Il caffè dei monsoni: Monsooned Malabar AA Dall ... - Gustolocale
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Le “composte” è un piatto che difficilmente si colloca<br />
nel panorama gastronomico italiano a causa della loro<br />
(pur limitata nel caso di quelle di Montorso) acidità.<br />
Infatti nella nostra cucina prevalgono i gusti dolce e salato e poco spazio<br />
è sempre stato dato ai piatti dal gusto prettamente acido.<br />
<strong>Il</strong> cavolo-verza (brassica oleracea sabauda) è una pianta appartenente<br />
alla famiglia delle crocifere che si differenzia dal cavolo cappuccio per<br />
le foglie grinzose increspate e bollose, dal colore verde scuro, quasi<br />
violaceo (da qui il nome moretta) con nervature prominenti. Crescendo<br />
le foglie interne si addensano e formano una palla irregolare molto<br />
compatta, che a causa della scarsa quantità di luce rimane tenera e<br />
assume una colorazione bianco-giallastra. Una pianta biennale dallo<br />
scarso apporto proteico ma ricca di vitamina A e C, con un notevole<br />
apporto di magnesio, ferro, fosforo e potassio. Molto conosciuta ed<br />
apprezzata fin dal tempo <strong>dei</strong> Romani, che la diffusero in tutto l’impero,<br />
rendendola assieme ai broccoli l’ortaggio invernale per eccellenza grazie alla<br />
resistenza al clima rigido, l’adattabilità a tutti i tipi di terreno e l’impagabile capacità<br />
di fornire verdura fresca quando tutti gli altri vegetali erano a riposo.<br />
A circa 20km ad ovest di Vicenza, ove il torrente Chiampo sbocca nella pianura vicentina,<br />
sorge Montorso, qui, come in tutto il vicentino, le verze costituivano la riserva di verdura fresca più importante<br />
durante l’inverno.<br />
Con l’arrivo della brutta stagione le verze coltivate nel campo venivano trapiantate negli orti vicino a casa per proteggerle meglio dal<br />
freddo ed averle a portata di mano. Solo le piante più sane e rigogliose venivano trapiantate, mentre con quelle danneggiate o<br />
rovinate si realizzavano le composte.<br />
Le composte nascono dall’esigenza di consumare anche quelle verze che, se cotte tradizionalmente non<br />
sono commestibili, poiché dure e senza “cuore”.<br />
Quella di trasformare le verze in composte era una pratica esclusivamente famigliare oramai in disuso, parte di quella cucina povera<br />
che faceva di necessità virtù. Qui, per la loro conservazione e aromatizzazione non si usava l’aceto come di consueto, ma la graspia:<br />
un vinello ottenuto dalle vinacce torchiate, bevuto durante l’inverno per risparmiare il vino buono che spesso veniva venduto.<br />
L’uso della graspia, al posto dell’aceto, conferisce un’acidità particolare, che le diversifica dalle altre, grazie al sapore meno intenso<br />
ed acido.<br />
Le verze (meglio se hanno subito una buona gelata) vengono raccolte e mondate dalle foglie troppo rovinate da gelo e parassiti;<br />
quindi, a seconda delle dimensioni, vengono tagliate in due o quattro parti e scottate in un liquido composto di nove parti di acqua<br />
salata ed una di graspia.<br />
Dopo essere state ben scolate e raffreddate si dispongono a strati in un barile aggiungendo del sale grosso tra uno strato e l’altro.<br />
In alcune preparazioni, vista la scarsa acidità della graspia, possono essere aggiunti dell’aglio e qualche chiodo di garofano:<br />
ingredienti che con le loro proprietà di antisettici naturali, oltre a fungere da aromatizzante, inibiscono la formazione di muffe.<br />
Si termina con uno strato di foglie grandi distese a copertura e si appone un coperchio di legno, che entri nel recipiente, sul quale<br />
vengono adagiati <strong>dei</strong> pesi.<br />
Infine si versa la graspia fino a coprire abbondantemente le verze; si copre tutto con un coperchio non stagno e si lascia macerare<br />
per quaranta giorni.<br />
Al termine della macerazione si possono gustare come vuole la tradizione a contorno del musetto, preparate in padella con aglio,<br />
cipolla e pancetta, con una lunga cottura sofegà.<br />
Roberto Gasparin<br />
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