillant e alcuni appunti, non troppo lusinghieri, sullo stile<br />
prolisso e verboso adottato dal Costa 23 , che servirono solo a provocare la<br />
risposta risentita e non priva di orgoglio del canonico: «capisco anch’io<br />
che talvolta si potrebbe tagliar più corto, ma il Principe, <strong>per</strong> di cui commissione<br />
io scrivo, ama di vedere le cose sufficientemente sminuzzate, e<br />
poi si sa che di uomini capaci in questo atto ne ha poco il mondo, di dove<br />
mi pare che sia pur bene di dar gusto a tutti». Piccato <strong>per</strong> queste critiche e<br />
convinto ormai <strong>della</strong> scarsa disponibilità del Galletti a fornirgli quell’aiuto<br />
costante e continuo di cui aveva bisogno, il Costa finirà <strong>per</strong> diradare i suoi<br />
contatti con lo studioso romano, fino ad interrom<strong>per</strong>e ogni rapporto nell’estate<br />
del 1761.<br />
2. Gli scavi di <strong>Veleia</strong> nella corrispondenza Costa-Caylus<br />
Era <strong>per</strong>ò ormai chiaro che gli scavi di <strong>Veleia</strong> necessitavano di una guida più<br />
competente e lo stesso Costa, che non faceva mistero <strong>della</strong> propria ines<strong>per</strong>ienza,<br />
aveva da tempo cominciato a chiedere al ministro un aiuto dall’esterno.<br />
L’abile ministro non <strong>per</strong>se, questa volta, l’occasione di coinvolgere nella<br />
faccenda il conte di Caylus, certo di soddisfare un desiderio di don Filippo<br />
e ben felice di garantire alle imprese archeologiche <strong>della</strong> corte il supporto<br />
del più noto antiquario di Francia. Ecco dunque che il Caylus, fin dall’otto-<br />
21 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Galletti del 2 luglio 1761, in cui il Costa gli confessava<br />
la sua «premura ... di ricevere il favore <strong>della</strong> desiderata colazione dei testi di Plinio e Tito Livio<br />
con codesti codici vaticani».<br />
22 A. Costa, Serie delle medaglie ritrovate fra le rovine dell’antica città dei Veliati,<br />
AMANP, ms. 57.<br />
23 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Galletti del 15 dicembre 1760. La Montevecchi attribuiva<br />
i giudizi del Galletti alle Osservazioni del Costa sulla tavola <strong>della</strong> Lex de Gallia Cisalpina<br />
(Montevecchi 1934, p. 558), ma i riferimenti, presenti in questa lettera, all’o<strong>per</strong>a del Vaillant,<br />
ad alcune monete antiche oggetto di studio da parte del Costa, nonché la stessa data<br />
<strong>della</strong> lettera, scritta molti mesi dopo la consegna ufficiale delle Osservazioni al Du Tillot e al<br />
duca don Filippo, fanno pensare che il Galletti si riferisse proprio allo studio del Costa sulle<br />
monete veleiati.
e del 1760 24 , si trovò nella favorevole condizione di poter seguire, da lontano<br />
e senza incomodi, gli sviluppi di uno scavo di una città fino ad allora<br />
inesplorata e che stava restituendo monumenti di notevole interesse, con la<br />
prospettiva di poter ricavare abbondante materiale <strong>per</strong> i suoi es<strong>per</strong>imenti<br />
sulle tecniche artistiche degli Antichi e, <strong>per</strong>ché no, anche qualche buon pezzo<br />
<strong>per</strong> la sua collezione.<br />
Il cantiere veleiate, soprattutto negli anni <strong>della</strong> direzione Costa, fu <strong>per</strong> il<br />
Caylus una sorta di enorme laboratorio <strong>per</strong> la s<strong>per</strong>imentazione e la verifica<br />
delle ricerche che l’archeologo francese stava all’epoca conducendo su diversi<br />
procedimenti tecnici, tesi a scoprire e a recu<strong>per</strong>are i segreti e i metodi<br />
delle diverse produzioni artistiche dell’antichità. La certezza di godere del<br />
pieno favore <strong>della</strong> corte parmense e le ripetute dimostrazioni di ossequio indirizzategli<br />
dal Costa che, a dispetto del tono fiero e un tantino enfatico con<br />
cui si presentò al conte («sono ... divenuto capo di una illustre città, la quale<br />
da me la sua nuova vita attende»), dimostrò sempre grande fiducia e piena<br />
disponibilità nei confronti del suo illustre corrispondente, gli garantirono<br />
quella libertà d’azione che sino ad allora, in occasione di altri scavi, non gli<br />
era riuscito di ottenere.<br />
«Siccome dite che il vostro particolare studio si è nella Scienza delle arti,<br />
così ho eccitato questi Regi commissari <strong>per</strong>ché mi facciano tenere dei pezzi di<br />
ogni sorta di metallo già dissotterrati ad oggetto di trasmetterveli» gli scriverà<br />
il Costa nel gennaio del 1761 25 : tra i problemi che in quei mesi maggiormente<br />
angustiavano gli antiquari del ducato c’era quello, assai complesso e costoso,<br />
del restauro <strong>della</strong> Tavola Traiana, conservata ancora in frammenti nella dimora<br />
piacentina del conte canonico, cui presto si aggiungeranno i propositi relativi<br />
al restauro <strong>della</strong> tavola legislativa e alla pulitura <strong>della</strong> testa e degli altri<br />
frammenti <strong>della</strong> statua colossale in bronzo dorato, rinvenuti nel corso dei primi<br />
mesi di scavo. Fin dall’autunno del 1761 il Costa si era attivato <strong>per</strong> presentare<br />
al ministro i progetti di intervento <strong>per</strong> le due tavole bronzee, incaricando<br />
del lavoro il restauratore Giuseppe Filiberti, che almeno fino alla primavera<br />
del 1762 tenterà di conciliare le difficoltà e le spese richieste da questa impresa<br />
con i modesti compensi offerti dalla corte. Per il restauro <strong>della</strong> Tavola Tra-<br />
24 Con una lettera del 27 ottobre 1760 il Costa ringraziava infatti il Du Tillot <strong>per</strong> avergli<br />
procurato la corrispondenza del conte di Caylus (Costa ms. Pallastrelli; vedi anche Montevecchi<br />
1934, p. 559). Dell’importanza, nello studio del metodo scientifico del Caylus, <strong>della</strong><br />
corrispondenza tra l’antiquario e il Costa, sinora piuttosto trascurata, fa cenno anche Raspi<br />
Serra 1993, p. 96, nota 35. Su Anne-Claude-Philippe de Tubières, conte di Caylus, ancora<br />
fondamentale rimane Rocheblave 1889, ma vedi ora anche Aghion 2002; singoli studi sul<br />
metodo di ricerca inaugurato dal Caylus si trovano in Guillerme 1983, Ridley 1992 e<br />
Schnapp 1998.<br />
25 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Caylus del 15 gennaio 1761.<br />
21
22<br />
iana il Filiberti riteneva indispensabile «formare una lamina <strong>della</strong> stessa grandezza<br />
alquanto più grossa, fatta la quale con spesse e replicate viti commettere<br />
li frammenti dell’antica colla nuova», progetto sostenuto anche dal Costa,<br />
fiducioso di potere ottenere così una tavola «<strong>per</strong>fettamente ricompaginata»,<br />
senza incorrere nel <strong>per</strong>icolo di rovinare la patina antica del bronzo. Il preventivo<br />
di spesa di cento gigliati non piacque affatto al duca e così il restauratore<br />
cercò di ripiegare su un progetto meno ambizioso, consistente in una «intelleratura»<br />
da applicare sul retro <strong>della</strong> Tavola e appositamente disegnata <strong>per</strong> saldare<br />
i punti di frattura più critici, quelli cioè dove il testo doveva nuovamente<br />
combaciare26 . È noto che nessuno di questi progetti andò all’epoca in porto e<br />
che <strong>per</strong> molto tempo le due tavole bronzee rimasero prive di un vero restauro<br />
conservativo: un colpo decisivo alle aspirazioni del Filiberti venne proprio<br />
dal Caylus, acceso sostenitore <strong>della</strong> necessità di lasciare il bronzo così com’era,<br />
senza avventurarsi in alcun intervento di restauro. «Sull’articolo dell’insaldatura<br />
<strong>della</strong> Tavola Traiana – scriveva infatti da Parigi il padre Paciaudi<br />
al Du Tillot nel maggio del 1762 – 27 ho voluto consultare il Maestro delle Arti,<br />
il conte di Caylus. Ecco la sua risposta originale: je croirois à tout hasard que<br />
le morceau subsistant, et pouvant subsister il ne faut point y toucher. Io egualmente<br />
stimo – continuava il Paciaudi – che non bisogna arrischiare di <strong>per</strong>dere<br />
un così prezioso monumento, mettendolo nelle mani di un artefice che<br />
promette molto e che non ha data alcuna prova <strong>della</strong> sua abilità in questo genere<br />
di lavori. Il metter la tavola al fuoco <strong>per</strong> raddrizzare la curvatura, il batterla<br />
sull’incudine sono due o<strong>per</strong>azioni egualmente <strong>per</strong>icolose». Un paio di<br />
anni più tardi, quando aveva ormai sostituito il Costa nella direzione degli<br />
scavi veleiati, il Paciaudi volle tentare un nuovo es<strong>per</strong>imento, avvalendosi <strong>della</strong><br />
competenza di un restauratore di sua fiducia, residente a Napoli, ma anche<br />
in questo caso l’opinione del Caylus rimase immutata:<br />
On ne peut consulter de loin sur la manière de restaurer un bronze. Après<br />
l’avoir bien vu et bien examiné, on est quelquefois étonné du parti que l’on<br />
prend. Vous êtes trop heureux d’avoir à Naples un homme intelligent en cette<br />
matière, et assez connu pour qu’on n’ait rien à vous reprocher, si par hasard<br />
il ne réussissait pas; mais je regarde cela comme impossible. [...] Des<br />
morceaux de cette nature font trembler. L’inégalité première, l’inégalité des<br />
rouilles et par leur nature rendent ces ouvrages d’une délicatesse extrême28 .<br />
26 Il Costa parlò del Filiberti al Du Tillot fin dall’ottobre del 1760; i progetti di restauro<br />
<strong>della</strong> Tavola sono discussi in alcune lettere al ministro dell’aprile del 1762 (Costa ms.<br />
Pallastrelli).<br />
27 Paciaudi ms. 1586, lettera al Du Tillot del 10 maggio 1762, ff. 100-100v: il giudizio del<br />
Caylus è scritto, di suo pugno, su un biglietto unito a questa stessa lettera.<br />
28 Nisard 1877, II, pp. 6-7, lettera del Caylus al Paciaudi del 20 maggio 1764.
Gli es<strong>per</strong>imenti e lo studio attento delle o<strong>per</strong>e del de Réaumur sulle leghe<br />
e le tecniche di fusione dei metalli (nel 1722 era apparso a Parigi L’art<br />
de convertir le fer forgé en acier et l’art d’adoucir le fer fondu) facevano del<br />
conte un consulente ben informato, che dall’es<strong>per</strong>ienza veleiate, come vedremo,<br />
avrebbe tratto nuove e utili competenze tecniche.<br />
Tra i pezzi di metallo inviati dal Costa al Caylus, accanto a qualche campione<br />
delle due iscrizioni bronzee, si trovavano anche alcuni frammenti atti<br />
a dimostrare un curioso fenomeno naturale osservato negli scavi di <strong>Veleia</strong> e<br />
<strong>per</strong> il quale il Costa chiedeva lumi al conte: a detta del canonico il bronzo,<br />
appena estratto dalla terra, si presentava decisamente «pastoso e duttile»,<br />
mentre a contatto con l’aria sembrava riacquistare la sua naturale durezza 29 .<br />
Il fenomeno, provocato secondo il Caylus dallo spesso strato di verderame<br />
che ricopriva, ancora umido e dunque pastoso, i frammenti di bronzo al<br />
momento dello scavo 30 , non dovette stuzzicare più di tanto la curiosità dell’antiquario<br />
francese, ma l’episodio servì probabilmente a convincerlo <strong>della</strong><br />
su<strong>per</strong>ficialità con cui il Costa seguiva i lavori, ora che appariva con tutta<br />
chiarezza l’assenza di un esame autoptico del fenomeno e, più in generale,<br />
l’indifferenza del canonico verso un controllo diretto e <strong>per</strong>sonale del cantiere<br />
(il Costa non mise piede a <strong>Veleia</strong> prima del settembre del 1761, in occasione<br />
<strong>della</strong> visita ufficiale alle rovine fatta da Filippo di Borbone e dal suo<br />
seguito): «circa la duttilità divisata del metallo allorché è tratto di terra, e<br />
che poi prende esposto all’aria la naturale sua consistenza e durezza, l’avete<br />
indovinata col supporre che io non ne sia testimonio di vista» scriverà, un<br />
po’ mortificato, il nostro canonico al Caylus, assicurandogli che avrebbe seguito<br />
il suo consiglio di trasferirsi al più presto «sulla faccia del luogo [<strong>per</strong>]<br />
fare le più minute osservazioni» 31 , ma non c’è dubbio che dopo questo episodio<br />
la fiducia sulle metodologie d’indagine adottate dal Costa ne uscisse<br />
decisamente compromessa.<br />
Un invio più azzeccato si rivelò quello (suggerito dal Du Tillot) di alcuni<br />
frammenti <strong>della</strong> statua in bronzo dorato proveniente dall’area del foro, uno<br />
dei ritrovamenti più pregevoli ma tra i più bisognosi di un immediato inter-<br />
29 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Caylus del 22 giugno 1761: «il bronzo nell’atto d’esser<br />
disotterrato trovasi <strong>per</strong> lo più pastoso e duttile a modo che si piega con tutta facilità, e che<br />
poi esposto <strong>per</strong> qualche poco all’aria ripiglia la sua durezza naturale». Anche il ministro Du<br />
Tillot volle chiedere spiegazioni di questo curioso fenomeno al Costa, che finì <strong>per</strong> confessare<br />
la sua sostanziale ignoranza dei fatti (Costa ms. Pallastrelli, lettera al Du Tillot del 3 agosto<br />
1761). Su questo episodio, vedi anche D’Andria 1970, pp. 5-6.<br />
30 L’opinione del Caylus si ricava dalla lettera di risposta del Costa (Costa ms. Pallastrelli,<br />
lettera del 6 agosto 1761).<br />
31 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Caylus del 6 agosto 1761.<br />
23
24<br />
vento conservativo. Il solito Filiberti si era di nuovo fatto avanti e il Costa,<br />
allo scopo di verificare le capacità tecniche del restauratore, aveva richiesto<br />
da <strong>Veleia</strong> alcuni pezzi di metallo dorato «e del più co<strong>per</strong>to di verderame» 32 ,<br />
ma questa volta le difficoltà del restauro dovettero stuzzicare l’ingegnosità<br />
del Caylus, che pensò di approfittare del bronzo veleiate <strong>per</strong> compiere qualche<br />
nuovo es<strong>per</strong>imento di pulitura 33 .<br />
Le lettere del Costa costituiscono un’importante fonte di informazione<br />
sugli interessi e sui progetti di ricerca che impegnavano all’epoca il conte di<br />
Caylus: <strong>per</strong> alcuni anni, infatti, gli scavi di <strong>Veleia</strong> gli procurarono la materia<br />
prima utile a verificare l’efficacia di alcuni es<strong>per</strong>imenti sulle antiche tecniche<br />
di produzione di alcuni rivestimenti ceramici, sulla fabbricazione dei vetri<br />
e molto altro ancora. In modo un po’ confuso e senza un ordine apparente,<br />
ma nel chiaro intento di soddisfare le continue richieste dell’antiquario,<br />
il Costa continuò <strong>per</strong> mesi ad inviare a Parigi cassette colme di frammenti<br />
di ogni genere di antichità, vetri, marmi, terracotte, ceramiche, metalli,<br />
frammenti di intonaco, campioni di ossa e <strong>per</strong>sino alcune curiosità naturali,<br />
come la volta in cui spedì un becco d’uccello, «essendo meglio mandare<br />
più cose che meno» 34 . Sappiamo così che la curiosità del conte si indirizzava<br />
verso «quelle ossa che hanno preso il turchino» e su alcuni vetri rinvenuti<br />
a <strong>Veleia</strong>, probabilmente su quelli policromi, dal momento che il Costa<br />
si premurò di fargli avere alcuni frammenti trovati durante la prima campagna<br />
di scavo. Il canonico ben sapeva che i campioni di vetro e di terracotta<br />
che il conte gli richiedeva con insistenza servivano «<strong>per</strong> diluciare certi punti<br />
fisici» ai quali avrebbero «dato moto» proprio i primi esemplari veleiati inviati<br />
a Parigi 35 .<br />
32 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Martelli del 29 ottobre 1761.<br />
33 Scriveva infatti il Costa al Caylus nel gennaio del 1761: «Poiché <strong>per</strong>ò il prelodato sig.<br />
Ministro mi disse che se aveste avuto un altro frammento di metallo dorato di cui eravi una<br />
statua colossea, ed abbiamo la testa, una mano e parte del paneggimento, aveste fatta una<br />
es<strong>per</strong>ienza <strong>per</strong> ridurlo netto e pulito, e <strong>per</strong> scoprire tutta l’indoratura, <strong>per</strong>ciò sotto il n. 13 ve<br />
lo spedisco, s<strong>per</strong>ando che in seguito abbiate la bontà di comunicarmi la maniera con cui ridurre<br />
a si desiderabil stato le riferite parti di detta statua».<br />
34 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Nicelli del 19 settembre 1761. Il Costa inviò, tra le altre<br />
cose, al Caylus alcuni frammenti di vetro «con sopra una patina che non gli toglie il diafano»,<br />
«ossa di morti altri impietriti, altri tostati, uno spezzo di dente, diversi frammenti di vetro a<br />
più colori, uno spezzo d’intonacatura di calce colorita, come erano <strong>per</strong> lo più quei muri ove<br />
<strong>per</strong> intonacarli non si sia fatt’uso di marmi, del marmo bianco con sopra una grossa vernice o<br />
sia colla, e diversi minuzzami di vasi unguentari» e infine un frammento di madre<strong>per</strong>la e molti<br />
cocci di ceramica invetriata (lettere al Caylus del 22 giugno, 2 luglio e 3 dicembre 1761).<br />
35 Vedi le lettere al Du Tillot del 22 giugno 1761 e al Nicelli del 19 settembre 1761.
Nel corso del 1761 le energie del Caylus furono in gran parte assorbite<br />
dallo studio dei numerosi frammenti di ceramica provenienti dagli scavi veleiati:<br />
si trattava <strong>per</strong> lo più di ceramica ingobbiata o con vernici o invetriatura<br />
di colore rossiccio, bianco, verde e turchino, <strong>per</strong>tinenti con ogni probabilità<br />
agli strati su<strong>per</strong>ficiali dello scavo e che tuttavia, in virtù <strong>della</strong> presenza<br />
dei diversi tipi di rivestimento, divennero agli occhi del conte un interessantissimo<br />
materiale d’indagine. Ciò che più gli stava a cuore – secondo le parole<br />
del Costa – era infatti di avere «di quella terra che ha una lucidissima<br />
increstatura pure turchina, e di qualunque altra terra o vetro con sopra vernice,<br />
o smalto o vetriatura» 36 , anche se la sua preferenza andava verso la<br />
«terra di color bleu», di cui fece fare ricerche accuratissime ai commissari<br />
degli scavi, affinché non ne trascurassero neppure il più piccolo frammento.<br />
Solo un paio di anni prima il Caylus, stimolato da alcune copie moderne<br />
possedute dal cardinale Albani, aveva condotto degli es<strong>per</strong>imenti <strong>per</strong> scoprire<br />
la tecnica antica di fabbricazione dei vetri di color blu e ne aveva dato<br />
notizia nel terzo volume del suo Recueil 37 : è comprensibile, dunque, che<br />
cercasse ora di approfittare dello scavo veleiate <strong>per</strong> esaminare nel dettaglio<br />
il maggior numero di frammenti di invetriatura di quel colore e <strong>per</strong>fezionare<br />
così le sue ricerche. Incalzato dal ministro, che ci teneva a coltivare i rapporti<br />
con la Francia e non voleva <strong>per</strong>dere la preziosa consulenza del Caylus,<br />
il Costa finì <strong>per</strong> mandare a Parigi molti, e forse troppi, re<strong>per</strong>ti veleiati, e anche<br />
se le cassette si riempivano <strong>per</strong> lo più di «spezzi» di terracotta, di qualche<br />
irriconoscibile «minuzzame», di modesti frammenti di metallo, al canonico<br />
non sfuggì il <strong>per</strong>icolo di dis<strong>per</strong>dere tutte quelle antichità e qualche volta,<br />
con pregevole risolutezza, tentò di impedire la suddivisione dei re<strong>per</strong>ti:<br />
temendo di avere spedito oltralpe qualche elemento utile alla ricomposizione<br />
di un recipiente ceramico («pur troppo io dubito di aver mandato qualche<br />
pezzo a Parigi che appartenesse ad un tal recipiente»), si oppose alla dis<strong>per</strong>sione<br />
degli altri frammenti <strong>per</strong>tinenti allo stesso vaso, incurante delle<br />
proteste del Du Tillot, che lo spingeva invece a trasmettere il tutto al<br />
Caylus 38 . Gli es<strong>per</strong>imenti del conte si estesero presto ad ogni classe ceramica<br />
36 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Nicelli del 19 settembre 1761.<br />
37 Caylus Recueil, III, pp. 303-03; già nel I volume del Recueil (pp. 293-310) il Caylus<br />
aveva presentato i risultati di alcune indagini chimiche condotte su alcuni frammenti di vetri<br />
policromi. Vedi anche la corrispondenza con il Paciaudi, in cui lo informa sul risultato dei<br />
suoi es<strong>per</strong>imenti (Nisard 1877, I, pp. 70-71). Sull’interesse del Caylus <strong>per</strong> le tecniche di lavorazione<br />
del vetro nel mondo romano, con particolare attenzione <strong>per</strong> il vetro “millefiori” e il<br />
vetro-cammeo, vedi Aghion 2002, in part. pp. 83-84 e 91.<br />
38 Vedi le lettere al Martelli del 5 agosto e al Du Tillot del 6 agosto 1761.<br />
25
2<br />
26<br />
proveniente da <strong>Veleia</strong>, tanto che il Costa gli fece arrivare ogni «spezzo di<br />
terra cotta sottile figurata», e un «pezzo di maiolica verdastra con mascaronzino<br />
improntato», avendo saputo dal conte che «quantunque quella maiolica,<br />
o vogliam dire terra con vitriatura di color turchino sia forse la più<br />
preziosa e la più nobile, nulla di meno <strong>per</strong> iscoprire quel vero di cui va in<br />
cerca colle sue es<strong>per</strong>ienze, ogni sorta di maiolica serve al caso» 39 . È facile<br />
immaginare con quale impazienza il Caylus, fedele al principio <strong>della</strong> necessità<br />
di rendere pubblici, in tempi rapidi e con strumenti di facile accessibilità,<br />
i risultati delle proprie indagini scientifiche, desiderasse ormai, dopo tanto<br />
s<strong>per</strong>imentare, tirare le somme del suo lavoro e dare alle stampe le novità sui<br />
re<strong>per</strong>ti veleiati, ma il Costa, che stava all’epoca completando la sua Raccolta<br />
dei Monumenti di Antichità, vide l’opportunità di unire il suo nome a quello,<br />
ben più prestigioso, dell’antiquario francese, proponendo al ministro un<br />
progetto editoriale che avrebbe anche scongiurato il <strong>per</strong>icolo di cedere all’o<strong>per</strong>a<br />
del Caylus la priorità dell’imprimatur: «sarebbe desiderabile che<br />
questo erudito Cavaliere – scriverà infatti al Du Tillot – unisse quanto ha già<br />
scritto, ed è <strong>per</strong> scrivere, a proposito delle terraglie ritrovate fra le rovine di<br />
Velleja, <strong>per</strong> poterne in seguito farne la pubblicazione allorché si stam<strong>per</strong>à il<br />
primo tomo, nel qual caso mi farei il preciso impegno di parlarne a parte<br />
nella mia prefazione» 40 . Era dunque intenzione del Caylus, dopo oltre un<br />
anno di corrispondenza con la corte parmense, pubblicare uno studio sulla<br />
ceramica di <strong>Veleia</strong>, ma a parte alcune note edite, con una tavola illustrativa,<br />
nel VI tomo del Recueil, non mi risulta che questo progetto sia mai andato<br />
in porto 41 .<br />
L’intervento del Caylus negli scavi veleiati non fu, tuttavia, privo di conseguenze<br />
immediate: in seguito al suo insegnamento ci si sforzò di condurre<br />
indagini più accurate e minuziose, si comprese l’importanza di non trascurare<br />
il benché minimo re<strong>per</strong>to, si attribuì più valore ai rapporti topografici e<br />
alle provenienze dei singoli oggetti; il Costa si preoccupò di dare indicazioni<br />
<strong>per</strong>ché nella delineazione <strong>della</strong> pianta degli scavi venissero «segnati minutamente<br />
gli siti de capi che si anderanno trovando di mano in mano» e il Martelli<br />
poté assicurare al Caylus che «alle esattissime diligenze usate sin qui in<br />
tenendo conto di ogni qualunque minuzzame, vi aggiungerà sempre più<br />
nuove maggiori premure tendenti a mettere in mano del prelodato sig. Con-<br />
39 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Martelli del 29 ottobre 1761.<br />
40 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Du Tillot del 7 dicembre 1761.<br />
41 È possibile che la mancata pubblicazione dell’o<strong>per</strong>a del Costa, rimasta fino ad oggi<br />
manoscritta (vedi infra cap. II), abbia fatto naufragare anche il progetto di edizione del saggio<br />
sulle ceramiche veleiati che il Caylus stava all’epoca preparando. La tavola con i frammenti<br />
di ceramica veleiate è pubblicata in Caylus Recueil, VI, pp. 319-22, tav. CII.
te quanto può servire <strong>per</strong> illustrare la storia di queste nostre sco<strong>per</strong>te e <strong>per</strong><br />
mettere in veduta alcuni punti <strong>della</strong> naturale storia non <strong>per</strong> anco esaminati e<br />
discussi» 42 . Principale eredità lasciata infatti dal Caylus agli scavi di <strong>Veleia</strong><br />
rimase il suo infaticabile impegno <strong>per</strong> il recu<strong>per</strong>o e la valorizzazione di ogni<br />
testimonianza di cultura materiale (un concetto del tutto nuovo, e non solo<br />
alla corte di Parma), unita alla fondamentale o<strong>per</strong>a di trasmissione di metodologie<br />
nuove, basate sulla visione diretta e sul confronto dei re<strong>per</strong>ti, che il<br />
conte insegnò a misurare, descrivere e disegnare correttamente. Poco importa<br />
che ben pochi (o forse nessuno) dei responsabili dello scavo fossero in<br />
grado di capire tutte le implicazioni ideologiche, e non solo pratiche, di<br />
questo nuovo metodo di indagine; certo è che riuscirono a <strong>per</strong>cepirne la<br />
portata innovativa e a vederne, sul campo, i vantaggi, tanto da farne uno dei<br />
punti di forza del cantiere veleiate: «tutto il mondo letterario – scriveva il<br />
Costa al Du Tillot – avrà all’E.V. anche questa obbligazione <strong>per</strong> avere sì avvedutamente<br />
impegnata l’erudizione del sig. Conte de Caylus a somministrarci<br />
dei lumi senza dei quali certi capi o non si sarebbero curati o non se<br />
ne sarebbe saputo la loro rilevanza, come è accaduto sin qui <strong>per</strong> riguardo alle<br />
sco<strong>per</strong>te fatte sia in Roma sia in Ercolano» 43 . <strong>Veleia</strong> dunque, se non riusciva<br />
a su<strong>per</strong>are Roma ed Ercolano <strong>per</strong> quantità di ritrovamenti e <strong>per</strong> ricchezza<br />
di tesori artistici, era <strong>per</strong>ò (almeno nella propaganda ducale) il cantiere<br />
di scavo più all’avanguardia e meglio attrezzato nelle metodologie di ricerca.<br />
Mentre a <strong>Veleia</strong> si susseguivano le sco<strong>per</strong>te, il Costa rimaneva a Piacenza<br />
intento a completare lo studio sulla tavola <strong>della</strong> Lex e a rendere presentabile,<br />
e scientificamente accettabile, il resoconto sugli scavi, che Filippo di Borbone<br />
e il suo primo ministro intendevano pubblicare al più presto. Ciò che<br />
più angustiava il Costa (e che confuse anche altri antiquari del tempo) era la<br />
difficoltà a dare un nome alla città che si andava scoprendo, tanto che nel<br />
dare un titolo al suo studio sulla “lamina legale”, preferì fare riferimento al<br />
nome moderno del sito: pur non digiuno di conoscenze di storia antica e di<br />
questioni filologiche, il canonico si era evidentemente trovato in difficoltà<br />
ad orientarsi tra le diverse fonti, greche e latine, che avevano fatto menzione<br />
dell’antica <strong>Veleia</strong>, così che non sapeva risolversi se bisognava chiamarla Velia,<br />
<strong>Veleia</strong> o addirittura Elea. La corrispondenza con il Galletti, come abbiamo<br />
visto, non gli aveva procurato l’aiuto s<strong>per</strong>ato e neppure le collazioni dei<br />
codici vaticani di Livio e di Plinio il Vecchio procurategli dal monaco roma-<br />
42 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Du Tillot del 21 settembre 1761.<br />
43 Costa ms. Pallastrelli, lettere al Martelli del 18 maggio 1761 e al Du Tillot del 21 settembre<br />
1761.<br />
27
28<br />
no lo avevano facilitato a sciogliere i suoi dubbi. Il Costa confidava ora che,<br />
in considerazione delle tante premure e di tutto il materiale inviato a Parigi<br />
<strong>per</strong> favorirlo nei suoi es<strong>per</strong>imenti, il Caylus lo aiutasse a interpretare la Lex<br />
e a districarsi nella complicata matassa delle testimonianze letterarie. Fin<br />
dall’ottobre del 1760 aveva inviato a Parigi una copia dell’iscrizione bronzea,<br />
così da conoscere l’opinione del conte sulle sue Osservazioni, e in particolare<br />
sulla lettura da lui avanzata di certe sigle presenti nel testo. A parte<br />
alcune probabili obiezioni di tipo storico, come quella relativa alla posizione<br />
giuridica e amministrativa di Modena nei confronti di <strong>Veleia</strong>, che costrinsero<br />
il Costa a chiarire le sue posizioni («non è mai stata mia opinione di credere<br />
Modena dipendente oninamente da <strong>Veleia</strong>, ma bensì di non sa<strong>per</strong>mi<br />
neppure <strong>per</strong>suadere che quella su di questa avesse giurisdizione, sebbene<br />
nella Lamina Modena vi sia nominata <strong>per</strong> ben quattro volte» 44 ), il Caylus,<br />
come già il Galletti, non dovette spendere troppo tempo dietro a questioni<br />
di tal genere, che lo interessavano assai meno dei suoi es<strong>per</strong>imenti e che di<br />
certo lo trovavano più impreparato. «Li due autori indicatimi dal sig. Conte<br />
[Plinio il Vecchio e Flegonte di Tralles] non bastano al certo <strong>per</strong> assicurare<br />
che la città di cui andiam scoprendo le rovine sia quella <strong>della</strong> quale essi parlarono»<br />
protesterà, a propria difesa, il Costa in risposta alle incalzanti richieste<br />
del Du Tillot di completare il primo volume sugli scavi veleiati, giungendo<br />
<strong>per</strong>sino a scrivere <strong>per</strong>sonalmente al conte <strong>per</strong> spingerlo a dirgli «il<br />
suo sentimento ... sul punto del nome che abbiasi a dare a queste nuove sco<strong>per</strong>te»<br />
45 .<br />
Fu a questo punto che, pressato dai continui questiti provenienti da Piacenza,<br />
il Caylus finì <strong>per</strong> indirizzare il canonico alle cure dei savants dell’Académie<br />
e incominciò seriamente a pensare di abbandonare l’incarico di consulente<br />
degli scavi veleiati, che il duca aveva voluto concedere a lui solo.<br />
Dalla corrispondenza del Costa veniamo a sa<strong>per</strong>e che fin dall’autunno del<br />
1760 il Du Tillot meditava di allargare la consulenza sugli scavi veleiati al<br />
Barthélemy e al teatino Paolo Maria Paciaudi 46 , due tra i più illustri nomi<br />
44 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Du Tillot del 5 gennaio 1761. La Lex indica Modena<br />
come sede del praefectus <strong>della</strong> Gallia Cisalpina (la discussione sarà ripresa in De Lama 1818,<br />
p. 19).<br />
45 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Du Tillot del 15 gennaio 1761.<br />
46 Alla fine di ottobre del 1760 il Costa ricordava infatti al Du Tillot la promessa di procurargli<br />
«la già divisatemi corrispondenza dell’abate Bartolomeo e del padre Pacciani [sic]<br />
Teatino» (Costa ms. Pallastrelli, lettera al Du Tillot del 27 ottobre 1760). Sugli interessi antiquari<br />
del Paciaudi, futuro antiquario ducale, vedi Nisard 1877, I (con lunga introduzione sul<br />
Paciaudi); Nasalli Rocca 1967, pp. 79-82; Burgio 1981; Farinelli 1985; Mutti 1993; Pelagatti<br />
1995.
dell’antiquaria settecentesca, legati da uno stretto rapporto di stima e di<br />
amicizia con il Caylus, che di certo ebbe una parte considerevole in questa<br />
scelta.<br />
L’abate Barthélemy, il celebre direttore del gabinetto numismatico del<br />
re di Francia, aveva appena consegnato alle stampe la sua dissertazione<br />
sul mosaico nilotico di Palestrina, un’o<strong>per</strong>a che lo aveva impegnato <strong>per</strong><br />
quasi due anni e che aveva notevolmente accresciuto la sua fama di studioso<br />
nell’ambiente antiquario romano: purtroppo <strong>per</strong> il ministro parmense,<br />
l’abate non dovette mostrare altrettanto interesse <strong>per</strong> le antichità<br />
del ducato e anche se l’amicizia che da alcuni anni lo legava al Paciaudi<br />
finirà col tempo <strong>per</strong> risvegliare in lui qualche nota di curiosità <strong>per</strong> le sco<strong>per</strong>te<br />
veleiati, il suo rifiuto a servire i desideri di don Filippo dovette essere<br />
deciso e categorico. Ben più fortunato, come è noto, si rivelò il tentativo<br />
presso il Paciaudi, destinato a diventare uno dei principali scopritori<br />
di <strong>Veleia</strong>.<br />
3. Gli scavi di <strong>Veleia</strong> nella corrispondenza Paciaudi-Caylus<br />
Per tramite del balì di Breteuil, comune amico del Caylus e del Du Tillot,<br />
l’antiquario francese era riuscito a tessere presso il ministro del ducato le lodi<br />
del teatino e a presentarlo come il miglior candidato nella direzione <strong>della</strong><br />
campagna veleiate. Il Paciaudi era ben consapevole di questo favore, ma<br />
non altrettanto contento di lasciare Roma <strong>per</strong> finire i propri giorni a Parma<br />
47 , come confiderà, in un momento di sconforto, all’amico a Parigi: diciamo,<br />
piuttosto, che si decise ad accettare l’incarico lusingato dalle attenzioni<br />
del sovrano e spinto dalle affettuose e (come vedremo) non del tutto disinteressate<br />
premure del conte 48 .<br />
47 Sérieys 1802, p. 252. In una lettera al Caylus dell’8 ottobre 1760 il Paciaudi, riferendogli<br />
<strong>della</strong> visita del balì di Breteuil al Du Tillot, ringraziava l’amico <strong>per</strong> aver contribuito ad accrescere<br />
la sua buona opinione presso il ministro <strong>della</strong> corte parmense (Sérieys 1802, pp.<br />
198-99).<br />
48 Alla fine di agosto del 1761, valutando i benefici (non solo economici) del suo futuro<br />
impiego presso il duca di Parma, il Paciaudi scrisse da Napoli all’amico Caylus: «je serai libre<br />
et maître de ma volonté; je pourrai vivre en philosophe tranquille; c’est la meilleure chose<br />
du monde. Velleja, par son antiquité, me procurera une étude agréable; je pourrai faire<br />
quelque ouvrage pour l’infant, s’il le veut. Si on laisse cette commission au chanoine Costa,<br />
j’ai plusieurs livres entalés que je pourrai achever quand j’en aurai l’envie» (Sérieys 1802, p.<br />
257, lettera del 29 agosto 1761).<br />
29
30<br />
Ritratto di Paolo Maria Paciaudi.
La corrispondenza tra il Caylus e il padre Paciaudi, destinata a trasformarsi<br />
in un vero e proprio sodalizio scientifico e in una sincera amicizia,<br />
aveva avuto inizio nella primavera del 1757 e non si interrom<strong>per</strong>à (se non<br />
<strong>per</strong> i mesi che il Paciaudi trascorse a Parigi) che alla morte del conte, sopraggiunta<br />
nel settembre del 1765. I due epistolari, editi già nel corso del<br />
XIX secolo, non solo ci forniscono, come è noto, preziosissime informazioni<br />
sui rapporti <strong>per</strong>sonali e di lavoro tra i due antiquari, ma in generale documentano<br />
uno spaccato quanto mai vivace e articolato delle principali imprese<br />
archeologiche, editoriali, collezionistiche <strong>della</strong> seconda metà del secolo,<br />
facendoci conoscere da vicino mercanti, falsari, antiquari, appassionati e curiosi<br />
che si affaccendavano, in un modo o nell’altro, intorno al commercio e<br />
allo studio delle antichità.<br />
Il Paciaudi era stato incaricato dal Caylus di procurargli il materiale archeologico<br />
adatto ad incrementare i volumi del suo Recueil ed effettivamente<br />
a partire dal terzo volume buona parte degli oggetti pubblicati saranno il<br />
risultato delle attente ricerche del teatino, facilitato nel suo compito dalla<br />
precedente attività di predicatore, che <strong>per</strong> dieci anni lo aveva messo in contatto<br />
con diverse realtà (anche di carattere archeologico e antiquario) in tutta<br />
Italia, ma soprattutto dalla ramificata rete di rapporti con religiosi del suo<br />
stesso ordine che, soprattutto in Sicilia e a Taranto, riuscirono a procurargli<br />
alcuni re<strong>per</strong>ti greci o magnogreci, ricercatissimi dal Caylus sempre alle prese<br />
con la difficoltà di riempire questa classe di materiali 49 . «Vous avez l’intelligence<br />
fine et les bras longs...» gli scrisse nel febbraio del 1763 il Caylus 50 ,<br />
ed effettivamente il Paciaudi si rivelò un vero e proprio segugio di antichità<br />
rare e preziose, ben attento a non lasciarsi sfuggire la benché minima opportunità<br />
di ampliare le conoscenze o, quanto meno, le raccolte archeologiche<br />
dell’amico. Nel febbraio del 1760 un soggiorno nella città di Corneto gli<br />
offrì l’opportunità di fare eseguire degli scavi nel sito dell’antica Tarquinia e<br />
di indagare più a fondo le tante tombe dipinte sparse nella campagna, di cui<br />
fornirà al Caylus una dettagliata descrizione, oltre ad inviargli almeno quattro<br />
vasi provenienti dalle necropoli: la relazione sulle tombe tarquiniesi, edita<br />
nel quarto volume del Recueil con una prefazione di elogio <strong>per</strong> il metodo<br />
di indagine adottato dal teatino, contribuirà a rafforzare la stima e i rapporti<br />
di complicità tra i due antiquari 51 . L’anno precedente il Paciaudi si era reca-<br />
49 Vedi ad esempio Nisard 1877, I, pp. 92 e 121.<br />
50 Nisard 1877, I, p. 292. Sul ruolo fondamentale avuto dal Paciaudi nella formazione<br />
<strong>della</strong> collezione di antichità del Caylus, vedi Ridley 1992, pp. 363-65.<br />
51 Vedi Sérieys 1802, pp. 126-31 e p. 136; Nisard 1877, I, p. 165; Le sco<strong>per</strong>te tarquiniesi<br />
furono pubblicate, insieme ad una trascrizione <strong>della</strong> lettera inviata dal Paciaudi, in Caylus<br />
Recueil, IV, pp. 110-18, e p. 129, tav. XXXVIII.<br />
31
32<br />
to a Palestrina <strong>per</strong> verificare l’esattezza di alcuni dati relativi al mosaico nilotico<br />
che l’abate Barthélemy stava all’epoca studiando e l’argomento gli offrì<br />
lo spunto <strong>per</strong> discutere con il Caylus sulle antiche tecniche di realizzazione<br />
dei mosaici, con particolare riferimento ad un esemplare a rilievo acquistato<br />
proprio allora dal cardinale Albani e che il Paciaudi giudicava moderno<br />
52 . La ricerca costante delle novità e dell’oggetto inedito aveva spinto il<br />
Caylus in un’impresa tesa a “rubare” immagini di pezzi antichi conservati a<br />
Roma e nel territorio: l’intera vicenda è ben illustrata dalle lettere del Paciaudi,<br />
che ci raccontano come il conte avesse affidato ad un allievo dell’Accademia<br />
di Francia a Roma, Victor Louis, il compito di copiare i monumenti<br />
antichi <strong>della</strong> città ancora inediti o poco noti, e di come l’intervento del<br />
Paciaudi avesse <strong>per</strong>messo di scoprire l’inganno del Louis, il quale si era<br />
semplicemente limitato a ricopiare dei disegni, alcuni addirittura di fantasia,<br />
eseguiti dall’artista e compagno di studi Hubert Robert, all’epoca pensionante<br />
presso la stessa Accademia. Fu allora che il Paciaudi propose al Caylus<br />
di fare eseguire il lavoro direttamente al Robert il quale, opportunamente<br />
istruito sui criteri di riproduzione scientifica e dietro stretto controllo,<br />
avrebbe potuto copiare fedelmente molti oggetti interessanti e forse anche<br />
le antichità Albani, che il cardinale annunciava da tempo di voler dare alle<br />
stampe, ma che il teatino s<strong>per</strong>ava di far giungere (almeno in parte) inedite<br />
all’amico in Francia 53 . Sarà <strong>per</strong>ò al Winckelmann che, di lì a poco, verrà affidato<br />
il compito di pubblicare i marmi Albani e non c’è dubbio che questa<br />
scelta non fece altro che incrementare l’antipatia che il Caylus, a dispetto<br />
dei pareri favorevoli del Paciaudi, non smise mai di provare <strong>per</strong> l’archeologo<br />
tedesco.<br />
Con l’infittirsi delle lettere era aumentata tra i due corrispondenti anche<br />
la confidenza e quella particolare intesa che li spingeva a interrogarsi e a<br />
esprimere in tutta franchezza le rispettive opinioni sulle recenti pubblicazioni<br />
di argomento archeologico. Solo dietro le insistenti richieste del Paciaudi,<br />
il Caylus si era convinto a sottoscrivere il primo volume dei Monumenti antichi<br />
inediti del Winckelmann, anche se a suo giudizio rimaneva «très-mal<br />
fait» il catalogo dello stesso autore delle gemme del barone von Stosch 54 ; ma<br />
52 Sérieys 1802, pp. 63, 66-67, 81-82.<br />
53 Vedi Sérieys 1802, pp. 158-60, 191 e Nisard 1877, I, pp. 195-97. L’intera vicenda, datata<br />
all’estate del 1760, è ri<strong>per</strong>corsa in Pariset 1959. Sull’attività di Hubert Robert come disegnatore<br />
di antichità in collaborazione del Paciaudi e del Caylus, vedi anche Raspi Serra<br />
1993, pp. 97-98 e Eadem 1998, in part. p. 124.<br />
54 Vedi Nisard 1877, I, p. 50: si tratta naturalmente <strong>della</strong> Description des pierres gravées<br />
du feu Baron von Stosch, edita a Firenze dal Winckelmann nel 1760. Sulla sottoscrizione dell’o<strong>per</strong>a<br />
del Winckelmann da parte del Caylus, vedi Nisard 1877, I, p. 374: è noto che l’anti-
il Winckelmann non è l’unico studioso preso di mira in questa fitta corrispondenza:<br />
nell’annunciare l’imminente uscita dei due volumi sul Campo<br />
Marzio, il Paciaudi si domandava dubbioso se il Piranesi, che pure era un<br />
bravo disegnatore, sarebbe riuscito a soddisfare le aspettative delle <strong>per</strong>sone<br />
colte e il Caylus, cui la teoria dell’origine dell’architettura romana sostenuta<br />
dall’autore proprio non andava giù, liquidava con una battuta il suo giudizio<br />
sull’o<strong>per</strong>a (««qu’auraient été les Romains du côté des artes sans les<br />
Grecs? Jamais ils n’ont eu d’aptitude que pour la guerre») 55 . Commenti del<br />
tutto positivi suscitò invece, da entrambe le parti, il Traité historique des<br />
pierres gravées du Cabinet du Roi, edito dal Mariette a Parigi nel 1750, il cui<br />
formato sarà alcuni anni più tardi preso a modello dal Paciaudi <strong>per</strong> la progettata<br />
o<strong>per</strong>a sugli scavi di <strong>Veleia</strong> 56 . Ma fu soprattutto l’enorme e ambiziosa<br />
impresa editoriale delle Antichità di Ercolano, i cui primi volumi apparvero<br />
proprio negli anni <strong>della</strong> corrispondenza tra il Caylus e il Paciaudi, ad impegnare<br />
gran parte dei loro commenti e a stimolare la loro più accesa curiosità.<br />
«Fa pietà» fu il giudizio del Paciaudi sul secondo volume dell’o<strong>per</strong>a, illustrata,<br />
a suo vedere, con incisioni mal delineate, poco fedeli ed eseguite senza<br />
grazia e intelligenza, confermando così il giudizio decisamente negativo,<br />
anche sul testo (troppo ripetitivo e pieno di cose inutili), già espresso dal<br />
Caylus a proposito del primo volume 57 .<br />
Il Caylus aveva il dente avvelenato su Ercolano anche un altro motivo:<br />
moriva dalla voglia di possedere qualche re<strong>per</strong>to proveniente dalle città vesuviane<br />
<strong>per</strong> pubblicarlo in anteprima nel suo Recueil, ma i rigidi divieti di<br />
esportazione e <strong>per</strong>sino di riproduzione delle antichità imposti da Carlo di<br />
Borbone e soprattutto l’agguerrita sorveglianza del marchese Tanucci, ministro<br />
del re, fecero cadere ogni s<strong>per</strong>anza del conte. Il Caylus, <strong>per</strong> la verità, accarezzava<br />
l’idea di ottenere qualche oggetto grazie ai favori e alle vaste conoscenze<br />
dell’amico teatino, che in effetti fino ad allora non aveva mai deluso<br />
le sue aspettative: il conte mirava soprattutto a qualche frammento di papiro<br />
ercolanese, interessato com’era ad indagare le tecniche di srotolamen-<br />
patia dell’antiquario parigino <strong>per</strong> il collega tedesco nasceva dal giudizio, non troppo favorevole,<br />
espresso dal Winckelmann sull’o<strong>per</strong>a del Mariette, studioso che godeva <strong>della</strong> incondizionata<br />
stima e dell’amicizia del Caylus. Sulle divergenze metodologiche e i difficili rapporti<br />
scientifici tra il Caylus e il Winckelmann, vedi Rocheblave 1889, pp. 334 ss. e Babelon 1928,<br />
pp. 18-22.<br />
55 Nisard 1877, I, p. 44. Per il giudizio del Paciaudi, vedi Sérieys 1802, p. 29. Sulle critiche<br />
del Caylus alla teorie architettoniche espresse dal Piranesi, vedi Ridley 1992, pp. 370-71.<br />
56 Vedi infra cap. II, nota 23.<br />
57 Per i giudizi sulle Antichità di Ercolano, vedi Nisard 1877, I, pp. 42-43 e p. 243 e Sérieys<br />
1802, pp. 26 e 218.<br />
33
34<br />
to, che s<strong>per</strong>ava di migliorare con i suoi es<strong>per</strong>imenti, e non faceva mistero all’amico<br />
di essere <strong>per</strong>sino pronto a commissionare un furto, pur di raggiungere<br />
il suo scopo. Ma il Paciaudi si dimostrò irremovibile e ben deciso a non<br />
inimicarsi il Tanucci, così che, a parte alcuni bronzetti di poco conto sottratti<br />
furtivamente dagli scavi di Ercolano 58 , non fece altre spedizioni di materiale<br />
“proibito” a Parigi e non smise di consigliare al Caylus di abbandonare<br />
ogni progetto clandestino e di agire <strong>per</strong> le normali vie diplomatiche e legali.<br />
«Je vois par votre réponse sur Herculanum que vous ne voulez pas être<br />
complice, ni vous mêler du vol que je projette et qui réussira, ou le diable<br />
m’emportera» 59 scriverà stizzito il Caylus al termine di un lungo braccio di<br />
ferro che aveva rischiato di incrinare la stima e di compromettere l’amicizia<br />
tra i due corrispondenti: l’abbandono dei suoi sogni sulle antichità vesuviane<br />
gli doveva pesava molto e ormai gli era chiaro che le lunghe braccia del<br />
Paciaudi arrivavano sì dap<strong>per</strong>tutto, ma non a Ercolano.<br />
Ecco, dunque, che nell’avvio <strong>della</strong> campagna di scavi a <strong>Veleia</strong>, il Caylus<br />
vide subito una valida alternativa agli inaccessibili cantieri vesuviani, ma<br />
l’es<strong>per</strong>ienza gli aveva insegnato l’importanza di avere un proprio referente,<br />
fidato ed es<strong>per</strong>to, direttamente sul posto, meglio ancora se ufficialmente libero<br />
di agire in completa autonomia: non del tutto disinteressate, dobbiamo<br />
immaginare, dovettero essere le sue manovre <strong>per</strong> favorire la chiamata a Parma<br />
dell’amico Paciaudi e la sua nomina a direttore degli scavi veleiati.<br />
Nei mesi che precedettero il trasferimento del Paciaudi nella città ducale,<br />
il Caylus aveva cercato in ogni modo di rinvigorire l’interesse dell’amico<br />
<strong>per</strong> la ricerca archeologica sul campo, mettendolo a parte delle sco<strong>per</strong>te veleiati<br />
e spingendosi <strong>per</strong>sino ad incoraggiare il progetto, da tempo accarezzato<br />
dallo stesso teatino, di ripubblicare la dissertazione Delle Antichità di Ripatransone,<br />
o<strong>per</strong>a giovanile del Paciaudi, frutto delle sue indagini antiquarie<br />
58 «Vous m’avez parlé plusieurs fois de l’Herculanum, et vous souhaitez d’en avoir quelque<br />
chose. Un coquin d’ouvrier y a volé trois petites statues de bronze qui représentent Hercule,<br />
dont une est médiocre, et a une jambe cassé; les deux autres ne valent pas le diable.<br />
Comme elles me coûtent peu d’argent, je vous les envoie [...] Ayez la bonté cependant de ne<br />
pas dire d’où cela vient» scrisse infatti il Paciaudi all’amico nel dicembre del 1759 (cfr. Sérieys<br />
1802, p. 100 e Nisard 1877, I, p. 127). «Je vous garderai d’autant plus le secret sur les<br />
morceaux d’Herculanum – gli rispose <strong>per</strong> rassicurarlo il Caylus –, non seulement parce que<br />
je le sais garder, mais qu’il est un moyen de faire des vols plus considérables, et pour lesquelles<br />
j’ai, je vous l’avoue, la plus grande vocation» (cfr. Nisard 1877, I p. 114). Il Paciaudi aveva<br />
consigliato all’amico di far scrivere al Tanucci dal duca di Choiseul, mossa tanto più necessaria<br />
se si trattava di ottenere uno dei papiri di Ercolano, di cui la corte andava sempre<br />
più gelosa, ma il Caylus respinse sempre questa possibilità (Nisard 1877, I, pp. 86, 101, 120<br />
nota 4 e 128; Sérieys 1802, p. 108).<br />
59 Nisard 1877, I, p. 120.
e di scavo nella città marchigiana, che produssero numerose “anticaglie”, alcune<br />
delle quali vennero negli anni inviate in dono allo stesso Caylus 60 .<br />
Ciò che al Caylus non era riuscito di fare con Ercolano, tentava ora di ottenerlo<br />
con gli scavi di <strong>Veleia</strong> e da subito cercò di chiarire al Paciaudi quali<br />
fossero le sue aspettative e, soprattutto, che tipo di materiale s<strong>per</strong>asse di ricevere.<br />
Fin dai primissimi anni <strong>della</strong> loro lunga corrispondenza, il Caylus si<br />
era infatti sforzato di convincere l’amico del suo sincero disinteresse <strong>per</strong> il<br />
bel pezzo da collezione, altrove tanto ambito e ricercato ma che a lui sembrava<br />
spesso così poco istruttivo sulle tecniche e sui metodi di lavorazione<br />
degli Antichi, e non aveva mancato di ricordargli che <strong>per</strong> farlo contento potevano<br />
bastare pochi frammenti di vetro, di bronzo, qualche pietra lavorata,<br />
alcuni cocci, materiale certo di poco pregio ma tanto più interessante <strong>per</strong> le<br />
indagini che andava allora conducendo. «N’oubliez pas, je vous prie, que<br />
les fragments et les morceaux cassés ne me déplaisent pas» scriveva infatti<br />
già nel febbraio del 1757 ad un Paciaudi che faceva invece di tutto <strong>per</strong> procurarsi<br />
re<strong>per</strong>ti di particolare pregio artistico, apprezzati <strong>per</strong> il buono stato<br />
di conservazione o <strong>per</strong> il valore intrinseco del materiale, e dunque degni del<br />
cabinet di uno dei più grandi antiquari di Francia 61 .<br />
Alle richieste del Caylus di avere alcuni frammenti dei vasi “etruschi” recu<strong>per</strong>ati<br />
dal Paciaudi nelle tombe di Tarquinia, il teatino si farà vanto di potergli<br />
inviare dei vasi interi («vous me demandez depuis long-temps des<br />
60 Vedi ad es. Sérieys 1802, p. 10, n. 11 e p. 11, n. 19. Gli scavi nei territori di Cupra Marittima<br />
e Ripatransone continuarono anche dopo la partenza del Paciaudi ed è probabile che<br />
gli oggetti inviati al Caylus siano il frutto di campagne più recenti, di cui il teatino veniva tenuto<br />
informato dai numerosi corrispondenti in zona. Sull’attività del Paciaudi in relazione<br />
alla stesura di quest’o<strong>per</strong>a, terminata a Ferrara nel 1741 (la nuova edizione non verrà mai<br />
completata), vedi Pelagatti 1995, in part. pp. 314-16. Nel luglio del 1760 il Paciaudi chiedeva<br />
consiglio al Caylus su come pubblicare i pezzi antichi provenienti da Ripatransone: «vous<br />
me direz dans le temps, si je dois publier tous ces monumens, ou en faire dix planches» (Sérieys<br />
1802, p. 161).<br />
61 Vedi Nisard 1877, I, p. 3; «je vous prie toujours de vous souvenir que je ne fais pas un<br />
cabinet, que la vanité n’etant pas mon objet, je ne me soucie point de morceaux d’apparat,<br />
mais que des guenilles d’agate, de pierre, de bronze, de terre, de vitre, qui peuvent servir en<br />
quoi que ce soit à retrouver un usage ou le passage d’un auteur, sont l’objet de mes désirs»<br />
scriverà il Caylus al Paciaudi nel febbraio del 1758 e l’anno successivo lo pregherà di procurargli<br />
«des instruments de tous les genres ..., des opérations de l’art, comme incrustations,<br />
damasquinures, des verres singulièrement travaillés avec des ornements en relief, des petites<br />
plaques de bronze avec des inscriptions en creux ou en relief ... des terres cuites destinées à<br />
differents usages» (Nisard 1877, I, pp. 29-30). Sulle divergenze di metodo scientifico e di<br />
modo di intendere lo studio dell’antico che contrapponevano il Caylus al Paciaudi, vedi anche<br />
Guillerme 1983.<br />
35
36<br />
pots cassés, je veux vous en envoyer d’entiers») 62 , e la buona conservazione<br />
non smetterà mai di essere, <strong>per</strong> il Paciaudi, uno dei requisiti essenziali da<br />
<strong>per</strong>seguire nella ricerca del materiale da inviare a Parigi, a dispetto delle<br />
proteste del conte: ««je vous ai témoigné du dégoût pour les morceaux de<br />
belle conservation, ces froids Apollons, ces belles prétendues Vénus, etc.<br />
[...] je compare les belles antiquités aux belles dames et aux beaux messieurs<br />
dont la toilette est complète, qui arrivent dans une compagnie, se<br />
montrent et n’apprennent rien; au lieu que je retire quelquefois d’un morceau<br />
fruste, que je comparerai en ce cas à un homme crotté et qui marche à<br />
pied, le sujet d’une dissertation et l’objet d’une découverte» 63 . Certo, in<br />
qualche occasione, il Paciaudi mostrò di comprendere le priorità di indagine<br />
del Caylus, ricercandogli la “materia nera”, utile <strong>per</strong> una dissertazione all’Académie<br />
sulle antiche tecniche di lavorazione dell’ossidiana o procurandogli,<br />
soprattutto in Italia meridionale, i tanto ricercati frammenti di ceramica<br />
«qui fasent sentir la manoeuvre» 64 , ma una vera e propria intesa, su<br />
questo punto, non ci fu mai. Vedremo che l’occasione dello scavo di <strong>Veleia</strong><br />
non farà che inasprire le divergenze metodologiche tra i due studiosi.<br />
Nell’autunno del 1760 il Paciaudi si risolse a scrivere al Du Tillot <strong>per</strong> dare<br />
i suoi «deboli lumi» sulle sco<strong>per</strong>te veleiati: ««J’ecris aujourd’hui à Du Tillot<br />
au sujet de Velleia, et de ses fouilles» comunicava infatti al Caylus nel novembre<br />
del 1760, e subito aggiungeva «ils n’ont pas de bons ouvriers, et des <strong>per</strong>sonnes<br />
qui sachent comment on fouille les lieux antiques; ils gâteront tout et<br />
trouveront peu» 65 . Il Paciaudi, che ben poco sapeva di <strong>Veleia</strong> e che non aveva<br />
ancora messo piede sul posto 66 , riferisce evidentemente qui il giudizio di chi<br />
era all’epoca più informato di lui, il Caylus in primo luogo, che ormai da tem-<br />
62 Sérieys 1802, p. 131.<br />
63 Nisard 1877, I, pp. 7-8.<br />
64 Nisard 1877, I, p. 121. Nella primavera del 1760 il Caylus era infatti occupato a redigere<br />
una Mémoire sulla pietra ossidiana, letta poi all’Académie di Parigi (cfr. Nisard 1877, I,<br />
pp. 144-45 e 189). Per gli studi condotti all’epoca dal Caylus sull’ossidiana e sulla produzione<br />
di diversi tipi di vetri neri, vedi Boch 2002.<br />
65 Sérieys 1802, p. 205. Già al principio di ottobre il Paciaudi aveva promesso al Caylus<br />
di scrivere al Du Tillot a proposito degli scavi di <strong>Veleia</strong> (Sérieys 1802, p. 199).<br />
66 Sembra difficile pensare che questo giudizio sia il frutto di una visita agli scavi effettuata<br />
dal Paciaudi nell’estate del 1760, come ipotizzato dal Nisard (Nisard 1877, I, p. 240,<br />
nota 3): ancora nel dicembre dello stesso anno, infatti, lo stesso teatino comunicava al Caylus<br />
di avere richiesto da Parma una dettagliata descrizione di <strong>Veleia</strong>, ignorando ancora lo<br />
stato di conservazione <strong>della</strong> città, la data e le modalità <strong>della</strong> sua sco<strong>per</strong>ta, le cause <strong>della</strong> sua<br />
distruzione e il risultato degli scavi, in previsione di un suo viaggio sul luogo in calendario<br />
<strong>per</strong> la primavera seguente «pour voir la situation des choses» (Sérieys 1802, p. 211).
po si scontrava con l’ines<strong>per</strong>ienza del canonico Costa, ma è anche possibile<br />
che questa critica traduca gli umori e i dissapori che si andavano formando,<br />
tra gli studiosi, gli appassionati e i semplici curiosi di antichità, sulla segreta<br />
impresa archeologica promossa dal ducato; e che le voci contrarie (rese forse<br />
ancora più ostili dai rigidi divieti e dal fastidioso atteggiamento di mistero<br />
ostentato dalla corte parmense) non mancassero, lo dimostrano anche le polemiche<br />
parole del Costa, all’indomani <strong>della</strong> sco<strong>per</strong>ta delle celebri statue del ciclo<br />
im<strong>per</strong>iale provenienti dalla basilica: «le grandiose interessanti nuove ...<br />
meritano giustamente la comune nostra esultazione <strong>per</strong>ché sono prove di non<br />
aver noi impegnata la regia Corte in cose di poco riguardo, come hanno spacciato<br />
alcuni invidiosi continuando sin’ora a parlarne fuori di proposito» 67 .<br />
Con l’anno nuovo, fin dai primi giorni di gennaio, il Costa potrà finalmente<br />
ringraziare il ministro <strong>per</strong> avergli procurato la preziosa consulenza<br />
del padre Paciaudi68 . Nella corrispondenza tra i due il nostro canonico, memore<br />
dei consigli del Galletti sulla necessità di essere brevi e di andare diritti<br />
al nocciolo <strong>della</strong> questione, si sforzerà di trasmettere le informazioni essenziali<br />
<strong>per</strong> la comprensione dell’area indagata:<br />
parlerò in seguito delle sco<strong>per</strong>te, ed intanto mi restringo a dirle, che abbiamo<br />
di già un bel cortile, che credo il Pretoriale sco<strong>per</strong>to, il quale aveva a dritta,<br />
ed a sinistra un bel loggiato, ma talmente dirocato, che li muri, e le colonne,<br />
che sono di cotto non si alzano in ora da terra in parte tre o quattro palmi, ed<br />
in parte cinque in sei, e qui è ove fu trovata la rarissima Lamina Trajana alimentaria<br />
già pubblicata colle stampe, e dal Sig. Muratori, e dal Marchese<br />
Maffei, e da Mr Terrasson, e dove ancora si è dissotterrata un altra lamina legale<br />
di ben 108 linee, vari frammenti di altre lamine, non poche iscrizioni di<br />
pietra, alcune statuette, frantumi di statue colossali, e diverse altre anticaglie,<br />
cose tutte, che domandano <strong>per</strong> essere illustrate altra penna, che la mia, e che<br />
hanno già messo in grande aspettazione il Mondo Letterario69 gli scriveva già nella prima lettera, <strong>per</strong> poi tornare subito al problema <strong>per</strong> lui<br />
più scottante e di più difficile interpretazione, quello cioè delle fonti antiche<br />
che avevano parlato di <strong>Veleia</strong>, s<strong>per</strong>ando questa volta di avere dal Paciaudi quei<br />
lumi che né il Galletti né tantomeno il Caylus avevano saputo o voluto dargli 70 .<br />
67 Costa ms. Pallastrelli, lettera del Costa al Martelli dell’8 giugno 1761.<br />
68 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Du Tillot del 5 gennaio 1761.<br />
69 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Paciaudi dell’8 gennaio 1761 (trascritta anche dal De<br />
Lama in AMANP, ms. 56).<br />
70 In particolare, il Costa non riusciva a spiegarsi il quasi totale silenzio delle fonti storiche<br />
e letterarie <strong>per</strong> una città che, come stavano dimostrando gli scavi, doveva essere stata ricca<br />
e importante; a proposito <strong>della</strong> breve menzione fatta da Plinio il Vecchio, ad esempio, annotava:<br />
«ma e <strong>per</strong>ché mai dir si poco quando di altre finitime città ha parlato con vantaggio?<br />
37<br />
1
38<br />
L’impressione che il canonico fece sul Paciaudi fu positiva e ben condotti<br />
gli parvero ora <strong>per</strong>sino gli scavi (che, <strong>per</strong>ò, non aveva ancora visitato): «Ce<br />
qu’il y a de certain c’est qu’on fouille avec le meilleur ordre du monde, et je<br />
crois que notre bon Tillot en aura tout le mérite. A la vérité le comte Costa<br />
n’est connu a Rome que par quelques remarques sur la célèbre table des enfans<br />
alimentaires de Trajan; mais c’est certainement l’homme le plus savant<br />
de ce pays», confidava al Caylus già nel febbraio di quello stesso anno, lasciando<br />
intendere che avrebbe accettato con piacere, con buona pace del<br />
ministro di Parma e con soddisfazione dell’amico francese, l’incarico ufficiale<br />
di antiquario di don Filippo, nomina decretata il 10 agosto del 1761, insieme<br />
a quella di bibliotecario regio 71 .<br />
Nell’autorevole intervento del Paciaudi il ministro vedeva finalmente<br />
profilarsi la s<strong>per</strong>anza di portare a compimento uno dei progetti che più gli<br />
stavano a cuore, quello <strong>della</strong> pubblicazione delle sco<strong>per</strong>te veleiati, ormai da<br />
troppo tempo sottoposte al rigoroso vincolo del silenzio. Era giunto il momento,<br />
soprattutto dopo il fortunato ritrovamento del ciclo statuario proveniente<br />
dalla basilica, di rendere noti all’intero mondo scientifico e letterario<br />
i promettenti risultati prodotti dagli scavi, così da rivendicare <strong>per</strong> Parma il<br />
ruolo di primo piano avuto nell’indagine archeologica tardo-settecentesca.<br />
Il compito di provvedere all’edizione del materiale di scavo era, <strong>per</strong> la<br />
verità, già stato affidato al Costa, ma segreto desiderio del Du Tillot era di<br />
trasferire tale incarico al Paciaudi, un nome che avrebbe garantito all’o<strong>per</strong>a<br />
Forse <strong>per</strong>ché ai tempi di Plinio fosse ella una cittaducola dispreggievole? Ma come conciliar<br />
ciò colla largizione di Trajano, e di Gallicano; come molto più <strong>per</strong>suaderselo in ora, che colli<br />
scavi fatti l’anno scorso abbiamo sco<strong>per</strong>to un cortile fiancheggiato da tre parti di un bel loggiato<br />
con colonne altre di cotto altre di tuffo, selciato di pietre piccate, con attorno un ben<br />
inteso condotto <strong>per</strong> lo scolo delle acque ai lati delle due camere una <strong>per</strong>fettamente dipinta a<br />
grottesco, altra salicata (?) di marmo greco, altra a mosaico; in ora che abbiamo già in poter<br />
nostro una prodigiosa quantità di diverse sorti di marmi orientali, a modo da potersi dire,<br />
che del granito non se ne abbia quasi a far conto, una buona parte dei quali marmi, ci mostrano<br />
dalla loro grossezza, che servivano, o <strong>per</strong> lastricato di Camere o <strong>per</strong> incrostatura di<br />
muri; in ora che oltre non poche medaglie, oltre due colonne di marmo fino in diametro poco<br />
meno di due palmi in altezza circa quindici palmi romani, oltre alcune teste, statuine, e<br />
fragmenti di statue gigantesche altre di alabastro altre di bronzo, altre di metallo dorato abbiamo<br />
già alle mani diverse iscrizioni relative a diversi Im<strong>per</strong>atori, e Signori di rimarco e fra<br />
queste una Lamina legale di ben centotto linee ...» (Costa ms. Pallastrelli, lettera del Costa al<br />
Paciaudi del 22 gennaio 1761, copiata dal De Lama in AMANP, ms. 56).<br />
71 Per una dettagliata sequenza delle tappe che portarono alla duplice nomina del Paciaudi<br />
e al suo insediamento nella città ducale, vedi Pelagatti 1995, in part. pp. 316-20. Per il<br />
giudizio sul Costa (che incontrerà il favore del Caylus: Nisard 1877, I, pp. 239-40), vedi Sérieys<br />
1802, pp. 216-17.
una ben più accreditata notorietà 72 . Vedremo nel capitolo successivo che<br />
proprio sulla questione dello studio e <strong>della</strong> pubblicazione del materiale veleiate<br />
finì <strong>per</strong> incrinarsi l’iniziale sodalizio tra il Costa e il Paciaudi, ben presto<br />
oscurato dai toni di accesa polemica che portarono alle forzate dimissioni<br />
del Costa e alla nomina del Paciaudi a direttore degli scavi, nel marzo del<br />
1763. «On ne peut lui ôter ce travail», ripeteva il Paciaudi all’amico Caylus<br />
a proposito dell’eventualità che al povero Costa, uomo onesto e ormai anziano,<br />
venisse revocata la carica che lo aveva reso tanto orgoglioso, ma allo<br />
stesso tempo non mancava di comunicare al Du Tillot le mancanze, gli errori,<br />
le ingenuità degli scritti del canonico.<br />
Il Paciaudi giunse a Parma pieno di voglia di fare, desideroso di riportare<br />
la biblioteca regia ai fasti di un tempo, un compito del tutto congeniale ai<br />
suoi interessi e che probabilmente fu decisivo ai fini del suo trasferimento<br />
nel ducato, ma anche stuzzicato all’idea di rispolverare le sue abilità di archeologo<br />
“sul campo” e di far risorgere una intera città antica. Il fondamentale<br />
contributo del teatino alla valorizzazione e all’ampliamento del patrimonio<br />
librario <strong>della</strong> Palatina, a partire dal progetto di acquisto (poi non andato<br />
in porto) dell’intera biblioteca del cardinale Passionei, che il Paciaudi<br />
tentò con ogni sforzo di assicurare al ducato emiliano ma che infine venne<br />
ceduta a papa Clemente XIII <strong>per</strong> la somma di ventisei scudi, è stato oggetto,<br />
anche di recente, di numerosi studi scientifici 73 e non è qui il caso di ri<strong>per</strong>correre<br />
le tappe <strong>della</strong> suo proficua attività di bibliotecario regio o del rapido<br />
accrescimento <strong>della</strong> sua biblioteca, che <strong>per</strong> ricchezza di materiale e <strong>per</strong><br />
metodo di catalogazione diventerà presto, nelle voci dei tanti viaggiatori e<br />
degli studiosi italiani e stranieri in visita a Parma, uno dei fiori all’occhiello<br />
<strong>della</strong> politica culturale del ducato e, in generale, un modello da seguire.<br />
72 Scrivendo al Caylus nel luglio del 1761 il Paciaudi gli confidava infatti i progetti del<br />
Du Tillot a proposito <strong>della</strong> pubblicazione degli scavi veleiati: a giudizio del Paciaudi, il materiale<br />
rinvenuto fino a quel momento poteva essere sufficiente <strong>per</strong> una galleria di antichità,<br />
ma non lo era altrettanto <strong>per</strong> un libro. Il teatino chiese dunque al Du Tillot di aspettare finché<br />
gli scavi non fossero più avanzati, ma soprattutto cominciò a porsi (e a porre ai suoi interlocutori)<br />
il problema di come fare a scalzare dal suo incarico il canonico Costa (vedi Sérieys<br />
1802, p. 251, lettera del 18 luglio 1761).<br />
73 Vedi, ad esempio, Ciavarella 1962, p. 15 e Bertini 1982, pp. 249-50. Le trattative <strong>per</strong> il<br />
tentato acquisto <strong>della</strong> biblioteca del cardinale Passionei, morto nel 1761, da parte del ducato<br />
di Parma sono ben documentate nelle lettere inviate dal Paciaudi al Du Tillot tra il febbraio<br />
e il giugno del 1762 (Paciaudi ms. 1586: lettere parzialmente ricopiate dal De Lama in<br />
AMANP, ms. 58). Nel luglio del 1761 il Paciaudi già comunicava al Caylus il desiderio del<br />
ministro Du Tillot (poi fatto proprio dallo stesso Paciaudi) di com<strong>per</strong>are la biblioteca, stimata<br />
50.000 scudi romani, <strong>per</strong> conto del ducato di Filippo di Borbone (Sérieys 1802, p. 251).<br />
39
40<br />
Certo non indifferente ai progressi <strong>della</strong> biblioteca Palatina (aveva procurato<br />
al Paciaudi la consulenza con il Tilliard, abile bibliotecario ed editore<br />
delle sue stesse o<strong>per</strong>e) 74 , il Caylus era, naturalmente, assai più interessato<br />
agli sviluppi degli scavi di <strong>Veleia</strong> e non <strong>per</strong>deva occasione <strong>per</strong> ricordare all’amico<br />
i suoi doveri di archeologo, fiducioso di poter ancora ricavare dalla<br />
campagna veleiate materiale utile ai suoi es<strong>per</strong>imenti: «Je suis charmé de votre<br />
projet de la bibliothèque pour Parme; mais je crains que dans cette petit<br />
pays on n’entreprenne trop de choses à la fois. Croyez-moi, achevez vos fouilles,<br />
faites graver votre cabinet, donnez-en l’histoire et l’explication, cela<br />
suffira pour la gloire du prince et du siècle» 75 , gli scrisse infatti nel novembre<br />
del 1761, incalzandolo a mettere finalmente mano all’o<strong>per</strong>a che avrebbe<br />
fatto conoscere all’intero mondo antiquario le recenti sco<strong>per</strong>te sull’appennino<br />
emiliano. Tra le carte parigine del Caylus edite dal Sérieys nel 180276 si<br />
trovava anche una copia del giornale di scavo di <strong>Veleia</strong> relativo al <strong>per</strong>iodo<br />
maggio-giugno 1761, con la cronaca del ritrovamento di alcuni frammenti<br />
delle dodici statue <strong>della</strong> basilica, documento quasi certamente richiesto dal<br />
conte al Costa, a conferma <strong>della</strong> scrupolosa attenzione con cui il parigino<br />
seguì tutte le fasi dello scavo.<br />
Una delle prime mosse del nuovo antiquario ducale fu quella di promuovere<br />
lo studio e garantire la buona conservazione dei re<strong>per</strong>ti di maggior pregio<br />
artistico recu<strong>per</strong>ati nelle passate campagne di scavo e ancora in gran<br />
parte ammassati nei magazzino ligneo costruito a <strong>Veleia</strong> al principio delle<br />
indagini archeologiche:<br />
pare necessario – scriverà infatti al ministro Du Tillot – far venire a Parma<br />
tutto ciò che si è trovato, <strong>per</strong> poter formare una più sicura idea dei Monumenti.<br />
Facendoli venire conviene prima determinare due cose. La prima<br />
come e dove si abbiano a collocare. Perché il lasciarle nelle casse non può<br />
che deteriorarli, oltre a che ci si imputerà una specie di barbarie. La seconda,<br />
se le statue mutilate e gli altri pezzi im<strong>per</strong>fetti si debbano restaurare,<br />
come si è praticato a Roma, a Napoli, a Firenze. Questo dipende dal giudizio<br />
degli uomini dotti, che bisogna consultare, e non da quello dei semplici<br />
artisti77 .<br />
74 Nell’aprile del 1762 il Paciaudi scrisse infatti al Du Tillot: «il conte di Caylus, che le fa<br />
mille complimenti, mi ha proprosto un libraro corrispondente <strong>della</strong> nostra Biblioteca: Mr.<br />
Tillard» (Paciaudi ms. 1586, f. 94v). Vedi anche Nisard 1877, I, p. 325, nota 1.<br />
75 Nisard 1877, I, pp. 272-73.<br />
76 Sérieys 1802, Appendice 4, pp. 343-47.<br />
77 ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20 (Riflessioni intorno ad alcuni provvedimenti<br />
<strong>per</strong> gli scavi di Velleia, 16 luglio 1763).
La decisa presa di posizione sulle competenze coinvolte nei restauri delle<br />
statue veleiati e, ancor più, i dubbi circa l’opportunità <strong>della</strong> loro esecuzione<br />
sono un chiaro segno di una profonda riflessione teorica sulla destinazione<br />
dei monumenti antichi e sulla necessità di preservarne il valore di documento<br />
archeologico, prima ancora che artistico, una riflessione che giunge tanto<br />
più nuova e inattesa se si considera che i marmi veleiati, <strong>per</strong> volere ducale,<br />
furono da subito scorporati dal restante materiale di scavo e destinati alle<br />
sale dell’Accademia di Belle Arti, <strong>per</strong> servire (secondo una pratica diffusa in<br />
tutte le accademie d’Europa) da modelli <strong>per</strong> lo studio delle figure e dei panneggi<br />
“all’antica”. Il Paciaudi, rivendicando il ruolo degli antiquari, intendeva<br />
ora ribadire il valore documentario dei marmi e, implicitamente, alludere<br />
alla necessità di tenere unite le raccolte veleiati.<br />
Diversi anni più tardi, al termine di una seconda campagna di scavi avviata<br />
nel 1776, il Paciaudi formulerà finalmente un progetto di musealizzazione<br />
delle antichità di <strong>Veleia</strong>, quasi un’eredità che il teatino voleva lasciare<br />
al ducato dopo tanti anni di servizio e che, nelle sue intenzioni, doveva contribuire<br />
a ridestare l’interesse, un po’ sopito, di viaggiatori e studiosi <strong>per</strong> gli<br />
scavi dell’antico municipium romano:<br />
Intanto se V.E. vorrà impetrare da S.A.R. che la camera destinata al Museo<br />
venga convenientemente ornata, io prenderò il carico di suggerire agli artefici<br />
cosa abbiano a fare <strong>per</strong> eseguir bene, e con economia. Gli armadi che abbiamo<br />
<strong>per</strong> racchiudere le medaglie sono disuguali, e di costruzione irregolare.<br />
Ci vorrebbero quattro scrigni di uniforme struttura con entro i suoi tiratoi,<br />
e qualche mensola. Allora si potrebbon collocare e tutte le medaglie e le<br />
statuette dello scavo Velleiatese, e tutte le altre anticaglie che sono dis<strong>per</strong>se<br />
tra la libreria e l’Accademia, e <strong>per</strong> tal modo formare un Museo capace di<br />
sorprendere e trattenere con ammirazione e piacere i Forestieri78 .<br />
Così scriverà il Paciaudi al Du Tillot al termine <strong>della</strong> sua lunga carriera di<br />
antiquario, ma è chiaro che l’idea di un museo archeologico autonomo dall’Accademia<br />
di Belle Arti gli era nata molti anni prima, all’epoca <strong>della</strong> prima<br />
campagna di scavi, complice lo stretto sodalizio che aveva formato con il conte<br />
di Caylus. E fu proprio al Caylus che il Paciaudi volle sottoporre la spinosa<br />
questione del restauro delle statue veleiati, in vista dell’edizione dell’o<strong>per</strong>a su<br />
<strong>Veleia</strong> che il teatino andava all’epoca preparando. La risposta del conte, com’era<br />
prevedibile, fu di limitare il più possibile ogni intervento moderno:<br />
78 ASP, Istruzione Pubblica. Accademia di Belle Arti, b. 30, lettera del Paciaudi al Du<br />
Tillot del 3 gennaio 1781. Sull’interesse suscitato nei viaggiatori italiani e stranieri dagli scavi<br />
di <strong>Veleia</strong> tra la seconda metà del Settecento e i primi decenni del secolo successivo, vedi infra<br />
cap. IV, con relativa bibliografia.<br />
41
42<br />
quant aux restaurations de marbre, vous sentez bien qu’un pauvre Gaulois<br />
ne peut rien dire à des artistes aussi fins et aussi adroits que les Italiens. Je<br />
vous recommanderais tout grossièrement de les empêcher de trop ajouter, et<br />
de se tenir dans le simple de l’antique 79 .<br />
Pensando alle ri<strong>per</strong>cussioni positive del progettato museo, il Paciaudi si<br />
impegnò anche a recu<strong>per</strong>are la preziosa Tavola Traiana («sarà un oggetto interessantissimo<br />
<strong>per</strong> tutti i Forestieri, i quali lo vedranno con ammirazione»)<br />
80 , ancora depositata a Piacenza, dove il Costa la custodiva con la scusa<br />
di volerla restaurare, e, come abbiamo visto, tentò di risolvere (con scarso<br />
successo) il problema del suo definitivo restauro 81 . Cominciò poi a pensare<br />
al restauro e alla sistemazione museale dei numerosi bronzetti provenienti<br />
dallo scavo e a questo scopo si fece inviare alcuni frammenti di marmo antico,<br />
<strong>per</strong> «formare loro le basi con materia trovata a Velleia», sicuro che così<br />
avrebbero fatto un «più stimabil ornato» 82 .<br />
Ma quale, esattamente, fu il contributo del Paciaudi agli scavi di <strong>Veleia</strong> e<br />
quali novità portò alla gestione del patrimonio archeologico del ducato il<br />
suo trasferimento a Parma?<br />
Prima ancora di dare l’avvio alla campagna del 1763, la prima condotta<br />
senza l’ingombrante presenza del Costa, il teatino fece venire da Roma un<br />
es<strong>per</strong>to scavatore 83 , tale Lorenzo Blasi, cui affidò non solo il compito di sovrintendere<br />
materialmente agli scavi, ma anche quello, non meno importante,<br />
di istruire nel mestiere gli o<strong>per</strong>ai impiegati sul cantiere: il Paciaudi<br />
intendeva fare di <strong>Veleia</strong> un campo di formazione sulle più moderne tecniche<br />
dello scavo archeologico, in grado di garantire una salda credibilità anche<br />
alle future campagne promosse dal ducato. Nell’opinione comune del<br />
tempo i migliori es<strong>per</strong>ti del settore venivano da Roma, e vedremo che<br />
79 Nisard 1877, II, p. 24 (lettera del 16 luglio 1764).<br />
80 ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20<br />
81 La Tavola Traiana sarà trasferita da Piacenza a Parma il 30 aprile del 1764 (Montevecchi<br />
1934, p. 568). Nel luglio dello stesso anno il Caylus, informato dei propositi di restauro<br />
di entrambe le tavole legislative, così scriveva al Paciaudi: «je suis charmé que vous ayez un<br />
homme capable de restaurer vos table de bronze» (Nisard 1877, II, p. 24). Sulle vicende settecentesche<br />
<strong>della</strong> lamina, vedi il saggio introduttivo in Criniti 1991. Per il primo restauro integrale<br />
<strong>della</strong> Tavola, commissionato da Pietro De Lama nel 1817, vedi infra cap. III, § 6.<br />
82 ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20, “Riflessioni intorno ad alcuni provvedimenti<br />
<strong>per</strong> gli scavi di Velleja”, testo inviato dal Paciaudi al Du Tillot il 16 luglio 1763.<br />
83 Pigorini 1869, p. 13. La nomina di Lorenzo Blasi, accompagnato a <strong>Veleia</strong> dal figlio, a<br />
primo scavatore di <strong>Veleia</strong> e le condizioni del suo incarico, sono documentate in ASP, Istruzione<br />
Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20. I pagamenti <strong>per</strong> i due scavatori romani sono invece<br />
registrati in ASP, Computisteria borbonica di Parma, b. 714.
quando, alla fine del secolo, l’allora direttore del Museo di Antichità di<br />
Parma, il giovane Pietro De Lama, deciderà di aggiornare le proprie competenze<br />
tecniche, sarà proprio sui cantieri di Roma che cercherà di apprendere<br />
i segreti del mestiere.<br />
«Je suis très-curieux, je l’avoue, de l’impression que vos fouilles auront<br />
faites au premier coup d’oeil sur le fouilleur que vous avez fait venir de Rome.<br />
Sur votre récit, il me parâit le premier de son art, et je crois qu’il n’y a<br />
rien qu’il ne fouillât» scrisse subito il Caylus all’amico, pieno di entusiasmo<br />
<strong>per</strong> il nuovo corso preso dagli scavi84 . In considerazione del gran numero di<br />
iscrizioni, spesso molto frammentarie, che lo scavo continuava a restituire, il<br />
Paciaudi ottenne anche che sul cantiere ci fosse qualcuno in grado di leggere<br />
correttamente le epigrafi antiche, e così il sacerdote piacentino Antonio<br />
Colombi (valido collaboratore, come vedremo, del Blasi) entrò a far parte<br />
dell’équipe impegnata a <strong>Veleia</strong>85 .<br />
Gli accurati sopralluoghi e i consulti con lo scavatore romano avevano finalmente<br />
convinto il Paciaudi degli errori commessi dalla direzione Costa e<br />
<strong>della</strong> necessità di indagare il terreno da altre parti. Nel luglio del 1763 scrisse<br />
dunque al Du Tillot:<br />
siccome pare costante che la rovina degli edifizi sia nata dal diroccamento<br />
<strong>della</strong> su<strong>per</strong>iore montagna, è necessario di tentare gli scavi nella parte sollevata<br />
al di là <strong>della</strong> Parrocchia, il che ho ordinato che si intraprenda dopo la mietitura.<br />
Dopo questo saggio e dopo qualche altro vicino al rivo, si potrà con<br />
più di fondamento presagire cosa sia da ripromettersi dagli scavi86 .<br />
I diari di scavo dell’anno 1763 confermano infatti uno spostamento delle<br />
indagini dall’area del foro alle terrazze sovrastanti, nei settori sud e sudest<br />
dell’abitato: si contava, in questo modo, di agevolare le o<strong>per</strong>azioni di<br />
scavo, che in corrispondenza del foro erano state ostacolate dall’alto strato<br />
di terra mista a pietrame franata dai monti vicini, e non ci si nascondeva la<br />
s<strong>per</strong>anza di imbattersi in re<strong>per</strong>ti in migliore stato di conservazione. Infatti<br />
il terreno dello scavo, anche quello verso la montagna, dove ora si erano<br />
concentrate le ricerche, era sì pieno di antichità, come faceva sa<strong>per</strong>e il Pa-<br />
84 Nisard 1877, I, p. 311, lettera del 16 maggio 1763.<br />
85 ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20, “Riflessioni intorno ad alcuni provvedimenti<br />
<strong>per</strong> gli scavi di Velleja”, 16 luglio 1763.<br />
86 Ibidem. Una lettera del Martelli del 30 maggio 1763 conferma l’opinione del Blasi sulla<br />
necessità di scavare più a monte, nell’area meridionale dell’abitato: «l’o<strong>per</strong>aio stesso a vista<br />
de’ Monumenti che si sono sco<strong>per</strong>ti, e che li ho fatto vedere, giudica che avanzandosi le<br />
escavazioni nel sito più elevato, che resta verso mezzogiorno, possasi in esso fare dei ritrovamenti<br />
felici» (AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 2).<br />
43
7<br />
14<br />
8<br />
9<br />
44<br />
ciaudi all’amico Caylus, ma si trattava di oggetti di poco conto, di bronzetti,<br />
di frantumi di utensili domestici, di qualche moneta, e anche le poche<br />
«belles antiquités» erano tutte spezzate in più parti; il ritrovamento di due<br />
erme in marmo, in <strong>per</strong>fetto stato di conservazione, e di alcuni frammenti di<br />
statue bronzee e marmoree, provenienti dagli ambienti a occidente <strong>della</strong><br />
chiesa di Macinesso, fecero s<strong>per</strong>are all’antiquario ducale in «quelque chose<br />
de mieux», così come la sco<strong>per</strong>ta di due camere dotate di un sistema di riscaldamento<br />
e il gran numero di pavimenti musivi, che a suo dire si incontravano<br />
ad ogni passo, lo convinse di stare scavando una città importante,<br />
la capitale stessa dei <strong>Veleia</strong>ti 87 .<br />
Tra l’estate e l’autunno di quello stesso anno venne dunque esplorato il<br />
quartiere abitativo meridionale, circostante gli edifici <strong>della</strong> chiesa e <strong>della</strong> canonica,<br />
con la casa ad atrio detta del “cinghiale”, dall’emblema musivo che<br />
decorava il tablino (in seguito scomparso: forse lo stesso che in un primo<br />
momento si pensò di strappare, approfittando <strong>della</strong> abilità del Blasi 88 ) e fu-<br />
87 Vedi Sérieys 1802, pp. 288-90, lettera del 15 luglio 1763: «a chaque pas on rencontre<br />
des pavés de mosaïque, mais tout brisés: ce qui me fait croire de plus en plus que c’étoit là<br />
qu’étoit située la capitale de Velleja, comme le portent deux inscriptions. Si ce n’eût été un<br />
lieu considérable et fréquenté, comment y trouveroit-on tant de morceaux de table de bronze,<br />
sur lesquelles étoient tracées les lois romaines?». Le due erme marmoree sono riprodotte<br />
in Ms. Parm. 1245, tavv. V e VII (relative al 1764, anche se dai diari di scavo si ricava che entrambe<br />
le sculture furono rinvenute «nello scavo su<strong>per</strong>iore, dirimpetto alla chiesa» tra il giugno<br />
e il luglio 1763); nel 1764 furono trovati anche un torso di fanciullo avvolto dalle spire<br />
di un serpente e una piccola testa virile in marmo bianco, riprodotti in Ms. Parm. 1245, tavv.<br />
IV e VI: <strong>per</strong> il diario di queste sco<strong>per</strong>te, vedi AMANP, ms. 46.<br />
88 «Se il mosaico è interessante bisogna cavarlo tutto intero e incassarlo .... questo il Blasi<br />
lo sa fare a meraviglia» scriveva infatti il Paciaudi a Giacomo Nicelli in data 5 luglio 1763<br />
(AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 2); la sco<strong>per</strong>ta del mosaico «rovinato nel mezzo, sco<strong>per</strong>to vicino<br />
alla Chiesa verso settentrione», è registrata in Ms. Parm. 1245, p. 17, in data 2 luglio 1763.<br />
L’emblema musivo raffigurante un cinghiale o una scrofa è riprodotto in Bertioli Antichità<br />
velleiati (disegni a china con l’indicazione delle misure e dei colori «nero, bianco, bleu e ferrugineo»;<br />
nel volume è conservata anche una sagoma del “cinghiale” ritagliata sulla carta: le<br />
piante di scavo sette e ottocentesche, il disegno e la sagoma su carta del cinghiale sono pubblicati<br />
in Miranda 2002, figg. 3 e 6). Alla ria<strong>per</strong>tura degli scavi, nel 1776, si esplorò nuovamente<br />
l’area <strong>della</strong> casa, registrando la sco<strong>per</strong>ta di «parte di una medaglia di un mosaico larga<br />
braccia 2 once 6 nella quale resta impresso un cignale, o animale suino» (AMANP, ms. 47, e<br />
<strong>Scavi</strong> di Velleia, 3 [1776-1780], in data 5 settembre 1776). È stata di recente avanzata l’ipotesi<br />
che il proprietario <strong>della</strong> casa del cinghiale, una delle dimore più lussuose <strong>della</strong> città, vada<br />
identificato con il L. Sulpicius Nepos, patrono di <strong>Veleia</strong> e illustre magistrato locale, menzionato<br />
nella stele onoraria con venator proveniente dal foro (<strong>per</strong> questa stele, vedi infra, cap.<br />
II, nota 30): l’emblema con il cinghiale, chiaramente allusivo a spettacoli con cacce, avrebbe<br />
inteso ricordare un munus offerto da Sulpicio alla cittadinanza (Miranda 2002, pp. 123-25).
ono rimessi in luce «su<strong>per</strong>iormente agli scavi, verso mezzogiorno» parte di<br />
un acquedotto89 e alcuni ambienti riscaldati (detti “bagni”), che conservavano<br />
ancora ben leggibili parte delle suspensurae (le «colonnette di cotto parte<br />
rotonde, e parte quadre su pavimento di calcestruzzo sco<strong>per</strong>te in un saggio<br />
sopra la Chiesa»), registrate nel diario di ottobre90 . Ma non sempre i consigli<br />
del Blasi incontravano il favore dell’antiquario di corte, e così quando<br />
propose di abbattere qualche muro <strong>per</strong> scavare più in profondità (secondo<br />
un metodo, di certo, largamente impiegato nei vasti cantieri romani), giunse<br />
immediato il divieto <strong>della</strong> corte di demolire anche una sola struttura<br />
antica91 . I dubbi e le incertezze sull’efficacia delle nuove procedure di scavo<br />
e <strong>per</strong>sino sulla scelta delle aree esplorate non abbandonarono mai del tutto<br />
il Paciaudi, che finì spesso <strong>per</strong> chiedere consiglio all’amico in Francia. Certo,<br />
lo incalzava allora il conte, sarebbe stato utile sa<strong>per</strong>e con esattezza lo<br />
spessore dello strato di terra e pietre che aveva sepolto le rovine, «mais cela<br />
est impossible», concludeva, non senza <strong>per</strong>ò avergli prima dato qualche utile<br />
suggerimento sul modo di sondare il terreno e avergli riconfermato la fiducia<br />
nello scavatore di Roma:<br />
ce qu’il y a de certain, c’est que cette épaisseur est inégale, et c’est pourquoi<br />
je vous avais conseillé l’autre jour de tâter le terrain avec des sondes qui vous<br />
instruiraient du plus ou moins du fouilles et de mines nécessaires; et puisque<br />
vous trouvez des médailles, vous êtes dans cette partie à la su<strong>per</strong>ficie; du<br />
moins n’est pas là le plus fort éboulement. Mais votre affaire est en de bonnes<br />
mains92 .<br />
Rispetto alle sensazionali sco<strong>per</strong>te degli anni precedenti, i ritrovamenti<br />
sembravano avvenire ora in modo sporadico e con risultati non troppo<br />
soddisfacenti. Nella s<strong>per</strong>anza di mettere in luce edifici di rilievo (si cercava,<br />
in particolare, di individuare almeno un tempio, che ancora mancava all’appello<br />
degli edifici pubblici veleiati), si tornò a scavare anche nell’area<br />
del Foro, dove fu sco<strong>per</strong>ta la statua frammentaria in seguito identificata co-<br />
89 Il diario degli scavi del 1763 è registrato in Ms. Parm. 1245 e in AMANP, ms. 46 e <strong>Scavi</strong><br />
di Velleia, 2 (1763).<br />
90 Di questi ambienti parla anche il Paciaudi nella lettera al Caylus del 15 luglio 1763:<br />
«nous avons découvert ... deux chambres avec des étuves, et un double pavé dont le premier<br />
est soutenu par de petites colonnes de terre cuite; mais les murs sont tombés» (Sérieys 1802,<br />
p. 289).<br />
91 «Si rinova l’ordine <strong>per</strong> parte di S.A.R. che né <strong>per</strong> ragione, né <strong>per</strong> pretesto alcuno si ardisca<br />
mai di diroccare alcun muro, né guastare cosa alcuna sco<strong>per</strong>ta», recitava, infatti, una<br />
lettera al Nicelli del 15 luglio 1763 (AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 2).<br />
92 Nisard 1877, I, p. 348, lettera del 19 settembre 1763.<br />
45
46<br />
me Marsia93 , e si aprirono nuovi saggi «qua e là <strong>per</strong> la campagna». Le planimetrie<br />
delle aree indagate venivano regolarmente inviate al Caylus, che<br />
poteva in questo modo partecipare quasi di <strong>per</strong>sona allo scavo e suggerire<br />
(con cognizione di causa) le direzioni di indagine più promettenti e meno<br />
difficoltose94 . Amareggiato dalla modestia dei ritrovamenti, il Paciaudi incrementò<br />
il ritmo delle esplorazioni, che tra il 22 e il 27 ottobre 1763 contarono<br />
ben otto nuovi saggi, con grave rischio <strong>per</strong> la comprensione stessa<br />
dell’intero abitato. Quasi nel tentativo di correre ai ripari, il piacentino Antonio<br />
Colombi, istruito forse dallo scavatore giunto da Roma, propose al<br />
Paciaudi un nuovo piano <strong>per</strong> lo scavo <strong>della</strong> città, un piano di respiro più<br />
ampio, che non mirasse solo al recu<strong>per</strong>o dei re<strong>per</strong>ti antichi più preziosi, ma<br />
che tenesse in giusta considerazione gli elementi utili alla ricostruzione topografica<br />
del sito, uno dei punti che più stavano a cuore anche al Caylus:<br />
In proposito delli scavi mi fo lecito di umilmente esporle il mio debole, ed è<br />
che in facendo saggi qua e là ed omettendo lo scavo regolare come si è fatto,<br />
non avremo neppure le poche cose che si trovavano, <strong>per</strong>ché in una settimana<br />
si faranno due o tre saggi e si abbasseranno 14 o 16 piedi secondo le<br />
situazioni, in alcuno si scoprirà qualche pezzo di muro e <strong>per</strong> accidente qualche<br />
bagatella, in alcun’altro si colpisce sul mezzo di una stanza, e non si tro-<br />
93 Marini Calvani 1975, p. 33 e Eadem 2000, p. 544: il busto, in pietra locale, identificato<br />
tradizionalmente come “Giove ligure”, sarebbe <strong>per</strong> la studiosa una replica del Marsia del<br />
Foro Romano, riprodotto in vari centri romani come simbolo <strong>della</strong> libertà municipale. La<br />
sco<strong>per</strong>ta del busto è registrata in Ms. Parm. 1245, p. 38 (12 settembre 1763), tav. XV ed è<br />
così segnalato in AMANP, ms. 46, alla stessa data: «Nello scavo verso settentrione del cortile.<br />
Un busto di statua intagliata in certa pietra arenosa, e ordinaria, che rappresenta un uomo<br />
di grossa corporatura, a cui manca la fronte, e punta del naso (appoggiato al braccio destro<br />
si è trovata anche parte di un’altra statua di marmo bianco, consistente nella testa, e rotto<br />
collo d’una Femina)».<br />
94 Nell’ottobre del 1763, dopo aver ricevuto dal Paciaudi uno di questi disegni, il Caylus<br />
ad esempio scriveva: «j’ai vu avec plaisir l’élévation de votre terrain. Ce dessin me met en<br />
état de causer avec vous sur vos différentes opérations. Les puits que je vous ai proposés<br />
n’avaient pour objet que de vous indiquer les endroits qui pourraient vous donner le plus<br />
d’espérances au moins de difficultés». Poi, passando ad esaminare i problemi specifici dello<br />
scavo in questione, continuava: «d’ailleurs, quoiqu’il y ait vingt-deux pieds entre le point D<br />
et le plan E, il faut nécessairement aller par là, et les pierres, en tombant, laissent quelquefois<br />
des vides dont vous pourrez profiter. Et si le côté de la montagne devient trop chargé de ruines,<br />
comme je n’en doute pas, vous pourrez avoir des ressources aux endroits C, G, H et I»<br />
(Nisard 1877, I, p. 370, lettera del 24 ottobre 1763): il disegno sottoposto al Caylus non è<br />
oggi più conservato e non è facile dire, con queste indicazioni, quale ambiente o edificio riproducesse;<br />
potrebbe forse trattarsi dell’area occupata dal “bagno” sco<strong>per</strong>to nelle vicinanze<br />
del Castellum aquae (vedi paragrafo seguente) ed effettivamente indagato a partire dall’inizio<br />
di ottobre del 1763.
va niente, ed ecco fatto il lavoro senza alcun profitto; a’ contrario seguitando<br />
lo scavo regolare si ritrova tutto quello che vi puole essere, si leva la topografia<br />
e si mette in pristino li culti terreni, e se ne risparmia il fitto giacché<br />
intenderei che di mano in mano si smantellasse affatto, e tenendosi<br />
sempre avanti una bastante piazza, si facesse ripassare la terra e rotolare li<br />
sassi senza rom<strong>per</strong>li 95 .<br />
In un ambiente nei pressi del foro fu scavato, nel giugno del 1764, un<br />
torso marmoreo di fanciullo avvolto dalle spire di un serpente, un ritrovamento<br />
che fece s<strong>per</strong>are nella sco<strong>per</strong>ta di un nuovo Laocoonte, mentre nell’agosto<br />
del 1765, a pochi giorni dalla chiusura definitiva degli scavi, fu rimessa<br />
in luce, nella terrazza a valle del foro, l’iscrizione dedicatoria Nymphis<br />
et Viribus Augustis 96 ; furono poi recu<strong>per</strong>ati alcuni cammei, un certo numero<br />
di bronzetti ben conservati e qualche altra scultura di sicuro interesse,<br />
ma nulla che potesse competere con le dodici sculture marmoree provenienti<br />
dalla basilica, con la lamina <strong>della</strong> Lex de Gallia Cisalpina e neppure<br />
con le teste bronzee rinvenute nei primi due anni di indagini.<br />
Il canonico Costa, estromesso contro la sua volontà dallo scavo di <strong>Veleia</strong>,<br />
poteva ora godersi la sua rivincita, e non tardò molto a far sentire la sua voce<br />
di rammarico <strong>per</strong> gli infelici risultati delle indagini, e a ribadire la validità<br />
del suo o<strong>per</strong>ato e dei progetti di scavo bruscamente interrotti: «a dirla<br />
schiettamente – scrisse infatti al Paciaudi dopo essere stato informato degli<br />
ultimi ritrovamenti (ed in particolare di quello dell’edificio circolare) – le<br />
sco<strong>per</strong>te fattesi in quest’anno nelle Colline Velejatesi non corrispondono ai<br />
magnifici dissotterramenti fattisi nel 1760 e 1761, ma che <strong>per</strong>ò, attesa la non<br />
interrotta continuazione di que’ fabbricati, ed in vista del nuovamente manifestatosi<br />
circolare muro, danno motivo di s<strong>per</strong>are che poi abbiasi a trovare<br />
qualche che d’interessante, massimamente dalla parte di Mezzodì, verso cui<br />
è sempre stata la opinion mia che si estendesse più magnifico che altrove<br />
quell’abitato» 97 .<br />
La sco<strong>per</strong>ta più interessante degli anni 1763-1765 fu in effetti l’edificio a<br />
95 AMANP, ms. 46, lettera di A. Colombi del 20 settembre 1764.<br />
96 Per questi ritrovamenti, vedi AMANP, ms. 46 e Ms Parm. 1245 (23 giugno 1764, tav.<br />
IV e 28 agosto 1765). Informato <strong>della</strong> sco<strong>per</strong>ta del torso di fanciullo, il Paciaudi aveva probabilmente<br />
avanzato l’ipotesi che si trattasse di un frammento di un gruppo del Laocoonte,<br />
dal momento che il Colombi così lo assicurava a pochi giorni dal ritrovamento: «se il torso<br />
fosse dei figli di Laocoonte avrei la s<strong>per</strong>anza anche <strong>per</strong> il p[ad]re e fratello ...» (AMANP, ms.<br />
46, lettera del 28 giugno 1764). Sull’iscrizione dedicatoria alle Nymphae e alle Vires (CIL XI,<br />
1162), vedi Marini Calvani 1975, p. 39, tav. XVI; Cenerini 1989 e Marini Calvani 2000, pp.<br />
540 e 546 nota 12.<br />
97 BPP, Carteggio Paciaudi, cass. 74 (lettera del Costa del 3 novembre 1763).<br />
47<br />
8
10<br />
11<br />
12<br />
15<br />
48<br />
pianta circolare rinvenuto nella terrazza più alta dell’intero abitato, rimesso<br />
interamente in luce tra la fine del 1763 e la primavera dell’anno seguente e<br />
che presentò agli archeologi settecenteschi non pochi problemi di interpretazione:<br />
fin dal ritrovamento dei primi muri ci si interrogò infatti sulla forma<br />
effettiva <strong>della</strong> pianta (se fosse circolare o ovale) e, soprattutto, sulla destinazione<br />
dell’edificio.<br />
La cronaca dell’esplorazione del monumento è stata ricostruita da Mirella<br />
Marini Calvani 98 che, in base alla meticolosa documentazione settecentesca,<br />
ed in particolare al confronto tra le planimetrie delineate nella prima<br />
campagna del 1763-1764 e quelle relative alla successiva esplorazione dell’edificio,<br />
nel 1779-1780, ha dimostrato come in questo pur breve lasso di<br />
tempo la forma del monumento abbia subìto una sostanziale trasformazione<br />
(da una pianta pressoché circolare si passò a una decisamente ovale), e come<br />
questa alterazione abbia favorito una diversa definizione del monumento,<br />
che da castellum aquae cominciò ad essere interpretato come un anfiteatro<br />
(una definizione che, come vedremo, godrà di una lunga fortuna). I diari<br />
di scavo del 1763-1764, le planimetrie e le assonometrie di quegli stessi anni<br />
non sembrano infatti lasciare dubbi sulla pianta originaria del monumento,<br />
una circonferenza quasi <strong>per</strong>fetta di circa 28 metri di diametro, interrotta da<br />
tre a<strong>per</strong>ture che dovettero suggerire al Paciaudi il confronto con il castellum<br />
dell’Acqua Giulia sull’Esquilino (interpretata, secondo le conoscenze del<br />
tempo, come Aqua Marcia), in cui, in modo forse analogo all’esemplare veleiate,<br />
l’acqua doveva riversarsi da tre a<strong>per</strong>ture in un secondo bacino 99 . Secondo<br />
la Marini Calvani, l’azione franosa del terreno, che fin dai primi mesi<br />
di scavo ostacolò le indagini del cosiddetto “circo”, danneggiando la struttura<br />
e la consistenza dei muri, unita a qualche arbitrario restauro a scopo di<br />
consolidamento e quindi al totale abbandono del monumento al termine<br />
delle prime esplorazioni veleiati, dovette stravolgere i rapporti tra le murature<br />
e compromettere irrimediabilmente la corretta leggibilità <strong>della</strong> pianta<br />
98 Marini Calvani 1973. Documenti relativi agli scavi settecenteschi del monumento si<br />
trovano in AMANP, mss. 46 e 47; <strong>Scavi</strong> di Velleia, 2-3 e ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di<br />
Velleia, b. 20; il diario dello scavo degli anni 1763-1765 è conservato anche nell’anonimo<br />
manoscritto Ms. Parm. 1245, che contiene (alle tavv. XXI e XXII) anche la pianta e l’assonometria<br />
dell’edificio, eseguite nel 1763 (vedi Marini Calvani 1973, tavv. III-IV e anche Marini<br />
Calvani 2000, p. 543). Le piante relative alla campagna del 1776-1780, che da circolare finirono<br />
<strong>per</strong> raffigurare il monumento in maniera inequivocabilmente ellittica, si conservano in<br />
ASP, Mappe e Disegni, vol. 25, nn. 39 e 43 (vedi Marini Calvani 1973, tavv. V e VI e Eadem<br />
1975, tav. V). Sulle prime esplorazioni dell’edificio, vedi anche Albasi e Magnani 2003, pp.<br />
22-23 e Lanza 2003, p. 82.<br />
99 Marini Calvani 1973, pp. 218-19 e 227-29.
originaria, tanto che nel 1779, quando il monumento venne nuovamente indagato<br />
e fu completato lo sterro completo dell’interno, le misure <strong>della</strong> pianta<br />
fornite dal Martelli saranno di circa 34 metri <strong>per</strong> quasi 25 (misure corrispondenti<br />
ai nuovi rilevamenti del 1780): da questo momento in poi la pianta<br />
dell’edificio, sottoposto più volte a restauri che avrebbero finito <strong>per</strong> eliminare<br />
qualsiasi traccia delle murature originali, assumerà la caratteristica<br />
forma ellittica, ancora oggi riconoscibile negli scarsi resti conservati in situ.<br />
La validità dell’interpretazione avanzata <strong>per</strong> primo dal Paciaudi, quella cioè<br />
di castellum aquae, troverebbe secondo la studiosa un’ulteriore conferma<br />
nella presenza, in prossimità del monumento, di un impianto termale registrato<br />
nei diari di scavo settecenteschi, ma in seguito interrato e dimenticato,<br />
che sarebbe stato servito da un acquedotto proveniente proprio dall’adiacente<br />
castellum 100 .<br />
Al Paciaudi fu subito chiaro che la nuova sco<strong>per</strong>ta, la prima davvero significativa,<br />
<strong>per</strong> mole e <strong>per</strong> tipologia edilizia, dall’epoca delle dimissioni del<br />
canonico Costa, rischiava di compromettere, se trascurata o male illustrata,<br />
la sua stessa credibilità di archeologo e, in generale, la buona considerazione<br />
dell’intera campagna veleiate. Più che mai giudicò ora necessario ricorrere<br />
alla consulenza del conte di Caylus, che già in passato gli aveva dato utili<br />
consigli sulle procedure di scavo e lo aveva aiutato nell’interpretazione di<br />
piante ed elevati 101 .<br />
«Je ne puis deviner quel genre de bâtiment vous avez decouvert. Cette<br />
forme circulaire et ce diamètre de plus de cent pieds présentent des difficultés<br />
que je ne crois pas pouvoir résoudre» gli scrisse cauto il Caylus, in attesa<br />
di ricevere la pianta dell’edificio 102 . Il Paciaudi, che ancora non sapeva risolversi<br />
se «fosse Circo, Stadio o Tempio» la struttura dal muro circolare che si<br />
andava allora scoprendo, aveva in un primo tempo s<strong>per</strong>ato di essersi imbat-<br />
100 Il Paciaudi nella sua Memoria su <strong>Veleia</strong> (edita in francese sulla Gazette Littéraire de<br />
l’Europe: vedi infra cap. II) elencava, tra i monumenti pubblici dell’antica città, «un comodissimo<br />
bagno... vicino a questo Castello, che forse era <strong>per</strong> uso pubblico» (vedi Marini Calvani<br />
1973, p. 219). Anche il Blasi era dell’opinione di avere sco<strong>per</strong>to «un sito ove si facevano<br />
i bagni»; nell’ottobre del 1763 vennero scavati in quest’area un ambiente con suspensurae,<br />
che restituì diverse lastre di portasanta e altri marmi pregiati e resti di un acquedotto<br />
(AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 2, lettera del Martelli del 24 ottobre 1763). L’interpretazione del<br />
monumento data dalla Marini Calvani non è tuttavia condivisa da tutti gli studiosi e di recente<br />
si è riacceso il dibattito sulla sua funzione: vedi Miranda 2002 p. 122, nota 43; Arrigoni<br />
Bertini 2003, p. 449 e soprattutto Lanza 2003, p. 82, con bibliografia.<br />
101 Nell’ottobre del 1763, ad esempio, il Caylus si rallegrò con il Paciaudi <strong>per</strong> il buon risultato<br />
ottenuto con alcuni saggi di scavo eseguiti dietro suo consiglio (Nisard 1877, I, pp.<br />
363 e 367).<br />
102 Nisard 1877, I, p. 382 (lettera del 4 dicembre 1763).<br />
49<br />
15
50<br />
tuto proprio in un edificio <strong>per</strong> spettacoli, ingannato forse dai dati ancora incerti<br />
e provvisori sulle reali dimensioni <strong>della</strong> struttura: ««votre dernière fouille<br />
me fait grand plaisir; mais cette portion circulaire s’est donc trouvée<br />
avoir plus de cent pieds de diamètre, puisque vous la déclarez aujourd’hui<br />
grand cirque?» 103 gli scrisse infatti il Caylus, incuriosito e forse un po’ scettico<br />
sull’interpretazione avanzata dall’amico. Ma il Caylus, questa volta, non<br />
fu il solo ad essere messo al corrente <strong>della</strong> nuova sco<strong>per</strong>ta: in via del tutto<br />
eccezionale venne coinvolto nella discussione anche il Mariette104 e il Paciaudi<br />
si spinse <strong>per</strong>sino ad interpellare il nuovo astro nascente <strong>della</strong> scienza<br />
archeologica, quel Winckelmann che lo aveva conquistato con la vasta erudizione<br />
e, ancor più, con l’assoluta novità dei suoi giudizi e del metodo di<br />
indagine. Dobbiamo pensare che, nel tentativo di salvaguardare la segretezza<br />
dello scavo, il Paciaudi abbia fornito al collega tedesco poche e vaghe informazioni<br />
sull’edificio appena sco<strong>per</strong>to, e <strong>per</strong>sino sulla sua esatta localizzazione<br />
all’interno dell’abitato, tanto che il Winckelmann propose di interpretare<br />
l’edificio addirittura come un ustrinum:<br />
io dubito di potere disimpegnarmi con onore nell’enimma propostomi, dovendosi<br />
in materia di fabbriche antiche fare l’esame sulla faccia del luogo<br />
medo; ma <strong>per</strong> uscirne con qualche soluzione, sottometto il seguente parere<br />
al Vostro savio discernimento.<br />
Se il sito lo <strong>per</strong>mette, cioè, se la fabbrica può essere supposta situata fuori<br />
<strong>della</strong> Città, non dovrebbe essere lontano dal vero, che fosse Ustrina s. Ustrinum<br />
de’ Vellejati, dove abbruciarono i cadaveri de’ loro morti, e la forma<br />
meda vi corrisponde. [...] Essendo <strong>per</strong>ò la supposta Ustrina de’ Vellejati non<br />
molto spaziosa, e come dimostra lo stradello, unita con altr’edifizio, mi sentirei<br />
inclinato a credere, che fosse l’Ustrina privata d’una famiglia cospicua<br />
giunta al suo sepolcro105 .<br />
Interpretazione degna d’attenzione <strong>per</strong> il Paciaudi, ma che non convinse<br />
affatto il Caylus, <strong>per</strong> il quale la strada o canale di comunicazione e le due<br />
a<strong>per</strong>ture dell’edificio dovevano escludere questa possibilità («je ne doute<br />
pas que vous ne trouviez des preuves encore plus claires de votre conditorium,<br />
et j’espère que vous me les donnerez. Cependant votre puits me paraît<br />
103 Nisard 1877, I, p. 390.<br />
104 Con una lettera del 12 dicembre 1763, il Caylus informava il Paciaudi che avrebbe<br />
messo a conoscenza del nuovo edificio velleiate il solo Mariette (Nisard 1877, I, p. 391). Già<br />
nel dicembre del 1761 il Caylus aveva proposto al ministro Du Tillot di ammettere il Mariette<br />
nel «petit conseil» parigino, incaricato di valutare i progressi degli scavi di <strong>Veleia</strong> (vedi Nisard<br />
1877, I, p. 276 e Bédarida 1928, pp. 263-65).<br />
105 Winckelmann Lettere, pp. 234-35 (lettera al Paciaudi del 7 gennaio 1764).
difficile à arranger ainsi que les deux entrées et votre rue, puisque rue il y<br />
a») 106 . Il Caylus aveva delle buone ragioni <strong>per</strong> rifiutare l’interpretazione del<br />
Winckelmann, ma in questa vicenda dovette entrare in gioco anche l’ostilità<br />
che il conte nutriva nei confronti dell’antiquario tedesco, del quale (proprio<br />
all’epoca del ritrovamento del presunto ustrino) cominciò a mettere <strong>per</strong>sino<br />
in dubbio le competenze storico-artistiche107 . Ma il conte, forte dell’opinione<br />
del Mariette, non riusciva nemmeno ad accettare l’interpretazione del<br />
monumento come “circo” e <strong>per</strong> primo avanzò l’ipotesi di un monumento<br />
destinato alla raccolta dell’acqua, un castellum aquae, appunto, aprendo la<br />
strada a quella linea interpretativa che, come abbiamo visto, è ancora oggi la<br />
più seguita:<br />
Je vous renvoie les dessins de votre dernière fouille. Je ne puis me résoudre à<br />
leur donner le nom de cirque; Mariette y connaît encore moins que moi,<br />
quoiqu’il pense qu’il n’est pas possible de donner ce grand nom à un pareil<br />
monument. Je <strong>per</strong>siste toujours à le regarder ou comme une citerne ou comme<br />
un réservoir. Il faut d’abord en trouver le fond, ensuite examiner les pentes,<br />
et suivre ou la décharge ou la conduite qui amenait les eaux. Cette recherche<br />
pourra peut-être rendre raison des ouvertures presque parallèles, et<br />
qui cependant ne sont pas vis-à-vis l’une de l’autre. Enfin je ne désespère pas<br />
que l’examen du local et les recherches ne nous donnent un éclaircissement<br />
que la vue du dessin ne peut absolument pas nous fournir108 .<br />
Le insistenze con cui il Caylus raccomandava di indagare a fondo il terreno<br />
di scavo, fino a raggiungere l’antico piano di calpestio, spinsero il Paciaudi<br />
ad ordinare l’a<strong>per</strong>tura di nuovi saggi che collegassero le due a<strong>per</strong>ture<br />
dell’edificio circolare, incrociandosi nel mezzo: il teatino non riusciva a risolversi<br />
tra le due diverse interpretazioni suggerite dal Caylus e dal Winckelmann,<br />
pur non nascondendo una certa preferenza <strong>per</strong> quest’ultima 109 , e<br />
106 Nisard 1877, I, p. 423; sulla questione del supposto ustrinum o conditorium di <strong>Veleia</strong>,<br />
vedi anche Nisard 1877, I, pp. 414 e 417.<br />
107 «Je suis content de lui par rapport à Herculanum, mais je continue à ne pas l’être de<br />
la façon dont il traite des arts, et je soutiens, entre nous deux au moins, qu’il s’en échauffe,<br />
mais ne les entend pas véritablement», confiderà infatti al Paciaudi alla fine di gennaio del<br />
1764 (Nisard 1877, I, p. 410).<br />
108 Nisard 1877, I, p. 401, lettera al Paciaudi del 15 gennaio 1764.<br />
109 È evidente, dal tono <strong>della</strong> corrispondenza tra i due amici, che il Paciaudi cercava di<br />
convincere il Caylus <strong>della</strong> validità dell’ipotesi avanzata dal Winckelmann, pur non essendo<br />
neppure lui del tutto soddisfatto di questa interpretazione: «j’etais bien sûr que vous aviez<br />
des raisons convaincantes pour l’un ou l’autre sentiment, d’un réservoir ou d’un ustorium.<br />
Les preuves que vous avez du dernier sont si claires qu’elles vous fourniront des choses fort<br />
agréables à dire, d’autant qu’on n’a pas fréquemment rencontré ces monuments» gli scriverà<br />
51<br />
11
52<br />
s<strong>per</strong>ava di risolvere i suoi dubbi con uno scavo più accurato. Il taglio in profondità<br />
<strong>per</strong>mise infatti di individuare la presenza diffusa di «certa creta come<br />
depositata dall’acqua» e di constatare che tutti gli acquedotti, ad eccezione<br />
di uno, avevano origine da quello stesso edificio, confermandone così<br />
la funzione di castellum aquae suggerita dal Caylus110 .<br />
Era giunto, dunque, il momento di aggiornare il Winckelmann sullo stato<br />
delle sco<strong>per</strong>te e nella risposta dello studioso si respira tutta la tensione<br />
che questa vicenda aveva fatto nascere, indizio evidente, e probabilmente<br />
non isolato, dei profondi contrasti metodologici che opponevano i due celebri<br />
antiquari stranieri:<br />
io vi rendo infinite grazie dell’avviso datomi sopra l’equivoco preso nell’accennar<br />
quel che mi communicaste. La cosa pareami innocente e non tale che<br />
potesse offendere, e o sia Ustrinum o Castello d’acqua era ugualmente di<br />
pubblico interesse rimanerne informato. Mi spiacerebbe se avessi commesso<br />
errore in un punto di erudizione e molto più nel modo di argomentare, ma<br />
le mura vecchie alle volte sono di si fatta forma, che se ne può fare quel che<br />
si crede. Se mai venisse a mia notizia, che quel straccio fosse <strong>per</strong> tradursi, ne<br />
farei togliere quel che tocca Velleja111 .<br />
il Caylus nel luglio del 1764, quasi ad incoraggiare le s<strong>per</strong>anze dell’amico di trovare un monumento<br />
così scarsamente attestato nel mondo romano, quale era appunto un ustrinum (vedi<br />
Nisard 1877, II, p. 25, lettera del 16 luglio 1764).<br />
110 AMANP, ms. 46, lettera di Antonio Colombi al Paciaudi del 28 giugno 1764: «Si è di<br />
già terminato nel Circo il taglio fatto in croce, come fu ordinato dal S. Commi.o ed in esso si<br />
è ritratta ben la metà <strong>della</strong> terra che esiste e sotto da certo piano nel medesimo da <strong>per</strong> tutto<br />
vi si trova certa creta come depositata dall’acqua e più sotto grossi macigni confusamente, di<br />
più tutti l’acquedotti sco<strong>per</strong>ti toltone uno, tendono a questa parte onde io anch’io lo stimerei<br />
ad uso d’acque». Una pianta dell’edificio circolare con il “taglio fatto in croce” ordinato<br />
dal Paciaudi si conserva in AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 3, allegata ad una lettera del Colombi<br />
del 5 luglio 1764, in cui si descrive lo scavo di «una camera, o bagno» vicino all’edificio circolare<br />
(lettera “e” dell’annesso disegno).<br />
111 Winckelmann Lettere, p. 263, lettera al Paciaudi del 21 maggio 1766. Nel 1764 il<br />
Winckelmann aveva parlato di questa sco<strong>per</strong>ta nella lettera ad Enrico Füessly di Zurigo, intitolata<br />
“Notizie sulle sco<strong>per</strong>te di Ercolano”: «in occasione di questi sepolcri, non parrà inopportuno<br />
il far menzione di uno spazio rotondo e cinto di muro, che venne sco<strong>per</strong>to verso la<br />
fine del 1763 nella antica distrutta città di Velleja nel ducato di Piacenza. Il diametro di questo<br />
luogo chiuso è di circa cento piedi parigini, ed il muro che è formato da grosse pietre<br />
quadrate, è alto circa quattro piedi. Vi sono due ingressi uno dirimpetto all’altro, ma senza<br />
alcuna traccia di porte: un terzo ingresso <strong>per</strong>ò il quale, come una stretta strada chiusa fra<br />
due muri conduce a quel luogo, ha una soglia di porta. Presso ad un altro ingresso v’è una<br />
specie di pozzo quadrato di muro. Questo luogo serviva probabilmente ad abbruciare i cadaveri,<br />
e mediante il detto accesso fra due muri sarà stato unito ad un sepolcro» (Winckelmann<br />
O<strong>per</strong>e, VII, p. 261).
Anche se coinvolto nell’interpretazione degli edifici veleiati e impegnato<br />
a discutere con il Paciaudi i modi <strong>per</strong> documentare l’esatta topografia del sito,<br />
il Caylus non si era certo dimenticato dei motivi che lo avevano spinto<br />
ad occuparsi di questo scavo e che ora lo invogliavano a seguire (e a guidare)<br />
ogni mossa del teatino: mi riferisco alla ricerca di nuovo materiale utile a<br />
indagare i processi di fabbricazione e le tecniche di lavorazione degli Antichi,<br />
ricerca che, nel caso di <strong>Veleia</strong>, si faceva ancor più interessante ed efficace<br />
proprio in virtù <strong>della</strong> provenienza da scavo del materiale, elemento a favore<br />
<strong>della</strong> sua autenticità e <strong>per</strong>sino, in molti casi, <strong>della</strong> sicura attribuzione<br />
ad un preciso contesto monumentale 112 .<br />
Il conte cercò, dunque, di ripristinare la pratica degli invii di frammenti<br />
antichi avviata all’epoca <strong>della</strong> direzione Costa («souvenez-vous, quand vos fouilles<br />
seront en train, de m’envoyer les guenilles, comme a fait M. de Costa»)<br />
113 , convinto che l’es<strong>per</strong>ienza del Paciaudi e la meticolosità delle ricerche<br />
gli avrebbero garantito un notevole avanzamento nelle sue ricerche. Ma <strong>per</strong><br />
l’antiquario <strong>della</strong> corte di Parma, tutto impegnato a ricostituire la raccolta ducale<br />
di antichità, <strong>Veleia</strong> fu sempre e solo una fonte di rifornimento dei re<strong>per</strong>ti<br />
destinati ad arricchire la collezione parmense, e anche se rappresentò un interessante<br />
caso di recu<strong>per</strong>o archeologico di un antica città romana, utile <strong>per</strong> le<br />
conoscenze storiche e antiquarie del territorio, non fu mai un cantiere <strong>per</strong> lo<br />
studio del materiale comune. Gli oggetti che il Paciaudi si ostinava ad inviare<br />
a Parigi, alcuni bronzetti di buona fattura e di ottima conservazione, sarebbero<br />
andati bene <strong>per</strong> un cabinet di tipo tradizionale, ma poco servivano alle esigenze<br />
del conte: «vous sentez bien que ces objets ne peuvent être d’une grande<br />
ressource» gli faceva allora notare il Caylus, ringraziandolo <strong>per</strong> gli omaggi<br />
che il più delle volte era costretto a rimandare indietro e che non poteva neppure<br />
pubblicare nel suo Recueil, <strong>per</strong>ché non corrispondevano alla tipologia<br />
che aveva scelto <strong>per</strong> quest’o<strong>per</strong>a 114 . Il Paciaudi ci teneva a ricambiare degnamente<br />
i favori del conte, ma era anche interessato a pubblicizzare la ricchezza<br />
e l’eccezionalità dei ritrovamenti veleiati e <strong>per</strong> nulla al mondo avrebbe acconsentito<br />
a presentare i risultati degli scavi sotto forma di un insieme di vetri rotti,<br />
di bronzi informi o di frammenti ceramici, proprio il tipo di materiale che il<br />
Caylus intendeva pubblicare. Del resto, non era stato lo stesso Filippo di Borbone<br />
a nominare il conte “maître” e “feudataire” di <strong>Veleia</strong>, mettendogli addi-<br />
112 A proposito dei campioni antichi che s<strong>per</strong>ava di ottenere dallo scavo veleiate, il Caylus<br />
scriveva infatti al Paciaudi: «je les désire d’autant plus d’une fouille comme la vôtre<br />
qu’elle est authentique et que les morceaux de ce genre peuvent aisément se confondre avec<br />
des morceaux modernes» (Nisard 1877, I, p. 367, lettera del 14 ottobre 1763).<br />
113 Nisard 1877, I, p. 329 (lettera del 27 giugno 1763).<br />
114 Nisard 1877, I, p. 336.<br />
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3<br />
3,4<br />
5<br />
4<br />
54<br />
rittura a disposizione le statue, le colonne e tutte le antichità provenienti dallo<br />
scavo? 115 Il Paciaudi non poteva di certo essere da meno del suo signore:<br />
guardandosi bene dall’alienare i marmi e gli oggetti più preziosi, pensò di spedirgli<br />
la celebre statuetta bronzea di Vittoria, trovata fin dal 1760 nell’area del<br />
foro e subito diventata uno dei simboli dell’antica città.<br />
Que pourrais-je dire sur une Victoire? d’autant que j’en ai rapporté deux qui<br />
faisaient partie d’une petite emplette que M. du Tillot a eu la bonté de faire<br />
pour moi, il y a quelques années. Je ne pourrais me sauver que par une plaisanterie<br />
qui ne serait même pas trop bonne, en disant que Véleia était la ville<br />
la plus victorieuse du monde116 gli risponderà allora il Caylus, rifiutando il pezzo (che infatti rimase a Parma),<br />
come in seguito cercherà di rifiutare alcuni bronzetti di bella patina e<br />
buona conservazione, ma a suo avviso inutili, che il Paciaudi gli continuava<br />
a mandare <strong>per</strong>ché ne traesse delle nuove tavole <strong>per</strong> il suo Recueil 117 . L’incomprensione<br />
tra i due era, su questo punto, totale: «le Père Paciaudi ne<br />
peut il pas tout simplement faire ce qu’a fait le signor Conte di Costa?» 118 gli<br />
chiese provocatoriamente il Caylus nell’ottobre del 1763, ben sapendo che il<br />
Paciaudi non era il tipo da eseguire alla lettera e in modo acritico (come, in<br />
115 Sérieys 1802, p. 296: «écrivez de ma part à M. de Caylus que je l’aime de tout mon coeur,<br />
et que je suis touché des amitiés qu’il a pour moi; que je voudrais bien faire quelque chose<br />
pour le convaincre de ma reconnoissance; et qu’il est le maître, le feudataire de Velleja;<br />
qu’il en dispose comme il veut. Mes statues, mes colonnes, mes antiquités sont à lui»: questo<br />
celebre brano, assai illuminante sulla posizione del Caylus nella vicenda veleiate, è stato più<br />
volte citato negli studi sugli scavi di <strong>Veleia</strong> (cfr. ad es. D’Andria 1970, p. 8, nota 17).<br />
116 Nisard 1877, I, p. 348 (lettera del 19 settembre 1763). Vedi anche Babelon 1928, p. 26.<br />
117 Vedi ad es. Sérieys 1802, p. 292. Una scelta dei materiali inviati dal teatino a Parigi<br />
(soprattutto bronzetti figurati, tra cui le Vittorie di cui parla il Caylus nella sua lettera al Paciaudi)<br />
fu in effetti pubblicata dal Caylus nel Recueil (vol. IV, pp. 182-86, tav. LIX, edita anche<br />
in Raspi Serra 1992-1993, p. 145, fig. 13, ma con l’errata attribuzione dei pezzi ad Ercolano;<br />
vol. VI, pp. 306-07, tav. XCVIII; vol. VII, pp. 205-09, tavv. LIV e LV); si tratta, in alcuni<br />
casi, di bronzetti di dubbia autenticità, come una Vittoria alata probabilmente realizzata<br />
nel Settecento a imitazione di un bronzetto pompeiano (D’Andria 1970, n. 12), ma anche di<br />
pezzi di pregio, come il bronzetto di Satiro inginocchiato di derivazione ellenistica ancora<br />
oggi conservato, insieme agli altri bronzetti veleiati donati al Caylus, nel Cabinet des Médailles<br />
<strong>della</strong> Bibliothèque Nationale di Parigi (D’Andria 1970, n. 17): <strong>per</strong> l’elenco dei bronzetti<br />
veleiati migrati a Parigi, vedi Babelon 1900, pp. 221-23, n. 422 (Satiro) e 677-685 (Vittorie);<br />
Babelon 1928, pp. 26-28 e cat. nn. 1, 5, 18 e D’Andria 1970.<br />
118 Nisard 1877, I, p. 362 (lettera del 10 ottobre 1763). Nel novembre dello stesso anno il<br />
Caylus dichiarava, sconsolato, al Paciaudi: «je vois donc jusqu’ici que vous avez mal fait ma<br />
commission, puisque, dans la verité, je ne vous demandais que des matières rompues, inutiles,<br />
qui pouvaient me conduire à l’examen de leur procédé chimique» (Nisard 1877, I, p. 376).
A.C.P. Conte di Caylus, Recueil, IV, tav. LIX, particolare. Bronzetto di Vittoria.<br />
55
2<br />
56<br />
un certo senso, aveva fatto il Costa) le sue richieste, ma ciò che finì <strong>per</strong> amareggiare<br />
l’ormai vecchio antiquario francese era la consapevolezza di non essere<br />
riuscito a convincere l’amico dell’utilità e <strong>della</strong> piena dignità scientifica<br />
delle sue ricerche.<br />
Al Caylus premeva soprattutto di avere qualche campione di ceramica<br />
veleiate, da confrontare con alcuni esemplari trovati proprio in quegli anni<br />
nella Francia meridionale: aveva infatti notato una somiglianza tra la produzione<br />
di una manifattura dell’antica Nîmes e alcuni frammenti inviatigli dal<br />
Costa, che il Caylus contava ora di pubblicare nel suo Recueil, «car c’est<br />
toujours parler de Véleia, à laquelle je m’interesse pour toutes les raisons<br />
modernes qui peuvent déterminer un homme reconnoissant et qui<br />
pense» 119 . Il conte aveva infatti in progetto di comporre un’o<strong>per</strong>a sulle antichità<br />
romane <strong>della</strong> Francia meridionale, servendosi dei disegni fatti anni prima<br />
dal Mignard e che il Caylus aveva da poco acquistati dalla vedova dell’artista<br />
<strong>per</strong> trarne delle incisioni. L’o<strong>per</strong>a doveva, nelle sue intenzioni, essere<br />
una continuazione del voluminoso studio del Desgodetz sugli edifici antichi<br />
di Roma, edito a Parigi nel 1682 120 . Il progetto, che avrebbe <strong>per</strong>messo al<br />
Caylus di partecipare più attivamente a con miglior agio all’esame dei monumenti,<br />
aveva anche lo scopo di rivalutare le antichità nazionali, secondo<br />
un principio che tanto seguito avrebbe trovato nel secolo successivo. Lo studio<br />
delle testimonianze archeologiche delle antiche popolazioni galliche lo<br />
spinse a guardare anche al di fuori dei confini francesi, allo scopo di individuare<br />
direttrici di espansione e contatti culturali con il nord Italia: si era in-<br />
119 Nisard 1877, I, p. 350, lettera del 19 settembre 1763. Il Caylus, come abbiamo visto,<br />
illustrò i frammenti ceramici di <strong>Veleia</strong> nel VI volume del Recueil (pp. 319-22, tav. CII), ponendoli<br />
a confronto con alcuni esemplari di una officina romana di Nîmes, di cui fin dal<br />
1756 aveva studiato e pubblicato diversi campioni (vedi Caylus Recueil, II, pp. 350-63, tavv.<br />
CII-CVI e VI, pp. 336-38, tav. CVI).<br />
120 A. Desgodetz, Les Edifices antiques de Rome dessinés et mesurés très exactement, Paris<br />
1682. Il Caylus aveva discusso di questo progetto anche con il Paciaudi fin dal maggio<br />
1763 (vedi Nisard 1877, I, p. 310), e poi nuovamente, con molti più dettagli, nel febbraio<br />
del 1765 (Nisard 1877, II, p. 85): l’o<strong>per</strong>a era il frutto <strong>della</strong> collaborazione tra il Caylus, che<br />
si riservava di scrivere l’introduzione, e il Mariette, vero e proprio curatore del volume; il<br />
Caylus intendeva dedicare il lavoro finito alla memoria del ministro Colbert, ideatore di un<br />
primo progetto di pubblicazione delle antichità <strong>della</strong> Francia meridionale (poi interrotto alla<br />
sua morte) e committente dei disegni eseguiti dal Mignard. Solo dopo la morte del Caylus,<br />
il Paciaudi verrà informato dal Mariette del fallimento anche del secondo progetto,<br />
quello intrapreso su iniziativa del conte, a causa <strong>della</strong> dimostrata inesattezza dei disegni del<br />
Mignard che, se pubblicati, avrebbero inficiato il valore scientifico dell’intera o<strong>per</strong>a (Nisard<br />
1877, II, pp. 337 e 340). Su questa fallita iniziativa del Caylus, vedi Ridley 1992, p. 363<br />
e Castor 2002, in part. p. 42.
fatti interessato alle recenti sco<strong>per</strong>te presso l’antica Tannetum 121 , procurandosi<br />
(grazie al Du Tillot) le Notizie storico-apologetiche dell’antico Taneto,<br />
con una succinta e vera descrizione <strong>della</strong> prima venuta de’ Galli in Italia, del<br />
conte Giannantonio Liberati 122 , e qualche informazione in più su <strong>Veleia</strong> gli<br />
sarebbe stata, anche <strong>per</strong> questo motivo, assai preziosa.<br />
Nonostante le prevedibili incomprensioni e qualche divergenza di opinione,<br />
il Caylus rimase sempre <strong>per</strong> il Paciaudi il principale referente degli<br />
scavi. Alla fine del 1763, dopo una campagna dispendiosa e ben poco soddisfacente,<br />
almeno in termini di re<strong>per</strong>ti rinvenuti, il Paciaudi decise di pianificare,<br />
secondo nuove strategie di intervento, le campagne successive 123 . Il<br />
nuovo piano verrà sottoposto al giudizio del Caylus e sembra decisamente<br />
risentire dei consigli del conte: pur non trascurando la prospettiva di aprire<br />
nuovi saggi, nella s<strong>per</strong>anza di incontrare un «terreno meno ingrato», il Paciaudi<br />
si proponeva di continuare le esplorazioni condotte fino a quel momento<br />
<strong>per</strong> completare la carta topografica dell’antica città, o<strong>per</strong>azione che<br />
(come gli ricordava continuamente il Caylus) costituiva uno degli obiettivi<br />
principali dell’intera impresa veleiate. A questo scopo, il Paciaudi decise di<br />
incaricare dei rilievi un nuovo disegnatore, il parmigiano Pietro Martini,<br />
giovane allievo del pittore di corte Giuseppe Baldrighi, che ebbe anche il<br />
compito di redigere, secondo criteri più scientifici dettati dallo stesso teatino,<br />
anche le tavole dei materiali che venivano via via riportati alla luce. Per<br />
ragioni di economia venne licenziato Giacomo Nicelli, così che la sorveglianza<br />
dello scavo rimase affidata al solo Martelli («più prattico e attivo»),<br />
mentre la <strong>per</strong>manenza degli scavatori romani rimase vincolata all’esito <strong>della</strong><br />
campagna 124 .<br />
È noto che, nonostante questi accorgimenti e a dispetto di ogni ricerca, i<br />
risultati delle due ultime campagne di scavo sembrarono agli occhi del Paciaudi,<br />
e soprattutto a quelli <strong>della</strong> corte, ben poca cosa a confronto delle<br />
enormi spese necessarie <strong>per</strong> il loro mantenimento, e così alla fine di agosto<br />
121 Su questo abitato, vedi ora Lippolis 2000, con bibliografia precedente.<br />
122 Vedi Nisard 1877, I, p. 362, nota 3.<br />
123 Nella Memoria dello scavo del 1763, inviata al Du Tillot, il Paciaudi così riassumeva il<br />
risultato dell’intera campagna: «sembra evidente che le cose di Velleja esigano un nuovo piano.<br />
Come sarebbe poco plausibile l’abbandonare interamente quella impresa, così è ridicolo<br />
continuarla con tanto dispendio, quando tutto ne dimostra l’inutilità. Il risultato di tutto il<br />
1763 non ascende al valore di otto zecchini. [...] Le s<strong>per</strong>anze di trovare in avvenire cose le<br />
quali pel loro merito e pregio compensino le spese sono assai incerte» (ASP, Istruzione Pubblica.<br />
<strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20).<br />
124 ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20, Memoria del Paciaudi scritta sull’uscire<br />
dell’anno 1763.<br />
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58<br />
del 1765 il primo ciclo di esplorazioni veleiati venne definitivamente sospeso,<br />
ma già da alcuni mesi il Paciaudi doveva avere smesso di occuparsi attivamente<br />
dei lavori, tanto che fin dall’aprile del 1765 il Caylus (quasi condividendo<br />
il sollievo dell’amico) gli arrivò a scrivere: «vous voilà donc dégagé<br />
des embarras de Véleia» 125 . Di lì a poco si sarebbe bruscamente interrotta,<br />
<strong>per</strong> la morte del Caylus, anche la lunga corrispondenza tra i due amici: a ricordo<br />
<strong>della</strong> partecipazione dell’ormai vecchio e malato antiquario all’impresa<br />
veleiate rimase, nelle raccolte ducali, un dipinto su marmo, realizzato con<br />
«sangue di drago» e riproducente <strong>Veleia</strong> che risorge dalle sue rovine, un<br />
omaggio fatto al duca a celebrazione delle prime fortunate sco<strong>per</strong>te e, insieme,<br />
un saggio dimostrativo (sul modello dei celebri monochromata ercolanesi)<br />
delle sue ultime ricerche sulle tecniche artistiche degli Antichi 126 .<br />
4. Le campagne del 1776-1781: gli ultimi scavi settecenteschi a <strong>Veleia</strong><br />
Il Paciaudi, <strong>per</strong> la verità, non si era affatto liberato degli impegni veleiati.<br />
Dopo un decennio <strong>per</strong> lui difficilissimo, che aveva visto la caduta del ministro<br />
Du Tillot, favorita dalla nuova duchessa Maria Amalia, interessata a<br />
condurre il ducato sotto l’influenza austriaca, il suo forzato allontanamento<br />
dalla direzione del museo e <strong>della</strong> biblioteca Palatina (a vantaggio del rivale<br />
di sempre, il padre Andrea Mazza) e infine l’esilio volontario a Torino, sua<br />
125 Nisard 1877, II, p. 120, lettera del 30 aprile 1765.<br />
126 Si tratta quasi certamente del «morceau de marbre» donato all’Infante don Filippo<br />
da parte del Caylus nel 1763 (vedi Nisard 1877, I, p. 298 e Sérieys 1802, p. 291) e visto, all’Accademia<br />
di Belle Arti di Parma, dallo spagnolo Juan Andrés nel 1791 (vedi infra, cap.<br />
IV, Append. 18). Il dipinto, con l’indicazione del soggetto, è ricordato nella Guida del Forestiere<br />
edita dal De Lama nel 1824 (De Lama 1824a, p. 161). Il quadretto, dipinto su una lastra<br />
di marmo bianco di cm 32,5 x 21, è ancora segnalato nel Registro del materiale archeologico,1<br />
(inv. P 5), del Museo Archeologico di Parma, redatto in occasione <strong>della</strong> nuova sistemazione<br />
del materiale del 1965: a questa data la pittura era <strong>per</strong>ò già poco leggibile; non<br />
sono riuscita a determinare la collocazione attuale del pezzo. Poco prima di morire il Caylus<br />
aveva concentrato le sue energie nello studio <strong>della</strong> pittura a monocromo su marmo, nel<br />
tentativo di riproporre la tecnica attestata nei celebri monochromata marmorei rinvenuti ad<br />
Ercolano. Il risultato delle sue ricerche venne reso noto nelle «Mémoires de l’Académie des<br />
Belles Lettres» (vol. XXV) e nel VII volume (apparso postumo nel 1767) del Recueil (p.<br />
185, tav. XLII). Per queste ricerche, vedi anche Sérieys 1802, appendice 2, pp. 327-42. In<br />
occasione <strong>della</strong> commemorazione funebre del Caylus, tenuta all’Accademia di Belle Arti di<br />
Parma nel 1768, non si mancò di ricordare l’omaggio fatto all’Infante del quadretto marmoreo,<br />
prova evidente delle conquiste tecniche raggiunte in questo campo dal celebre antiquario<br />
(Pellegri 1980, p. 120).
città natale, fino al febbraio del 1778, quando venne richiamato a Parma dal<br />
giovane duca don Ferdinando e ufficialmente reintegrato in tutti i suoi precedenti<br />
incarichi 127 , l’ormai anziano teatino si trovò nuovamente a fronteggiare<br />
l’impegno di uno scavo in un terreno accidentato e ingrato, quale era<br />
stato negli ultimi anni quello di <strong>Veleia</strong>.<br />
Nell’agosto del 1776, quando ancora il Paciaudi si trovava a Torino, era<br />
stato inaugurato, con gli auspici del nuovo duca e sotto la direzione del<br />
Mazza, il secondo ciclo di esplorazioni veleiati. La prima campagna ebbe un<br />
inizio fortunato, con la sco<strong>per</strong>ta, avvenuta a settembre dello stesso anno, di<br />
un importante gruppo di bronzetti figurati, di cui facevano parte il Dioniso,<br />
un Togato e altri tre statuette probabilmente riconoscibili nel piede di mobile<br />
con Guerriero in combattimento (descritto come Marte propugnator), nel<br />
celebre bronzetto dell’Alessandro con la lancia (ritenuto all’epoca un Apollo)<br />
e nel piccolo busto di Loricato sorgente da un calice di foglie 128 , pezzi<br />
che riscossero subito l’ammirazione degli studiosi e che non mancarono di<br />
attirare gli elogi dei viaggiatori (molti dei quali, incuriositi dalla ria<strong>per</strong>tura<br />
127 Sulle travagliate vicende che seguirono la morte del duca Filippo di Borbone (luglio<br />
1765), ed in particolare sulla accesa rivalità <strong>per</strong>sonale e scientifica tra il Paciaudi e il Mazza,<br />
vedi Nisard 1877, I, p. lxxxi-xci e Pelagatti 1995, pp. 325-27.<br />
128 I diari di scavo <strong>per</strong> gli anni 1776-1780 si conservano in AMANP, ms. 47; <strong>Scavi</strong> di Velleia,<br />
3 e ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20. La sco<strong>per</strong>ta dei bronzetti è registrata<br />
in data 6 settembre 1776 «nell’area laterale alla Chiesa, verso Sud»: il bronzetto di togato<br />
è indicato in ASP, cit. come “togato giovine” e confrontato con un analogo bronzetto, all’epoca<br />
conservato nel museo del re di Prussia («trovasene uno molto somigliante nel Museo<br />
del Re di Prussia [Begero, Thesauri Brandeburgici, III, p. 356 = sacrificatore]. Può ben essere<br />
in tale abito il figlio di alcun Im<strong>per</strong>atore»), mentre in AMANP, ms. 47 è erratamente descritto<br />
come “Vestale”: potrebbe trattarsi del bronzetto di Togato oggi esposto nel Museo<br />
Archeologico di Parma, di cui già nel 1760 era stata rinvenuta la basetta circolare (pubblicata<br />
in Costa ms. 1246, tav. XLV, 3). Il bustino virile (descritto come “uomo giovane” o “Im<strong>per</strong>atore”<br />
nei diari di scavo) potrebbe identificarsi nel busto di loricato nascente da calice di<br />
foglie, ancora conservato a Parma. L’Alessandro è descritto come “Febo con testa coronata a<br />
ghirlanda, con il braccio destro alzato in atto di avere qualche attributo”, mentre <strong>per</strong> l’identificazione,<br />
più problematica, <strong>della</strong> statuetta di Marte (descritto anche come “guerriero romano”<br />
o “soldato nudo”) ci viene in aiuto un elenco completo del gruppo di cinque bronzetti,<br />
inserito (di certo <strong>per</strong> errore) nella documentazione di scavo relativa al 1760 (AMANP,<br />
ms. 44), in cui il pezzo in questione è descritto come “statuetta che sembra un Marte con<br />
uno scudo nella mano sinistra, cimiero in testa, appoggiato a un pilastro”. Per questi bronzetti,<br />
vedi D’Andria 1970, nn. 10 (Dioniso), 20 (Alessandro), 21 (Togato), 22 (Busto virile<br />
sorgente da un calice di foglie) e 23 (Marte); Marini Calvani 2000, p. 201, n. 33 (Marte: con<br />
la data di ritrovamento del 1762) e Eadem 2001, pp. 25-26, nn. 39, 41, 43, 44. Con l’eccezione<br />
<strong>della</strong> statuetta del Dioniso, nel Registro del materiale archeologico, 1, conservato nel Museo<br />
Archeologico di Parma, non è registrata <strong>per</strong> gli altri bronzetti del gruppo la data di ingresso<br />
nel museo (e dunque di rinvenimento).<br />
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degli scavi, tornarono a visitare il Museo di Parma), e che ancora oggi occupano<br />
un posto d’onore tra i bronzetti provenienti da <strong>Veleia</strong>. Gli scavi si concentrarono<br />
nell’area circostante la chiesa e la canonica di Macinesso e <strong>per</strong>misero<br />
di conoscere meglio la pianta <strong>della</strong> “Casa del cinghiale” (e soprattutto<br />
di rimettere in luce il mosaico che ha dato il nome alla casa), e di esplorare<br />
il quartiere d’abitazione meridionale, oggi in gran parte reinterrato, individuando<br />
altri emblemata musivi policromi e in bianco e nero, <strong>per</strong> lo più a<br />
disegni geometrici, che furono subito documentati dai disegnatori del tempo<br />
e qualche elemento scultoreo di rilievo 129 . Ricominciarono anche gli scavi<br />
nel castellum aquae, dalla pianta irrimediabilmente trasformata in soli dieci<br />
anni di abbandono e di incuria, tanto che agli stessi scavatori degli anni Sessanta<br />
parve opportuno correggere le precedenti interpretazioni e fornire<br />
nuove planimetrie, in cui l’edificio, ormai decisamente ovale, comincia ed<br />
essere indicato come “anfiteatro” 130 . Le s<strong>per</strong>anze degli scavatori finirono<br />
nuovamente <strong>per</strong> scontrarsi con le difficoltà di un terreno difficile da aspor-<br />
129 «Al di sopra <strong>della</strong> strada <strong>della</strong> Chiesa verso mattina andando a mezzogiorno si è sco<strong>per</strong>to<br />
un ingresso di due gradini fabricati a tufi di largh. braccia 7 once 4 pei quali si ascende<br />
ad una Camera, o Attrio che sia, di lungh. braccia 16 di larghezza braccia 10 once 6 col pavimento<br />
selciato a tarso nel quale vi sono frameschiati tasselleti di marmo da mosaico, ed altri<br />
pezzi di marmo <strong>per</strong> quanto si è potuto vedere [...]. Il giorno 4 agosto in detto selciato si è<br />
sco<strong>per</strong>to in poca parte una medaglia di mosaico ben connessa con il cordone quadrata come<br />
le altre, ma non essendo ancora sco<strong>per</strong>to del tutto, non si sa se sia simboleggiata con qualche<br />
figura (AMANP, ms. 47, 31 luglio 1778)»: il mosaico in questione, proveniente da una camera<br />
scavata non lontano dal “circolo” e strappato nel 1779, non era figurato ma semplicemente<br />
decorato con quadretti di tessere bianche e celesti entro una cornice a doppia treccia e<br />
misurava braccia 4 e palmi 5 di lunghezza e braccia 3 e palmi 2 1/2 di larghezza (vedi il disegno<br />
conservato in ASP, Mappe e Disegni, vol. 25, n. 47); nella stessa area è poi documentato<br />
il ritrovamento di un’altra “medaglia” pavimentale, «non tanto bella, composta di marmi<br />
bianchi e tasselletti in parte neri fatti a mosaico» (AMANP, ms. 47, luglio 1778, settembre<br />
1779), ed una statua marmorea acefala (vedi ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b.<br />
20, lettera del Martelli al marchese Lorenzo Canossa del 16 sett. 1776: «il 12 settembre si è<br />
ritrovata una statua di marmo assai ben fatta dell’altezza come in esso giornale marcata,<br />
mancante il braccio destro, ed il capo, non già rotta né spicata, ma era imbusolata nel busto<br />
come sono le grandi che si ritrovarono in passato»).<br />
130 Nella relazione del 4 luglio 1780, relativa allo scavo nel cd. “circolo”, si dice infatti:<br />
«quale credevasi di figura rotonda come rilevasi dalla mappa esistente costì. Ma in oggi col<br />
levarsi la terra su<strong>per</strong>ficialmente alla sola sco<strong>per</strong>ta, quasi <strong>della</strong> metà del muro che lo circonda,<br />
si riconosce ad evidenza non essere tale, ma bensì di forma ovale» (AMANP, ms. 47; a<br />
partire dal settembre dello stesso anno il “circolo” è ormai detto “anfiteatro”). La nuova<br />
immagine del monumento è quella delineata, su commissione di Ambrogio Martelli ed eseguita<br />
dall’ingegnere Giannantonio Della Torre, nel settembre 1780 (ASP, Mappe e Disegni,<br />
vol. 25, n. 43: “Vestigi de Fabbricati dell’Antica Città di Velleja recentemente sco<strong>per</strong>ti nei<br />
Regi scavi di Macinesso”; vedi Marini Calvani 1975, tav. V).
tare e ricominciarono presto i lamenti <strong>per</strong> la lentezza e <strong>per</strong> l’enorme spesa<br />
necessarie a proseguire i lavori: <strong>per</strong> ovviare, almeno in parte, a questi problemi<br />
si pensò di progettare nuovi macchinari che facilitassero il trasporto<br />
<strong>della</strong> terra, così da lasciare in breve tempo il campo libero <strong>per</strong> nuovi saggi<br />
esplorativi. Nel dicembre del 1777, dopo un paio di tentativi rivelatisi poco<br />
efficaci, venne infatti presentato il progetto di un macchinario capace di rimuovere<br />
rapidamente la terra dall’area sottoposta a scavo: il disegno del<br />
progetto, che <strong>per</strong>metteva di confrontare la versione definitiva con le due<br />
precedentemente scartate, venne corredato di una nota esplicativa che dimostrava<br />
quanto la nuova macchina fosse «più semplice, più facile al trasporto<br />
e meno dispendiosa, <strong>per</strong>ché men carica di ferramento e di legnami,<br />
che le altre due prime fabbricate in Piacenza» 131 .<br />
A dispetto di tutti questi accorgimenti, i risultati di queste campagne di<br />
scavo furono ancora più deludenti di quelle degli anni Sessanta, e così nel<br />
1781 le esplorazioni vennero nuovamente sospese, con sollievo dell’ormai<br />
vecchio Paciaudi, che nell’agosto del 1781 si risolse a scrivere al marchese<br />
Pros<strong>per</strong>o Manara, nuovo Ministro di Stato:<br />
se una volta posi ogni mia cura <strong>per</strong>ché gli scavi delle Antichità Vellejati, che<br />
facevansi a Macinesso, si proseguissero con vigore, in oggi conosco appieno,<br />
e altamente protesto, che il continuarli diviene una spesa la più mal collocata,<br />
e atta soltanto ad eccitar le risa e le beffe de’ Dotti132 .<br />
Anche se reintegrato con ogni onore nel suo incarico di direttore del museo,<br />
il Paciaudi non poteva che rimpiangere i momenti gloriosi del ducato,<br />
quelli dominati dalla <strong>per</strong>sonalità efficente e illuminata del ministro Du Tillot,<br />
e di certo aveva ben poca voglia di occuparsi di scavi, ora che non c’era<br />
più il suo amico Caylus a guidargli la mano. A <strong>Veleia</strong> si tornerà a scavare solo<br />
al principio del XIX secolo, all’epoca <strong>della</strong> dominazione francese, ma<br />
non sarà più un direttore del museo a sovrintendere ai lavori.<br />
131 ASP, Mappe e Disegni, vol. 65, n. 54a-b, Spiegazione del Disegno delle macchine e carri<br />
<strong>per</strong> il trasporto <strong>della</strong> terra de’ Regi <strong>Scavi</strong> di <strong>Veleia</strong>: «questa collocata al luogo dello scarico -si<br />
legge nella descrizione <strong>della</strong> terza macchina – si conduceva da due soli uomini C e D, mentre<br />
spingendo di mano in mano una stanga infissa nell’asse <strong>della</strong> ruota dentata F fanno girare<br />
questa medesima ruota, che a un tempo stesso <strong>per</strong> mezzo de’ suoi denti, come si vede, agita i<br />
due torni H, L e questo lo fa in modo tale, che in un minuto e mezzo di tempo fa <strong>per</strong>correre<br />
il carro carico C <strong>per</strong> lo spazio di trabucchi n. 32 ritirandosi intanto il carro vacuo M col torno<br />
N situato al luogo dello scavamento, e agitato da un uomo solo».<br />
132 AMANP, ms. 59, “Lettera al Marchese Pros<strong>per</strong>o Manara, Ministro di Stato intorno a<br />
Velleja”, 23 agosto 1781, p. 286.<br />
61
62<br />
Parma, Archivio di Stato, Mappe e Disegni, vol. 65, n. 54a, Macchine e carri <strong>per</strong> il trasporto<br />
<strong>della</strong> terra de’ Regi <strong>Scavi</strong> di <strong>Veleia</strong>, 1777.
Capitolo II<br />
L’edizione degli scavi I:<br />
i tentativi del Costa e del Paciaudi<br />
Ancor più fastidiosa del disagevole tragitto da Parma a <strong>Veleia</strong> era, <strong>per</strong> molti<br />
viaggiatori, l’ostentata aria di mistero con cui la corte teneva nascoste le novità<br />
archeologiche del ducato, ostacolando i sopralluoghi e impedendo ogni forma<br />
di riproduzione, proprio come avveniva da tempo <strong>per</strong> gli scavi delle città vesuviane.<br />
Non mancarono gli strappi alla regola, soprattutto <strong>per</strong> i molti aristocratici<br />
inglesi e francesi in viaggio verso il Sud, incuriositi dalle antichità ma<br />
poco competenti in materia, mentre i divieti si facevano più rigidi ogni volta<br />
che uno studioso mostrava interesse <strong>per</strong> le nuove sco<strong>per</strong>te e ancor meno gradite<br />
erano le interferenze <strong>della</strong> corte napoletana, comprensibilmente incuriosita<br />
(e forse, almeno all’inizio, preoccupata di quanto si andava segretamente<br />
scoprendo nel piacentino): nel febbraio del 1761 al marchese Fogliani, già primo<br />
ministro del re di Napoli e viceré di Sicilia, che (forte anche <strong>della</strong> sua origine<br />
piacentina) chiedeva di sa<strong>per</strong>e «dove ed in quale luogo sia cotesta città di<br />
Velleia, e quali antichità si siino sco<strong>per</strong>te», il Du Tillot fece comunicare solo il<br />
luogo in cui si era individuata l’antica città («giacché questo è a tutti noto»),<br />
ma impedì categoricamente di dar conto delle antichità rimesse in luce 1 .<br />
Tanta segretezza era giustificata dal fatto che, come ricordava anche il<br />
Gibbon, il duca contava di rendere presto pubbliche le sco<strong>per</strong>te, e «voleva<br />
essere il primo a farlo» 2 .<br />
1 ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20, lettera del Martelli al Du Tillot del 26<br />
febbraio 1761 e risposta del Du Tillot del 27 febbraio 1761. Nel giugno del 1761 il Du Tillot<br />
fece addirittura emanare dei regolamenti tesi a garantire la segretezza dello scavo e limitare<br />
al massimo la fuga di notizie sulle sco<strong>per</strong>te. Per placare la curiosità dei molti dotti dette poi<br />
incarico a Matteo Luigi Canonici di redigere una relazione, apparsa anonima e antedatata al<br />
giugno 1761 col titolo Lettera scritta ad un lettore pubblico dell’Università di Bologna da un<br />
cittadino parmigiano (conservata in Bertioli Antichità veleiati): si tratta di una descrizione di<br />
<strong>Veleia</strong> volutamente sommaria, ma ricca di meravigliato stupore <strong>per</strong> la presunta eccezionalità<br />
delle sco<strong>per</strong>te (vedi Miranda 2002, in part. pp. 100-08, documenti 1 e 2).<br />
2 Gibbon 1965, p. 126: vedi infra cap. IV, p. 194.<br />
63
64<br />
L’incarico di pubblicare il materiale dello scavo era stato, naturalmente,<br />
affidato al canonico Costa, anche se il Du Tillot gli aveva presto affiancato<br />
le conoscenze del Caylus e del Paciaudi: il ministro, come abbiamo visto,<br />
era rimasto piuttosto soddisfatto del saggio del Costa sulla tavola <strong>della</strong> Lex<br />
de Gallia Cisalpina, ma non voleva rischiare di coinvolgere la corte in un’impresa<br />
editoriale di durata decennale e dall’esito ben poco soddisfacente,<br />
quale era stata, <strong>per</strong> la corte di Napoli, l’o<strong>per</strong>a del parmigiano Bayardi sulle<br />
antichità di Ercolano 3 . Geloso e fiero del proprio incarico, il canonico si affrettò<br />
<strong>per</strong> prima cosa ad allontanare potenziali e temibili concorrenti, capaci<br />
di giudicare il suo o<strong>per</strong>ato e, di certo, in cerca di “inediti” da pubblicare a<br />
proprio nome.<br />
La notizia dell’a<strong>per</strong>tura degli scavi veleiati e delle nuove, significative,<br />
sco<strong>per</strong>te, era ormai cominciata a circolare e più di uno studioso aveva tentato<br />
<strong>per</strong> tempo di ritagliarsi uno spazio nell’imponente impresa dell’edizione<br />
dei materiali.<br />
Nel gennaio del 1761 il conte Antonio Giuseppe Della Torre di Rezzonico,<br />
erudito di origine comasca stabilitosi dal 1751 a Parma, si presentò al<br />
Costa <strong>per</strong> proporsi come collaboratore nel lavoro di pubblicazione: il conte,<br />
che (a quanto ci informa il Costa) 4 «parlava di maniera da far credere che<br />
avesse commessione di scrivere sulle sco<strong>per</strong>te Antichità», aveva appena ultimato<br />
un piccolo Prodromo e alcune dissertazioni di argomento veleiate,<br />
«una circa l’intelligenza di alcuni termini usati sulla Lamina Trajana, l’altra<br />
tendente a dimostrare, chi fosse quel Lucio Calpurnio Pisone, il di cui nome<br />
sta scolpito sulla lapide che ebbi l’onore di presentare a sua A.R. colla detta<br />
lamina; la terza circa il nome che abbiasi a dare alla Città sco<strong>per</strong>tasi, quale<br />
l’estensione del suo territorio e quali li Popoli che l’abitavano», ed evidentemente<br />
s<strong>per</strong>ava ora di essere ammesso, in virtù di queste fatiche, nella ristretta<br />
cerchia di antiquari incaricati ufficialmente delle indagini e destinati a legare<br />
il proprio nome alle sco<strong>per</strong>te veleiati. Le riserve del canonico, che giudicò<br />
il Prodromo «pieno di più cose supposte ed insussistenti», e nelle dis-<br />
3 Ben poco erano infatti servite alla conoscenza e allo studio delle sco<strong>per</strong>te archeologiche<br />
di Ercolano le ben 2677 pagine del Prodromo delle antichità di Ercolano, edite da Antonio<br />
Ottavio Bayardi nel 1752 e quasi interamente dedicate alle gesta di Ercole, leggendario fondatore<br />
<strong>della</strong> città vesuviana, mentre il tema principale, la storia degli scavi e la descrizione<br />
delle sco<strong>per</strong>te, era rimasto del tutto nell’ombra: la verbosa e pletorica erudizione del parmigiano,<br />
incaricato di questa prestigiosa e ambita impresa solo grazie ai favori del cugino Giuseppe<br />
Fogliani, ministro di Carlo III di Borbone, non tardò ad incontrare le dure reazioni<br />
degli studiosi e finì presto <strong>per</strong> disgustare <strong>per</strong>sino la corte, tanto che l’o<strong>per</strong>a, prevista inizialmente<br />
in sette volumi, venne interrotta dopo la pubblicazione del quinto tomo.<br />
4 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Du Tillot del 19 gennaio 1761.
sertazioni non seppe trovare alcuna novità di rilievo e comunque nulla che<br />
non avesse lui stesso già segnalato al ministro e al conte di Caylus, dovettero<br />
scoraggiare ogni ambizione editoriale del Rezzonico, che non pensò più di<br />
dare alle stampe questi scritti e finì presto <strong>per</strong> abbandonare ogni coinvolgimento<br />
con le antichità di <strong>Veleia</strong>5 .<br />
Nel giugno dello stesso anno fu la volta dello storico e letterato piacentino<br />
Cristoforo Poggiali, cui il Costa negò il <strong>per</strong>messo di esaminare le iscrizioni<br />
rinvenute a <strong>Veleia</strong>, temendo che volesse servirsene <strong>per</strong> una pubblicazione<br />
non autorizzata6 . L’ostilità verso l’illustre conterraneo nasceva, in realtà, dal<br />
sospetto che il Poggiali mirasse a prendere il suo posto, deluso <strong>per</strong> essere<br />
stato escluso da ogni incarico riguardo a <strong>Veleia</strong>. Facendosi scudo <strong>della</strong> ferrea<br />
regola del silenzio, il Costa giustificava così, ad un Du Tillot un po’ <strong>per</strong>plesso<br />
<strong>per</strong> lo sgarbo verso uno degli studiosi più stimati del ducato, il rifiuto<br />
di mostrare le iscrizioni scavate a <strong>Veleia</strong>:<br />
sebbene a prima vista sembri cosa da accordarsi la semplice lettura delle<br />
iscrizioni esistenti in Macinesso ad un letterato quale non si può negare che<br />
sia il riferito Sig. Prevosto Poggiali, nulladimeno io avrei quasi minor diffi-<br />
5 Gli studi sottoposti al Costa, rimasti inediti, sono raccolti in un manoscritto intitolato<br />
Delle Antichità <strong>Veleia</strong>ti, conservato nella Biblioteca Comunale di Como (vedi Montevecchi<br />
1934, p. 555, n. 34 e p. 560, che lo segnalava come dis<strong>per</strong>so, e Luraschi 1969, che fornisce<br />
una ricca biografia del Conte di Rezzonico e ri<strong>per</strong>corre la vicenda del suo incontro con il<br />
Costa). Nel Prodromo il conte affermava di essere riuscito, grazie alla lettura di un passo di<br />
Tacito, ad «assicurare a quale dei tanti illustri Pisoni appartenesse la breve, ma intensa e nobilissima<br />
iscrizione, intorno a cui molte cose insussistenti hanno esposto il Muratori, ed il<br />
Marchese Maffei» (Luraschi 1969, p. 371): delle tre dissertazioni mostrate al Costa, fu proprio<br />
quella intorno L. Calpurnio Pisone a riscuotere un qualche favore del canonico, ed è<br />
possibile che l’autore antico cui il Rezzonico fece, in quella circostanza, misteriosamente allusione<br />
senza nominarlo (come ricorda lo stesso Costa), fosse proprio Tacito. L’iscrizione in<br />
esame (CIL XI, 1182) corrisponde all’epigrafe dedicatoria rinvenuta a <strong>Veleia</strong> fin dal 1747,<br />
insieme alla Tavola Traiana, e <strong>per</strong>tinente a una delle statue marmoree <strong>della</strong> basilica, in cui<br />
<strong>per</strong> primo il De Lama propose di riconoscere un ritratto di L. Calpurnio Pisone: l’archeologo<br />
parmigiano era <strong>per</strong>ò convinto che si trattasse del L. Calpurnio Pisone console sotto Nerone<br />
(De Lama 1818, pp. 60-62), mentre oggi gli studiosi sono concordi nel riconoscere nella<br />
statua-ritratto (e nella relativa epigrafe) il L. Calpurnio Pisone console nel 15 a.C., uomo di<br />
grande prestigio politico sia sotto Augusto che sotto Tiberio e appartenente ad una famiglia<br />
legata da interessi al territorio piacentino: vedi Saletti 1968, pp. 63-64 (epigrafe) e pp. 37-40<br />
(statua) e Idem 1996, in cui si ipotizza l’esistenza, a <strong>Veleia</strong>, di una residenza privata di Calpurnio<br />
Pisone, cui forse faceva parte anche il piccolo ritratto del cognato Giulio Cesare, oggi<br />
conservato nel Museo Archeologico di Parma. Sull’interesse del Rezzonico <strong>per</strong> <strong>Veleia</strong>, vedi<br />
anche Miranda 2002, p. 98 e Albasi e Magnani 2003, pp. 14-16.<br />
6 Episodio narrato in Benassi 1919, pp. 7-8. Sulla gelosia con cui il Costa teneva segreta<br />
ogni sco<strong>per</strong>ta, vedi anche Mandich 1990, pp. 405-06.<br />
65
3<br />
66<br />
coltà di lasciarle leggere a chi ne sa poco, che a chi è adorno di qualche erudizione,<br />
ed ama simili cose, appunto <strong>per</strong>ché quelli se le scordano bell’e presto,<br />
e non v’è <strong>per</strong>icolo che ne faccino alcun uso 7 .<br />
L’interesse del Poggiali <strong>per</strong> i materiali (non solo epigrafici) rinvenuti nel<br />
sito dell’antica <strong>Veleia</strong> risaliva a ben prima dell’a<strong>per</strong>tura ufficiale degli scavi,<br />
tanto che già nel febbraio del 1760 aveva tentato di procurarsi quattro bronzetti<br />
e alcune monete provenienti dal territorio di Macinesso, oltre ad un<br />
«busto d’ottone, pure trovato in un fosso vicino alla chiesa», che cercò di<br />
vendere alla corte di Parma 8 .<br />
Appena completate le Osservazioni sulla lamina bronzea <strong>della</strong> Lex de<br />
Gallia Cisalpina, il Costa si concentrò, dunque, sull’edizione dello scavo,<br />
un’impegno assai più gravoso e non privo di rischi, soprattutto <strong>per</strong> un modesto<br />
appassionato di antiquaria più a suo agio tra le epigrafi e le monete<br />
antiche che tra le sconvolte rovine di un’intera area archeologica. Dopo che<br />
il Caylus, nel quarto volume del suo Recueil, aveva pubblicamente annunciato<br />
la sco<strong>per</strong>ta <strong>della</strong> città di <strong>Veleia</strong>, «une des curiosités de ce siècle», illustrando<br />
alcuni bronzetti provenienti dagli scavi 9 , tutto il mondo letterario<br />
era rimasto in attesa <strong>della</strong> pubblicazione dei monumenti veleiati.<br />
Il risultato delle fatiche del canonico furono, come è noto, i due volumi<br />
in folio riguardanti rispettivamente le sco<strong>per</strong>te del 1760 e del 1761-1762 e il<br />
volumetto in ottavo dedicato alle monete antiche trovate a <strong>Veleia</strong>, conservati<br />
ancora manoscritti presso la Biblioteca Palatina e il Museo Archeologico di<br />
Parma 10 . Il progetto editoriale prevedeva, nelle intenzioni del Costa, la pubblicazione<br />
congiunta del Ms. Parm. 1246 (Raccolta dei Monumenti di Antichità<br />
che col mezzo dei Regi scavi si sono tratti dalle viscere <strong>della</strong> città dei Veliati,<br />
Tomo I riguardante le sco<strong>per</strong>te del 1760) e del volume dedicato alle monete<br />
(Serie delle medaglie ritrovate fra le rovine dell’antica città dei Veliati),<br />
cui avrebbe fatto seguito l’edizione del Ms. Parm. 1247 (Raccolta di vari pezzi<br />
di antichità stati disotterrati col mezzo dei R. <strong>Scavi</strong>), che avrebbe costituito<br />
il secondo tomo dell’o<strong>per</strong>a.<br />
La parte più impegnativa del lavoro consisteva nell’introduzione storica<br />
e nelle riflessioni sui re<strong>per</strong>ti archeologici, concentrate nelle trentasei pagine<br />
<strong>della</strong> prefazione al primo tomo, mentre tutto il resto si riduceva alla sempli-<br />
7 Costa ms. Pallastrelli, lettera al Du Tillot dell’8 giugno 1761, citata anche in Miranda<br />
2002, pp. 98-99.<br />
8 AMANP, ms. 44, lettere di Ambrogio Martelli al Du Tillot dell’11, 14 e 18 febbraio<br />
1760.<br />
9 Caylus Recueil, IV, pp. 182-87, tav. LIX.<br />
10 Costa ms. 1246 e ms. 1247 e AMANP, ms. 57.
ce registrazione delle sco<strong>per</strong>te, annotata giornalmente in forma di diario. Di<br />
un certo interesse sono le notizie relative alle esplorazioni clandestine condotte<br />
a <strong>Veleia</strong> nel corso del XVII secolo e ancora nei decenni immediatamente<br />
precedenti l’a<strong>per</strong>tura ufficiale degli scavi, che avrebbero restituito un<br />
gran numero di oggetti preziosi, tra cui «un’Ara d’oro, una grata parimenti<br />
d’oro, numerose medaglie delle più rare d’ogni sorta di metallo, molte lamine<br />
ricche di caratteri, numerose statue di metallo, altre di marmo, e taluna<br />
d’oro eziandio» 11 , curioso elenco riferito con enfasi dal Costa nell’evidente<br />
tentativo di esaltare le ricchezze artistiche <strong>della</strong> città che si andava scoprendo<br />
e di assicurarsi così la piena attenzione dei lettori. Pur nella sua dimensione<br />
un po’ fantastica, questa informazione, unita al più tardo racconto<br />
dello scienziato Antonio Boccia, che si dilungherà sugli improvvisi episodi<br />
di arricchimento di alcune famiglie del luogo, segno evidente di proficui<br />
commerci di oggetti preziosi 12 , rappresenta una delle scarsissime notizie sui<br />
primi, e purtroppo non documentati, rinvenimenti di antichità nel territorio<br />
dell’antica <strong>Veleia</strong>.<br />
I tentativi di inquadrare storicamente la fondazione e le fasi di fioritura e<br />
di decadenza <strong>della</strong> città, con il supporto delle scarse notizie fornite dagli<br />
storici antichi (e interpretate grazie all’aiuto del Caylus 13 ), rivelano tutta la<br />
debolezza di conoscenze del canonico, che ancora non riusciva a dare un<br />
11 Costa ms. 1246, p. 10.<br />
12 Boccia ms. 497, pp. 124-37. Il manoscritto è stato edito in A. Boccia, Viaggio ai monti<br />
di Piacenza (1805), Piacenza 1977 (la descrizione di <strong>Veleia</strong> si trova alle pp. 58-63). Antonio<br />
Boccia, nato in Spagna ma di origine parmigiana, intraprese la carriera militare al servizio<br />
del ducato e fu studioso di scienze naturali (Clerici 1999, p. 315): nel 1804-1805, su richiesta<br />
del ministro Moreau de St. Méry, fece un viaggio nei monti parmensi e piacentini allo<br />
scopo di tracciare una descrizione geografica e storica di quei luoghi (vedi Cossutta 1986,<br />
p. 302, nota 1 e pp. 362-63 e infra cap. III, p. 95). A proposito degli scavi clandestini condotti<br />
a <strong>Veleia</strong>, racconta che i primi ritrovamenti di antichità avvennero alla metà del XVII<br />
secolo, ad o<strong>per</strong>a di un certo arciprete Bardetti, che nello scavare dei fossi <strong>per</strong> le viti trovò<br />
una statua di pietra: iniziò così un’attività di commercio di antichità veleiati, che gli avrebbe<br />
presto consentito di abbandonare la parrocchia e di ottenere, anche <strong>per</strong> i suoi discendenti,<br />
il titolo nobiliare di conti. Più tardi, l’abate Lateranense Chiappini, uno dei pochi a<br />
conoscere il segreto di questi scavi, avrebbe formato, con il materiale proveniente da <strong>Veleia</strong><br />
e che gli donava il nuovo arciprete Rapaccioli, il medagliere e il museo del convento di S.<br />
Agostino di Piacenza; i frammenti di metallo prezioso venivano invece spediti dal Rapaccioli<br />
a Piacenza <strong>per</strong> essere fusi presso l’orefice Fontana (che pure avrebbe arricchito, in<br />
questo modo, l’intera sua famiglia).<br />
13 Frutto delle discussioni con il Caylus è di certo la preferenza accordata alla lezione «citra<br />
Placentiam», rispetto a quella di «circa Placentiam», nel noto e controverso brano di Plinio<br />
sulla localizzazione dell’antica città, (vedi Costa ms. 1246, p. 27).<br />
67
68<br />
nome preciso alla città («in vista ... di tanta incertezza, e di tante tenebre al<br />
partito mi sono appigliato di non dare <strong>per</strong> anco alcuno specifico nome alla<br />
sco<strong>per</strong>ta città, e di chiamarla indeterminatamente la città dei Veliati») 14 ;<br />
scarsamente significativi e poco puntuali sono poi i riferimenti alle altre importanti<br />
sco<strong>per</strong>te archeologiche settecentesche, come Gabii, Industria, Cupra,<br />
note al Costa grazie anche alla familiarità con antiquari (il Galletti, il<br />
Paciaudi) che, almeno in parte, contribuirono al loro recu<strong>per</strong>o, e naturalmente<br />
come Ercolano, la grande rivelazione del XVIII secolo, con la quale<br />
il Costa propone un confronto (divenuto poi un topos <strong>per</strong> tutto il Settecento)<br />
che, nel suo evidente desiderio di adulare il duca e glorificare se stesso,<br />
finisce addirittura <strong>per</strong> privilegiare, <strong>per</strong> importanza storica e documentaria,<br />
gli scavi veleiati su quelli vesuviani: «la prima [Ercolano] deve alle sco<strong>per</strong>te<br />
maggior lustro e di farsi conoscere più grande, più nobile, più facoltosa di<br />
quello che si sapesse da prima, mentre <strong>Veleia</strong> deve al suo scopritore la vita e<br />
il nome» 15 .<br />
Anche nella selezione del materiale <strong>per</strong> le tavole illustrative si intravede<br />
lo zampino del Caylus: pur attento a scegliere i re<strong>per</strong>ti che maggiormente<br />
potessero confermare la ricchezza artistica e documentare il rilievo storico<br />
<strong>della</strong> città, il Costa non disdegnò infatti di inserire, qua e là nelle tavole, alcuni<br />
re<strong>per</strong>ti “minori” (qualche frammento ceramico, elementi di instrumentum<br />
in bronzo, qualche lucerna), «<strong>per</strong> soddisfare in qualche modo alla saggia<br />
curiosità di chi ama simili cose», e sembrò anche progettare la pubblicazione,<br />
in un unico volume completo di tavole, di tutti i re<strong>per</strong>ti di questo genere,<br />
«gli stiletti, gli aghi, le fiale, li vasi unguentari, le tazze, le fibbie,<br />
gl’anelli, e tant’altre antiche cosucce» 16 , s<strong>per</strong>ando forse di affiancare questo<br />
studio a quello sulle ceramiche veleiati, che il Caylus andava all’epoca preparando.<br />
Il conte, del resto, era stato il primo revisore dell’o<strong>per</strong>a (almeno del volume<br />
relativo alle sco<strong>per</strong>te del 1760 e di quello dedicato alle monete) e fu un<br />
valido consulente <strong>per</strong> le questioni più strettamente inerenti la progettata<br />
pubblicazione: approvò e fece propria l’idea di scrivere il testo in italiano e<br />
suggerì, <strong>per</strong> la stampa, il formato delle Antichità di Ercolano; e infine, <strong>per</strong><br />
garantire una più scrupolosa verifica sull’analisi delle antichità, fece ammettere<br />
il Mariette nelle piccola cerchia di studiosi impegnati a rivedere l’o<strong>per</strong>a.<br />
14 Costa ms. 1246, p. 29.<br />
15 Costa ms. 1246, pp. 32-33. Il Muratori, elencando le due più grandi sco<strong>per</strong>te del<br />
XVIII secolo, citava quella dell’elettricità e la sco<strong>per</strong>ta di Ercolano, ma subito dopo, pur a<br />
debita distanza, ricordava come «singolare, e meritevole di gran stima» il ritrovamento <strong>della</strong><br />
Tavola Traiana e, più in generale, la risco<strong>per</strong>ta di <strong>Veleia</strong> (Muratori 1749, pp. 8-9).<br />
16 Costa ms. 1246, pp 33-34.
Se il giudizio del Caylus fosse stato positivo, i manoscritti del Costa<br />
avrebbero avuto qualche s<strong>per</strong>anza di approdare in tipografia e far conoscere<br />
agli antiquari un bel numero di antichità veleiati, ma il conte non poté che<br />
criticare la verbosa e su<strong>per</strong>flua erudizione del canonico piacentino («je<br />
crains qu’il n’ait non pas l’antique mais l’ancienne érudition») e fu categorico<br />
nel bocciare il testo, pieno a suo vedere di banalità, di ripetizioni, di una<br />
gran quantità di cose inutili e male illustrate:<br />
je suis <strong>per</strong>suadé que ces deux manuscrits, qui forment un singulier et magnifique<br />
inventaire, seront un grand trésor pour la bibliothèque qui les possédera<br />
dans le temps à venir. Cependant sur l’exposé que vous m’en faites, c’està-dire<br />
de tous ces rapports, jour par jour, article par article, je prevois diablement<br />
de retranchements à faire. Par example, combien y aura-t-il de statues<br />
qui n’exigeront que leurs noms, leurs matière et leurs proportions? Combien<br />
y aura-t-il dans les inscriptions de marbres qui ne veulent rien dire, qui ne<br />
présentent aucune nouveauté, et qu’il est inutile de copier? Cependant le signor<br />
Conte a écrit sour toutes. Je puis me trom<strong>per</strong>, mais je doute que toutes<br />
les inscriptions d’une ville méritent d’être relevées17 scriverà infatti nel dicembre del 1761 al ministro Du Tillot, che era ansioso<br />
di conoscere il parere dell’illustre antiquario, <strong>per</strong> dare finalmente alle stampe<br />
l’o<strong>per</strong>a tanto attesa sulle antichità di <strong>Veleia</strong>. Certo i volumi del Costa,<br />
nella pignola registrazione di ogni più piccolo ritrovamento, tradiscono<br />
l’imbarazzo di chi teme di trascurare qualche cosa di importante e preferisce<br />
annotare tutto, pur in modo acritico e senza alcun ordine preciso: non<br />
bisogna dimenticare che fino al settembre del 1761 (e cioè dopo aver ultimato<br />
il primo tomo) il Costa non si era mai recato a <strong>Veleia</strong> e non stupisce<br />
dunque che non fosse in grado di far interagire con i monumenti e con le<br />
varie aree dello scavo la notevole mole di re<strong>per</strong>ti che veniva <strong>per</strong>iodicamente<br />
sottoposta (spesso solo attraverso disegni) alla sua attenzione, e ancor meno<br />
ci sorprende che la città di <strong>Veleia</strong>, il suo impianto urbanistico, i suoi spazi<br />
pubblici, le sue attività artigianali non riescano, nei suoi scritti, ad emergere<br />
e a comporsi in un organico quadro storico-archeologico.<br />
Il principale merito dei volumi del Costa sta invece, a mio avviso, nel<br />
ricco apparato illustrativo, forse non sempre fedele e spesso carente di utili<br />
informazioni (come le misure precise o le indicazioni dei materiali), ma<br />
che con le quarantacinque tavole del primo tomo e le ottantaquattro del<br />
secondo, eseguite dal disegnatore Giovanni Permòli, e le molte e dettagliate<br />
piante dei monumenti in corso di scavo costituisce una documentazione<br />
grafica senza dubbio non comune <strong>per</strong> l’epoca: alcuni disegni forni-<br />
17 Nisard 1877, I, p. 276.<br />
69
70<br />
scono importanti informazioni sullo stato di conservazione, all’indomani<br />
<strong>della</strong> sco<strong>per</strong>ta, dei pezzi più rilevanti, come le dodici statue <strong>della</strong> basilica o<br />
le statue bronzee provenienti dal foro, sottoposte nel tempo a diverse o<strong>per</strong>azioni<br />
di restauro, mentre l’inserzione, qua e là nelle tavole, di una buona<br />
selezione di materiali <strong>per</strong>tinenti all’instrumentum e di numerosi frammenti<br />
di iscrizioni bronzee e marmoree (scelta tanto biasimata dal Caylus) rappresenta<br />
ancora oggi l’unica fonte <strong>per</strong> individuare la provenienza veleiate<br />
di numerosi bronzetti e altri piccoli oggetti andati nel tempo dis<strong>per</strong>si e<br />
non più rintracciabili.<br />
Il progetto di rendere presto noti i risultati degli scavi era dunque sfumato<br />
ma il Du Tillot, che evidentemente non si accontentava dei giudizi del<br />
conte e s<strong>per</strong>ava di salvare, pur con opportuni aggiustamenti, l’o<strong>per</strong>a del Costa,<br />
decise di rimettere la questione al giudizio del Paciaudi: il carteggio, in<br />
gran parte inedito, tra il padre teatino e il ministro, compreso tra il gennaio<br />
e il giugno 1762 (<strong>per</strong>iodo in cui il Paciaudi si trovava a Parigi), documenta<br />
gli ormai blandi tentativi del Du Tillot di dare, comunque, alle stampe l’edizione<br />
tanto attesa e la graduale e sempre più decisa convinzione, da parte<br />
del Paciaudi, dell’impossibilità di trarre un qualche profitto dagli scritti del<br />
Costa. A Parigi si era formato una sorta di comitato scientifico, composto<br />
dal Caylus, dal Paciaudi e dal Mariette, incaricato di giudicare il risultato<br />
del povero canonico piacentino, che a questa data si limitava al solo primo<br />
tomo, relativo alle sco<strong>per</strong>te del 1760, mentre ancora in preparazione era il<br />
volume sui rinvenimenti dei due anni successivi. Questa circostanza fornì<br />
un’ulteriore occasione di confronto (e di scontro) tra le diverse metodologie<br />
di ricerca che opponevano da tempo il conte e il Paciaudi. Il Caylus, secondo<br />
il Paciaudi, poteva ben interessarsi di curiose e, a suo vedere, bizzarre ricerche<br />
tecniche che finivano <strong>per</strong> valorizzare <strong>per</strong>sino i più modesti frammenti<br />
di antichità, ma quando si trattava di una pubblicazione scientifica di ampio<br />
respiro, patrocinata <strong>per</strong> di più da un sovrano, non aveva dubbi sul fatto<br />
che bisognasse «dare cosa eccellente» 18 .<br />
Indispensabile <strong>per</strong> la buona edizione di un’o<strong>per</strong>a di carattere antiquario<br />
era, <strong>per</strong> il religioso, la scelta qualità delle tavole illustrative, che dovevano<br />
essere affidate ad un disegnatore formatosi all’Accademia di Belle Arti ed<br />
es<strong>per</strong>to di riproduzioni dall’antico. Appena nominato direttore degli scavi<br />
veleiati, il Paciaudi si impegnò infatti ad istruire <strong>per</strong>sonalmente il disegnatore<br />
che aveva sostituito il defunto Permòli, il pittore Antonio Ravelli, artista<br />
che «ha qualche talento, ma non ha principî e non ha mai veduta una buona<br />
stampa» e che di lì a poco avrebbe convinto a prendere lezioni all’Accade-<br />
18 Paciaudi ms. 1586, lettera al Du Tillot dell’8 febbraio 1762.
mia di Parma 19 . Il nuovo direttore poté poi garantire al cantiere un disegnatore<br />
assai più affidabile e competente, il giovane Pietro Martini, che da<br />
qualche tempo si stava esercitando in lavori di architettura sotto la guida del<br />
Petitot 20 .<br />
Al Paciaudi non erano affatto piaciute le tavole del Costa, compresi i disegni<br />
del Permòli, «niuno essendo con quella esattezza e verità richiesta <strong>per</strong><br />
tal oggetto», e non aveva dubbi che, in caso di pubblicazione, bisognasse far<br />
ridisegnare tutti i pezzi 21 .<br />
Il problema dell’edizione degli scavi di <strong>Veleia</strong> stuzzicò la passione bibliofila<br />
del Paciaudi non meno delle sue curiosità antiquarie, tanto che i suoi<br />
suggerimenti al Du Tillot furono quasi esclusivamente di carattere editoriale,<br />
tesi a fare dell’o<strong>per</strong>a in esame una pubblicazione-modello, in grado di<br />
competere, <strong>per</strong> accuratezza scientifica, chiarezza grafica e facilità di consultazione,<br />
con i principali re<strong>per</strong>tori di antichità del tempo: contrariamente a<br />
quello che aveva suggerito il Caylus, propose ad esempio di dare all’o<strong>per</strong>a il<br />
formato di un «in foglio discreto, come il Montfaucon, non il foglio atlantico<br />
come il Museo Fiorentino, o la forma irregolare delle Pitture di Ercolano»,<br />
suggerì l’uso <strong>della</strong> carta d’Olanda, la migliore in commercio, e si dilungò<br />
in particolareggiate istruzioni sullo stile dei disegni e delle relative incisioni.<br />
Il Paciaudi voleva evitare che la pubblicazione su <strong>Veleia</strong> assumesse la<br />
forma del Recueil del Caylus, deturpato a suo vedere da brutte incisioni affidate<br />
a intagliatori ines<strong>per</strong>ti: all’epoca del suo soggiorno romano non aveva<br />
nascosto all’amico di essere rimasto molto deluso dal frontespizio del terzo<br />
volume e gli aveva suggerito di commissionare quello successivo al bravo<br />
Hubert Robert 22 , ma ora gli era chiaro che al conte premeva soprattutto di<br />
garantire tempi rapidi alle sue pubblicazioni, nel completo disinteresse <strong>per</strong><br />
la forma artistica e <strong>per</strong> l’eleganza dell’edizione.<br />
19 Vedi ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20 (Riflessioni intorno ad alcuni<br />
provvedimenti <strong>per</strong> gli scavi di Velleia, 16 luglio 1763); AMANP, ms. 46, lettera di Ambrogio<br />
Martelli del 29 dicembre 1763 e AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 2, lettera del Paciaudi a Giacomo<br />
Nicelli del 5 luglio 1763.<br />
20 Vedi ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20 (Memoria del Paciaudi scritta sull’uscire<br />
dell’anno 1763).<br />
21 ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20 (Riflessioni intorno ad alcuni provvedimenti<br />
<strong>per</strong> gli scavi di Velleia: «sarà <strong>per</strong>ò sempre vero che volendosi far incidere qualche cosa,<br />
sarà necessario di rifare quasi tutti i disegni, anche quelli del fu Permoli».<br />
22 Scriveva infatti il Paciaudi nell’aprile del 1761: «après le départ de M. de Saint-Non,<br />
Robert aura quelques momens libre; ainsi je lui ferai faire un dessin pour le frontispice du<br />
quatrième volume de vos antiquités; car, à vous parler avec naïveté, j’ai été très-mécontent<br />
du frontispice du troisième» (Sérieys 1802, p. 229).<br />
71
72<br />
Per l’incisione de’ rami disconvengo dal sentimento del mio conte di Caylus.<br />
Egli ama assai la rapidità, ed io credo che bisogna andar lento <strong>per</strong> andar bene.<br />
Egli progetta di far incidere in Inghilterra, in Allemagna, in Francia, in<br />
Italia, <strong>per</strong> dare presto il libro. Ma convien riflettere, che niun’intagliatore inglese,<br />
né alemanno ha mai lavorato bene le antichità. I libri, che abbiamo di<br />
quei paesi sono detestabili. In Francia uno, o due al più hanno il gusto antico,<br />
e in tal caso al solo M. Mariette si può fidare la commissione [...]. Nell’Italia,<br />
siccome abbondano gli originali delle antichità, gli incisori sono i migliori.<br />
Buoni quelli di Roma, eccellenti quelli di Firenze, sufficienti quelli di<br />
Venezia<br />
confidava il Paciaudi al Du Tillot nel marzo del 1762 23 : quando, un anno<br />
più tardi, si sforzerà di insegnare il mestiere al giovane Ravelli, scegliendo<br />
<strong>per</strong> lui dei «buoni esemplari <strong>per</strong> disegnare nello stile antico», gli ripeterà le<br />
stesse raccomandazioni, e cioè che «i libri di Antichità stampati in Francia<br />
non sono quelli da imitarsi» (compresi evidentemente anche quelli del Caylus)<br />
e che «le antichità incise in Venezia sono tutte cattive», con la sola eccezione<br />
dell’o<strong>per</strong>a di Antonio Maria Zanetti, «uomo intendente» e cugino di<br />
uno dei principali consulenti del teatino in materia antiquaria 24 .<br />
Forte dell’opinione del Mariette, che avrebbe volentieri ridotto al numero<br />
di dodici non meno di trenta tavole dell’o<strong>per</strong>a del Costa, trovandole piene<br />
di «inutilità», e che suggeriva di unire il catalogo delle sco<strong>per</strong>te del 1760<br />
a quello del 1761, in modo da avere sufficiente materiale <strong>per</strong> la stampa 25 , il<br />
Paciaudi giudicò <strong>per</strong>fettamente su<strong>per</strong>fluo e <strong>per</strong>sino ridicolo pubblicare tutte<br />
le incisioni volute dal Costa. Bersaglio delle sue critiche erano, naturalmente,<br />
le tavole riproducenti piccoli bronzetti di scarso interesse artistico o<br />
instrumentum domesticum, che invece di dimostrare la ricchezza <strong>della</strong> città<br />
di <strong>Veleia</strong> servivano solo a confermare le critiche di chi ironizzava sull’andamento<br />
degli scavi («se si daranno delle tavole con delle dita rotte, con lucer-<br />
23 Paciaudi ms. 1586, lettera al Du Tillot del 15 marzo 1762. Per le tavole il Paciaudi<br />
avrebbe preferito il formato del Traité del Mariette (ibidem, lettera del 25 gennaio 1762).<br />
24 AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 2, lettera del Paciaudi a Giacomo Nicelli del 5 luglio 1763. Il<br />
lungo sodalizio scientifico con l’archeologo veneziano Girolamo Francesco Zanetti è ben documentato<br />
dalle quarantasei lettere del carteggio del Paciaudi, conservato presso la Biblioteca<br />
Palatina di Parma (BPP, Carteggio Paciaudi, cass. 95). L’o<strong>per</strong>a tanto apprezzata dal Paciaudi<br />
è il catalogo dei marmi antichi dello Statuario Pubblico veneziano (Delle antiche statue greche<br />
e romane, che nell’antisala <strong>della</strong> Libreria di S. Marco, e in altri luoghi pubblici di Venezia si trovano),<br />
edito a Venezia da Antonio Maria Zanetti di Girolamo e Antonio Maria Zanetti di<br />
Alessandro nel 1740-1743: <strong>per</strong> la realizzazione dell’apparato figurativo furono impiegati i migliori<br />
incisori dell’epoca, tanto che l’o<strong>per</strong>a divenne presto un modello imprescindibile <strong>per</strong> i<br />
cataloghi illustrati pubblicati nella seconda metà del XVIII secolo (Sacconi 1996).<br />
25 Paciaudi ms. 1586, lettera al Du Tillot dell’8 febbraio 1762.
ne spezzate, con gangheri logori, come si è fatto in questo volume, si accrescerà<br />
il motivo <strong>della</strong> derisione, che diverrà ragionevole») 26 . Ma anche questa<br />
polemica, tutta apparentemente ostile all’o<strong>per</strong>a dell’ormai vecchio canonico,<br />
mirava in realtà a prendere le distanze da certe posizioni scientifiche sostenute<br />
dal Caylus, e che il Paciaudi non aveva mai approvato: «il nostro<br />
conte di Caylus più facilmente si contenta, e ogni pezzo di antichità <strong>per</strong> lui è<br />
buono: ella lo avrà veduto dai suoi libri» si affrettò, infatti, a scrivere al Du<br />
Tillot, subito dopo avere letto il manoscritto del Costa 27 .<br />
Ancor meno favore, nel severo giudizio del religioso, incontrarono il testo<br />
<strong>della</strong> Prefazione e l’esposizione del diario delle sco<strong>per</strong>te, in cui il Costa<br />
aveva accozzato gli oggetti senza alcun ordine logico, compromettendo <strong>per</strong>sino<br />
la comprensione e l’ipotetica ricostruzione delle strutture architettoniche<br />
rimesse in luce: «il povero Canonico non sa cosa si dica: tutto è confusione,<br />
su<strong>per</strong>fluità ed imbecillità. Non si può assolutamente pensare a stampare<br />
niente di ciò che ho veduto» si decise infine a scrivere al Du Tillot e,<br />
facendo leva sulle ambizioni che la corte di Parma aveva da sempre riposto<br />
in questo progetto, concludeva affermando che «dopocché tutto il mondo<br />
aspetta qualche cosa di grande di <strong>Veleia</strong>, e in un secolo tanto illuminato non<br />
conviene produrre un libro pieno di inezie e di miserie a tutti i riguardi, è<br />
meglio tacere che parlare mal a proposito», sicuro di essersi liberato, una<br />
volta <strong>per</strong> tutte, delle «ciaole inutili del Conte Canonico» 28 .<br />
Allo scopo di argomentare meglio le critiche all’o<strong>per</strong>a del Costa, e <strong>per</strong><br />
fugare i sospetti di invidia o di malignità, il Paciaudi decise di inviare al ministro<br />
delle Osservazioni sul manoscritto in questione, un testo già sottoposto<br />
all’esame di es<strong>per</strong>ti ed imparziali membri dell’Accademia di Parigi 29 :<br />
26 AMANP, ms. 59, p. 207.<br />
27 Ibidem.<br />
28 Paciaudi ms. 1586, lettere al Du Tillot del 22 febbraio, 15 marzo e 3 maggio 1762; vedi<br />
anche Mandich 1990, pp. 407-08.<br />
29 Come scrisse lo stesso Paciaudi al Du Tillot, le sue Osservazioni, unite al manoscritto<br />
del Costa, sarebbero state esaminate dal Le Beau, segretario dell’Accademia e «uomo del più<br />
dritto giudizio»: è probabile che proprio in seguito a questa valutazione, nascesse l’idea (subito<br />
comunicata al Du Tillot) di costituire un’Accademia antiquaria <strong>per</strong> le antichità veleiati,<br />
presieduta dal Costa e con il Paciaudi nel ruolo di segretario, con il compito di raccogliere le<br />
osservazioni dei vari accademici sui monumenti di <strong>Veleia</strong> e di pubblicare <strong>per</strong>iodicamente le<br />
Memorie. Il progetto, che intendeva ovviamente emulare l’iniziativa ercolanese e doveva dare<br />
lustro alla corte di Parma, fallì sul nascere a causa delle dimissioni del Costa e, soprattutto,<br />
del graduale impoverimento dei ritrovamenti veleiati (vedi Paciaudi ms. 1586, lettere al<br />
Du Tillot del 15 marzo e 5 aprile 1762). Le Osservazioni sul Manoscritto del Conte Canonico<br />
Costa sugli scavi Velleiati, indirizzate dal Paciaudi al ministro Du Tillot, si conservano (in copia<br />
redatta dal De Lama) in AMANP, ms. 59.<br />
73
74<br />
conservato ancora manoscritto presso la Biblioteca Palatina di Parma questo<br />
documento costituisce la prima e forse la più puntuale analisi critica dell’o<strong>per</strong>a<br />
del Costa, condotta letteralmente riga <strong>per</strong> riga e tavola <strong>per</strong> tavola, a<br />
cominciare dal titolo, <strong>per</strong> il quale avrebbe preferito una formula più breve e<br />
senza inutili giri di parole («i titoli de’ libri quanto più semplici, tanto più<br />
sono conformi agli esempi lasciatici da migliori scrittori») e dal frontespizio,<br />
in cui trovava intollerabile (e linguisticamente scorretta) l’aggiunta dell’appellativo<br />
di “Rep.Velejatium Regeneratori” indirizzato al duca don Filippo,<br />
dal momento la repubblica di <strong>Veleia</strong> «malgrado tutto le sco<strong>per</strong>te, non tornerà<br />
mai a rinascere». A parte alcune critiche di minor rilievo, come quelle<br />
agli ornati <strong>per</strong> i finali di pagina «di un infelice gusto cinese, e grottesco, che<br />
regna in Lombardia», che il Paciaudi avrebbe voluto “all’antica”, proponendo<br />
addirittura di utilizzare a questo scopo alcune delle «tante minuzze»<br />
veleiati inserite nel catalogo, e tralasciando le frequenti censure alle innumerevoli<br />
«miserie», indegne di comparire in un’o<strong>per</strong>a tesa a dimostrare l’opulenza<br />
dell’antica città, le osservazioni del teatino colgono spesso nel segno.<br />
Non ha problemi ad ammettere che la carta topografica degli scavi è ottima<br />
e che addirittura «è la cosa più ben pensata che si potesse fare, ed è il meglio<br />
del libro», ma fa giustamente notare la mancanza di una carta geografica<br />
dell’antico territorio veleiate, «acciò se ne veda l’estensione, si conoscano<br />
i popoli confinanti, e si possa comprendere la posizione dei <strong>Veleia</strong>ti, dei<br />
quali si deve trattare», lamenta l’assenza di una benché minima trattazione<br />
storica, che l’autore avrebbe potuto ricavare combinando le poche notizie<br />
trasmesseci dalle fonti antiche, dalla interpretazione <strong>della</strong> Tavola Traiana e<br />
dalle numerose altre iscrizioni rinvenute negli scavi, come la stele iscritta<br />
con venator dedicata a L. Sulpicius Nepos, patrono di <strong>Veleia</strong> o come le due<br />
iscrizioni che menzionano il nome stesso dell’antica città, confinate verso il<br />
fondo dell’o<strong>per</strong>a e che potevano invece, <strong>per</strong> il loro contributo alla storia<br />
<strong>della</strong> città, essere illustrate nella Prefazione 30 . Del tutto irrisolto rimane poi,<br />
a suo vedere, il problema delle cause che hanno condotto alla distruzione<br />
dell’antica città, e non dimostrata l’esistenza di aree vulcaniche nella zona,<br />
indicate come possibili responsabili <strong>della</strong> fine dell’abitato (un’ipotesi che<br />
deve molto al confronto con Ercolano), mentre è fondamentale, <strong>per</strong> il Paciaudi,<br />
che su questo punto «si distingua il certo dal probabile, e l’istorico<br />
dal conghietturale». Giustificati sono i richiami ad una più organica classificazione<br />
dei materiali, con particolare riguardo ai re<strong>per</strong>ti architettonici, presentati<br />
in ordine di ritrovamento e spesso, dunque, difficilmente collegabili<br />
30 CIL XI, 1192, 1183 e 1205. Per la stele con il venator, vedi Marini Calvani 1975, p. 40<br />
e Eadem 2000, p. 170, n. 20.
gli uni agli altri, così da rendere assai difficoltosa una ricostruzione ideale<br />
dei rispettivi edifici di appartenenza («tutto ciò che spetta all’Architettura<br />
bisogna darlo unitamente: allora si potrà formare una chiara idea del fabbricato<br />
di <strong>Veleia</strong>, e vi sarà il lucido ordine, che sempre manca in questo libro»),<br />
e utile il suggerimento di aggiungere qualche tavola illustrativa degli acquedotti,<br />
«un genere di antichità che si vede volentieri in tutte le raccolte» e <strong>per</strong><br />
di più giudicati «stupendi» dallo stesso Costa. Le modeste conoscenze archeologiche<br />
del Costa si erano inevitabilmente tradite nei frequenti errori di<br />
identificazione delle statue rinvenute a <strong>Veleia</strong>, errori che il Paciaudi tenta<br />
ora di individuare e di correggere: contesta, ad esempio, la denominazione<br />
di “sacerdotessa di Iside” 31 data al ritratto bronzeo di fanciulla proveniente<br />
dal foro e giudica un errore «grossolano» l’identificazione con Mida del<br />
bronzetto di Satiro inginocchiato, uno dei pezzi più apprezzati dell’intera<br />
raccolta <strong>per</strong> la <strong>per</strong>fetta conservazione e la bella patina e presto donato al<br />
Caylus 32 , e maliziosamente si chiede come mai l’autore non abbia neppure<br />
tentato di dare un nome alla testa in bronzo dorato di un «qualche divinizzato<br />
Im<strong>per</strong>atore», pur essendo note da tempo tutte le fisionomie dei Cesari.<br />
Non mancano le critiche all’ineguatezza e allo scarso aggiornamento dei riferimenti<br />
bibliografici, come quando, parlando dei mosaici pavimentali, il<br />
Costa omette di citare l’o<strong>per</strong>a del Furietti 33 oppure, a proposito <strong>della</strong> presenza<br />
di numerose dediche im<strong>per</strong>iali, non trova di meglio che appellarsi all’autorità<br />
del Malvasia 34 , suscitando le reazioni sdegnate del Paciaudi («se lo<br />
31 Costa ms. 1246, tav. IV,1. Per questa testa, vedi D’Andria 1970, n. 18 e Marini Calvani<br />
2000, pp. 24-25.<br />
32 Costa ms. 1246, tav. XLV,1. Il bronzetto sarà donato al Caylus nel novembre del 1763,<br />
insieme ad altri pezzi veleiati, come dimostra il carteggio con il Paciaudi, in cui il conte dichiara<br />
il proposito di ricavarne alcune tavole <strong>per</strong> il suo Recueil (Nisard 1877, I, p. 375-376,<br />
381 e Caylus Recueil, VII, p. 205, tavv. LIV, I-III). Su questo bronzetto, conservato oggi alla<br />
Bibliothèque Nationale di Parigi, vedi Babelon 1900, n. 422; Idem 1928, n. 18 e D’Andria<br />
1970, n. 17.<br />
33 Si tratta del De musivis ad ss. patrem Benedictum XIV pontificem maximum, edito a Roma<br />
dal Furietti nel 1752: in seguito ad alcune fortunate campagne archeologiche condotte<br />
negli anni Trenta del secolo nell’area di Villa Adriana, che restituirono i celebri centauri di<br />
Aristeas e Papias e il mosaico con le colombe oggi ai Musei Capitolini, il Furietti decise di<br />
dedicarsi allo studio dei mosaici antichi, diventando presto uno specialista del settore (vedi<br />
Fagioli Vercellone 1998).<br />
34 Vedi anche Costa ms. Pallastrelli, lettera al Du Tillot del 2 ottobre 1760, in cui il canonico,<br />
<strong>per</strong> dimostrare l’importanza <strong>della</strong> città che si andava scoprendo e che continuava a restituire<br />
numerose iscrizioni dedicatorie in onore di diversi im<strong>per</strong>atori, citava l’o<strong>per</strong>a del Malvasia:<br />
«sempre più mi fo forte nel credere, che tal città fosse delle illustri ... giacché era costume<br />
di sifatte città l’erigere delle memorie a tutti gl’im<strong>per</strong>atori, come insegna il Malvasia nei suoi<br />
Marmi di Bologna». I Marmora Felsinea del Malvasia vennero pubblicati a Bologna nel 1690.<br />
75
76<br />
A.C.P. Conte di Caylus, Recueil, VII, tav. LIV, particolare. Bronzetto di satiro<br />
inginocchiato.
scrittore non ha miglior autore da citare del Malvasia, ogni uno se ne riderà.<br />
Abbiamo l’equivalente nei classici, <strong>per</strong>ché ricorrere a così cattiva fonte?»).<br />
Il Du Tillot aveva ormai <strong>per</strong>so le s<strong>per</strong>anze di far conoscere all’intero<br />
mondo letterario i felici risultati degli scavi e il Paciaudi (come se ce ne fosse<br />
stato bisogno) ammoniva che il libro del Costa non poteva assolutamente<br />
essere dato alle stampe «senza disonorare il nome di S.A.R. e discreditare le<br />
antichità di <strong>Veleia</strong>».<br />
Bisognava dunque ricominciare da capo, e bisognava fare in fretta, anche<br />
<strong>per</strong> scoraggiare la produzione non autorizzata di saggi o descrizioni su <strong>Veleia</strong><br />
(spesso poco accurata ma sempre molto lusinghiera quando si trattava di<br />
elencare i tanti «marmi preziosi d’inestimabil valore», le pretese statue in<br />
alabastro o quelle in metallo dorato) 35 , che avrebbero finito <strong>per</strong> indirizzare<br />
su <strong>Veleia</strong> la curiosità e la cupidigia di troppi e minacciato la riservatezza dei<br />
lavori.<br />
Ma il teatino, <strong>per</strong> fortuna, stava da tempo lavorando ad un progetto di<br />
pubblicazione che avrebbe dovuto sostituire, con grandi vantaggi <strong>per</strong> la corte<br />
di Parma, l’o<strong>per</strong>a del vecchio canonico: unito alle sue Osservazioni sull’o<strong>per</strong>a<br />
del Costa, il Paciaudi aveva infatti rimesso nelle mani del Du Tillot,<br />
fin dal marzo 1762, un progetto di «come si potrebbe fare forse un buon libro»,<br />
convinto che <strong>per</strong> pubblicare degnamente e in modo scientifico le antichità<br />
di <strong>Veleia</strong> ci volesse ancora molto studio («bisogna filosofare sulle antichità,<br />
e bisogna mettervi del ragionamento»).<br />
Si preoccupò, <strong>per</strong> prima cosa, di chiarire alcuni problemi di identificazione<br />
degli oggetti recu<strong>per</strong>ati, almeno dei più significativi, riuscendo in<br />
molti casi a correggere gli errori del canonico o a dare adeguato risalto a<br />
re<strong>per</strong>ti altrimenti trascurati. Quando, nel luglio del 1760, venne scavato il<br />
bronzetto dell’Eracle bibax, il Paciaudi volle subito interrogare il Caylus<br />
sulla particolare iconografia del pezzo:<br />
35 Una descrizione anonima di <strong>Veleia</strong>, conservata manoscritta presso la Biblioteca Universitaria<br />
di Pavia (misc. Belcredi, t. 46, fasc. 37), e databile probabilmente alla fine del 1761<br />
(è menzionata la gita di Filippo di Borbone a <strong>Veleia</strong> del settembre di quell’anno), è pubblicata<br />
in Miranda 2002, doc. 3 (Nuova, vera distinta relazione <strong>della</strong> città di Villea. Nello Stato<br />
Piacentino, vicinanza di Lugagnano, quattro miglia fra li monti). Oltre a ricordare, con toni di<br />
meraviglia, il ritrovamento di tanti marmi di eccezionale pregio, l’anonimo relatore elenca le<br />
due teste bronzee effettivamente rinvenute nel foro, almeno sette figure in alabastro e sei statue<br />
in marmo tra cui «una vestita all’eroica con spada e capelli in forma di Perucca, e pizzi<br />
nella camiscia», stimata dagli antiquari di Roma e di Francia <strong>per</strong> un valore di un milione<br />
(difficilmente identificabile con una delle statue <strong>della</strong> basilica), oltre ad una «figura di metallo<br />
dorato, che dicesi dagli Antiquari possi essere la Madre di Nerone Im<strong>per</strong>atore», di cui<br />
non abbiamo alcun riscontro nei dati di scavo.<br />
77<br />
13
78<br />
Je ne doute pas du tout que les anciens ne nous aient laissé des monuments<br />
de l’Ercole bibace; je le crois faciles à distinguer. Mais quand je verrai une figure<br />
nue ou médiocrement vêtue, et sans aucun caractère, tenant au contraire<br />
un vase d’une main, je ne balancerai pas à la déclarer la représentation<br />
d’un pocillator, et je n’irai pas courir après une divinité. Je n’en ai qu’un romain<br />
copié d’après une figure grecque, et je n’ai jamais eu d’Hercule dans<br />
cette disposition<br />
fu la risposta del conte agli interrogativi dell’amico36 . Dobbiamo credere<br />
che il Caylus non avesse ancora visto il bronzo, altrimenti difficilmente<br />
avrebbe interpretato come pocillator una indubbia statuetta di Eracle, quasi<br />
certamente un ex-voto al sodalicium dei devoti di Eracle, uno dei re<strong>per</strong>ti<br />
più noti, e anche più discussi, dell’intera raccolta veleiate37 . Più utili e <strong>per</strong>tinenti<br />
furono, invece, i suggerimenti che l’antiquario francese dedicò alle<br />
tavole illustrative destinate ad accompagnare l’o<strong>per</strong>a, questione che stava<br />
particolarmente a cuore al teatino e che si faceva piuttosto delicata <strong>per</strong> i<br />
pezzi di maggior rilievo artistico, come le celebri statue marmoree <strong>della</strong><br />
basilica:<br />
a l’égard de vos gravures, je vous conseillerais de donner les figures comme<br />
vous les avez trouvées, et sans les faire restaurer par des sculpteurs, qui le<br />
plus ordinairement les appesantiront. Je ferais poctuer les parties qui manquent<br />
selon le dessin de quelque peintre sage. Ce serait le moyen d’ôter les<br />
difformités, s’il s’en rencontre, et de satisfaire l’oeil du spectateur, sans rien<br />
prendre sur vous et sans faire de grandes dépenses, après lesquelles il n’y a<br />
plus moyen de recourir38 .<br />
Il Caylus non aveva dubbi sulla necessità di riprodurre le statue nel loro<br />
stato frammentario, senza aggiunte <strong>per</strong>manenti che avrebbero rischiato di<br />
appesantire la fattura antica: non conosciamo l’opinione del Paciaudi su<br />
questo punto e anche i numerosi abbozzi lasciatici sulle antichità veleiati<br />
36 Nisard 1877, I, p. 261.<br />
37 La statuetta, come è noto, sarebbe stata rinvenuta nel luglio del 1760 in prossimità <strong>della</strong><br />
camera pavimentata con lastre di bardiglio, lungo il lato occidentale del foro: nello stesso<br />
punto venne anche ritrovata la basetta con iscrizione relativa alla dedica di L. Domitius Secundio<br />
(CIL XI, 1159) ai sodales del culto di Eracle. Per le discussioni sulla possibile falsificazione<br />
del pezzo, vedi D’Andria 1970, n. 11 ma anche Marini Calvani 1979, p. 238, n. 453 e<br />
Eadem 2001, p. 25. Nel V volume del Recueil (pp. 224-25, tav. LXXXII), uscito nel 1762, il<br />
Caylus inserirà un bronzetto interpretato come pocillator e, memore del pezzo rinvenuto a<br />
<strong>Veleia</strong>, metterà il lettore in guardia sul fatto che in molti gabinetti di antichità questo tipo di<br />
figura venisse spesso erroneamente interpretata come immagine di Eracle bibax.<br />
38 Nisard 1877, I, p. 370, lettera del 24 ottobre 1763.
non <strong>per</strong>mettono di sciogliere questo dubbio 39 . Di certo, i problemi legati alla<br />
riproduzione grafica rimasero sempre tra le priorità del teatino e dovevano<br />
essere, almeno nelle intenzioni, uno dei punti di forza dell’intera o<strong>per</strong>a.<br />
Abbiamo visto con quanta cura si applicò ad istruire i disegnatori sullo scavo<br />
e non <strong>per</strong>se occasione <strong>per</strong> dare disposizioni che correggessero le norme<br />
stabilite dal canonico: impose, ad esempio, di abolire la ridicola e fuorviante<br />
dicitura «in giusta misura» che compariva in molte delle tavole del Costa,<br />
sostituendola con le opportune misure in scala metrica, volle che sotto ogni<br />
oggetto fosse indicato il materiale e impartì regole precise <strong>per</strong> la riproduzione<br />
dei re<strong>per</strong>ti, riservando alle teste e a tutti i monumenti artisticamente più<br />
pregevoli almeno una veduta frontale e una di profilo, «mentre il non essersi<br />
ciò fatto sin qui fa che non si riconoschino le fisionomie, e cosa rappresentino<br />
li monumenti» 40 .<br />
Nel libro che andava progettando, e <strong>per</strong> il quale aveva scelto il semplice<br />
titolo “Le antichità di Velleia”, il Paciaudi aveva in mente di inserire un numero<br />
limitato di tavole, seguendo forse il parere del Caylus, che aveva consigliato<br />
di fare incidere solo i re<strong>per</strong>ti che presentassero qualche singolarità 41 .<br />
Da un elenco, incompleto e ancora in stato di abbozzo, dei pezzi da inserire<br />
nelle tavole 42 , sembra che lo studioso intendesse dedicare ai culti veleiati almeno<br />
una tavola con bronzetti di divinità ed ex-voto in terracotta, almeno<br />
tre tavole erano quasi interamente riservate alla documentazione di vari oggetti<br />
di instrumentum domesticum e ampio spazio era dedicato a vari generi<br />
di epigrafi, tra cui figurava anche la laminetta bronzea con iscritto il nome<br />
di Annua Cannua, sco<strong>per</strong>ta nel 1763 43 , una delle epigrafi “minori” veleiati<br />
che più stuzzicò la curiosità degli antiquari, a partire dallo stesso Paciaudi<br />
che, contrario all’ipotesi di una destinazione funeraria (ancora sostenuta al-<br />
39 Di certo qualche tentativo di restauro dovette all’epoca essere preso in considerazione,<br />
dal momento che nello studio dello scultore di corte Jean-Baptiste Boudard furono rinvenute,<br />
dopo la sua morte (1768), «cinque statue di marmo antiche e mutilate ritrovate in Velleja»<br />
(ASP, Fondo Moreau de St. Méry, b. 27), ma non è chiaro che tipo di intervento si intendesse<br />
fare (vedi anche Saletti 1969, p. 19). Sul problema, ancora a<strong>per</strong>to, dei restauri sette e<br />
ottocenteschi delle statue veleiati, vedi anche Miranda 2001, p. 284, nota 16.<br />
40 AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 2, lettera a Giacomo Nicelli del 15 luglio 1763.<br />
41 Nisard 1877, II, p. 21, lettera al Paciaudi del 13 luglio 1764.<br />
42 Paciaudi ms. 1591: l’o<strong>per</strong>a (o forse il primo tomo di questa, relativo agli scavi del<br />
1763) prevedeva la pubblicazione di 22 tavole, ma è qui illustrato solo il contenuto delle<br />
tavv. I-IV, VI e VIII.<br />
43 CIL XI, 1195. Vedi Ms. Parm. 1245, tav. IV, n. 4 (anno 1763); Paciaudi ms. 1591,<br />
tav. IV.<br />
79
80<br />
cuni decenni più tardi da Gaetano Marini) 44 , pensava ad una funzione <strong>della</strong><br />
laminetta nell’ambito <strong>della</strong> sfera muliebre, forse come “etichetta” da attaccare<br />
ad un cista <strong>per</strong> i doni nuziali.<br />
Alla fine del 1763 la notizia <strong>della</strong> prossima pubblicazione de Le antichità<br />
di Velleia era ormai cominciata a circolare, tanto che da Parigi il Barthélemy<br />
si mostrava curioso di quanto il Paciaudi stava preparando e da Bologna<br />
Giacomo Biancani Tazzi, custode <strong>della</strong> «Stanza delle Antichità» del locale<br />
<strong>Istituto</strong> delle Scienze, si rallegrava con il teatino <strong>per</strong> la bella novità 45 , ma ancora<br />
nel 1765 il Lalande informava che l’o<strong>per</strong>a non era ancora pronta e che<br />
il Paciaudi stava lavorando alle tavole, e nel 1767 il viaggiatore polacco M.<br />
Giorgio Mniszech annotava nel suo diario che alcune «plagues de cuivre<br />
avec des inscriptions gravées» trovate negli scavi di Velleia (probabilmente i<br />
frammenti <strong>della</strong> tavola con la Lex de Gallia Cisalpina e forse qualche altra<br />
lamina bronzea iscritta, come quella di Annua Cannua) non erano ancora<br />
state pubblicate né spiegate 46 . Che cosa impediva al Paciaudi di completare<br />
e di dare finalmente alle stampe il suo lavoro?<br />
Gli scavi, come abbiamo visto, non stavano dando grandi risultati e insieme<br />
alle s<strong>per</strong>anze di fare qualche importante sco<strong>per</strong>ta si affievoliva anche<br />
l’interesse del religioso <strong>per</strong> le antichità veleiati, tanto che il Caylus dovette<br />
spronarlo a non abbandonare l’impresa, convinto che quanto finora era stato<br />
trovato fosse già sufficiente a soddisfare la curiosità degli studiosi: «l’essentiel<br />
de l’ouvrage que vous donnerez sera constamment établi sur les lois<br />
singulières que vous avez trovées à Véleia. En donnant vos statues et vos au-<br />
44 A sollecitare l’opinione del Marini su questa laminetta fu il giovane aiutante del Paciaudi,<br />
Pietro De Lama, al quale l’epigrafista romano così scrisse, nell’agosto del 1784: «carissime<br />
mi sono state le due laminette di bronzo, delle quali è ben curiosa quella di Annua<br />
Cannua, che forse fu appiccata all’urna di Costei» (AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di<br />
Privati, cart. 3, lettera del 14 agosto 1784).<br />
45 Vedi Nisard 1877, II, p. 271 e BPP, Carteggio Paciaudi, cass. 67, lettera di G. Biancani<br />
Tazzi dell’8 dicembre 1763.<br />
46 Lalande Voyage, I, p. 425 e Mniszech Journal: vedi infra cap. IV, p. 198. Mniszech non<br />
sarà l’unico polacco ad interessarsi delle antichità veleiati: già negli anni 1790-1792 una copia<br />
dei tre volumi in folio <strong>della</strong> Raccolta dei Monumenti di Antichità che col mezzo dei regi<br />
scavi si sono tratte dalle viscere <strong>della</strong> città dei <strong>Veleia</strong>ti, relativi alle sco<strong>per</strong>te degli anni 1760-<br />
1765, faceva la sua bella mostra, come o<strong>per</strong>a di gran pregio, nella ricca biblioteca di Stanislao<br />
Augusto Poniatowski, ultimo re di Polonia. Attraverso quali strade e quali emissari le<br />
copie dei manoscritti tenuti gelosamente sotto chiave a Parma e assai di rado mostrati, e <strong>per</strong><br />
pochi minuti, a ospiti di particolare riguardo siano giunte sino a Varsavia rimane ancora un<br />
problema a<strong>per</strong>to, ma non c’è dubbio che questo caso, recentemente reso noto da J. Kolendo<br />
(Kolendo 2004), è indicativo del fermento di iniziative, curiosità e, forse, velleità editoriali,<br />
che ancora alla fine del Settecento ruotava intorno alla sco<strong>per</strong>ta di <strong>Veleia</strong>.
Fig. 1 – A. Costa, Raccolta dei Monumenti di Antichità ..., Parma, Biblioteca Palatina,<br />
Ms. Parm. 1246. Pianta delle sco<strong>per</strong>te fatte a <strong>Veleia</strong> nel 1760.
Fig. 2 – A.C.P. Conte di Caylus, Recueil, VI, tav. CII. Frammenti ceramici da <strong>Veleia</strong>.
Fig. 3 – A.C.P. Conte di Caylus, Recueil, IV, tav. LIX. Bronzetti da <strong>Veleia</strong>.
Fig. 4 – A.C.P. Conte di Caylus, Recueil, VII, tav. LIV. Bronzetti da <strong>Veleia</strong>.
Fig. 5 – A.C.P. Conte di Caylus, Recueil, VII, tav. LV. Bronzetti da <strong>Veleia</strong>.
Fig. 6 – Parma, Archivio di Stato, Mappe e Disegni, vol. 25, n. 37. Pianta delle sco<strong>per</strong>te<br />
fatte a <strong>Veleia</strong> negli anni 1761-1763.
Fig. 7 – P.M. Paciaudi (?), Monumenti antichi disco<strong>per</strong>ti tra le rovine di <strong>Veleia</strong>, Parma,<br />
Biblioteca Palatina, Ms. Parm. 1245, tav, V (1764). Erma marmorea da <strong>Veleia</strong>.
Fig. 8 – P. M. Paciaudi (?), Monumenti<br />
antichi disco<strong>per</strong>ti tra le rovine di <strong>Veleia</strong>,<br />
Parma, Biblioteca Palatina, Ms. Parm.<br />
1245, tav. IV. Torso marmoreo di fanciullo.<br />
Fig. 9 – P. M. Paciaudi (?), Monumenti<br />
antichi disco<strong>per</strong>ti tra le rovine di <strong>Veleia</strong>,<br />
Parma, Biblioteca Palatina, Ms.<br />
Parm. 1245, tav. VI. Testa virile marmorea.
Fig. 10 – P. M. Paciaudi (?), Monumenti<br />
antichi disco<strong>per</strong>ti tra le rovine<br />
di <strong>Veleia</strong>, Parma, Biblioteca Palatina,<br />
Ms. Parm. 1245, tavv. XXI e XXII.<br />
Pianta e elevato dell’edificio circolare<br />
di <strong>Veleia</strong>.
Fig. 11 – Parma, Archivio del Museo Archeologico Nazionale, <strong>Scavi</strong> di <strong>Veleia</strong>, 3. Pianta<br />
dello scavo dell’edificio circolare di <strong>Veleia</strong> (5 luglio 1764).<br />
Fig. 12 – Parma, Museo Archeologico Nazionale, Disegni e Stampe, n. 152. Pianta di<br />
<strong>Veleia</strong> (particolare dell’area sud-orientale dell’abitato), 1779.
Fig. 13 – Parma, Museo Archeologico Nazionale, statuetta bronzea di Eracle bibax e<br />
basetta marmorea con dedica al sodalicium cultorum Herculis (CIL XI, 1159).
Fig. 14 – P. A. Martini, Vestigj<br />
dell’antica città di <strong>Veleia</strong>, Museo<br />
Archeologico Nazionale,<br />
Disegni e Stampe, n. 538-539.<br />
Pianta relativa agli scavi del<br />
1765 e incisa nel 1767.<br />
Fig. 15 – Parma, Archivio di Stato, Mappe e Disegni, vol. 25, n. 43. Pianta dell’edificio<br />
circolare di <strong>Veleia</strong>, 1780.
Fig. 16 – Parma, Museo Archeologico Nazionale, bronzetti trovati a <strong>Veleia</strong> nel 1776:<br />
piede di mobile con figura di guerriero, togato, Alessandro, Dioniso.
Fig. 17 – Parma, Archivio di Stato,<br />
Mappe e Disegni, vol. 25, n. 47. Disegno<br />
di mosaico geometrico a tessere<br />
bianche e celesti da <strong>Veleia</strong>, 1779.<br />
Fig. 18 Parma, Archivio di Stato, Mappe e Disegni, vol. 25, n. 38. Pianta degli scavi<br />
eseguiti a <strong>Veleia</strong> nel 1804.
Fig. 19 – Parma, Museo Archeologico Nazionale, Disegni e Stampe, I B, n. 197. Pianta<br />
degli scavi eseguiti a <strong>Veleia</strong> nel 1804 (area a sud <strong>della</strong> chiesa e del cd. “anfiteatro”).<br />
Insieme e particolare.
Fig. 20 – G.B. De Gubernatis, Veduta del Foro di <strong>Veleia</strong>, 1808 c., Torino, Galleria Civica<br />
di Arte Moderna.<br />
Fig. 21 – G. Antolini, Le rovine di <strong>Veleia</strong>, I, (1819), tav. I. Veduta del Foro di <strong>Veleia</strong>,<br />
acquatinta su disegno di L. Basiletti.
tres ustensiles pour ce qu’ils valent, on n’aura rien à vous reprocher» gli<br />
scrisse infatti nel luglio del 1764, assicurandogli il pieno appoggio scientifico<br />
dei membri dell’Accademia di Francia47 . Il vero punto di forza del libro<br />
era <strong>per</strong>ò, a giudizio del conte, la carta topografica dell’antica <strong>Veleia</strong>, in cui<br />
anche il Paciaudi vedeva ormai, con rassegnazione, l’unico vero motivo <strong>per</strong><br />
continuare le esplorazioni: «gli scavi fatti nel piano, ove si son fatti dei saggi<br />
nel passato novembre daranno almeno il piacere di finire la Carta Topografica<br />
in figura regolare, che mostri un piantato di città», annoterà nel piano<br />
di lavoro <strong>per</strong> il 176448 . Le rovine di <strong>Veleia</strong> continuavano <strong>per</strong>ò a restituire,<br />
terminata l’esplorazione del foro, piccoli ambienti <strong>per</strong>tinenti ad abitazioni<br />
private e non si era ancora riusciti ad individuare nessuna struttura di particolare<br />
rilievo e nemmeno un edificio di culto, ma alle evidenti <strong>per</strong>plessità<br />
del Paciaudi, il Caylus obiettava che la carta topografica, <strong>per</strong> la ricchezza e<br />
la varietà tipologica di questo genere di edifici, ancora poco noti agli antiquari,<br />
sarebbe risultata assai più istruttiva:<br />
Je suis fâché que vous ne découvriez pas mieux dans vos fouilles que ces petites<br />
maisons. Il ne faut pas désespérer de la bonne fortune. Mais ces petites<br />
maisons étaient appuyées sur des grandes, et j’espère qu’au moins vous avez<br />
fait lever le plan de ces habitations communes. Vous savez qu’ils nous sont<br />
plus inconnus que ceux des temples et des palais. De plus, la carte qui se<br />
trouvera à la tête de votre ouvrage sera plus riche et plus curieuse49 .<br />
Il conte propose <strong>per</strong>sino di far controllare l’esattezza dei nomi italiani e<br />
latini al Mariette, l’unico in tutta Parigi in grado di fare un buon lavoro («Il<br />
a les connaissances, la patience et l’intelligence pour une pareille opération»)<br />
50 e si ado<strong>per</strong>erà <strong>per</strong> far inserire il toponimo di <strong>Veleia</strong> nella nuova carta<br />
dell’Italia in preparazione in quei mesi a Parigi 51 : sarà questo l’ultimo<br />
contributo del vecchio antiquario alla risco<strong>per</strong>ta di <strong>Veleia</strong>.<br />
La carta topografica di <strong>Veleia</strong>, con l’indicazione delle sco<strong>per</strong>te degli anni<br />
1760-1763, ed una successiva, delineata nel 1767 da Pietro Martini e relativa<br />
alla situazione degli scavi alla fine del primo ciclo di esplorazioni (1765) sono<br />
giunte fino a noi e rappresentano uno dei principali contributi delle<br />
campagne dirette dal Paciaudi, soprattutto se si considera che l’intera area<br />
47 Nisard 1877, II, p. 21 (lettera del 13 luglio 1764) e p. 43 (lettera dell’8 ottobre 1764).<br />
48 ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20.<br />
49 Nisard 1877, II, p. 20 (lettera del 13 luglio 1764).<br />
50 Nisard 1877, II, p. 124 (lettera s.d., ma databile tra il 10 e il 21 maggio 1765).<br />
51 Nisard 1877, II, p. 150 (lettera del 22 luglio 1765). Il Caylus morirà il 5 settembre dello<br />
stesso anno.<br />
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sud-orientale all’epoca indagata ha subito nel tempo gravi danni ed è oggi in<br />
gran parte interrata. Ben diversa, invece, la sorte <strong>della</strong> tanto attesa o<strong>per</strong>a<br />
sulle antichità veleiati, che il Paciaudi abbandonò, ancora in stato di abbozzo,<br />
all’indomani <strong>della</strong> chiusura degli scavi, e di cui ci rimane il seguente indice<br />
del primo tomo, inviato al Du Tillot fin dal 1762 52 :<br />
Tomo Primo. Indice dei Capitoli:<br />
I Sito, origine, e condizione di <strong>Veleia</strong><br />
II Conghietture sulle cagioni <strong>della</strong> sua ruina<br />
III Occasione del suo discoprimento, e idea generale degli scavi<br />
IV Delle Fabbriche di <strong>Veleia</strong>. Sco<strong>per</strong>te, e loro architettura<br />
V Delle o<strong>per</strong>e pubbliche <strong>della</strong> città di <strong>Veleia</strong><br />
VI Pitture trovate fra le rovine di <strong>Veleia</strong><br />
VII Forma <strong>della</strong> Repubblica de’ <strong>Veleia</strong>ti tratta dai suoi monumenti<br />
VIII Collegi sacri, che furono in <strong>Veleia</strong><br />
IX Leggi in <strong>Veleia</strong> descritte, e ivi conservate<br />
X Beneficenze dagli Im<strong>per</strong>atori ai <strong>Veleia</strong>ti compartite<br />
XI Memorie dai <strong>Veleia</strong>ti erette alle <strong>per</strong>sone benemerite <strong>della</strong> loro Repubblica,<br />
e città<br />
XII Monumenti di vario genere trovati nelle ruine di <strong>Veleia</strong><br />
Da un fascicolo, rimasto anch’esso manoscritto 53 , apprendiamo poi che il<br />
Paciaudi si proponeva di affrontare il dibattuto problema <strong>della</strong> distruzione<br />
dell’antica città, proponendo tra le cause più probabili (e mai menzionata<br />
prima) quella delle invasioni barbariche provenienti dal Nord, e tentava,<br />
inoltre, di risolvere i dubbi sulla possibile presenza, nei Fasti Capitolini, del<br />
nome degli abitanti di <strong>Veleia</strong>: un passo lacunoso dei Fasti era infatti stato integrato<br />
dal Sigonio (seguito dal Panvinio) con le parole “De Liguribus, et<br />
Veleatibus”, una lezione che intendeva correggere quella precedente del Pighius,<br />
che vi aveva letto “De Liguribus Eleatibus”. Sarà questo un argomento<br />
che continuerà ad occupare le ricerche del religioso ancora <strong>per</strong> alcuni anni,<br />
tanto che nel 1770, sempre più convinto <strong>della</strong> validità <strong>della</strong> lettura proposta<br />
dal Sigonio, riuscirà a coinvolgere nella discussione anche il celebre<br />
archeologo Giuseppe Garampi e l’abate Giovanni Cristofano Amaduzzi, au-<br />
52 AMANP, ms. 59, pp. 226-28. Per l’invio del progetto di pubblicazione al Du Tillot, vedi<br />
Paciaudi ms. 1586, lettera del 15 marzo 1762.<br />
53 Paciaudi ms. 1591, Ricerche sull’antica Città di Velleia (ne esiste copia eseguita dal De<br />
Lama in AMANP, ms. 59: il De Lama data il manoscritto tra il 1765 e il 1770, in quanto si fa<br />
già menzione <strong>della</strong> morte del duca don Filippo (1765) e alcune note sono riportate in una<br />
lettera (probabilmente quella del Garampi: vedi nota successiva) del 1770.
tore quest’ultimo di una relazione che dovette frenare gli entusiasmi del teatino,<br />
in quanto sosteneva che «difficilmente può aver luogo la congettura,<br />
che invece di Eleati debbansi ivi leggere i popoli Velleati» 54 .<br />
Altro materiale preparatorio o che doveva, almeno in parte, confluire nel<br />
grande o<strong>per</strong>a del Paciaudi è poi quello raccolto nel Ms. Parm. 1245 <strong>della</strong> Biblioteca<br />
Palatina di Parma, intitolato Monumenti antichi disco<strong>per</strong>ti tra le rovine<br />
di <strong>Veleia</strong>, recante un frontespizio eseguito da Pietro Martini e contenente<br />
i diari di scavo degli anni 1763-1765, oltre ad un totale di quarantacinque<br />
tavole illustrative, di cui le prime ventidue, dedicate alle sco<strong>per</strong>te del<br />
1763, sono sicuramente da riconoscere in quelle previste (e solo parzialmente<br />
spiegate) nella bozza di pubblicazione compilata dallo stesso Paciaudi 55 e<br />
diverse altre corrispondono ai disegni preparatori eseguiti direttamente sullo<br />
scavo e sottoposti di volta in volta all’esame dell’antiquario ducale 56 . A dispetto<br />
di questi continui controlli, non si può certo dire che tutte le tavole<br />
del Ms. Parm. 1245 seguano fedelmente i dettami del Paciaudi in fatto di riproduzioni<br />
grafiche, anzi, sono ben pochi i disegni corredati di un’adeguata<br />
54 BPP, Carteggio Paciaudi, cart. 77, lettera del Garampi del 13 giugno 1770. In effetti<br />
l’integrazione proposta anche negli studi moderni è proprio quella con la forma “Eleatibus”,<br />
che ricorre <strong>per</strong> intero nei Fasti trionfali capitolini relativi al trionfo di M. Fulvio Nobiliore<br />
del 158 a.C. («[de Liguri]bus Eleatibus») e che invece si deve supplire nella registrazione del<br />
trionfo di M. Claudius Marcellus del 166 a.C. («Liguribus [Elea]tibusque»): si tratta probabilmente<br />
di una forma derivata da “Veleates” o “Veliates” (attestata nei Fasti trionfali di Urbisaglia<br />
<strong>per</strong> il trionfo di M. Claudio Marcello sui “Ligures Veliates” del 166 a.C.) e nata <strong>per</strong><br />
la possibile confusione con Elea, la città <strong>della</strong> Campania chiamata dai romani anche Velia<br />
(Degrassi 1947, pp. 82-83 e 556-57 e Idem 1955, p. 71).<br />
55 Paciaudi ms. 1591.<br />
56 Nel giornale degli scavi conservato in AMANP, ms. 46, è, ad esempio, registrato (<strong>per</strong><br />
l’anno 1763) l’invio al Paciaudi <strong>della</strong> tav. I, 1, raffigurante un «bronzetto di Bacco coronato<br />
di pampini, con grappolo d’uva nella destra, con manto su parte braccia», trovato a occidente<br />
<strong>della</strong> facciata <strong>della</strong> Chiesa, <strong>della</strong> tav. V, riproducente un’erma femminile di marmo e<br />
delle tav. VI, 1 e VII, raffiguranti rispettivamente «la testa di una picciola statua di marmo<br />
bianco, che <strong>per</strong> le ruine un po’ spontata nel naso avendo l’acconciatura de’ capelli aricciata»<br />
e una «picciol testa di statua di marmo bianco d’una femina con capelli annodati con<br />
ornati di fiori, e altro pendendogli dalli orecchi due fiochi, che li discendono sul petto», entrambe<br />
provenienti dall’area <strong>della</strong> canonica di Macinesso; <strong>per</strong> l’anno 1764 è registrato l’invio<br />
<strong>della</strong> tavola III, 6, riproducente una «piccola pietra di latteo colore venata di verdastro<br />
scuro ... di figura ovale» decorata con «Giove sedente col fulmine nella destra e aquila ai<br />
piedi», scavata nel cd. “Circo”, <strong>della</strong> tav. IV, raffigurante un torso di fanciullo avvolto da un<br />
serpente, scavato in «un fabbricato contiguo al Foro», <strong>della</strong> tav. VI, con una testa virile proveniente<br />
dall’area del “Circo” e <strong>della</strong> tav. XVII, 1, riproducente «due uniformi testine di<br />
piombo»: si tratta delle stesse tavole riprodotte in Ms. Parm. 1245, relativamente agli scavi<br />
del 1763 e 1764.<br />
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9
84<br />
scala metrica o i pezzi riprodotti da diverse visuali, segno che anche questa<br />
documentazione dovette risentire del graduale disinteresse del religioso <strong>per</strong><br />
le esplorazioni veleiati, e finì <strong>per</strong> essere precocemente abbandonata.<br />
«Je vois par une lettre que, je crois, vous avez écrite de Véleia, qui est insérée<br />
dans la Gazette littéraire, et que je soupçonne être de vous, qu’il ne faut<br />
plus compter sur les fouille» scriverà il conte di Caylus al Paciaudi nell’aprile<br />
del 1765 57 : nella Gazette littéraire de l’Europe del 3 e del 31 marzo 1765 era<br />
infatti apparsa, in due puntate e in forma anonima, una Mémoire sur l’ancienne<br />
Capitale des Velleiates, che intendeva offrire al pubblico dei curiosi e agli<br />
specialisti una breve illustrazione delle sco<strong>per</strong>te veleiati, in attesa <strong>della</strong> pubblicazione<br />
completa e definitiva degli scavi, ancora in corso di preparazione.<br />
La Mémoire si suddivide in sette paragrafi in cui l’autore, dopo avere localizzato,<br />
con l’aiuto <strong>della</strong> Tabula Peutingeriana e delle poche notizie riportate<br />
dalle fonti letterarie (Plinio il Vecchio, Flegonte di Tralles), la posizione geografica<br />
<strong>della</strong> città di <strong>Veleia</strong>, passa ad illustrarne la condizione politica di municipium<br />
governato da duumviri, l’importanza economica e la floridezza artistica,<br />
a descrivere l’architettura e il lusso ornamentale degli edifici pubblici<br />
(il foro, il chalcidicum, la basilica, il castellum aquae) e di quelli privati, a dimostrare,<br />
sulla base delle numerose iscrizioni e statue onorarie provenienti<br />
dagli scavi, il particolare favore dimostrato da numerosi im<strong>per</strong>atori nei confronti<br />
dell’antica città, fino ad affrontare la discussa questione delle cause<br />
<strong>della</strong> sua distruzione e a spiegare le enormi difficoltà incontrare nello scavo e<br />
che avevano giustificato la chiusura delle esplorazioni veleiati. Viene qui ufficialmente<br />
attribuita la funzione di castellum aquae all’edificio a pianta circolare<br />
scavato nella terrazza sud-orientale dell’abitato e determinata la presenza,<br />
nelle sue immediate vicinanze, di un “bagno” (forse ad uso pubblico) e di<br />
numerosi altri impianti termali, mentre non si fa mistero dell’assenza di un<br />
edificio templare, a dispetto <strong>della</strong> «quantité considérable d’Idoles», recu<strong>per</strong>ati<br />
in diversi luoghi e dell’esistenza di un Sodalitium cultorum Herculis, documentata<br />
dalla nota base dell’Eracle bibax. Debitrice delle ricerche condotte<br />
in quegli anni dal Caylus sembra l’importanza attribuita alla «manufacture<br />
de terre cuite» e alle diverse attività artigianali, documentate dagli abbondanti<br />
ritrovamenti di strumenti da lavoro e da un’iscrizione relativa al «College<br />
des Artisans» 58 . Si accenna poi alla curiosa tavola marmorea contenente<br />
57 Nisard 1877, II, p. 118, lettera del 14 aprile 1765.<br />
58 Vedi Paciaudi Mémoire, II, p. 81. Non è chiaro a quale iscrizione si riferisca il Paciaudi,<br />
a meno di non pensare a quella, trovata in frammenti, relativa al duumviro C[...]o Sabinus,<br />
dedicatario <strong>della</strong> basilica di <strong>Veleia</strong> e praefetus fabrum (CIL XI, 1185, 1186: lo stesso<br />
<strong>per</strong>sonaggio è menzionato anche in CIL XI 1188, iscrizione trovata nel giugno del 1763): vedi<br />
Marini Calvani 1975, pp. 34-35.
probabilmente un calendario lunare, ma troppo mutila <strong>per</strong> stabilire le reali<br />
conoscenze astronomiche dei veleiati 59 , e si tenta una prima, del tutto parziale,<br />
identificazione delle numerose statue provenienti dall’area del foro, come<br />
la testa in bronzo dorato, ritenuta un ritratto di Adriano, la statua di fanciullo<br />
con bulla o quella di loricato, <strong>per</strong>tinenti alla basilica e giudicate immagini<br />
onorarie di Nerone e di Galba. La distruzione di <strong>Veleia</strong> sarebbe, infine, stata<br />
provocata dalle frane cadute dai monti Moria e Rovinasso, responsabili dell’estrema<br />
frammentazione dei re<strong>per</strong>ti e del completo abbattimento degli edifici,<br />
mentre poco plausibile è considerata l’ipotesi di un’eruzione vulcanica e<br />
non si fa neppure un accenno alle invasioni barbariche provenienti da Nord.<br />
Scopo principale <strong>della</strong> Mémoire era quello di correggere le tante imprecisioni<br />
o addirittura le falsità riguardanti la conduzione degli scavi e i ritrovamenti<br />
veleiati apparsi in alcuni resoconti di viaggio e <strong>per</strong>sino in qualche gazzetta<br />
letteraria (un chiaro riferimento alla pubblicazione del Lami sulle Novelle<br />
letterarie, in cui si confutava l’appartenenza a <strong>Veleia</strong> <strong>della</strong> Tavola Traiana)<br />
60 , nel tentativo di dimostrare l’eccezionalità <strong>della</strong> sco<strong>per</strong>ta, non inferiore,<br />
<strong>per</strong> importanza storica e valore documentario, a quella stessa di Ercolano.<br />
La misteriosa paternità dell’o<strong>per</strong>a fece presto nascere, tra gli studiosi,<br />
voci contrastanti: <strong>per</strong> qualcuno si trattava di una pubblicazione non autorizzata,<br />
frutto del lavoro di qualche giornalista che aveva mal interpretato alcune<br />
note del Paciaudi, tanto che lo stesso teatino avrebbe faticato a riconoscere<br />
in queste pagine il risultato delle sue ricerche, ma non mancarono le<br />
voci autorevoli che gli attribuivano l’o<strong>per</strong>a <strong>per</strong> intero; certo di questa illustre<br />
paternità era, ad esempio, il Lalande, che dichiarò di avere attinto dalla<br />
Mémoire tutte le informazioni su <strong>Veleia</strong>, e dello stesso parere sarà, diversi<br />
anni più tardi, Pietro De Lama, allievo prediletto del teatino e nuovo direttore<br />
del Museo di Antichità di Parma 61 . Una versione preparatoria, redatta<br />
59 Dieci frammenti del preteso calendario lunare (CIL XI, 1194), oggi conservato nel<br />
Museo Archeologico di Parma, vennero trovati a <strong>Veleia</strong> nel 1762 (Costa ms. 1247, p. 251,<br />
tav. LXXXI) e cinque anni più tardi se ne sarebbe aggiunto un altro, con due accette ma privo<br />
di numeri: <strong>per</strong> l’interesse suscitato da questo re<strong>per</strong>to tra la fine del Settecento e i primi<br />
anni dell’Ottocento e <strong>per</strong> le diverse interpretazioni sulla sua funzione, vedi Arrigoni Bertini<br />
1986, pp. 316-18.<br />
60 Nel 1764 il Lami aveva infatti tentato di dimostrare, sulla base di uno studio di carattere<br />
toponomastico, che la Tavola Traiana non era da riferire all’agro veleiate, bensì a quello<br />
lucchese (vedi De Lama 1819, p. 17; Montevecchi 1934, p. 625).<br />
61 AMANP, ms. 59, p. 258: «si può credere scritta <strong>per</strong> annunciare l’O<strong>per</strong>a che quell’uomo<br />
dotto preparava intorno a questa sconosciuta Città, e <strong>per</strong> screditare quanto ne diceva il<br />
celebre Lami nelle sue novelle Letterarie, e ciò che se ne leggeva in alcuni viaggiatori. Fu poi<br />
tradotta in francese nella Gazzetta Letteraria d’Europa nel 1765 ed è o<strong>per</strong>a del p. Paciaudi».<br />
Per l’intera vicenda, vedi anche Bédarida 1928, pp. 356-59.<br />
85
86<br />
in italiano, <strong>della</strong> Mémoire si conserva, in varie copie ancora manoscritte, in<br />
alcuni fondi archivistici parmigiani 62 , ma una ulteriore conferma all’attribuzione<br />
dell’o<strong>per</strong>a alla mano del Paciaudi si ottiene dal confronto tra il testo<br />
edito nella Gazette littéraire e gli studi autografi sull’antica città di <strong>Veleia</strong> lasciatici<br />
dall’antiquario ducale: la Mémoire sembra la naturale evoluzione del<br />
progetto <strong>per</strong> un libro su <strong>Veleia</strong> presentato fin dal 1762 al ministro Du Tillot,<br />
che prevedeva un eccessivo numero di capitoli, ordinati secondo una logica<br />
di causa-effetto meno stringente, ma manca ancora delle fasi più avanzate<br />
<strong>della</strong> ricerca, come la questione relativa ai Fasti Capitolini o le nuove ipotesi<br />
sulla distruzione <strong>della</strong> città (le invasioni barbariche), che cominceranno ad<br />
affacciarsi nelle Ricerche sull’antica città di Velleia 63 , datate dal De Lama tra<br />
il 1765 e il 1770 e suddivise in otto capitoli che nei titoli ricordano molto,<br />
con qualche aggiunta, i paragrafi <strong>della</strong> Mémoire.<br />
Nel timore che qualcun altro prima di lui arrivasse a svelare le novità archeologiche,<br />
rimaste fino a quel momento segrete ma che da qualche tempo<br />
cominciavano a circolare, un po’ troppo numerose e invadenti, nei diari dei<br />
viaggiatori stranieri, il Paciaudi si dovette risolvere a dare precipitosamente<br />
alle stampe una versione ancora im<strong>per</strong>fetta e schematica dell’o<strong>per</strong>a a cui stava<br />
da tempo lavorando: pur nella loro brevità e nella assoluta mancanza di<br />
illustrazioni, le poche pagine apparse sulla Gazette littéraire contribuirono a<br />
tenere vivo, ora che si erano chiusi gli scavi, l’interesse <strong>per</strong> <strong>Veleia</strong> e furono<br />
subito molti gli studiosi che, stimolati da questa lettura, cercarono di approfondire<br />
le loro conoscenze. Abbiamo già detto del Lalande che, istruito dalla<br />
Mémoire, dedicò a <strong>Veleia</strong> numerose pagine del suo Journal, contribuendo<br />
così a diffondere in mezza Europa la notorietà dell’antica città del piacentino;<br />
nel 1767 sarà la volta dell’antiquario ed epigrafista francese Jean-François<br />
Séguier, corrispondente di vecchia data del Paciaudi, che ora si rivolgerà<br />
al teatino <strong>per</strong> avere qualche informazione in più sull’iscrizione relativa al<br />
“College des Artisans” dell’antica <strong>Veleia</strong>, di cui aveva appunto letto nella<br />
Gazette littéraire 64 .<br />
Sarà questo, <strong>per</strong> tutto il Settecento, il principale e forse l’unico testo di<br />
riferimento sull’antica <strong>Veleia</strong> e, <strong>per</strong> oltre cinquant’anni, la sola pubblicazione<br />
degli scavi.<br />
62 Vedi AMANP, mss. 56 e 59.<br />
63 Vedi supra nota 53.<br />
64 BPP, Carteggio Paciaudi, cass. 91, lettera del Séguier del 18 luglio 1767. Per l’iscrizione,<br />
vedi supra nota 58. Sul Séguier, vedi Mosele 1981.
Capitolo III<br />
L’edizione degli scavi II:<br />
“Vogheristi e Antolinisti” e l’o<strong>per</strong>a di Pietro De Lama<br />
1. Il nuovo antiquario ducale: Pietro De Lama<br />
Tra gli spagnoli giunti a Parma nella prima metà del Settecento al seguito<br />
dell’Infante don Filippo di Borbone c’era anche la famiglia dell’archeologo<br />
Pietro De Lama, nato a Colorno nel luglio del 1760 da José De Lama, farmacista<br />
di corte, e dalla francese Pétronille Depuig, dama di compagnia <strong>della</strong><br />
duchessa Maria Amalia. Il futuro direttore del Museo di Antichità di Parma<br />
ricevette la sua prima formazione nel monastero degli Agostiniani di S.<br />
Martino, dove prese l’abito talare, ma dopo un breve <strong>per</strong>iodo di noviziato a<br />
Milano cambiò idea e tornò a Parma, deciso più che mai a coltivare la sua<br />
vera passione, lo studio delle monete antiche, di cui stava all’epoca formando<br />
una raccolta <strong>per</strong>sonale.<br />
Le sue valide competenze di storia antica e le doti di numismatico non<br />
sfuggirono al buon fiuto del Paciaudi, che fin dal 1778 lo scelse come collaboratore<br />
nella direzione delle raccolte di antichità del Museo di Antichità,<br />
frutto in buona parte degli scavi condotti a <strong>Veleia</strong> 1 . Inizia così, con la<br />
compilazione dei cataloghi delle raccolte numismatiche del museo, redatti<br />
tra il 1782 e il 1789 e rimasti purtroppo manoscritti, l’apprendistato archeologico<br />
del De Lama, che già nel 1785, alla morte del Paciaudi, otterrà<br />
la nomina a direttore del Museo, alle dipendenze del Prefetto Angelo<br />
Schenoni.<br />
Nei primi anni di attività il De Lama ebbe soprattutto a cura la sistemazione<br />
e l’accrescimento del medagliere, impoverito dei pezzi più belli del<br />
Museo Farnese, migrato a Napoli al seguito del duca Carlo di Borbone, in-<br />
1 Sulla figura del De Lama, vedi Monaco 1952, Idem 1953a, Arrigoni Bertini 1986 e Riccomini<br />
2003, in part. pp. 10-15.<br />
87
88<br />
coronato re di Napoli nel 1734 2 , e che ora il duca Ferdinando aveva intenzione<br />
di ricostituire: la fitta corrispondenza con alcuni tra i principali numismatici<br />
e collezionisti del tempo, come il bolognese Guido Antonio Zanetti,<br />
Giovanni Fogliazzi, il conte Giacomo Verità, Gaetano Cattaneo e Antonio<br />
Steinbüchel, successore dell’Eckhel nella direzione del Gabinetto numismatico<br />
di Vienna, ci conserva alcune vivaci immagini del direttore, che si rivela<br />
un infaticabile segugio di monete antiche, sempre pronto a contrattare acquisti<br />
o a proporre scambi di duplicati 3 .<br />
A questo scopo il De Lama aveva ottenuto dal duca Ferdinando il <strong>per</strong>messo<br />
di intraprendere un viaggio nell’Italia centro-meridionale 4 , cui farà<br />
seguito, dal 1795 al 1797, un viaggio in Germania e Austria, denso di avvenimenti<br />
interessanti come i lunghi soggiorni a Vienna, dove ebbe occasione<br />
di apprendere la dottrina del celebre Eckhel, che il De Lama considerò<br />
sempre suo maestro di numismatica, o come l’incontro, a Lipsia, con Goethe,<br />
che con il suo «paio d’occhi neri in fronte nerissimi», la fisionomia italiana<br />
e l’ottima compagnia conquistò subito la simpatia del giovane parmigiano.<br />
Insieme visiteranno una collezione di stampe di scuola francese e alla<br />
sera il De Lama annoterà nel suo diario: «il sig. Goethe era meco spettatore.<br />
Si vede che ha gusto, ma alle volte eccede ne’ suoi giudizi» 5 .<br />
La conoscenza delle più importanti città italiane (Firenze, Siena, Roma,<br />
Napoli), il lungo soggiorno all’estero, la frequentazione di archeologi e letterati<br />
di fama internazionale (Ennio Quirino Visconti, Georg Zoëga, Stefano<br />
Borgia, Gaetano Marini, Carlo Fea, Séroux d’Agincourt e molti altri ancora),<br />
il contatto quasi giornaliero con i capolavori dell’arte antica e moderna<br />
o con i re<strong>per</strong>ti archeologici di recente sco<strong>per</strong>ta contribuirono a fare di un<br />
giovane appassionato di numismatica un apprezzato archeologo, del tutto<br />
2 Il “Museo Farnese” trasportato a Napoli da Carlo di Borbone, che in quanto figlio di<br />
Elisabetta Farnese si ritenne legittimo erede di tutti i beni <strong>della</strong> casata, consisteva essenzialmente<br />
nel ricco medagliere, illustrato nella poderosa o<strong>per</strong>a del gesuita Paolo Pedrusi (P. Pedrusi<br />
e P. Piovene, Museo Farnese, Parma 1694-1727). I marmi antichi scavati al principio<br />
del Settecento negli Horti Farnesiani sul Palatino, tra cui i due colossi in basalto del Bacco e<br />
dell’Ercole, o gli altri marmi giunti a Parma attraverso non ancora chiarite vicende collezionistiche,<br />
rimasero a far parte delle raccolte ducali (Marini Calvani 1979, p. 232).<br />
3 La corrispondenza privata del De Lama si conserva in AMANP, Carteggio De Lama,<br />
Lettere di Privati (cart. 2-4) e in De Lama ms. 20. Sull’attività del De Lama finalizzata all’incremento<br />
del medagliere del museo, vedi il § 6 di questo capitolo.<br />
4 Il Diario redatto dal De Lama durante i mesi del suo viaggio in Italia (nov. 1790-mag.<br />
1791) è ora edito in Riccomini 2003.<br />
5 Il Diario del mio viaggio in Germania è conservato ancora manoscritto in AMANP, ms.<br />
78. Per uno studio generale sugli scritti odeporici del De Lama, vedi Guagnini 1986, pp.<br />
279-300, che cita a p. 298 il passo relativo all’incontro con Goethe, e Guagnini 1988.
degno di prendere le redini di un museo ricco di tesori ma la cui fama stentava<br />
ancora a decollare.<br />
Nel 1802, in seguito alla morte dello Schenoni, il De Lama divenne Prefetto<br />
del Museo 6 e poté finalmente decidere in prima <strong>per</strong>sona <strong>della</strong> gestione<br />
del patrimonio archeologico. Le numerose visite ai musei italiani e stranieri,<br />
alcuni di recentissima formazione, lo avevano convinto <strong>della</strong> necessità di<br />
riunire in un’unica sede espositiva le raccolte veleiati: anche se ufficialmente<br />
fondato nel 1760, il Museo di Antichità di Parma, uno dei primi musei archeologici<br />
a<strong>per</strong>ti al pubblico in Italia, non venne al principio dotato di uno<br />
spazio espositivo adeguato e <strong>per</strong> molti anni i re<strong>per</strong>ti rimasero divisi tra l’Accademia<br />
di Belle Arti, dove le statue del ciclo im<strong>per</strong>iale <strong>della</strong> Basilica di <strong>Veleia</strong><br />
fungevano da modello negli studi di disegno e di scultura, e la Biblioteca<br />
Palatina, nei cui armadi erano ospitati soprattutto i bronzetti e altri oggetti<br />
minori.<br />
Sarà, come vedremo, grazie alle insistenze del De Lama che il museo potrà<br />
finalmente ottenere una sede appropriata, al primo piano del Palazzo<br />
<strong>della</strong> Pilotta, dove saranno progressivamente trasferite le antichità veleiati,<br />
ad eccezione del ciclo statuario che, nonostante gli sforzi diplomatici dell’archeologo,<br />
rimase a lungo in Accademia ed entrò a far parte delle collezioni<br />
del museo solo dopo l’Unità d’Italia.<br />
Le sue abili doti di diplomatico, unite all’importante lavoro di catalogazione<br />
del materiale archeologico avviata dal De Lama fin dai primi anni dell’Ottocento<br />
7 , contribuirono a salvaguardare l’integrità delle raccolte durante<br />
il difficile <strong>per</strong>iodo <strong>della</strong> dominazione francese. Le spoliazioni ordinate dal<br />
governo napoleonico offrirono al De Lama l’occasione <strong>per</strong> dimostrare la sua<br />
natura combattiva e tutta la cura che aveva sempre avuto <strong>per</strong> il suo museo:<br />
non riuscì ad impedire che venissero trasportati a Parigi i preziosi bronzi veleiati,<br />
comprese le due tavole legislative, ma si prodigò con ogni mezzo <strong>per</strong><br />
assicurare il loro rapido ritorno a Parma.<br />
Nel maggio del 1811 il De Lama fu eletto Segretario dell’Accademia di<br />
Belle Arti, e tra il 1812 e il 1816 ne divenne Direttore, nomina che doveva in<br />
qualche modo ricompensarlo degli sforzi spesi nel tentativo di riunire le collezioni<br />
di antichità dei due Istituti, e che rendeva merito alle sue indiscusse<br />
competenze artistiche, frutto di una naturale disposizione <strong>per</strong> l’arte e di un<br />
6 Lo Schenoni morì nel 1799. Il De Lama venne ufficialmente nominato Prefetto del Museo<br />
di Antichità nell’agosto del 1802 (De Lama ms. 29, p. 10).<br />
7 Nel 1807 venne completato l’Inventario generale di tutto ciò che conservasi nell’Im<strong>per</strong>iale<br />
Museo d’Antichità Parmense, redatto dallo stesso De Lama e conservato manoscritto in<br />
AMANP, ms. 30.<br />
89
90<br />
accurato studio, coltivato fin dagli anni del suo viaggio in Italia. La sua posizione<br />
all’interno dell’Accademia gli <strong>per</strong>mise di sovrintendere al delicato<br />
compito di raccolta e schedatura delle innumerevoli o<strong>per</strong>e d’arte confiscate<br />
dai francesi e, anche in questa occasione, cercò ogni espediente <strong>per</strong> evitare il<br />
saccheggio delle o<strong>per</strong>e migliori 8 .<br />
Nel clima di rinnovamento culturale introdotto nel ducato di Parma dalla<br />
nuova sovrana, Maria Luigia d’Austria, desiderosa di conquistarsi il favore<br />
degli intellettuali illuminati attraverso una politica di protezione e di sviluppo<br />
delle arti, che mirava a competere con i fasti del passato governo borbonico,<br />
il De Lama vedrà profilarsi la possibilità di accrescere la fama del<br />
suo museo: sul modello <strong>della</strong> Galleria degli Uffizi e del museo di Vienna,<br />
decise infatti di dotarlo di un lapidario, costituito di iscrizioni di provenienza<br />
veleiate e parmense, in gran parte da lui stesso recu<strong>per</strong>ate. Le iscrizioni<br />
vennero murate nelle pareti dello scalone Farnese, accesso obbligato verso i<br />
principali istituti culturali cittadini (il Museo di Antichità, la Biblioteca Palatina,<br />
l’Accademia di Belle Arti, il Teatro Farnese), con l’evidente scopo di<br />
accrescere il prestigio storico <strong>della</strong> città, sottolineandone le sue tradizioni<br />
romane 9 .<br />
L’edizione delle epigrafi marmoree di Velleia, data alle stampe nel<br />
1818 10 , inaugurò poi una serie di studi condotti dal De Lama sulle testimonianze<br />
epigrafiche veleiati, comprendenti le nuove edizioni <strong>della</strong> celebre<br />
Tabula Alimentaria di Traiano e di quella <strong>della</strong> Lex de Gallia Cisalpina, anticipando<br />
l’o<strong>per</strong>a archeologica sull’antica città di <strong>Veleia</strong>, che il De Lama<br />
8 Sull’o<strong>per</strong>ato del De Lama a favore dell’Accademia di Belle Arti di Parma e sulle questioni<br />
relative alla confisca e alla restituzione delle o<strong>per</strong>e d’arte <strong>per</strong>tinenti a questo <strong>Istituto</strong>,<br />
vedi Musiari 1986, in particolare pp. 72-77 e 109-32 e Ratti 1992-1993, in part. pp.<br />
218-28. L’attività didattica e l’organizzazione dei concorsi e dei premi dell’Accademia, che<br />
il De Lama tentò in ogni modo di favorire, sono registrate negli Atti dell’Accademia, redatti<br />
dallo stesso De Lama e conservati manoscritti in AMANP (mss. 80 e 81). A testimonianza<br />
delle competenze storico artistiche dell’archeologo rimane, tra le altre cose, la Descrizione<br />
dei quadri <strong>della</strong> Galleria Parmense, del 1816, primo importante catalogo dei dipinti ancora<br />
conservati in Galleria (Parma, Biblioteca <strong>della</strong> Soprintendenza PSAD di Parma e Piacenza,<br />
ms. 146).<br />
9 Il progetto <strong>per</strong> un museo lapidario era stato avviato dal De Lama fin dal 1804, quando<br />
si dovettero colmare i vuoti dei saccheggi o<strong>per</strong>ati dall’amministrazione francese recu<strong>per</strong>ando<br />
dai magazzini le iscrizioni veleiati, cui se ne aggiunsero in seguito altre provenienti dal territorio<br />
parmense. Secondo quanto affermato dallo stesso De Lama, l’idea di creare un museo<br />
lapidario risaliva ad un progetto di ampliamento del museo già avanzato all’epoca di Filippo<br />
di Borbone dal ministro Du Tillot (De Lama ms. 29, p. 86).<br />
10 P. De Lama, Descrizione delle iscrizioni antiche collocate ne’ muri <strong>della</strong> scala Farnese,<br />
Parma 1818.
andava preparando già da alcuni anni, ma che, come vedremo, non sarà<br />
mai pubblicata 11 .<br />
L’ultimo <strong>per</strong>iodo di attività scientifica dell’ormai anziano archeologo, gratificato<br />
negli anni dalla nomina a socio dell’Accademia di Belle Arti di Vienna,<br />
dell’Accademia Romana di Archeologia e dell’<strong>Istituto</strong> di Francia, si concentrò<br />
sugli importanti ritrovamenti effettuati nel 1821 durante i lavori <strong>per</strong> la<br />
costruzione del Teatro Regio, che <strong>per</strong>misero di rimettere in luce un ripostiglio<br />
di monete e oreficerie del tardo III secolo d.C. e fornirono un importante<br />
contributo <strong>per</strong> la ricostruzione dell’urbanistica di Parma romana: i risultati<br />
di quest’ultimo scavo 12 vennero letti e pubblicati dall’Accademia Romana di<br />
Archeologia, <strong>per</strong> diretto interessamento di Giuseppe Antonio Guattani.<br />
Appena conclusa la Guida del Forestiere al Ducale Museo di Antichità di<br />
Parma, edita a Parma nel 1824 e prima di riuscire a pubblicare i bronzi veleiati,<br />
progetto che andava accarezzando fin dal 1819 13 , nel febbraio del 1825<br />
il De Lama morì, lasciando al suo successore, Michele Lopez, un museo ben<br />
organizzato, un ricco medagliere allestito secondo criteri moderni, che ancora<br />
oggi costituisce uno dei vanti delle collezioni parmensi, e l’incoraggiamento<br />
a proseguire nella indagine archeologica urbana, che già aveva dato<br />
risultati tanto promettenti.<br />
11 P. De Lama, Tavola alimentaria Velejate, detta Traiana, restituita alla sua vera lezione ...<br />
con alcune osservazioni, Parma 1819 e Idem, Tavola legislativa <strong>della</strong> Gallia Cisalpina ritrovata<br />
in Veleja nell’anno 1760 e restituita alla sua vera lezione, colle Osservazioni ed annotazioni<br />
[1769] di due celebri Giureconsulti Parmigiani, Parma 1820. Studi preparatori <strong>per</strong> un’o<strong>per</strong>a<br />
sulle rovine veleiati sono conservati, ancora manoscritti e in gran parte inediti, in diversi fondi<br />
archivistici di Parma: vedi ad es. AMANP, ms. 61 (Lettere odeporiche. Viaggetto a Velleja,<br />
1811), ms. 62 (Memorie degli scavi veleiati, 1811); BPP, ms. Parm. 810 (epistola a Giambattista<br />
Bolognini su <strong>Veleia</strong>, 1816); ASP, ms. 20 (Lettere autografe, tra cui molte dedicate a <strong>Veleia</strong>):<br />
vedi anche il § 5 di questo capitolo. Della preannunciata o<strong>per</strong>a su <strong>Veleia</strong> del De Lama si<br />
fa cenno anche in Albasi e Magnani 2003, p. 32.<br />
12 P. De Lama, Memoria intorno ad alcuni preziosi ornamenti antichi d’oro sco<strong>per</strong>ti in Parma<br />
nell’anno 1821, Roma 1824. Interessanti notizie sulle questioni relative a queste sco<strong>per</strong>te<br />
e al quasi immediato trafugamento del tesoro, recu<strong>per</strong>ato grazie all’efficace intervento del<br />
De Lama, e sull’accoglienza <strong>della</strong> Memoria da parte degli archeologi dell’Accademia Romana,<br />
si ricavano dal carteggio con l’amico Ferdinando Boudard (Monaco 1953a, in particolare<br />
le lettere nn. 22-24), da alcune lettere del De Lama al Guattani, all’amico Tambroni, al<br />
Steinbüchel e ad altri fidati corrispondenti (De Lama ms. 20), e infine dalle lettere inviate al<br />
De Lama dal giovane collaboratore Michele Lopez, in viaggio di studio a Roma nel 1824<br />
(AMANP, Carteggio Lopez, lettere del 17, 24 aprile e 17 luglio 1824). Il materiale proveniente<br />
da questo scavo è oggi conservato nel Museo Archeologico di Parma (Marini Calvani<br />
2001, p. 66, figg. 124-25).<br />
13 È quanto si ricava dal carteggio con l’amico Massimiliano Angelelli (AMANP, Carteggio<br />
De Lama, Lettere di privati, cart. 2).<br />
91
92<br />
2. Le antichità di <strong>Veleia</strong> all’epoca <strong>della</strong> dominazione francese<br />
Il lungo oblio in cui ricadde nuovamente <strong>Veleia</strong> dopo la chiusura degli scavi<br />
del 1781, che comportò anche la cessazione di ogni forma di tutela delle antiche<br />
strutture, non fece che aggravare il problema <strong>della</strong> conservazione e<br />
<strong>della</strong> buona leggibilità delle rovine, e di certo il fallimento di ogni progetto<br />
editoriale relativo agli scavi non aiutò a mantenere vivo negli studiosi il ricordo<br />
delle prime fortunate sco<strong>per</strong>te.<br />
E così, quando nel 1803 l’amministrazione francese, che alla morte del<br />
duca Ferdinando aveva preso in mano il governo del ducato, decise coraggiosamente<br />
di riprendere l’indagine archeologica veleiate, si trovò ad affrontare<br />
non pochi problemi di recu<strong>per</strong>o e di identificazione delle strutture fino<br />
ad allora sco<strong>per</strong>te.<br />
Tra le più infelici conseguenze <strong>della</strong> dominazione francese ci fu, come è<br />
ben noto, la massiccia spoliazione delle principali o<strong>per</strong>e d’arte antica e moderna,<br />
destinate ad arricchire il nuovo, grandioso, museo che Dominique<br />
Vivant Denon stava all’epoca allestendo nelle sale del Louvre, un museo inteso<br />
come raccoglitore degli oggetti più significativi dell’intera arte occidentale<br />
e organizzato secondo criteri che alla forma artistica non sottomettessero<br />
il valore di documentazione storica e antropologica delle nuove acquisizioni.<br />
Accanto ai capolavori del Correggio (compresi – almeno nelle intenzioni<br />
dei francesi – gli affreschi <strong>della</strong> Camera di S. Paolo) e a un variegato<br />
campionario delle o<strong>per</strong>e di artisti emiliani “minori” 14 , assenti nelle raccolte<br />
parigine e dunque <strong>per</strong> questo più interessanti agli occhi del Denon, vennero<br />
requisiti i più famosi bronzi veleiati, comprese le due tavole legislative, e le<br />
statue marmoree del ciclo im<strong>per</strong>iale all’epoca esposte all’Accademia di Belle<br />
Arti, ma mentre i bronzi raggiunsero effettivamente Parigi, le statue non abbandonarono<br />
mai la città e rimasero imballate <strong>per</strong> alcuni anni in un magazzino<br />
all’interno del Palazzo <strong>della</strong> Pilotta. Le motivazioni di questa rinuncia<br />
sono da ricercare nelle evidenti difficoltà di trasporto e forse anche nelle<br />
proteste del De Lama, agguerrito difensore delle raccolte archeologiche del<br />
ducato, ma non bisogna dimenticare che <strong>per</strong> il Denon, direttore di un museo<br />
già tanto ricco di statue marmoree, le antichità di <strong>Veleia</strong>, con il loro ricco<br />
re<strong>per</strong>torio di instrumentum domesticum, di bronzi figurati e di iscrizioni<br />
di carattere pubblico e privato, rappresentavano il materiale in assoluto più<br />
adatto a colmare i vuoti <strong>della</strong> sezione antica, ancora quasi del tutta priva<br />
14 Sull’o<strong>per</strong>a di spoliazione delle o<strong>per</strong>e d’arte durante il <strong>per</strong>iodo <strong>della</strong> dominazione francese<br />
e sul progetto (fortunatamente non realizzato) di trasportare a Parigi gli affreschi del<br />
Correggio nella Camera di S. Paolo, vedi ora Musiari 1986, pp. 29-72.
«des bronzes, des bas-reliefs et inscriptions et de tout ces monuments qui<br />
servent à expliquer les moeurs, et les usages de l’Antiquité, et nourrissent<br />
l’érudition» 15 .<br />
Il provvidenziale intervento del De Lama, aiutato in questo da una condiscendente<br />
e saggia mediazione dell’amministratore generale Moreau de<br />
Saint Méry, aveva anche impedito che venissero trasportati a Parigi i due colossi<br />
in basalto dell’Ercole e del Dioniso, provenienti dagli scavi Farnese sul<br />
Palatino e all’epoca collocati nel giardino del Palazzo Ducale di Colorno, le<br />
iscrizioni marmoree veleiati, il frammento di affresco dal foro di <strong>Veleia</strong> e soprattutto<br />
aveva contribuito a ridurre al minimo il gruppo dei bronzetti richiesti<br />
dal governo francese, che alla fine si dovette accontentare delle quattro<br />
statuette dell’Eracle bibax, del Bacco, del cosiddetto Togato (noto anche<br />
come Sacerdote sacrificante) e <strong>della</strong> celebre Vittoria 16 .<br />
Ma il museo aveva comunque subito un brutto colpo e le antichità rimaste<br />
non bastavano certo ad invogliare le visite dei viaggiatori: è pur vero,<br />
d’altra parte, che l’importanza, soprattutto documentaria, riconosciuta ai re<strong>per</strong>ti<br />
veleiati dall’ideatore del Musée Napoleon servì a risvegliare la curiosità,<br />
da troppo tempo sopita, verso le rovine dell’antico municipium romano.<br />
Già nel 1803 si tornò infatti a scavare, s<strong>per</strong>ando forse in questo modo di<br />
colmare i vuoti lasciati nelle sale del Museo di Antichità di Parma, se non addirittura<br />
di trovare qualche inedito capolavoro da inviare direttamente a Parigi.<br />
I lavori furono affidati a Moreau de Saint Méry, amministratore illuminato<br />
e amante delle arti, ma non abbastanza qualificato da convincere il De<br />
Lama sul buon esito dell’impresa. Il prefetto si rifiutò infatti di prendere parte<br />
all’o<strong>per</strong>azione 17 e così, in mano a gente ines<strong>per</strong>ta di indagini archeologiche<br />
e quasi del tutto ignara <strong>della</strong> precedente storia degli scavi, la campagna avviata<br />
nel 1803 e protrattasi sino al 1805 non poté dare risultati di rilievo. Le<br />
15 ASP, Fondo Moreau de Saint Méry, b. 28: vedi Allegri Tassoni 1942, p. 31 e Musiari<br />
1986, pp. 31 e 192.<br />
16 Gli elenchi degli oggetti antichi richiesti nel 1803 a Parma <strong>per</strong> il Museo del Louvre e<br />
quelli degli oggetti trasportati effettivamente a Parigi e restituiti dopo la Restaurazione sono<br />
pubblicati in Musiari 1986, pp. 194-95, 223-24 e 227. Nell’Inventaire général du Musée Napoléon,<br />
redatto nel 1810 (Museo del Louvre, ms. 1 DD 21), gli unici bronzi veleiati presenti<br />
sono infatti, oltre alle due tavole legislative, alla testa femminile (di Baebia Basilla ?) e a quella<br />
del cosiddetto Adriano, i quattro bronzetti sopra descritti. I tentativi del De Lama di opporsi<br />
agli ordini francesi di «prendere tutti gli oggetti da Velleia <strong>per</strong> mandarli a Parigi» sono<br />
narrati dallo stesso direttore nella sua storia del Museo di Antichità (De Lama ms. 29, pp.<br />
22-25): grazie al suo intervento fu abbandonato, ad esempio, il progetto di prelevare le undici<br />
iscrizioni <strong>della</strong> basilica, evitando così un rischioso trasporto che avrebbe quasi certamente<br />
compromesso l’integrità e la consistenza dei tanti frammenti che componevano le epigrafi.<br />
17 De Lama m. 29, p. 163. Il De Lama si limitò a suggerire al Moreau, che cercava un<br />
ispettore <strong>per</strong> gli scavi, il nome del capitano Bonzi, originario di Lugagnano.<br />
93<br />
13<br />
16
18<br />
19<br />
94<br />
esplorazioni, stando soprattutto alle piante redatte all’epoca, si concentrarono<br />
nella terrazza soprastante il foro, in corrispondenza del suo angolo sudorientale,<br />
in gran parte già indagato nelle precedenti campagne 18 . Gli scavi<br />
portarono (o piuttosto riportarono) completamente alla luce alcuni ambienti<br />
ancora parzialmente affrescati e con pavimentazioni musive su suspensurae,<br />
oltre a probabili resti di un forno, che verranno più tardi interpretati, nella<br />
ricostruzione dell’antica <strong>Veleia</strong> proposta da Giovanni Antolini, come un piccolo<br />
impianto termale ad uso del (preteso) grandioso edificio che doveva dominare<br />
da oriente la piazza del foro 19 . Nel 1804 furono invece a<strong>per</strong>ti nuovi<br />
saggi a monte <strong>della</strong> chiesa e <strong>della</strong> canonica, nell’intento di esplorare meglio il<br />
quartiere residenziale solo parzialmente indagato nel corso delle prime campagne<br />
di scavo, anche se il progetto di traslocare la residenza del parroco <strong>per</strong><br />
ampliare gli scavi nel sottosuolo <strong>della</strong> canonica e all’interno <strong>della</strong> stessa chiesa,<br />
già accarezzato dal ministro Du Tillot 20 , non venne in realtà realizzato.<br />
Non è escluso che con queste ultime esplorazioni il Moreau tentasse di verificare<br />
l’opinione che il De Lama stava all’epoca maturando sulla possibile collocazione,<br />
proprio in quest’area, del principale tempio cittadino 21 , ancora<br />
mancante all’appello degli edifici pubblici che circondavano il foro.<br />
18 Degli scavi condotti dal Saint Méry si conservano alcune interessanti piante di scavo in<br />
ASP, Mappe e Disegni, vol. 25, n. 38 e in AMANP, Disegni e Stampe, I B, nn. 196-197 (vedi<br />
anche Miranda 2001, pp. 282-84, figg. 1 e 2). Nel resoconto <strong>della</strong> sua visita a <strong>Veleia</strong> nel 1816, il<br />
De Lama commentava così lo scavo di questi ambienti: «quello che è da ridere, si è che fecesi<br />
credere all’amministratore Moreau essere questo edificio sco<strong>per</strong>to allora, e si erano quarant’anni<br />
che vedevasi anche disegnato sulla mappa» (De Lama ms. 810, p. 15). Sulle indagini archeologiche<br />
condotte all’epoca <strong>della</strong> dominazione francese e, più in generale, <strong>per</strong> una panoramica<br />
sulla fortuna degli scavi veleiati nella prima metà del XIX secolo, vedi Miranda 2001.<br />
19 Antolini <strong>Veleia</strong>, II, cap. VI, pp. 15-16. Le relazioni di scavo dell’autunno 1803 registrano<br />
la sco<strong>per</strong>ta di due ambienti contigui con tracce di intonaco rosso alle pareti e pavimentazione<br />
su suspensurae cilindriche, cui si affiancavano un vano con abbondante presenza di ceneri<br />
e carboni, subito interpretato come probabile stufa, e una camera pavimentata con un<br />
mosaico di tessere bianche e nere (ASP, Fondo Moreau de Saint Méry, b. 27).<br />
20 Come ricorda anche il De Lama nella “Seconda memoria sugli scavi velleiati”, del 3 ottobre<br />
1811, p. 28 (De Lama ms. 62).<br />
21 Il De Lama espresse ufficialmente questa opinione solo nel 1818, in occasione <strong>della</strong><br />
pubblicazione delle iscrizioni murate sullo Scalone Farnese, ma già da alcuni anni la possibile<br />
localizzazione del tempio di <strong>Veleia</strong> era stato oggetto di alcune sue riflessioni (vedi ad es. il<br />
trattatello in forma di epistola sugli scavi veleiati, indirizzato all’amico Bolognini nel 1816:<br />
De Lama ms. 810, lettera al Bolognini del 2 maggio 1816, p. 14). La s<strong>per</strong>anza di individuare<br />
il tempio dei <strong>Veleia</strong>ti aveva guidato, fin dai primi anni di scavo, le ricerche degli antiquari,<br />
incoraggiate anche dalle aspettative del duca, desideroso di recu<strong>per</strong>are un monumento così<br />
significativo: «quello che assai preme a S.A.R. è di poter arrivare al Tempio, che abitava un<br />
Figlio d’un Im<strong>per</strong>atore Romano», ricorda infatti una relazione anonima su <strong>Veleia</strong> compilata<br />
all’epoca delle prime sco<strong>per</strong>te veleiati (vedi Miranda 2002, p. 110 e supra, cap. II, nota 35).
La ripresa, anche se di breve durata e poco fruttuosa, delle campagne di<br />
scavo ebbe come immediata conseguenza la ricomparsa di <strong>Veleia</strong> tra le mete<br />
<strong>della</strong> letteratura odeporica. Risalgono al 1804-1805 i due viaggi intrapresi<br />
sulle alture dell’Appennino parmense e piacentino da Antonio Boccia, allo<br />
scopo di tracciare una dettagliata descrizione “geografica, fisica, storica e<br />
statistica” dei monti e delle valli dell’intero ducato. Il Boccia, che era stato a<br />
<strong>Veleia</strong> all’epoca degli ultimi scavi settecenteschi diretti dal Paciaudi, dedica<br />
una lunga sezione del suo resoconto di viaggio alla precedente storia degli<br />
scavi veleiati, soffermandosi soprattutto su quelli clandestini, di cui sembra<br />
fornire voci tramandate nel tempo dagli abitanti del luogo, come la notizia<br />
degli scavi effettuati alla metà del Seicento dall’arciprete Bardetti o <strong>della</strong> distruzione<br />
(<strong>per</strong> recu<strong>per</strong>arne il metallo) di una statua di bronzo ad o<strong>per</strong>a dell’arciprete<br />
Rapaccioli, il fortunato scopritore <strong>della</strong> Tavola Traiana, e narra le<br />
fasi di formazione del medagliere e del museo di antichità del convento di S.<br />
Agostino di Piacenza, formato dall’abate Chiappini con il materiale veleiate<br />
fornitogli dallo stesso Rapaccioli. L’autore, che <strong>per</strong> la sua a<strong>per</strong>ta francofilia<br />
era stato costretto ad abbandonare il ducato e riparare in Francia dopo lo<br />
scoppio <strong>della</strong> Rivoluzione, ci testimonia anche dell’interesse verso le antichità<br />
veleiati dimostrato dall’abate De Chaupy, l’illustre antiquario di Luigi<br />
XV, ritornato addirittura «invaghito delle bellezze dei monumenti di <strong>Veleia</strong>,<br />
che esistevano in Parma» 22 . Convinto <strong>della</strong> necessità di proseguire gli scavi<br />
era anche il Boccia, cui dovevano essere noti i tentativi fatti nel passato (e<br />
sempre falliti) di individuare l’area templare <strong>della</strong> città e di certo informato<br />
dal Moreau <strong>della</strong> volontà di indagare nella stessa direzione, nella s<strong>per</strong>anza<br />
di riportare alla luce un altro importante monumento dell’antica <strong>Veleia</strong>.<br />
Ma la politica <strong>per</strong>seguita dal Moreau in favore delle ricerche archeologiche<br />
e delle istituzioni d’arte del ducato non piacque a Napoleone, che in occasione<br />
<strong>della</strong> sua visita a Parma non aveva nascosto il suo disinteresse <strong>per</strong><br />
questo genere di cose e si era <strong>per</strong>sino rifiutato di visitare l’Accademia di<br />
Belle Arti, e così al principio del 1806 l’amministratore venne sostituito da<br />
Hugues Eugène Nardon, un uomo -a detta del De Lama- «che non amava<br />
che il moderno» 23 : i consistenti tagli alle finanze che presto colpirono tutti<br />
22 Boccia ms. 497, p. 125. Sul Boccia, vedi anche supra cap. II, nota 12. Bertrand Capmartin<br />
de Chaupy, celebre antiquario francese trasferitosi a Roma nel 1756, lavorò <strong>per</strong> circa<br />
dieci anni alla raccolta di materiale archeologico finalizzato ad uno studio sull’Italia antica;<br />
nel 1769 pubblicò, come saggio preliminare dell’intera o<strong>per</strong>a, la Découverte de la maison de<br />
campagne d’Horace, una pubblicazione subito accolta con favore ma che non sarà seguita da<br />
altri studi sull’argomento, a causa del rientro in Francia dell’abate, nel 1776.<br />
23 De Lama ms. 62, “Memoria sugli scavi velleiati, 16 aprile 1811”, p. 17. «Tutto cangiò<br />
d’aspetto. Sospesi li mandati, sospese le somministrazioni, infine sospesa l’idea di poter<br />
95
96<br />
gli istituti culturali cittadini rese ancora più critica la situazione degli scavi<br />
veleiati, riducendo anche le s<strong>per</strong>anze di avviare un serio e quanto mai urgente<br />
piano di tutela e di restauro di tutte le antichità.<br />
Il problema <strong>della</strong> salvaguardia e <strong>della</strong> conservazione del patrimonio archeologico<br />
rimase sempre al primo posto nell’o<strong>per</strong>a di direzione del De Lama<br />
e proprio a questo scopo l’archeologo si decise ad organizzare, nel 1811,<br />
una visita esplorativa alle rovine veleiati, in compagnia del Prefetto del Dipartimento<br />
del Taro, il barone Du Pont Del Porte. Il resoconto del “viaggetto”<br />
e le due Memorie sugli scavi veleiati composte su richiesta dello stesso<br />
Del Porte, documenti conservati ancora manoscritti presso l’Archivio del<br />
Museo Archeologico24 , costituiscono una preziosa testimonianza dello stato<br />
delle rovine negli anni compresi tra gli scavi Moreau e quelli avviati all’indomani<br />
dell’insediamento al potere di Maria Luigia d’Austria, nel 1816.<br />
Ancora <strong>per</strong>fettamente leggibili erano naturalmente gli ambienti scavati<br />
all’epoca del Moreau, a oriente del foro, in cui il De Lama riconobbe le<br />
strutture di un tepidario e che attirarono la sua attenzione soprattutto <strong>per</strong> la<br />
somiglianza con un analogo impianto rinvenuto alcuni decenni prima a<br />
Pompei e che lui stesso aveva potuto ammirare all’epoca del suo viaggio in<br />
Italia:<br />
dal lato d’Oriente [ci sono] le Vestigia di un Tepidario, e da quello d’Occidente<br />
un Bagno. Credo, e chiamo Tepidario il primo, <strong>per</strong>ché simile nella costruzione<br />
a quello veduto a Pompei: con mattoncini rotondi a guisa di colonnette<br />
sostenevasi il piano, sotto cui girava il vapor caldo, che lungo le pareti<br />
addoppiate s’innalzava. Qui è pure da osservarsi la forma delle volte de’ fornelli,<br />
e degli archi di sostruzione, edificati con mattoni formati conici, appunto<br />
come quelli maggiori delle arcate del Colosseo25 .<br />
sussistere» annotava il De Lama all’indomani <strong>della</strong> nomina del Nardon (De Lama ms. 29,<br />
p. 32). Anche il Musiari ricorda come <strong>per</strong> l’Accademia di Belle Arti il <strong>per</strong>iodo compreso<br />
tra il 1806 e la fine del 1810 sia stato il peggiore dell’intero governo francese (Musiari<br />
1986, p. 64).<br />
24 De Lama ms. 61, “Lettere odeporiche. Viaggetto a Velleia, 1811” e De Lama ms. 62,<br />
“Memoria sugli scavi velleiati, 16 aprile 1811” e “Seconda memoria sugli scavi velleiati, 3 ottobre<br />
1811”.<br />
25 De Lama ms. 61, “Viaggetto a Velleja”, 1811, p. 11. È probabile che il “tepidarium”<br />
pompeiano al quale il De Lama avvicinerà l’impianto veleiate sia da identificare in uno degli<br />
ambienti termali <strong>della</strong> Villa di Diomede, anche se il De Lama non fornirà mai elementi precisi<br />
<strong>per</strong> una sicura identificazione: l’impianto termale <strong>della</strong> Villa di Diomede è d’altra parte<br />
l’unico di questo tipo notato con ammirazione dall’archeologo parmigiano nel corso <strong>della</strong><br />
sua intera visita pompeiana (vedi Riccomini 2003, p. 196), e uno dei pochissimi esempi sco<strong>per</strong>ti<br />
a questa data.
Numerosi e ancora visibili in loco dovevano essere «li capitelli ionici,<br />
compositi e corintii, ... le basi e zoccoli di colonne, tutti di marmo carrarese»<br />
provenienti dagli scavi, destinati di lì a pochi anni a ridursi, <strong>per</strong> l’incuria<br />
e le continue spoliazione dell’area archeologica, a pochi e sporadici esemplari,<br />
con comprensibili conseguenze sui tentativi di studio e di ricostruzione<br />
delle architetture fino ad allora rimesse in luce. L’accurata esplorazione<br />
delle rovine gli <strong>per</strong>mise poi di individuare, all’interno degli ambienti affacciantisi<br />
sul foro e nelle case private, un ricco campionario di materiale archeologico,<br />
non recu<strong>per</strong>ato nel corso dei precedenti scavi, presumibilmente<br />
<strong>per</strong>ché troppo frammentario o di scarso interesse antiquario:<br />
In varie di queste case, rico<strong>per</strong>te poi di paglia <strong>per</strong> ordine dell’antico Governo<br />
conservanosi riparate dalle ingiurie de’ tempi moltissime figuline, frammenti<br />
d’iscrizioni marmoree completanti le nostre, di marmi vari, di macine<br />
di una pietra, che pare vulcanica, di vasi, di ferramenti vari, di catene ecc., e<br />
una quantità di teschi umani e di bestiami, che possonsi credere vittime dell’eccidio<br />
di questa città26 .<br />
Una macina da grano in pietra vulcanica, con la sigla VR incisa al rovescio,<br />
era stata rinvenuta a <strong>Veleia</strong> sin dagli scavi del 1760 27 ed era ancora visibile<br />
all’epoca <strong>della</strong> visita del medico fidentino Plateretti, che ipotizzò trattarsi<br />
di un co<strong>per</strong>chio di cinerario adibito ad uso di macina e che poté vedere<br />
altri frammenti dello stesso tipo nel magazzino degli scavi 28 : sarà questo uno<br />
dei pezzi destinati dal De Lama alle nuove sale veleiati che da tempo stava<br />
progettando <strong>per</strong> il Museo di Antichità 29 . Il sopralluogo del 1811 aveva infatti,<br />
nelle intenzioni del prefetto, anche lo scopo di registrare tutti i re<strong>per</strong>ti bisognosi<br />
di restauri e di scegliere quelli più adatti ad illustrare la storia e le<br />
arti dell’antica città. Un importante recu<strong>per</strong>o fu, ad esempio, quello dei tanti<br />
frammenti di iscrizioni marmoree che, meticolosamente esaminate dal De<br />
Lama, <strong>per</strong>metteranno di lì a pochi anni di completare alcune delle epigrafi<br />
veleiati murate sullo scalone di accesso al museo 30 .<br />
26 De Lama ms. 61, pp. 12-13.<br />
27 Costa ms. 1246, tav. XXVIII e Montevecchi 1934, p. 581.<br />
28 Plateretti 1786: vedi infra cap. IV, p. 203.<br />
29 La macina fu trasportata a Parma nel 1816 e presto esposta nella sala IV del nuovo<br />
museo, a documentazione delle attività produttive dell’antica città (vedi AMANP, Spese di<br />
manutenzione e <strong>per</strong> fare acquisti, registro compilato dal De Lama a partire dal 1807, e De Lama<br />
1824a, pp. 146-48).<br />
30 Nel giugno del 1814 i frammenti di iscrizioni vennero trasportati a Parma e inseriti a<br />
parziale completamento delle epigrafi già murate nei fianchi dello scalone; nel 1817 se ne<br />
dovettero aggiungere altri, probabilmente recu<strong>per</strong>ati dal De Lama in occasione del suo sopralluogo<br />
veleiate del 1816 (AMANP, Spese di manutenzione e <strong>per</strong> fare acquisti).<br />
97
98<br />
Il “viaggetto” fu anche l’occasione <strong>per</strong> riconsiderare alcuni spinosi interrogativi<br />
sulla funzione e la localizzazione di alcuni edifici, come il chalcidicum<br />
donato ai concittadini da Baebia Basilla e ricordato nell’iscrizione dedicatoria<br />
recu<strong>per</strong>ata in frammenti in corrispondenza del porticato occidentale<br />
del foro, ma che il De Lama preferiva immaginare sul lato settentrionale,<br />
proprio di fronte alla basilica, ipotesi a suo avviso suffragata dalla presenza<br />
delle «molte basi di colonne allineate» ancora visibili su quel lato e dalla<br />
considerazione che l’edificio avrebbe così avuto una favorevole esposizione<br />
verso sud, in rispetto alle norme prescritte da Vitruvio <strong>per</strong> questa categoria<br />
di monumenti.<br />
Dovette maturare nel De Lama, proprio a seguito di questa escursione,<br />
l’idea di impegnarsi nella pubblicazione delle rovine veleiati, o<strong>per</strong>a che non<br />
solo avrebbe ridestato l’interesse dell’intero mondo antiquario, ma avrebbe<br />
consentito di lasciare memoria e documentazione delle vecchie e nuove sco<strong>per</strong>te,<br />
in considerazione anche del rapido degrado delle rovine e delle continue<br />
sparizioni de re<strong>per</strong>ti, in gran parte abbandonati all’a<strong>per</strong>to o nei magazzini<br />
di <strong>Veleia</strong> e non ancora catalogati. L’edizione dello scavo doveva probabilmente<br />
sembrargli il miglior metodo <strong>per</strong> salvaguardare le antichità fino ad<br />
allora rinvenute, e a questo scopo il De Lama era pronto a sacrificare (con<br />
una sensibilità verso i problemi di tutela non comune ai suoi tempi) le prospettive<br />
di nuove conoscenze offerte da ulteriori indagini archeologiche,<br />
consapevole che ogni scavo finisce inesorabilmente <strong>per</strong> distruggere le testimonianze<br />
di quelli passati: «sonomene ritornato solo alle ruine. Queste<br />
m’inducono in nuovi pensieri sull’antico stato loro. Converrebbe proseguirne<br />
gli scavi, che ne risveglierebbero probabilmente de’ nuovi distruggenti<br />
forse li primi. Non posso dunque formare che congetture» annoterà infatti,<br />
un po’ sconsolato, al termine del suo viaggio 31 .<br />
3. 1816: la ria<strong>per</strong>tura degli scavi<br />
Le vicende politiche del ducato, assegnato dal Congresso di Vienna a Maria<br />
Luigia d’Austria, segneranno una svolta positiva nella storia delle indagini<br />
archeologiche veleiati. La giovane duchessa, come si sa, vantava una particolare<br />
predisposizione <strong>per</strong> le arti e, a differenza del suo primo marito, era<br />
ben lusingata all’idea di trasformare il suo piccolo regno in una delle corti<br />
culturalmente più all’avanguardia del tempo e capace di far rifiorire i fasti<br />
gloriosi del passato governo borbonico. Tra le prime delibere <strong>della</strong> sovrana,<br />
31 De Lama ms. 61, “Viaggetto a Velleja”, p. 14.
a pochi giorni dal suo ingresso ufficiale in città, nella primavera del 1816, ci<br />
fu infatti l’assegnazione di 10.000 franchi <strong>per</strong> la ria<strong>per</strong>tura degli scavi di <strong>Veleia</strong><br />
32 , che saranno infatti ripresi in quello stesso anno e continuati sino al<br />
1825. Il De Lama aveva opportunamente provveduto a redigere <strong>per</strong> Maria<br />
Luigia una Mémoire sulle antichità veleiati, un’utile guida <strong>per</strong> la visita che la<br />
duchessa volle dedicare alle antiche rovine fin dal maggio del 1816 33 , e insieme<br />
un memoriale che avrebbe dovuto convincere la sovrana <strong>della</strong> importanza<br />
di promuovere nuove ricerche e di garantire, finalmente, una sede espositiva<br />
adeguata ai tanti re<strong>per</strong>ti archeologici ancora dis<strong>per</strong>si nei magazzini. All’amico<br />
Giambattista Bolognini il De Lama non aveva nascosto la s<strong>per</strong>anza<br />
di essere chiamato a dirigere <strong>per</strong>sonalmente i lavori, «<strong>per</strong> non esporre imprudentemente<br />
il Governo alle risa e alle beffe de’ dotti, intraprendendo gli<br />
scavi senza cognizione» 34 , ma le inevitabili rivalità tra i funzionari di una<br />
piccola corte e l’a<strong>per</strong>ta ostilità del nuovo ministro Filippo Magawly Cerati<br />
indirizzarono la scelta sul capitano Pietro Casapini, un militare del tutto digiuno<br />
di antiquaria e ben poco es<strong>per</strong>to di indagini archeologiche 35 . L’incauta<br />
decisione di separare la direzione degli scavi da quella del museo non fece<br />
altro che complicare lo svolgimento delle ricerche e mettere ancora più a<br />
rischio la conservazione dei re<strong>per</strong>ti.<br />
La notizia <strong>della</strong> imminente ria<strong>per</strong>tura delle campagne archeologiche doveva<br />
avere accelerato l’o<strong>per</strong>a degli scavatori clandestini, tanto che ben presto<br />
cominciarono a giungere al Casapini voci di furti e di vendite illegali di<br />
importanti materiali veleiati, come quella «testa di bambino di pietra fosforica<br />
... realmente <strong>della</strong> grossezza <strong>della</strong> testa di un bambino di nascita» trovata<br />
a <strong>Veleia</strong> insieme ad «alcuni mosaici rilucentissimi, e statuette di alabastro<br />
32 Questa somma venne stanziata il 23 luglio 1816 in applicazione <strong>della</strong> legge che prevedeva<br />
l’ingresso nel Museo di Parma di tutte le antichità rinvenute o che si sarebbero rinvenute<br />
in seguito a <strong>Veleia</strong> e in tutto il ducato. Sulla ripresa delle attività e degli interessi archeologici<br />
durante il regno di Maria Luigia, e in particolare sugli echi di tale ripresa nella<br />
stampa dell’epoca, vedi Tarasconi 1989.<br />
33 Maria Luigia d’Austria si recò <strong>per</strong> la prima volta a <strong>Veleia</strong> alla fine di maggio del 1816 e<br />
una seconda volta nel 1824 (su quest’ultima visita, vedi Drei 1935). Una copia manoscritta<br />
<strong>della</strong> Mémoire sur Velleja et sur ses fouilles, compilato dal De Lama, si conserva in De Lama<br />
ms. 82.<br />
34 De Lama ms. 810, lettera del 2 maggio 1816.<br />
35 A giudizio del De Lama il Casapini non possedeva «neppure li rudimenti necessari a<br />
tale incombenza», ma sarebbe stato ugualmente scelto <strong>per</strong> fare uno sgarbo al prefetto del<br />
museo, deciso a spendere <strong>per</strong> le antichità e gli scavi di <strong>Veleia</strong> i soldi stanziati da Maria Luigia<br />
e che invece il Ministro s<strong>per</strong>ava di destinare ad altri scopi (vedi De Lama ms. 29, pp. 93-<br />
100). L’inadeguatezza del Casapini a condurre le indagini veleiati è sottolineata anche in Miranda<br />
2001, p. 288.<br />
99
100<br />
bellissime», che un informatore del Casapini affermava essere stati venduti<br />
clandestinamente e subito trasportati a Londra 36 .<br />
Nel tentativo di correre ai ripari, il De Lama si decise a tornare a <strong>Veleia</strong><br />
<strong>per</strong> esaminare di <strong>per</strong>sona lo stato delle rovine e soprattutto <strong>per</strong> fare l’inventario<br />
dei re<strong>per</strong>ti ancora conservati in loco, timoroso che il Casapini facesse<br />
«credere risultato degli scavi presentanei ciò che lo è de’ passati». Per questa<br />
nuova escursione veleiate il De Lama scelse la compagnia di Giovanni<br />
Bonaventura Porta e del pittore e archeologo bresciano Luigi Basiletti, due<br />
antichi compagni di viaggio nel sud dell’Italia, più di lui «assuefatti a vedere<br />
quali siano li mezzi <strong>per</strong> assaggiare il terreno, onde tentare con fondata probabilità<br />
lo scoprimento di antichi edifici cogli scavi»: si ricompose così quel<br />
«triumvirato di archeologi che videro, e rividero le ruine di Pompei, d’Ercolano,<br />
di Baia, di Pesto, di Palestrina, di Tivoli» 37 e che proprio in virtù di<br />
queste conoscenze avrebbero ora potuto esaminare con profitto e cognizione<br />
di causa le rovine dell’antica <strong>Veleia</strong>. L’es<strong>per</strong>ienza del viaggio nei principali<br />
siti archeologici dell’Italia centrale e meridionale, Ercolano e Pompei in<br />
primis, era evidentemente ancora sentita come l’unica patente in grado di<br />
garantire le competenze necessarie ad un archeologo e noi sappiamo, infatti,<br />
che solo al ritorno dal suo viaggio di formazione il De Lama poté aspirare<br />
alla direzione del Museo di Antichità.<br />
La descrizione di questa visita a <strong>Veleia</strong> ci documenta il pietoso stato di<br />
conservazione delle rovine, che il De Lama, a soli cinque anni dalla sua precedente<br />
escursione, stentò quasi a riconoscere: «un capitello d’ordine corinzio<br />
fra gli altri mi ha disgustato. È di marmo carrarese, ed era tanto bello<br />
che io m’era proposto di farlo qui [a Parma] trasportare qual modello <strong>per</strong><br />
gli alunni <strong>della</strong> Scuola: ora non è quasi più riconoscibile, tanto è smembra-<br />
36 L’informazione fu trasmessa al Casapini da un certo consigliere Barbugli nel 1817, ma i<br />
ritrovamenti vennero probabilmente effettuati nel corso dell’anno precedente (AMANP, ms.<br />
56). All’a<strong>per</strong>tura degli scavi venne poi consegnata al nuovo direttore una «bella testa di marmo<br />
statuario rappresentante la figura d’un uomo assai ben conservata salvo il naso che è alquanto<br />
roso», di due oncie di lunghezza, che si disse rinvenuta durante alcuni lavori agricoli<br />
nell’area di <strong>Veleia</strong>, ma che forse era anch’essa frutto di scavi clandestini (ASP, Atti del Governo<br />
Provvisorio e Reggenza di Maria Luigia. Ministero dei Ducati, I divisione. Amministrazione<br />
pubblica, b. 4, lettera del Casapini del 15 giugno 1816).<br />
37 Vedi De Lama ms. 29, p. 102 e De Lama ms. 810, lettera a Giambattista Bolognini del<br />
2 maggio 1816: né il Porta né il Basiletti vengono, <strong>per</strong> la verità, mai menzionati nel diario redatto<br />
dal De Lama nel corso del suo viaggio in Italia (vedi ora Riccomini 2003), e non risulta<br />
neppure che il nostro archeologo sia mai stato a visitare le rovine di Paestum; da quanto<br />
scritto dal De Lama al Bolognini, sembra comunque che i tre si siano almeno incontrati in<br />
occasione delle visite alle antichità campane.
to», annoterà nel suo resoconto di viaggio, convinto più che mai dell’importanza<br />
di elencare «tutto ciò che v’ha di dissotterrato» e di selezionare (compito<br />
che svolse con l’aiuto dei suoi due compagni) «ciò che merita di essere<br />
collocato nel Museo». Estromesso dalla direzione degli scavi, al De Lama<br />
era rimasto solo l’incarico di provvedere all’accrescimento e alla tutela del<br />
patrimonio museale ma, come vedremo meglio nel paragrafo 6 di questo capitolo,<br />
pur con gli scarsi mezzi messi a sua disposizione riuscì a fare ben di<br />
più, dando vita ad un museo archeologico di nuova concezione e finalmente<br />
degno del suo nome. Del tutto comprensibile, dunque, che esaminando i<br />
molti frammenti architettonici abbandonati a <strong>Veleia</strong> e diversi altri re<strong>per</strong>ti<br />
antichi, il De Lama pensasse già alla loro possibile collocazione in museo:<br />
nel luglio di quello stesso anno fece ufficiale richiesta al Ministro di poter<br />
avere a Parma tutti «que’ marmi, bronzi e figuline, che registrati ne’ giornali<br />
del Museo rimangono colà depositati» e il mese seguente si offrì di tornare a<br />
<strong>Veleia</strong> <strong>per</strong> scegliere di <strong>per</strong>sona i re<strong>per</strong>ti utili a completare frammenti già trasportati<br />
in città o interessanti da esporre <strong>per</strong>ché pezzi ancora mancanti alle<br />
raccolte del museo38 . Le sue insistenti richieste sollecitarono l’o<strong>per</strong>a di catalogazione<br />
di tutte le antichità ancora conservate nell’arsenale di <strong>Veleia</strong>, avviata<br />
dallo stesso Casapini fin dall’autunno del 1816:<br />
in questo lavoro – scriveva il Casapini nel novembre del 1816 al ministro Magawly<br />
– ho ritrovato un altro pezzo del delfino da me già spedito a codesto<br />
Museo; de’ bei frammenti d’are, di sacre pietre, di bellissime cornici e di bei<br />
vasi e di utensili domestici. Ho anche svolto l’ossario velleiate. Entro v’ho pure<br />
sco<strong>per</strong>te alcune belle figuline, un picciol cuneo di basalte egizio, un pezzo<br />
di lavagna con qualche lavoro non ispregievole, e de’ bei vetri; e di questi parlando<br />
non lascierò d’annunciarle che ne trovai quattro assai belli in un mucchio<br />
di corna di cervo, come pur rinvenni alcuni pezzi di fistule fatte con<br />
umana tibia, delle quali i tibicini si servivano specialmente <strong>per</strong> suonare nel<br />
tempo de’ sacrifici39 .<br />
Con una serie di sopralluoghi all’arsenale veleiate, il Casapini riuscì anche<br />
a ricomporre il «famoso capitello corinzio», di certo quello che aveva<br />
aveva tanto disgustato il De Lama <strong>per</strong> il pessimo stato di conservazione e a<br />
recu<strong>per</strong>are alcuni frammenti di capitelli ionici e di un rilievo con delfini,<br />
<strong>per</strong>tinente probabilmente a uno dei capitelli di lesena che il direttore del<br />
museo farà restaurare con gesso e scagliola nel 1817, materiale destinato ad<br />
38 ASP, Atti del Governo Provvisorio e Reggenza di Maria Luigia. Ministero dei Ducati, I<br />
divisione. Amministrazione pubblica, b. 4, lettere del De Lama del 25 luglio e dell’11 agosto<br />
1816.<br />
39 Ibidem, lettera del Casapini al Magawly del 3 novembre 1816.<br />
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27<br />
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essere trasferito a Parma insieme a due capitelli ionici completi, ad una base<br />
di colonna e a un «gran vase di pietra vulcanica», riconoscibile nella macina<br />
con la sigla VR nota fin dal 1760 40 .<br />
Oltre ad assicurare al museo importanti pezzi di antichità e ad evitare<br />
che il capitano trattenesse presso di sé re<strong>per</strong>ti veleiati (cosa che in effetti accadde)<br />
41 , il viaggio del De Lama aveva anche lo scopo di riesaminare le rovine<br />
emergenti e valutare la natura del terreno, così da formulare un adeguato<br />
piano di azione ad uso del Casapini, che da buon militare aveva pensato di<br />
affidare l’inizio degli scavi all’o<strong>per</strong>a dei minatori e che <strong>per</strong> il resto aveva<br />
confidato nell’aiuto del De Lama 42 . In compagnia del Porta e del Basiletti<br />
vennero dunque esaminati gli avanzi dello scavo Moreau, in cui il De Lama<br />
riconobbe ora un apodyterium e un sudatorium e che anche ai suoi due compagni<br />
dovette ricordare l’impianto del tepidarium di Pompei; si riconsiderò<br />
la figura del «rozzo» mosaico pavimentale all’epoca ancora visibile nel tablino<br />
<strong>della</strong> casa detta appunto “del cinghiale”, di cui il De Lama (non convinto<br />
dell’identificazione tradizionale) ci ha lasciato questa dettagliata e preziosa<br />
descrizione: «è di figura quadrilunga diviso da quattro linee in nove comparti.<br />
Nel medio, che è il maggiore vedesi un quadrupede, che dicesi una<br />
scrofa, ma che a parer mio non dissomiglia da un ippopotamo; ne’ laterali<br />
rappresentasi un delfino, e in quelli degli angoli è rappresentata una foglia<br />
di vite». Di fronte alle pietose condizioni del mosaico, che avrebbero richiesto<br />
uno strappo immediato, l’archeologo non riuscì a trattenere una frecciatina<br />
contro il suo rivale («senza una somma <strong>per</strong>izia e diligenza non è s<strong>per</strong>abile<br />
il levarlo intatto; e queste mancano pienamente a chi è stato nominato<br />
direttore degli scavi») e infatti il Casapini, che si spingerà con gli scavi fino<br />
agli ambienti contigui alla Casa del cinghiale, messi in luce una decina d’an-<br />
40 Ibidem, lettere del Casapini del 26 ottobre 1816; il restauro di due capitelli con delfini<br />
è registrato in AMANP, Spese di manutenzione e <strong>per</strong> fare acquisti: uno di questi capitelli<br />
era stato mal riprodotto dall’Antolini nel 1819 (di due frammenti <strong>per</strong>tinenti a diversi capitelli<br />
l’architetto aveva ricomposto graficamente un unico capitello): vedi Antolini <strong>Veleia</strong>, I,<br />
tav. VII, 5).<br />
41 In occasione <strong>della</strong> sua visita a <strong>Veleia</strong> del 1816 il De Lama avrebbe infatti sco<strong>per</strong>to dal<br />
custode degli scavi che il Casapini aveva portato a casa sua molti bronzi veleiati (De Lama<br />
ms. 29, pp. 114-15). Vedi anche Mariotti 1877, p. 159 e Bernabò Brea et al. 1992, p. 88.<br />
42 In una lettera al ministro Magawly del 26 luglio 1816 il Casapini aveva infatti fatto richiesta<br />
di es<strong>per</strong>ti minatori, <strong>per</strong> eliminare i massi che impedivano il proseguimento degli<br />
scavi (ASP, Atti del Governo Provvisorio e Reggenza di Maria Luigia. Ministero dei Ducati,<br />
I divisione. Amministrazione pubblica, b. 4). Fin dal suo insediamento il capitano aveva<br />
s<strong>per</strong>ato nella collaborazione archeologica del De Lama e questi aveva promesso di redigere<br />
una memoria che fornisse delle norme teoriche da seguire sullo scavo (vedi De Lama ms.<br />
29, p. 103).
G.A. Antolini, Le rovine di <strong>Veleia</strong>, I (1819), tav. VII, particolare. Capitello<br />
di lesena con delfini.<br />
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ni prima dai francesi, si limiterà a recu<strong>per</strong>are ampi frammenti di affresco di<br />
colore rosso che decoravano le pareti di un vano soprastante una canalizzazione<br />
antica, ma non si azzarderà a togliere quel che restava dell’emblema<br />
musivo 43 .<br />
Si tentò poi di chiarire la localizzazione di alcuni importanti monumenti,<br />
a cominciare dal chalcidicum, già ipotizzato dal De Lama all’interno del portico<br />
settentrionale del foro, ma che le discussioni con gli archeologi bresciani<br />
rese di nuovo di incerta ubicazione, e ci si spinse ad identificare i resti<br />
dell’edificio posto al centro del portico settentrionale con un ingresso monumentale<br />
al foro, che il De Lama, convinto «dalle basi marmoree che rimangono<br />
quasi intatte nella parte estrema verso il Settentrione, e dai molti<br />
capitelli ionici scavativi non lungi» ipotizzava avere avuto una facciata a colonne<br />
di ordine ionico, cui forse ne corrispondevano altre nel colonnato<br />
lungo il margine nord <strong>della</strong> terrazza. In un primo momento, <strong>per</strong> la verità, il<br />
De Lama tentò di conciliare l’evidenza archeologica di un passaggio monumentale<br />
al foro con l’esistenza, su questo lato <strong>della</strong> piazza, del chalcidicum,<br />
che continuava ad immaginare compreso tra la facciata monumentale e il<br />
portico esistente lungo il margine nord <strong>della</strong> terrazza: il supposto accesso<br />
monumentale al foro sarebbe dunque stato un grandioso ingresso al chalcidicum,<br />
con un orientamento non verso l’esterno ma verso la piazza, a suntuosa<br />
ornamentazione di questo lato, cui si contrapponeva, sul lato opposto,<br />
l’imponente edificio <strong>della</strong> basilica. Oggi si tende a riconoscere nel chalcidicum<br />
di <strong>Veleia</strong> l’intero portico che circonda il foro <strong>della</strong> città, ma questo non<br />
deve sminuire le ipotesi del De Lama, che si staccano dal coro di coloro che<br />
<strong>per</strong> tutto l’Ottocento individuarono in quest’area <strong>della</strong> piazza il principale<br />
tempio veleiate e anticipano di ben oltre un secolo la ricostruzione avanzata<br />
(e generalmente accettata anche negli studi più recenti) da Cagiano de Azevedo,<br />
secondo cui nell’edifico posto al centro del lato settentrionale <strong>della</strong><br />
piazza andava proprio riconosciuto un propileo d’ingresso al foro, monumentalizzato<br />
su entrambi i lati da una facciata di quattro colonne corinzie,<br />
di modulo su<strong>per</strong>iore a quelle del resto del portico 44 .<br />
Il tempio si sarebbe invece trovato, secondo il De Lama, sulla terrazza<br />
dove sorgevano la chiesa e la canonica di Macinesso, ed è proprio in que-<br />
43 Cospicui resti dell’emblema erano ancora visibili in situ all’epoca del viaggio a <strong>Veleia</strong><br />
dell’Antolini, che infatti li descrisse come «avanzi di un mosaico bianco e nero assai bene<br />
compartito che viene chiamato di Troia» (Antolini <strong>Veleia</strong>, I, p. 19). Sulle prime esplorazioni<br />
<strong>della</strong> Casa del Cinghiale, vedi supra, cap. I, pp. 44 e 60.<br />
44 Cagiano de Azevedo 1955. Già nel 1818 il De Lama si era convinto ad interpretare<br />
l’edificio posto al centro del lato settentrionale come un propileo monumentale (De Lama<br />
1818, p. 27).
st’area che anche il Casapini decise fin dal novembre del 1816 di approfondire<br />
le indagini: il ritrovamento, ancora in situ, di un pezzo di colonna in tufo<br />
e soprattutto di un «antico muro che si interna nell’orto del parroco e va<br />
verso la sagrestia» avevano dato al direttore degli scavi la s<strong>per</strong>anza di sco<strong>per</strong>te<br />
significative, ma l’impossibilità di trasferire (o addirittura di demolire)<br />
la chiesa e i locali annessi portò ad una rapida interruzione dei lavori45 .<br />
Infine, l’escursione a <strong>Veleia</strong> <strong>per</strong>mise all’archeologo parmigiano di interrogarsi<br />
nuovamente sulla discussa funzione dell’edificio a monte <strong>della</strong> città, che<br />
si ostinava a chiamare cautamente «il creduto anfiteatro» e che descrisse come<br />
«edifico di figura circolare un pochino allungata da levante a ponente, il<br />
di cui diametro su questa direzione è di 90 piedi e di 87 su quella da Mezzodì<br />
a Settentrione», e dunque dalla pianta assai meno ovale di quanto delineato<br />
nelle mappe del 1780 o in quelle eseguite dall’ingegnere Giuseppe Rocca<br />
all’epoca degli scavi Moreau46 . Le diverse ipotesi interpretative sino ad allora<br />
avanzate gli sembravano tutte degne di considerazione e <strong>per</strong> questo auspicava<br />
un nuovo scavo del monumento, condotto attraverso «pozzi esploratori»<br />
eseguiti proprio al centro del supposto anfiteatro «su due linee diagonali pel<br />
lungo, e pel largo», nella s<strong>per</strong>anza che tale impresa potesse indicare con chiarezza<br />
la sua reale destinazione o semplicemente fornire la prova decisiva a<br />
chi, come lui, continuava a preferire l’ipotesi del castellum aquae:<br />
io non ardirò dirvi se sia un anfiteatro anziché un castello d’acque: vi dirò<br />
bene che sino a che <strong>per</strong> gli scavi non si trovi qualche vestigio decisivo io preferisco<br />
l’idea di un castello d’acque a quella di un anfiteatro<br />
45 I ritrovamenti di strutture architettoniche antiche nell’area <strong>della</strong> chiesa sono annunciati<br />
dal Casapini al Ministro Magawly in una lettera del 3 novembre 1816 (ASP, Atti del<br />
Governo Provvisorio e Reggenza di Maria Luigia. Ministero dei Ducati, I divisione. Amministrazione<br />
pubblica, b. 4). Nella sua relazione del viaggio a <strong>Veleia</strong> del 1816, il De Lama annotava<br />
con sicurezza a proposito <strong>della</strong> chiesa di Macinesso: «è il luogo ove è da presumere<br />
che fosse il tempio <strong>della</strong> Divinità tutelare de’ Velleiati» (De Lama ms. 810, lettera a Giambattista<br />
Bolognini del 2 maggio 1816, p. 14), opinione pubblicata un paio d’anni più tardi<br />
nello studio sulle iscrizioni veleiati (De Lama 1818, p. 27). Il progetto di demolizione <strong>della</strong><br />
canonica e forse anche <strong>della</strong> chiesa di Macinesso era già stato avanzato all’epoca del Du Tillot:<br />
solo a partire dal 1842, sotto la direzione di Michele Lopez, si procederà alla demolizione<br />
<strong>della</strong> canonica, o<strong>per</strong>azione che <strong>per</strong>mise di completare la pianta di alcuni edifici già parzialmente<br />
indagati nelle precedenti campagne, ma che non diede i risultati s<strong>per</strong>ati, dal momento<br />
che i ruderi rimessi in luce erano in gran parte sconvolti dalle fondazioni <strong>della</strong> canonica<br />
e dalla presenza di numerose sepolture post-antiche (Mariotti 1877, p. 160 e Marini<br />
Calvani 1975, p. 22).<br />
46 Conservate in ASP, Mappe e Disegni, vol. 25, n. 38 (edita in Miranda 2001, fig. 1) e<br />
AMANP, Disegni e Stampe, n. 196.<br />
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scrisse infatti all’amico Bolognini nel maggio del 1816, di ritorno da <strong>Veleia</strong>, e<br />
ancora una volta appare chiaro come i suoi giudizi servissero quasi a guida<br />
<strong>per</strong> il Casapini, che nel marzo dell’anno seguente decise di comunicare al<br />
Presidente dell’Interno l’intenzione di fare nuovi scavi «all’intorno ... del così<br />
detto anfiteatro ... <strong>per</strong> vedere di poter scoprire se tale veramente fosse, oppure<br />
castello ossia serbatoio d’acque <strong>per</strong> uso delle sottoposte abitazioni» 47 .<br />
Ma se la scelta del Casapini come restauratore delle passate glorie veleiati<br />
non fu certo delle più felici, tanto è evidente la sua insicurezza nell’interpretare,<br />
da archeologo e da storico, i miseri resti dell’antica città, è pur vero che<br />
si deve alla sua mentalità pratica e o<strong>per</strong>ativa, tipica del militare, la progettazione<br />
di alcuni importanti interventi che avrebbero facilitato anche in futuro<br />
la prosecuzione delle campagne di scavo e reso più agevole l’accesso stesso<br />
a <strong>Veleia</strong>, sino ad allora meta finale di un avventuroso e disagevole viaggio<br />
in mezzo ai monti. Fin dai primi mesi di scavo il Casapini si impegnò nell’o<strong>per</strong>a<br />
di rilevamento dei muri antichi, in gran parte rico<strong>per</strong>ti e resi invisibili<br />
dalle continue frane, allo scopo di delineare, con l’aiuto del geometra<br />
Giuseppe Benassi, una nuova e aggiornata carta topografica dell’intera area<br />
fino ad allora esplorata: lo scoprimento delle creste dei muri scavati in passato<br />
lo convinse <strong>della</strong> libertà con cui qualcuno dei suoi predecessori aveva<br />
deciso di «edificare e distruggere a suo talento» 48 , dato purtroppo confermato<br />
anche dagli scavi recenti. Una mappa completa degli scavi veleiati non<br />
era più stata rilevata dall’epoca delle campagne settecentesche e rappresentava<br />
dunque una priorità assoluta, soprattutto in previsione di nuove e più<br />
estese esplorazioni; l’esame ravvicinato e completo delle murature antiche,<br />
almeno di quelle degli edifici affacciantisi sul foro, servì anche a verificare lo<br />
stato di degrado delle rovine, problema che il Casapini cercò di affrontare<br />
facendo immediata richiesta di fondi straordinari da destinare ad o<strong>per</strong>e di<br />
restauro e delineando <strong>per</strong>sino una pianta del foro su cui erano evidenziati i<br />
punti bisognosi di interventi conservativi 49 .<br />
Assai più ambizioso fu poi il progetto di costruire una strada carrozzabile<br />
che collegasse Parma a <strong>Veleia</strong> e scendesse quindi agevolmente sino a Pia-<br />
47 ASP, Presidenza dell’Interno, I divisione. Stato e Istruzione Pubblica, b. 207, lettera<br />
del Casapini a Ferdinando Cornacchia del 18 marzo 1817.<br />
48 ASP, Atti del Governo Provvisorio e Reggenza di Maria Luigia. Ministero dei Ducati, I<br />
divisione. Amministrazione pubblica, b. 4, lettera del Casapini del 28 ottobre 1816.<br />
49 In ASP, Atti del Governo Provvisorio e Reggenza di Maria Luigia. Ministero dei Ducati,<br />
I divisione. Amministrazione pubblica, b. 4, si conservano numerose richieste di fondi<br />
straordinari «<strong>per</strong> riparazioni urgentissime alle rovine velleiati» fatte dal Casapini <strong>per</strong> tutto il<br />
1816. Una pianta del foro di <strong>Veleia</strong>, datata al 1822 e recante l’indicazione delle antiche architetture<br />
bisognose di restauro, è conservata in AMANP, Disegni e Stampe, I B, n. 201.
Parma, Museo Archeologico Nazionale, Disegni e Stampe, I B, n. 201. Pianta del foro<br />
di <strong>Veleia</strong> con l’indicazione dei punti bisognosi di urgenti restauri, 1822.<br />
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cenza, così da facilitare l’o<strong>per</strong>a degli archeologi impegnati sugli scavi e, allo<br />
stesso tempo, da incoraggiare le visite di eruditi e curiosi di antichità, divenute<br />
ormai troppo episodiche e del tutto sproporzionate all’importanza delle<br />
sco<strong>per</strong>te, un tempo famose in tutta Europa.<br />
«Dopo il Regno unito delle due Sicilie e le dominazioni del sommo Pontefice,<br />
non trovasi nella rimanente Italia un resto così copioso e pregievole<br />
di Romano Municipio, come abbiamo noi la sorte di possedere nelle ruine<br />
dell’antica Velleia» ricordava, senza troppa esagerazione, il Casapini al Presidente<br />
dell’Interno, nella s<strong>per</strong>anza di convincerlo a stanziare i 2242 franchi<br />
di spesa prevista <strong>per</strong> la realizzazione <strong>della</strong> strada 50 , un’impresa che aveva incontrato<br />
il pieno favore dell’Antolini e che proprio grazie alla sua edizione<br />
degli scavi veleiati aveva goduto di una certa pubblicità 51 , ma che gli esiti infelici<br />
delle campagne in corso e le ristrettezze economiche del ducato costrinsero<br />
presto ad abbandonare.<br />
È pur vero che la ripresa di così tante iniziative intorno a <strong>Veleia</strong>, avviate<br />
sotto gli auspici di una sovrana illuminata e sensibile alla nuova moda archeologizzante<br />
così in voga nelle principali corti italiane, e felicemente coronate<br />
dal ritorno a Parma dei bronzi veleiati sottratti all’epoca <strong>della</strong> dominazione<br />
francese, servì a ridestare l’interesse <strong>per</strong> queste malridotte rovine, tante volte<br />
frugate da mani più o meno es<strong>per</strong>te e mai degnamente illustrate. Erano ormai<br />
maturi i tempi <strong>per</strong> pensare ad una seria o<strong>per</strong>a di pubblicazione degli scavi e,<br />
come vedremo, furono in tanti (e forse in troppi) ad avere questa stessa idea.<br />
Quando si recò a <strong>Veleia</strong>, nel 1816, il De Lama stava di certo già progettando<br />
uno studio sull’antica città e le discussioni con i colleghi bresciani lo<br />
dovettero incoraggiare in questa impresa: non è escluso che abbia pensato<br />
in un primo momento di servirsi dell’o<strong>per</strong>a grafica del Basiletti, un artista<br />
notoriamente affascinato dal vedutismo con rovine ma, allo stesso tempo,<br />
dotato di un tratto rigoroso e accurato nella riproduzione dei dettagli architettonici<br />
e che a <strong>Veleia</strong> eseguì uno schizzo degli scavi, apprezzato anche dal<br />
nostro archeologo 52 . I viaggi nel sud dell’Italia e il lungo soggiorno a Roma,<br />
50 Il fascicolo contenente la pianta topografica dell’intera area interessata dalla costruzione<br />
<strong>della</strong> carrozzabile, l’elenco delle tappe previste e delle spese preventivate, accompagnato<br />
da una lettera del Casapini al Presidente Ferdinando Cornacchia, del 23 febbraio 1817, è<br />
conservato in AMANP, fascicoli sparsi su <strong>Veleia</strong> raccolti da G. Monaco.<br />
51 L’Antolini, nel primo volume sugli scavi di <strong>Veleia</strong>, pubblicò il <strong>per</strong>corso completo e dettagliato<br />
<strong>della</strong> strada, così come era stato previsto e delineato dal geometra piacentino Jacopo<br />
Benelli, presentandolo come il piano «migliore che si possa, <strong>per</strong> comodità pubblica» e auspicando<br />
la sua rapida messa in o<strong>per</strong>a (Antolini <strong>Veleia</strong>, I, p. 12).<br />
52 Vedi De Lama ms. 810, lettera al Bolognini del 2 maggio 1816, p. 20: «il signor Basiletti<br />
ha fatto uno schizzetto di questi scavi, prendendone la veduta all’opposto di quello<br />
preso dal bravissimo signor Gubernatis. Così il disegno di lui resta meno geometrico, e
tra il 1803 e il 1809, dovevano avere incoraggiato la passione archeologica<br />
dell’artista bresciano, ponendo le premesse <strong>per</strong> quella imponente attività di<br />
ricerca che a partire dagli anni Venti dell’Ottocento lo vide promotore, in<br />
collaborazione con Giovanni Labus, degli scavi di Brescia romana, condotti<br />
con notevole <strong>per</strong>izia e che <strong>per</strong>misero di riportare alla luce i resti del foro,<br />
del teatro e del capitolium <strong>della</strong> città antica 53 . Mi piace pensare che alla maturazione<br />
<strong>della</strong> sua figura di archeologo abbiano contribuito anche la conoscenza<br />
diretta delle antichità veleiati e forse anche la frequentazione del De<br />
Lama che, da parte sua, ci tenne a coltivare l’amicizia con il Labus e considerò<br />
sempre le iniziative archeologiche bresciane un modello da imitare. Significativo,<br />
a questo proposito, è il tentativo o<strong>per</strong>ato dal De Lama di recu<strong>per</strong>are<br />
i resti <strong>per</strong>tinenti ad una domus romana, sco<strong>per</strong>ti nel 1821 durante la<br />
costruzione del Teatro Regio di Parma e che arricchirono le raccolte ducali<br />
di un prezioso tesoretto di monili tardo antichi e monete im<strong>per</strong>iali romane e<br />
di alcuni mosaici pavimentali a tessere bianche e nere. Il De Lama, complici<br />
le novità archeologiche che si andavano all’epoca scoprendo a Brescia, intuì<br />
tutta l’importanza di questi rinvenimenti occasionali che, se ben valorizzati,<br />
avrebbero potuto inaugurare a Parma la nuova stagione dell’indagine archeologica<br />
urbana, un settore fino ad allora inesplorato e che poteva costituire<br />
una valida alternativa alle campagne veleiati, troppo costose e dai risultati<br />
sempre meno incoraggianti. La sua o<strong>per</strong>a dedicata a queste sco<strong>per</strong>te,<br />
Memoria intorno ad alcuni preziosi ornamenti antichi d’oro sco<strong>per</strong>ti in Parma<br />
nell’anno 1821 (Roma 1824), ultima impresa editoriale del nostro parmigiano,<br />
è il primo tentativo di indagine archeologica su Parma romana e il punto<br />
di partenza delle più mature e coscienti campagne di scavo promosse da Michele<br />
Lopez, futuro direttore del Museo di Antichità e protagonista <strong>della</strong> ricerca<br />
archeologica parmigiana di metà Ottocento. Andati parzialmente distrutti<br />
in assenza del Casapini, responsabile degli scavi 54 , i mosaici romani<br />
più prospettico; e il monte occupando il fondo del quadro dà maggior risalto alle ruine».<br />
La veduta del De Gubernatis è di certo quella, celeberrima, del Foro di <strong>Veleia</strong>, eseguita intorno<br />
al 1808 e oggi conservata nella Galleria Civica di Arte Moderna di Torino (Passoni<br />
1969, fig. 32).<br />
53 Sulla formazione e l’attività artistica di Luigi Basiletti (1780-1859), vedi Ottino Della<br />
Chiesa 1965 e Barilli 1992, p. 254. La sua attività di archeologo, che dal 1822 lo vide impegnato<br />
nello scavo e nel “restauro” (anche se sarebbe meglio parlare di ricostruzione, nel gusto<br />
<strong>della</strong> rovina d’invenzione) del Capitolium di Brescia e che, come è noto, lo vide protagonista<br />
<strong>della</strong> risco<strong>per</strong>ta di Brescia romana e promotore <strong>della</strong> nascita del locale Museo Romano,<br />
è stata di recente ri<strong>per</strong>corsa in Treccani 1997.<br />
54 Nella corrispondenza di Governo del De Lama si conserva un intero fascicolo relativo<br />
agli scavi effettuati nel convento di S. Alessandro a Parma, in occasione <strong>della</strong> costruzione del<br />
nuovo teatro: in particolare, in una lettera al Neip<strong>per</strong>g del 24 agosto 1821, il Casapini con-<br />
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su<strong>per</strong>stiti vennero sommariamente recu<strong>per</strong>ati in gran fretta <strong>per</strong> garantire il<br />
completamento dei lavori del teatro entro i tempi previsti, senza essersi prima<br />
documentati sulle strutture antiche di appartenenza o avere, almeno,<br />
tentato di delineare la pianta dell’intera domus. Scrivendo al Labus <strong>per</strong> annunciargli<br />
l’imminente uscita <strong>della</strong> sua Memoria 55 , il De Lama ri<strong>per</strong>correrà<br />
l’intera vicenda di questo scavo, comprese le critiche mosse dal principe Ranieri,<br />
viceré del Lombardo-Veneto (in visita al museo di Parma nel novembre<br />
del 1823) <strong>per</strong> la mancata interruzione <strong>della</strong> fabbrica del teatro e l’ampliamento<br />
dello scavo archeologico, accorgimenti che avrebbero <strong>per</strong>messo<br />
di «conoscere la pianta di quella casa e levare i mosaici che sono di buon lavoro<br />
e di vario disegno», ma che la cattiva gestione degli scavi del ducato fece<br />
solo rimpiangere: «non così si è fatto a Brescia -sarà allora l’amaro commento<br />
dell’ormai vecchio De Lama- ed ho già avuta dal dott. Labus l’o<strong>per</strong>a<br />
scritta ad illustrazione di quanto vi si è trovato», chiara allusione ai lavori di<br />
scavo e di restauro del tempio capitolino, inaugurato proprio nel 1823 e destinato<br />
ad ospitare il museo di antichità patrie, prova evidente di quello «zelo<br />
archeologico» che animava da qualche anno le ricerche congiunte degli<br />
eruditi e degli artisti bresciani e che il De Lama avrebbe desiderato anche<br />
<strong>per</strong> la sua città. Fin dall’epoca del suo breve viaggio nel nord Italia, nel<br />
1794, il De Lama aveva descritto Brescia come una città ricca di «monumenti<br />
singolari <strong>per</strong> la storia di questa città, e interessanti l’antiquaria», soffermandosi<br />
soprattutto a considerare l’interesse documentario delle molte<br />
iscrizioni antiche, ancora in gran parte murate sulle facciate e all’interno di<br />
molte case private e che già il nostro viaggiatore auspicava raccolte a formare<br />
un prezioso museo lapidario 56 , o<strong>per</strong>azione che di lì a qualche anno vedrà<br />
impegnato proprio il Labus, responsabile <strong>della</strong> raccolta e dell’allestimento<br />
delle epigrafi romane e di molte altre antichità del Capitolium-museo.<br />
ferma la distruzione di due mosaici, ma rivendica i suoi tentativi di salvare parte di un altro<br />
pavimento a mosaico bianco e nero «lavorato a volute bacchiche» (di cui riesce a recu<strong>per</strong>are<br />
un frammento lungo due braccia e largo circa la metà) e gli comunica di avere dato ordine di<br />
scavare diversi altri campioni di mosaico, depositati in seguito nel Museo di Antichità<br />
(AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Governo, cart. 1).<br />
55 De Lama ms. 20, lettera a Giovanni Labus del 4 dicembre 1823.<br />
56 Nel suo viaggio nel nord Italia (compreso tra il 3 agosto e il 24 ottobre del 1794) il De<br />
Lama visitò Guastalla, Mantova, Verona, Brescia, lasciandoci una dettagliata descrizione delle<br />
principali o<strong>per</strong>e d’arte e soprattutto delle tante antichità esaminate, dimostrando un attento<br />
interesse anche <strong>per</strong> i centri archeologici “minori” (se confrontati con Roma o con le città<br />
<strong>della</strong> Campania), convinto che «anche fuori di Roma vi sono cose degne di Roma» (vedi De<br />
Lama ms. 61, lettera a Ignazio Nasalli del 3 settembre 1794 e, <strong>per</strong> l’itinerario dettagliato del<br />
viaggio, Guagnini 1986, pp. 286-90).
L’attenzione riservata alle antichità di <strong>Veleia</strong> da parte del Basiletti, che la<br />
mancata pubblicazione progettata dal De Lama spingerà a collaborare, in<br />
qualità di disegnatore, all’o<strong>per</strong>a su <strong>Veleia</strong> edita dall’Antolini 57 , o del Labus,<br />
che si presterà volentieri a commentare epigraficamente un paio delle iscrizioni<br />
di provenienza veleiate che il De Lama stava faticosamente recu<strong>per</strong>ando<br />
<strong>per</strong> il nuovo lapidario del museo e a cui nel 1818 dedicò un approfondito<br />
studio storico-epigrafico 58 , sono la spia di un cambiamento nella storia<br />
<strong>della</strong> “fortuna” degli scavi veleiati.<br />
4. Gli studi architettonici su <strong>Veleia</strong>: Luigi Voghera e Giovanni Antonio<br />
Antolini<br />
Nel corso del XVIII secolo le rovine di <strong>Veleia</strong> erano state un indiscusso polo<br />
di attrazione <strong>per</strong> i molti viaggiatori stranieri giunti in Italia, valorizzate,<br />
com’erano state nei primi anni di scavo, dall’o<strong>per</strong>a scientifica di illustri studiosi<br />
anch’essi stranieri (penso naturalmente al Caylus e al Mariette), o comunque<br />
formatisi nell’ambito delle scuola antiquaria romana o direttamente<br />
sui cantieri di scavo delle città vesuviane (l’abate Marini, il Galletti e, soprattutto,<br />
il Paciaudi); i primi anni dell’Ottocento registrano, invece, uno<br />
spostamento dell’interesse <strong>per</strong> <strong>Veleia</strong> verso il nord <strong>della</strong> penisola, ed è infatti<br />
all’o<strong>per</strong>a di studiosi provenienti dall’area lombardo-veneta o emiliani, antiquari,<br />
storici, artisti e soprattutto architetti, che si deve la seconda “risco<strong>per</strong>ta”<br />
dell’antica <strong>Veleia</strong>. In piena sintonia con il primo germogliare di studi<br />
sulle antichità patrie e alla valorizzazione, con chiari intenti di esaltazione<br />
municipalista, dei resti antichi <strong>per</strong>tinenti ad un determinato territorio e utili<br />
al recu<strong>per</strong>o <strong>della</strong> storia locale, la “Pompei del Nord”, come <strong>Veleia</strong> continuava<br />
ad essere tradizionalmente chiamata, sembra progressivamente <strong>per</strong>dere il<br />
57 È suo, ad esempio, il disegno (inciso da Giuseppe Castellini) <strong>della</strong> tav. I del primo volume<br />
de Le rovine di <strong>Veleia</strong> dell’Antolini (1819): consiste in una veduta prospettica degli scavi,<br />
presa dal lato settentrionale del foro, così che i monti dominano il fondo del quadro, con<br />
un effetto così somigliante alla descrizione dello «schizzetto» fatto dal Basiletti in compagnia<br />
del De Lama da pensare che si tratti proprio dello stesso disegno.<br />
58 Descrizione delle iscrizioni antiche collocate ne’ muri <strong>della</strong> scala Farnese, Parma 1818: il<br />
Labus aveva scritto alcune «dotte e urbanissime» osservazioni sulla VI e soprattutto sulla<br />
VII iscrizione, che il De Lama decise di pubblicare in appendice alla sua o<strong>per</strong>a sulla Tavola<br />
Alimentaria (De Lama 1819), certo che avrebbero aumentato il prestigio delle epigrafi veleiati.<br />
Sull’intervento del Labus, vedi Cento lettere inedite, lettera del De Lama a Giovanni<br />
Battista Vermiglioli del 17 gennaio 1820 e De Lama ms. 20, lettera al Porta del 18 gennaio<br />
dello stesso anno.<br />
111<br />
21
112<br />
suo ruolo di alternativa archeologica al celebre centro vesuviano, un’alternativa<br />
che decenni di scavi avevano molto ridimensionato, se non addirittura<br />
smentito. Il confronto con Pompei sarà <strong>per</strong> la verità riproposto ancora a<br />
lungo, tanto che nel 1820 l’architetto inglese John Peter Gandy, all’epoca<br />
impegnato nella elaborazione dei suoi Pompeiana, un saggio topografico e<br />
architettonico realizzato in collaborazione con William Gell e basato sui risultati<br />
degli scavi condotti a Pompei dal 1819, ritenne opportuno spingersi<br />
fino a Parma, <strong>per</strong> documentarsi sul materiale archeologico proveniente da<br />
<strong>Veleia</strong> 59 , ma in generale, negli studi dell’epoca, si preferisce guardare a <strong>Veleia</strong><br />
semplicemente come ad un centro romano <strong>della</strong> Cisalpina, uno dei pochissimi<br />
e ben documentati esempi di tipico abitato “italico”, rappresentativo<br />
di una società e di una cultura figurativa ancora ben poco influenzate dai<br />
modelli ellenici: «c’est là [a <strong>Veleia</strong>] qu’on retrouvera l’industrie, la civilisation<br />
purement romaine, de même qu’à Pompéïa on voit celle mélangée d’hellenisme»<br />
annoterà infatti, verso la metà del secolo, il letterato francese<br />
Jean-Claude Fulchiron 60 . Tra le antiche città <strong>della</strong> Cisalpina, <strong>Veleia</strong> era poi<br />
una tra le più esplorate e che meglio di altre si prestavano ad essere indagate<br />
con moderne campagne di scavo, misurate e accuratamente rilevate nelle<br />
sue semidistrutte strutture architettoniche.<br />
Qualche es<strong>per</strong>imento in tal senso era già stato tentato alcuni anni prima<br />
dal Lesne, lo studioso che contribuì alla risco<strong>per</strong>ta <strong>della</strong> romana Villa del<br />
Foro, presso Alessandria, anche se la sua o<strong>per</strong>a su <strong>Veleia</strong>, iniziata intorno al<br />
1811 e che si proponeva come saggio complementare alle ricerche che andava<br />
all’epoca conducendo il De Lama, se non addirittura come stimolo alla<br />
pubblicazione delle congetture del collega parmigiano («je ne fais que pro-<br />
59 La visita alle antichità veleiati del Museo di Parma di J.P. Gandy-Deering, autore insieme<br />
a W. Gell dei Pompeiana: the topography, edifices and ornaments of Pompeii, the result of<br />
excavations since 1819, editi a Londra nel 1832, è documentata in ASP, Presidenza dell’Interno,<br />
I divisione. Stato e Istruzione Pubblica, b. 203 (sui contatti tra il Gandy e il De Lama<br />
si fa cenno anche in Albasi e Magnani 2003, p. 32). Oltre ai re<strong>per</strong>ti già di proprietà del museo,<br />
il Gandy avrà modo di conoscere anche le antichità raccolte dal Bertioli e acquistate dal<br />
Museo di Antichità nel 1821: <strong>per</strong> una di queste, una «tessera antica in avorio <strong>per</strong> avere accesso<br />
al teatro», il Gandy troverà un confronto molto <strong>per</strong>tinente con una tessera trovata nel<br />
1820 a Pompei (ASP, Presidenza dell’Interno, I divisione. Stato e Istruzione Pubblica, b.<br />
203; vedi anche sotto nota 133). Anche le riflessioni del Gandy su Pompei dovevano, d’altra<br />
parte, tornare utili <strong>per</strong> lo studio di <strong>Veleia</strong>; nel giustificare il ritardo nella stesura dell’o<strong>per</strong>a su<br />
<strong>Veleia</strong> del fratello Luigi, Giovanni Voghera scriverà infatti nel 1820 all’amico Michele Lopez:<br />
«così ritardando ha potuto maturare le cose, e render l’o<strong>per</strong>a sua più voluminosa e ben<br />
ponderata la sua ipotesi coll’appoggio anche dell’o<strong>per</strong>a del sig. Gandy» (AMANP, Carteggio<br />
Lopez, Lettere di privati, lettera di Giovanni Voghera del 28 ottobre 1820).<br />
60 Fulchiron 1847, V, p. 443.
voquer cet estimable savant a mettre au jour le fruit de ses recherches et de<br />
ses travaux), non dovette su<strong>per</strong>are la fase progettuale 61 . Ma è sufficiente dare<br />
una scorsa alla relazione composta dal Lesne sui ritrovamenti <strong>della</strong> Villa<br />
del Foro <strong>per</strong> comprendere il fondamentale ruolo di modello assunto in questi<br />
anni dagli scavi veleiati: l’es<strong>per</strong>ienza <strong>per</strong>sonale <strong>della</strong> visita alle rovine di<br />
<strong>Veleia</strong> e l’esame accurato dell’intera collezione archeologica parmense, condotto<br />
sotto la guida es<strong>per</strong>ta del De Lama, «un savant qu’il est bien doux<br />
pour un amateur de rencontrer, que l’on connaît toujours trop tard, et que<br />
l’on quitte trop tôt» 62 , sembrano aver fornito al Lesne tutti gli strumenti necessari<br />
<strong>per</strong> valutare, con cognizione di causa, i risultati delle esplorazioni<br />
alessandrine. La possibilità di istituire un confronto convincente con i re<strong>per</strong>ti<br />
di <strong>Veleia</strong> equivaleva, <strong>per</strong> l’autore, ad una garanzia di autenticità e di sicuro<br />
interesse <strong>per</strong> il materiale recu<strong>per</strong>ato alla Villa del Foro:<br />
le produit de ma course n’est sans doute pas très brillant; mais il n’en est pas<br />
moins intéressant, parce qu’il est pris sur des lieux qui font partie del la mairie<br />
d’Alexandrie [...] et ce qui leur donne un intérêt particulier encore, et un<br />
caractère de verité incontestable, c’est le rapprochement et la comparaison<br />
qu’on peut en faire avec ce qui a été trouvé à Veleïa, et ce que l’on y voit encore<br />
à présent 63<br />
una garanzia di autenticità tanto più necessaria <strong>per</strong> quelle classi di oggetti,<br />
come ad esempio i vetri, <strong>per</strong> i quali risultava più difficile valutare l’effettiva<br />
antichità:<br />
on aime à prendre dans les fouilles mêmes les vases de cette composition;<br />
ceux que l’on rencontre dans les cabinets n’inspirant pas toujours une pleine<br />
61 In AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, lettera di Jean-Charles Lesne del 3<br />
settembre 1811, in cui annuncia l’invio a Parma delle sue ricerche sulla Villa del Foro e anticipa<br />
al De Lama la sua intenzione di scrivere una Memoria su <strong>Veleia</strong>, e lettera del francese<br />
Deschamps del 3 marzo 1813, che si fa portavoce del Lesne a proposito delle indagini veleiati:<br />
il Lesne chiedeva al De Lama una copia <strong>della</strong> pianta di <strong>Veleia</strong>, ma al tempo stesso lo rassicurava<br />
sul fatto che il suo studio non avrebbe arrecato alcun danno all’o<strong>per</strong>a su <strong>Veleia</strong> che il<br />
direttore del Museo stava allora progettando («j’ai pris une marche qui ne peut pas nuire à<br />
celle de M. Lama»). Al termine delle sue indagini nell’alessandrino, il Lesne aveva dato alle<br />
stampe la Excursion à la Villa del Foro, ancien Forum appelé par quelques géographes Forum<br />
Statiellorum, edito ad Alessandria nel 1811 (sulla Villa del Foro, corrispondente all’antica<br />
Forum Fulvi, vedi ora E. Zanda, Forum Fulvi-Valentia: dati storici ed archeologici, in Optima<br />
via. Postumia, storia e archeologia di una grande strada romana alle radici dell’Europa, Atti del<br />
Convegno Internazionale di Studi, Cremona 1998, pp. 91-98).<br />
62 Lesne 1811, p. 74, nota 18.<br />
63 Lesne 1811, p. 63.<br />
113
114<br />
confiance, en ce qu’il est difficile de distinguer un verre vraiment antique,<br />
d’un verre de quelques siècles 64 .<br />
Ecco dunque che, anche in questo caso, la ricca collezione dei vetri veleiati,<br />
presto rivalutata dal nuovo allestimento museale ideato dal De Lama 65 ,<br />
veniva in aiuto, con i suoi numerosi frammenti provenienti tutti da un contesto<br />
di scavo e dunque di sicura antichità, agli archeologi e agli studiosi interessati<br />
alle tecniche artistiche degli Antichi. Alcune soluzioni architettoniche<br />
esaminate a <strong>Veleia</strong> facilitarono, poi, l’interpretazione di analoghe strutture<br />
riscontrate alla Villa del Foro: se <strong>per</strong> riconoscere gli elementi architettonici<br />
di un “bagno” scavato a <strong>Veleia</strong> era stato utile al De Lama l’avere visto<br />
un analogo impianto in un tepidarium di Pompei, ora sarà proprio il confronto<br />
con il bagno veleiate a fornire al Lesne la giusta interpretazione <strong>per</strong><br />
alcuni piccoli rocchi in terracotta, utilizzati nelle suspensurae di diversi ambienti,<br />
appena rimessi in luce nell’alessandrino e che fino a quel momento<br />
gli scavatori avevano del tutto trascurato 66 .<br />
Incoraggiati dal mecenatismo culturale promosso dalla nuova sovrana e<br />
nuovamente incuriositi dalla ria<strong>per</strong>tura ufficiale degli scavi, furono in molti a<br />
cimentarsi nell’elaborazione di saggi di carattere storico, archeologico, architettonico<br />
e <strong>per</strong>sino geografico sull’antica <strong>Veleia</strong>. Ci fu chi a Cremona tentò di<br />
«farsi bello» dando alle stampe, nel 1818, una lezione <strong>della</strong> Tavola Traiana<br />
con le correzioni apportate dal De Lama, ricavandola dalla copia fatta esporre<br />
dal direttore nel museo «<strong>per</strong> comodo di chi non può leggere facilmente<br />
l’originale» 67 . Nello stesso anno era in fase di preparazione un’o<strong>per</strong>a, «puramente<br />
geografica» sull’antica città, scritta a quattro mani dal conte Girolamo<br />
Asquini e dal canonico emiliano Francesco Nicolli e che, a giudizio del De<br />
Lama, avrebbe dato «luogo a non poche belle osservazioni critiche su quanto<br />
ne scrissero Lami, del Pozzo, Cara de Canonico e Pittarelli» 68 . Il progetto<br />
64 Lesne 1811, p. 45.<br />
65 Vedi infra pp. 152-55.<br />
66 Lesne 1811, pp. 53-55, tav. 2, fig. 6.<br />
67 Di questo tentativo di pubblicazione, ad o<strong>per</strong>a di un non meglio precisato «prete canonico»<br />
e reso vano dall’intervento del De Lama, ci informa lo stesso archeologo in una lettera<br />
all’amico Angelelli (De Lama ms. 20, lettera del 18 luglio 1818). Il De Lama si riferisce<br />
probabilmente al progetto di studio delle antichità veleiati (con particolare riguardo alle epigrafi)<br />
avviato in quegli anni dal canonico cremonese Antonio Dragoni, in collaborazione con<br />
Giovanni Voghera (vedi Bormann, introduzione alla sezione epigrafica veleiate in CIL XI, 1,<br />
Berolini 1888). Questo episodio convincerà il De Lama ad accelerare la sua edizione <strong>della</strong><br />
Tavola, apparsa infatti a Parma nel 1819.<br />
68 De Lama ms. 20, lettera a Massimiliano Angelelli del 6 marzo 1818; l’o<strong>per</strong>a che<br />
l’Asquini stava allora preparando è ricordata dal De Lama anche nelle pagine introduttive
originario dell’o<strong>per</strong>a non venne, in realtà, mai completato, ma le indagini<br />
preliminari, arricchite dalle molte informazioni fornite dallo stesso De Lama,<br />
in rapporto di amicizia con entrambi gli autori, confluirono negli studi sulla<br />
topografia antica dei territori del ducato, e in particolare, nei Riscontri e note<br />
di alcune carte topografico-moderne degli Stati Ducali di Parma, Piacenza e<br />
Guastalla; <strong>per</strong> servire d’illustrazione agli oggetti di topografia antica de’ Stati<br />
medesimi e nella Archeologia universale parmense, piacentina e guastallese,<br />
editi dal Nicolli negli anni Trenta del secolo 69 ; sono sicuramente da attribuire<br />
a queste stesse ricerche anche i numerosi appunti di Girolamo Asquini sulla<br />
Tavola Traiana, conservati ancora inediti presso la Biblioteca Arcivescovile di<br />
Udine e che impegnarono l’autore negli ultimi anni <strong>della</strong> sua <strong>per</strong>manenza a<br />
Parma 70 . Il coinvolgimento in questa impresa dell’Asquini, di illustre famiglia<br />
del suo studio sulla Tavola (De Lama 1819, p. 15, nota 1). Come si ricorderà (supra, cap. II,<br />
nota 60), il Lami, nelle Novelle Letterarie, aveva tentato di dimostrare che la Tavola Alimentaria<br />
si riferiva a fondi agricoli del territorio di Lucca, opinione seguita anche dal padre Federico<br />
Vincenzo da Poggio (Lettere ragionate di un Accademico oscuro, Lucca 1775); nel<br />
1788 erano apparsi il lavoro, di carattere topografico, di Anton Giacinto Cara de Canonico<br />
(Discorso dei paghi dell’agro vellejate nominati nella Tavola Trajana Alimentare) e quello di<br />
Giuseppe Pittarelli, Idea <strong>della</strong> spiegazione <strong>della</strong> tavola alimentaria di Traiano, seguito dall’o<strong>per</strong>a,<br />
dello stesso autore, Della celebratissima tavola alimentaria di Traiano sco<strong>per</strong>ta nel territorio<br />
piacentino l’anno 1747, edita a Torino nel 1790 (De Lama 1819, pp. 14-21; Montevecchi<br />
1934, pp. 625-26; Criniti 1991, pp. 20-27).<br />
69 I Riscontri vennero pubblicati nel 1830, mentre l’Archeologia Universale, già preannunciata<br />
in un manifesto del 1828, verrà data alle stampe, in forma assai ridotta, nel<br />
1834: lo schema originale dell’o<strong>per</strong>a prevedeva una suddivisione in tre parti, dedicate ai<br />
re<strong>per</strong>ti veleiati, all’“archeologia patria” ad esclusione di <strong>Veleia</strong> e ad un confronto tra i rispettivi<br />
materiali; ogni parte era poi ulteriormente divisa in due sezioni, l’“archeologia<br />
scientifica” (comprendente la topografia, la filologia e l’etica, intesa come studio dei costumi<br />
degli antichi) e l’“archeologia artistica” (di cui facevano parte l’architettura, la<br />
scultura, la pittura, l’o<strong>per</strong>a musiva, l’epigrafia, il vasellame e lo studio degli strumenti degli<br />
antichi), <strong>per</strong> un numero complessivo di almeno 14-16 volumi. Di quest’o<strong>per</strong>a colossale<br />
verrà invece pubblicato poco più che l’indice, accompagnato da una breve introduzione<br />
dell’autore e dall’elenco, questo sì dettagliato, dei siti antichi menzionati nella Tavola<br />
Traiana, principale punto di partenza <strong>per</strong> lo studio dell’antica topografia del territorio.<br />
Alla Tavola il Nicolli dedicherà un approfondito studio epigrafico, rimasto inedito, teso a<br />
correggere alcune lezioni proposte dal De Lama nell’edizione del 1819 (su questo manoscritto,<br />
vedi Monaco 1953b; sugli scritti veleiati del Nicolli, vedi anche Albasi e Magnani<br />
2003, pp. 34-35).<br />
70 Da Udine, sua città natale, il conte Girolamo Asquini si era infatti trasferito a Parma<br />
<strong>per</strong> raggiungere il fratello Enrico, nominato ufficiale delle guardie del corpo del Duca<br />
Ferdinando: qui poté frequentare l’Università e coltivare i suoi numerosi interessi, che<br />
spaziavano dall’archeologia, alla numismatica, alla topografia, all’agraria fino all’epigrafia,<br />
scienza quest’ultima che gli garantì un posto di rilievo tra gli studiosi del suo tempo<br />
115
116<br />
udinese ma trapiantato da tempo nel ducato, si deve certo alla stimolante frequentazione<br />
degli ambienti archeologici parmigiani, ma forse non fu da meno<br />
anche l’incoraggiamento di Giacomo Verità, il celebre antiquario che a<br />
Verona aveva formato un vero e proprio museo privato di re<strong>per</strong>ti archeologici<br />
e oggetti d’arte, impreziosito da una cospicua raccolta numismatica e di<br />
glittica antica, tra le più apprezzate del secondo Settecento. Il Verità era da<br />
tempo in contatto con il Museo di Antichità di Parma e dal carteggio con il<br />
De Lama si possono ricostruire diversi scambi di monete romane im<strong>per</strong>iali e<br />
di medaglie pontificie, o<strong>per</strong>azione che dovette fruttare al museo veronese anche<br />
alcuni duplicati di monete «patinate vellejane» 71 : in occasione <strong>della</strong> vendita<br />
dell’intero Museo Verità, l’Asquini (che nel 1821 si era trasferito a Verona)<br />
agì da mediatore tra gli eredi e la corte di Parma, inizialmente interessata<br />
all’acquisto, cercando di mantenere una posizione favorevole al ducato, convinto<br />
com’era che il locale museo archeologico fosse la sede più idonea non<br />
solo ad ospitare, ma anche a valorizzare questa preziosa raccolta. La vendita,<br />
come è noto, non andò in porto a causa dei soliti problemi finanziari del ducato<br />
72 , ma è possibile che i legami di stima e di amicizia con gli archeologi<br />
(la sua attività di falsario sarà resa nota solo alla fine dell’Ottocento, ad o<strong>per</strong>a del Mommsen).<br />
Sulla attività di epigrafista dell’Asquini, vedi Panciera 1970, pp. 15-18 e A. Donati,<br />
Alcuni inediti dell’Asquini di epigrafia delle Venezie, in Epigrafia. Actes du Colloque en<br />
mémoire de Attilio Degrassi (Collection de l’École française de Rome, 143), Roma 1991,<br />
pp. 705-10.<br />
71 Gli scambi di monete tra il Verità e il Museo di Parma erano già ben avviati al principio<br />
del 1786: in quello stesso anno il De Lama aveva spedito a Verona una lista dei duplicati<br />
del medagliere parmigiano, così da facilitare la scelta del conte (le lettere del Verità al De Lama<br />
si conservano in AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, cart. 4).<br />
72 Sulle trattative tra l’Asquini e il governo di Maria Luigia d’Austria <strong>per</strong> l’acquisto del<br />
Museo Verità, vedi Marchini 1972, pp. 79-80; l’intera vicenda, dalla proposta di vendita, alla<br />
stima dei singoli pezzi fino al rifiuto di acquisto a causa dell’eccessiva richiesta (Maria Luigia<br />
giudicò «esorbitatamente grande» il prezzo richiesto di 30-40.000 talleri) si ricostruisce dal<br />
carteggio Asquini-Lopez conservato in AMANP, Carteggio Lopez (vedi anche ASP, Presidenza<br />
dell’Interno, I divisione. Stato e Istruzione Pubblica, b. 203): <strong>per</strong> spingere il ducato di<br />
Parma all’acquisto del museo, l’Asquini fece il nome di altri aspiranti acquirenti, e tra questi<br />
figuravano il Labus, in nome <strong>della</strong> città di Brescia, e il Sanquirico, uno dei più celebri mercanti<br />
di oggetti antichi dell’epoca e noto -secondo l’Asquini – «<strong>per</strong> farne mercimonio alle<br />
Corti estere» (AMANP, Carteggio Lopez, lettera del 3 giugno 1828). Nell’Archivio del Museo<br />
Archeologico di Parma si conserva una copia dell’elenco degli oggetti del Museo Verità,<br />
dedicato soprattutto al ricco monetiere, redatto nel 1828 dall’abate Giuseppe Venturi<br />
(AMANP, ms. 11). L’intero museo rimase invece a Verona e fa oggi parte delle collezioni del<br />
Museo di Castelvecchio. Da Verona giungerà tuttavia a Parma un’aretta votiva dedicata al<br />
culto di Tutela (CIL V, 3304), donata dall’Asquini al Museo di Antichità nel 1832 (Panciera<br />
1970, p. 127, fig. 8).
parmigiani, il De Lama prima, tanto apprezzato come epigrafista73 , e quindi<br />
il Lopez, oltre alla conoscenza dei re<strong>per</strong>ti veleiati, abbiano consolidato gli interessi<br />
antiquari dell’Asquini, che di lì a qualche anno si dedicherà allo studio<br />
delle antichità patrie, di cui l’o<strong>per</strong>a Del Forogiulio dei Carni e di quello<br />
d’altri popoli Traspadani, edita a Verona nel 1827 è forse il contributo più significativo74<br />
.<br />
Ma al principio dell’Ottocento, prima che nuovi scavi portassero alla luce<br />
le rovine di altri importanti centri romani del nord Italia, come Brescia,<br />
Verona, le città carniche, <strong>Veleia</strong> rappresentò <strong>per</strong> molti studiosi soprattutto<br />
un valido modello architettonico e urbanistico di municipium <strong>della</strong> Cisalpina,<br />
il sito ideale da cui imparare e attingere le formule del linguaggio classico,<br />
meglio ancora se “provinciale”, da riproporre nelle architetture “all’antica”<br />
dei tanti cantieri nord-italiani. <strong>Veleia</strong> era un interessante campo d’indagine<br />
s<strong>per</strong>imentale <strong>per</strong> le possibilità di ricostruzione cui si prestavano i suoi<br />
ruderi, sottoposti <strong>per</strong> anni alle misurazioni, ai confronti stilistici e all’esame<br />
dei materiali da parte di docenti e allievi delle accademie di belle arti, tanto<br />
che sarà proprio un architetto, l’Antolini, a dare <strong>per</strong> primo alle stampe uno<br />
studio sulle rovine veleiati, ma prima di lui altri architetti si cimenteranno<br />
nella difficile impresa di far rivivere, almeno sulla carta, i principali monumenti<br />
dell’antica città.<br />
Intorno a Velleia non solamente Antolini prepara una grand’o<strong>per</strong>a, ma anche<br />
il prof. Voghera, il quale è qui, e come Antolini guarda, disegna ecc. tutto<br />
ciò che può giovargli a riconoscere l’architettura di quella città. Come ho<br />
usato con Antolini, uso con lui, e userò con chiunque. Fra tanti che s’accingono<br />
a questa impresa parmi impossibile che non ci sia chi faccia qualche<br />
cosa di buono. Se non altro Velleia nelle tavole incise avrà la sorte de’ grandiosi<br />
avanzi di Pesto che piacciono generalmente più sulle tavole del p. Paoli<br />
che sul luogo<br />
73 Nell’agosto del 1819 l’Asquini, da es<strong>per</strong>to conoscitore di epigrafi antiche, si complimentò<br />
infatti con il De Lama <strong>per</strong> l’o<strong>per</strong>a sulle iscrizioni marmoree veleiati, «che fa tanto<br />
onore a Parma», prevedendo addirittura che sarebbe presto diventata «rarissima, e conseguentemente<br />
ricercatissima dai dotti, come lo è di presente quella del Lanzi Saggio di Lingua<br />
Etrusca» (AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, lettera dell’Asquini del 15 agosto<br />
1819).<br />
74 La ricerca sulle antichità <strong>della</strong> Carnia continuerà con la pubblicazione de La giardiniera<br />
suonatrice, o sia illustrazione di un antico sepolcro sco<strong>per</strong>to in Osopo, Verona 1830 e del<br />
saggio Sopra un’antica lapide inedita sco<strong>per</strong>ta in Giulio Carnico capitale <strong>della</strong> colonia Forogiulio,<br />
Milano 1834, o<strong>per</strong>e che documentano la discreta preparazione antiquaria dell’Asquini<br />
ma che evidenziano anche i limiti di una cultura strettamente municipalista (Panciera 1970,<br />
pp. 19-20).<br />
117
22<br />
118<br />
scriverà il De Lama all’amico e grecista Massimiliano Angelelli nell’autunno<br />
del 181875 . Nel settembre del 1815 l’architetto cremonese Luigi Voghera, in<br />
compagnia del fratello Giovanni e del pittore conterraneo Giulio Motta76 , si<br />
era infatti recato a <strong>Veleia</strong> e qui, come racconterà il custode degli scavi al De<br />
Lama, aveva «fatto varie escavazioni sopra questi Regi scavi e ... levato tutta<br />
la pianta <strong>della</strong> piazza col levare i disegni di tutti i capitelli, e basi non che<br />
<strong>della</strong> maggior parte de cornisami, e questo tutto <strong>per</strong> mettere in grandiosità<br />
l’antica città di Velleia» 77 . Se il primo progetto del Voghera era probabilmente<br />
quello di presentare un semplice studio di ricostruzione che valorizzasse<br />
le antiche architetture <strong>della</strong> città, nel corso dei successivi sopralluoghi<br />
dovette convincersi delle possibilità di un lavoro assai più esteso e ambizioso,<br />
tanto che i rilievi e i saggi di scavo eseguiti a <strong>Veleia</strong> divennero il modello<br />
<strong>per</strong> uno studio generale sull’antico foro italico, di cui proprio l’esempio veleiate<br />
sembrava costituire il confronto più vicino alle norme vitruviane:<br />
venendo da Roma dopo il mio alunnato sono già cinque anni, non avrei creduto<br />
di rinvenire in queste parti alcuna cosa che fermare potesse l’attenzione<br />
di un uomo il quale avesse in quella troppo celebre Metropoli ammirato i<br />
monumenti più magnifici dell’arte. Ma agli scavamenti portatomi di Veleja,<br />
ho trovato con sorpresa, e insieme con piacere di che occupare l’anima mia<br />
già a quelle antichità assuefatta, e di novelle cognizioni desiderosa. E potei a<br />
dirittura, quelle rovine contemplando, le une distinguere dalle altre sí <strong>per</strong> la<br />
loro disposizione, e sí <strong>per</strong> la diversa località dei piani, in maniera che venni a<br />
riconoscere l’aggregato di un Foro Italico, di cui mancavano ancora gli<br />
esempli. Perché riconobbi la piazza primamente sulle teorie disposta del<br />
grande Vitruvio (libro V cap. I) coi portici che l’attorniavano a spaziosissimi<br />
intercolumni78 .<br />
L’o<strong>per</strong>a che il Voghera aveva in mente doveva raccogliere le es<strong>per</strong>ienze<br />
più significative delle sue frequenti incursioni nel campo dell’architettura<br />
75 De Lama ms. 20, lettera all’Angelelli del 9 nov. 1818 (citata anche in Arrigoni Bertini<br />
2003, p. 444).<br />
76 Nato a Cremona nel 1787 ma trasferitosi a Brescia intorno al 1822, fu pittore di figure<br />
ma anche es<strong>per</strong>to nel disegno ornamentale, ed è sicuramente in questa veste che il Voghera<br />
lo scelse come compagno di escursione a <strong>Veleia</strong> (vedi Thieme-Becker, s.v.).<br />
77 ASP, Presidenza dell’Interno, I divisione. Stato e Istruzione Pubblica, b. 207, lettera di<br />
Adeodato Buroli del 5 settembre 1815. In una lettera inviata al Casapini nel 1819 il Voghera<br />
fa riferimento ad una sua visita a <strong>Veleia</strong> avvenuta sette anni prima, il che <strong>per</strong>mette di far risalire<br />
almeno al 1812 l’interesse dell’architetto <strong>per</strong> i resti dell’antica città (AMANP, <strong>Scavi</strong> di<br />
Velleia, 3, lettera del 12 agosto 1819).<br />
78 Così si legge nelle pagine iniziali del Manifesto d’associazione del Foro Italico, edito dal<br />
Voghera nel 1819.
antica, avviate nel triennio passato a Roma, tra il 1809 e il 1811 come stipendiato<br />
dell’Accademia di Brera, che lo videro impegnato in un progetto <strong>per</strong> il<br />
restauro del Colosseo, impresa che lo spinse <strong>per</strong>sino a finanziare una campagna<br />
di scavo all’interno dell’arena e nelle sue immediate vicinanze 79 . Erano<br />
questi, come è noto, anni di accesi dibattiti sulle teorie del restauro archeologico<br />
e che a Roma videro scontrarsi alcuni tra i più celebri antiquari,<br />
architetti e storici dell’arte del tempo: le rovine del Colosseo, bisognose di<br />
un rapido e radicale intervento conservativo, divennero quasi il banco di<br />
prova dell’intera questione, conclusasi nel 1807 con l’o<strong>per</strong>a di consolidamento<br />
del muro orientale, realizzata nel pieno rispetto delle strutture originali<br />
da Raffaele Stern e applaudita da es<strong>per</strong>ti del calibro di Angelo Uggeri e<br />
Antonio Nibby, ma che i rapidi mutamenti di gusto e di sensibilità <strong>per</strong> il rudere<br />
antico porteranno ben presto a guardare con sospetto, se non addirittura<br />
con fastidio. L’intervento di restauro progettato dal Voghera, che anticipava<br />
di molti anni quello realizzato nel 1827 da Giuseppe Valadier, cui si<br />
deve il consolidamento definitivo del muro occidentale, con la ricomposizione,<br />
in forma di s<strong>per</strong>one, degli ordini architettonici crollati, si inserisce in<br />
una fase cruciale <strong>della</strong> storia moderna del monumento, così profondamente<br />
segnata dalle critiche suscitate dall’invadente contrafforte dello Stern e quasi<br />
alla ricerca di una valida soluzione alternativa capace di restituire l’originario<br />
splendore al monumento-simbolo <strong>della</strong> romanità. Deciso a dare alle<br />
stampe le proprie fatiche, il Voghera tornerà di nuovo a Roma nel 1815, <strong>per</strong><br />
un ultimo esame alle strutture del Colosseo, e in quella occasione pensò di<br />
spingersi fino in Campania, incuriosito dalla recenti sco<strong>per</strong>te archeologiche<br />
di Pompei e forse interessato egli stesso alla stesura di un nuovo saggio sulle<br />
architetture e la topografia dell’antica città vesuviana 80 .<br />
Quando giunse a <strong>Veleia</strong>, nel 1815, il Voghera aveva dunque alle spalle<br />
una lunga familiarità con i monumenti antichi e una fresca conoscenza delle<br />
tecniche di scavo adottatte nei cantieri romani e pompeiani, tanto che<br />
anche il De Lama, non poco infastidito dall’ingerenza nel proprio territorio<br />
di studiosi provenienti da fuori, dovette riconoscergli la fama di «es<strong>per</strong>tissimo<br />
osservatore de’ ruderi romani e napoletani» 81 . I progetti <strong>per</strong> il restau-<br />
79 Sull’attività romana di Luigi Voghera, vedi Trabucco 1980; Roncai 1990, pp. 245 e<br />
247, Idem 1997, pp. 24-25 e Idem 2002, figg. 1-5, 8-10; Arrigoni Bertini 2003, pp. 437-39.<br />
80 Il Voghera si recherà di nuovo a Roma, e in seguito a Napoli e a Pompei nel 1822,<br />
«fermandosi in quest’ultima a rilevare con indicibile attenzione gli scavi di quell’infelice antica<br />
città» (Gallotti 1842); vedi anche Roncai 1997, p. 25 e Idem 2002, p. 148 (secondo cui il<br />
Voghera sarebbe riuscito a visitare Napoli e Pompei solo nel 1822) e figg. 6-7.<br />
81 ASP, Presidenza dell’Interno, I divisione. Stato e Istruzione Pubblica, b. 203, lettera<br />
del De Lama del 9 maggio 1822. Scrivendo al Podestà di Parma, nel settembre del 1815, il<br />
119
22<br />
23<br />
24<br />
120<br />
ro del Colosseo dovevano essere inseriti, secondo le intenzioni dell’autore,<br />
nella grande o<strong>per</strong>a dedicata al foro italico, di cui nel 1819 apparve il Manifesto<br />
ma che purtroppo non verrà mai pubblicata <strong>per</strong> insufficienza di sottoscrizioni<br />
82 . Dalla corrispondenza con il De Lama e con Michele Lopez possiamo<br />
comunque ricostruire alcune tappe di questo lavoro, ri<strong>per</strong>correndo i<br />
punti più salienti del dibattito che verteva all’epoca intorno alle diverse<br />
ipotesi ricostruttive di <strong>Veleia</strong> e che guiderà il Voghera nella preparazione<br />
delle piante dei principali monumenti dell’antica città, il foro, le terme, il<br />
cosiddetto anfiteatro, destinate alla pubblicazione definitiva dell’o<strong>per</strong>a e<br />
ancora oggi conservate nell’archivio del Museo Archeologico di Parma 83 .<br />
La stesura vera e propria dell’o<strong>per</strong>a dovette cominciare al principio del<br />
1819, sollecitata dall’imminente pubblicazione del primo volume dell’Antolini<br />
sulle rovine di <strong>Veleia</strong> e da quella sulle iscrizioni marmoree, in gran parte<br />
di provenienza veleiate, edite nel 1818 dal De Lama, con l’aggiunta di alcune<br />
interessanti ed inedite informazioni sui re<strong>per</strong>ti utili ad illustrare la storia,<br />
la religione, le attività artigianali e produttive dell’antica città. Di grande<br />
aiuto, nelle fasi preliminari del lavoro, fu la disponibilità con cui il De Lama<br />
si prestò a fornire i dati necessari al Voghera nella sua o<strong>per</strong>a di verifica dei<br />
rilievi eseguiti in occasione dei numerosi sopralluoghi a <strong>Veleia</strong>, che il confronto<br />
con quanto scritto dal De Lama o documentato nelle passate relazioni<br />
di scavo rendevano talvolta di incerta interpretazione; di difficile ricostruzione<br />
erano soprattutto gli ordini architettonici e i partiti decorativi degli<br />
edifici affacciati sul foro, tanto che il Voghera si troverà più volte costretto a<br />
De Lama non risparmiò le critiche, anche aspre, <strong>per</strong> chi concedeva le licenze di misurare e<br />
rilevare i monumenti di <strong>Veleia</strong>: «V.S. Ill.ma vedrà che con vergogna nostra saranno gli estranei<br />
che si faranno onore delle ruine velleiati, che sono nostra proprietà [...] Se si fossero<br />
esaudite le mie preci, ed è facilissimo farlo in tempo delle nevi, li sig.ri cremonesi non me la<br />
ficcherebbero, <strong>per</strong>ché tutti que’ belli avanzi marmorei sarebbero venuti a prendere la loro<br />
sede come le statue ecc. nel nostro Museo» (ASP, Archivio Comune. Raccolta autografi, b.<br />
4396, lettera dell’8 settembre 1815).<br />
82 Si tratta del Manifesto d’associazione all’o<strong>per</strong>a del Foro Italico dell’architetto professore<br />
Luigi Voghera, pubblicato a Cremona nel 1819: la notizia <strong>della</strong> pubblicazione è data al De<br />
Lama dal fratello del Voghera, Giovanni, il 1 febbraio 1819 (AMANP, Carteggio De Lama,<br />
Lettere di Privati): dal Manifesto, apparso poco dopo quello dell’Antolini, si ricava che<br />
l’o<strong>per</strong>a progettata dal Voghera non si limitava alla trattazione alle sole architetture ma prevedeva<br />
anche l’esame dei mosaici, delle pitture, delle sculture, dei bronzetti, del vasellame e<br />
dei diversi utensili rinvenuti negli scavi (sul progetto compositivo dell’o<strong>per</strong>a e sulle cause<br />
che costrinsero il Voghera ad abbandonare ogni s<strong>per</strong>anza di pubblicazione, vedi Gallotti<br />
1842 e ora anche Arrigoni Bertini 2003, che ri<strong>per</strong>corre anche le tappe <strong>della</strong> contesa tra l’Antolini<br />
e il Voghera <strong>per</strong> l’edizione dello scavo veleiate).<br />
83 AMANP, Disegni e Stampe, nn. 206-207.
chiedere ragione di alcune affermazioni del De Lama, evidentemente discordanti<br />
con le sue teorie ricostruttive. Tentò, ad esempio, di fare chiarezza<br />
sul numero preciso dei «molti capitelli ionici» scavati nel foro, che spinsero<br />
il De Lama a immaginare di quest’ordine l’edificio posto al centro del lato<br />
settentrionale84 , e inoltre cercò di sa<strong>per</strong>e «se di essi ve n’erano di più dimensioni<br />
mentre non ve ne sono rimasti che due, uno in luogo ed uno costì [a<br />
Parma], e se dalla quantità ritrovata si è potuto riconoscere che fossero tutti<br />
simili di stile», poco convinto dell’ipotesi avanzata dal De Lama, che a suo<br />
giudizio non teneva sufficientemente conto dei rapporti proporzionali tra i<br />
diversi elementi strutturali del monumento:<br />
mentre se pochi più di quelli che vi sono fossero stati e di ugual dimensione<br />
non avrebbero potuto appartenere ne alla fronte del tempio rispetto alla<br />
proporzione, dato il diametro delle basi ed alla rastremazione rispetto all’altezza<br />
conseguentemente alla specie dell’intercolumnio, <strong>per</strong> conseguenza<br />
troppo piccoli là dove vi convengono assai meglio li corinti85 .<br />
Nell’interpretazione dei ruderi proposta dal Voghera, l’edifico centrale<br />
alle spalle del portico Nord era dunque un tempio, anzi il Tempio <strong>della</strong> divinità<br />
forense, con fronte tetrastila di colonne in tufo stuccato su basi attiche<br />
e di ordine probabilmente corinzio, dato quest’ultimo confermato anche<br />
dalle ricostruzioni moderne 86 ; l’intercolumnio mediano doveva ospitare un<br />
basamento <strong>per</strong> il simulacro <strong>della</strong> divinità, mentre <strong>per</strong> la ricostruzione del<br />
pavimento, a riquadri in marmo venato e pavonazzetto incorniciati da listelli<br />
in giallo antico, il Voghera si appoggiava ai risultati di una indagine archeologica<br />
da lui stesso condotta a <strong>Veleia</strong> alcuni anni prima 87 . Sarà questa, come<br />
vedremo, anche l’ipotesi interpretativa dell’Antolini, destinata a diventare<br />
ben presto quella tradizionale <strong>per</strong> oltre un secolo, ma diverse erano a questa<br />
data le teorie avanzate dagli archeologi parmigiani, e se il De Lama parlava<br />
a<strong>per</strong>tamente di propileo monumentale al foro o, in alternativa, di ingresso al<br />
84 Il Voghera, cui il De Lama aveva concesso di esaminare i suoi appunti manoscritti su<br />
<strong>Veleia</strong>, si riferisce qui alla descrizione dell’edificio fatta dal De Lama all’indomani <strong>della</strong> sua<br />
visita a <strong>Veleia</strong> nel 1816 (De Lama ms. 810, p. 13).<br />
85 AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, lettera del Voghera del 14 aprile<br />
1819.<br />
86 Vedi Frova 1969, p. 59 e Marini Calvani 1975, p. 62.<br />
87 Nel corso <strong>della</strong> campagna di restauro condotta nel 1952 è stato rilevato e restaurato il<br />
tratto di pavimento su<strong>per</strong>stite, già documentato nella pianta relativa agli scavi del 1760-<br />
1763: si doveva trattare, <strong>per</strong> la precisione, di un pavimento a mattonelle rettangolari di bardiglio<br />
incorniciate da listelli in marmo bianco (vedi Arias 1955, p. 117 e Frova 1969, p. 50,<br />
nota 5).<br />
121
122<br />
chalcidicum, anche il Casapini non poté che accogliere con scetticismo le<br />
conclusioni del Voghera:<br />
m’accorgo anche – gli rispondeva infatti l’architetto nell’ottobre del 1819 –<br />
che V.S. nel suggerirmi che non venga <strong>per</strong> ora a parlare del Tempio dei <strong>Veleia</strong>ti<br />
vorrà forse indicarmi altra località ove poteva essere fuori del Foro, ed è<br />
appunto fuori del Foro, giacché si viene a parlare di tale oggetto che io posso<br />
assicurarla che <strong>per</strong> quanto io abbia osservato in tutti quei ruderi non vidi apparenza<br />
alcuna che mi indicasse l’icnografia di un Tempio, se <strong>per</strong> riconoscere<br />
tal sorta di edifizi conviene che io debba meditarli con Vitruvio, conoscendone<br />
le varie specie che ci fa conoscere, come tanti ne riconobbi effettivamente<br />
in più luoghi, né pretendo che fuori dal Foro non vi fossero più templi 88 .<br />
Del tutto insufficienti <strong>per</strong> un’attendibile ricomposizione dei partiti decorativi<br />
sembrarono, poi, al Voghera i pochi frammenti architettonici ancora<br />
visibili a <strong>Veleia</strong>, una situazione che contrastava con i presunti ritrovamenti<br />
di un «grandissimo numero di cornici, di pezzi d’architrave» ricordati dal<br />
De Lama e che rendevano quanto mai necessario uno spoglio dei re<strong>per</strong>ti<br />
marmorei trasportati nel tempo a Parma:<br />
queste porzioni di trabeazioni sarebbero calcolabili in vero se si potessero veder<br />
in qualche framento, ma credo sebbene già da cinque o sei anni che veggo,<br />
e riveggo le rovine veleiati sia stato <strong>per</strong> me ancora tardi, poiché non vi esistono<br />
che basi e cornici de’ piedistalli, alle quali unicamente ho potuto ritrovare<br />
la loro località col confronto delle misure; nondimeno mi sarebbe di un<br />
singolare regalo che V.S. mi potesse in qualche modo indicare se tali framenti<br />
esistono a Parma o se sono stati smariti: nell’ultimo caso poi se la si ne risoviene<br />
almeno di dirmi a quale degli ordini architettonici potevano appartenere89 .<br />
Questa richiesta toccava un punto nevralgico dell’intera questione veleiate,<br />
e cioè il problema <strong>della</strong> continua dis<strong>per</strong>sione del materiale e delle difficoltà<br />
di una adeguata o<strong>per</strong>a di tutela:<br />
Se ancora rimangono colà di queste cornici, o dove siano andate nol so, come<br />
non saprò mai dove siano finite le colonne, i bronzi e altri marmi inventariati,<br />
disegnati e divenuti invisibili<br />
si trovava costretto a rispondere il De Lama, pur confermando al Voghera<br />
di avere un tempo visto almeno nove capitelli ionici, di cui cinque intatti, oltre<br />
a numerose cornici di marmo, in seguito «senza criterio affastellate l’una<br />
sull’altra» ma che il confronto con alcuni frammenti scavati nella tomba de-<br />
88 AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 3, lettera del 10 ottobre 1819.<br />
89 AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, lettera del Voghera del 14 aprile<br />
1819.
gli Scipioni a Roma suggeriva come <strong>per</strong>tinenti a delle trabeazioni («e queste<br />
sono io sempre stato indotto a credere che servito avessero di trabeazioni<br />
<strong>per</strong>ché avevano nelle estremità le note da me copiate B. D. III. XI. VI. le<br />
quali come ella avrà osservato ne’ Sepolcri degli Scipioni hanno giovato a<br />
riunirli in pristino. Non ho a dir vero posto mai attenzione a qual’ordine<br />
potessero servire, molto più che l’architettura non è mia messe») 90 .<br />
Lo studio preliminare sulle antichità veleiati impegnò il Voghera <strong>per</strong><br />
diversi anni e richiese frequenti sopralluoghi, documentati fino almeno al<br />
1822, nei quali l’architetto, talvolta affiancato dal fratello Giovanni, si cimentò<br />
anche in brevi saggi di scavo, tesi a chiarire alcuni punti oscuri delle<br />
sue ricostruzioni, senza trascurare un’accurata indagine ricognitiva di<br />
tutti i frammenti antichi sparsi nell’area <strong>della</strong> città antica, o<strong>per</strong>azione che<br />
gli <strong>per</strong>mise di recu<strong>per</strong>are anche alcuni importanti re<strong>per</strong>ti marmorei. Nell’autunno<br />
del 1819 comunicò, ad esempio, al Casapini di avere riconosciuto<br />
nella “bar<strong>della</strong>” <strong>della</strong> chiesa di Macinesso il piano di una delle tavole in<br />
marmo rosso di Verona (quella occidentale), ancora oggi visibili al centro<br />
del foro, interpretate all’epoca come tavole giudiziarie o tavole destinate<br />
alla riscossione di denaro 91 ; recu<strong>per</strong>ò un tronco di colonna dello stesso<br />
marmo a suo avviso <strong>per</strong>tinente al loggiato su<strong>per</strong>iore <strong>della</strong> piazza e inoltre<br />
riuscì ad individuare un nuovo frammento di capitello di lesena composito,<br />
del tipo dei «quattro grandi compositi» già noti in precedenza e a cui<br />
affiancò altri piccoli frammenti un tempo conservati nel magazzino degli<br />
scavi, tutti elementi che lo convinsero <strong>della</strong> loro originaria appartenenza<br />
alla decorazione frontale <strong>della</strong> basilica, in posizione alternata ai capitelli figurati<br />
con aquile 92 . La scarsa familiarità con la storia delle esplorazioni<br />
90 De Lama ms. 20, lettera a Luigi Voghera del 18 aprile 1819.<br />
91 “Tavole giudiciarie” le chiama ad esempio il De Lama nella Seconda memoria sugli scavi<br />
vellejati (De Lama ms. 62) e lo stesso nome è usato dal Voghera in una lettera al Casapini<br />
del 1 ottobre 1819 (AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 3); nella Spiegazione delle tavola illustrante il<br />
Foro di Velleia, completata nel 1822, il Voghera parlerà invece di “tavole feneratorie”<br />
(AMANP, ms. 56). La paternità di questi ritrovamenti è <strong>per</strong> la verità un po’ incerta: fin dal<br />
1818 il Voghera, chiedendo al Lopez di fornirgli le misure e i dati sulla qualità del marmo<br />
<strong>della</strong> mensa d’altare nella chiesa di <strong>Veleia</strong>, già l’identificava con una delle due tavole giudiziarie<br />
del foro (AMANP, Carteggio Lopez, Lettere di Privati, lettera di Giovanni Voghera<br />
del 13 settembre 1818), ma nel 1823 sarà Pietro Casapini a vantarsi di avere recu<strong>per</strong>ato « fra<br />
i rottami dell’oratorio di Macinesso» sia la tavola <strong>per</strong>tinente al foro che il tronco di colonna<br />
in marmo rosso di Verona, reimpiegato come acquasantiera, sco<strong>per</strong>te che il direttore degli<br />
scavi avrebbe comunicato tanto all’Antolini che al Voghera (AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 3, nota<br />
del Casapini del giugno 1823).<br />
92 AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 3, Lettera al Casapini del 1 ottobre 1819: «Ella potrà verificare<br />
se la mia sco<strong>per</strong>ta di una <strong>della</strong> Tavole Giudiziarie sia o non sia riconosciuta nella pietra<br />
123
124<br />
settecentesche, favorita dalla gelosia con cui venivano custodite le mappe<br />
di <strong>Veleia</strong>, lo trasse talvolta in inganno, facendogli credere frutto di nuove<br />
sco<strong>per</strong>te l’individuazione di ambienti o strutture architettoniche in realtà<br />
già rilevate fin dai primi scavatori: nel maggio del 1822 il Voghera tornerà<br />
nuovamente a <strong>Veleia</strong> <strong>per</strong> fare gli ultimi accertamenti prima <strong>della</strong> stampa<br />
definitiva dell’o<strong>per</strong>a e <strong>per</strong> fare «qualche piccolo scavo, ma su<strong>per</strong>ficiale,<br />
<strong>per</strong> la necessità di conoscere la su<strong>per</strong>ficie dei muri che non sono stati ellevati<br />
dal suolo», e in quell’occasione si convinse di avere sco<strong>per</strong>to, in uno<br />
degli ambienti sul lato occidentale del foro, i resti di una scalinata di accesso<br />
al piano su<strong>per</strong>iore, che tuttavia troviamo già disegnata nella mappa<br />
degli scavi del 1760 93 , così come già noto era il piccolo vano nell’angolo<br />
nord-occidentale <strong>della</strong> piazza, che il Voghera presentò come un «luogo<br />
sco<strong>per</strong>to <strong>per</strong> la prima volta nell’ultimo sgombro del mese di maggio 1822,<br />
nel quale venne osservato un piano più basso, ed un canale che veniva co<strong>per</strong>to<br />
da lastre di marmo forse servibile a qualche sterquilineo», ma che in<br />
realtà figura, compreso il canale sottostante, nella mappa del 1760-1762 94 .<br />
Sempre nel 1822 il Voghera eseguì un saggio di scavo nell’area del cosiddetto<br />
anfiteatro, a suo giudizio una delle aree più promettenti <strong>per</strong> future<br />
sco<strong>per</strong>te, e dichiarò di avere individuato le soglie degli ingressi laterali sull’asse<br />
principale del monumento (mai più vedute in seguito), oltre ad una<br />
porzione del meniano esterno, descritto come «di grosse pietre irregolari<br />
legate in malta di terra e pietre riquadrate, nei fili esterni legate in<br />
calce» 95 , che già l’Antolini credeva di avere sco<strong>per</strong>to nel 1818, ma che<br />
quasi certamente era un rifacimento moderno di un antico muro ad anda-<br />
che formava la bar<strong>della</strong> alla chiesa vecchia di Macinesso sì <strong>per</strong> essere corrispondente alla<br />
precisa dimensione, che <strong>per</strong> la qualità del cui marmo sono anche i suppedanei alla Tavola<br />
verso la Sala di bardilio nel Foro med.mo come pure un pezzo di tronco di colonna di rosso<br />
di Verona simile al segmento che si trova vicino alla casa del custode facente parte delle colonne<br />
nella loggia su<strong>per</strong>iore del Foro: oltre a ciò l’aver riconosciuto un frammento di capitello<br />
da pilastro dell’ordine dei quattro grandi compositi che ai quali riscontrati i piccoli frammenti<br />
che esistevano nell’Arsenale ligneo, ho potuto accertarmi che essi formavano la decorazione<br />
avanti la Basilica, e fra loro variati alternativamente con quelli delle aquile». La <strong>per</strong>tinenza<br />
dei capitelli fogliati in travertino alla basilica, in alternanza con quelli figurati con<br />
aquile e festoni, pure in travertino e del tutto simili nelle proporzioni, è un’ipotesi sostenuta<br />
anche in studi più recenti (vedi Frova 1955 e Marini Calvani 2000, p. 547, n. 198).<br />
93 Costa ms. 1246, tav. II.<br />
94 Costa ms. 1247, tav. II.<br />
95 Voghera, Spiegazione, tav. III: a proposito <strong>della</strong> sco<strong>per</strong>ta delle soglie degli ingressi laterali,<br />
già il De Lama aggiunse di proprio pugno sul manoscritto la nota «mai più vedute»<br />
(AMANP, ms. 56).
mento curvilineo, visto <strong>per</strong> la prima volta nell’ottobre del 1779 e forse<br />
<strong>per</strong>tinente ad una struttura di protezione del vicino edificio 96 .<br />
Della progettata o<strong>per</strong>a su <strong>Veleia</strong> del Voghera, scavalcata dalla pubblicazione,<br />
tra il 1819 e il 1822, dei due volumi dell’Antolini, rimangono, oltre al<br />
Manifesto, le tavole riproducenti le piante del foro, degli ambienti termali<br />
nel settore nord-occidentale dell’abitato e dell’ “anfiteatro”, delineate e colorate<br />
all’acquerello dallo stesso Voghera nel 1822 e corredate di una Spiegazione,<br />
conservata ancora manoscritta nel Museo Archeologico di Parma 97 .<br />
Nell’Archivio Voghera di Verona si conservano, oltre a numerosi appunti,<br />
anche diversi disegni di antichità veleiati, quasi sicuramente preparatori <strong>per</strong><br />
le tavole dell’o<strong>per</strong>a e di recente attribuiti dalla Arrigoni Bertini (che ne pubblica<br />
alcuni) 98 allo stesso Voghera e in parte al parmigiano Stanislao Campana:<br />
non mancano le statue marmoree <strong>della</strong> basilica, tra cui il giovane Nerone,<br />
la testa bronzea ritenuta di Baebia Basilla, quella del cosiddetto Adriano,<br />
il mosaico con supposta scena dell’Elettra di Sofocle (all’epoca, come<br />
vedremo, creduta di provenienza veleiate), quello con maschera teatrale,<br />
numerosi bronzetti (il Voghera teneva in particolar modo a «quel che pare<br />
Alessandro» e a pochi altri pezzi figurati) 99 e vari oggetti di instrumentum<br />
96 Lo stesso Antolini, nel 1819, lo dichiarò «parte di prima fabbricazione e parte di nuova»<br />
e nel 1822 il Casapini, considerati le deplorevoli condizioni del monumento, gravemente<br />
danneggiato dagli agenti atmosferici e soprattutto dai continui movimenti franosi del terreno,<br />
decise di «farli ricostruire i muri» (vedi Antolini <strong>Veleia</strong>, I, p. 20 e II p. 22; AMANP, Disegni<br />
e Stampe, n. 204 e Marini Calvani 1973, pp. 223-25 e 229). Tra il giugno e il luglio del<br />
1818 l’Antolini aveva eseguito alcuni saggi di scavo nell’area del supposto anfiteatro, allo<br />
scopo di individuare le soglie dei due accessi affrontati: oltre alle soglie «di arenaria selciosa<br />
giallognola di grana fina e compatta», trovò anche i resti di un condotto idrico, «diretto al<br />
centro dell’Anf[iteat]ro dove pare che dolcemente si pieghi all’est verso la nicchia quadrata»<br />
(<strong>per</strong> questi appunti di scavo vedi il § 4.1 di questo capitolo). Per una discussione dello stato<br />
delle rovine del supposto anfiteatro all’epoca dell’Antolini, vedi ora Lanza 2003, pp. 83-85.<br />
97 AMANP, Disegni e Stampe, nn. 206-207 e ms. 56, Spiegazione <strong>della</strong> mappa eseguita dal<br />
Prof. Voghera; vedi anche Maria Luigia Donna e Sovrana, p. 120, n. 587 (scheda di C. Tarasconi).<br />
98 Arrigoni Bertini 2003, in part. pp. 448-52 e figg. 2-4.<br />
99 Nell’aprile del 1819 Giovanni Voghera scriveva infatti a Michele Lopez: «supplico, <strong>per</strong><br />
parte di Luigi, che ti prega di dire al Campana di disegnare tutti quei bustini di bronzo nelle<br />
scansie, cioè i più belli, la Diana, quel che pare Alessandro, quell’altro vecchio barbato molto<br />
coroso, quella Pallade» (AMANP, Carteggio Lopez, Lettere di Privati, lettera di Giovanni<br />
Voghera del15 aprile 1819). Doveva essere inserito nella pubblicazione anche il celebre<br />
bronzetto dell’Eracle bibax, come si ricava da un’altra lettera di Giovanni Voghera al Lopez<br />
(ibidem, lettera del 6 gennaio 1821). Terminati e pronti <strong>per</strong> la pubblicazione erano ad esempio<br />
i disegni, attribuibili al Campana, <strong>della</strong> testa femminile di sacerdotessa isiaca, di una applique<br />
con sileno, del piede di mobile con figura di guerriero, oltre ai disegni di alcuni pezzi<br />
125<br />
22<br />
23<br />
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126<br />
domesticum 100 . Dal Manifesto sappiamo che erano infatti previste almeno<br />
ventotto tavole illustrative, compresa una veduta generale di <strong>Veleia</strong>, che il<br />
Voghera affidò proprio al Campana, uno degli accademici più versati nel rilievo<br />
antico e in grado di garantire, a giudizio del De Lama, una corretta riproduzione<br />
dei monumenti veleiati («i disegni di lui non saranno infedeli<br />
come quelli che si sono fatti <strong>per</strong> il povero Antolini» scriverà infatti il nostro<br />
archeologo al collega cremonese nel maggio del 1819) 101 .<br />
L’attendibilità dell’apparato iconografico doveva essere uno dei punti di<br />
forza dell’intera o<strong>per</strong>a, pensata dal Voghera come uno studio ricostruttivo interamente<br />
basato sulla rilevazione dei ruderi su<strong>per</strong>stiti e corredato dall’interessante<br />
confronto con «altri fori e fabbriche attinenti che sono finora state riconosciute».<br />
La necessità di un continuo aggiornamento sulle sco<strong>per</strong>te archeologiche,<br />
soprattutto di quelle relative a monumenti di carattere pubblico,<br />
utili alla comprensione dei corrispettivi veleiati, spinse il Voghera a documentarsi<br />
di <strong>per</strong>sona delle ultime novità in questo campo: al principio del 1819,<br />
probabilmente in coincidenza con le indagini intorno al supposto anfiteatro<br />
veleiate, pensò, ad esempio, di recarsi a Verona «<strong>per</strong> rilevare gli scavi che hanno<br />
fatto nell’Arena» 102 e nel 1822 giunse <strong>per</strong>sino a trasferirsi <strong>per</strong> alcuni mesi a<br />
Roma, di certo <strong>per</strong> completare lo studio sui restauri del Colosseo, che intendeva<br />
inserire nell’o<strong>per</strong>a sul Foro Italico 103 . L’ultimo soggiorno a <strong>Veleia</strong>, nel<br />
1822, gli servì poi <strong>per</strong> «rettificare sul luogo i disegni già presi negli anni addietro,<br />
e le sue meditazioni architettoniche sulle Ruine Velejati, <strong>per</strong> darle al pubblico<br />
meno poeticamente di quello abbia fatto il bravo prof. Antolini» 104 .<br />
marmorei, tra cui una delle erme dionisiache rinvenute nelle prime campagne di scavo, una<br />
statuetta femminile con chitone, e un avambraccio mutilo, forse <strong>per</strong>tinente ad una delle statue<br />
<strong>della</strong> Basilica: tutti questi disegni (su fogli di cm 22,5 x 30) si conservano nell’Archivio<br />
privato Voghera.<br />
100 Per una descrizione dettagliata dei disegni relativi a <strong>Veleia</strong> conservati nell’Archivio<br />
privato Voghera, vedi Arrigoni Bertini 2003, pp. 448-52.<br />
101 De Lama ms. 20, lettera del 4 maggio 1819. Alla fine di aprile del 1822 Giovanni Voghera<br />
scriveva a Michele Lopez: «dirai [...] al Campana che pel disegno <strong>della</strong> statua im<strong>per</strong>iale<br />
la disegni pure sulla dimensione non più di sei pollici, pregandolo di dettagliarla bene, il<br />
che non ne dubito»; nella stessa lettera lo informava che la veduta di <strong>Veleia</strong> e le altre tavole<br />
dell’o<strong>per</strong>a erano ormai in fase di stampa (AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 3, lettera del 30 aprile<br />
1822). Sul Campana, amico e collaboratore del giovane Michele Lopez, vedi Arrigoni Bertini<br />
2003, p. 451, nota 80.<br />
102 Vedi AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, lettera di Giovanni Voghera del<br />
1 febbraio 1819.<br />
103 Del lungo soggiorno romano del Voghera, nel 1822, siamo informati anche da una lettera<br />
di Ferdinando Boudard al De Lama, del 12 gennaio 1823 (Monaco 1953a, p. 238).<br />
104 ASP, Presidenza dell’Interno, b. 203, lettera del De Lama del 9 maggio 1822.
S. Campana (?), testa bronzea di fanciulla da <strong>Veleia</strong>, disegno<br />
a matita (cm 22,5 x 30), 1820 c., Verona, Archivio privato<br />
Voghera.<br />
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128<br />
S. Campana (?), piede di mobile con figura di guerriero, disegno<br />
a matita (cm 22,5 x 30), 1820 c., Verona, Archivio privato<br />
Voghera.
Tra il 1819 e il 1822, battendo sul tempo le previste pubblicazioni del Voghera<br />
e del De Lama, erano infatti usciti i due volumi de Le rovine di <strong>Veleia</strong><br />
di Giovanni Antonio Antolini, di fatto la prima edizione a stampa degli scavi<br />
(ad eccezione <strong>della</strong> Mémoire del Paciaudi) e l’ultima grande impresa editoriale<br />
dell’ormai anziano architetto. Fin dal 1819 l’Antolini aveva tentato, invano,<br />
di unirsi al Voghera nella pubblicazione delle antichità veleiati e lo<br />
stesso aveva fatto con il De Lama, s<strong>per</strong>ando di affiancare le proprie ricerche<br />
architettoniche allo studio più strettamente archeologico ed epigrafico che il<br />
collega parmigiano stava da tempo preparando. La pubblicazione del Manifesto<br />
sul Foro Italico aveva spinto ad accelerare il completamento dei tanti lavori<br />
allora in corso su <strong>Veleia</strong> e reso la competizione tra gli studiosi ancora più<br />
aspra e serrata: «ora qui gli Antolinisti e i Vogheristi sono già in discordia:<br />
solamente convengono nel lagnarsi <strong>della</strong> mia facilità nel comunicare a tutti i<br />
documenti, e nel lasciar osservare e disegnare i monumenti estratti da quegli<br />
scavi» confiderà infatti il De Lama all’amico Angelelli nel febbraio del 1819,<br />
e se giudicò «troppo vasto» il progetto del Voghera, quello dell’Antolini gli<br />
parve «poco calcolato» e, come tale, del tutto inattendibile 105 .<br />
Il nome dell’Antolini era allora, come oggi, inscindibilmente legato alla<br />
sfortunata progettazione del Foro Bonaparte di Milano, un’impresa che appassionò<br />
il suo ideatore <strong>per</strong> le implicite valenze di carattere ideologico e politico<br />
dell’intero piano urbanistico, pensato come uno dei poli emblematici<br />
del nuovo governo repubblicano e che proprio nelle geometrie essenziali e<br />
austere, nei grandi e nitidi volumi, nel gusto sobrio dell’ornato, eredità del<br />
lungo studio delle architetture antiche, trovava i suoi principali punti di forza.<br />
Tra le es<strong>per</strong>ienze professionali dell’Antolini non erano infatti mancati i<br />
necessari approfondimenti nel campo dell’architettura classica, iniziati all’epoca<br />
dell’alunnato romano e che negli anni Ottanta del Settecento lo videro<br />
impegnato in uno studio sull’ordine dorico, basato sull’esame dei ruderi<br />
del cosiddetto Tempio di Ercole a Cori, mentre nel 1803 la curiosità di<br />
indagare le possibili varianti dell’ordine corinzio lo spinsero ad affrontare<br />
un saggio di ricostruzione del celebre Tempio di Minerva ad Assisi 106 .<br />
105 De Lama ms. 20, lettera all’Angelelli del 13 febbraio 1819 (citata anche in Arrigoni<br />
Bertini 2003, nota 40).<br />
106 Nel 1785 l’Antolini aveva infatti dato alle stampe, a Roma, L’ordine dorico ossia il tempio<br />
d’Ercole nella città di Cori, uno studio che, riprendendo l’esame del tempio condotto solo<br />
l’anno prima dal Winckelmann, si proponeva di formulare un nuovo linguaggio architettonico<br />
ad uso dei moderni edifici di ispirazione classica; con l’o<strong>per</strong>a Il Tempio di Minerva in<br />
Assisi, pubblicata a Milano nel 1803, l’Antolini propose una ricostruzione del tempio antico<br />
più attenta ai partiti decorativi dell’ordine corinzio che agli elementi strutturali dell’edificio<br />
antico. Sull’o<strong>per</strong>a dell’Antolini vedi ora Marziliano 2000 e Miranda 2001, pp. 289-91.<br />
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26<br />
27<br />
130<br />
Ma a dispetto <strong>della</strong> sua lunga frequentazione con i monumenti antichi,<br />
non sembra che l’architetto avesse acquisito particolare credito come es<strong>per</strong>to<br />
in materia, tanto che il grecista Massimiliano Angelelli, di fronte alla pubblicazione<br />
del Manifesto dell’Antolini sulle antichità veleiati, si precipitò a<br />
scrivere all’amico De Lama: «ho veduto un Manifesto di Antolini <strong>per</strong> la descrizione<br />
di <strong>Veleia</strong>. Ha Ella parte in quest’o<strong>per</strong>a, o no? Se non l’ha come<br />
mai Antolini è diventato antiquario?» 107 .<br />
Fin dall’uscita del primo volume l’o<strong>per</strong>a dell’Antolini venne accolta con<br />
una certa diffidenza e non tardarono a farsi sentire le critiche, forse un po’<br />
pignole ma sempre puntuali e motivate, da parte di chi stava da tempo interrogando<br />
le rovine dell’antica città. Scrivendo all’autore <strong>per</strong> complimentarsi<br />
<strong>della</strong> «bell’o<strong>per</strong>a ... la quale non lascia da desiderare agli studiosi archeologi<br />
che l’arrivo <strong>della</strong> seconda parte», il De Lama non tentò neppure di<br />
nascondere il proprio disappunto <strong>per</strong> le numerose inesattezze dell’apparato<br />
illustrativo: «è da dolere solamente che Ella sia stata così male servita ne’ disegni,<br />
singolarmente delle statue, le quali sebbene non possono servire né<br />
all’illustrazione <strong>della</strong> storia, né all’istruzione de’ disegnatori, pure dovevano<br />
essere rappresentate come sono, <strong>per</strong> attestare almeno l’epoca in cui sono da<br />
credersi sculte, né dovevano trascurarsi alcuni segni, come la bulla nel petto<br />
del giovane Cajo, che lo caratterizza di famiglia patrizia, come era di fatti.<br />
Ma così va quando gli scrittori sono lontani dall’oggetto di cui trattano, e si<br />
fidano a non es<strong>per</strong>ti amici ed artisti» 108 , e non da meno furono le critiche<br />
del Voghera, che in una lettera al De Lama elencò un numero interminabile<br />
di piccoli e grandi errori rilevati nelle tavole dell’o<strong>per</strong>a. L’architetto cremonese<br />
accusava il collega di avere rappresentato in modo inesatto la pianta<br />
degli edifici nella carta generale degli scavi (corrispondente alla tav. IV del<br />
primo volume), con particolare riferimento alle architetture del foro, dai<br />
muri disegnati «fuori misura» e dove una delle tavole marmoree si sarebbe<br />
trovata «a cavallo di una colonna, così che le colonne consecutive sono fuori<br />
di luogo»; molte inesattezze avrebbero <strong>per</strong>sino riguardato gli elementi architettonici,<br />
come il capitello corinzio, rappresentato «ingigantito», o i capitelli<br />
ionici, disegnati con volute a tre spirali invece delle due e mezzo reali.<br />
Un appunto più sostanziale riguardava, poi, la presunta datazione delle statue<br />
marmoree <strong>della</strong> basilica, che l’Antolini, in base al celebre brano di Plinio<br />
sull’inizio dello sfruttamento delle cave lunensi (N.H. XXXVI, 5), giudicava<br />
almeno di età traianea, una datazione troppo avanzata, che non convin-<br />
107 AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, lettera dell’Angelelli del 6 settembre<br />
1818.<br />
108 De Lama ms. 20, lettera all’Antolini del 30 aprile 1819.
G.A. Antolini, Le rovine di <strong>Veleia</strong>, I (1819), tav. IX, particolare.<br />
Statua del cd. Nerone fanciullo.<br />
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31<br />
132<br />
se il collega cremonese, sempre più deciso a rendere pubblici i risultati delle<br />
proprie indagini e «far risorgere Velleja più antica di quello che ha fatto il<br />
prelodato sig. Antolini» 109 .<br />
La prima parte dell’o<strong>per</strong>a, come è noto, è dedicata alla descrizione delle<br />
rovine architettoniche veleiati, nello stato in cui allora si trovavano, mentre<br />
<strong>per</strong> la seconda parte l’Antolini volle dare sfoggio <strong>della</strong> sua lunga es<strong>per</strong>ienza<br />
di archeologo dilettante e, forte di alcuni approfonditi sopralluoghi e qualche<br />
breve saggio di scavo sui ruderi veleiati, mise a punto una serie di dieci<br />
tavole con le ricostruzioni ipotetiche dei principali edifici dell’antica città,<br />
compresa una sezione generale dei monumenti fino ad allora rinvenuti 110 .<br />
Ben lontane dall’essere il risultato di un attento esame delle rovine e di una<br />
fedele ricomposizione degli elementi su<strong>per</strong>stiti, le ricostruzioni proposte<br />
dall’Antolini tradiscono l’o<strong>per</strong>ato di chi ha più dimestichezza con le belle<br />
architetture di gusto neoclassico, libere e artistiche interpretazioni dei modelli<br />
antichi, e assai poco interesse <strong>per</strong> una pignola e metodica ricomposizione<br />
dei dati archeologici, soprattutto se questi diventavano un ostacolo ad<br />
una ipotesi ricostruttiva di sicuro effetto architettonico.<br />
«Si vide anche la seconda parte dell’o<strong>per</strong>a del sig. Antolini, e si conobbero<br />
tali omissioni, che bilanciate coll’aggiunte formano un certo qual conflitto<br />
da non potersi esprimere <strong>per</strong> que’ monumenti, che con qualche rincrescimento»<br />
commentava Giovanni Voghera nell’aprile del 1822: <strong>per</strong> chi, come<br />
lui, aveva es<strong>per</strong>ienza delle rovine veleiati, il volume dell’Antolini peccava di<br />
troppa fantasia («hanno pur ragione que’ tali che in detta o<strong>per</strong>a vi scorgono<br />
dei sogni!»), molti oggetti erano finiti «fuori di luogo» e non erano neppure<br />
rispettate le giuste misurazioni degli elementi architettonici, così che la ricostruzione<br />
delle colonne dei porticati del foro e soprattutto di quelle dell’edificio<br />
al centro del lato Nord, ritenuto anche dall’Antolini un tempio, era del<br />
tutto sproporzionata alle reali dimensioni delle basi ancora esistenti; molto<br />
criticata era anche l’ipotesi ricostruttiva <strong>della</strong> basilica, con i due ordini di<br />
colonne «uno che nasce sul suolo <strong>della</strong> basilica, ed uno sul basamento laterali,<br />
binati, sotto di una stessa trabeazione, la quale come una berretta di<br />
maglia la ha fatta buona <strong>per</strong> ambedue» 111 . Il restauro <strong>della</strong> basilica pubbli-<br />
109 Vedi AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, lettera del Voghera del 27 maggio<br />
1819; <strong>per</strong> la datazione delle statue all’età traianea, vedi Antolini <strong>Veleia</strong>, I, p. 17, nota 1.<br />
Per i giudizi negativi espressi dal De Lama e dal Voghera sull’o<strong>per</strong>a dell’Antolini, vedi anche<br />
Arrigoni Bertini 2003, pp. 446-47.<br />
110 Vedi Marziliano 2000, pp. 170-72. Stralci dei capitoli IV e VI del primo volume dell’o<strong>per</strong>a<br />
sono riportati in Passeggiate piacentine, pp. 151-63.<br />
111 AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, lettera di Giovanni Voghera a Michele<br />
Lopez del 30 aprile 1822.
cato dall’Antolini, e soprattutto l’idea dei due basamenti affrontati lungo i<br />
lati nord e sud dell’edificio e destinati ad ospitare, tra gli intercolumni, le<br />
celebri statue marmoree, non convinse neppure il De Lama, che di certo ricordava<br />
quanto annotato nelle piante di scavo settecentesche a proposito<br />
del rinvenimento, sul solo lato meridionale, di tutte e dodici le statue; all’epoca<br />
impegnato a completare la Guida del Forestiere al nuovo Museo di<br />
Antichità, il direttore volle mettere in guardia i visitatori aggiungendo, nella<br />
trattazione del ciclo statuario, questa nota: «la Basilica era nella parte più<br />
elevata del Foro: in questa lungo il muro che guarda il monte rinvennersi<br />
tutte le statue sopra una linea, confuse colle loro dediche. È dunque credibile<br />
che fossero collocate ben diversamente da quello che immagina il Professore<br />
Antolini nella sua o<strong>per</strong>a». La disinvoltura con cui l’Antolini aveva<br />
fatto uso, nelle sue ipotetiche ricostruzioni, dei pochi elementi architettonici<br />
su<strong>per</strong>stiti, lo spinse un po’ troppo oltre nell’analisi del cosiddetto tempio.<br />
La posizione centrale dell’edificio tetrastilo sul lato settentrionale del foro<br />
gli era sembrata quella più adatta <strong>per</strong> il principale edificio di culto <strong>della</strong> città<br />
e l’esistenza, a <strong>Veleia</strong>, di alcuni capitelli figurati, tra cui uno ben conservato<br />
con aquile e festoni, era stata sufficiente <strong>per</strong> fargli immaginare un tempio<br />
dedicato a Giove, ma ancora una volta il De Lama intervenne a porre un<br />
freno alle sue fantasie, facendo appello ai reali dati di scavo dei capitelli, che<br />
ne indicavano la provenienza dalla terrazza su<strong>per</strong>iore al foro: «ignorando il<br />
luogo preciso ove essi si rinvennero, [l’Antolini] è d’avviso che avessero servito<br />
ad ornamento del tempio di Giove che suppone essere stato nella parte<br />
inferiore del Foro. Perché ciò fosse credibile converrebbe che nella caduta<br />
di <strong>Veleia</strong> cagionata dalla frana, questi non lievi capitelli fossero saliti in alto,<br />
anzi che precipitati al basso, secondo la legge de’ gravi» 112 , e lo stesso avrebbero<br />
fatto anche i capitelli di lesena decorati con delfini affrontati, rinvenuti<br />
non lontano dalla basilica e che l’Antolini immaginò a decorazione dell’ingresso<br />
<strong>della</strong> grande sala a oriente del “tempio”, da lui arbitrariamente interpretata<br />
come “curia”.<br />
Pur consapevole delle difficoltà oggettive affrontate dall’architetto nel<br />
tentativo di ridare forma e ornamento alle rovine veleiati («se avesse potuto<br />
visitare quelle ruine cinquanta anni fa, non si sarebbe sicuramente trovato<br />
nel caso di abbandonarsi a delle congetture, come deve fare pel guasto sommo,<br />
e lo scompiglio di quanto colà è rimasto») 113 , il De Lama non riusciva a<br />
<strong>per</strong>donare le troppe inesattezze, le omissioni, le tante libertà artistiche, che<br />
112 De Lama 1824a, p. 118, nota 2. Per la ricostruzione del cosiddetto Tempio di Giove e<br />
<strong>della</strong> vicina Curia, vedi Antolini <strong>Veleia</strong>, II, pp. 8-9.<br />
113 De Lama ms. 20, lettera all’Angelelli del 6 marzo 1818.<br />
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agli occhi di un archeologo si traducevano in irriverente trascuratezza delle<br />
tracce su<strong>per</strong>siti di un antico passato. E poi c’erano altri motivi, assai meno<br />
nobili, <strong>per</strong> prendere di mira l’o<strong>per</strong>ato dell’Antolini: abbiamo visto che già<br />
dalle sue prime ricerche l’architetto aveva tentato di affiancare alle proprie<br />
le competenze archeologiche del De Lama e dare alle stampe «un’o<strong>per</strong>a<br />
completa ed unica come si conviene, trattando <strong>per</strong> diverse vie un solo ed<br />
istesso soggetto» 114 , o<strong>per</strong>azione che mal si accordava con i progetti editoriali<br />
del De Lama, da lungo tempo alle prese con uno studio di carattere storico<br />
e archeologico dell’antica <strong>Veleia</strong> e che proprio allora stava <strong>per</strong> consegnare<br />
all’editore. Fin dal settembre del 1817 l’Antolini si era recato a Parma <strong>per</strong><br />
consultare la pianta di <strong>Veleia</strong> e la documentazione di scavo, e in quell’occasione<br />
il De Lama si era offerto di procuragli come disegnatore il giovane architetto<br />
Giuseppe Tebaldi, uno dei migliori alunni dell’accademia parmense,<br />
che infatti eseguì <strong>per</strong> l’Antolini alcuni rilievi delle rovine e la pianta generale<br />
degli scavi; l’anno seguente l’Antolini progettò un’escursione a <strong>Veleia</strong><br />
in compagnia del Tebaldi e dell’amico Mainoni, direttore <strong>della</strong> fabbrica di<br />
tabacchi di Milano e «celebre raccoglitore di cose antiche» 115 , con l’evidente<br />
scopo di coinvolgere l’archeologo parmigiano nelle proprie indagini e avvalersi<br />
<strong>della</strong> sua presenza a garanzia dell’attendibilità dei rilievi architettonici e<br />
alle osservazioni fatte sul campo.<br />
Traccia delle esplorazioni condotte nel corso <strong>della</strong> primavera e dell’estate<br />
del 1818 rimane nel Taccuino di viaggio relativo alla pubblicazione sulle rovine<br />
di <strong>Veleia</strong> (vedi il § 4.1 di questo capitolo), compilato dall’Antolini come<br />
pro-memoria delle «osservazioni da farsi in Veleja», vero e proprio elenco<br />
dei dubbi e dei quesiti sorti dalle prime osservazioni delle rovine, e solo in<br />
parte risolti grazie alle informazioni che era riuscito nel frattempo ad ottenere<br />
o ai dati dei brevi saggi di scavo, come quello condotto nell’area del<br />
supposto anfiteatro116 .<br />
L’improvvisa incursione dell’anziano architetto nel terreno di studi veleiati<br />
rischiava di compromettere il successo e la novità delle indagini condotte<br />
dal De Lama, cui non rimase che lagnarsi con gli amici più fidati:<br />
è qui Antolini professore d’architettura, a cui nello scorso anno diedi quanti<br />
lumi mi richiese, e i disegni di tutto ciò che poteva facilitargli l’o<strong>per</strong>a a cui si<br />
accingeva; di scoprire cioè quali fossero gli ordini impiegati negli edifici vel-<br />
114 De Lama ms. 383, lettera dell’Antolini al De Lama del 15 ottobre 1817.<br />
115 Vedi De Lama ms. 383, lettera dell’Antolini al De Lama del 21 marzo 1818.<br />
116 Gli appunti del Taccuino dell’Antolini, conservato manoscritto presso la Biblioteca<br />
Comunale di Forlì, sono in parte ritrascritti nel paragrafo 4.1 di questo capitolo. Del Taccuino<br />
parla anche Marziliano 2000, pp. 170-71 e p. 174, fig. 41.
lejati. Ora <strong>per</strong>ò non limitandosi entro que’ confini stabiliti cerca di metter<br />
mano nella mia messe [...] <strong>per</strong>ciò mi preme di poter metter mano alla pubblicazione<br />
di quelle mie Notizie preliminari intorno a Velleja e delle spiegazione<br />
de’ marmi<br />
scrisse infatti all’Angelelli, l’illustre grecista che proprio allora stava rivedendo<br />
le bozze dell’o<strong>per</strong>a sulle iscrizioni marmoree del Museo di Parma, uno dei<br />
contributi che il De Lama aveva in cantiere su <strong>Veleia</strong> 117 . La pubblicazione delle<br />
Iscrizioni antiche collocate ne’ muri <strong>della</strong> Scala Farnese, prevista fin dall’estate<br />
del 1818, «<strong>per</strong> un giro viziosetto» dello stampatore venne posticipata di<br />
quasi un anno e, tra le cause di questo ritardo, non è da escludere un’intervento<br />
dell’Antolini, che solo nel 1819 ebbe pronto il materiale <strong>per</strong> il primo<br />
volume <strong>della</strong> sua o<strong>per</strong>a 118 . Sulle modalità e le precedenze di pubblicazione del<br />
vasto e ancora inedito materiale veleiate, si accese ben presto tra i due studiosi<br />
una vera e propria polemica, condotta a suon di querele e lettere di protesta,<br />
che finì <strong>per</strong> inasprire i rapporti tra il De Lama e i rappresentanti dell’Accademia<br />
di Belle Arti di Parma, già gravemente compromessi (come vedremo) dall’annosa<br />
questione del possesso delle statue veleiati e svelò le manovre dell’Antolini,<br />
che proprio negli accademici parmigiani aveva trovato sostenitori<br />
<strong>per</strong> la sua impresa, riuscendo così ad aggirare l’autorità del De Lama 119 .<br />
117 De Lama ms. 20, lettera all’Angelelli del 19 giugno 1818.<br />
118 Le Iscrizioni antiche del De Lama portano la data di pubblicazione del 1818, ma da alcune<br />
lettere dell’autore scritte tra il 1818 e il 1819, si ricava che l’o<strong>per</strong>a, effettivamente consegnata<br />
allo stampatore (il parmigiano Carmignani) fin dall’agosto del 1818, verrà in realtà<br />
pubblicata nella primavera del 1819: vedi De Lama ms. 20, lettera all’Angelelli del 10 maggio<br />
1819 («ho potuto dare una volta allo stampatore di rami i fogli su’ quali devono vedersi<br />
le Iscrizioni. Per un giro viziosetto si è ritardata la pubblicazione di questo mio lavoro, che<br />
doveva uscire nello scorso anno, e non si vedrà che entro il corrente mese. La Tavola Traiana<br />
non sarà così lenta, e porto lusinga che non spiacerà al pubblico») e AMANP, Carteggio De<br />
Lama, Lettere di Privati, lettera di Giovanni Voghera del 1 febbraio 1819 («io non vedo l’ora<br />
di vedere sortita la bella sua o<strong>per</strong>a onde esserle in qualche modo utile») e lettere dell’Angelelli<br />
del 10 aprile e 13 luglio 1819.<br />
119 Il De Lama negava di avere mai acconsentito a unire il suo lavoro a quello dell’Antolini,<br />
essendo le proprie ricerche a uno stadio ormai troppo avanzato, e accusava il collega di<br />
avergli proposto una collaborazione all’unico scopo di sottrargli informazioni preziose sugli<br />
scavi veleiati. Nella polemica che contrappose il De Lama e l’Antolini venne coinvolto anche<br />
il conte Filippo Linati, illustre erudito locale e benefattore del Museo di Antichità, cui il De<br />
Lama, a sua discolpa, inviò un memoriale completo di tutte le lettere inviategli dall’architetto<br />
e delle relative risposte: vedi De Lama ms. 383, “Lettera all’ottimo sig. conte Filippo Linati<br />
nella quale si mette in chiaro un passo non troppo ben espresso dal sig. prof. Antolini”<br />
(vedi anche Arrigoni Bertini 2003, nota 33). Altre notizie si ricavano dal carteggio del De<br />
Lama con l’amico Angelelli (De Lama ms. 20 e AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati).<br />
Nelle lettere il De Lama lamenta spesso la disponibilità con cui il direttore dell’Acca-<br />
135
136<br />
4.1 Il Taccuino di viaggio dell’Antolini (1818)<br />
Sono qui ritrascritte le note più interessanti del Taccuino di viaggio relativo<br />
alla pubblicazione sulle rovine di <strong>Veleia</strong>, compilato dall’Antolini nel 1818 e<br />
conservato manoscritto nella Biblioteca Comunale di Forlì, Raccolte Piancastelli,<br />
Sezione Carte Romagna, 25/332.<br />
(Le prime pagine presentano solo una numerazione moderna a matita.<br />
La numerazione originale ricomincia dal numero 10)<br />
c. 12 (num mod.) Osservazioni da farsi a Veleja<br />
1) La posizione dell’ultimo fabbricato al di sotto <strong>della</strong> piazza verso Levante<br />
2) Dove principia da ambo le parti il muraglione al di sopra e parallelo<br />
alla piazza<br />
(c. 13: nella pianta è segnato giusto)<br />
3) Osservare la posizione reale del Casino, e casa del custode relativamente<br />
agli altri oggetti che le circondano<br />
4) Misurare la così detta fabbrica <strong>della</strong> fontana fatta a croce, e suoi condotti<br />
5) Misurare lo spaccato dei condotti, e considerar la loro rispettiva fabbricazione<br />
6) Osservare con attenzione i contorni dell’Anfiteatro<br />
[…]<br />
10) Esaminare e misurare il sito ov’erano poste le statue marmoree, ora<br />
nel Museo Parmense<br />
11) Disegnare i capitelli corintii<br />
(c. 13: i capitelli sono troppo deformati, servirà quello dell’Accademia)<br />
[…]<br />
c. 14 (num. mod.)<br />
17) Misurare e disegnare i Monumenti che sono sulla piazza, e se gli<br />
avanzi di quello di mezzo diano indizio di una qualche ara<br />
c.10 (num. orig.)<br />
33) Cercare di sa<strong>per</strong>e il luogo ove furono trovati i due Musaici dell’elettra,<br />
e <strong>della</strong> figura a mezzo busto, di donna<br />
demia, il marchese Paolucci di Calboli, si offrì di far copiare all’Antolini la pianta settecentesca<br />
degli scavi incisa da Pietro Martini, o<strong>per</strong>azione a lui, invece, sempre negata: i rapporti<br />
spesso conflittuali tra il De Lama, ex direttore dell’Accademia, e il Paolucci sono ricordati<br />
anche in Musiari 1986, in part. pp. 171-72.
137<br />
(c. 11 num. orig.: il musaico che trovasi in Parma nell’Accademia nella<br />
Sala delle Statue veleiati, rapp[resenta] una testa di donna velata fu trovato<br />
nella sala che noi oggi 30 giugno chiamiamo l’errario, più alta di pavimento<br />
all’Ovest <strong>della</strong> piazza, parallela al portico con basamento scorniciato,<br />
alla quale si salisce <strong>per</strong> alcuni gradini).<br />
[…]<br />
c. 47<br />
parte di un capitello corintio nell’Arsenale, del quale, a parte, vi sono<br />
quasi tutti i pezzi <strong>per</strong> compirlo; è di tufo arenario-calcare bianco. (il foglio<br />
contiene il disegno del capitello e un elenco di numerosi frammenti<br />
di marmi, tegole, tessere musive in bianco e nero, intonaci colorati, conservati<br />
nell’Arsenale di <strong>Veleia</strong>, tra cui anche «un busto mostruoso di debolissima<br />
arenaria», il probabile Marsia proveniente dal foro).<br />
[…]<br />
c. 54 <strong>Veleia</strong> 27 giugno 1818<br />
Per cercare la soglia <strong>della</strong> portina dell’anfiteatro verso il monte, prima di<br />
tutto si è fatto s<strong>per</strong>imento di quattro fori con un palo di ferro, <strong>per</strong> i quali<br />
si ebbe segno di cosa stabile<br />
2° cominciato ad escavare ad un palmo di profondità circa si trovò verso<br />
l’interno dell’anfiteatro, il ciglio <strong>della</strong> soglia <strong>per</strong> tutta la larghezza <strong>della</strong><br />
porta<br />
3° continuando ad escavare e disterrare si è trovato prima un pezzo di coppo,<br />
poi alcuni tufi calcari, indi un bel mattone intiero grosso onc. rom. 3<br />
che stava spianato sulla soglia come nella sotto fig.a M (fig. a p. 138)<br />
4° Solevando questo e continuando a disterrare si è del tutto sco<strong>per</strong>ta la<br />
soglia in quattro pezzi, come alle figure<br />
La soglia è grossa un palmo romano, ed è di arenaria selciosa giallognola<br />
di grana fina e compatta.<br />
[…]<br />
c. 59 1 luglio 1818<br />
Col processo simile a quello del 27 giugno pp. si è sco<strong>per</strong>ta la soglia <strong>della</strong><br />
portina dell’Anfiteatro che rimane incontro a quella verso il monte; e sotto<br />
di essa un condotto; e fatta livellazione si è trovato, che questa d’oggi<br />
rispetto a quella del dì 27 è più bassa palmi rom. 6.10.<br />
Il condotto sudetto <strong>per</strong> la lunghezza di p.mi 11 circa è diretto al centro<br />
dell’Anf[iteat]ro dove pare che dolcemente si pieghi all’est verso la nicchia<br />
quadrata.<br />
Vicino alla porta dalla parte di est vi sbocca il condotto che gira nell’interno<br />
lungo il quarto dell’Elissi fra l’ingresso grande e questo piccolo. Il<br />
muramento del condotto è fatto di sassi nelle sponde, e co<strong>per</strong>to con tufi<br />
calcari. Vedi la seguente figura (fig. a p. 139)
138<br />
G.A. Antolini, disegno <strong>della</strong> soglia del cd. “anfiteatro” di <strong>Veleia</strong>, 1818. Forlì, Biblioteca<br />
Comunale, Raccolte Piancastelli, Sezione Carte Romagna, 25/332, c. 54.
G.A. Antolini, rilievo di un saggio di scavo fatto nel cd. “anfiteatro” di <strong>Veleia</strong>, 1818. Forlì,<br />
Biblioteca Comunale, Raccolte Piancastelli, Sezione Carte Romagna, 25/332, c. 59.<br />
139
140<br />
Seguono alcuni appunti presi a Parma il 17 giugno 1818 dal manoscritto<br />
del Bertioli, Antichità <strong>Veleia</strong>ti, e altri appunti presi dai manoscritti veleiati<br />
del Costa.<br />
5. Pietro De Lama e le antichità veleiati<br />
Nelle Notizie preliminari alle sue Iscrizioni antiche il De Lama riuscì ad inserire<br />
molte inedite considerazioni sugli scavi e sugli edifici di <strong>Veleia</strong>, recu<strong>per</strong>ando<br />
in gran parte il resoconto redatto all’indomani del sopralluogo fatto<br />
nel 1816 in compagnia del Basiletti, e arricchì notevolmente le brevi considerazioni<br />
del Paciaudi sui culti dell’antica città, dando <strong>per</strong> la prima volta alle<br />
stampe alcune iscrizioni bronzee e marmoree di presunta o accertata provenienza<br />
veleiate con dediche a Minerva Medica, a Minerva Memore, forse<br />
a Cibele, a Bacco o che documentavano l’introduzione di alcuni culti orientali,<br />
come quello di Iside, divinità ricordata anche nella piccola lamina di<br />
bronzo dedicata da Ostil[...] Vibia Calidia, sottoposta nel 1790 all’interpretazione<br />
epigrafica dell’Asquini 120 .<br />
La lezione del Caylus o, più probabilmente, la nuova sensibilità verso il<br />
materiale archeologico “comune”, che si andava timidamente affermando tra<br />
gli studiosi del mondo antico, convinse il De Lama <strong>della</strong> necessità di approfondire<br />
l’esame dei tanti vetri recu<strong>per</strong>ati negli scavi veleiati, inclusi ben presto,<br />
come vedremo, tra le curiosità del museo parmense e uguale attenzione sarà<br />
dedicata, nell’Appendice <strong>della</strong> sua Tavola legislativa <strong>della</strong> Gallia Cisalpina, ai<br />
numerosi frammenti ceramici o laterizi di uguale provenienza, già in parte selezionati<br />
all’epoca del Paciaudi, a documentazione dell’esistenza, a <strong>Veleia</strong>, di<br />
una importante «officina figulare»: nel pubblicare i frammenti di lucerne, anfore,<br />
tegole, mattoni del Museo di Parma il De Lama intendeva seguire le orme<br />
di Gaetano Marini, che negli ultimi anni <strong>della</strong> sua vita, aveva preso ad esaminare,<br />
con l’interesse di un epigrafista, proprio le «figuline sigillate», un<br />
campo di indagine ancora piuttosto inesplorato e sul quale aveva in mente<br />
uno studio specifico, che purtoppo non fece in tempo a pubblicare 121 .<br />
120 Vedi De Lama 1818, pp. 34-38: <strong>per</strong> l’iscrizione esaminata dall’Asquini, vedi CIL XI,<br />
1160.<br />
121 Delle inedite Osservazioni che il Marini stava preparando sulle «figuline sigillate» parla<br />
lo stesso De Lama, rammaricandosi che il suo autore non abbia fatto in tempo a completarle<br />
(De Lama 1820, Appendice). L’attività produttiva di ceramiche e laterizi a <strong>Veleia</strong> era stata segnalata<br />
dal Paciaudi nella sua Mémoire del 1765 (AMANP, ms. 56 e Paciaudi Mémoire, I, p.<br />
359). Un rinnovato interesse <strong>per</strong> i numerosi frammenti di vetro veleiati è documentato dalle<br />
pubblicazioni stesse del De Lama (De Lama 1818, pp. 28-29 e De Lama 1820, Appendice) e
Ma le notizie sulle antichità veleiati edite dal De Lama tra il 1818 e il<br />
1820, a margine dei due poderosi studi sulle tavole bronzee e di quello sulle<br />
epigrafi marmoree murate sullo Scalone Farnese, non intendevano di certo<br />
esaurire le sue conoscenze sulla città antica e i suoi scavi, ma semplicemente<br />
fornire un’anticipazione dell’o<strong>per</strong>a che da tempo l’archeologo andava preparando.<br />
Prima di ogni altra cosa il De Lama sentiva la necessità di una nuova<br />
carta topografica dell’area fino ad allora scavata, in sostituzione di quelle ormai<br />
troppo datate e parziali delineate nella seconda metà del Settecento:<br />
sarà cosa utilissima se potrà una volta delinearsi una pianta di Velleja, e se<br />
con questo presidio, e con l’aiuto degli scavi potrà dirsi qualche cosa di più<br />
di questa città appena nota agli eruditi<br />
lo aveva incoraggiato l’amico Angelelli122 e fin dalla primavera del 1816 il<br />
De Lama si mise all’o<strong>per</strong>a <strong>per</strong> completare la nuova carta, che, aggiornata<br />
delle ultime sco<strong>per</strong>te, avrebbe agevolato il lavoro di ricostruzione degli edifici<br />
e fornito maggiori suggerimenti <strong>per</strong> la continuazione degli scavi. Il De<br />
Lama intendeva poi valersi delle ultime novità in campo archeologico <strong>per</strong><br />
discutere la forma e la funzione dei principali edifici veleiati e come già il tepidarium<br />
di Pompei lo aveva aiutato a riconoscere l’impianto di una “bagno”<br />
trovato a <strong>Veleia</strong>, così la recentissima sco<strong>per</strong>ta <strong>della</strong> Basilica di Pompei123<br />
, gli fornirà un importante punto di appoggio <strong>per</strong> stabilire la destinazione<br />
dei due ambienti posti ai lati dell’aula centrale <strong>della</strong> basilica di <strong>Veleia</strong>,<br />
ed in particolare di quello orientale, in cui il De Lama riconoscerà i resti del<br />
tribunal:<br />
la sco<strong>per</strong>ta <strong>della</strong> Basilica di Pompej dileguerà li dubbi, che tuttora rimanevano<br />
sull’integrità <strong>della</strong> figura, e sulla distribuzione delle parti di questa sorte<br />
di edificj. Se tale scoprimento fosse avvenuto negli anni addietro avrei potu-<br />
dalla cura espositiva riservata a questa classe di re<strong>per</strong>ti all’interno del museo parmense (vedi il<br />
§ 6 di questo capitolo). Anche Luigi Voghera aveva probabilmente intenzione di inserire nella<br />
sua pubblicazione su <strong>Veleia</strong> i dati relativi alle figuline sigillate conservate nel Museo di Parma:<br />
«si desidera sa<strong>per</strong>e se sieno sortite alla luce le marche che sono nelle figuline del vostro museo»,<br />
scriveva infatti il fratello Giovanni a Michele Lopez nel gennaio del 1821 (AMANP,<br />
Carteggio Lopez, Lettere di Privati, lettera di Giovanni Voghera del 6 gennaio 1821).<br />
122 AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, lettera dell’Angelelli del 27 ottobre<br />
1816. Scrivendo al Ministro dell’Interno nel giugno del 1816 il De Lama farà espresso riferimento<br />
ad almeno due tavole «che non ho ancora ridotte a termine <strong>della</strong> pianta di <strong>Veleia</strong> <strong>per</strong><br />
altra o<strong>per</strong>a mia» (ASP, Atti del Governo Provvisorio e Reggenza di Maria Luigia. Ministero<br />
dei Ducati, I divisione. Amministrazione pubblica, b. 4, lettera del 13 giugno 1816). Vedi anche<br />
Arrigoni Bertini 2003, nota 29.<br />
123 Lo scavo <strong>della</strong> basilica di Pompei fu incominciato intorno al 1806 e quindi ripreso e<br />
completato tra il 1813 e il 1816 (Pompei. Pitture e Mosaici, vol. VIII, Roma 1998, pp. 1-2).<br />
141
32<br />
142<br />
to ritornare su quelle belle ruine, e farmene testimonio oculare: ma altri tempi<br />
sono ora <strong>per</strong> me, e bastar dovrammi il vederne la Descrizione, la quale è<br />
da desiderarsi che non abbia <strong>per</strong> estensore un Bajardi 124 .<br />
Sappiamo poi che il De Lama intendeva far seguire all’esame dei marmi<br />
veleiati (di certo comprendenti, oltre alle numerose iscrizioni, anche le dodici<br />
statue del ciclo im<strong>per</strong>iale) quello dei tanti bronzi, anche figurati, provenienti<br />
dagli scavi 125 , ma la stampa del primo volume dell’Antolini e la convinzione<br />
che di lì a poco sarebbe apparso anche il lavoro del Voghera dovettero<br />
frenare le sue ambizioni editoriali. Le considerazioni sulle dodici statue<br />
marmoree trovarono <strong>per</strong> fortuna posto nella guida del Museo di Antichità,<br />
completata dal De Lama nel 1821, e andranno ad arricchire l’archeologia<br />
veleiate di una articolata analisi interpretativa e stilistica delle sculture, mai<br />
tentata fino ad allora e destinata a rimanere a lungo il punto di riferimento<br />
<strong>per</strong> le successive (e talvolta anche molto discordanti) analisi del ciclo statuario<br />
126 ; non fu invece mai completato (o forse neppure avviato) lo studio sui<br />
bronzi figurati e <strong>per</strong>sino la tanto attesa mappa degli scavi venne probabilmente<br />
abbandonata: nell’Archivio del Museo Archeologico di Parma si conservano<br />
diverse mappe antiche di <strong>Veleia</strong>, ma nessuna è attribuibile con sicurezza<br />
all’o<strong>per</strong>a rimasta incompiuta del De Lama. Realizzata probabilmente<br />
all’epoca del De Lama è una pianta parziale del foro (limitata ai soli lati meridionale<br />
e orientale), eseguita a china da un ignoto disegnatore e quasi certamente<br />
da affiancare (almeno a giudicare dal tratto disegnativo, dalla grafia<br />
delle didascalie e dal tipo di supporto cartaceo) a due altre tavole dedicate<br />
124 De Lama ms. 20, lettera all’Angelelli del settembre 1816. Il De Lama era stato informato<br />
<strong>della</strong> sco<strong>per</strong>ta <strong>della</strong> basilica pompeiana dal padre Tadini, che gli aveva anche annunciato<br />
l’imminente pubblicazione di una descrizione del monumento ad o<strong>per</strong>a del Romanelli, già<br />
autore di una celebre descrizione di Pompei, nota anche al De Lama, che pur giudicandola<br />
«molto erudita» l’aveva trovata piuttosto inesatta riguardo ad alcuni monumenti che l’archeologo<br />
ricordava di avere visto durante il suo viaggio di formazione (De Lama ms. 20, lettera<br />
all’Angelelli del 15 ottobre 1816). Sull’identificazione del tribunal veleiate, vedi De Lama<br />
1818, pp. 43-44.<br />
125 Vedi De Lama 1818, nota introduttiva e AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati,<br />
lettera all’Angelelli del 13 luglio 1819.<br />
126 La Guida del Forestiere al Ducale Museo di Antichità di Parma, redatta dal De Lama<br />
nel 1821, venne data alle stampe solo nel 1824. Per l’analisi delle statue marmoree <strong>della</strong> basilica,<br />
in cui l’autore riconosceva i ritratti di Livia, Germanico, Agrippina Maggiore, Caligola<br />
giovane, Drusilla e di una ipotetica Agrippina Minore, oltre a quelli di sei decurioni (tra cui<br />
includeva anche il console L. Calpurnio Pisone), vedi De Lama 1824a, pp. 129- 38. Le ipotesi<br />
interpretative avanzate dal De Lama, e in sostanza accettate fino all’epoca del Pigorini,<br />
vengono discusse in Saletti 1968.
alla ricostruzione, in pianta e in alzato, <strong>della</strong> basilica e ad alcuni studi architettonici<br />
delle principali tipologie di capitelli documentati a <strong>Veleia</strong>, a formare<br />
un complesso figurativo omogeneo e coerente, finalizzato con tutta probabilità<br />
ad una pubblicazione, a carattere architettonico, dei più significativi<br />
edifici veleiati. Gli studi dei tre capitelli sono più accurati e fedeli di quelli<br />
proposti dall’Antolini e ben diversa è l’ipotesi ricostruttiva proposta <strong>per</strong> la<br />
basilica: al centro <strong>della</strong> facciata, con una sensibile libertà rispetto ai dati di<br />
scavo, l’Antolini aveva immaginato una fontana monumentale a due vasche,<br />
al di sopra delle quali sarebbero state appese le celebri tavole bronzee, mentre<br />
alle estremità dell’intera struttura aveva collocato due piedistalli con le<br />
iscrizioni in onore di Furia Sabina Tranquillina e dell’im<strong>per</strong>atore Aureliano<br />
127 , sormontati da statue marmoree; l’anonimo disegnatore <strong>della</strong> pianta<br />
parmense si limita invece ad ipotizzare una semplice facciata scandita, al di<br />
sopra di un alto zoccolo, da due finestre e da una fila di quattro colonne e<br />
due semicolonne con capitelli corinzi (o compositi), che dovevano forse<br />
contrapporsi al grande colonnato del tempio/propileo sul lato nord del foro.<br />
Nella trabeazione delle colonne era inserita l’iscrizione di dedica <strong>della</strong><br />
basilica, ripetuta probabilmente anche al di sopra delle finestre; almeno due<br />
statue marmoree erano ospitate negli intercolumni <strong>della</strong> facciata, mentre le<br />
dodici statue del ciclo im<strong>per</strong>iale erano distribuite, in gruppi rispettivamente<br />
di cinque e sette elementi, in due distinti basamenti lungo il lato meridionale<br />
<strong>della</strong> vasta aula basilicale. Una simile ricostruzione si direbbe più rispettosa<br />
di quanto tramandato nelle relazioni di scavo e meglio informata dell’effettivo<br />
luogo di rinvenimento dei diversi elementi architettonici e scultorei.<br />
La pianta del foro, in particolare, denuncia la <strong>per</strong>fetta conoscenza di alcune<br />
mappe settecentesche, sulle quali era stata minuziosamente segnalata la posizione<br />
di ogni singolo re<strong>per</strong>to, attraverso l’uso di numeri e didascalie ma<br />
anche con l’espediente dei disegni degli oggetti più significativi, riportati in<br />
pianta nella loro esatta posizione di rinvenimento, come nel caso caso di<br />
una pianta del Museo di Parma 128 , purtroppo anch’essa anonima ma di fattura<br />
apparentemente settecentesca, che presenta le stesse colonne di bardiglio<br />
atterrate lungo il porticato orientale e <strong>per</strong>sino i basamenti quadrangolari<br />
posti al centro degli ambienti a<strong>per</strong>ti sullo stesso lato, quasi sempre assenti<br />
nelle piante successive e interpretati dai primi scavatori come altari o basi di<br />
statue di sacelli (e descritti anche dal disegnatore ottocentesco come “Tem-<br />
127 CIL XI, 1178 e 1180 (<strong>per</strong> queste basi onorarie, vedi Marini Calvani 1975, p. 57, tav.<br />
XLIV,1 e De Maria 1988, pp. 50-53, figg. 13-14.<br />
128 AMANP, Archivio Disegni e Stampe, inv. nn. 149-150: si tratta di una pianta del foro<br />
di <strong>Veleia</strong>, oggi divisa in due metà, anonima e non datata.<br />
143<br />
33<br />
34<br />
31
144<br />
Parma, Museo Archeologico Nazionale, Disegni e Stampe, n. 154. Anonimo, pianta e prospetto ricostruttivo <strong>della</strong> basilica<br />
di <strong>Veleia</strong>, XIX sec., particolare.
pii”): sembra innegabile un rapporto di dipendenza <strong>della</strong> pianta delineata<br />
nell’Ottocento da quella più antica, segno che l’autore di questo ipotetico<br />
studio sulle architetture veleiati doveva trovarsi a proprio agio tra la documentazione<br />
d’archivio relativa agli antichi scavi. Verrebbe, naturalmente, da<br />
pensare al De Lama e al suo incompiuto lavoro su <strong>Veleia</strong>, ma noi sappiamo<br />
che la sua o<strong>per</strong>a, come non si stancò di ripetere lui stesso all’Antolini, trattava<br />
<strong>Veleia</strong> dal punto di vista dell’archeologo, e non dell’architetto 129 ; le tre tavole<br />
parmensi, pronte <strong>per</strong> la stampa ma rimaste finora inedite sono forse<br />
un’ennesimo tentativo andato a vuoto, e destinato a rimanere <strong>per</strong> il momento<br />
anonimo, di ridare vita e notorietà alle malconcie rovine veleiati.<br />
6. Il Museo d’Antichità all’epoca del De Lama<br />
«Ho preso il mio partito, che è quello di pazientare, e di volgere tutte le mie<br />
cure al Museo, che si trasporta nel luogo ove aveva io messe le Scuole d’Architettura,<br />
e d’ornato» scriveva il De Lama nel maggio del 1816 130 : il prefetto<br />
aveva appena saputo di essere stato scavalcato dal Casapini nella direzione<br />
degli scavi veleiati, ma la delusione <strong>per</strong> un così incauto provvedimento,<br />
cui presto si aggiungerà l’amarezza <strong>per</strong> l’infelice esito dei suoi progetti editoriali,<br />
non gli impedì di dedicare ogni energia alla nascita e allo sviluppo<br />
del nuovo Museo di Antichità, cui il De Lama guardò sempre come alla sua<br />
principale creatura e che, nelle sue mani, divenne un efficace strumento di<br />
riscatto delle antichità di <strong>Veleia</strong> e una evidente dimostrazione del rinnovato<br />
fervore di studi antiquari e di indagini archeologiche che aveva investito il<br />
ducato all’epoca dell’arrivo <strong>della</strong> nuova sovrana. Le laute elargizioni garantite<br />
da Maria Luigia alle attività culturali del ducato avevano finalmente <strong>per</strong>messo<br />
di esaudire una delle richiese del prefetto e trasferire le raccolte di<br />
antichità nelle sale <strong>della</strong> Pilotta dove ancora oggi si trovano, in una sede<br />
espositiva del tutto nuova e di certo più adeguata alle esigenze di un museo<br />
a<strong>per</strong>to al pubblico e in rapida espansione 131 .<br />
129 AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati: risposta del De Lama ad una lettera<br />
dell’Antolini del 5 agosto 1818 (ne esiste solo una copia fatta da G. Monaco).<br />
130 De Lama ms. 810, lettera a Giambattista Bolognini del 2 maggio 1816.<br />
131 Fino a questo momento le collezioni del museo erano rimaste divise tra i locali destinati<br />
all’Accademia di Belle Arti e quelli in uso alla Biblioteca. Una pianta dei locali del nuovo<br />
museo, così come si presentavano all’epoca del De Lama, fu delineata dallo stesso direttore<br />
nel 1821 e pubblicata nella sua Guida del Forestiere (vedi anche AMANP, ms. 82). Per<br />
una rapida panoramica sulla nascita e gli sviluppi del Museo di Antichità di Parma, vedi Marini<br />
Calvani 1979, 1984 e 1992; Bernabò-Brea et al. 1992; Catarsi Dall’Aglio 1994.<br />
145
146<br />
Il pensiero del suo museo aveva accompagnato l’attività scientifica del De<br />
Lama fin dagli anni del viaggio di formazione, intrapreso anche allo scopo di<br />
arricchire le collezioni numismatiche del duca Ferdinando, e abbiamo visto<br />
quanta pena si era dato il giovane archeologo <strong>per</strong> avere accesso alle più quotate<br />
raccolte di monete antiche o <strong>per</strong> stringere rapporti con i principali mercanti<br />
di antichità, in vista di futuri commerci con il museo parmense. Considerate<br />
le passate glorie delle raccolte ducali, che proprio dal ricchissimo medagliere<br />
farnesiano avevano tratto vanto e celebrità, non stupisce che il De<br />
Lama abbia inizialmente confinato le proprie ricerche al solo settore <strong>della</strong><br />
numismatica. Fin dal suo ingresso in museo, come aiutante del Paciaudi, cercò<br />
di promuovere scambi o acquisti con i migliori es<strong>per</strong>ti del settore: a partire<br />
dal 1783 ebbero inizio le trattative con il Biancani Tazzi, fondatore del medagliere<br />
dell’<strong>Istituto</strong> di Bologna, una raccolta che il De Lama aveva tentato<br />
invano di accaparrarsi fin dai primi giorni del suo viaggio, e in quegli stessi<br />
anni si intensificarono gli acquisti e gli scambi di duplicati con Guidantonio<br />
Zanetti, con il piacentino Giovanni Fogliazzi e con il conte Giacomo Verità,<br />
divenuto ben presto uno dei corrispondenti più assidui del museo, tanto che<br />
alla sua morte l’intera collezione sarà dapprima offerta, come abbiamo visto,<br />
proprio agli antiquari ducali 132 . Prima ancora di assumersi la totale responsabilità<br />
del museo, il De Lama era riuscito ad accrescere il medagliere parmense<br />
di una serie di monete antiche provenienti d’Aquileia, cui in seguito si uniranno<br />
gli esemplari antichi e moderni collezionati da Giovanni Bertioli, proprietario<br />
di un tanto discusso “bidentale” e creatore di una delle pochissime<br />
raccolte private di antichità dell’intero ducato 133 . L’abitudine a ricercare, tra i<br />
132 Vedi AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati. Sulle trattative intercorse tra gli<br />
eredi di Giacomo Verità e il Museo di Parma, vedi la nota 72 di questo capitolo. Scambi e<br />
acquisti di monete, <strong>per</strong> gli anni 1785-1807, sono registrati anche in Atti e conti.<br />
133 Sull’acquisto delle monete aquileiesi ci informa una lettera dello Zanetti al De Lama:<br />
«mi ralegro che abbia fatto acquisto di 60 monete aquileiesi pel Museo. Bisogna che fra le<br />
medesime ve ne sieno delle dupplicate, <strong>per</strong>ché a tanto numero non ascende la serie di esse,<br />
almeno <strong>per</strong> quanto è a me noto, come vedrà dalle Tavole purgate che ho pubblicato nel secondo<br />
Tomo <strong>della</strong> mia Raccolta» (AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, lettera<br />
del 24 novembre 1785). Per le vicende collezionistiche legate al “bidentale” acquistato dal<br />
Bertioli e fatto stimare da Ennio Quirino Visconti, vedi Riccomini 2003, pp. 29-31; la vendita<br />
delle monete del Bertioli, completata nel 1821, è documentata in ASP, Presidenza dell’Interno,<br />
I divisione. Stato e Istruzione Pubblica, b. 203 e da una lettera di G. Ravazzoni al De<br />
Lama del 9 settembre 1821 (AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati); sulla collezione<br />
di antichità messa insieme dal celebre giurista parmigiano mancano ancora studi specifici:<br />
alcune notizie sulla sua consistenza si ricavano dagli inventari redatti in occasione <strong>della</strong> sua<br />
vendita al Museo di Antichità di Parma, vivamente incoraggiata dallo stesso De Lama; credo<br />
utile riportare qui, almeno in parte, l’elenco dei pezzi (antichi e moderni) venduti in quel-
tanti che gli venivano offerti, i rari esemplari degni di figurare nel medagliere<br />
parmense non lo abbandonò mai e proprio le visite di illustri visitatori al suo<br />
museo, fattesi più frequenti dopo il trasferimento nella nuova sede, si trasformarono<br />
spesso in ottime opportunità <strong>per</strong> arricchire di pezzi rari le serie parmensi,<br />
ancora incomplete 134 ; grata degli sforzi fatti dall’archeologo e desiderosa<br />
di contribuire, essa stessa, all’arricchimento del medagliere, <strong>per</strong>sino la<br />
sovrana finì <strong>per</strong> calarsi nei panni <strong>della</strong> cercatrice di antichità, riuscendo a<br />
procurare al museo alcune monete, forse greche, recu<strong>per</strong>ate negli scavi di<br />
Paestum 135 . A dispetto delle gravi spoliazioni volute da Carlo di Borbone, il<br />
prestigio del medagliere parmense non fu mai del tutto offuscato dai ritrovamenti<br />
degli scavi veleiati, e ancora al principio dell’Ottocento alcuni visitatori<br />
eruditi, come il barone Creuzé de Lesser, si lasciarono affascinare da alcune<br />
rarità, come la moneta in bronzo di Itaca con la testa pileata di Ulisse, uno<br />
dei «cavalli di battaglia» <strong>della</strong> collezione, <strong>per</strong> le suggestioni storiche e letterarie<br />
che riusciva a suscitare («si cette médaille est vraie, rien de plus curieux<br />
que de toucher une des pieces de monnoie avec lesquelles la sage Pénélope<br />
aura peut-être payé le fidele Eumée») 136 .<br />
l’occasione al Museo: oltre a «1468 medaglie e 44 bassorilievi bronzei a forma di medaglioni,<br />
presi da gemme antiche e del XVI secolo», l’inventario include una «tessera antica in avorio<br />
<strong>per</strong> avere accesso al teatro, la di cui porta è sculta da un lato; nell’altro è segnato il posto undecimo<br />
nel semicirco: una sola quasi simile si è ritrovata nello scorso anno a Pompei, comunicataci<br />
dall’architetto Gandy», un «sacerdote greco d’Oriente in piedi de’ primi secoli con<br />
lungo rotolo scritto, e svolto nella sinistra, benedice colla destra facendo le corna: è scolpito<br />
in avorio ed è alto un palmo», uno «scarabeo sacro in pietra nera egizia con caratteri Basilidiani<br />
che nominano Saffo, Gallieno e Macaro di Mitilene», un «idoletto votivo d’argento che<br />
rappresenta Giove coll’aquila a’ piedi», una «colomba d’argento amuletica con un ciuffoletto:<br />
lavoro barbaro», e infine «due coltelli con manichi d’avorio scolpiti bellamente e rappresentanti<br />
due busti d’uomo e di donna: lavoro del XVI secolo», pezzi acquistati dagli eredi<br />
Bertioli nel 1821 <strong>per</strong> la somma di 2659 lire e 81 centesimi (ASP, Presidenza dell’Interno, I<br />
divisione. Stato e Istruzione Pubblica, b. 203).<br />
134 Era ormai diventata un’abitudine del De Lama quella di chiedere ai sovrani in sosta a<br />
Parma qualche piccola elargizione <strong>per</strong> il museo: quando l’Arciduca d’Austria visitò le collezioni<br />
nel 1823, il De Lama riuscì, ad esempio, a «cuccargli qualche medaglia» (De Lama ms.<br />
20, lettera al Labus del 4 dicembre 1823).<br />
135 Come documenta una lettera di Adam Neip<strong>per</strong>g al De Lama dell’8 agosto 1824: «Sua<br />
Maestà avendo nella sua gita al tempio <strong>della</strong> Sibaritica Pesto raccolto Essa stessa alcune medaglie,<br />
m’incarica di trasmetterle qui compiegato a V. S. Illustr.ma pel caso che alcune di esse<br />
potesse interessare <strong>per</strong> la Collezione di questo Ducale Museo» (AMANP, Carteggio De<br />
Lama, Lettere di Privati).<br />
136 Creuzé de Lesser 1806, p. 41 (il barone, di origine francese, fece il suo viaggio in Italia<br />
nel 1801-1802). Sul Voyage del de Lesser, vedi Spaziani 1961, pp. 81-100. Lo stesso De Lama,<br />
fin dall’epoca del suo viaggio in Italia, aveva definito questa moneta il «cavallo di batta-<br />
147
148<br />
Di ritorno dal suo viaggio di istruzione, dopo aver visitato tanti medaglieri<br />
pubblici e privati, alcuni (come quello fiorentino) allestiti in moderni raccoglitori<br />
che ne facilitavano la consultazione, e forse memore delle richieste<br />
avanzate anni prima dal Paciaudi, che aveva invano progettato l’acquisto di<br />
almeno «quattro scrigni di uniforme struttura con entro i suoi tiratoi, e qualche<br />
mensola», <strong>per</strong> sistemare il monetiere e i bronzetti veleiati, il De Lama si<br />
impegnò a migliorare l’allestimento delle raccolte numismatiche del suo museo,<br />
finanziando (con i risparmi fatti nei suoi viaggi in Italia e in Germania)<br />
la costruzione degli eleganti stipi lignei che ancora ospitano il monetiere, capaci<br />
insieme di contenere le 15.000 monete <strong>della</strong> raccolta137 . A questi fu presto<br />
affiancata una «scansia di legno bianco con quattro porte, dipinta esternamente<br />
color di noce, celeste all’interno con fiscie dorate», destinata a contenere,<br />
ordinati su sette ripiani, i piccoli bronzi rinvenuti negli scavi di<br />
<strong>Veleia</strong>138 . Non si trattava di una semplice o<strong>per</strong>azione di arredo o di decoro<br />
del Museo di Antichità, ma di una misura preliminare e necessaria <strong>per</strong> recu<strong>per</strong>are,<br />
dalle loro diverse collocazioni, tutti i re<strong>per</strong>ti antichi di <strong>per</strong>tinenza del<br />
museo e riunirli, finalmente, in un unico istituto. Quando, nel 1811, era stato<br />
eletto segretario dell’Accademia di Belle Arti, il De Lama aveva intravisto i<br />
vantaggi che la riunione dei due istituti, l’accademia e il museo, poteva garantire<br />
alla formazione storica e artistica degli allievi e su questa linea cercò<br />
di indirizzare anche l’insegnamento dell’archeologia, confortato dall’esempio<br />
di quanti all’epoca cercavano di instradare i giovani verso questa disciplina:<br />
ho avuto il discorso del sig. Schiassi sull’utilità dell’Archeologia ecc., e trovandolo<br />
veramente erudito, favorevole ai miei progetti, e giustificante la riunione<br />
da me fatta del Museo d’Antichità all’Accademia delle Belle Arti, prima<br />
di ritornarlo al suo padrone, honne data lettura nella nostra Scuola, ed<br />
ho veduta con piacere eccitarsi negli animi degli alunni la brama di erudirsi<br />
coll’esame degli antichi monumenti, e <strong>per</strong> la prima volta ho sentito ringraziarmi<br />
<strong>per</strong> quella riunione, che prima si faceva loro credere di niuna utilità139 glia» del monetiere parmense, così come quelle auree di Perseo e di Rodi lo erano di quello<br />
fiorentino (vedi Riccomini 2003, p. 95, nota 25).<br />
137 «Con i risparmi poi fatti durante i miei viaggi in Italia e nella Germania potei ornare il<br />
Museo di tre nuovi stipi grandiosi contenenti 15.000 medaglie» ricordava infatti il De Lama<br />
nel 1807: nell’Inventario dei Mobili esistenti nel Museo d’Antichità di Parma, redatto il 6<br />
marzo del 1803, risultano già ultimati i tre nuovi stipi <strong>per</strong> medaglie, commissionati dal De<br />
Lama a Giovan Francesco Drugman, celebre falegname di corte, autore, in parte, degli scaffali<br />
<strong>della</strong> Galleria grande <strong>della</strong> Biblioteca Palatina (De Lama ms. 29, pp. 19-21 e p. 156; i pagamenti<br />
degli stipi sono registrati in Atti e conti). Vedi anche Marini Calvani 1984, pp. 486-<br />
87 e Eadem 1992, p. 76.<br />
138 Atti e conti, 6 aprile 1800 e De Lama ms. 29, p. 20.<br />
139 De Lama ms. 20, lettera all’Angelelli del 20 febbraio 1816.
scriverà nel 1816 all’amico Angelelli, che quanto lui apprezzava l’impegno<br />
didattico di Filippo Schiassi, figura eminente dell’archeologia bolognese di<br />
inizio secolo. Ma con il riassetto dell’accademia, tornata indipendente dopo<br />
la Restaurazione e con un nuovo direttore ostile al De Lama, il marchese<br />
Paolucci di Calboli, si riaccese il problema delle competenze sugli oggetti di<br />
antichità, in gran parte veleiati, ancora depositati nei locali dell’istituto. Un<br />
decreto emanato nel 1801 da Ferdinando di Borbone aveva assegnato al<br />
Museo di Antichità «tutti li capi d’antichità estratti dagli scavi di Velleja, e<br />
che esistono nella R. Biblioteca e nella R. Accademia», ma l’improvvisa<br />
morte del duca e i difficili anni <strong>della</strong> dominazione francese lasciarono in<br />
gran parte disatteso tale provvedimento.<br />
Con l’assegnazione al museo dei nuovi locali <strong>della</strong> Pilotta era rinata nel<br />
direttore la s<strong>per</strong>anza di riuscire a completare le raccolte veleiati e riunire così,<br />
in un unico contesto espositivo, statue, marmi, bronzi, pitture, mosaici,<br />
vetri, ceramiche e altri oggetti dell’instrumentum recu<strong>per</strong>ati negli anni dagli<br />
scavi veleiati e che solo nel loro insieme potevano fornire ai visitatori e agli<br />
studiosi gli strumenti necessari <strong>per</strong> la ricostruzione delle vicende storiche,<br />
giuridiche, artistiche, economiche dell’antica città e del suo territorio. Non<br />
era estraneo a questo progetto il ricordo del Museo Ercolanese, destinato ad<br />
ospitare ogni genere di antichità proveniente dai cantieri vesuviani, e forse<br />
anche l’esempio del più recente Museo di Gabii, allestito nel Casino dell’Orologio<br />
di Villa Borghese a Roma, esclusivamente <strong>per</strong> accogliere le statue<br />
del ciclo im<strong>per</strong>iale e gli altri marmi scavati a partire dal 1791 nell’antica città<br />
laziale, un’impresa museale di cui certo il De Lama avrà avuto notizia da un<br />
antico compagno di passeggiate romane, lo scultore Luigi Acquisti, coinvolto<br />
nel restauro di almeno una delle statue gabine 140 .<br />
Ma <strong>per</strong> il suo museo il De Lama immaginava qualcosa di ancora più innovativo<br />
(oltre che di sicuro effetto sul visitatore): si era infatti accorto che<br />
la pianta di una delle sale concesse all’istituto ricordava moltissimo, con lievi<br />
modifiche, quella <strong>della</strong> basilica di <strong>Veleia</strong> e così gli nacque l’idea di ricomporre<br />
in museo il contesto archeologico del più significativo edificio veleiate,<br />
con le due tavole legislative, scavate entrambe nell’area <strong>della</strong> basilica, e le<br />
140 Le sculture del Museo Gabino vennero pubblicate <strong>per</strong> primo da Ennio Quirino Visconti<br />
nel 1797 (E.Q. Visconti, Monumenti Gabini nella Villa Pinciana, Roma 1797); i progetti<br />
di allestimento del museo, che alla fine del Settecento videro impegnati gli architetti<br />
Antonio e Mario Asprucci e, forse, il giovane Giuseppe Valadier, sono stati indagati in A.<br />
Campitelli, Il Museo di Gabii a Villa Borghese, «Ricerche di Storia dell’arte», 66, 1998, pp.<br />
37-48 e Eadem (a cura di), Villa Borghese. I principi, le arti, la città dal Settecento all’Ottocento,<br />
cat. mostra (Roma dic. 2003-mar. 2004), Milano 2003, pp. 121-55. Sul restauro eseguito<br />
dall’Acquisti <strong>per</strong> un marmo del Museo di Gabii, vedi Riccomini 2004.<br />
149
150<br />
dodici statue marmoree, disposte nella stessa posizione in cui furono<br />
trovate 141 . Un progetto, questo, che incontrò il favore del principe di Metternich,<br />
in visita al museo nel settembre del 1817, tanto che il De Lama confidò<br />
nel suo aiuto <strong>per</strong> recu<strong>per</strong>are «quanto di vellejate pretende usurpare<br />
l’Accademia» e rendere così il museo «degno del plauso universale» 142 .<br />
La riunione di tutti i re<strong>per</strong>ti veleiati nelle sale del Museo di Antichità imponeva<br />
una diversa considerazione del re<strong>per</strong>to archeologico e andava a<br />
scardinare la prassi ormai in uso dalla metà del Settecento, e rigorosamente<br />
seguita a Parma, di ridistribuire i re<strong>per</strong>ti antichi, anche quelli provenienti da<br />
un medesimo contesto, tra i gabinetti di antichità, le accademie d’arte o le<br />
biblioteche, a seconda delle finalità attribuite ai diversi oggetti. Le statue<br />
marmoree di <strong>Veleia</strong> e i frammenti architettonici meglio conservati furono<br />
infatti destinati, fin dal loro rinvenimento, alle sale dell’accademia, dove servivano<br />
da modello <strong>per</strong> gli studi dall’antico dei giovani allievi. Ancora nel<br />
1816, quando il De Lama ottenne il <strong>per</strong>messo di trasportare a Parma «i<br />
marmi, i bronzi, le figuline» registrati nei giornali di scavi e ancora depositati<br />
a <strong>Veleia</strong>, il ministro Magawly gli impose di consegnare all’accademia tutti<br />
quei monumenti «che possano servire di modelli preziosi all’architetto ed<br />
all’ornatista» 143 e l’anno seguente il Paolucci di Calboli scrisse una petizione<br />
«contro chi tenta di rapire le statue di Velleia», una sfida lanciata contro il<br />
De Lama, colpevole, a suo vedere, di voler sottrarre all’accademia «il mezzo,<br />
l’esemplare stesso <strong>della</strong> scultura», senza curarsi dell’esempio delle altre<br />
città, come Roma, Napoli, Firenze, Milano o Vienna, dove agli antiquari era<br />
attribuito il compito di raccogliere «tutto ciò che spetta al medagliere, agli<br />
idoli, alle armi, agli ornamenti, al domestico mobiliare», mentre «quanto appartiene<br />
a statue ed ornamenti architettonici» restava di <strong>per</strong>tinenza delle accademie<br />
di belle arti 144 . Di tutt’altro parere era, naturalmente, l’archeologo<br />
parmigiano, sensibile al rapido mutare dei tempi e convinto che «in tutti i<br />
paesi colti (e Parma è certamente tale)» i monumenti antichi si incominciassero<br />
ormai a esporre nei musei di antichità, «loro vera sede»; deciso a com-<br />
141 De Lama ms. 29, p. 160 e De Lama 1824a, p. 124: <strong>per</strong> ottenere una pianta realmente<br />
somigliante, nelle proporzioni, a quella <strong>della</strong> basilica, il De Lama pensava di fare abbattere<br />
un muro divisorio. La sala in questione corrisponde alla n. III <strong>della</strong> pianta del museo edita<br />
dal De Lama nella sua Guida del Forestiere (De Lama 1824a).<br />
142 De Lama ms. 29, p. 125.<br />
143 De Lama ms. 29, pp. 111-12; la richiesta del De Lama di far giungere a Parma i re<strong>per</strong>ti<br />
ancora conservati a <strong>Veleia</strong> è registrata in ASP, Ministero dei Ducati, I divisione, 1816. Amministrazione<br />
Pubblica, 14-19, b. 4 (lettera del De Lama del 25 luglio 1816).<br />
144 Vedi Musiari 1986, p. 171.
Parma, Archivio del Museo Archeologico Nazionale, ms. 82. P. De Lama, pianta del nuovo Museo di Antichità<br />
di Parma, 1821.<br />
151
152<br />
pletare il contesto monumentale <strong>della</strong> basilica, e forte dell’es<strong>per</strong>ienza artistica<br />
fattasi negli anni di direzione dell’accademia, il De Lama cercò <strong>per</strong>sino di<br />
contestare l’utilità, <strong>per</strong> l’accademia, delle statue e degli altri pezzi architettonici,<br />
dimostrandone l’inadeguatezza come modelli <strong>per</strong> le riproduzioni grafiche<br />
(«non possono disegnarsi bene se non cavati in gesso, <strong>per</strong>ché essendo<br />
allora di una tinta eguale producono fedelmente l’effetto delle ombre, e così<br />
servono di modello a giovani disegnatori») 145 : alla fine qualche piccola concessione<br />
fu fatta, se è vero che nel 1819 l’Antolini vide quattro delle statue<br />
virili sullo scalone di accesso al museo, ma le statue da sempre più ammirate<br />
rimasero, <strong>per</strong> decreto sovrano, nelle sale dell’accademia e solo dopo l’Unità<br />
d’Italia potranno finalmente raggiungere gli altri re<strong>per</strong>ti veleiati nel Museo<br />
di Antichità 146 .<br />
Con la sola eccezione <strong>della</strong> sala riproducente la basilica, l’allestimento<br />
previsto dal De Lama <strong>per</strong> il nuovo museo non presentava novità di rilievo,<br />
con gli oggetti divisi <strong>per</strong> classi tipologiche e talvolta addirittura mescolati<br />
<strong>per</strong> provenienza (al materiale veleiate si affiancò il risultato degli scavi condotti<br />
a Tannetum e a Luceria); nell’arredo dei locali, pur di riuscire ad evocare<br />
il fascino degli ambienti antichi, il direttore finì addirittura <strong>per</strong> incoraggiare<br />
o<strong>per</strong>azioni ben poco rispettose dei ruderi veleiati: quando si trattò si<br />
costruire una stufa <strong>per</strong> il museo, ideata «sul gusto di un sepolcro antico eseguito<br />
con materiali antichi», non ebbe esitazioni a servirsi dei campioni di<br />
materiale recu<strong>per</strong>ati dal tepidario sco<strong>per</strong>to a est del foro e <strong>per</strong> ottenere un<br />
sostegno adeguato alla macina in pietra lavica, giunta a Parma da <strong>Veleia</strong> nel<br />
1816, non si oppose alla distruzione di un intero pezzo di colonna in cotto,<br />
una scelta che suscitò qualche <strong>per</strong>plessità <strong>per</strong>sino nel Casapini («ho dovuto<br />
scomporre un resto di colonnetta là nel Calcidico, ma trattandosi di farne<br />
un monumento nel Museo, era dovere di farlo») 147 .<br />
È d’altra parte vero che nel nuovo allestimento trovarono finalmente posto<br />
i tanti frammenti di vetro e di ceramica recu<strong>per</strong>ati da decenni negli scavi<br />
veleiati, nascosti fino a quel momento al comune visitatore e noti solo a pochi<br />
studiosi; le es<strong>per</strong>ienze vesuviane e gli insegnamenti del Caylus avevano<br />
145 De Lama ms. 29, pp. 161 e 165.<br />
146 Vedi Antolini <strong>Veleia</strong>, I, p. 17, citato in Saletti 1968, p. 19, nota 13; sul trasferimento<br />
delle statue al museo, vedi Monaco 1940, p. 3 e Saletti 1968, p. 20.<br />
147 Sulla costruzione <strong>della</strong> stufa, vedi De Lama ms. 29, p. 116 e De Lama ms. 20, lettera a<br />
Luigi Voghera del 18 aprile 1819: «gli avanzi del Tepidario furono trovati fra Mezzodì e Levante<br />
nello spazio che divide l’Anfiteatro dal Foro: e di que’ materiali ritenendo i campioni<br />
in Museo mi sono io valso <strong>per</strong> costruire la Stuffa». La costruzione del supporto <strong>per</strong> la macina<br />
in pietra lavica è documentata in AMANP, <strong>Scavi</strong> di Velleia, 3, lettera del Casapini al De<br />
Lama del 20 novembre 1816.
di certo guidato il De Lama in questa scelta, ma più forte ancora deve essere<br />
stata la consapevolezza di disporre di una delle poche (ma ricche) raccolte<br />
di questo tipo, ancora rare a vedersi nei musei di antichità.<br />
Nelle Notizie preliminari su <strong>Veleia</strong>, edite nel 1818, il De Lama aveva dato<br />
forte risalto alla cospicua selezione di vetri romani trovati, purtroppo, tutti<br />
in frammenti, ma talmente variati nelle forme, nei colori, nelle tecniche decorative<br />
da aprire nuovi orizzonti di ricerca sulle antiche tecniche di fabbricazione<br />
e «dissipare i dubbi intorno al sa<strong>per</strong>e chimico degli Antichi» 148 :<br />
resti di vasi unicolori in porporino, in verde, in giallo, e in turchino; variopinti<br />
in fusione a mille fiori di verde, giallo, e rosso, a porfido di verde e giallo,<br />
altri a strati a guisa di fettuccie, altri a strati su<strong>per</strong>ficiali, altri a macchie; e<br />
questi vasi, molti de’ quali avevano la figura delle nostre tazze da brodo, erano<br />
lavorati a costoloni concentrici in basso rilievo, e smerigliati tutti esternamente<br />
sull’orlo, forse <strong>per</strong>ché i co<strong>per</strong>chi chiudessero meglio. Alcuni imitano<br />
la porcellana bianca, grigia, verde, turchina, e altri neri il vetro obsidiano, o<br />
vulcanico. Altri ancora ve ne sono di vetro quasi cristallino, fra’ quali alcuni<br />
alcuni bicchieri arrotati a faccette, e altri graffiti.<br />
Incastrati in tavolette «<strong>per</strong> facilitarne l’osservazione e <strong>per</strong> riconoscerne la<br />
diafanità», i vetri veleiati divennero una delle principali curiosità del museo,<br />
dato che oggi può forse stupire, dal momento che quasi nessuno di questi<br />
frammenti è attualmente esposto nell’Antiquarium di <strong>Veleia</strong> o nel Museo<br />
Archeologico di Parma, ma non si deve dimenticare che al principio dell’Ottocento,<br />
in mancanza delle ben più ricche raccolte aquileiesi, ancora<br />
lontane dal nascere, quella di Parma rappresentava il principale punto di riferimento<br />
<strong>per</strong> lo studio di questa classe di materiali <strong>per</strong> tutto il nord Italia.<br />
Non vi è museo d’antichità che io non abbia frugato; quello di Parma presenta<br />
oltre l’immensa tavola traiana, molti belli avanzi <strong>della</strong> sepolta Velleja,<br />
che invano si cercherebbero simili altrove, principalmente in ogni maniera di<br />
vetri colorati antichi<br />
scriveva nel 1819 l’archeologo piemontese Giulio Cordero di Sanquintino 149<br />
e pochi anni più tardi sarà la volta del <strong>per</strong>ugino Giovan Battista Vermiglioli<br />
148 De Lama 1818, pp. 28-29. Per la descrizione dei vetri del museo, vedi anche De Lama<br />
1824a, pp. 153-54, in cui l’archeologo rimanda alla lettura delle osservazioni del Caylus (Recueil,<br />
I, p. 295) sulla maniera usata dagli Antichi <strong>per</strong> colorare il vetro. Fin da 1807 i diversi<br />
frammenti erano stati schedati dal De Lama nell’Inventario generale del museo (De Lama<br />
ms. 30, pp. 113-14). Uno studio preliminare sui vetri del Museo Archeologico di Parma, ancora<br />
sostanzialmente inediti, si trova in Ceselin 1992-1993.<br />
149 Giorgi 1982, p. 65, lettera al Marchese Mazzarosa del 26 giugno 1819. Giulio Cordero<br />
dei conti di Sanquintino, studioso di storia, archeologia e numismatica, era nato a Mondovì<br />
nel 1778, ma visse gran parte <strong>della</strong> sua vita a Lucca.<br />
153
154<br />
a rimanere affascinato dalla serie di vetri colorati del museo parmense, tanto<br />
che il De Lama, in ringraziamento <strong>per</strong> i suoi elogi, gli inviò in anteprima la<br />
documentazione degli importanti ritrovamenti fatti nell’area del monastero<br />
di S. Alessandro, nello scavare le fondazioni <strong>per</strong> il Teatro Regio, ma colse<br />
anche l’occasione <strong>per</strong> ricordare al collega <strong>per</strong>ugino le altre rarità del suo<br />
museo, ed in particolare un disco in avorio con figura bacchica, oggi scomparso,<br />
e i numerosi frammenti di ceramica in vernice nera o sigillata, che<br />
tanto avevano incuriosito il Caylus e che il De Lama aveva <strong>per</strong> primo schedato<br />
(anche se un po’ sommariamente) e disposto in ordine tipologico:<br />
Ella ha ricordato i vetri vellejati. Se quando onorò di sua visita il nostro Museo<br />
avessi io potuto servirla non avrei trascurato di farle osservare i molti<br />
frammenti di vasi cretacei sculti a bassorilievo con molta maestria, ed infinita<br />
varietà di figure, e di rappresentazioni, come pure un bassorilievo rappresentante<br />
in un gran disco il busto di Bacco di prospetto, di buona maniera in<br />
avorio; che tutti sono vellejati e che dopo la lettura <strong>della</strong> sua dottrina mi<br />
sembrano infinitamente più pregevoli150 .<br />
Bisognerà attendere ancora molti anni prima che in Italia si giunga ad attribuire<br />
al “coccio” il valore di fossile-guida dello scavo archeologico e a costruire<br />
delle griglie cronologiche entro cui classificare i diversi frammenti<br />
ceramici: nulla di tutto questo è presente, neppure in forma embrionale,<br />
nell’iniziativa del De Lama, <strong>per</strong> il quale i tanti frammenti recu<strong>per</strong>ati negli<br />
scavi veleiati potevano, al massimo, fornire informazioni sulle antiche tecniche<br />
di mo<strong>della</strong>zione, di cottura, di decorazione, sull’organizzazione delle officine,<br />
sull’onomastica ricostruibile in base ai bolli laterizi e ceramici, ma<br />
quasi del tutto assente era la <strong>per</strong>cezione di una precisa linea evolutiva e, con<br />
150 Cento lettere inedite, p. 101, lettera del Vermiglioli al De Lama del 4 giugno 1822. Il<br />
disco in avorio con busto di Bacco è registrato anche nell’inventario del museo redatto dal<br />
De Lama nel 1807 come «baccante in basso rilievo a mezzo busto col tirso: buon lavoro in<br />
avorio ora fossile» (De Lama ms. 30, p. 114, n. 2) e ricordato (questa volta come Bacco giovane)<br />
anche nella Guida del Forestiere (De Lama 1824a, p. 165). Nello stesso inventario sono<br />
registrati, oltre a tre frammenti di vasi “osci” a figure rosse e ad una tazza invetriata di colore<br />
verde (di certo una di quelle che avevano incuriosito il Caylus, «<strong>per</strong> la vernice vitrea che credevasi<br />
ignota agli Antichi»), almeno «sette frammenti di vasi di terra nera fina lavorata a basso<br />
rilievo» e «undici frammenti di vasi diversi verniciati di rosso con bassi rilievi figurati graziosissimamente»<br />
(De Lama ms. 30, pp. 111-12): si tratta dei vasi «di finissima creta rossa<br />
suggellati nel fondo interno con vari nomi, e sculti a basso rilievo con rappresentazioni di sacrifici,<br />
di baccanali, di fiere, di piante e di ornati graziosissimi, e tinti di un lucentissimo color<br />
rosso» e dei frammenti di coppe «di finitissima creta nera più leggieri e sottili de’ primi, e<br />
sculti a varie scanalature e fogliami» (editi questi ultimi nel VI volume del Recueil del Caylus,<br />
alla tav. CII), ricordati dal De Lama nella sua Guida del Forestiere (De Lama 1824a, p.<br />
152) e ancora oggi sostanzialmente inediti.
l’eccezione di pochi esemplari (come i frammenti di ceramica invetriata di<br />
colore verde, giustamente <strong>per</strong>cepiti come «meno vetusti» di quelli a vernice<br />
nera o di sigillata), tutti i cocci del museo di Parma continuarono ad essere<br />
classificati genericamente come antichi e ad essere analizzati <strong>per</strong> le loro diverse<br />
tipologie. Se nel conservare i campioni dei tipi ceramici scavati a <strong>Veleia</strong>,<br />
in un’epoca in cui i cocci venivano di solito gettati via, si era dato prova<br />
di una nuova sensibilità verso l’oggetto archeologico, la scelta di catalogare<br />
ed esporre al pubblico ogni singolo pezzo segnava almeno un passo avanti<br />
verso la rivalutazione del frammento ceramico e forse più di ogni altra cosa<br />
serviva a stimolare la ricerca scientifica su questa classe di materiali. Ancora<br />
alla metà del secolo le inconsuete raccolte del museo parmense riuscivano a<br />
stupire i viaggiatori più competenti, come il letterato francese Jean-Claude<br />
Fulchiron, che così annotò nel suo diario:<br />
la collection la plus curieuse de ce cabinet, sous le rapport de l’art et sous celui<br />
des connaissances chimiques, est celle des vases en verre et en terre cuite.<br />
En admirant leurs formes élégantes, on voit aussi que les anciens connaissaient<br />
la plupart des oxides métalliques dont nous nous servons encore pour<br />
colorer les pâtes vitreuses. Quant à la matière et aux couleurs, ces vases ressemblent<br />
aux produits des verreries vénitiennes qui, de tout temps, en exportèrent<br />
une grande quantité et avaient probablement hérité des secrets de<br />
cette fabrication151 .<br />
Provvedere ad un adeguato spazio espositivo era anche il modo migliore<br />
<strong>per</strong> garantire la tutela di ogni singolo re<strong>per</strong>to veleiate e scongiurare il <strong>per</strong>icolo<br />
di furti o distruzioni, che negli anni avevano decimato l’intero patrimonio<br />
archeologico, tanto che nel 1801 il De Lama si era trovato costretto a<br />
denunciare la precaria sistemazione dei bronzetti di <strong>Veleia</strong>, in deposito presso<br />
l’accademia, dove «andavano scemando a vista» 152 . Per ovviare a questo<br />
imbarazzante problema l’archeologo promosse una campagna di catalogazione<br />
di tutto il materiale archeologico conservato nel museo, un’o<strong>per</strong>azione<br />
che andava a completare l’o<strong>per</strong>a di schedatura delle monete antiche terminata<br />
nel 1789 e interamente rivista, con le aggiunte più recenti, nel 1807 153 .<br />
Risale infatti a questa data la redazione dell’Inventario generale, comprendente<br />
sei sezioni dedicate alle monete e ai piombi antichi, compilate in<br />
151 Fulchiron 1847, p. 445.<br />
152 De Lama ms. 29, p. 10.<br />
153 Nel 1785-1789 il De Lama aveva compilato i tre volumi del Catalogus Musei Parmensis<br />
Nummorum, preceduti dai cataloghi Im<strong>per</strong>atorum romanorum et Augustarum numismata<br />
(1782), Familiarum romanarum numismata (1783), Regum numismata (1783), conservati ancora<br />
manoscritti nell’archivio del Museo Archeologico di Parma (AMANP, mss. 2, 3, 4, 5).<br />
155
156<br />
latino, oltre al catalogo in italiano dei marmi e dei bronzi figurati e iscritti,<br />
delle figuline, dei vetri, degli avori; di ciascun pezzo, oltre ad una descrizione<br />
piuttosto dettagliata, venivano fornite le misure e, più raramente, osservazioni<br />
sullo stato di conservazione. Temendo una chiusura definitiva del<br />
museo, ora che i pezzi più famosi avevano raggiunto la Francia, il prefetto si<br />
era affrettato a lasciare traccia <strong>della</strong> consistenza effettiva delle raccolte, forse<br />
pensando di potersene un giorno servire <strong>per</strong> recu<strong>per</strong>are gli oggetti trafugati,<br />
ma in questo improvviso scrupolo classificatorio non era probabilmente<br />
estraneo l’esempio di quanto stava accadendo a Parigi, dove una colossale<br />
impresa di classificazione, schedatura e selezione delle testimonianze più significative<br />
dell’arte occidentale antica e moderna stava dando vita, sotto le<br />
direttive di Dominique Vivant Denon, al nuovo Museo del Louvre. Fu proprio<br />
all’«antico suo amico» Denon che il De Lama volle sottoporre i cataloghi<br />
del suo museo, <strong>per</strong>ché lo aiutasse a pubblicarli sotto gli auspici di Napoleone:<br />
«les catalogues sont faits avec les illustrations nécéssaires. Dans cet<br />
ouvrage j’ai tachè de combiner l’erudition à la sobriété, et d’éviter les repetitions»<br />
gli scrisse nel gennaio del 1807, presentandogli un progetto di catalogazione<br />
delle monete assai più articolato e completo di quello effettivamente<br />
realizzato (vi figuravano anche le medaglie moderne di uomini illustri e<br />
quelle ecclesiastiche, oltre ad una storia delle zecche d’Italia), ma ancora<br />
mancante degli oggetti meno “nobili”, come le figuline, i frammenti di vetri<br />
ed altre antichità minori 154 . La stampa in francese dell’inventario delle antichità<br />
parmensi avrebbe diffuso in tutta Europa il prestigio del suo museo e<br />
fatto <strong>della</strong> piccola istituzione un esempio di efficienza, al passo dei tempi,<br />
mentre il nome di Napoleone avrebbe suggestivamente evocato nel lettore,<br />
e poi nel visitatore, il modello del grande museo parigino.<br />
L’impresa editoriale non andò in porto, ma la compilazione del catalogo<br />
generale, conservato ancora manoscritto nell’archivio del museo 155 , fornì un<br />
valido contributo alla tutela del patrimonio archeologico, presto coadiuvato<br />
dalla raccolta di tutte le antichità veleiati e non, o<strong>per</strong>a avviata nei primissimi<br />
anni dell’Ottocento con il trasporto delle «anticaglie» e delle iscrizioni marmoree<br />
conservate nella Biblioteca Palatina, tenacemente trattenute in accademia<br />
o ammassate in un «magazzino statuario» sotto le gradinate del Teatro<br />
Farnese e che impegnerà il De Lama ancora <strong>per</strong> molti anni. Destinata<br />
inizialmente a colmare i vuoti lasciati dalle requisizioni francesi, questa iniziativa<br />
si estese, come abbiamo visto, fino al recu<strong>per</strong>o dei tanti frammenti<br />
154 De Lama ms. 29, pp. 41-43 e p. 59.<br />
155 Si tratta dell’Inventario generale di tutto ciò che conservasi nell’Im<strong>per</strong>iale Museo d’Antichità<br />
Parmense, redatto dal De Lama nel 1807 (AMANP, ms. 30).
(soprattutto architettonici) rimasti a <strong>Veleia</strong>, più di tutti esposti ai rischi di<br />
furti o distruzioni, e inoltre <strong>per</strong>mise di arricchire il nascente museo di pregevoli<br />
esemplari di scultura antica, tra cui i marmi <strong>della</strong> collezione Gonzaga<br />
di Guastalla, trasferiti dopo l’annessione del piccolo ducato a quello di Parma<br />
e recu<strong>per</strong>ati da un arsenale di palazzo 156 .<br />
Rientrato in possesso di buona parte dei frammenti epigrafici ancora abbandonati<br />
a <strong>Veleia</strong>, l’archeologo si mise ben presto ad allestire sullo scalone<br />
e nel pianerottolo di accesso al museo un vero e proprio lapidario, pensato<br />
<strong>per</strong> accogliere tutte le iscrizioni lapidee, parmensi o veleiati, dell’intero territoro<br />
del ducato: si realizzava così un progetto che il De Lama aveva accarezzato<br />
fin dai tempi del viaggio in Italia, quando si era sco<strong>per</strong>to ad invidiare<br />
il nuovo lapidario <strong>della</strong> Galleria degli Uffizi, e insieme si esaudiva un desiderio<br />
espresso tanti anni prima dal ministro Du Tillot, che <strong>per</strong> primo aveva<br />
auspicato la formazione di un lapidario parmense 157 . Ora che si era trovato<br />
lo spazio, il De Lama doveva solo dare prova di tutte le sue doti diplomatiche<br />
<strong>per</strong> incrementare la collezione. Suo obiettivo erano, naturalmente, le<br />
tante epigrafi romane ancora disseminate nel territorio del ducato, prime fra<br />
tutte le trentotto iscrizioni (in parte veleiati) murate nei corridoi <strong>della</strong> soppressa<br />
canonica di S. Agostino a Piacenza, un prezioso patrimonio epigrafico<br />
che nel 1821 il De Lama, dopo lunghe trattative, riuscì ad assicurare al<br />
suo museo, ma non mancarono le donazioni spontanee, come l’epigrafe funeraria<br />
di L. Sallustius Pusio, tonsor (CIL XI, 1071), regalata nel 1816 dalla<br />
signora Rammonet Provinciali o le due iscrizioni cedute al museo, subito<br />
dopo la loro sco<strong>per</strong>ta, dal parmigiano Luigi Mori e dal conte Linati 158 . Come<br />
vestibolo al Museo di Antichità, oltre che alla Biblioteca Palatina, il lapidario<br />
doveva essere <strong>per</strong> il De Lama il biglietto da visita delle attività anti-<br />
156 Vedi Atti e conti, in data 14 luglio 1801, 23 aprile 1802, 8 marzo 1804; sulle vicende<br />
collezionistiche dei marmi raccolti a Guastalla dai Gonzaga e sul loro trasferimento a Parma,<br />
vedi Marini Calvani 1995.<br />
157 Sul generale riassetto <strong>della</strong> Galleria degli Uffizi, concluso nel 1792, e che quindi il De<br />
Lama poté vedere quasi ultimato, vedi Fileti Mazza e Tomasello 2003 (a p. 83, nota 278 è ricordata<br />
la visita del De Lama).<br />
158 CIL XI, 1071, 1074 e 1089. Le vicende relative al recu<strong>per</strong>o delle trentotto iscrizioni<br />
di S. Agostino a Piacenza si ricostruiscono dal carteggio del De Lama (vedi AMANP, Carteggio<br />
De Lama, Lettere di Governo e Lettere di Privati, lettere di G. Ceriazza, di G. Ravazzoni,<br />
dello Scarampi, segretario di gabinetto di Maria Luigia e ASP, Presidenza dell’Interno,<br />
I divisione. Stato e Istruzione Pubblica, b. 203). Per le epigrafi donate al museo, vedi<br />
De Lama ms. 20, lettera a P. Rammonet Provinciali del 2 aprile 1816 e AMANP, Carteggio<br />
De Lama, Lettere di Governo, fascicolo “doni” (citate anche in Arrigoni Bertini 1986, pp.<br />
312, 319-20).<br />
157
158<br />
quarie e delle iniziative archeologiche patrocinate dal ducato, e con la sua<br />
nutrita serie di epigrafi antiche, frutto di anni di ricognizioni, recu<strong>per</strong>i e restauri,<br />
era la migliore testimonianza del glorioso passato romano degli stati<br />
parmensi: «il Museo Ducale, che amo qual figlio, contarebbe così intorno<br />
ad un centinaio d’antichi marmi scritti, che essendo quasi tutti del Paese, ne<br />
autenticarebbero l’antico lustro» 159 scriveva nel 1820, nel bel mezzo dei lavori,<br />
incoraggiato dalle parole di encomio dei «dotti» e noncurante, questa<br />
volta, delle critiche degli «intriganti sciocchi e malevoli», che lo accusavano<br />
di avere addirittura deturpato le pareti dello scalone, chiara allusione ai<br />
contrasti mai sopiti con i membri dell’accademia160 .<br />
Ad accrescere i dissapori con chi all’epoca dirigeva l’accademia era poi<br />
intervenuta la delicata e spinosissima questione del restauro delle tavole<br />
bronzee e dei marmi ancora depositati nell’istituto, compito affidato, a detta<br />
del De Lama, ad un incompetente in materia artistica, desideroso solo di<br />
«entrare nelle messe altrui»: nel 1808 il conte Luigi Scutellari aveva infatti<br />
deciso di commissionare allo scultore Giuseppe Carra i restauri delle statue<br />
im<strong>per</strong>iali, incarico di cui purtroppo si conserva ben poca documentazione,<br />
ma che sembrò incoraggiare gli interventi su altri marmi antichi, con soluzioni<br />
non sempre opportune, come nel caso del busto colossale di Giove,<br />
integrato con un naso sbagliato, che il De Lama propose subito di sostituire,<br />
partendo questa volta da un modello filologicamente <strong>per</strong>tinente, meglio ancora<br />
se da «qualche medaglione de’ Tolomei» 161 .<br />
Rientrato in possesso <strong>della</strong> quasi totalità dei re<strong>per</strong>ti veleiati, il De Lama<br />
poté avviare una propria campagna di restauro, che interessò la testa in<br />
bronzo dorato del cosiddetto Adriano e la statuetta di Vittoria trovate nel<br />
foro, molti capitelli, integrati con scagliola, la macina in pietra lavica162 , ma<br />
che deve essere in primo luogo ricordata <strong>per</strong> la riuscita ricomposizione <strong>della</strong><br />
Tavola Traiana, che a partire dal 1818 poté finalmente essere esposta ai visitatori<br />
in tutta la sua interezza:<br />
ora lavorasi in casa mia ad appianare, e fissare con viti sopra un robusto tavolato<br />
la lamina Alimentare, detta Traiana, <strong>per</strong> appenderla al muro. L’o<strong>per</strong>a<br />
è difficile <strong>per</strong>ché non si può né riscaldare la lamina <strong>per</strong> conservarle la patina,<br />
che serve di fede battesimale, né valersi del martello <strong>per</strong> non guastare lo<br />
159 ASP, Presidenza dell’Interno, I divisione. Stato e Istruzione Pubblica, b. 203, lettera<br />
del De Lama del 9 novembre 1820.<br />
160 De Lama ms. 29, p. 105.<br />
161 De Lama ms. 29, p. 72.<br />
162 Le spese <strong>per</strong> i restauri sono elencate in AMANP, Spese di manutenzione e <strong>per</strong> fare acquisti<br />
dopo che il Museo è Comunale, 1807.
scritto. Non otterrassi l’intento che a forza di pressione, ma la molta grossezza<br />
<strong>della</strong> lamina, che è fusa, ne ritarda l’effetto 163 .<br />
Le competenze necessarie <strong>per</strong> una simile impresa, le procedure e i costi<br />
di saldatura dei diversi frammenti che componevano la lamina erano state<br />
attentamente vagliate dal De Lama, che si era andato <strong>per</strong>sino a ristudiare i<br />
vecchi progetti di restauro avanzati all’epoca del Paciaudi: la scelta degli artigiani<br />
(i fratelli Amoretti) si rivelò felice e, con una spesa di gran lunga inferiore<br />
a quella preventivata dai restauratori settecenteschi, le antiche fratture<br />
e i nuovi danni causati dal trasporto a Parigi e dal successivo rientro in patria<br />
poterono alla fine essere riparati e il museo riuscì a «far mostra del più<br />
grande de’ monumenti scritti in bronzo» 164 .<br />
Quanto <strong>per</strong> la verità fossero ancora incerte e non poco discutibili, almeno<br />
ad occhi moderni, le teorie sul restauro, specie di quello dei bronzetti<br />
e di altre antichità minori, si intuisce da un curioso episodio, che ha<br />
tutto il sapore dell’entusiasmo <strong>per</strong> la ripresa di studi e di indagini archeologiche<br />
coincisa con l’arrivo a Parma di Maria Luigia d’Austria. Nel 1816,<br />
in occasione del restauro del bronzetto di Vittoria rinvenuto a <strong>Veleia</strong> nel<br />
1760 e divenuto presto uno dei pezzi più ammirati dai visitatori, nacque<br />
l’idea di trasformare la statuetta in un monumento celebrativo <strong>della</strong> nuova<br />
sovrana, quasi una immagine-simbolo <strong>della</strong> politica di rinnovamento culturale<br />
promossa dalla duchessa fin dal suo ingresso in città. Il progetto,<br />
sottoposto dal De Lama all’amico Angelelli, prevedeva di collocare tra le<br />
mani <strong>della</strong> Vittoria un clipeo bronzeo con il ritratto in cristallo di Maria<br />
Luigia 165 , ma le sacrosante <strong>per</strong>plessità dell’illustre grecista, convinto «nemico<br />
dei miscugli nelle o<strong>per</strong>e antiche», costrinsero a rimeditare sul significato<br />
da dare al monumento: «il ritratto <strong>della</strong> Sovrana in mano ad un’antica<br />
Vittoria è lo stesso che un bel fucile spagnolo in mano ad Achille» ave-<br />
163 De Lama ms. 20, lettera del De Lama all’Angelelli del 28 settembre 1817.<br />
164 Ibidem. Sui tentativi di restauro <strong>della</strong> Tavola Traiana promossi dal Paciaudi, vedi supra<br />
cap. I, p. 42. e De Lama ms. 29, p. 133; il De Lama aveva in un primo momento affidato<br />
i lavori a Giovanni Zannoni, «valente meccanico», ma l’improvvisa morte di questi, nel<br />
1817, aveva lasciato il posto all’artigiano Pietro Amoretti, coadiuvato dal fratello (AMANP,<br />
Carteggio De Lama, Lettere di Governo, fascicolo “Leggi, decreti, regolamenti”, lettera del<br />
De Lama del 17 settembre 1817 e lettere del De Lama citate in Arrigoni Bertini 1986, p.<br />
323). Sui restauri <strong>della</strong> tavola, vedi anche Criniti 1991, pp. 49-50.<br />
165 AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Governo, fascicolo “Personale”, lettera del 5<br />
settembre 1820. Per il clipeo con il ritratto <strong>della</strong> sovrana venne pagato, nel 1820, l’artigiano<br />
Giuseppe Barborini (AMANP, Spese di manutenzione e <strong>per</strong> fare acquisti dopo che il Museo è<br />
Comunale, 1807).<br />
159
35<br />
36<br />
37<br />
160<br />
va provocatoriamente affermato l’Angelelli, suggerendo di interpretare la<br />
progettata metamorfosi <strong>della</strong> Vittoria veleiate come un’immagine del Genio<br />
<strong>della</strong> sovrana e a questa simbologia cercò di adattare anche l’epigrafe<br />
celebrativa che il De Lama gli aveva commissionato e che sembrò incontrare<br />
il favore <strong>della</strong> commissione incaricata del restauro («l’epigrafe sua è<br />
piaciuta e si mette sotto la Vittoria Velejate: una Vittoria ha cangiata la<br />
sorte nostra; una Vittoria mostra l’immagine di chi ci regge») 166 . La Vittoria<br />
veleiate, così trasformata, ricomparirà di lì a qualche anno nel sigillo<br />
del Museo di Antichità, accanto ad altri monumenti simbolici delle sco<strong>per</strong>te<br />
archeologiche del ducato, come la Tavola Traiana o la testa bronzea<br />
del cd. Adriano, ma anche ad esemplari di recentissima acquisizione, come<br />
il cratere apulo a volute com<strong>per</strong>ato dal Lopez nel 1830, significativa<br />
testimonianza di una classe ceramica ben poco rappresentata nel museo<br />
del De Lama e <strong>per</strong> questo indicativa dei nuovi orientamenti collezionistici<br />
e di ricerca favoriti dal nuovo direttore dell’<strong>Istituto</strong> all’epoca dell’approvazione<br />
del sigillo 167 .<br />
7. La fortuna veleiate di un mosaico parmense<br />
Nel clima di rinnovato fervore <strong>per</strong> le indagini archeologiche di <strong>Veleia</strong>, promosso<br />
dalla nuova sovrana, capitò anche che sporadici re<strong>per</strong>ti antichi rinvenuti<br />
casualmente in altre aree del ducato, utili testimonianze <strong>della</strong> presenza<br />
romana nel territorio, finissero talvolta <strong>per</strong> essere attribuiti, nel tempo, alle<br />
antichità di origine veleiate.<br />
È questo il caso di un mosaico figurato, conservato nel medagliere del<br />
Museo Archeologico di Parma 168 e rimasto fino ad oggi quasi del tutto igno-<br />
166 De Lama ms. 20, lettera all’Angelelli del 16 gennaio 1821.<br />
167 Il cratere apulo raffigurato sul sigillo del museo, datato alla metà del IV sec. a.C., fu<br />
acquistato da Michele Lopez presso i Sanquirico, celebri antiquari attivi nei decenni centrali<br />
dell’Ottocento (Rossignani 1970, C 96, p. 3, tav. 3). Il sigillo fu approvato dal Presidente dell’Interno,<br />
Ferdinando Cornacchia, il 30 aprile 1830: vedi AMANP, Direzione Lopez, 1. In<br />
una versione precedente, non approvata, al posto del cratere apulo doveva figurare un capitello<br />
corinzio veleiate.<br />
168 Inv. 1694. Nel generale riallestimento del museo promosso negli anni immediatamente<br />
successivi alla direzione del Monaco (1933-1958) il mosaico scomparve dal <strong>per</strong>corso<br />
di visita a<strong>per</strong>to al pubblico e venne depositato nel Medagliere: ogni riferimento a questo<br />
pezzo manca infatti nel nuovo catalogo del museo redatto nel 1965 (Frova e Scarani<br />
1965).
Fig. 22 – Parma, Museo Archeologico<br />
Nazionale, Disegni<br />
e Stampe, n. 206. L. Voghera,<br />
pianta del foro di <strong>Veleia</strong>, 1822.<br />
Fig. 23 – Parma, Museo Archeologico Nazionale, Disegni e Stampe, n. 206. L. Voghera,<br />
pianta delle terme a sud-ovest del foro di <strong>Veleia</strong>, 1822.
Fig. 24 – Parma, Museo Archeologico Nazionale, Disegni e Stampe, n. 207. L. Voghera, pianta<br />
del cd. “anfiteatro” di <strong>Veleia</strong>, 1822.
Fig. 25 – G.A. Antolini, Le rovine<br />
di <strong>Veleia</strong>, I (1819), tav. III. Pianta<br />
del foro di <strong>Veleia</strong>.<br />
Fig. 26 – G.A. Antolini, Le rovine di <strong>Veleia</strong>, I (1819), tav. VI. Capitelli da <strong>Veleia</strong>.
Fig. 27 – G.A. Antolini, Le rovine<br />
di <strong>Veleia</strong>, I (1819), tav. VII. Capitelli<br />
e basi di colonne da <strong>Veleia</strong>.<br />
Fig. 28 – G.A. Antolini, Le rovine di <strong>Veleia</strong>, I (1819), tav. IX. Statue im<strong>per</strong>iali dalla<br />
basilica di <strong>Veleia</strong>.
Fig. 29 – G.A. Antolini, Le rovine di <strong>Veleia</strong>, II (1822), tav. I. Pianta ricostruttiva del<br />
foro di <strong>Veleia</strong>.
Fig. 30 – G.A. Antolini, Le rovine di <strong>Veleia</strong>, II (1822), tav. II. Prospetto ricostruttivo<br />
del cd. tempio di <strong>Veleia</strong> e dell’edificio a est del foro.<br />
Fig. 31 – G.A. Antolini, Le rovine di <strong>Veleia</strong>, II (1822), tav. III. Prospetto e spaccato ricostruttivo<br />
<strong>della</strong> basilica di <strong>Veleia</strong>.
Fig. 32 – Parma, Museo Archeologico<br />
Nazionale, Disegni<br />
e Stampe, inv. 151. Anonimo,<br />
Pianta del foro di <strong>Veleia</strong>,<br />
XIX sec.<br />
Fig. 33 – Parma, Museo Archeologico Nazionale, Disegni e Stampe, n. 154. Anonimo,<br />
pianta e prospetto ricostruttivo <strong>della</strong> basilica di <strong>Veleia</strong>, XIX sec.
Fig. 34 – Parma, Museo Archeologico Nazionale, Disegni e Stampe, n. 153. Anonimo,<br />
capitelli da <strong>Veleia</strong>, XIX sec.
Fig. 35 – Parma, Archivio del Museo Archeologico Nazionale, Direzione Lopez, 1,<br />
approvazione del sigillo del Museo (30 aprile 1830).
Fig. 36 – Parma, Museo Archeologico Nazionale, cratere apulo, metà del IV sec. a.C.
Fig. 37 – Parma, Museo Archeologico Nazionale,<br />
emblema musivo di supposto argomento sofocleo.<br />
Insieme e particolare.
Fig. 38 – Riproduzione del «mosaico sofocleo», da un disegno di A. Isac, a illustrazione dell’o<strong>per</strong>a<br />
di M. Angelelli, Elettra. Tragedia di Sofocle recata in versi toscani, Bologna 1816.
Fig. 39 – P. De Lama, Memoria intorno<br />
ad alcuni preziosi ornamenti antichi ...,<br />
disegni dei mosaici pavimentali sco<strong>per</strong>ti<br />
a Parma nel 1821 durante la costruzione<br />
del Teatro Regio.<br />
Fig. 40 – Parma, Area del Teatro Regio e adiacenze. Ubicazione dei rinvenimenti effettuati<br />
durante gli scavi del 1766-1768 (H: emblema di soggetto “sofocleo”), 1821<br />
(A-G), 1941 (a) e 1977 (all’interno del golfo mistico del Teatro: b).
Fig. 41 – Statua femminile panneggiata dalla basilica di <strong>Veleia</strong> (cd. “Agrippina”).
Fig. 42 – Pianta del Foro di <strong>Veleia</strong> (da M. Marini Calvani, Lugagnano Val d’Arda. <strong>Veleia</strong>,<br />
Parma 1988 2 ).
Fig. 43 – Veduta aerea di <strong>Veleia</strong>.
Parma, Archivio del Museo Archeologico Nazionale, Direzione Lopez, 1, disegno<br />
del sigillo del Museo (30 aprile 1830).<br />
161
162<br />
rato dalla letteratura archeologica169 . Si tratta di un emblema di cm 39,5 x 40,<br />
compresa la cornice, raffigurante, al centro, una figura femminile inginocchiata<br />
che cinge con entrambe le braccia un grosso contenitore a forma a<strong>per</strong>ta,<br />
mentre sulla destra si riconosce una figura virile in nudità eroica che regge<br />
una lancia; l’intero settore sinistro presenta un’ampia lacuna, integrata forse<br />
già nel Settecento con stucco inciso e dipinto a imitazione delle tessere musive<br />
(il colore è quasi del tutto scomparso): doveva quasi certamente ospitare<br />
una terza figura che, sulla base degli scarsissimi lacerti antichi ancora conservati,<br />
possiamo supporre fosse un secondo <strong>per</strong>sonaggio in nudità eroica, e come<br />
tale fu infatti integrato nel restauro. Il mosaico è realizzato con microtessere170<br />
lapidee di vari colori (diverse tonalità di marrone, ocra, beige, rosa<br />
chiaro, verde chiaro, nero), ad eccezione dell’impiego del cotto <strong>per</strong> il piede<br />
sinistro <strong>della</strong> figura inginocchiata; attualmente è montato su un supporto di<br />
cemento e non è dunque possibile risalire al supporto originario.<br />
Entrato a far parte delle raccolte del museo fin dal 1768, il pezzo si trovò<br />
quasi subito al centro di un interessante dibattito scientifico che vide coinvolti<br />
alcuni dei principali esponenti dell’antiquaria italiana dell’epoca, incuriositi<br />
soprattutto dal soggetto raffigurato. Così scriveva nel dicembre del<br />
1768 l’antiquario Giovambattista Passeri al padre Paciaudi:<br />
Bellissimo è il Musaico, del quale vi rimando il disegno; ed il soggetto non<br />
mi giunge punto nuovo. In una Patera Etrusca dell’<strong>Istituto</strong> di Bologna v’è<br />
qualche cosa di coerente, o <strong>per</strong> meglio dire l’Atto secondo di questa favola.<br />
Prendete in mano l’Elettra di Sofocle e leggetene l’introduzione. Oreste e Pilade<br />
tornati in Argo travestiti, e sotto altro nome di Pellegrini Focensi con<br />
animo di ammazzare Clitemnestra Madre, coll’adultero Egisto prepararono<br />
la favola, che il povero Oreste era morto flagellato dai Carri nei Giuochi<br />
Delfici, e <strong>per</strong> conferma di questa impostura portò seco un orcio pien di ceneri<br />
[...]. Oreste da principio si presentò sconosciuto alla sorella consegnandole<br />
l’urna colle ceneri (che è ciò che si rappresenta nel disegno presente) ed<br />
169 Del mosaico non si fa menzione in diversi contributi, anche recenti, sulla produzione<br />
musiva nell’Italia Settentrionale (vedi ad esempio, A. Frova, Il mosaico e la pittura, in Arte e<br />
civiltà romana nell’Italia settentrionale dalla Repubblica alla tetrarchia, II, Bologna 1965, pp.<br />
508-15; G. L. Grassigli, Scelta e uso del mito nei mosaici <strong>della</strong> Cisalpina, in Atti del Colloquio<br />
dell’Associazione Italiana <strong>per</strong> lo Studio e la Conservazione del Mosaico (AISCOM), IV,<br />
1997, pp. 705-20 e Idem, La scena domestica e il suo immaginario. I temi figurati nei mosaici<br />
<strong>della</strong> Cisalpina, Napoli 1998; D. Scagliarini Corlàita, Edilizia privata: l’apparato decorativo, in<br />
Marini Calvani 2000, pp. 186-204. Il mosaico è invece pubblicato, come o<strong>per</strong>a anteriore al<br />
principio del II sec. d.C., in Marini Calvani 1978, p. 42, fig. 59.<br />
170 La cornice è costituita da una linea tripla di tessere nere di mm 4-4,5 ciascuna; il fondo<br />
neutro dell’emblema presenta tessere che oscillano tra i 3 e i 4 mm, mentre le figure, e in<br />
particolare i volti, sono composti di tessere che non su<strong>per</strong>ano i 3 mm.
ella con dolore grandissimo, e pianto amaro lo ricevette (v. 1130). [...] L’abito<br />
dei due protagonisti è da viandante, ma de’ tempi eroici, ne’ quali si viaggiava<br />
colla lancia; ciocché voi vedrete espresso frequentemente nelle pitture<br />
etrusche [...]. Nella Patera di Bologna mi pare che si rappresenti l’arrivo di<br />
questi Forastieri alla presenza de’ Regnanti coll’Orcio appresso 171 .<br />
Fin dal 1768 il Passeri aveva dunque identificato nel mosaico l’episodio<br />
dell’incontro tra Oreste e Pilade con una dolentissima Elettra, forte anche<br />
del confronto con uno specchio etrusco del Gabinetto di Antichità di Bologna,<br />
che nell’interpretazione di Giacomo Biancani Tazzi, proprio in quegli<br />
anni alle prese con l’edizione di un’o<strong>per</strong>a sulle “patere” etrusche (come allora<br />
si chiamano gli specchi), doveva raffigurare «Oreste già turbato pel<br />
commesso matricidio, che si presenta ad Egisto armato, e galeato, che alzandosi<br />
dal soglio se gli fa incontro, stende le mani a lui in atto di grata accoglienza<br />
e sta con volto attento ad udire la lieta novella <strong>della</strong> morte del figliastro,<br />
che viengli narrata, e confermata coll’indicargli l’urna fatale»: la scena<br />
incisa sullo specchio bolognese verrà in seguito riconosciuta dal Gerhard<br />
come il medicamento <strong>della</strong> ferita di Telefo da parte di Achille172 , ma l’interpretazione<br />
settecentesca fornì <strong>per</strong> lungo tempo un significativo riscontro all’iconografia<br />
attestata sul mosaico parmense, tanto che l’esegesi fornita dal<br />
Passeri sarà ancora riproposta nei cataloghi del Museo di Parma redatti dal<br />
Monaco173 .<br />
Una non troppo velata polemica nei confronti del metodo interpretativo<br />
adottato dal Passeri affiora, <strong>per</strong> la verità, nel carteggio tra Pietro De Lama e<br />
il celebre grecista bolognese Massimiliano Angelelli, che nel 1816, dietro invito<br />
dello stesso prefetto del Museo di Parma, scelse come frontespizio <strong>per</strong><br />
la sua traduzione dell’Elettra di Sofocle proprio una riproduzione del nostro<br />
mosaico174 :<br />
quell’asta così allacciata al braccio dei due ospiti, e che si regge in alto, senza<br />
che nessuna visibil forza la sorregga, merita che di lei si parli, non volendosi<br />
171 De Lama ms. 20, lettera al marchese Angelelli del 26 dicembre 1815 in cui è ricopiata<br />
la lettera del Passeri al Paciaudi (<strong>della</strong> lettera esite copia anche in AMANP, ms. 60, Lettere di<br />
mons. Passeri al padre Paolo Maria Paciaudi raccolte e trascritte da Pietro de Lama, 1815).<br />
172 Sassatelli 1981, p. 21, n. 2.<br />
173 Monaco 1938, p. 41 e Idem 1940, p. 10.<br />
174 M. Angelelli, Elettra. tragedia di Sofocle recata in versi toscani, Bologna 1816: l’incisione<br />
del mosaico dipende da un disegno del parmigiano Antonio Isac fornito all’Angelelli dallo<br />
stesso De Lama (De Lama ms. 20, lettera all’Angelelli del 24 agosto 1816; cfr. Arrigoni<br />
Bertini 1986, p. 314, nota 38 e fig. 1, in cui riproduce l’incisione eseguita da Antonio Costa<br />
<strong>per</strong> l’edizione delle Tragedie di Sofocle edita dall’Angelelli nel 1823-1824).<br />
163<br />
38
164<br />
<strong>per</strong> certo incolpare lo scultore di questa pietra di sì goffa trascurataggine.<br />
Anche quell’urna, o canestro in cui fingonsi raccolte le ceneri di Oreste, parmi<br />
di forma singolare [...]. Dopo la lettera del Passeri sono entrato in grandissimo<br />
desiderio di vedere la patera del nostro <strong>Istituto</strong>, benché io credo che<br />
nessun lume possa ella portare entro queste tenebre<br />
scriverà l’Angelelli all’amico archeologo nel gennaio del 1816, convinto che<br />
lo specchio di Bologna, a differenza dell’emblema musivo, non illustrasse affatto<br />
un episodio dell’Orestea di Sofocle, ma dipendesse piuttosto da una<br />
versione del mito narrata da Igino 175 . Criticando, un po’ ironicamente, le incongruenze<br />
presenti nella descrizione fatta dal Passeri, l’Angelelli non fece<br />
altro che sottolineare le particolarità iconografiche di difficile comprensione<br />
(e in parte spiegabili con le ingenuità presenti nel restauro settecentesco) o<br />
che addirittura, come vedremo in seguito, sembrerebbero compromettere<br />
l’identificazione tradizionale <strong>della</strong> scena 176 .<br />
Nel 1788 Ennio Quirino Visconti aveva pubblicato una dissertazione su<br />
due emblemata musivi rinvenuti, a suo dire, tra alcuni ruderi antichi dell’agro<br />
romano e subito acquistati dall’ambasciatore spagnolo José Nicolás<br />
de Azara 177 : nell’interpretazione proposta dal Visconti entrambi i mosaici<br />
intendevano illustrare episodi tratti dall’Elettra di Sofocle, ed in particolare<br />
due momenti di divinatio del futuro e che vedono coinvolti, in un caso,<br />
Oreste e Pilade mentre traggono un auspicio favorevole nel santuario di<br />
Apollo ad Argo, e nell’altro Clitemestra e una ancella, agitate <strong>per</strong> l’infausto<br />
presagio. L’improvvisa comparsa di due mosaici di tema «sofocleo» non<br />
può non aver incuriosito gli antiquari del ducato ed è anzi assai probabile<br />
che il Visconti sia stato interpellato a proposito del mosaico conservato a<br />
175 AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, lettera di Massimiliano Angelelli del<br />
21 gennaio 1816.<br />
176 Incongruenze che già gli aveva fatto notare il De Lama nel dicembre del 1815: «Ciò<br />
che pare a me insolito si è che hanno l’asta pura allacciata al braccio, l’uno al destro e l’altro<br />
(<strong>per</strong> fare simetria nel quadro) al sinistro, e non stringendola colla mano, non so vedere <strong>per</strong>ché<br />
reggasi alzata, molto meno poi essendo legata nella parte inferiore giacché parmi che il<br />
proprio peso dovrebbe farla declinare al basso» (De Lama ms. 20).<br />
177 Osservazioni di Ennio Quirino Visconti su due musaici antichi istoriati, Parma 1788. Il<br />
Visconti curiosamente non precisa l’esatto luogo di rinvenimento dei due mosaici, sco<strong>per</strong>ti<br />
solo l’anno precedente, mentre secondo la testimonianza di Basilio Castellanos i due emblemata<br />
sarebbero stati scavati a Villa Adriana: entrambi i pezzi furono in seguito donati dall’Azara<br />
alla Principessa di Santacroce (vedi Cacciotti 1993, pp. 33-34, figg. 75-76) e in seguito<br />
dovettero passare al British Museum (alcune vecchie riproduzioni fotografiche dei mosaici<br />
si conservano nell’Archivio Fotografico dell’<strong>Istituto</strong> Archeologico Germanico di Roma,<br />
foto n. 28.4189 e 28.4190).
E.Q. Visconti, Osservazioni su due mosaici antichi istoriati, Parma 1788.<br />
165
166<br />
Parma, come sembrerebbe indicare anche l’esistenza, nell’archivio del locale<br />
Museo Archeologico, di una bozza manoscritta del saggio del Visconti:<br />
non conosciamo l’opinione in proposito del celebre antiquario, ma non è<br />
escluso che vada riferito proprio a questo consulto il giudizio di «visionario»<br />
espresso dal Visconti a proposito del Passeri178 , in riferimento forse alla<br />
sua lettura del mosaico parmense. Certo è che il De Lama sembrava convinto<br />
<strong>della</strong> somiglianza, sia tematica che stilistica, tra il nostro emblema e quelli<br />
dell’Azara, così che quando su questi ultimi cominciò a pesare il sospetto di<br />
falsità, l’archeologo parmigiano finì <strong>per</strong> sospettare anche del mosaico conservato<br />
nel suo museo:<br />
Il padre Paciaudi, a cui erano noti i talenti del Leoni e dell’Alfani nel contraffare<br />
tali monumenti, lo tenne sempre <strong>per</strong> antico e genuino. Ma l’essere<br />
affatto simile <strong>per</strong> l’arte e <strong>per</strong> le dimensioni a’ que’ due del cavalier de Azara<br />
riconosciuti <strong>per</strong> rappresentazioni di altre scene di quella medesima tragedia<br />
dal grande Visconti che li illustrò, e <strong>della</strong> cui autenticità dubitasi ora da alcuni<br />
dotti Archeologi, scema la fede che si vorrebbe prestare al giudicio di quel<br />
dotto Teatino. 179<br />
Ad alimentare i dubbi del De Lama sull’autenticità del mosaico si aggiunsero<br />
le notizie discordanti relative al luogo del suo rinvenimento.<br />
Alla fine di dicembre del 1768 il Paciaudi aveva informato il bolognese<br />
Giacomo Biancani Tazzi del recente rinvenimento del mosaico, «sco<strong>per</strong>to ...<br />
venti piedi sotterra nello scavare <strong>per</strong> le sostruzioni del nuovo Reale Palaz-<br />
178 Giudizio riportato dal De Lama in una lettera a Massimiliano Angelelli, unita alla<br />
quale l’archeologo inviava all’amico un disegno di Antonio Isac riproducente il mosaico:<br />
«Lo accompagna [il disegno] una lettera del Passeri. Del Passeri, che non già da visionario<br />
come lo dice alcuna volta il gran Visconti, ma come erudito antiquario, fu il primo a riconoscervi,<br />
con l’aiuto del veramente dotto, e sempre commendabile prof. Biancani questa scena<br />
di Sofocle (vedi De Lama ms. 20, lettera all’ Angelelli del 26 dicembre 1815).<br />
179 De Lama 1824a, pp. 122-23. Tanto il Leoni che l’Alfani erano due celebri falsari e<br />
mercanti d’arte attivi nella prima metà del XVIII secolo: scrivendo al Conte di Caylus nel<br />
settembre del 1759 il Paciaudi, a proposito di un mosaico acquistato dal cardinale Albani e<br />
che l’antiquario giudicava falso, così annotava: «au commencement de ce siècle un certain<br />
Leoni, vénitien, qui contrefasoit toutes sortes d’antiquités, même les vases étrusques, à merveille,<br />
fit aussi des ouvrages en mosaïque, qu’il vendoit comme antique» (vedi Sérieys 1802,<br />
p. 81). Della mediazione dell’Alfani, residente a Roma intorno alla metà del secolo, si serviva<br />
il conte di Caylus <strong>per</strong> i suoi acquisti di antichità: il Paciaudi, che non doveva stimare troppo<br />
la serietà e la competenza antiquaria del mercante, lo soprannominò «Polichinel» e «le comédien<br />
atellane» (Sérieys 1802, p. 22 e Nisard 1877, I, p. 12). Sulla base delle riproduzioni<br />
fotografiche conservate nell’Archivio dell’<strong>Istituto</strong> Archeologico Germanico di Roma, mi<br />
sembra di potere escludere che i mosaici editi dal Visconti siano effettivamente antichi, mentre<br />
ritengo più probabile una datazione al XVIII secolo.
zo»: la lettera del Paciaudi, da tempo dis<strong>per</strong>sa ma documentata da una successiva<br />
comunicazione dello stesso Biancani all’abate Mazza nel dicembre<br />
del 1777 180 , non lascerebbe dunque dubbi sulla provenienza parmigiana del<br />
pezzo. Nell’imminenza delle nozze tra Ferdinando di Borbone e Maria<br />
Amalia d’Asburgo l’architetto di corte Ennemonde-Alexandre Petitot venne<br />
incaricato di progettare un nuovo, grandioso, Palazzo Ducale, da affiancare<br />
all’imponente complesso <strong>della</strong> Pilotta: i lavori, avviati nel 1766, prevedevano<br />
la parziale demolizione del vecchio palazzo farnesiano e l’edificazione<br />
(mai realizzata) di un nuovo complesso più a est, esteso ben oltre l’attuale<br />
strada Garibaldi 181 . Non erano ancora maturi i tempi <strong>per</strong> l’indagine archeologica<br />
<strong>della</strong> Parma romana e la casuale sco<strong>per</strong>ta di un antico mosaico non<br />
sembrò alterare affatto i progetti e i tempi di lavoro dell’immenso cantiere:<br />
il mosaico fu presto abbandonato in un magazzino sotterraneo <strong>della</strong> Pilotta<br />
e <strong>per</strong>sino la notizia del suo rinvenimento, ben circostanziata e che concorda<br />
<strong>per</strong>fettamente con la data d’ingresso del pezzo nelle raccolte del Museo di<br />
Parma, sarà presto dimenticata. Solo il Paciaudi, in qualità di antiquario di<br />
corte, sentì l’obbligo (e probabilmente intuì l’interesse) di esaminare più nel<br />
dettaglio il mosaico e forse anche l’antico contesto di provenienza, ma anche<br />
i suoi propositi di studio saranno quasi subito abbandonati 182 .<br />
Quando, dopo alcuni decenni, si tornerà ad interessarsi del mosaico, ecco<br />
che questo sarà nel frattempo divenuto “velleiate” 183 . La provenienza da<br />
180 BPP, carteggio Mazza, cass. 137: lettera di G. Biancani Tazzi del 22 dicembre 1777.<br />
181 Sulle vicende del palazzo ducale progettato dal Petitot, vedi E. Casa, Un progetto del<br />
cavaliere architetto Ennemondo Petitot de Mont-Louis <strong>per</strong> edificare in Parma un Palazzo Ducale<br />
(1766-69), «Archivio Storico <strong>per</strong> le Province Parmensi», 3, 1894, pp. 27-36; Mambriani<br />
1996, in part. pp. 36-37; Cusatelli 1997, pp. 323-26 e Cirillo 2002, pp. 142-57.<br />
182 Di una dissertazione che il Paciaudi, già al principio del 1769, stava preparando sul<br />
mosaico parla il Biancani Tazzi che, probabilmente sollecitato da una domanda del teatino,<br />
così gli scriveva nel gennaio del 1769: «quanto ai mosaici etruschi non mi è sinora accaduto<br />
d’incontrarmi in alcuno sicuramente tale. A Lei, dottissimo Paciaudi è riserbato il campo di<br />
vindicare questo nuovo pregio alla Nazione Etrusca» (BPP, Carteggio Paciaudi, cass. 67, lettera<br />
di Giacomo Biancani Tazzi del 5 gennaio 1769; su questo progetto di studio vedi anche<br />
BPP, Carteggio Mazza, cass. 137, lettera del 22 dicembre 1777). Si direbbe che il Paciaudi<br />
non avesse ben chiaro il quadro cronologico e storico-artistico relativo al mosaico in questione,<br />
e non è forse un male che abbia desistito nei suoi progetti di pubblicazione.<br />
183 Sembra di poter riconoscere il mosaico in quello registrato, senza alcuna indicazione<br />
di provenienza, nell’Inventario delle antichità del Museo di Parma, redatto dal De Lama nel<br />
1807: «un pezzo quadrilatero con due figure in mosaico: è un po’ malconcio; piedi 1, pol. 3,<br />
lin. 6 (De Lama ms. 30, n. 53). Il mosaico diventa <strong>per</strong> la prima volta “velleiate” nelle lettere<br />
del carteggio De Lama-Angelelli (AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Privati, cart. 2 e<br />
De Lama ms. 20). L’origine veleiate del pezzo è ribadita dal De Lama nelle Notizie preliminari<br />
alle sue Iscrizioni antiche, dove l’archeologo sottolinea l’importanza <strong>della</strong> pubblicazione<br />
167
38<br />
168<br />
<strong>Veleia</strong> è più volte ribadita dal De Lama nel carteggio con l’amico Angelelli,<br />
e come re<strong>per</strong>to veleiate il mosaico fu infatti inciso nel frontespizio <strong>della</strong> traduzione<br />
dell’Elettra edita nel 1816 dal grecista bolognese. Non è forse un<br />
caso che proprio in questi anni, coincidenti con la ria<strong>per</strong>tura delle campagne<br />
veleiati, si riscopra l’interesse <strong>per</strong> questo malconcio mosaico: <strong>per</strong> la prosecuzione<br />
degli scavi era di fondamentale importanza che si riuscisse a ridestare<br />
l’interesse scientifico o almeno la curiosità che le rovine dell’antica città<br />
avevano suscitato negli anni Sessanta del Settecento negli uomini di cultura<br />
e <strong>per</strong>sino nei semplici viaggiatori; del tutto comprensibile, quindi, che<br />
si tenti ora di rivalutare un dimenticato re<strong>per</strong>to di presunta provenienza veleiate,<br />
stimolando il dibattito scientifico e incoraggiando la pubblicazione di<br />
incisioni che lo raffigurino. Difficile pensare che il De Lama abbia artatamente<br />
inventato l’origine veleiate del mosaico: è più probabile, invece, che<br />
sia stato lui stesso ingannato dalla scarsità di notizie relative a questo pezzo<br />
e quindi spinto a crederlo, come la maggioranza delle antichità presenti all’epoca<br />
a Parma, <strong>per</strong>tinente alle rovine di <strong>Veleia</strong>. D’altronde solo alcuni anni<br />
più tardi, secondo la sua stessa testimonianza, sarebbe venuto a conoscenza<br />
<strong>della</strong> lettera del Paciaudi sugli scavi <strong>per</strong> il nuovo Palazzo Ducale:<br />
Fra le carte del fu padre Abate Mazza si è trovata una lettera de’ 22 dicembre<br />
1777 del prof. Biancani. In questa citane egli una scritta dal padre Paciaudi<br />
in data dei 30 dic. 1768, cioè pochi giorni dopo che ebbe ricevuta<br />
quella del Passeri dall’E.V. pubblicata che spiega la scena rappresentata sul<br />
mosaico, che non più velejate, ma parmense dovrebbe dirsi se fosse vero ciò<br />
che scrisse il Paciaudi in quella lettera che contraddice ai registri degli scavi<br />
velejati. Ecco le parole del Biancani. Per riconoscere dunque la verità sarebbe<br />
necessario vedere la risposta del padre Mazza al prof. Biancani. Egli era<br />
diligentissimo nel ricercare le bucce al padre Paciaudi, e se su questo punto<br />
vi sarà stato argomento di dubbio, non lo avrà taciuto. I giornali degli scavi,<br />
e la tradizione dicono il musaico velejate; lo nega in quella lettera al Biancani<br />
il padre Paciaudi. A chi credere?<br />
scriverà infatti all’Angelelli nel luglio del 1820, non mascherando un pizzico<br />
di scetticismo su questa nuova prospettiva. Il preciso riferimento ai giornali<br />
di scavo sembrerebbe conferire una certa veridicità all’ipotesi <strong>della</strong> provenienza<br />
veleiate, ma una scrupolosa ricerca tra gli inventari e le relazioni del-<br />
del mosaico fatta dall’Angelelli (De Lama 1818, p. 30, nota 1). Sia l’Antolini che il Voghera<br />
avevano progettato di inserire il mosaico con l’Elettra nelle loro pubblicazioni veleiati: Il Voghera<br />
lo fece infatti disegnare dal Campana (vedi supra, p. 125 e Arrigoni Bertini 2003, p.<br />
452), mentre l’Antolini, nel suo taccuino del 1818, si era interrogato sul preciso luogo di rinvenimento,<br />
a <strong>Veleia</strong>, del mosaico (vedi supra § 4.1).
le campagne condotte fino alla prima chiusura degli scavi, nel 1765, non mi<br />
ha <strong>per</strong>messo di trovare conferma alle parole del De Lama 184 . Lo stesso prefetto,<br />
nella sua Guida del Forestiere, riferendosi alla tradizione che voleva il<br />
mosaico «uno dei primi prodotti degli scavi velejati, prima che si aprissero<br />
<strong>per</strong> ordine sovrano» 185 , finiva <strong>per</strong> contraddire le sue precedenti affermazioni,<br />
dal momento che gli scavi eseguiti a <strong>Veleia</strong> prima del 1760 vennero condotti<br />
nella più assoluta clandestinità, e di certo senza alcuno scrupolo di documentazione.<br />
Solo di recente è stato possibile venire a capo di questa intrigata questione<br />
e ricondurre, con una certa sicurezza, il nostro emblema musivo al patrimonio<br />
archeologico di Parma romana. Gli ultimi studi sull’attività parmigiana<br />
del Petitot, e in particolare sul grandioso cantiere <strong>per</strong> il nuovo Palazzo<br />
dei Borbone, hanno reso disponibile una interessante documentazione relativa<br />
proprio agli anni del rinvenimento del mosaico: un disegno ad acquatinta,<br />
oggi purtroppo dis<strong>per</strong>so ma registrato tra le raccolte grafiche <strong>della</strong> Biblioteca<br />
Palatina di Parma, doveva quasi certamente riprodurre questo mosaico,<br />
a giudicare almeno dalla didascalia che lo accompagnava («emblema<br />
o sia o<strong>per</strong>a a mosaico ritrovato nel 1768 a 17 d’agosto in un pavimento a 9<br />
bracci al di sotto del piano <strong>della</strong> città di Parma in occasione che si escavavano<br />
li fondamenti del nuovo Reg. Ducal Palazzo») 186 , e che sembrerebbe<br />
confermare in pieno le affermazioni del Paciaudi.<br />
È pur vero che dai ruderi del vecchio Palazzo Ducale, in parte demolito<br />
<strong>per</strong> far spazio a quello progettato dal Petitot, si rinvenne all’epoca almeno<br />
un altro re<strong>per</strong>to antico, che con Parma romana sembra avere ben poco a<br />
che fare: mi riferisco al recu<strong>per</strong>o <strong>della</strong> stele funeraria di Coelia Gemella, a<br />
lungo attribuita dalla tradizione antiquaria sette e ottocentesca al patrimonio<br />
epigrafico di origine parmense, ma di cui di recente è stata dimostrata<br />
l’origine patavina; sco<strong>per</strong>ta <strong>per</strong> la prima volta a Padova fin dal 1650, la stele<br />
184 Allo stesso risultato era giunta anche l’indagine di M.G. Arrigoni Bertini, che ha anche<br />
ri<strong>per</strong>corso le tappe principali <strong>della</strong> vicenda antiquaria del nostro mosaico. È possibile,<br />
come già osservava l’Arrigoni Bertini, che il De Lama avesse male interpretato i numerosi riferimenti<br />
a frammenti di mosaici, anche policromi, rinvenuti effettivamente a <strong>Veleia</strong> nei primi<br />
anni di scavo (Arrigoni Bertini 1986, pp. 313-16).<br />
185 De Lama 1824a, pp. 122-23: in quest’o<strong>per</strong>a a stampa il De Lama incomincia ormai a<br />
mettere in dubbio l’ipotesi <strong>della</strong> provenienza veleiate del mosaico, a favore di una sua origine<br />
parmense, determinando così le attribuzioni posteriori.<br />
186 Il disegno, un tempo conservato in BPP, Ms. Parm. 3715, fasc. 6, presentava infatti<br />
questa didascalia, a giudicare da quanto trascritto nell’inventario del fondo dei disegni <strong>della</strong><br />
Palatina. L’esistenza del disegno è segnalata in Cusatelli 1997, p. 325, n. 107 (con l’errata indicazione<br />
del fasc. 4, n. 11) e in Cirillo 2002, p. 152.<br />
169
39<br />
40<br />
170<br />
sarebbe infatti finita a far parte delle raccolte archeologiche dei duchi Farnese<br />
e <strong>per</strong> questo motivo trasferita nel Palazzo Farnesiano di Parma, tra le<br />
cui rovine sarebbe poi stata nuovamente “sco<strong>per</strong>ta” intorno al 1767 187 . Anche<br />
<strong>per</strong> il nostro mosaico si potrebbe, dunque, ipotizzare un’analoga vicenda<br />
collezionistica, ma il preciso riferimento, nei libri mastri dell’epoca, ad<br />
un intervento di “estrazione” del pezzo, <strong>per</strong> il quale vennero impiegati diversi<br />
o<strong>per</strong>ai 188 , farebbe piuttosto propendere <strong>per</strong> una effettiva <strong>per</strong>tinenza<br />
del mosaico alla decorazione pavimentale di un qualche ignoto edificio di<br />
Parma romana.<br />
Il settore interessato dallo scavo, del resto, corrisponde ad un’area che ha<br />
restituito nel tempo numerose testimonianze archeologiche, tra cui alcuni<br />
lacerti di pavimenti musivi: nel 1821, nello scavare le fondamenta <strong>per</strong> il<br />
nuovo teatro ducale (odierno Teatro Regio), furono infatti recu<strong>per</strong>ati, come<br />
si ricorderà, almeno sette frammenti di pavimenti musivi in tessere bianche<br />
e nere, a disegno prevalentemente geometrico o a ornati vegetali, oggi noti<br />
solo attraverso le riproduzioni grafiche fatte all’epoca dal De Lama, che <strong>per</strong><br />
primo dette notizia di questi ritrovamenti, ma che in base a confronti stilistici<br />
e di composizione sono stati datati al <strong>per</strong>iodo augusteo-giulio claudio 189 .<br />
Ulteriori scavi, condotti da M. Marini Calvani nel 1977 all’interno del golfo<br />
mistico del Teatro Regio, hanno rimesso in luce i resti di una pavimentazione<br />
musiva composta da un’ampia su<strong>per</strong>ficie bianca delimitata da una cornice<br />
a fasce di tessere bleu e soglia a ornato geometrico, databile agli inizi del<br />
II sec. d.C. e <strong>per</strong>tinente ad una fase di ristrutturazione di una domus già esistente<br />
in età augustea 190 . Mettendo insieme i dati relativi alle sco<strong>per</strong>te del<br />
1768 con quelle del 1821, il De Lama si era spinto ad ipotizzare l’esistenza<br />
1990.<br />
187 Per l’intera vicenza collezionistica e antiquaria di questa stele, vedi Arrigoni Bertini<br />
188 Vedi ASP, Computisteria borbonica, Fili correnti, b. 16a, agosto 1768 (vedi anche Cirillo<br />
2002, p. 152).<br />
189 Vedi Marini Calvani 1978, p. 42, fig. 57. Per alcuni confronti con i motivi decorativi<br />
dei mosaici trovati nel 1821, vedi Le décor géométrique de la mosaïque romaine. Ré<strong>per</strong>toire<br />
graphique et descriptif des compositions linéaires et isotropes, Paris 1985, tavv. 64, e, 107, a-c,<br />
108, 126, b, 163, c. La documentazione dello scavo condotto nel 1821 nell’area del soppresso<br />
convento di S. Alessandro, in seguito occupata dal nuovo Teatro Regio, si conserva in<br />
AMANP, Carteggio De Lama, Lettere di Governo, fascicolo “Corrispondenza Casapini del<br />
1821 relativamente agli scavi fatti nel Convento di S. Alessandro in Parma”. Il risultato di<br />
questi scavi, che <strong>per</strong>misero di recu<strong>per</strong>are anche un prezioso tesoro di monete im<strong>per</strong>iali e<br />
gioielli tardo antichi, furono pubblicati dal De Lama nel 1824 (De Lama 1824b, § 2, pp. 6-9,<br />
tav. IV). Sugli scavi condotti nel 1977 all’interno del golfo mistico del Teatro Regio, vedi Marini<br />
Calvani 1978, pp. 42-43, fig. 56, 58, 60.<br />
190 Marini Calvani 1978, pp. 42-43, fig. 56, 58, 60.
di una vasta domus privata, cui a suo avviso andavano riferiti tutti i brani<br />
musivi (compreso il nostro emblema policromo) trovati nell’area compresa<br />
tra il Teatro Regio e il piazzale a oriente del Palazzo <strong>della</strong> Pilotta (attuale<br />
piazza <strong>della</strong> Pace) 191 : non esistono, in realtà, elementi che <strong>per</strong>mettano di attribuire<br />
ad un unico contesto archeologico i ritrovamenti fatti all’interno del<br />
Teatro Regio con quelli effettuati nel 1821 o con quello, poco più a nord,<br />
del 1768, ma la sicura messa in luce di strutture residenziali di un certo prestigio<br />
può forse bastare a giustificare la presenza, in quest’area, di un emblema<br />
musivo pavimentale.<br />
Assai più problematica è invece l’interpretazione del tema raffigurato.<br />
L’esegesi proposta dagli antiquari settecenteschi, a parte alcune piccole varianti<br />
(il De Lama proporrà di riconoscere nei due <strong>per</strong>sonaggi maschili Oreste<br />
e il Pedagogo) 192 , non è mai stata messa in discussione, ed in effetti lo<br />
schema compositivo del nostro mosaico, con la figura femminile, in atteggiamento<br />
dolente, seduta o inginocchiata in mezzo a due figure maschili<br />
stanti, solitamente in nudità eroica, sembra caratterizzare la rappresentazione<br />
di questo episodio del mito, attestato in prevalenza nella produzione vascolare<br />
greca e magnogreca, anche se non mancano esempi di affreschi o rilievi<br />
funerari di età romana 193 . Solitamente, tuttavia, è presente nella scena,<br />
come elemento topografico caratterizzante dell’episodio, il segnacolo <strong>della</strong><br />
tomba di Agamennone, del tutto assente nel nostro mosaico, e inoltre mi<br />
sembra difficile riconoscere nel grosso contenitore a forma a<strong>per</strong>ta, sorretto<br />
dalla figura femminile, l’urna contenente le supposte ceneri di Oreste (già il<br />
De Lama aveva, infatti, cercato di ovviare a questa difficoltà, proponendo di<br />
riconoscere nel contenitore il «canestro che racchiude l’urna») 194 . Se poi si<br />
191 De Lama 1824b, p. 8: «La distribuzione di questi pavimenti ... annuncia esser qui stata<br />
una casa signorile, la di cui ampiezza può argomentarsi maggiore da altri pavimenti simili<br />
sco<strong>per</strong>ti in questo luogo nel 1766 allorché scavossi il terreno <strong>per</strong> i fondamenti del non innalzato<br />
Palazzo Reale».<br />
192 De Lama 1818, p. 30, nota 1.<br />
193 Per gli esemplari ceramici, vedi LIMC, III, s.v. Elektra I, in part. pp. 710-17 (voce di<br />
G. Berger-Doer); <strong>per</strong> un affresco funerario dalla necropoli di Hermoupolis Magna (Touna<br />
El-Gebel), con la scena dell’incontro tra Elettra e Oreste davanti alla tomba di Agamennone,<br />
databile al I-II sec. d.C., vedi S. Gabra e E. Drioton, Peintures à fresques et scènes peintes à<br />
Hermoupolis-Ouest (Touna El-Gebel), Caire 1954, tav. 17; l’episodio dell’incontro tra Elettra,<br />
Oreste e Pilade, secondo uno schema compositivo analogo a quello del nostro mosaico,<br />
compare anche sul fianco destro di un sarcofago romano, già nella collezione Peiresc, in cui<br />
Elettra è seduta davanti alla tomba del padre e rivolge la testa verso il <strong>per</strong>sonaggio maschile<br />
di destra (vedi H. Stern, Un sarcophage de La Gayole découvert par Peiresc, «Gallia», XV,<br />
1957, pp. 73-85).<br />
194 Vedi De Lama ms. 20, lettera all’Angelelli del 26 dicembre 1815.<br />
171
172<br />
accetta l’ipotesi che il mosaico abbia fatto parte <strong>della</strong> decorazione pavimentale<br />
di una domus privata, bisognerebbe interrogarsi sul significato da dare<br />
alla presenza, in un contesto di carattere residenziale, di un tema mitologico<br />
solitamente connesso con il mondo funerario. Ogni tentativo da me condotto<br />
di trovare una valida alternativa tematica, più consona al contesto di origine<br />
e più rispondente, in ogni singolo dettaglio iconografico, alla scena raffigurata<br />
nel mosaico, si è finora rivelato ben poco fruttuoso e ritengo che ulteriori<br />
ricerche in questa direzione siano ancora necessarie.<br />
Ciò che più interessava qui era, <strong>per</strong>ò, di ri<strong>per</strong>correre le tappe <strong>della</strong> nuova<br />
“fortuna” del preteso mosaico veleiate, un episodio che ben testimonia <strong>della</strong><br />
rinascita di interessi <strong>per</strong> le tradizionali iniziative archeologiche del ducato e<br />
che non poteva che culminare, come di frequente in piena età neoclassica,<br />
nelle sale di studio dell’accademia. Risale infatti al 1818 un progetto dell’accademia<br />
parmense <strong>per</strong> il concorso in disegno di composizione e plastica,<br />
a<strong>per</strong>tamente ispirato alla scena riprodotta nel nostro mosaico: il tema proposto<br />
<strong>per</strong> quell’anno era infatti «Oreste e Pilade che annunciano a Elettra la<br />
morte dell’amato fratello, apprestandole in testimonio di ciò una picciola<br />
urna di rame. Sia la dolorosa in atto di quella stringere, e parlarle, chiamando<br />
colui, che presente e commosso già, già non si tiene dallo scoprirsi» 195 .<br />
Vincitore del premio <strong>per</strong> il disegno di composizione fu il parmigiano Evangelista<br />
Pinelli, che riuscì a conquistare la giuria grazie allo stile nobile e «veramente<br />
greco» <strong>della</strong> figura di Elettra, e nell’elogio del suo lavoro sembra di<br />
riconoscere un altro, sincero, apprezzamento <strong>per</strong> il piccolo e malconcio mosaico<br />
“veleiate” 196 .<br />
195 Scarabelli-Zunti, Documenti <strong>per</strong> la storia <strong>della</strong> R. Accademia di Belle Arti di Parma, II<br />
(1815-1882), c. 139, AMANP, ms. 115. Vedi anche Atti dell’Accademia di Belle Arti di Parma,<br />
vol. 2 (anno 1818).<br />
196 Così è descritto il disegno del Pinelli: «compresa da acerba doglia, s’appoggia Elettra<br />
all’urna, che non creduta menzognera s’accosta al seno: nobile, e di uno stile veramente greco<br />
si è questa figura. Non regge a tanto pianto Oreste, e si rivolge ansioso a Pilade quasi<br />
chiedendo se debba o no svelarsi alla presenza del Coro che accompagna la desolata sorella.<br />
Felice è la composizione di questo disegno, che fedele al programma ci fa concepire alte s<strong>per</strong>anze<br />
sull’avanzamento nell’arte del giovane concorrente, ed onora il maestro che in questa<br />
sì bene lo dirigge. Sarebbesi <strong>per</strong>ò desiderata una maggiore degradazione di piani, e di tinte,<br />
e meno forzata la mossa <strong>della</strong> testa d’Oreste, sebbene in tal momento possa essere stata quasi<br />
violenta» (De Lama , “Voto presentato all’Accademia pel concorso dell’anno 1818”). Il<br />
vincitore del premio di plastica aveva invece scelto di raffigurare il momento immediatamente<br />
successivo del mito, quando cioè Elettra riconosce il fratello Oreste: questo premio fu vinto,<br />
con il bassorilievo Oreste nell’atto di essere riconosciuto da Elettra, ancora oggi conservato<br />
nell’Accademia di Belle Arti di Parma, dallo scultore Marziale Piroli, giovane allievo del<br />
Carra (vedi Godi 1974, p. XXX). Per il concorso del 1818, vedi Musiari 1986, pp. 145-50.
Capitolo IV<br />
Le antichità di <strong>Veleia</strong> nei diari dei viaggiatori<br />
del Settecento e del primo Ottocento<br />
Nel 1802 il monaco irlandese John Chetwode Eustace annotava, con rammarico,<br />
nel suo diario di viaggio: «il principale ornamento di Parma, il suo<br />
vanto e la sua gloria, erano i numerosi capolavori del Correggio [...]. Nessuna<br />
altra città italiana, eccetto Roma, offriva maggiori attrattive all’artista<br />
o procurava più godimenti al viaggiatore di gusto» 1 . Eustace era giunto a<br />
Parma troppo tardi <strong>per</strong> ammirare le glorie pittoriche <strong>della</strong> città, confiscate<br />
dai Francesi all’indomani <strong>della</strong> morte del duca Ferdinando e trasportate,<br />
con gran pompa, a Parigi. La sua incondizionata ammirazione <strong>per</strong> le o<strong>per</strong>e<br />
del Correggio è solo una delle tante voci di un vasto coro di consensi verso<br />
l’artista emiliano e la sua scelta di sostare, comunque, a Parma, dove la<br />
grandezza del maestro si poteva ancora ammirare negli affreschi delle cupole<br />
di S. Giovanni e del Duomo e nella celebre stanza del Convento di S.<br />
Paolo, si inserisce in una lunga tradizione di viaggi, in cui la tappa parmigiana<br />
era quasi sempre giustificata dal desiderio di ammirare i tanti capolavori<br />
del pittore conservati in città. «Ma il Correggio! Il Correggio è la<br />
vera gloria di Parma» esclamava la pittrice Elisabeth Vigée Le Brun 2 , pur<br />
dopo avere ammirato, e degnamente apprezzato, le antichità veleiati [Append.<br />
19], e nel 1806 il tedesco Karl Friedrich von Rumohr volle fermarsi<br />
a Parma con l’unico scopo di rendere omaggio al «meraviglioso» Correggio<br />
3 : la forzata assenza dalla città di alcuni dei capolavori del pittore, primi<br />
tra tutti la Madonna del S. Girolamo, un dipinto che nel luglio del 1752<br />
1 J.C. Eustace, A Classical Tour in Italy, London 1815: il brano è riportato in «Gazzetta<br />
di Parma», 7 agosto 1978, p. 3. Sul viaggio in Italia di Eustace, vedi Corradi e Razzetti 1986,<br />
pp. 533-35.<br />
2 La Vigée Le Brun visitò Parma nel 1792: vedi Biondi e Mandich 1986, p. 312.<br />
3 K.F. von Rumohr, Drey Reisen nach Italien, Leipzig 1832: il brano relativo alla sosta a<br />
Parma è riportato, con la traduzione di S. Corradi, in «Gazzetta di Parma», 16 marzo 1987,<br />
p. 3. Vedi anche Consolini e Fliri 1986, p. 714.<br />
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aveva fatto entusiasticamente affermare ad un giovane Joshua Reynolds<br />
«devi chiedere di vedere la Sacra Famiglia con San Girolamo, di Correggio.<br />
Mi procurò il diletto più vivo che abbia mai ricevuto da un quadro» 4 , non<br />
sembrò scoraggiare le visite dei turisti e degli appassionati d’arte, che anzi<br />
ebbero modo di apprezzare e opportunamente rivalutare le qualità artistiche<br />
degli affreschi del pittore emiliano, fino ad allora un po’ troppo trascurati<br />
a vantaggio delle tele. Solo verso la metà dell’Ottocento incominciò<br />
ad avvertirsi un cambiamento di tendenza nei gusti e negli interessi dei<br />
viaggiatori e Parma finì, a poco a poco, <strong>per</strong> diventare una tappa occasionale,<br />
una meta <strong>per</strong> pochi e scelti intenditori. «Sfortunatamente Parma non<br />
è nell’itinerario dei turisti. Il branco dei viaggiatori segue l’itinerario obbligato,<br />
Firenze, Roma, Napoli e i due sublimi affreschi del Correggio<br />
scompaiono lentamente nell’abbandono e nell’oblio»: le parole sdegnate<br />
del poeta Theophile Gautier, in Italia nel 18525 , sembrano ormai sancire<br />
una situazione di fatto.<br />
La fama di città d’arte che accompagnò Parma <strong>per</strong> tutto il Settecento si<br />
era notevolmente accresciuta in seguito alla fondazione dell’Accademia di<br />
Belle Arti, un’istituzione destinata ad imporsi tra le migliori scuole d’arte<br />
europee e capace di attirare, fino almeno ai primi decenni del secolo seguente,<br />
un elevato concorso di artisti italiani e stranieri6 . Il ruolo fondamentale<br />
svolto dalla neonata accademia nello studio delle arti e nell’aggiornamento<br />
del linguaggio figurativo promosso dal ducato ottenne il pieno riconoscimento<br />
di uno dei principali critici d’arte del tempo, il fiorentino Luigi<br />
Lanzi, che nella sua Storia pittorica così annotava:<br />
basta <strong>per</strong> lo più a uno Stato come una università <strong>per</strong> le lettere, così un’accademia<br />
<strong>per</strong> le belle arti, specialmente ove sia fondata, mantenuta, animata all’uso<br />
di Parma. Don Filippo di Borbone nel 1757, ch’era il decimo del suo<br />
principato, le diede l’essere; e il real suo figlio, che felicemente regge ora lo<br />
Stato, le ha dati e tuttavia le dà nuovi accrescimenti. Niuna cosa è più conducente<br />
a risvegliar fra noi il bel genio <strong>della</strong> pittura che il modo che ivi si tiene<br />
in premiare. Proposto il tema del quadro s’invitano al concorso non i giovani<br />
del Dominio solamente, ma gli esteri ancora; onde in ogni luogo ferve<br />
4 Il brano è citato in P. Mc Intyre, Reynolds in Italia. Un confronto con l’eredità del Correggio,<br />
«Aurea Parma», 71, 1987, pp. 230-31.<br />
5 T. Gautier, Voyage en Italie, 1852: il brano, in traduzione, è riportato in «Aurea Parma»,<br />
73, 1989, p. 59.<br />
6 L’Accademia di Belle Arti di Parma venne fondata il 1° maggio del 1752, giorno di S.<br />
Filippo, patrono del duca che aveva favorito la nascita di questa istituzione. L’inaugurazione<br />
ufficiale dell’accademia avvenne <strong>per</strong>ò solo nel dicembre del 1757 (Bédarida 1928,<br />
pp. 379-82).
l’industria de’ più maturi studenti e più abili che risguardano inverso Parma<br />
[...] Il quadro coronato rimane <strong>per</strong> sempre in una camera dell’Accademia insieme<br />
con gli altri già prescelti ne’ decorsi anni; ed è questa una serie che fin<br />
da ora interessa molto gli amatori delle belle arti 7 .<br />
E in effetti la sempre crescente raccolta, nelle sale dell’accademia, delle<br />
o<strong>per</strong>e d’arte premiate nei severissimi concorsi dell’<strong>Istituto</strong> fornì <strong>per</strong> gli appassionati<br />
d’arte nuovi motivi di interesse e la sosta parmigiana, con le parole<br />
del Millin, fu <strong>per</strong> molti un vero e proprio «sejour ... pour un ami des art»<br />
[Append. 21].<br />
Furono, insomma, le glorie artistiche, più o meno recenti, <strong>della</strong> città<br />
che spinsero generazioni di viaggiatori ad inserire Parma nell’itinerario<br />
verso il Sud e in questa scelta, dobbiamo ammetterlo, scarsa influenza ebbero<br />
le sco<strong>per</strong>te archeologiche dell’antica <strong>Veleia</strong>, almeno se si considera,<br />
nel suo insieme, l’intero <strong>per</strong>iodo che dalle prime esplorazioni ufficiali<br />
giunge sino al regno di Maria Luigia. È pur vero che proprio negli anni a<br />
ridosso dei primi, fortunati, rinvenimenti sembra registrarsi un considerevole<br />
aumento di visitatori e non furono pochi quelli che dedicarono lunghe<br />
pagine di descrizioni ammirate alle recentissime novità archeologiche.<br />
Se <strong>Veleia</strong> non riuscì mai, con le sue modeste rovine, ad ottenere la notorietà<br />
di Ercolano e Pompei, come era forse nelle s<strong>per</strong>anze di Filippo di Borbone,<br />
è certo che il ritrovamento del celebre ciclo statuario <strong>della</strong> basilica,<br />
unito al non trascurabile complesso di re<strong>per</strong>ti bronzei provenienti dall’antico<br />
municipium romano (tra cui primeggiavano, come è naturale, le due<br />
tavole legislative), contribuì a diffondere, in Italia e in Europa, la voce di<br />
una nuova eccezionale sco<strong>per</strong>ta e l’aria di mistero e di segretezza con cui<br />
la corte parmense si piccava di tutelare i nuovi rinvenimenti ottenne ben<br />
presto l’effetto desiderato, quello cioè di catalizzare sul piccolo ducato<br />
l’attenzione degli antiquari e degli uomini di lettere. Negli anni degli scavi<br />
e in quelli immediatamente seguenti il fascino esercitato dai tanti monumenti<br />
riemersi da un lontano passato e la propettiva eccitante di nuove,<br />
importanti, sco<strong>per</strong>te riuscirono <strong>per</strong>sino ad offuscare l’ammirazione <strong>per</strong> le<br />
sensuali grazie del Correggio.<br />
Ma che cosa conoscevano di <strong>Veleia</strong> i viaggiatori stranieri ? Nonostante le<br />
strette limitazioni di visita e i rigidi divieti di trarre qualsivoglia riproduzione<br />
delle antichità rimesse in luce, sembra proprio che non poche notizie, anche<br />
se spesso inesatte, fossero trapelate, se uno dei motivi che spinsero il<br />
Paciaudi a pubblicare la sua Mémoire sur l’ancienne Capitale des Velleiates<br />
7 Lanzi Storia, II, p. 254.<br />
175
176<br />
fu proprio la volontà di correggere ciò che su <strong>Veleia</strong> si leggeva in quegli anni<br />
nei diari di alcuni viaggiatori 8 .<br />
Di certo, la pubblicazione <strong>della</strong> Tavola Traiana, e ancor più la polemica<br />
sorta tra gli studiosi che si contesero il merito <strong>della</strong> prima edizione, avevano<br />
destato un forte interesse <strong>per</strong> le vicende antiquarie del ducato e già nel<br />
1757, prima ancora che si aprissero ufficialmente gli scavi, il letterato francese<br />
Joseph de La Porte raccomandava al viaggiatore colto, interessato alla<br />
conoscenza del mondo antico, la visita alle rovine <strong>della</strong> romana <strong>Veleia</strong>, città<br />
molto ricca di resti importanti [Append. 1] 9 . Non è un caso che le prime,<br />
informate, descrizioni dell’antica <strong>Veleia</strong> si trovino nei diari e nelle guide dei<br />
viaggiatori provenienti dalla Francia: <strong>per</strong> la sua posizione geografica Parma<br />
costituiva una tappa quasi obbligata nell’itinerario di chi, entrato in Italia<br />
dal valico del Moncenisio, scendeva alla volta di Firenze e di Roma, ma furono<br />
soprattutto gli stretti rapporti di dipendenza culturale e i legami politici<br />
che a questa data legavano Parma alla Francia, favoriti dagli stessi duchi e<br />
nutriti con ogni mezzo dal potente ministro Du Tillot, a garantire al ducato<br />
un posto di riguardo nell’interesse del mondo letterario d’oltralpe, e non bisogna<br />
dimenticare che era stato proprio un francese, il conte di Caylus, a<br />
dare <strong>per</strong> primo notizia, nel suo Recueil, degli eccezionali ritrovamenti veleiati<br />
10 . Le scarne informazioni fornite dal Caylus rimasero, almeno <strong>per</strong> i primi<br />
due anni di scavo, le uniche a disposizione degli eruditi, in evidente contrasto<br />
con l’assoluto silenzio ostentato dalla corte parmense e, dobbiamo<br />
immaginare, rispettato con rigore dal canonico Costa, a giudicare almeno<br />
dalla testimonianza dell’abate Richard, giunto a Parma nel 1762, che dei<br />
pretesi tesori antichi rinvenuti a <strong>Veleia</strong> non riuscì a vedere nulla e che dovette<br />
accontentarsi di riferire l’ipotesi sulla causa <strong>della</strong> distruzione <strong>della</strong> città<br />
(un terremoto), avanzata <strong>per</strong> primo dal Caylus [Append. 3] 11 . Qualche ec-<br />
8 Nella sua Memoria intorno all’antica Capitale dei Velejati, edita in francese nella Gazette<br />
Littéraire de l’Europe, il Paciaudi, come abbiamo visto (vedi supra, cap. II), non faceva mistero<br />
<strong>della</strong> sua ostilità verso i «viaggiatori non abbastanza eruditi» e i «giornalisti tumultuari».<br />
Più tardi anche il De Lama confermerà che lo studio preliminare del suo maestro su <strong>Veleia</strong><br />
aveva soprattutto lo scopo di fare chiarezza sulle tante voci che correvano allora su questa<br />
nuova sco<strong>per</strong>ta archeologica.<br />
9 Il de La Porte giunse a Parma nell’ottobre del 1757, ma è possibile che le sue informazioni<br />
sull’antica città siano il frutto di un successivo aggiornamento, in previsione dell’edizione<br />
del Voyage: solo così si spiegherebbe il riferimento ai numerosi resti antichi provenienti da<br />
<strong>Veleia</strong>, dal momento che nel 1757 erano stati riportati alla luce solo la Tavola Traiana, l’iscrizione<br />
che menziona L. Calpurnio Pisone (CIL XI, 1182) e poco altro (vedi supra, cap. II p.<br />
65). Sul soggiorno parmigiano di questo viaggiatore, vedi Biondi e Mandich 1986, p. 168<br />
10 Vedi supra, cap. II, p. 66.
cezione alla regola, naturalmente, era concessa, e così quando nell’agosto<br />
del 1761 sostarono a Parma l’abate di Saint-Non e il pittore Fragonard [Append.<br />
2], il ministro Du Tillot (grande estimatore dell’artista) si prodigò <strong>per</strong><br />
fare avere agli illustri ospiti tutti i <strong>per</strong>messi necessari <strong>per</strong> visitare il sito di<br />
<strong>Veleia</strong> e tutte le antichità rimesse in luce (comprese le statue <strong>della</strong> basilica,<br />
alcune giudicate dal Saint-Non «di una bellezza eccezionale <strong>per</strong> l’espressione<br />
generale dei volti e soprattutto <strong>per</strong> l’eleganza e la squisita lavorazione dei<br />
drappeggi»), e li introdusse presso il canonico Costa, che ancora ospitava<br />
nella sua dimora piacentina i frammenti <strong>della</strong> Tavola Traiana, <strong>per</strong>ché potessero<br />
esaminare con calma le piante degli scavi, le iscrizioni e le medaglie fino<br />
ad allora recu<strong>per</strong>ate 12 .<br />
La situazione sembra cambiare dopo l’arrivo a Parma del Paciaudi. Anche<br />
se la sua Mémoire apparve (non a caso su una rivista francese) solo nel<br />
1765, non c’è dubbio che la fitta ed estesa rete di corrispondenti con il quale<br />
il teatino scambiava dubbi e opinioni nel <strong>per</strong>iodo di stesura di questo breve<br />
opuscolo, e più ancora le sue accurate indagini finalizzate alla realizzazione<br />
di una più vasta (e mai pubblicata) o<strong>per</strong>a su <strong>Veleia</strong> avessero finito <strong>per</strong> far<br />
trapelare un ben più ricco bagaglio di notizie sui rinvenimenti allora in corso<br />
e sulla topografia dell’antica città. E così l’abate Coyer, a Parma tra il<br />
11 Caylus Recueil, IV (1761), pp. 182-83. Così il Mariette commentava con il Paciaudi,<br />
nel dicembre del 1765, la sosta parmigiana del Richard e, più in generale, la recente edizione<br />
<strong>della</strong> Description historique et critique de l’Italie: «vous avez dejà reçu, à ce que je m’imagine,<br />
une nouvelle description de l’Italie, que vient de publier en six volumes in -12 un abbé Richard<br />
que vous avez vu en Italie en 1762, et je pense que vous n’en êtes pas mécontent. On y<br />
parle bien de votre cour, et je trouve que l’auteur a bien vu ce qu’il a vu. J’aurais seulement<br />
voulu qu’il eût consulté quelqu’un de mieux instruit que lui par rapport à la partie des arts,<br />
qui me paraît être l’endroit le plus faible de son livre» (Nisard 1877, II, p. 338). Su questa visita<br />
del Richard vedi anche Bédarida 1928, p. 555; Biondi e Mandich 1986, p. 188 e Mandich<br />
1990, p. 406.<br />
12 Sul viaggio del Saint-Non a <strong>Veleia</strong>, vedi Bédarida 1928, p. 536; Rosenberg 1986, pp.<br />
233-34 e Schippisi 1988, che cita anche una lettera del Du Tillot al Costa, ricca di elogi <strong>per</strong><br />
l’attività pittorica del Fragonard. Ricevuta la graditissima visita dei due illustri visitatori, il<br />
Costa si affrettò a scrivere le sue impressioni al ministro: «rendo vivissime grazie all’E.V. dell’onore<br />
che mi ha procurato di conoscere e di servire il degnissimo abate di Saint Non il quale<br />
ha mostrato un sommo piacere di vedere tutti li disegni ed altro che tengo presso di me, e<br />
quanto ho già preparato da presentare all’A.S.R. e mi è parso sì soddisfatto da non pensare<br />
forse più alla premeditata sua gita sulla faccia del luogo, ove si fanno li regi scavi, dicendomi,<br />
che in vista di quanto gli aveva mostrato, e dei disegni delle statue costì vedute, gli pareva di<br />
essere sì bene al fatto da reputar su<strong>per</strong>fluo <strong>per</strong> ora di portarvisi, ne so poi qual determinazione<br />
avrà presa, poiché il sig. Fragonat giovane assai pulito lo sollecitava a risolversi ed ei rispondeva<br />
che li stava a cuore il portarsi subito a Genova» (Costa ms. Pallastrelli, lettera del<br />
Costa al Du Tillot del 20 agosto 1761).<br />
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1763 e il 1764, dopo la tradizionale digressione sui passi di Plinio il Vecchio<br />
e di Flegonte di Tralles a proposito <strong>della</strong> eccezionale longevità degli abitanti<br />
dell’agro veleiate, mette in campo tutta una serie di informazioni sulla città<br />
di <strong>Veleia</strong>, desunte interamente dalle testimonianze archeologiche [Append.<br />
4]. L’abate riferisce, in ordine, dell’esistenza dei principali edifici pubblici<br />
che caratterizzavano le grandi città, il foro colonnato e pavimentato in marmo,<br />
l’altare dedicato ad Augusto, il chalcidicum, del rinvenimento delle statue<br />
di marmo <strong>della</strong> basilica e dei frammenti <strong>della</strong> statua in bronzo dorato ritenuta<br />
di Adriano, <strong>della</strong> ricchezza degli elementi ornamentali, dell’abbondanza<br />
degli ex-voto che documentano l’esistenza di diversi culti pur nella<br />
assenza di un tempio e del rinvenimento <strong>della</strong> celebre statuetta di Eracle bibax<br />
e del relativo piedistallo con iscrizione dedicatoria da parte del sodalicium<br />
dei devoti dell’eroe, importante frutto degli scavi del 1760. È molto<br />
probabile che gli appunti presi dal Coyer a Parma siano stati in seguito corretti<br />
e ampliati sulla base <strong>della</strong> Mémoire del Paciaudi, in cui l’esposizione<br />
degli argomenti segue all’incirca lo stesso ordine, e dove ampio spazio è dedicato<br />
alla sco<strong>per</strong>ta di due iscrizioni marmoree rinvenute a <strong>Veleia</strong>, ricordate<br />
anche dal Coyer, e si trova <strong>per</strong>sino il medesimo riferimento alla improvvisa e<br />
recente distruzione, in seguito a una frana, del villaggio di Picinisco, nei<br />
pressi di Monte Cassino. Alcune affermazioni del Coyer suggeriscono <strong>per</strong>ò<br />
un diretto e scrupoloso esame del materiale e forse anche un incontro con<br />
lo stesso Paciaudi. Nell’edizione a stampa <strong>della</strong> Mémoire (a differenza del<br />
testo manoscritto in italiano) non si precisava, ad esempio, che le due iscrizioni<br />
marmoree all’epoca appena sco<strong>per</strong>te attestassero il nome stesso dell’antica<br />
città 13 , né che il numero complessivo delle iscrizioni rinvenute, tra<br />
cui molte in onore a diversi im<strong>per</strong>atori, ammontasse a una sessantina (cifra,<br />
<strong>per</strong> la verità, un po’ troppo gonfiata), ma soprattutto non si faceva cenno al<br />
problema più scottante e a lungo dibattuto, quello cioè relativo alla funzione<br />
dell’edificio a pianta circolare sco<strong>per</strong>to a partire dal 1763 nella terrazza a<br />
sud-est del foro: la denominazione di “grand cirque” data dal Coyer e il suo<br />
accenno alle <strong>per</strong>plessità degli studiosi davanti a questo curioso monumento,<br />
fanno pensare che l’abate fosse <strong>per</strong>fettamente a conoscenza delle differenti<br />
ipotesi interpretative avanzate all’epoca dagli antiquari 14 .<br />
Dichiaratamente desunta dalla Mémoire del Paciaudi è invece la descri-<br />
13 Tra l’aprile e il maggio del 1760 erano state trovate l’iscrizione di L. Coelius Festus, indicato<br />
come “Res Publica Velleiat. Patrono” (CIL XI, 1183) e quella di L. Granius (CIL XI,<br />
1205), in cui pure compare il nome dell’antica città (“Velleiatium”).<br />
14 Vedi la lettera del Caylus al Paciaudi del 12 dicembre 1763, in cui l’edificio è ormai<br />
chiamato “grand cirque” (Nisard 1877, I, p. 390). Per lo scavo e le diverse ipotesi interpretative<br />
sul monumento, vedi supra cap. I, § 3 e 4 e cap. III, § 3 e 4.
zione di <strong>Veleia</strong> e delle sue antichità fornita dal Lalande, che sostò a Parma<br />
nel 1765, quando gli scavi erano già stati sospesi 15 [Append. 6]. Considerato<br />
il successo di cui godette quest’o<strong>per</strong>a nell’ambito <strong>della</strong> letteratura di<br />
viaggio settecentesca e l’autorità spesso accordata al suo autore, tanto che,<br />
come è ben noto, il Journal del Lalande divenne presto un testo di riferimento<br />
<strong>per</strong> chi si apprestava a compiere il viaggio in Italia, non c’è dubbio<br />
che furono proprio le parole del Lalande, ben più del trattatello in francese<br />
del Paciaudi, a far conoscere al grande pubblico del Grand Tour lo stato<br />
delle conoscenze sull’antica città del piacentino. All’epoca del soggiorno<br />
parmigiano del Lalande si stavano tirando le somme sui primi cinque anni<br />
di scavo, il Paciaudi aveva appena convinto il primo ministro dell’opportunità<br />
di interrom<strong>per</strong>e dei lavori, ostacolati dall’eccessiva massa dei depositi<br />
di terra e pietrame, e si accingeva alla stesura di una corposa dissertazione<br />
su <strong>Veleia</strong>: stimolato all’idea di quest’impresa, di cui forse il teatino gli aveva<br />
mostrato qualche bozza, e forse istruito dalla pianta generale degli scavi,<br />
principale vanto <strong>della</strong> direzione del Paciaudi ed esposta, ad uso dei visitatori,<br />
nelle sale dell’accademia, il Lalande affermerà, deciso: «on y verra le<br />
plan général de la ville, des édifices, des places, des rues; il y aura moins de<br />
choses que dans les monumens d’Herculane, mais des morceaux peut-être<br />
plus instructifs pour ceux qui aiment l’antiquité». Ma a uno studioso di fenomeni<br />
naturali, quale era il Lalande, <strong>Veleia</strong>, e in particolare il suo territorio,<br />
offriva anche altri motivi di interesse: parlando degli episodi di natura<br />
vulcanica di Pietra Mala, nell’Appennino bolognese, non mancò infatti di<br />
ricordare gli analoghi fenomeni esaminati nei pressi di <strong>Veleia</strong>, che si manifestavano<br />
agli occhi dei viaggiatori sotto forma di masse gassose infiammabili<br />
fuoriuscenti dal terreno argilloso. I “fuochi” di <strong>Veleia</strong> rappresentarono<br />
dunque un motivo in più <strong>per</strong> affrontare il non agevole viaggio sull’Appennino<br />
piacentino, e sull’esempio di celebri scienziati, come Alessandro Volta<br />
che vi si recò nel 1781 16 , molti studiosi o semplici appassionati di scienze<br />
15 La prima campagna di scavi venne sospesa, dietro suggerimento dello stesso Paciaudi,<br />
nell’agosto del 1765 (ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, busta 20). Il Lalande dovette<br />
invece pensare che fossero stati interrotti fin dall’anno precedente. Sulla sosta parmigiana<br />
del Lalande, vedi Bédarida 1928, pp. 558-59 e Biondi e Mandich 1986, pp. 206-08.<br />
16 Dopo aver esaminato il fenomeno dei “terreni ardenti” di Pietra Mala, il Volta decise<br />
di integrare le sue ricerche sul fenomeno dell’aria infiammabile con una visita a <strong>Veleia</strong>: il «sito<br />
delle fiamme», localizzato presso l’alveo del torrente Chero, fu l’unica sua meta, mentre<br />
del tutto trascurati furono i resti dell’antica città. I risultati di questa indagine saranno pubblicati<br />
in A. Volta, Scritti sull’aria infiammabile, sull’eudiometro e sopra i fuochi di Pietramala<br />
e Velleia, in Idem, O<strong>per</strong>e, VII, Milano 1929, pp. 107-21. Sul sopralluogo veleiate del Volta,<br />
vedi Credali 1927.<br />
179
180<br />
naturali decisero di includere la tappa di <strong>Veleia</strong> nel loro itinerario di viaggio.<br />
Ne risultò, in alcuni casi, una felice commistione di curiosità antiquarie<br />
e competenze scientifiche, che <strong>per</strong>mise di esaminare e conoscere le rovine<br />
stesse di <strong>Veleia</strong> sotto una nuova e inedita propettiva. «In Velleia tuttora<br />
si trovano cose degne d’essere esaminate dai naturalisti non meno che dagli<br />
antiquari ed amatori delle belle arti» si leggerà, ad esempio, nel diario redatto<br />
dal medico fidentino Vincenzo Plateretti, in visita a <strong>Veleia</strong> nel 1786<br />
[Append. 15] 17 . Dopo una fugace menzione alle vicende che condussero<br />
alla sco<strong>per</strong>ta dell’antica città e al ricco materiale archeologico suddiviso tra<br />
la Biblioteca e l’Accademia di Belle Arti di Parma o ancora racchiuso in varie<br />
casse «che tuttora aspettano il bene d’essere rimesse all’aria a<strong>per</strong>ta», ecco<br />
che l’attenzione dello scienziato si sposta subito ad analizzare la qualità<br />
dei marmi e delle pietre impiegate dagli antichi <strong>per</strong> edificare il colonnato<br />
del foro e gli edifici circostanti, mentre la presenza di alcune macine ed altri<br />
oggetti in pietra vulcanica, mostratigli dal custode e conservate nei magazzini<br />
veleiati, lo spinge ad esprimere un giudizio da “tecnico” sulle possibili<br />
cause di distruzione <strong>della</strong> città romana: certo dell’esistenza, in antico,<br />
di un vulcano (diversamente da chi, come l’abate Coyer, aveva dichiarato la<br />
totale assenza di tracce vulcaniche in loco), il Plateretti rifiuterà tuttavia<br />
l’ipotesi <strong>della</strong> catastrofe provocata da una improvvisa eruzione, ancora sostenuta<br />
da alcuni viaggiatori e riportata, come probabile, nel Dictionnaire<br />
historique et géographique portatif de l’Italie di Jacques Lacombe 18 . L’entusiasmo<br />
<strong>per</strong> le importanti sco<strong>per</strong>te archeologiche veleiati, arricchite solo da<br />
pochi anni dal prezioso gruppo di bronzetti figurati scavati nell’autunno<br />
del 1776 19 , dovette convincere il nostro medico <strong>della</strong> rara preziosità di ogni<br />
avanzo, ed ecco che, nel suo diario, qualche capitello in marmo lunense diventa<br />
di finissimo marmo pario (del resto il Lalande credeva di cipollino le<br />
colonne, in cotto stuccato, del foro), ma nel complesso sembra attendibile<br />
la sua descrizione dei frammenti di «sanguigne Seravezze, Bellezze di Francia,<br />
Broccatello di Spagna» ed altri marmi preziosi, soprattutto se si tiene<br />
conto dei tanti pavimenti musivi, anche policromi, rinvenuti nei primi anni<br />
di scavo e oggi quasi completamente <strong>per</strong>duti.<br />
17 Sul Plateretti (notizie 1811-1823), medico e collaboratore dell’incisore fidentino Pietro<br />
Zani, vedi Lasagni 1999, III, p. 973.<br />
18 Per la voce su <strong>Veleia</strong> del suo Dictionnaire, edito a Parigi nel 1775, il Lacombe aveva<br />
tratto informazioni, come egli stesso scrive, dalla Mémoire del Paciaudi apparsa nella Gazette<br />
Littéraire de l’Europe: in quest’o<strong>per</strong>a <strong>per</strong>ò il Paciaudi riportava, solo <strong>per</strong> confutarla, l’ipotesi<br />
di una distruzione causata da eventi di natura vulcanica, mentre sosteneva con forza la<br />
possibilità che la città fosse morta in seguito ad una o più frane staccatesi dai monti vicini.<br />
Su questa descrizione del Lacombe, vedi Biondi e Mandich 1986, p. 268.<br />
19 Per l’elenco e le notizie relative alla sco<strong>per</strong>ta di questi bronzetti, vedi supra cap. I, § 4.
Nel coro delle tante voci, prevalentemente francesi, che hanno descritto<br />
le rovine di <strong>Veleia</strong> all’epoca delle prime esplorazioni, va senz’altro segnalata<br />
quella dello storico Edward Gibbon [Append. 5], giunto a Parma nel giugno<br />
del 1764, in compagnia del compatriota William Guise 20 . La curiosità<br />
che spinse il giovane Gibbon ad esaminare con cura i re<strong>per</strong>ti veleiati va forse<br />
ricercata nella sua naturale propensione verso la storia antica, che di lì ad<br />
alcuni anni lo avrebbe trasformato in uno dei più valenti studiosi dell’im<strong>per</strong>o<br />
romano, ma a favorire questo interessato esame concorse senza dubbio<br />
anche una fortunata circostanza. Nel maggio dello stesso anno aveva sostato<br />
<strong>per</strong> alcuni giorni a Parma il Duca di York e <strong>per</strong> l’occasione era stata allestita,<br />
nella galleria in seguito destinata alla biblioteca, una vera e propria mostra<br />
delle antichità rinvenute a <strong>Veleia</strong> 21 : si trattava quasi certamente <strong>della</strong><br />
prima esposizione organica, anche se non completa, dei marmi e dei bronzi<br />
che costituivano il vanto dell’impresa archeologica del ducato ma che a questa<br />
data venivano mostrati con estrema parsimonia e con altrettanto sospetto.<br />
I due giovani visitatori inglesi, giunti a Parma pochi giorni dopo il duca,<br />
poterono quindi approfittare di questa favorevole condizione di visita e la<br />
attenta, scrupolosa, a tratti entusiastica e spesso documentata descrizione<br />
dei pezzi più significativi lasciataci dal Gibbon ci lascia intendere che questa<br />
non fu una semplice visita di piacere, ma quasi una palestra dove affinare le<br />
proprie armi di storico e di antiquario. Stuzzicato dalle conoscenze apprese<br />
durante la sosta parmigiana e molto incuriosito dalla recente edizione curata<br />
dal Muratori <strong>della</strong> Tavola Traiana, mostratagli come vera e propria rarità dal<br />
20 Il Gibbon e William Guise si limitarono ad esaminare le antichità conservate nel Museo<br />
di Parma, senza includere nel loro viaggio italiano una visita alle rovine di <strong>Veleia</strong> (sulla<br />
sosta parmigiana dei due inglesi, vedi Razzetti 1970; Corradi e Razzetti 1986, pp. 477-79;<br />
Criniti 1991, p. 39 e ora Albasi e Magnani 2003, p. 22). La fama <strong>della</strong> città antica, da poco<br />
rimessa in luce, aveva invece già incoraggiato a questa non agevole escursione altri viaggiatori<br />
inglesi, a giudicare almeno da alcune lettere inviate a Parma da Antonio Colombi e da<br />
Giacomo Nicelli nell’estate del 1763, nelle quali si parla dell’arrivo a <strong>Veleia</strong>, nel giugno di<br />
quell’anno, di Milord Dillon e <strong>della</strong> successiva visita di «due cavaglieri inglesi», oltre alla sosta<br />
di un visitatore francese, monsieur Nidem. Nell’agosto del 1764, poco dopo la sosta parmigiana<br />
del Gibbon, un altro inglese, Henry Temple, secondo visconte Palmerston, incoraggiato<br />
dall’illustre storico che gli aveva pianificato il viaggio in Italia, deciderà di spingersi sino<br />
a <strong>Veleia</strong> (AMANP, ms. 46, lettere di A. Colombi del 10 giugno 1763 e del 20 agosto 1764<br />
e di G. Nicelli del 25 luglio 1763), mentre nel settembre del 1765, all’indomani <strong>della</strong> chiusura<br />
definitiva del primo ciclo di scavi, sarà la volta <strong>della</strong> visita del duca di Rochefoucault e di<br />
due cavalieri del suo seguito (ASP, Istruzione Pubblica. <strong>Scavi</strong> di Velleia, b. 20).<br />
21 Sulla visita parmigiana di Edward Augustus, Duca di York, durata quindici giorni e ricordata,<br />
come evento di notevole rilievo, nella cronaca mondana <strong>della</strong> «Gazzetta di Parma»<br />
dell’11 e del 25 maggio 1764, vedi Razzetti 1970, p. 59.<br />
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41<br />
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custode del Museo di Parma 22 , il Gibbon tenterà subito di colmare le sue lacune,<br />
tanto che, appena giunto a Firenze, non mancò di procurarsi i due volumi<br />
delle Simbolae Florentinae del Gori contenenti la dissertazione del Muratori,<br />
che gli sembrò scritta «con erudizione, precisione e chiarezza» mentre<br />
ritenne «discretamente esatta» la copia allegata <strong>della</strong> Tavola stessa; una<br />
statua di puer bullatus vista alla Galleria degli Uffizi attirò poi la sua attenzione<br />
soprattutto <strong>per</strong>ché gli ricordava quella del cosiddetto Nerone giovane<br />
proveniente da <strong>Veleia</strong>, una delle sculture antiche esaminate durante la sua<br />
visita parmigiana. A dispetto <strong>della</strong> stretta sorveglianza che impedì ai due inglesi<br />
di ricopiare le iscrizioni veleiati (riuscirono solo a trascriverne qualcuna<br />
a memoria), il Gibbon poté ammirare con calma alcuni dei pezzi più celebri<br />
<strong>della</strong> raccolta veleiate, tra cui i bronzi <strong>della</strong> Vittoria in volo e dell’Eracle<br />
bibax, e rimase addirittura incantato dinanzi ad una delle statue femminili<br />
provenienti dalla basilica, che non esitò a paragonare, <strong>per</strong> bellezza, al<br />
celebre quadro del Correggio: «non è che un tronco senza testa e senza<br />
gambe, ma il contorno <strong>per</strong>fetto <strong>della</strong> figura e il drappeggio leggero arrendevole<br />
ovunque alla pressione del corpo di cui scopre tutte le parti lo rendono<br />
degno di essere collocato di fronte al quadro del Correggio. Soltanto a coloro<br />
che hanno veduto simili capolavori oserei lodare la bellezza di una statua<br />
quasi informe». L’ammirazione incondizionata <strong>per</strong> la statua nota all’epoca<br />
come Agrippina Maggiore e che il Gibbon, con un gusto forse un po’ troppo<br />
marcato <strong>per</strong> il frammento archeologico, descrisse come un torso privo<br />
addirittura delle gambe (ma che il Guise, più correttamente, disse mancante<br />
<strong>della</strong> sola testa e delle braccia) 23 sarà condivisa da molti altri viaggiatori,<br />
condizionati forse da un allestimento espositivo che sembrava favorire pro-<br />
22 Nel suo diario il Gibbon ricordava semplicemente come il custode del museo gli avesse<br />
mostrato l’edizione del Muratori; William Guise ci tenne invece a precisare, nelle sue memorie,<br />
che la difficoltà di lettura, a un primo esame, <strong>della</strong> tavola bronzea obbligò entrambi a<br />
fidarsi delle spiegazioni fornite dall’antiquario parmigiano e che fu loro concesso di dare solo<br />
una rapida scorsa all’o<strong>per</strong>a del Muratori: «The caracters are so old, to close together and<br />
difficult to read at first sight, and without being a little used to these things that we are obliged<br />
to trust to the <strong>per</strong>son that showed it us chiefly for this account. An account of this inscription<br />
has been printed by Mr. Muratori but so few copies were taken that we are told it<br />
will be impossible to get one. They keep one of them here but we could not examine it<br />
much» (Razzetti 1970, p. 73; vedi anche Criniti 1991, p. 39).<br />
23 Il Guise condivise con l’amico l’ammirazione <strong>per</strong> la statua che gli antiquari parmigiani<br />
chiamavano Agrippina, <strong>per</strong> il fatto di essere stata rinvenuta accanto alla statua del giovane<br />
Nerone: «Near this [la statua di Nerone] was found the statue of a woman which they beleve<br />
to be Agrippina. The head and arms of this are wanting but the rest of it is much the finest<br />
piece of sculpture have ever seen. The dra<strong>per</strong>y which appears to have been very fine<br />
stuff and it is folded round the body and limbs <strong>per</strong>fectly well. Nothing can be more natural<br />
and <strong>per</strong>fectly finished than this figure» (Razzetti 1970, pp. 73-74).
prio questa scultura (insieme a quella, sicuramente affiancata, del Nerone<br />
giovane) e che molto probabilmente risentiva dei giudizi favorevoli espressi,<br />
su quest’o<strong>per</strong>a, negli ambienti artistici <strong>della</strong> locale accademia. Già il pittore<br />
inglese Robert Strange, giunto a Parma nel 1763 <strong>per</strong> studiare il Correggio,<br />
aveva giudicato questa statua «equal if not su<strong>per</strong>ior to anything he had seen<br />
in Italy» 24 , sentimento condiviso diversi anni più tardi dall’inglese Mary Berry<br />
[Append. 13], che dell’intero ciclo statuario <strong>della</strong> basilica veleiate segnalò<br />
questa sola scultura e dallo spagnolo Leandro Fernández de Moratín [Append.<br />
20], incantato dalla esecuzione del panneggio, «cosa excelente en el<br />
estudio de los ropages». È cosa risaputa che il fortunato ritrovamento, fin<br />
dal 1761, delle dodici statue veleiati fornì agli artisti che facevano capo all’Accademia<br />
di Belle Arti nuovi e vitali spunti di ricerca nel panorama del<br />
generalizzato classicismo di gusto francese, im<strong>per</strong>ante all’epoca nel piccolo<br />
ducato, e che fu soprattutto Gaetano Callani, pittore e scultore prediletto<br />
dal duca Ferdinando, a proporre, con molti anni di anticipo sul Mengs e sul<br />
Canova, una vero e proprio saggio di esecuzione “all’antica”, nelle statue<br />
delle Beatitudini evangeliche eseguite nel 1764 <strong>per</strong> la chiesa di S. Antonio a<br />
Parma. E fu proprio alla statua <strong>della</strong> cosiddetta Agrippina che si rivolse, in<br />
un primo momento, tutto lo studio e l’applicazione del Callani, stando a<br />
quanto ci narrano i suoi biografi:<br />
era nel tempo che il genio dell’immortale Du Tillot aveva cogli scavi di Velleia<br />
dissotterrate e strappate <strong>per</strong> così dire all’oblio molte rispettabili reliquie<br />
<strong>della</strong> romana magnificenza. Fra le varie cose rivide la luce una statua, mutilata<br />
il capo e le braccia, creduta un’Agrippina, ed una delle più belle figure, in<br />
fatto massimamente di pieghe, dell’antico, quale tuttor conservasi nella nostra<br />
parmense accademia di belle arti. I varii monumenti pregevoli, e molto<br />
più l’Agrippina accesero dell’amor del bello antico il nostro giovane plastico<br />
in modo che ardeva di applicare all’uopo suo lo stile sublime che in que’ venerandi<br />
ruderi scorgeva25 .<br />
Il Gibbon fu a Parma prima che in Francia uscisse la Mémoire del Paciaudi<br />
su <strong>Veleia</strong>, ed è quindi assai probabile che le numerose informazioni<br />
storiche relative ai pezzi esaminati siano state fornite allo storico inglese<br />
24 Il giudizio di Strange, che a Parma venne nominato accademico e professore <strong>della</strong> locale<br />
Accademia di Belle Arti, è riferito da William Guise (vedi Razzetti 1970, p. 74).<br />
25 G. Bertoluzzi, BPP, Ms. Parm. 1106, ff. 306v-307. Il brano è citato in G. Cirillo e G.<br />
Godi, Le «Vite» di artisti settecenteschi del Bertoluzzi (II), «Parma nell’arte», 12, 1980, pp. 74-<br />
75. Più tardi anche Giuseppe Carra (1766-1841), titolare <strong>della</strong> cattedra di scultura nell’Accademia<br />
di Belle Arti di Parma, avrebbe rivolto la sua attenzione alla celebre statua antica trovata<br />
nelle rovine di <strong>Veleia</strong>, ancora conservata nei locali dell’accademia, studio che, secondo i<br />
suoi biografi, gli dette un «tal piacere, che non abbandonò la plastica» (Tanzi 1996, p. 236).<br />
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184<br />
proprio in occasione <strong>della</strong> visita parmigiana, forse dallo stesso Paciaudi, che<br />
avrebbe anche illustrato le modalità di scavo adottate a <strong>Veleia</strong> (solo l’anno<br />
precedente i lavori erano stati affidati agli es<strong>per</strong>ti scavatori giunti da Roma)<br />
e richiamato il suo illustre ospite sulla carta topografica delle rovine veleiati,<br />
anch’essa completata nel 1764, ed esposta in accademia con il dichiarato intento<br />
di mostrare ai viaggiatori la considerevole estensione <strong>della</strong> città antica<br />
e rispondere così alle odiose insinuazioni di alcuni frettolosi visitatori circa<br />
la natura ignobile, angusta ed oscura del sito 26 , opinione non estranea allo<br />
stesso Gibbon che, noncurante degli insegnamenti ricevuti e <strong>della</strong> «specie<br />
di carta di Velleia» appesa al muro, annotava nel suo diario: «non penso che<br />
abbiano mai trovato una abitazione completa e nemmeno vestigia di qualche<br />
edificio pubblico, sebbene Velleia dovesse averne, salvo non fossero stati<br />
templi».<br />
Non conosciamo che aspetto avesse l’esposizione dei marmi e dei bronzi<br />
veleiati allestita in occasione <strong>della</strong> visita del Duca di York e neppure è possibile<br />
ricostruire, con precisione, l’allestimento “stabile” delle antichità nell’antiquarium<br />
ducale durante tutto il Settecento. Qualche aiuto ce lo danno,<br />
talvolta, le memorie dei viaggiatori, che ci lasciano immaginare le scelte<br />
espositive adottate dagli antiquari e ri<strong>per</strong>corre le vicende museali di alcuni<br />
pezzi. Nell’estate del 1761 chi, come l’abate di Saint Non, voleva conoscere<br />
le recenti sco<strong>per</strong>te archeologiche doveva spingersi fino a <strong>Veleia</strong> o recarsi a<br />
Piacenza, a casa del canonico conte Costa, dove si conservavano i re<strong>per</strong>ti<br />
più preziosi o facilmente asportabili; se pensiamo che anche il Richard poté<br />
vedere, nella Galleria dell’Accademia, solo alcuni calchi in gesso di celebri<br />
sculture antiche e un busto (moderno) di Vespasiano, dobbiamo concludere<br />
che una prima sistemazione “museografica” dei re<strong>per</strong>ti veleiati fu proprio<br />
quella allestita nel 1764 in occasione <strong>della</strong> visita del Duca di York, di cui godettero<br />
il Gibbon e l’amico Guise, oltre sicuramente all’abate Coyer (giunto<br />
a Parma negli stessi giorni) e quasi certamente ideata dal Paciaudi, da poco<br />
subentrato al Costa nella direzione degli scavi. L’insistenza con cui ricorrono,<br />
nei resoconti di viaggio, le descrizioni di alcuni pezzi non lasciano dubbi<br />
sulla loro particolare visibilità, che doveva differenziarli dall’anonima e variegata<br />
moltitudine delle lucerne, dell’instrumentum domesticum, dei sigilli,<br />
delle statuette in terracotta. Da subito, la testa ed altri frammenti in bronzo<br />
dorato <strong>della</strong> cosiddetta statua di Adriano, i bronzetti <strong>della</strong> Vittoria alata e<br />
dell’Eracle bibax, le due tavole legislative ed alcune sculture provenienti<br />
dalla basilica (soprattutto il Nerone giovane e l’Agrippina) si imposero <strong>per</strong><br />
qualità artistiche, buona conservazione o interesse documentario, sugli altri<br />
26 Paciaudi Memoria, § II.
e<strong>per</strong>ti e furono presto <strong>per</strong>cepiti come i “pezzi-forte” dell’intera raccolta.<br />
Sappiamo dal Guise che soltanto una piccola parte del materiale veleiate<br />
venne messo in mostra e che le monete rinvenute negli scavi non erano visibili.<br />
Non sembra che i due capitelli e il rilievo marmoreo di gusto «egizio»<br />
di cui parla il Lalande, rifacendosi alla Mémoire del Paciaudi 27 , siano mai<br />
stati esposti, o comunque abbiano avuto un posto di particolare rilievo nei<br />
locali dell’accademia, a giudicare dal completo silenzio degli altri viaggiatori,<br />
mentre era sicuramente visibile il frammento di affresco di terzo stile con<br />
recinto di giardino (opus topiarium), staccato fin dal 1760 da un ambiente<br />
nell’angolo nord-occidentale del foro veleiate, ammirato anche dal Volkmann,<br />
dal Lessing 28 , dal francese La Roque (che, <strong>per</strong> il genere definito<br />
“grottesco”, lo paragonò addirittura alle pitture <strong>della</strong> Domus Aurea), e dal<br />
turista belga Moreau de Bioul [Append. 14 e 17].<br />
All’epoca del soggiorno parmigiano di Gotthold Ephraim Lessing, che<br />
nel 1775 accompagnò nel viaggio verso il Sud il giovane duca Massimiliano<br />
Giulio Leopoldo di Brunswick, le statue marmoree, le tavole legislative, il<br />
frammento di affresco erano raccolti nelle sale dell’accademia, mentre il resto<br />
dei bronzi veleiati venne confinato entro armadi nella contigua biblioteca,<br />
dove solo pochi, curiosi, visitatori si tolsero il gusto di vederli. Nei ricordi<br />
del francese Guidi [Append. 12], a Parma nel 1783, il ciclo veleiate era<br />
allestito nella seconda camera dell’accademia (nella prima erano esposte le<br />
o<strong>per</strong>e premiate nei concorsi dell’istituzione) e qui, mescolati ai marmi antichi,<br />
si trovavano anche i numerosi calchi di celebri sculture ed alcune teste<br />
in marmo “all’antica”, adibiti allo studio e alle esercitazioni dei giovani allievi.<br />
Già il Richard aveva visto, accanto ai calchi in gesso, un «buonissimo bu-<br />
27 Si tratta dei due capitelli figurati con putti, in marmo bianco, ma <strong>per</strong>tinenti a due colonne<br />
in breccia rossa, trovati nel 1761 e riprodotti in Costa ms. 1247, tav. XIV e del rilievo<br />
con paesaggio campestre incorniciati da due candelabrae, rotto in due pezzi e recu<strong>per</strong>ato in<br />
un ambiente all’estremità occidentale dello scavo tra l’aprile del 1760 (vedi Costa ms. 1246,<br />
tav. VI) e il settembre dell’anno successivo, ed oggi conservato nel Museo Archeologico di<br />
Parma (il rilievo venne <strong>per</strong> la prima volta integralmente riprodotto in Ms. Parm. 1245, tav.<br />
IV, relativa agli scavi del 1765).<br />
28 J.J. Volkmann, Historisch-kritische Nachrichten von Italien …, Leipzig 1777-1778, I,<br />
pp. 347-86 e G. E. Lessing, Tagebuch der italienischen Reise, Leipzig 1902, pp. 267-68 (il<br />
Lessing fu a Parma nel 1775: vedi Consolini e Fliri 1986, p. 634). L’affresco esposto in accademia<br />
e tanto ammirato dai viaggiatori è naturalmente il frammento che decorava il secondo<br />
ambiente da Ovest sul lato settentrionale del foro, unico esempio su<strong>per</strong>stite di pittura parietale<br />
veleiate, rinvenuto nel maggio del 1760 e raffigurato, in una bella tavola a colori, nel volume<br />
del Costa relativo alla prima campagna di scavo (Costa ms. 1246, tav. XXI). Per le vicende<br />
relative al rinvenimento e allo “stacco” dell’affresco, vedi Miranda 1997. L’affresco è<br />
oggi conservato nel Museo Archeologico di Parma (Marini Calvani 2001, p. 26, fig. 47).<br />
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sto di Vespasiano», forse un errore <strong>per</strong> il bustino di Vitellio ricordato in seguito<br />
dal Volkmann e giudicato di «un’espressività quasi pittorica» dall’inglese<br />
Mary Berry [Append. 13]: si tratta quasi certamente del piccolo busto<br />
rinascimentale ancora presente nel Museo di Antichità di Parma all’epoca<br />
dell’allestimento del Monaco e oggi conservato nei depositi <strong>della</strong> locale Galleria<br />
Nazionale 29 . L’idea di raccogliere in uno stesso ambiente sculture di<br />
provenienza, datazione e storia diversa era certamente dettata dalle necessità<br />
didattiche dell’accademia, ma questa mescolanza finì <strong>per</strong> confondere le<br />
idee a più di un viaggiatore, così che il Vitellio venne un po’ troppo frettolosamente<br />
incluso tra i re<strong>per</strong>ti veleiati, seguito <strong>per</strong>sino dai colossi del Bacco e<br />
dell’Ercole provenienti dagli scavi Farnese sul Palatino e da decenni collocati<br />
nel giardino del Palazzo Ducale di Colorno 30 .<br />
Il nucleo principale delle raccolte veleiati, o comunque quello maggiormente<br />
ammirato dai viaggiatori settecenteschi, era costituito, come abbiamo<br />
visto, dalle sculture e dai bronzi rinvenuti nei primi due anni di scavo, condotti<br />
ancora sotto la direzione del Costa, mentre i risultati delle campagne<br />
seguite dal Paciaudi e <strong>per</strong>sino quelle intraprese nei primi anni dell’Ottocento,<br />
all’epoca dell’amministrazione francese, ottennero ben scarsa eco nei resoconti<br />
di viaggio, con l’unica eccezione del gruppo dei cinque bronzetti figurati<br />
rinvenuti nel settembre del 1776 «nell’area laterale alla Chiesa verso<br />
mezzogiorno» 31 , giudicato da subito uno dei più significativi contributi <strong>della</strong><br />
seconda fase di indagine archeologica veleiate, inaugurata su consiglio dello<br />
stesso Paciaudi nell’agosto di quello stesso anno. Già all’indomani <strong>della</strong> sco<strong>per</strong>ta<br />
le cinque statuette di bronzo vennero segnalate nel diario del tedesco<br />
Johann Jacob Volkmann, che sembrò apprezzare soprattutto i bronzetti del<br />
Bacco e del cosiddetto Apollo (riconoscibile nella statuetta dell’Alessandro) e<br />
diversi anni più tardi la pittrice Elisabeth Vigée Le Brun noterà, accanto al<br />
celebre bronzetto dell’Eracle bibax, un «piccolo Bacco incantevole»: vien da<br />
pensare che il rilievo dato dalla Le Brun a questi due pezzi, forse all’epoca<br />
esposti l’uno accanto all’altro, rifletta la particolare o<strong>per</strong>a di valorizzazione<br />
dei due bronzetti voluta dagli stessi addetti del museo, ed in particolare dal<br />
giovanissimo Pietro De Lama, che proprio nel 1789 aveva commissionato<br />
all’incisore e stuccatore <strong>Beni</strong>gno Bossi le copie di entrambi i pezzi e si era<br />
29 Monaco 1940, p. 13. Il busto è ancora oggi sostanzialmente inedito.<br />
30 I due colossi, rinvenuti nel 1722-1724 nell’Aula Regia <strong>della</strong> Domus Flavia sul Palatino,<br />
furono trasportati a Colorno nel 1724; solo nel 1821 verranno trasferiti, <strong>per</strong> volere di Maria<br />
Luigia, nel Palazzo Ducale di Parma (Belli Pasqua 1995, p. 89, n. 37 e p. 98, n. 55).<br />
31 Su questa campagna di scavi, vedi supra cap. I, § 4, con bibliografia.
<strong>per</strong>sino garantito la possibilità di poterne tratte, in futuro, altre copie «pel<br />
servigio del R. Museo» 32 .<br />
Ma quale effetto produssero, ai fini <strong>della</strong> continuazione degli scavi, i giudizi<br />
o semplicemente le visite dei tanti viaggiatori che fin dai primi anni Sessanta<br />
del Settecento sostarono a Parma incuriositi, oltre che dal Correggio,<br />
dalle importanti, e ancora un po’ misteriose, sco<strong>per</strong>te archeologiche avvenute<br />
nel ducato? È molto probabile che l’interessamento di tanti nomi illustri<br />
di studiosi e cultori di antiquaria non solo francesi, come l’abate di Saint-<br />
Non, il Coyer, l’abate Richard, lo storico Edward Gibbon abbia favorito il<br />
protrarsi degli scavi fino a tutta l’estate del 1765, a dispetto dei deludenti risultati<br />
e degli enormi costi dell’impresa (ora che ci si era spinti ad indagare<br />
un’area co<strong>per</strong>ta da un alto strato di terra e pietrame), lamentati fin dal 1763<br />
dal Paciaudi. Il lamento si trasformò ben presto in protesta e quindi in grido<br />
di allarme, tanto che le motivazioni con cui il teatino, responsabile in prima<br />
<strong>per</strong>sona davanti all’intero mondo scientifico <strong>della</strong> conduzione degli scavi,<br />
giustificava nella sua Mémoire la necessità di interrom<strong>per</strong>e le esplorazioni,<br />
vennero accolte dal Lalande, che nel suo Voyage del 1765, riferendo delle<br />
difficoltà incontrate dagli scavatori, annunciava la chiusura degli scavi.<br />
La ripresa ufficiale delle esplorazioni, nell’agosto del 1776, stimolata dal<br />
fortunato ritrovamento dei cinque bronzetti figurati, fu soprattutto un’occasione<br />
<strong>per</strong> il Paciaudi di verificare lo stato delle conoscenze e tentare qualche<br />
saggio in aree fino ad allora inesplorate, o<strong>per</strong>azioni necessarie alla stesura<br />
dell’o<strong>per</strong>a che da tempo stava elaborando sull’antica <strong>Veleia</strong>, e che il mondo<br />
scientifico attendeva ormai con una certa impazienza; ma le nuove indagini<br />
dovettero coinvolgere una cerchia limitata di studiosi e rimanere pressoché<br />
ignorate dal più vasto pubblico del Grand Tour: «quel dommage qu’on néglige<br />
ces fouilles, dont il pourroit résulter une collection très précieuse!» affermava<br />
infatti, negli stessi anni di ria<strong>per</strong>tura degli scavi, il francese Roland<br />
de la Platière [Append. 11] e nel 1783 il Guidi [Append. 12] annoterà addirittura,<br />
nel suo diario, che dal 1764 era stata sospesa a <strong>Veleia</strong> ogni attività<br />
archeologica. Le informazioni (desunte dalla Mémoire del Paciaudi o dal<br />
32 A questo scopo il De Lama fece istruire un tale Alvieri, inserviente del museo. Per la<br />
realizzazione delle forme e di tre copie di ogni bronzetto vennero concesse al De Lama 180 lire<br />
(Atti e conti, in data 24 novembre 1789). La commissione dei calchi dell’Eracle bibax e del<br />
Bacco al Bossi è documentata da alcune lettere del carteggio del De Lama (AMANP, Carteggio<br />
De Lama, Lettere di Privati, cart. 3): nel luglio del 1789 il Bossi comunicava al De Lama<br />
di avere terminato la forma dell’Eracle e di stare <strong>per</strong> ultimarla con l’aggiunta di olio cotto,<br />
mentre nell’agosto dello stesso anno, probabilmente in risposta alle richieste del De Lama, gli<br />
confermava di non avere ancora messo mano alla forma del Bacco («al Bacco non è da pensarvi<br />
<strong>per</strong> adesso, quella forma vitigliosissima dimanda almeno sette o otto gioni di lavoro»).<br />
187
188<br />
Voyage del Lalande) sulle difficoltà incontrate a <strong>Veleia</strong> dagli scavatori a causa<br />
<strong>della</strong> natura del terreno e dalle modalità di distruzione <strong>della</strong> città, continuano<br />
a lungo ad alternarsi, nei diari di viaggio, al rimpianto <strong>per</strong> la forzata<br />
interruzione degli scavi (nuovamente sospesi nel 1781), rimpianto che, nelle<br />
schiette parole del commediografo spagnolo Fernández de Moratín, diventa<br />
convinzione di una sicura <strong>per</strong>dita, <strong>per</strong> il ducato, di prestigio culturale e di<br />
un buona fonte di guadagno: «<strong>per</strong>o ya no se trabaja, muchos años haze, por<br />
falta de dinero; y es lastima, pues, dexando aparte quan interesante serie<br />
proseguir las excavaciones por lo que toca a la historia, a la literatura y a las<br />
artes, mirandolo solo como una mera especulacion de comercio, produciria<br />
considerables ganancias» [Append. 20].<br />
Affiora qua e là, nelle relazioni dei viaggiatori stranieri, l’attenzione verso<br />
la cospicua raccolta di suppellettile bronzea, le lucerne, i vasi (alcuni ageminati<br />
in argento), gli elementi decorativi di mobili, l’instrumentum domesticum,<br />
le terracotte figurate e <strong>per</strong>sino i frammenti ceramici, i laterizi, i vetri rimessi<br />
in luce negli scavi veleiati, oggetti che tanto avevano incuriosito il<br />
Caylus e che furono registrati e disegnati con scrupolo meticoloso nelle relazioni<br />
di scavo del conte Costa. Ciò che sembrava colpire di più l’immaginazione<br />
dei visitatori erano il gran numero e la varietà di questo genere di re<strong>per</strong>ti,<br />
tali da ricordare (in tono minore) l’eccezionale raccolta del Museo di<br />
Portici, ma vuoi <strong>per</strong> l’inadeguata scelta espositiva (i re<strong>per</strong>ti erano in gran<br />
parte raccolti, un po’ alla rinfusa, nei locali <strong>della</strong> biblioteca), vuoi <strong>per</strong> l’interesse<br />
solo su<strong>per</strong>ficiale e generico dei viaggiatori del Grand Tour <strong>per</strong> questa<br />
categoria di antichità, riesce difficile dire se in questa articolata e anonima<br />
massa di oggetti ci fosse qualche pezzo cui fosse riservato uno spazio espositivo<br />
privilegiato, e d’altra parte sembra evidente, dalle sommarie descrizioni<br />
di viaggio, l’assenza assoluta di una benché minima suddivisione in classi di<br />
tutto questo materiale.<br />
Carattere ben diverso ha la descrizione di <strong>Veleia</strong> lasciataci dal naturalista<br />
fidentino Plateretti, che proprio in base all’esame di alcuni oggetti di uso<br />
comune ancora conservati in situ e grazie ad una buona conoscenza del materiale<br />
già trasportato nel Museo di Parma si sforzò di ricostruire un quadro<br />
delle attività artigianali e produttive dell’antica città romana: la gran quantità<br />
di scarti ferrosi, i numerosi gangheri, chiodi, martelli gli dettero, ad esempio,<br />
la prova dell’esistenza di numerose fucine, così come i «vari lavori di<br />
grosso e ben tagliato vetro» e le «molte stoviglie di varie sorte d’argilla cotta<br />
che vi si trovano» documentavano l’esistenza di officine vetrarie e ceramiche;<br />
il suo interesse <strong>per</strong> ogni classe di oggetti, compresa la plastica in argilla<br />
(fino a questo momento del tutto trascurata nelle relazioni dei viaggiatori<br />
sulle antichità di <strong>Veleia</strong>), spiega il rilievo dato, nel suo resoconto di viaggio,<br />
al «semibusto d’una statua colossale che stimasi un Laocoonte cui manca il
su<strong>per</strong>iore <strong>della</strong> cucuzza portato via da una aratro in tempo che trovavasi così<br />
ritto sepolto», un’o<strong>per</strong>a in terracotta oggi di difficile identificazione 33 . Le<br />
controverse opinioni sulle cause che condussero alla distruzione di <strong>Veleia</strong>, e<br />
in particolare le notizie relative all’esistenza di un vulcano in prossimità <strong>della</strong><br />
città antica, lo stimolarono poi a ricercare (con la complicità del custode<br />
degli scavi) tutti i re<strong>per</strong>ti di pietra lavica ancora conservati in prossimità dell’area<br />
indagata e quindi ad analizzare i numerosi frammenti di macine (tra<br />
cui quella con incisa la sigla VR capovolta), ma che solo molti anni più tardi<br />
troveranno spazio in una pubblicazione scientifica 34 .<br />
I primi decenni del XIX secolo non registrano novità di rilievo nei resoconti<br />
dei viaggiatori in visita ai re<strong>per</strong>ti veleiati, se si eccettua la sempre maggiore<br />
attenzione verso le antichità “minori”, i vetri, le terrecotte, i frammenti<br />
ceramici, i laterizi, materiali che proprio il nuovo allestimento museale<br />
proposto dal De Lama a partire dal 1816 aveva contribuito a rivalutare e<br />
che presto divenne una delle principali curiosità del museo parmense: le<br />
competenti segnalazioni di Giulio Cordero di San Quintino e del Vermiglioli<br />
a proposito delle ricche collezioni di vetri policromi e di ceramiche variamente<br />
decorate provenienti da <strong>Veleia</strong> 35 , indizio evidente di una sempre maggiore<br />
sensibilità scientifica verso queste classi di oggetti, testimonieranno<br />
dell’importante contributo fornito dalle raccolte parmensi agli ancora timidi<br />
tentativi di studio e catalogazione di un materiale fino ad allora quasi del<br />
tutto trascurato.<br />
Appendice documentaria<br />
1) Joseph de La Porte, Le voyageur françois ou la connoissance de l’ancien et<br />
du nouveau monde, Paris 1765-1795, XXV (1779), pp. 221-23, lettera 327,<br />
Parma 31 ott. 1757:<br />
On peut voir, à quelques lieues de Plaisance, les ruines de Velleia, qui fut,<br />
dit-on, écrasée par l’écroulement d’un rocher de l’Apennin. On conjecture<br />
du grand nombre d’ossemens, de médailles et de monnoies qu’on y trouve,<br />
que les Habitants ont été surpris et engloutis avec toutes leurs richesses. Une<br />
33 Non sembra, infatti possibile, riconoscere il pezzo visto dal Plateretti, e definito “colossale”,<br />
in nessuna delle statuette in terracotta rinvenute a <strong>Veleia</strong> fin dagli anni Sessanta del<br />
Settecento e ancora oggi conservate nel Museo Archeologico di Parma.<br />
34 Le mole “trusatili” ed “asinarie” in pietra lavica rinvenute a <strong>Veleia</strong> saranno <strong>per</strong> la prima<br />
volta pubblicate dal De Lama nella sua Guida, edita nel 1824 (De Lama 1824a, pp. 147-48).<br />
35 Vedi supra, cap. III, pp. 152-56.<br />
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190<br />
matiere bitumineuse, qui s’alume à l’approche du feu, deux fontaines voisines,<br />
dont l’eau bouillonne sans être chaude, et l’autre s’enflamme à sa surface,<br />
par l’approche d’un flambeau, des médailles fondues, et quelques matieres<br />
noires ont fait croire que le renversement avoit été occasionné par un volcan.<br />
On ignore le tems et la maniere de cette destruction; mais on y a découvert<br />
des monumens posterieurs à Costantin. Les morceaux de rochers qui<br />
couvrent les ruines à plus de vingt pieds, en rendent la fouille difficile, et<br />
presque infructueuse, parce que tout est écrasé: on ap<strong>per</strong>çoit seulement<br />
quelle en étoit l’étendue; que les maisons, séparées en forme d’isle, étoient<br />
pavées les unes en marbre, d’autres en mosaïque, qu’il y avoit une place publique<br />
très-ornée, environnée de colonnes, avec un canal autour pour l’écoulement<br />
des eaux. Au milieu étoit un autel consacré à Auguste, et autour, des<br />
sièges en marbre, soutenus par des lions. On y a trouvé aussi des peintures,<br />
et quelques vases de bronze assez bien conservés.<br />
2) Saint-Non-Fragonard, Panopticon italiano. Un diario di viaggio ritrovato<br />
1759-1761, a cura di P. Rosenberg, Roma 1986, pp. 233-34 (agosto 1761):<br />
Mentre partivo <strong>per</strong> Piacenza, M. de Tillot mi diede i <strong>per</strong>messi necessari<br />
<strong>per</strong> visitare i nuovi scavi di Macinesse, e tutte le statue antiche e i frammenti<br />
sco<strong>per</strong>ti negli ultimi 8 mesi in quel luogo; inoltre mi consegnò lettere <strong>per</strong><br />
il Conte Costa, che abita a Piacenza e che dirige i lavori di scavo. Dalle<br />
piante che mi aveva mostrato e dalla dozzina di iscrizioni e una trentina di<br />
medaglie, era chiaro che la nuova sco<strong>per</strong>ta si sarebbe rivelata un oggetto di<br />
curiosità molto interessante; lo sarebbe stato maggiormente, <strong>per</strong>ò, se gli<br />
abitanti del luogo non avessero già <strong>per</strong>lustrato la zona negli ultimi due o<br />
trecento anni, rubando e asportando tutto quello che trovavano, cosa che<br />
risulta chiara dalla ricchezza e le rendite che questi semplici vignaioli si sono<br />
fatte scavando e vendendo. Questo si fa ancora più evidente se osserviamo<br />
che sulle fondamenta del campanile e <strong>della</strong> chiesa del luogo, costruiti<br />
molto anticamente, si trovano e si possono vedere chiaramente frammenti<br />
di statue di marmo, di iscrizioni e altri pezzi, che non potevano venire da<br />
un’altra parte.<br />
Il luogo dove hanno cominciato gli scavi si chiama Macinesso, piccolo villaggio<br />
di montagna a 22 miglia da Piacenza. Emerge chiaramente dalle iscrizioni<br />
trovate che la città antica costuita in questo luogo apparteneva ai Velleiani;<br />
non si trova quasi nessun accenno a questa città negli autori antichi<br />
tranne che in Flegone, che la cita una sola volta, e in Plinio che parla soprattutto<br />
<strong>della</strong> sua aria salubre. Non sappiamo nulla nemmeno sull’epoca o le ragioni<br />
che hanno portato alla distruzione <strong>della</strong> città: si pensa che fosse un terremoto,<br />
ma quale che fosse la catastrofe che fece <strong>per</strong>ire Velleia, deve essere
stata terribile e immediata, a giudicare dalla quantità di ossa e scheletri che vi<br />
si trovano, e dalla rottura quasi totale di tutti i marmi e tutte le statue.<br />
Il luogo dove hanno scavato fino ad ora, e che è ormai completamente<br />
sco<strong>per</strong>to, assomiglia, secondo le congetture, a un tempio o a delle terme, o<br />
più probabilmente a una specie di foro, dove si amministrava la giustizia,<br />
come sembrano testimoniare alcune iscrizioni. È in questo punto che si son<br />
trovate 12 o 14 statue di marmo quasi intere, che potrebbero essere i ritratti<br />
di un’unica famiglia: sono tutte figure drappeggiate, tra cui alcune di una<br />
bellezza eccezionale <strong>per</strong> l’espressione generale dei volti e soprattutto <strong>per</strong><br />
l’eleganza e la squisita lavorazione dei drappeggi.<br />
Per quanto riguarda il <strong>per</strong>iodo in cui è esistita questa città, è assai difficile<br />
stabilirlo. Non essendoci nessun indizio sulla data di fondazione, né sull’epoca<br />
<strong>della</strong> sua distruzione, sappiamo soltanto, con l’aiuto di molte iscrizioni<br />
e in particolare di medaglie, che esisteva al tempo di Cesare e di Augusto;<br />
e che durava ancora verso la fine dell’im<strong>per</strong>o romano, dato che sono<br />
state trovate testimonianze che vanno dal tempo di Costantino fino agli ultimi<br />
im<strong>per</strong>atori.<br />
3) Jérôme Richard, Description historique et critique de l’Italie, Paris 1766<br />
(viaggio: 1761-1762), vol. II, p. 15:<br />
on a découvert depuis quelques années les ruines d’une ancienne ville<br />
nommée Velleïa, abymée par quelque bouleversement dont on ne soit point<br />
le temps, ni la maniere. On prétend que l’on y trouve des monumens antiques<br />
très-précieux. L’Infant duc de Parme qui fait fouiller dans ces ruines,<br />
n’a pas encore jugé à propos d’en rien mettre au jour.<br />
Ibidem, p. 33 (Galleria):<br />
On y a placé depuis peu un tableau de Pompeïo Battoni, peintre vivant à<br />
Rome, qui a pour sujet l’éducation d’Achille: il remporta le prix de peinture<br />
de l’académie de Parme il y a quelques années. Un des éleves de Battoni a<br />
remporté le prix de la même académie en 1762, par un tableau qui a pour<br />
sujet l’assemblée des Dieux; il est fort imité d’un des tableaux de plafond<br />
du petit palais Farnese à Rome, peint par Raphaël: j’en fait mention, parce<br />
que je l’ai vu travailler à Rome.<br />
On voit dans cette même galerie, que l’Infant a donné à l’usage de l’académie<br />
de peinture et de sculpture, quelques plâtres modelés après l’antique.<br />
[Nella traduzione italiana, edita a Londra nel 1781, II, p. 37 è aggiunto:<br />
«si vede un buonissimo busto di Vespasiano, e un quadro, che si dice essere<br />
del Poussin»].<br />
191
192<br />
4) Gabriel François Coyer, Voyage d’Italie, Paris 1776 (viaggio: 1763-1764),<br />
vol. I, p. 82 (lettera XI, Parma 19 ott. 1763):<br />
Les lettres et les beaux arts ne sont pas oubliés. Ce Savant Théatin que<br />
vous avez pu voir à Paris, appellé par le Souverain, forme une bibliothèque<br />
publique, qui, avec le tems, fera naître le savoir et le goût. Une Académie de<br />
peinture, de sculpture et d’architecture, distribue des prix pour dévelop<strong>per</strong><br />
les talens. Ces trois Arts concourent aussi à embellir la Ville.<br />
Ibidem, vol. II, pp. 136-41 (lettera XLVII, Parma 27 giugno 1764):<br />
Ce Prince, qui se prête à tout ce qui peut éclairer l’histoire, fait fouiller<br />
depuis cinq ans, dans les ruines d’une grande Ville qui disparut, on ignore<br />
en quel siècle. Ce que je vais vous en dire, c’est pour le communiquer à notre<br />
ami commun de l’Académie des Inscriptions. Cette ville existait du tems<br />
de Pline, qui en parle en ces termes (VII, 49) «citra Placentiam in collibus<br />
oppidum est Velleïatium in quo CX annos, sex detulere». Ce passage un<br />
peu obscur, comme on en trouve plusieurs dans Pline, pourrait vous embarasser:<br />
en voici la traduction […]. Plégon de Tralle, affranchi de l’Em<strong>per</strong>eur<br />
Adrien, dans le livre de Macrobiis, la nomme Polis Beleïa, et encore Ouleïa.<br />
Voilà les deux seuls Auteurs qui parlent de cette ville, qui les savans d’Italie<br />
s’accordent à nommer Velleïa. Sa position est à huit milles de Plaisance,<br />
près de Massinissa.<br />
On vient de trouver dans la fouille deux Inscriptions sur marbre, avec le<br />
mot Velleïatium: on lit dans l’une et l’autre Respublica Velleïatium. Les Velleïens,<br />
comme on le voit dans la Table Théodosienne, occupaient un grand<br />
pays. Velléïa en était la capitale. Ce second fait est attesté par deux tables de<br />
bronze, trouvées dans la fouille, et conservées dans la Salle de l’Académie<br />
de Parme. L’une contient les bienfaits de Trajan, pour les orphelins. Tout les<br />
biens qu’il avait assignés, pour leur entretien, y sont gravés. Elle était affichée<br />
dans une rue peu éloignée de la place publique, avec une belle bordure<br />
de bronze, encadrée dans une autre de marbre […]. La seconde table contient<br />
des Loix pour toute la Gaule Cisalpine. Un corps de Loix qui doit régler<br />
tout le pays, doit naturellement se placer dans la capitale. Velleïa était<br />
non-seulement la capitale du pays: plusieurs raisons font juger qu’elle était<br />
encore une Ville considérable, une grande Ville.<br />
1° Elle devait avoir la grandeur qui convient à la premiere Ville d’un<br />
grand pays policé par les Romains.<br />
2° Elle avait tous les édifices qu’on élevait dans les grandes Villes. Par<br />
exemple, le forum, qui était d’une grande magnificence, entouré de<br />
colonnes et de statues qu’on a trouvé renversées et mutilées, pavé
d’un marbre avec une inscription en lettre de bronze qui traversait le<br />
pavé: au milieu était un Autel érigé à Auguste. Elle avait un autre<br />
grand monument, le Chalcidicum, Palais où l’on rendait la justice pour<br />
les monnoies, et on vient de découvrir un grand cirque dont on ne<br />
peut pas encore décider l’usage, vu la forme et les bâtimens attenans,<br />
qui sont tellement ruinés, qu’il n’est guères possible de conjecturer juste».<br />
3° On a trouvé dans ses ruines une quantité prodigieuse de médailles, en<br />
toutes sortes de métaux, parmi lesquelles il y en a de précieuses. Environ<br />
soixante inscriptions à differens Em<strong>per</strong>eurs, jusqu’à Aurélien;<br />
treize statues de marbre, mais assez maltraitées; des fragmens d’une<br />
statue colossale de bronze doré de l’Em<strong>per</strong>eur Adrien, la tête qui est<br />
fort belle, un pied, une main, et quelques lambeaux de la dra<strong>per</strong>ie.<br />
4° Des appartemens pavés de mosaïque, découverts dans les fouilles, des<br />
bas-reliefs; quantité de bordures de bronze doré, et fort bien travaillées,<br />
toutes sortes d’utensiles et d’ornemens. Tout cela indique une Ville<br />
où les Arts étoient en honneur, une Ville opulente.<br />
Jusqu’à ce jour, quoiqu’on ait découvert des bâtimens de toute espèce, on<br />
n’a trouvé aucun Temple. Il y en avait, sans doute, puisque les fouilles donnent<br />
sans cesse des ex voto, soit en bronze, soit en terre cuite: puisqu’on en a<br />
tiré une belle statue d’Hercule en bronze, avec l’inscription qui designe une<br />
confrérie, Sodalitium, dévouée à ce Dieu. On ignore absolument le tems de la<br />
destruction de Velleïa. On y trouve des médailles du bas Empire, frappées<br />
sous des Princes qui ont régné après Constantin. Le silence des Ecrivains, sur<br />
l’époque de sa destruction, marque un siècle barbare où l’on maniait l’épée<br />
plus que la plume; où l’on ne tenait compte de rien. Quant à la cause, il ne paraît<br />
pas qu’on doive l’attribuer à un volcan, dont on ne trouve aucun vestige<br />
ni dans le local, ni dans l’histoire. D’ailleurs, un volcan, en enterrant une Ville,<br />
laisse quantité de choses dans leur entier, comme on le voit à Herculanum et à<br />
Pompéïa. Ici tout, ou presque tout, est brisé, écrâsé, abimé. Il faut donc recouvrir<br />
à une autre cause; à l’éboulement d’une moitié de la montagne au<br />
pied de laquelle la Ville était assise. […] Un pareil accident a détruit en 1761<br />
le village Picinisco, non loin du Mont-Cassin dans le Royaume de Naples.<br />
5) Edward Gibbon, Viaggio in Italia, Milano 1965, pp. 124-27 (14 giugno<br />
1764):<br />
L’Accademia Reale. La costruzione abbastanza estesa si trova nel medesimo<br />
corpo di fabbrica del teatro. Qui i Farnese avevano posto quel Museo<br />
che non la cedeva se non a quello di Firenze; ma quando l’Infante Don Carlos<br />
passò sul trono di Napoli si prevalse del diritto d’erede <strong>della</strong> casa Farne-<br />
193
194<br />
se <strong>per</strong> trasportare nel suo nuovo stato i tesori di quella raccolta. Se suo fratello<br />
possiede oggi qualcosa di interessante non la deve che all’ingiustizia e<br />
al caso. Quella gli procurò il famoso quadro del Correggio, questo ha sco<strong>per</strong>to<br />
le antichità di <strong>Veleia</strong>. Verso l’anno 1747, alcuni o<strong>per</strong>ai che lavoravano<br />
a Villora nelle montagne di Parma disseppellirono una grande tavola di<br />
bronzo. Le ricerche furono continuate e a poco a poco <strong>per</strong>vennero a scoprire<br />
le rovine di una città che può essere soltanto l’antica <strong>Veleia</strong> situata in<br />
quelle zone e che deve essere stata sepolta dalla frana di un monte. Queste<br />
macerie si trovavano talvolta a fior di terra e talvolta a grande profondità.<br />
Non penso che abbiano mai trovato una abitazione completa e nemmeno<br />
vestigia di qualche edificio pubblico, sebbene <strong>Veleia</strong> dovesse averne, salvo<br />
non fossero stati templi. Ma sulla situazione delle mura è stata tracciata una<br />
specie di Carta di <strong>Veleia</strong>, che pare sia stata grande. Vi sono state trovate<br />
molte statue, lampade e altre antichità. Il Duca vi tiene sempre un Direttore<br />
dei lavori con una quarantina di o<strong>per</strong>ai e a misura che un luogo è stato<br />
sfruttato, lo si colma di terra. Ecco tutto quanto ho potuto sa<strong>per</strong>e, <strong>per</strong> via<br />
dell’antipatica aria di mistero che la Corte ostenta sull’argomento. Il Duca si<br />
propone quando tutto sarà stato rintracciato, di rendere pubbliche le sco<strong>per</strong>te<br />
e vuole essere il primo a farlo. È <strong>per</strong>messo appena di osservare, ma<br />
non di copiare qualche cosa. Soltanto grazie al Duca di York noi abbiamo<br />
potuto vedere una piccola parte delle statue che avevano collocate <strong>per</strong> lui<br />
nella Galleria. Di interessante ho visto:<br />
1. Una grande tavola di bronzo lunga da sei a sette piedi, e larga da quattro<br />
a cinque, ma estremamente sottile, tanto che nel recu<strong>per</strong>arla i contadini<br />
l’hanno spezzata in cinque pezzi che sono stati posti l’uno accanto<br />
all’altro sopra un tavolo. Il bronzo è interamente co<strong>per</strong>to di caratteri<br />
piccoli e eccessivamente serrati, che formano una quantità di<br />
iscrizioni troppo notevoli <strong>per</strong> la lettura di una mezz’ora. Il Custode<br />
<strong>della</strong> collezione mi ha mostrato una dissertazione sulla Tavola del sapiente<br />
Muratori. È un regolamento di Traiano <strong>per</strong> l’educazionee il nutrimento<br />
di un certo numero di fanciulli poveri di <strong>Veleia</strong>.<br />
2. Una piccola statua di bronzo; un Ercole che un certo Domitius Secundio<br />
offre in dono a una Confraternita consacrata al culto del dio. Ha<br />
molta forza ed espressività ma il colle è di una grossezza enorme.<br />
3. Una piccola figura alata: la si crede una Vittoria, ma non porta nessun<br />
simbolo che la possa designare. La testa e le ali sono liberissime e naturali;<br />
ma <strong>per</strong> volerle dare snellezza il corpo è un po’ assottigliato.<br />
4. Un giovane Nerone con indosso la pretesta e al collo la bolla che è un<br />
medaglione con un sottile contorno di bosso. La statua non ha braccia,<br />
ma sono state trovate dopo e contano di riattaccarle, è di grandezza<br />
naturale e non brutta.
5. Una statua essa pure di grandezza naturale. È una donna e avendola<br />
trovata accanto all’altra si crede che possa essere un’Agrippina. Non<br />
è che un tronco senza testa e senza gambe, ma il contorno <strong>per</strong>fetto<br />
<strong>della</strong> figura e il drappeggio leggero arrendevole ovunque alla pressione<br />
del corpo di cui scopre tutte le parti lo rendono degno di essere<br />
collocato di fronte al quadro del Correggio. Soltanto a coloro che<br />
hanno veduto simili capolavori oserei lodare la bellezza di una statua<br />
quasi informe.<br />
Vi sono anche alcune iscrizioni dissepolte a <strong>Veleia</strong>, ma non hanno grande<br />
pregio. Ve n’è una che riguarda Agrippina e un’altra che ho tenuto a memoria:<br />
Ti. Claudio Cesari/Augusto Germanico.Pont. Max. Tr. Pot./II Imp. III<br />
Consul/Designato III/ P.P./D.D.<br />
È strano che la maggior parte di questi monumenti si riferisca al secolo<br />
di Claudio e anche alla fine del suo regno. L’iscrizione Divo Augusto gli conviene<br />
ancora. Fino alla consacrazione di Claudio stesso non v’era che un solo<br />
Divus Augustus che poteva essere designato in assoluto. La memoria di<br />
Tiberio e di Caligola era stata condannata dal Senato.<br />
Ibidem, p. 143 (Firenze, 25 giugno 1764):<br />
Mi sono procurato due volumi dei Simbolae Florentinae del Gori <strong>per</strong> leggere<br />
la dissertazione del Muratori sulla tavola di bronzo trovata presso Velleia,<br />
che si accompagna a una copia discretamente esatta <strong>della</strong> tavola stessa.<br />
V. Symbolae. Tom. V, p. 1-56, e sette fogli <strong>per</strong> la tavola. La dissertazione è<br />
stata scritta con erudizione, precisione e chiarezza. Il Muratori non è un<br />
semplice erudito. Prova benissimo che Traiano fu il primo a istituire dei<br />
Pueri Alimentarii in Italia l’anno di Cristo 103; che questa istituzione fu inutilmente<br />
mantenuta dai suoi successori sino al regno di Pertinace il quale<br />
l’abolì, e che da questa iscrizione unica <strong>per</strong> la sua estensione si possono trarre<br />
molti lumi sulla storia, la geografia, l’economia di quel secolo. La penso<br />
come lui, ma dopo avervi riflettuto credo che egli non le abbia tratte interamente.<br />
Ibidem, p. 180 (Firenze 9 luglio 1764, Galleria degli Uffizi):<br />
[a proposito di un “puer bollatus” visto nella Stanza dell’Ermafrodito] vi si<br />
riscontra poi la piccola curiosità <strong>della</strong> Bolla. Questa è del tutto simile a quella<br />
di Parma.<br />
195
196<br />
6) Joseph Jérôme de Lalande, Voyage d’un François en Italie fait dans les années<br />
1765 et 1766, Yverdon 1769-1770 (1765), I, p. 382:<br />
(Palazzo Ducale) On voit dans ce Palais plusieurs antiques tirés de Velleia,<br />
ancienne Colonie Romaine, dont nous parlerons plus bas; il y a sur-tout<br />
dans un hangar qui est au bas du théâtre, plusieurs statues, grandes comme<br />
nature, tirées des fouilles de cette ancienne ville.<br />
Ibidem, pp. 418-25 (<strong>Veleia</strong>):<br />
Velleia étoit une ville ancienne, dont les restes se voient à sept lieues de<br />
Plaisance, vers le midi, dans le Plaisantin [...] au pied de deux montagnes<br />
très-hautes, nommées Moria et Rovinasso, qui sont partie de l’Apennin; ce<br />
fut l’écroulement d’une partie de ces montagnes qui causa la ruine de Velleia.<br />
On voit encore que ces montagnes sont fendues, et l’on reconnoît aisément<br />
qu’il s’en est détaché des masses de rochers que l’on retrouve sur les<br />
débris de cette ville; car on voit toutes les colonnes renversées du côté opposé<br />
aux montagnes; les murs qui restent en place sont inclinés du même<br />
sens, c’est-à-dire, du côté où ils ont été poussés par les terres et les rochers<br />
venus à la fois des deux montagnes [...]. A en juger par le grand nombre<br />
d’ossemens qu’on a trouvé dans les ruines, et par la quantité de médailles et<br />
de monnoie qu’on en retire, les habitans n’eurent pas le temps de se sauver<br />
[...]. On ne sait pas dans quel temps Velleia fut ensevelie sous ces rochers; la<br />
date de cet événement est probablement du quatrième siècle; car l’on n’a<br />
pas trouvé à Velleia de monumens publics postérieurs au règne de Probus,<br />
qui mourut en l’an 282 et l’on y trouve cependant beaucoup de médailles<br />
des Em<strong>per</strong>eurs qui ont succédé à Costantin, dans les années 337 et suivantes;<br />
c’est donc plusieurs années après la mort de Costantin que cette ville fut<br />
abymée.<br />
On a commencé en 1760, à faire des fouilles dans les ruines de Velleia<br />
par ordre du Duc de Parme; on n’est pas fort avancé, parce que la difficulté<br />
y est extrême; les bâtimens y sont couverts de rochers, à plus de 20 pieds de<br />
hauteur, les statues et tout ce qui est dessous, est tellement mutilé et fracassé<br />
qu’on n’en peut retirer aucun avantages; et comme les difficultés augmentent<br />
encore en approchant de la montagne, on a presque renoncé à ces travaux<br />
depuis 1764. [...] La plus grande partie de Velleia étoit bâtie sur le<br />
penchant de la colline; les maisons étoient séparées en forme d’isles, et formoient<br />
un amphitéâtre, dont les différens étages communiquoient par des<br />
degrés; les appartemens inférieurs des maisons étoient placés sur un faux<br />
plancher, soutenu par des piliers de terre cuite, où l’air pouvoit circuler et<br />
garantir les maisons de l’humidité; ces maisons paroissent simples, il y en
avoit seulement quelques-unes pavèes de marbre, d’autres de mosaïques.<br />
On y a trouvé des peintures, des bustes en marbre, de bains de même matière<br />
et des ornemens d’assez bon genre; des vases de bronze incrustés en argent;<br />
des meubles et ustensiles domestiques du bon goût; des ouvrages de<br />
terre cuite, fins et élégans. On y a trouvé un panneau de peinture qui étoit<br />
un peu dans le goût Chinois; c’est un genre grotesque assez usité chez les<br />
Romains, et que Raphaël a imité en copiant les peintures des anciens édifices.<br />
On en a tiré aussi un bas-relief en marbre dans le goût Egyptien, d’une<br />
assez belle exécution, et deux chapitaux Egyptiens dans lesquels, au lieu de<br />
volutes et de feuillages, il y a de petites figures: on sait que le Romains se<br />
plurent quelquefois à imiter le genre des Egyptiens. Beaucoup de moulures<br />
de bronze très-bien faites, prouvent qu’il y avoit des ornemens très-riches<br />
dans les édifices de Velleia.<br />
Le plan de la partie où l’on a fouillé jusqu’ici, a été levé, et il se voit dans<br />
la galerie du Château de Parme. Vers le milieu on voit une place publique<br />
très-ornée; une inscription en lettres de bronze qui traverse la place, apprend<br />
qu’elle fût pavée de grosses pierres aux frais d’un Velleiate, nommé<br />
Lucius Lucilius; au milieu se voyoit un autel consacré à l’em<strong>per</strong>eur Auguste.<br />
Elle étoit environné des colonnes de marbre (marmo cipollino), dont quelques-unes<br />
y sont encore, avec un canal tout autour, pour l’écoulement des<br />
eaux; il y avoit aussi de très-beaux sièges de marbre, soutenus par des lions;<br />
on y a trouvé aussi une statue de bronze, représentant une Victoire aîlée, les<br />
bras élevés, dans l’attitude de soutenir une couronne, un bassin de fontaine,<br />
ou un cadran solaire, ou autre chose semblable. Parmi les édifices considérables<br />
de Velleia, l’on voit qu’il y avoit, comme dans les grandes villes, un<br />
Chalcidicum [...]. Il avoit été bâti par Bebia, fille de Titus, en faveur de ses<br />
concitoyens, pro municipibus suis. Une autre inscription nous apprend qu’il<br />
y avoit une basilique bâtie par C. Sabinus, pontife, duumvir et préfet des artisans<br />
[parla poi a lungo delle due tavole legislative in bronzo]. On y a trouvé<br />
beaucoup d’idôles, les unes de marbre, les autres de terre grasse; une statue<br />
colossale de l’em<strong>per</strong>eur Adrien, dont il ne reste que la tête, avec un<br />
pied, une main et une partie de la dra<strong>per</strong>ie; une statue de Néron encore jeune,<br />
ayant au col la bulla; une de Galba, en habit militaire, avec son armure,<br />
et d’autres statues de plusieurs <strong>per</strong>sonages consulaires, dont quelques-unes<br />
sont de bonne main; il y en a même une que l’on regarde comme un des<br />
bons ouvrages de la sculpture grecque. Parmi ces statues on en voit beaucoup<br />
en bronze doré. On a encore tiré de Velleia plusieurs inscriptions à l’honneur<br />
de Germanicus, de Vespasien, d’Aurelien, de Probus, d’Agrippine,<br />
de Drusilla, de Julia Mammea, de Tranquillina etc. Il y en a une qui fait<br />
mention du college des Artisans de la ville, une autre parle de la Congrégation<br />
d’Hercule, Sodalitium Cultorum Herculis. On y a trouvé des balances,<br />
197
198<br />
des poida, marqués pour la fidélité du commerce, des masques pour l’usage<br />
des spectacles, et autres meubles qui pourroient dejà former un cabinet<br />
d’antiques. On n’y a poit reconnu de temple, ni de théâtre [...] mais on a<br />
trouvé les aqueducs qui distribuoient l’eau dans la ville; un château d’eau<br />
qui servoit de point de partage; des bains qui en étoient tout proche, et<br />
d’autres chambres qui paroissent avoir servi à des étuves [...]. Les Journaux<br />
ont beaucoup parlé de Velleia depuis quelques années; mais la plupart<br />
d’une manière très-vague, et très-peu exacte. Le Père Paciaudi, célébre antiquaire<br />
de Parme, qui a lui-même assisté à plusieurs fouilles, a fait à ce sujet<br />
un Mémoire fort détaillé, dont on a donné l’extrait dans le quatrième Tome<br />
de la Gazette Littéraire d’Europe (3 mars 1765, page 353); c’est delà que j’ai<br />
tiré une partie des notions précédentes, qui manquoient à tout nos voyages<br />
d’Italie. M. Costa, chanoine de Parme, présidoit aux fouilles que l’on a faites<br />
à Velleia, il en avoit décrit les monumens et se proposoit de les publier.<br />
Depuis sa mort ce soin a été confié au P. Paciaudi, qui fait un grand ouvrage<br />
sur cette matiere; l’on travaille aux planches qui doivent l’accompagner: on<br />
y verra le plan général de la ville, des édifices, des places, des rues; il y aura<br />
moins de choses que dans les monumens d’Herculane, mais des morceaux<br />
peut-être plus instructifs pour ceux qui aiment l’antiquité.<br />
Ibidem, vol. II, p. 125:<br />
A Velleia, près de Plaisance, il y a une eau sur laquelle regne une vapeur<br />
inflammable qui a l’odeur de benjoin ... . Ce sont des indications que je<br />
fournis à la curiosité de quelque voyageur qui aura plus de loisir que moi.<br />
7) Michele Giorgio Mniszech, Journal de voyage (ms. presso l’<strong>Istituto</strong> di Archeologia<br />
e Storia dell’Arte di Palazzo Venezia, Roma, parzialmente edito in<br />
Razzetti 1991, pp. 235-38), pp. 237-38:<br />
Academie de Parme. Joignant au theatre sont les restes de la Galerie des<br />
Farneses et l’on a consacré quelques salles pur l’Academie de sculpture et<br />
de peinture que l’Infant protege. Il y a dans ces salles quelques platres modelés<br />
d’après les statues antiques qui sont à Florence et quelques morceaux<br />
de sculpture moderne. Les antiquité trouvées à Velleja ancienne ville que<br />
l’on a découvert à quelques milles de Parme et qui avoit eté abimée par<br />
quelqu’accident dont on ne conoit ni l’epoque ni la cause. On y a trouvé entre<br />
autres plusieurs plagues de cuivre avec des inscriptions gravées et qui<br />
n’ont encore eté ni publiées ni expliquées. Les lettres sont majuscules et assez<br />
bien faites. Il y a dans la salle des assemblées de l’academie un admirable<br />
tableau de Correge.
8) Louis-Henri Compte de Vienne, Journal d’un voyage en Italie fait en<br />
1774 (Dijon, Bibl. Publique Ms 557; fotocopia presso la Biblioteca Hertziana<br />
di Roma), pp. 152-54:<br />
L’accademie est un beau et grand batiment, qui renferme plusieurs salles<br />
très vastes dans les quelles on a rassemblé un grand nombres de tableaux,<br />
de vazes et de statues antiques; ces dernieres ont été trouvées dans le fouilles<br />
qu’on a faites a Velleia; cette ville dont en passant je vais dire deux mots;<br />
étoit dans des tems fort reculés une petite république faisant partie de la<br />
confederation des liguriens, on n’est pas sur du tems ou elle fut assujette par<br />
les armes des romains mais on sait que sous l’em<strong>per</strong>eur Trajan, elle étoit déjà<br />
elevée au rang de ville municipale et qu’elle étoit alors très considerable:<br />
sa situation au pied de deux montagnes très éscarpées de l’apennin a été la<br />
cause de sa ruine et de son entiere destruction; ces deux montagnes s’etant<br />
entreuvertes a la suite sans doute de quelque tremblement de terre considerable<br />
la ville de Velleia se trouva tout a coup engloutie sous leurs debris et<br />
couverte a une grande hauteur de terres et de rochers: on croit que ce funeste<br />
évenément est du quatrieme siècle: ce qu’il y a de certain, c’est que depuis<br />
cette époque, il n’en a plus été parlé, et que se n’est que depuis mil sept<br />
cent soixante, que le hazard en ayant fait découvrir quelques vestiges on a<br />
commancé a y faire des fouilles par ordre de l’infant don Philippe d’Espagne:<br />
les ruines de cette malheureuse ville sont a sept lieues de Plaisance sur<br />
le bords de la riviere de chero, mais revenons au Museum de Parme dont<br />
cette digression nous avoit eloigné.<br />
Les differentes salles dont il est composé, renserrent un grand nombre<br />
de tableaux et d’antiques: on y trouve une bibliothèque de plus de trente<br />
milles volumes, une autre piece est destinée aux manuscrits ...<br />
9) Jean-Dominique Cassini, Manuel de l’étranger qui voyage en Italie, Paris<br />
1778 (1775), p. 248:<br />
Mais il y a une excursion bien plus intéressante à faire, si vous êtes curieux<br />
d’antiquités; c’est le voyage de Velleia, ancienne ville ensevelie sous un<br />
monceau de rochers, et dont on s’occupe à dégager et à rétirer les débris.<br />
10) Jean Bernoulli, Lettres sur différens sujets, écrites pendant le cours d’un<br />
voyage par l’Allemagne, la Suisse, la France Méridionale et l’Italie en 1774 et<br />
1775, III, Berlin 1779, lettera XII, Parma 14 marzo 1775, p. 176:<br />
(Accademia) J’y vis quantité d’antiquités tireés de Velleja, entr’autres un<br />
beau buste, bien conservé, de Vitellius.<br />
199
200<br />
11) Jean-Marie Roland de la Platière, Lettres écrites de Suisse, d’Italie, de Sicile<br />
et de Malthe en 1776, 1777 et 1778, Amsterdam 1780, vol. II, p. 14:<br />
L’Academie a encore réuni différents morceaux d’antiquité, tirés des fouilles<br />
de Velleia, ville Romaine, au midi de la route de Plaisance à Parme,<br />
ensouite dans un tremblement de terre dont on ignore l’époque; <strong>per</strong>due,<br />
oubliée et découverte depuis quelques années. Elle a ajouté à ceux connus<br />
et publics, un Hercule colossal, en pièces, qu’on rapproche actuellement, et<br />
qui est très-beau; un Bacchus; une autre belle figure; plusieurs autres de<br />
moindre grandeur; beaucoup d’ustensiles divers. Quel dommage qu’on néglige<br />
ces fouilles, dont il pourroit résulter une collection très-précieuse!<br />
12) Jean Baptiste Marie Guidi, Lettres contenant le Journal d’un voyage fait<br />
a Rome en 1783, Geneve 1783, vol. II, pp. 227-28 (lettera XXXV):<br />
Les assemblées de l’Académie se tiennent dans de vastes salles, dont la<br />
première est remplie de tous les ouvrages couronnés: on voit dans la seconde<br />
de belles statues, et des plâtres des meilleurs antiques d’après lesquels les<br />
élèves peuvent travailler.<br />
On a fait depuis peu dans un des premiers cabinets de l’Académie, un<br />
recueil de plusieurs antiquités très-curieuses, tirées des ruines de Velleia, ville<br />
ancienne à sept lieues de Plaisance, qui fut ensevelie sous des rochers qui<br />
se détachèrent des montagnes dans le troisième siècle. Le duc de Parme défunt<br />
y a fait travailler pendant plusieurs années et l’on en a retiré des médailles<br />
des statues, grand nombre d’inscriptions et d’ordonnances des Em<strong>per</strong>eurs:<br />
la plus singulière est de bronze, et contient un établissement en faveur<br />
des enfans trouvés sous l’em<strong>per</strong>eur Trajan. Depuis 1764 on ne travaille<br />
plus aux fouilles de Velleia.<br />
13) Mary Berry, diari di viaggio editi in B. Riccio (a cura di), Mary Berry<br />
un’inglese in Italia. Diari e corrispondenza dal 1783 al 1823. Arte, <strong>per</strong>sonaggi<br />
e società, Roma 2000, pp. 33-34 (Parma, 7 novembre 1783):<br />
Annessa al Palazzo si trova l’Accademia Reale di Pittura e Scultura, nella<br />
cui Galleria si trovano modelli di tutti i re<strong>per</strong>ti antichi ad uso degli studenti<br />
e qualche statua classica. Una figura femminile panneggiata, proveniente da<br />
Velleia, pur priva di testa e braccia, è molto bella, e un busto di Vitellio in<br />
marmo bianco, di dimensioni assai ridotte rispetto al reale, è di un’espressività<br />
quasi pittorica. [...] In un altro appartamento dell’Accademia si conserva<br />
il privilegio o statuto che Traiano concesse ai Velleiani, rinvenuto a Velleia;<br />
è inciso su una tavoletta di rame lunga circa sei piedi, incorniciata da una
lamina di rame; pur essendo spezzata in più pezzi, è <strong>per</strong>fettamente leggibile,<br />
anche se oggi la qualità dell’incisione dei caratteri verrebbe definita molto<br />
rozza. Vi sono inoltre una gran quantità di antichità romane, tra cui lampade,<br />
iscrizioni, ecc. ecc., tutte recu<strong>per</strong>ate a Velleia.<br />
14) de La Roque, Voyage d’un Amateur des Arts... fait dans les années 1775-<br />
78, 4 voll., Amsterdam 1783, IV, pp. 41-43:<br />
La Galerie (si célèbre sous les règnes des Farneses) est assez vide aujourd’hui:<br />
on y a placé ce que les fouilles faites dans les ruines de Velléia ont<br />
produit jusqu’ici de plus intéressant; mais ces fouilles sont ingrates et sont<br />
dispendieuses.<br />
Elles ont donné cependant quelques belles statues. Entre les mieux conservées,<br />
sont celles en marbre, représentant Galba en habit militaire, avec<br />
son armure; une de Néron encore jeune ayant au col la Bulla, et plusieurs<br />
autres également très-belles; quelques beaux bustes, des bas-reliefs d’un excellent<br />
goût, une quantité de bronzes, nomménement une Victoire ailée, les<br />
bras élevés dans l’attitude de soutenir une couronne, mais le travail de celleci<br />
en est sec et le dessein peu correct.<br />
Une Table de bronze, sur la quelle sont indiquées les principaux endroits<br />
du pays des Velléiates. Cette table qui se rapporte à un établissement de<br />
l’Em<strong>per</strong>eur Trajan est le monument de bronze le plus entier et le plus considérable<br />
qui existe. Une autre table également de bronze, contient des Lois<br />
Romaines, qui se trouvent dans le code, ecc. Nombre d’inscriptions à l’honneur<br />
de Germanicus, de Vespasien, d’Aurélien, de Probus, etc.<br />
Divers vases, ustenciles, meubles, et Dieux Penates de bronze, de marbre,<br />
de terre cuite ecc. Quelques morceaux de peintures dans le genre grotesque,<br />
telles que celles trouvées à Rome dans les bains de Neron et ailleurs,<br />
que Raphaël a si supérieurement imitées...<br />
[nota in fondo alla p. 41] Velléia: les restes de cette ancienne Ville se voyent<br />
à sept lieues au midi de Plaisance... Elle étoit située au pied de deux<br />
hautes montagnes ... qui sont partie de l’Appenin; ce fut l’écroulement<br />
d’une partie de ces montagnes qui causa la ruine de Velléia ... à juger par le<br />
grand nombre d’ossemens qu’on à trouvé dans les ruines et par la quantité<br />
de monnoie qu’on en retire, les habitans n’eurent pas le temps de se sauver;<br />
ils furent surpri, écrasés et engloutis avec toutes leurs richesses ... On ne sait<br />
pas dans quel temps Velléia fut ensevelie sous ces rochers; la date de cet<br />
évènement est probablement du quatrième siècle...<br />
On a commencé en 1760, à faire des fouilles dans ces ruines ... On n’est<br />
pas fort avancé, parce que la difficulté y est extrème; les bâtimens y sont<br />
201
202<br />
couverts de rochers; à plus de vingt pieds de hauteur ... le plan de la partie<br />
où l’on a fouillé jusqu’ici, a été levé et il se voit entre les autres curiosité de<br />
la Galerie.<br />
15) Vincenzo Plateretti, Diario di viaggio odeporico nelle Valli dell’Arda e<br />
<strong>della</strong> Nure fatto dal dott. Plateretti medico e filosofo Borghiggiano nell’anno<br />
1786, BPP, Ms. Parm. 1465/4, pp. 13-18:<br />
Macinesso: la sua Chiesa, Casa Parrocchiale e altre vicine sono piantate<br />
sopra le ruine d’una antica Città, chiamata Velleja, <strong>della</strong> cui esistenza, e del<br />
suo nome diede notizia una gran Lamina di bronzo che fu trovata in quello<br />
stesso luogo. Al vedere le vestigia solo di Velleja ben si comprende che era<br />
città di conto e <strong>per</strong> ricchezze e <strong>per</strong> industria. Molte cose che provano questa<br />
mia asserzione si trovano distese parte nelle camere <strong>della</strong> R.Biblioteca, parte<br />
nella R. Accademia delle Belle Arti, ad in massima parte ivi in Parma pur<br />
sono racchiuse in varie casse, che tuttora aspettano il bene d’essere rimesse<br />
all’aria a<strong>per</strong>ta <strong>per</strong> pubblica erudizione. Ivi <strong>per</strong>ò in Velleja tuttora si trovano<br />
cose degne d’essere esaminate dai <strong>Naturali</strong>sti non meno che dagli antiquarj<br />
ed amatori delle belle arti oltra le vestigia <strong>della</strong> pianta sco<strong>per</strong>ta di essa città,<br />
moltissime o<strong>per</strong>e di lusso, e di magnificenza, tanto <strong>per</strong> la materia che <strong>per</strong> il<br />
lavoro. E trattandosi delle qualità delle materie, vi si vedono impiegate <strong>per</strong> i<br />
lastricati <strong>della</strong> Piazza e dei Cortili le pietre arenarie dette volgarmente Macigne,<br />
ma <strong>per</strong> i piani di certe camere, non che <strong>per</strong> colonne, capitelli, impellicciature<br />
ed altri lavori i più fini marmi, come Bianchi di Carrara di varie sorti,<br />
sanguigne Seravezze, Bellezze di Francia, Broccatello di Spagna, non<br />
mancandovi neppure il tanto dagli antichi vantato marmo pario <strong>per</strong> la sua<br />
bianchezza e trasparenza dai non lavoratori di marmo confuso coll’alabastro.<br />
Che trattandosi poi dei lavori di lusso sorprendenti sono, oltre le ben<br />
tirate basi di pietra conchigliacea fina quale dai non molto lontani monti, o<br />
forse allora dai prossimi, fu certamente cavata, altre ve ne sono di pietra arenaria,<br />
ed altra di bella pietra tintinnante di color cinerino gialletto che battuta<br />
armoniosamente risuona. Sonovi poi capitelli di vari ordini, e <strong>della</strong> indicata<br />
pietra conchigliacea, e di bellissimo marmo pario, uno dei quali d’ordine<br />
corintio finissimamente lavorato. Nulla dirò delle statue sì di vari marmi,<br />
come de’ metalli <strong>per</strong>ché sul luogo più non ne esistono, e alla capitale sono<br />
già stati da qualche tempo trasportati. Esistono <strong>per</strong>ò ancora li lastrichi<br />
delle Camere e di certi cortili e Piazze. La gran Piazza, cioè la maggiore che<br />
fin qui siasi sco<strong>per</strong>ta è lastricata in macigno, e veggonsi le imposte, nelle<br />
quali erano piantate le colonne, che tutto all’intorno l’ornavano. Dietro alle<br />
colonne trovasi incavato un sufficiente canaletto a ricevere le acque che piovono<br />
nella piazza, e tradurle in un altro e vasto condotto sotterraneo, che
via le trasporta. Evvi pure dalla parte opposta alla Piazza altro corso di colonne,<br />
le quali formavano i bei portici d’una strada, o d’un cortile.<br />
Esistono ancora le Vestigia d’un Palazzo che mostra essere quello del<br />
Pubblico, ed altri con sale dipinte a fresco, parte delle mura dei quali tuttora<br />
sussistono. Sonovi i bagni. Mi sorprese inoltre la vastità del Teatro il quale<br />
di figura alquanto ellittica mostra ch’era capace di contenere non picciolo<br />
numero di <strong>per</strong>sone. Due porte l’una in faccia all’altra ed in dirittura presso<br />
a poco <strong>per</strong>pendicolare ai due fochi dell’Ellissi vi danno l’ingresso spazioso,<br />
ed alla destra dell’una, ed alla sinistra dell’altra un’altra piccola porta dalla<br />
maggiore divisa con un forte muro. Oltre al muro interiore trovasi il Teatro<br />
circondato da un muro esteriore distante dal primo da dieci, a dodici passi<br />
andanti, cioè da dieci braccia parmigiane.<br />
Luogo nel quale io stimo che s’inalzassero le scalinate, ove stavano i spettatori<br />
[calcola che potesse contenere circa 3375 <strong>per</strong>sone] onde si può dedurre<br />
che la città n’era popolosa di ben 6000. Da una parte nel mezzo al di<br />
sopra del foco dell’Ellissi si veggono due grosse pietre impiantate, l’una delle<br />
quali esce fuori di terra un buon piede, e l’altra assai meno. Io penserei<br />
che quelle fossero le fondamenta delle distinte sedie dei giudici, le quali nell’innalzarsi<br />
andassero ad appoggiarsi fin presso al muro interiore in maniera<br />
che i sedili di poco avanzassero quelli <strong>della</strong> commune dei spettatori.<br />
Lungo sarebbe il dire la bellezza di molti selciati di camere e sale. Fin li<br />
più rozzi sono osservabili <strong>per</strong>ché afatti d’un semplice battuto sinora assai<br />
forte, o da grandi e grossa quadrella, <strong>per</strong> lo più lunghe piuttosto che quadre.<br />
Se ne trovano molti fatti di mosaico di pezzetti di pietra bianchiccia, e<br />
di materia fatta d’un forte cemento o bianca, ed ora di vari colori.<br />
Assai più nobili sono quelli o d’una sola pietra con entro lavori a basso<br />
rilievo, iscrizioni a mosaico, e di vari finissimi marmi disposti a quadri contornati<br />
d’altri marmi, ed una di queste mostra <strong>per</strong> ogni quadro marmi diversi,<br />
e tutti bellissimi.<br />
[... gran quantità di scarti di ferro, gangheri, chiodi, martelli ... mostrano<br />
quanto di quel metallo si travagliasse]. Bellissimi sono pure vari lavori di<br />
grosso e ben tagliato vetro, e le molte stoviglie di varie sorte d’argilla cotta<br />
che vi si trovano, nella quale materia pure esiste un semibusto d’una statua<br />
colossale che stimasi un Laocoonte cui manca il su<strong>per</strong>iore <strong>della</strong> cucuzza<br />
portato via da un aratro in tempo che trovavasi così ritto sepolto.<br />
[cause <strong>della</strong> distruzione di Velleia: esclude la possibilità dell’eruzione<br />
vulcanica. Ritiene più probabile una frana dal monte Moria, a sud-ovest di<br />
Velleia. Esistenza <strong>per</strong>ò di vari oggetti in pietra vulcanica (vaso conico, probabile<br />
co<strong>per</strong>chio di cinerario con iscrizione VR usato come macina e altre<br />
simili pietre vulcaniche lavorate in rotondo e forate nel mezzo fatte probabilmente<br />
a uso di macina mostrategli dal custode) che testimonierebbero<br />
203
204<br />
dell’esistenza nel luogo di un antico vulcano, anche se non ritiene questa la<br />
causa <strong>della</strong> distruzione <strong>della</strong> città, «siccome non è residuo di esso vulcano il<br />
fuoco che arde presso di essa (Velleja) la terra»].<br />
16) Giuseppe Nave, La vera guida <strong>per</strong> chi viaggia in Italia con la descrizione di<br />
tutti i viaggi e sue poste, ... dedicata ... a Tommaso Jenkins, Roma 1787, p. 292:<br />
Il palazzo dell’Infante non è che un ammasso di case, dove <strong>per</strong> altro conservasi<br />
il capo d’o<strong>per</strong>a di Correggio, cioè la Vergine di S. Girolamo con<br />
molte antichità trovate nell’antica Veleja che aspettano un dotto illustratore.<br />
17) Moreau de Bioul, (Ch. Terlinden, Voyage à Rome du chevalier de Moreau<br />
de Bioul, 6 septembre-17 novembre 1791, «Bulletin de l’Institut historique<br />
belge de Rome», 25, 1949, pp. 243-336), pp. 263-65 (26 ottobre 1791):<br />
Dans une Galerie qui est au de là de celle où sont les tableaux, on a réuni<br />
plusieurs statues antiques tirées des ruines de la Ville de Velleya. Les statues<br />
sont l’ouvrage des Grecs. Ce sont les premières que je vois, elles représentent<br />
des vestales et sont de marbre. Une dra<strong>per</strong>ie légère, négligemment<br />
jetée par les Grâces, semble à peine couvrir ces statues; elle laisse ap<strong>per</strong>cevoir<br />
toutes les formes du corps le mieux proportionné, on le croirait transparentes.<br />
Les artistes grecs excellaient dans ce genre. Les ruines de Velleya<br />
dont ce statues ont été tirées se trouvent à sept lieues de Plaisance, au<br />
pied de l’Appenin, dont l’écroulement de quelques rochers détachés l’écrasa<br />
à ce que l’on dit. On a conjecturé du grand nombre d’ossements, de médailles<br />
et de monnaies qu’on y a trouvé que les habitants furent surpris et<br />
engloutis avec toutes leurs richesses. Une matière bitumineuse et qui s’enflamme<br />
à sa surface quand on en approche un flambeau allumé, des medailles<br />
fondues et quelques matières noires ont fait croire que le reversement<br />
de cette ville avait été occasionée par un volcan. On ignore le temps<br />
et la manière de la destruction de cette ville. On y trouve des monuments<br />
antérieurs à Constantin. Les rochers qui couvrent les ruines ont plus de<br />
vingt pieds et rendent les fouilles très difficiles et presque infructueuses,<br />
parce que tout est écrasé. On a<strong>per</strong>çoit seulement quelle était l’étendue de<br />
la ville, qu’elle était bâtie sur le penchant de la colline, que ses maisons étaient<br />
séparées en forme d’îles et formaient différentes étages qui se communiquaient<br />
par des degrés, que les appartements inférieurs des maisons étaient<br />
placés sur un faux plancher soutenu par des piliers de terre cuite où<br />
l’eau pouvait circuler et garantir les maisons de l’humidité; quelques-unes<br />
étaient pavées en marbre, d’autres en mosaïque. On y a trouvé des peintures,<br />
une entre autres, que j’ai vue, représentant un jardin décoré d’arcades
et de treillis, un petit bois, des bustes en marbre, des vases de bronze ajustés<br />
(?) en argent, etc.<br />
Vers le milieu de l’endroit qui a été fouillé est une place publique très ornée;<br />
une inscription en lettres de bronze qui traverse la place apprend qu’elle<br />
fut pavée de grosses pierres. Elle était environnée de colonnes de marbres,<br />
dont quelques-unes y sont encore, avec un canal tout autour pour<br />
l’écoulement des eaux, il y avait de très beaux sièges de marbre, soutenus<br />
par des lions. Au milieu était un autel consacré à l’Em<strong>per</strong>eur Auguste. Les<br />
autres statues qui se trouvent dans la salle où sont celles venues de Velleya<br />
sont la plupart des copies en marbre ou en plâtre des chefs d’oeuvre en Italie,<br />
tels que l’Appolon du Belvédère, le Mercure, l’Hercule Farnese, etc.<br />
18) Juan Andrés, Cartas familiares del abate D. Juan Andrés a su hermano D.<br />
Carlos Andrés, dandole noticia del viage que hizo a varias ciudades de Italia<br />
en el año 1791, IV, Madrid 1793, p. 20:<br />
(Accademia) Un quadro de marmol, pintado por el célebre conde de Caylus,<br />
segun el método que el mismo habia inventado de pintar en el marmol.<br />
Hay tambien varias estátuas antiguas, sacadas de las ruinas de Veleya, a mas<br />
de un busto de Vitelio y una cabeza de Júpiter que se han traido de Roma.<br />
Ibidem, pp. 24-25:<br />
(Biblioteca) En este brazo de biblioteca hay á man derecha un buen quarto,<br />
que sirve de museo antiquario, donde, ademas de medallas y otras antigüedades,<br />
hay en particular algunas halladas en Veleya, antigua ciudad enterrada en<br />
aquellas inmediaciones, y descubierta en tiempo del señor Infante Don Felipe<br />
Ibidem, p. 31:<br />
(Museo) El Museo, que come te he dicho, está anexo á la biblioteca, aunque<br />
no es aun, ni por el numero, ni por lo selecto, digno de particular celebridad,<br />
tiene con todo la famosa tabla alimentaria de Trajano, y algunas monedas<br />
y antigüedades de Veleya y otras, que merecen consideracion.<br />
19) Elisabeth Vigée Le Brun, Ricordi dall’Italia (a cura di M. Premoli), Palermo<br />
1990 (1792), p. 45:<br />
Nella Biblioteca di Parma notai soprattutto un antico busto di Adriano,<br />
molto ben conservato, benché sia stato dorato. Poi, un piccolo Ercole in<br />
bronzo lavorato con grande finezza, un piccolo Bacco incantevole, molti<br />
205
206<br />
antichi medaglioni ecc. Ma il Correggio ! Il Correggio è la vera gloria di<br />
Parma.<br />
20) Leandro Fernández de Moratín, Viage a Italia, (ed. critica di Belén Tejerina),<br />
Madrid 1988 (1793, 1795, 1796), p. 177 (a Parma il 21 settembre<br />
1793):<br />
(Biblioteca) Algunos de los monumentos hallados en la ruinas de Velleia<br />
Ibidem, pp. 178-80:<br />
(Accademia di Belle Arti) que ha producido ya excelentes discipulos, distribuye<br />
premios, y está considerada como una de las mejores de Italia [... ].<br />
La coleccion de hiesos sacados del antiguo es mui inferior a la nuestra, hay algunas<br />
estatuas encontradas en Velleia: dos de Mesalina, una de Agripina, y no<br />
sé qué mas, cosa excelente en el estudio de los ropages. [...] La ciudad de Velleia<br />
arruinada, a lo que parece, por el rompimiento y caida de unas montanas<br />
acia el quarto siglo; dista de Parma 10 u 11 leguas, se han hecho excavaciones<br />
en ella, y se han sacado varias estatuas, inscripciones, muebles, instrumentos y<br />
otra curiosidades; se ha levantado un plan de la parte descubierta hasta ahora,<br />
<strong>per</strong>o ya no se trabaja, muchos años haze, por falta de dinero; y es lastima,<br />
pues, dexando aparte quan interesante seria proseguir las excavaciones por lo<br />
que toca a la historia, a la literatura y a las artes, mirandolo solo como una mera<br />
especulacion de comercio, produciria considerables ganancias.<br />
21) Aubin-Louis Millin, Voyage dans le Milanais, a Plaisance, Parme, Modène,<br />
Mantoue, Crémone et dans plusieurs autres villes de l’ancienne<br />
Lombardie, II, Paris 1817, p. 85:<br />
(Parma) Quel séjour en effet pour un ami des arts! En y entrant, il songe<br />
au plus gracieux des peintures au Corrège, dont il pourra bientôt admirer<br />
les chefs-d’oeuvres.<br />
Ibidem, p. 122, nota 3:<br />
(Biblioteca) On y conserve aussi les Memorie Vellejati que le Père Costa,<br />
directeur des fouilles, avoit rédigés, et qui sont accompagnés d’un grand<br />
nombre de dessins, ainsi que son Explication de la Table de Trajan, qui contient<br />
de lois romaines<br />
Ibidem, p. 138:
(Accademia) On y remarque quelques statues qui viennent de Velleja, et<br />
le buste du poëte Frugoni: il y a aussi dans cette salle un plan de la ville de<br />
Vélleja.<br />
Le cabinet des antiques est principalement formé des objets qui en on<br />
été apportés. La garde de ces objets est confiée à M. Lama qui en a déjà fait<br />
dessiner et graver plusieurs. Il faut expérer que la protection de son nouveau<br />
souverain lui assurera le moyen de publier son ouvrage.<br />
22) Mariana Starke, Travels in Europe for the use of travellers on the Continent<br />
and likewise in the Island of Sicily, Paris 1833, pp. 46-48 [1817-19;<br />
1824-28]:<br />
The Academy also contains several interesting Antiquities found at Velleia,<br />
a Roman municipal City, situated among the hills eighteen miles south of<br />
Piacenza, and famous for the longevity of its inhabitants. It stood on the<br />
right bank of the river Nura, and was buried by the sudden fall of a mountain,<br />
supposed to have been undermined, by a subterraneous water-course.<br />
This melancholy event took place in the forth century: and judging by the<br />
number of human bones found at Velleia, when it was excavated in 1760,<br />
there seems reason to apprehend the inhabitants had not time to escape.<br />
Velleia was thirteen leagues distant from Parma; and some of the most interesting<br />
Antiquities with which it has furnished the Parma Academy are:<br />
a head of Hadrian, originally gilt, and finely executed. Two Latin inscriptions,<br />
written on bronze, and said to be the largest ever discovered: they record<br />
a donatio, made by Trajan, of a considerable sum to be employed in<br />
the purchase of lands for the support of a certain number of poor children.<br />
These inscriptions were found in 1747 at a short distance from the remains<br />
of the town. Gold chains. Bracelets. Armlets. Rings etc. in the highest preservation.<br />
To on chain a Medal is attached. Amphorae. Lachrymatories.<br />
Lamps. A pair of snuffers, very like those usually attached to modern Roman<br />
lamps. Various ornaments of bronze. Stamps for stamping bread. Grecian<br />
vases, etc. ...<br />
207
Indice dei nomi<br />
Acquisti Luigi 149<br />
Albani Alessandro 25, 32, 166<br />
Amaduzzi Giovanni Cristofano 82<br />
Amoretti Pietro 159<br />
Andrés Juan 58, 205<br />
Angelelli Massimiliano 91, 114, 118,<br />
129, 130, 133, 135, 141, 142, 148,<br />
149, 159, 160, 163, 164, 166, 168,<br />
171<br />
Antolini Giovanni Antonio 11, 94, 104,<br />
108, 111, 117, 120, 121, 123-26,<br />
129-36, 138, 139, 142, 143, 145, 152,<br />
168<br />
Asprucci Antonio 149<br />
Asprucci Mario 149<br />
Asquini Girolamo 114-16, 140<br />
Azara José Nicolás de 164, 166<br />
Baldrighi Giuseppe 57<br />
Barborini Giuseppe 159<br />
Bardetti Stanislao 67, 95<br />
Barthélemy Jean-Jacques 28, 29, 32, 80<br />
Basiletti Luigi 100, 102, 108, 109, 111,<br />
140<br />
Bayardi Ottavio Antonio 64, 142<br />
Benassi Giuseppe 106<br />
Benedetto XIV (Pros<strong>per</strong>o Lambertini)<br />
15<br />
Bernoulli Jean 199<br />
Berry Mary 183, 186, 200<br />
Bertioli Antonio 44, 63, 112, 140, 146,<br />
147<br />
209<br />
Biancani Tazzi Giacomo 80, 146, 163,<br />
166-68<br />
Blasi Lorenzo 42-45, 49<br />
Boccia Antonio 67, 95<br />
Bolognini Giambattista 91, 94, 99, 100,<br />
105, 106, 145<br />
Borgia Stefano 88<br />
Bossi <strong>Beni</strong>gno 186, 187<br />
Boudard Ferdinando 91, 126<br />
Boudard Jean-Baptiste 79<br />
Breteuil, balì di 14, 29<br />
Brunswick, Massimiliano Giulio Leopoldo,<br />
duca di 185<br />
Callani Gaetano 183<br />
Campana Stanislao 125-28, 168<br />
Canonici Matteo Luigi 63<br />
Canova Antonio 183<br />
Capmartin De Chaupy Bertrand 95<br />
Cara de Canonico Anton Giacinto 114-<br />
15<br />
Carli Gian Rinaldo 17<br />
Carlo III di Borbone, re di Spagna 15,<br />
33, 64, 87, 147, 193<br />
Carlo Emanuele III di Savoia 15<br />
Carra Giuseppe 158, 172, 183<br />
Casapini Pietro 99-102, 105, 106, 108,<br />
109, 118, 122, 123, 125, 145, 152, 170<br />
Cassini Jean-Dominique 199<br />
Cattaneo Gaetano 88<br />
Caylus Anne-Claude-Philippe de Tubierés<br />
10, 13, 14, 16, 17, 20-29, 31-36, 38-46,
210<br />
49-58, 61, 64-73, 75-81, 84, 111, 140,<br />
152-54, 166, 176, 178, 188, 205<br />
Chiappini Alessandro 18, 67, 95<br />
Clemente XIII (Carlo Rezzonico) 17, 39<br />
Colbert Jean-Baptiste 56<br />
Colombi Antonio 43, 46, 47, 52, 181<br />
Contucci Contuccio 14<br />
Cordero di Sanquintino Giulio 153, 189<br />
Cornacchia Ferdinando 106, 108, 160<br />
Costa Antonio 10, 13-28, 37-40, 42, 43,<br />
47, 49, 53, 54, 56, 64-75, 77, 79, 140,<br />
176, 177, 184-86, 188, 190, 198, 206<br />
Coyer Gabriel François 177, 178, 180,<br />
184, 187, 192<br />
Creuzé de Lesser Auguste 147<br />
De Gubernatis Giovanni Battista 108,<br />
109<br />
De Lama José 87<br />
De Lama Pietro 9, 10, 39, 42, 43, 58,<br />
65, 80, 85-102, 104, 105, 108-24,<br />
126, 129, 130, 132-36, 140-42, 145-<br />
60, 163, 164, 166-71, 176, 186, 187,<br />
189, 207<br />
Della Torre di Rezzonico Antonio Giuseppe<br />
64, 65<br />
Depuig Pétronille 87<br />
Desgodetz Antoine 56<br />
Dragoni Antonio 114<br />
Drugman Giovan Francesco 148<br />
Du Pont del Porte 96<br />
Du Tillot Guillaume 15, 16, 20, 22-29,<br />
36, 38-43, 50, 53, 57, 58, 63-66, 69-<br />
73, 75, 77, 82, 86, 90, 94, 105, 157,<br />
176, 177, 183, 190<br />
Eckhel P. Joseph 88<br />
Eustace John C. 173<br />
Fea Carlo 88<br />
Ferdinando di Borbone 59, 88, 92, 94,<br />
115, 146, 149, 167, 173, 174, 183<br />
Filiberti Giuseppe 21, 22, 24<br />
Filippo di Borbone 13-15, 20, 23, 27-<br />
29, 38, 39, 41, 45, 53, 58, 59, 74, 77,<br />
82, 87, 90, 174, 175, 191, 192, 194,<br />
196, 199, 200, 205<br />
Fogliani Giuseppe 63, 64<br />
Fogliazzi Giovanni 88, 146<br />
Fragonard Jean Honoré 177, 190<br />
Fulchiron Jean-Claude 112, 155<br />
Furietti Giuseppe Alessandro 75<br />
Galletti Pier Luigi 17, 18, 19, 20, 27,<br />
28, 37, 68, 111<br />
Gandy-Deering John Peter 112, 147<br />
Garampi Giuseppe 82, 83<br />
Gautier Theophile 174<br />
Gell William 112<br />
Gerhard Eduard 163<br />
Gibbon Edward 63, 181-84, 187, 193<br />
Goethe J. Wolfang 88<br />
Gori Antonio Francesco 182, 195<br />
Guattani Giuseppe Antonio 91<br />
Guidi Jean Baptiste Marie 185, 187,<br />
200<br />
Guise William 181, 182, 184, 185<br />
Isac Antonio 163, 166<br />
Labus Giovanni 109-111, 116<br />
Lacombe Jacques 180<br />
Lalande Joseph Jérôme de 80, 85, 86,<br />
179, 185, 187, 188, 196<br />
Lami Giovanni 85, 114<br />
Lanzi Luigi 117, 174<br />
La Porte Joseph de 176, 189<br />
La Roque de 185, 200<br />
Le Beau Charles 73<br />
Lesne Jean-Charles 112-114<br />
Lessing Gotthold Ephraim 185<br />
Liberati Giannantonio 57<br />
Linati Filippo 135, 157<br />
Lopez Michele 91, 105, 109, 112, 116,<br />
117, 120, 123, 125, 126, 132, 141,<br />
160<br />
Louis Victor 32<br />
Luigi XV, re di Francia 95
Maffei Scipione 14, 37, 65<br />
Magawly Cerati de Carly Filippo 99,<br />
102, 150<br />
Mainoni Stefano, de 134<br />
Malvasia Carlo Cesare 75, 77<br />
Manara Pros<strong>per</strong>o 61<br />
Maria Amalia d’Austria, duchessa di<br />
Parma 58, 87, 167<br />
Maria Luigia d’Austria, duchessa di<br />
Parma 9, 11, 90, 96, 98, 99, 105,<br />
116, 145, 147, 159, 160, 175, 186<br />
Mariette Pierre 33, 50, 51, 56, 68, 72,<br />
81, 111, 177<br />
Marini Luigi Gaetano 80, 88, 111, 140<br />
Martelli Ambrogio 14, 26, 27, 37, 43,<br />
49, 57, 60, 63, 66, 71<br />
Martini Pietro 57, 71, 81, 83, 136<br />
Mazza Andrea 58, 59, 167, 168<br />
Mengs Raphael 183<br />
Metternich-Winneburg Klemens, principe<br />
di 150<br />
Mignard Pierre 56<br />
Millin Aubin-Louis 175, 206<br />
Mniszech Michele Giorgio 80, 198<br />
Moratín Leandro Fernández de 183,<br />
188, 206<br />
Moreau de Bioul 185, 204<br />
Moreau de Saint Méry Médéric-Louis-<br />
Elie 67, 93-96, 102, 105<br />
Mori Luigi 157<br />
Motta Giulio 118<br />
Muratori Ludovico Antonio 14, 37, 65,<br />
68, 181, 182, 195<br />
Napoleone Bonaparte 156<br />
Nardon Hugues Eugène 95<br />
Nasalli Ignazio 110<br />
Nave Giuseppe 204<br />
Neip<strong>per</strong>g Adam 109, 147<br />
Nibby Antonio 119<br />
Nicelli Giacomo 44, 45, 57, 71, 72, 181<br />
Nicolli Francesco 114-15<br />
Paciaudi Paolo Maria 9-11, 13, 17, 22,<br />
211<br />
28-54, 56-59, 61, 64, 68, 70-75, 77-87,<br />
95, 111, 129, 140, 146, 148, 159, 162,<br />
163, 166-69, 175-80, 183-87, 192, 198<br />
Palmerston, Temple Henry, visconte di<br />
181<br />
Paolucci di Calboli Francesco 136, 149,<br />
150<br />
Passeri Giambattista 162, 163, 164, 166,<br />
168<br />
Passionei Domenico 39<br />
Pedrusi Paolo 88<br />
Permoli Giovanni 69, 70, 71<br />
Petitot Ennemond-Alexandre 71, 167,<br />
169<br />
Pinelli Evangelista 172<br />
Piranesi Gianbattista 33<br />
Piroli Marziale 172<br />
Pittarelli Giuseppe 114-15<br />
Plateretti Vincenzo 97, 180, 188, 189, 202<br />
Poggiali Cristoforo 65, 66<br />
Poggio Federico Vincenzo de 114-15<br />
Poniatowski Stanislao Augusto 80<br />
Porta Giovanni Bonaventura 100, 102<br />
Rammonet Provinciali Pierina 157<br />
Ranieri d’Asburgo, viceré del Lombardo-Veneto<br />
110<br />
Rapaccioli Donnino 14, 67, 95<br />
Ravelli Antonio 70, 72<br />
Reynolds Joshua 174<br />
Richard Jérôme 176, 177, 184, 185, 187,<br />
191<br />
Robert Hubert 32, 71<br />
Rocca Giuseppe 105<br />
Rochefoucault, duca di 181<br />
Roland de la Platière Jean-Marie 187, 200<br />
Romanelli Domenico 142<br />
Roncovieri Giovanni 14, 15, 16<br />
Rumohr Karl Friedrich von 173<br />
Saint-Non Jean Claude, abate di 71,<br />
177, 184, 187, 190<br />
Sanquirico Antonio 116, 160<br />
Schenoni Angelo 87, 89
212<br />
Schiassi Filippo 148, 149<br />
Scutellari Luigi 158<br />
Séguier Jean-François 86<br />
Séroux d’Agincourt Jean Baptiste 88<br />
Starke Mariana 207<br />
Steinbüchel Antonio 88, 91<br />
Stern Raffaele 119<br />
Strange Robert 183<br />
Tambroni Giuseppe 91<br />
Tanucci Bernardo 33, 34<br />
Tebaldi Giuseppe 134<br />
Terrasson Antoine 14, 15, 37<br />
Tilliard Nicolas-Martin 40<br />
Uggeri Angelo 119<br />
Vaillant Jean Foi 20<br />
Valadier Giuseppe 119, 149<br />
Venturi Giuseppe 116<br />
Verità Giacomo 88, 116, 146<br />
Vermiglioli Giovan Battista 111, 153,<br />
154, 189<br />
Vienne, Louis-Henri, comte de 199<br />
Vigée Le Brun Elisabeth 173, 186<br />
Visconti Ennio Quirino 88, 146, 149,<br />
164-66<br />
Vivant Denon Dominique 92, 156<br />
Voghera Giovanni 112, 114, 118, 120,<br />
123, 125, 126, 132, 135, 141<br />
Voghera Luigi 11, 112, 117-26, 129,<br />
130, 141, 142, 152, 168<br />
Volkmann Johann Jacob 185, 186<br />
Volta Alessandro 179<br />
Winckelmann Johann Joachim 10, 32,<br />
33, 50-52, 129<br />
York, Edward Augustus, duca di 181,<br />
184, 194<br />
Zanetti Guido Antonio 72, 88, 146<br />
Zannoni Giovanni 159<br />
Zoëga Georg 88
Abbreviazioni bibliografiche<br />
Aghion 2002 = I. Aghion (a cura di), Caylus mécène du roi. Collectioner les antiquités<br />
au XVIII e siècle, cat. mostra (Paris dic. 2002-mar. 2003), Paris 2002<br />
Albasi e Magnani 2003 = T. Albasi e L. Magnani, Una storia infinita: sco<strong>per</strong>ta, tradizione,<br />
fortuna di <strong>Veleia</strong>, in Criniti 2003, pp. 11-41<br />
Allegri Tassoni 1942 = G. Allegri Tassoni, Una lettera di Vivant Denon (il secondo<br />
saccheggio artistico del 1803), “Aurea Parma”, 26, 1942, pp. 27-31<br />
AMANP = Archivio del Museo Archeologico Nazionale di Parma<br />
Andrés 1793 = Juan Andres, Cartas familiares del abate D. Juan Andrés a su hermano<br />
D. Carlos Andres, dandole noticia del viage que hizo a varias ciudades de Italia<br />
en el año 1791, IV, Madrid 1793<br />
Antolini <strong>Veleia</strong> = G. A. Antolini, Le rovine di <strong>Veleia</strong>, 2 voll., Milano 1819-1822<br />
Arias 1955 = P.E. Arias, I recenti restauri <strong>della</strong> zona archeologica di Velleia e la istituzione<br />
dell’«antiquarium», in Studi veleiati. Atti e Memorie del I Convegno di studi<br />
storici e archeologici, Piacenza 1955, pp. 115-19<br />
Arrigoni Bertini 1986 = M.G. Arrigoni Bertini, Lettere inedite di Pietro De Lama all’Archivio<br />
di Stato di Parma, «Archivio Storico <strong>per</strong> le Province Parmensi», 38,<br />
1986, pp. 305-34<br />
Arrigoni Bertini 1990 = M.G. Arrigoni Bertini, Contraddizioni e problemi nella tradizione<br />
erudita <strong>della</strong> stele di Coelia Gemella, in Tradizione dell’antico nelle letterature<br />
e nelle arti d’Occidente, Roma 1990, pp. 367-75<br />
Arrigoni Bertini 1996 = M.G. Arrigoni Bertini, Luigi Voghera e <strong>Veleia</strong>: una rettifica<br />
al CIL, «Epigraphica», 58, 1996, pp. 61-73<br />
Arrigoni Bertini 2003 = M.G. Arrigoni Bertini, La ricerca antiquaria nei primi decenni<br />
dell’Ottocento. <strong>Veleia</strong>: il caso Voghera-Antolini, «Archivio Storico delle<br />
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defonti nella prima metà del secolo XIX tratte da più ampi carteggi e scritte al cavaliere<br />
Gio. Battista Vermiglioli, Perugia 1842<br />
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De Lama ms. 61 = P. De Lama, Lettere odeporiche, AMANP, ms. 61<br />
De Lama ms. 62 = P. De Lama, Memorie intorno <strong>Veleia</strong>, AMANP, ms. 62<br />
De Lama ms. 82 = P. De Lama, Lettere XIII di Pietro de Lama dal 26 novembre al<br />
20 dicembre 1790 sul suo viaggio da Parma a Firenze, AMANP, ms. 82
De Lama ms. 383 = P. De Lama, Lettera all’Ottimo Sig. C.te Filippo Linati sulla<br />
quale si mette in chiaro un passo non troppo bene espresso dal Sig. Prof. Antolini,<br />
BPP, Ms. Parm. 383<br />
De Lama ms. 810 = P. De Lama, Opuscoli, BPP, Ms. Parm. 810<br />
De Lama 1818 = P. De Lama, Iscrizioni antiche collocate ne’ muri <strong>della</strong> Scala Farnese,<br />
Parma 1818<br />
De Lama 1819 = P. De Lama, Tavola Alimentaria Velejate detta Trajana restituita alla<br />
sua vera lezione, Parma 1819<br />
De Lama 1820 = P. De Lama, Tavola legislativa <strong>della</strong> Gallia Cisalpina ritrovata in<br />
Veleja nell’anno 1760 e restituita alla sua vera lezione, colle Osservazioni ed annotazioni<br />
[1769] di due celebri Giureconsulti Parmigiani, Parma 1820<br />
De Lama 1824a = P. De Lama, Guida del Forestiere al Ducale Museo di Antichità di<br />
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223
224
€ 20,00 CB 3907