2009 - Gustolocale
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Il coniglio in cucina<br />
Cos’è il Finger Food?<br />
pag. 14<br />
Cooks Happy Day<br />
pag. 20<br />
Amarone Amaro<br />
pag. 32<br />
Antico e misterioso,<br />
sicuramente divino pag. 42<br />
Sommario <strong>2009</strong><br />
marzo<br />
Il ruggito del coniglio<br />
Ischia, un’isola di terra<br />
Il coniglio alla Valleogrina vuole il Marzemino<br />
Una verdura da Re<br />
Come mille splendidi soli<br />
Asparagi su Marte<br />
L’Associazione Professionale Cuochi Italiani al Carnevale<br />
del Caffè Pedrocchi<br />
Cos’è il Finger Food?<br />
Breganze e la ricerca del Terroir<br />
Pasticceri quasi Mondiali<br />
Cooks Happy Day<br />
Tel chi el milanes<br />
Un buon ricordo, anzi ottimo<br />
Quando qualità fa rima con velocità<br />
Un Pomerol tra i colli trevigiani<br />
Abconsiderazioni di Amedeo Sandri<br />
Amarone Amaro<br />
Lo sai che la De.Co. è la carta d’identità del Sindaco?<br />
Diamo luce alle ombre<br />
Noalcol?<br />
Leggenda e storia del gelato<br />
Il senso del vino<br />
Antico e misterioso, sicuramente divino<br />
Il Trinciante, ovvero la meraviglia della professionalità<br />
Il Broccolo Fiolaro di Creazzo<br />
Lunga vita al Re<br />
Appuntamenti<br />
Annunci<br />
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Il ruggito<br />
del<br />
coniglio<br />
Storia e false credenze sulla tradizione del<br />
coniglio a tavola. Uno sguardo al consumo<br />
di questa carne bianca<br />
Quando in Italia si parla di Vicenza e di coniglio nessuno, dico nessuno, non<br />
sottolinea che da noi si scambia, a volte fraudolentemente, il gatto per il<br />
coniglio e, per di più, ne siamo ghiotti. È una nomea che non ci tireremo più<br />
via e che dobbiamo accettare. Che poi il gatto venisse mangiato ovunque, in<br />
Italia, è un’altra cosa: in Emilia la chiamano la “levra d’i copp”, cioè la “lepre<br />
dei tetti”. Ed era mangiato già nel 1300: il Savonarola, medico padovano,<br />
scrisse di non mangiare il cervello del gatto nero per non impazzire.<br />
E, di più, il termine coniglio non evoca mai concetti di validità, anche<br />
fuori dal mondo della gastronomia. “Sei un coniglio” si dice di un pavido,<br />
di un fifone, “è una coniglia” di una donna troppe volte gravida, e anche<br />
nell’arte amatoria a chi non dà prova di resistenza nelle tenzoni amorose
si “fa l’amore come i conigli”. Insomma sono poche le lodi a questo lepride<br />
comparso sulla terra da oltre 1 milione d’anni, addomesticato di recente,<br />
che dalla sua patria d’origine, l’Africa Settentrionale sarebbe poi passato<br />
in Spagna, moltiplicandosi, come è noto, con sorprendente facilità. Tracce<br />
se ne hanno dagli Egiziani in poi: un papiro rappresenta un uomo che tiene<br />
per le orecchie un coniglio, i Fenici lo usavano normalmente, come i Romani.<br />
Ma la storia moderna inizia nel XIV secolo quando veneziani, genovesi,<br />
portoghesi e spagnoli, organizzate le prime spedizioni al di là delle colonne<br />
d’Ercole tentarono, in diverse occasioni, di diffonderlo nelle terre che andavano<br />
via via incontrando. La domesticazione fu merito dei monaci francesi i<br />
quali ne consentirono, a volte inconsapevolmente, la diffusione con grande<br />
vantaggio delle popolazioni più povere che impararono ad allevarli vicino<br />
alle case.<br />
È stato compagno del contadino da secoli a cui ha dato oltre che la carne<br />
anche la pelle. Chi non ricorda le pellicce di lapin, la lana d’angora?<br />
Era talmente usata la pelle che fi no agli anni ‘50 d’inverno si facevano, sui<br />
manubri delle biciclette, delle manopole, legate col fi l di ferro e con il pelo<br />
dentro, per tener calde le mani mentre si pedalava.<br />
C’era un motivo perché fosse così apprezzato nelle campagne. L’allevamento<br />
non richiedeva molto spazio: solo una gabbia sollevata da terra (per paura<br />
dei topi che mangiavano il mangime ed aggredivano i coniglietti) sotto un<br />
portico o in un angolo della stalla. I conigli stavano separati (solo un giorno o<br />
due si univano conigli di sesso diverso) e poi, dopo 30 giorni nascevano 7 o<br />
8 piccoli. Li crescevano fi no ad 1Kg e mezzo e poi li dividevano per non farli<br />
accoppiare. Li nutrivano di erba fresca, non bagnata e lasciata ad appassire<br />
qualche giorno in modo che le erbe velenose, come il ranuncolo, perdessero<br />
effi cacia. Il coniglio assorbe molto, nel suo sapore, la natura delle erbe che<br />
mangia, fi no a diventare amaro se viene utilizzato, ad esempio, il fi eno greco<br />
e l’erba medica. Andava bene anche il fi eno, si faceva un pastone con semola,<br />
sorgo macinato e pane raffermo bagnato. Chi non aveva campi mandava<br />
i bambini lungo i fossati a raccogliere l’erba. L’Artusi, da sempre critico<br />
feroce per quello che riguarda alcuni tipi di carne (ricordiamo che detestava<br />
il baccalà) è qui più tollerante. Sentite: “È una carne di non molta sostanza<br />
e di poco sapore al che si può supplire con i condimenti; ma è tutt’altro che<br />
cattiva e non ha un odore disgustoso anzi è sana e non indigesta come quella<br />
dell’agnello”. Qualche ragione l’aveva, ai suoi tempi, perché il coniglio,<br />
come dicevo, trasferisce più di qualsiasi altro animale il sapore di ciò che<br />
mangia nel sapore della carne. Ma ora non è più così.<br />
Tempi passati: ora il coniglio è allevato con metodi modernissimi ed è prodotto<br />
di rilevante importanza. In Europa siamo il primo paese per produzione,<br />
con il 44%, seguiti dalla Francia con il 25% e dalla Spagna con il 17%,<br />
tutti gli altri paesi coprono il 14%. E ciò che è ancora più importante è che il<br />
Veneto è il leader italiano, con il 42% della produzione nazionale, il che vuol<br />
dire quasi 20 milioni di capi all’anno. La produzione veneta è certifi cata nella<br />
qualità, tanto che una parte di essa viene commercializzata col marchio di<br />
garanzia. Il coniglio ha bisogno di circa 90 giorni d’allevamento (contro i 38<br />
del pollo) ed è carne ricca di proteine ed aminoacidi, ha un bassissimo tasso<br />
di colesterolo, è povera di sodio ed è facilmente digeribile.<br />
Se è vero che l’alta ristorazione ancora non lo utilizza molto (ma vi sono<br />
stupende ricette della Mirella Cantarelli, dell’Enoteca Pinchiorri, di Nino Bergese,<br />
di qualche anno fa), si ha invece un bella serie di ricette casalinghe in<br />
ogni regione d’Italia. Regina, in questo campo è la Liguria, dove, proprio per<br />
la natura del terreno montano che impedisce i vasti allevamenti, il coniglio è<br />
da sempre molto utilizzato.<br />
Ad Ischia, in Campania, vi è un modo per allevarlo praticamente allo stato<br />
semibrado, permettendo all’animale di vivere in grotte di tufo ed alimentarsi<br />
ad erba. Viene chiamato coniglio di fossa e ne parleremo nel proseguo della<br />
rivista. Anche in Sicilia l’uso del coniglio è frequente ed alcune ricette lo vedono<br />
unito al cioccolato o allo zafferano, in un gusto che trae dagli arabi la<br />
propria storia. Incredibilmente negli Usa il consumo di coniglio è praticamente<br />
a zero: non è un piatto che viene preparato. Il coniglietto è, per loro, l’animale<br />
simbolo della Pasqua.<br />
In compenso sono loro ad aver inventato le “conigliette” di Playboy. Non si<br />
mangiano ma sono, pur sempre, bocconcini godibili!<br />
Alfredo Pelle<br />
3
4<br />
Ischia,<br />
un’isola di terra<br />
Riccardo d’Ambra, ristoratore ischitano, è stato ospite nel<br />
vicentino per far conoscere la cucina della sua isola.<br />
E si è scoperto che il piatto tipico è il coniglio<br />
Ischia: terra di mare. O, meglio, un’isola di terra, per dirla con Riccardo d’Ambra. Nell’immaginario collettivo<br />
Ischia, come tutte le località marine del nostro meridione, è identifi cata automaticamente con il mare,<br />
le spiagge (poche e piccole, in verità). Tutt’al più associamo Ischia alle terme, ai soggiorni della salute.<br />
Credo che a pochi, ma è un destino comune a molte isole, verrebbe in mente di associare Ischia al suo<br />
entroterra, soprattutto se Ischia non la si conosce. Viceversa Ischia e gli ischitani sono profondamente<br />
legati alle loro colline e ai prodotti che da questa terra provengono.<br />
Uno dei prodotti più tipici di Ischia e profondamente legato alla terra è il “coniglio da fossa”. Si tratta di<br />
conigli, generalmente di razza Liparina (o Liparota) e a’ Paregn, di piccola taglia e buona rusticità. Purtroppo<br />
ormai queste razze sono quasi irrimediabilmente compromesse da anni di incroci con altre varietà<br />
e, quindi, trovare un coniglio “puro” è diventato pressoché impossibile, anche se ora, grazie ad una encomiabile<br />
azione di appassionati ed esperti, la razza a’ Paregn è in fase di recupero e rilancio.<br />
Particolare è il metodo di allevamento, che avviene appunto, in fosse scavate nel terreno e profonde diversi<br />
metri, dalle quali si diramano cunicoli scavati dai conigli stessi. Il coniglio, quindi, ha a disposizione<br />
un ambiente che si avvicina a quello naturale e, soprattutto, ha la possibilità di muoversi e scavare; le sue<br />
carni sono, per questa ragione, più sode e saporite di quelle degli animali allevati in gabbie. Attualmente<br />
le fosse attive sono pochissime e l’allevamento è rivolto quasi esclusivamente al consumo familiare.<br />
La diffusione di questo roditore avvenne diversi secoli fa, pare ad opera degli spagnoli che dominavano
tutto il meridione d’Italia. Gli ischitani<br />
pensarono di allevare i conigli<br />
sfruttando delle buche nel terreno,<br />
le fosse, che erano state fatte per<br />
recuperare terra vergine da usare<br />
come rincalzo delle viti che, negli<br />
anni passati, caratterizzavano<br />
il paesaggio e l’economia agricola<br />
di Ischia. In queste fosse,<br />
sorta di recinto profondo alcuni<br />
metri, venivano praticati dei buchi<br />
in senso longitudinale, quasi<br />
a costituire un invito ai conigli<br />
a proseguire lo scavo. I conigli,<br />
roditori gregari ed eccellenti scavatori,<br />
completarono l’opera, realizzando<br />
cuniculi lunghi anche dieci e più metri.<br />
Ma torniamo a Riccardo d’Ambra, questo straordinario<br />
uomo che abbiamo avuto il piacere di conoscere<br />
in occasione di una serata organizzata dalle Condotte<br />
Slow Food del Vicentino e dell’Area Berica all’Enoteca<br />
da Cesare a Ponte di Nanto. Quest’uomo che nella<br />
vita privata fa il ristoratore proprio ad Ischia e, in una<br />
parte del suo tempo libero gestisce la Condotta Slow<br />
Food di Ischia, ha deciso, per uno strano caso della<br />
vita, di portare con sé, durante una sua visita in terra<br />
Veneta, alcuni prodotti della sua terra, dai profumi<br />
e sapori decisamente inusuali, e si è reso disponibile<br />
a prepararci una grande serata dal titolo ISCHIA:<br />
UN’ISOLA DI TERRA ® .<br />
Siamo stati catapultati per una sera ad Ischia senza<br />
muoverci dal vicentino. La simpatia, la competenza, la<br />
cultura e la professionalità di Riccardo e dei suoi fi gli ci<br />
hanno accompagnato attraverso una serata memorabile,<br />
regalandoci uno spaccato del mondo ischitano e<br />
della sua gastronomia.<br />
La partenza non poteva essere migliore: un Giardini<br />
Arimei dell’Isola d’Ischia servito come aperitivo ci ha<br />
immediatamente trasportati, con i suoi profumi marini<br />
e solari, nell’isola.<br />
La ricerca dei prodotti tipici e tradizionali<br />
e la loro rielaborazione gastronomica<br />
ci ha consentito quindi<br />
di apprezzare alcuni prodotti straordinari,<br />
a partire dai fagioli zampognari<br />
(prodotto dell’Arca di Slow<br />
Food) preparati con un condimento<br />
a base di agrumi.<br />
Il coniglio da fossa è, ovviamente, sta-<br />
to il piatto principe. Preparato all’ischitana, in<br />
pentola di coccio, con pomodoro, aglio, peperoncino<br />
ed erbe aromatiche. Una delizia<br />
del palato, rigorosamente abbinato, come<br />
vuole tradizione, con un Ischia Bianco DOC.<br />
E cosa dire della “Mnesta ‘Mmaretata”, pre-<br />
parata alla moda dei Quartieri Spagnoli di Napoli? Possiamo<br />
dire solo che è stato un peccato averla proposta<br />
dopo il coniglio e tutto ciò che abbiamo mangiato prima:<br />
avrebbe meritato un posto d’onore come piatto unico!<br />
Insomma una serata dove tutti si sono ritrovati ad Ischia<br />
per alcune ore, accompagnati per mano da Riccardo<br />
e dal suo staff della Trattoria Il Focolare, alla ricerca ed<br />
alla scoperta di quei sapori della tradizione ischitana di<br />
terra: quella più vera e genuina.<br />
Mauro Pasquali<br />
Il Presidio Slow Food del Coniglio da Fossa<br />
Il Presidio nasce dalla volontà di un piccolo gruppo di<br />
allevatori di ricostruire, partendo dal basso, una fi liera<br />
locale del coniglio allevato tradizionalmente. Il punto<br />
di partenza è il recupero delle vecchie fosse, in gran<br />
parte abbandonate, disseminate sull’isola (si calcola<br />
ce ne siano un migliaio) e la sperimentazione di un<br />
regime alimentare che ben si adatti a questo tipo di<br />
allevamento.<br />
Gli allevatori sono riuniti nell’Associazione:<br />
Green Ground - Il terreno verde<br />
Via Cretajo al crocifi sso, 3<br />
Barano Isola d’Ischia (Na)<br />
tel. +39.081.902944; +39.340.7336816<br />
s.dambra@libero.it
6<br />
Il coniglio alla Valleogrina<br />
vuole il Marzemino<br />
Un vino del territorio per un piatto del territorio. Uniti in un matrimonio di gusto<br />
La cucina popolare è sicuramente un valore culturale quando affonda le<br />
sue radici nella tradizione consolidata da usi ed abitudini tramandate da<br />
generazioni. È maggiormente valida quando è geografi camente individuata<br />
e circoscritta e fa riferimento all’utilizzo in cucina di prodotti che appartengono<br />
all’uso quotidiano e che oggi cerchiamo di mantenere intatti nella<br />
preparazione e nel consumo.<br />
Per quanto attiene alla nostra zona, la Valleogra, e relativo<br />
sbocco in pianura, la società di ieri era, ovviamente,<br />
solo contadina, o meglio ancora di montagna, con i limiti<br />
che ciò comportava e comporta tutt’ora sotto il profi lo<br />
climatico ed ambientale. L’allevamento domestico di animali<br />
da cortile era la fonte primaria di sostentamento e fra<br />
questi sicuramente il coniglio era presente in modo diffuso.<br />
Le varie preparazioni di queste carni risentivano della<br />
fantasia e della disponibilità delle singole famiglie, senza<br />
trascurare le infl uenze esterne che a volte condizionavano<br />
le preparazioni stesse. La scarsa possibilità di conservazione<br />
portava infatti ad utilizzare frequentemente degli ingredienti<br />
che in qualche modo coprissero i possibili, probabili,<br />
odori. Da qui la presenza di componenti a volte non<br />
strettamente presenti nel territorio, come l’uvetta di Candia,<br />
i pinoli di Grecia e Dalmazia, mutuati evidentemente<br />
da “contaminazioni veneziane”, come anche la sarda. In<br />
questo contesto nasce “Coniglio alla Valleogrina”, una ricetta<br />
riscoperta dai Ristoratori Scledensi, di cui potete<br />
Claudio Ballardin - Presidente dei Ristoratori Scledensi<br />
trovare la ricetta nella pagina a fi anco. Quello che desidero evidenziare è<br />
l’abbinamento di un vino su questo piatto, perché ciò rappresenta un ideale<br />
ed attuale coronamento di presentazione e degustazione di questa interessantissima<br />
proposta gastronomica. A mio modesto parere un piatto defi nito<br />
“del territorio” non può non prevedere anche un vino del territorio stesso. A<br />
tale scopo alcuni addetti ai lavori qualche sera fa, misurandosi nell’abbina-<br />
mento con alcuni vivi, hanno decretato, dopo un’attenta<br />
valutazione, vino ideale il Marzemino di Breganze, DOC<br />
dal 1995.<br />
L’analisi sensoriale del cibo ha evidenziato sensazioni<br />
agro-dolci, poco grasse, dagli aromi spiccati e saporiti.<br />
La presenza di uvetta e pinoli danno sensazioni dolci, la<br />
cipolla, l’aceto e la buccia di limone sensazioni acide. Gli<br />
aromi di cottura e la sarda dissalata sensazioni piccanti<br />
e aromatiche. Il vino rosso selezionato presenta caratteristiche<br />
fruttate e di morbidezza evidenti, tannicità ed<br />
alcolicità moderate, unite ad una personalità ben defi nita.<br />
Se a tutto ciò aggiungiamo anche la tradizionale presenza<br />
nelle nostre terre del Marzemino da almeno 500 anni,<br />
abbiamo trovato la quadratura del cerchio.<br />
In defi nitiva questa è la nostra proposta, suggerita seguendo<br />
i parametri di un corretto abbinamento vino/cibo,<br />
ponendo la massima attenzione all’utilizzo dei prodotti dl<br />
nostro territorio.<br />
Terenzio Panozzo
Coniglio alla<br />
Valleogrina in<br />
salsa dolce<br />
PROCEDIMENTO<br />
Mettete il coniglio tagliato a pezzi in bagno d’acqua<br />
per una notte. Toglietelo dall’acqua e mettetelo<br />
in una padella: saltatelo e fatelo cuocere<br />
su entrambi i lati fi no ad asciugare l’acqua che<br />
espellerà. In un’altra padella mettete l’olio, la cipolla<br />
tritata ed il rosmarino. Adagiate i pezzi di<br />
coniglio e bagnate con il vino. Portare a cottura<br />
aggiungendo, quando serve, del brodo. Dieci minuti<br />
prima di fi ne cottura, grattugiate sopra della<br />
noce moscata.<br />
INGREDIENTI PER 6 PERSONE<br />
Un coniglio<br />
70g di burro<br />
50 cl di olio extravergine ‘oliva<br />
25 cl di vino bianco<br />
1 cipolla media<br />
rosmarino, sale, pepe, noce moscata<br />
PER LA SALSA<br />
1 salsiccia<br />
1 fegato e mezzo di coniglio<br />
30 g di cipolla<br />
brodo<br />
40 g di burro<br />
2 cucchiai di zucchero<br />
50 cl di olio extravergine d’oliva<br />
100 g di uva sultanina<br />
30 g di pinoli<br />
la parte gialla di un limone<br />
50 cl di aceto rosso<br />
1 sarda sotto sale<br />
PER LA SALSA<br />
Mettete a bagno l’uvetta in acqua, mondate la<br />
sarda della lisca e togliete il sale. Mettete in un<br />
tegame il burro, l’olio e la cipolla tritata, aggiungete<br />
la salsiccia sminuzzata, il fegato tritato, l’uvetta<br />
ben sgocciolata, i pinoli, la buccia del limone<br />
grattugiata e la sarda. Cuocere a fuoco lento per<br />
circa due ore, aggiungendo brodo a poco a poco.<br />
A metà cottura unite lo zucchero e l’aceto, ultimata<br />
la cottura restringete bene la salsa e servite accompagnandola<br />
al coniglio con polenta tenera.
Una verdura da Re<br />
Da ortaggio selvatico, bianco e amaro a delizia arancione in onore degli Orange.<br />
La carota attraverso i secoli<br />
8<br />
Uno degli ortaggi più conosciuti e coltivati nei nostri orti è la carota, anche<br />
perché è uno dei più preziosi per la salute dell’uomo. Chi di noi può dire di non<br />
avere mai masticato, da bambino, la sua radice cruda e di non averla trovata<br />
dolce e gustosa nonostante la durezza delle sue fibre?<br />
Forse non tutti lo sanno ma la carota come le conosciamo oggi, con il suo tipico<br />
colore arancione, anticamente, o almeno fino al Rinascimento, era un ortaggio<br />
selvatico, amaro, di colore biancastro, con una buccia abbastanza coriacea ed<br />
un’anima fibrosa. La carota, dal greco karoton, derivante a sua volta da un termine<br />
sanscrito, è un tubero originario appunto dell’Asia Minore. Più di due millenni<br />
fa la carota, allora dalla polpa bianca e fibrosa, era poco diffusa in Europa,<br />
dove solo nel 1500 si iniziò a coltivarla, incrociandone le verità e selezionando<br />
quelle più croccanti e colorate che oggi conosciamo.<br />
La carota (Daucus carota) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle<br />
ombrellifere, sulle cui origini esistono tesi differenti. Sebbene da secoli cresca<br />
spontaneamente in area mediterranea, alcuni studi ritengono provenga dall’area<br />
indoeuropea, in particolare dall’Afghanistan, ove sono ancora coltivate carote<br />
che presentano un colore dal viola al quasi nero. Ed è proprio da queste che ne<br />
sono derivate le varietà a radice gialla (dal sapore molto forte) e quelle a radice<br />
arancione che coltiviamo abitualmente.<br />
Per lungo tempo le furono preferite la rapa e la pastinaca (Daucus sativus);<br />
cominciò ad essere apprezzata solo in epoca rinascimentale, per entrare nella<br />
grande coltura all’inizio del secolo XIX. Come tutte le “rape” infatti (con tale<br />
termine si identificavano tutte quelle piante coltivate per le loro radici carnose e<br />
commestibili) era considerata poco più che un semplice foraggio per le bestie<br />
o un alimento per le mense dei poveri. Era già conosciuta ed utilizzata dai Greci<br />
e dai Romani, che però se ne interessarono pochissimo, apprezzandola per le<br />
sue proprietà medicinali e considerandola, per il suo aspetto fallico, cibo afrodisiaco<br />
per curare l’impotenza maschile. Proprio i Greci prima ed i Romani poi<br />
approfondirono le nozioni recuperate dagli Egizi sulle proprietà della pianta di
carota, portandole a un livello più scientifico. Negli scritti di Ippocrate,<br />
infatti, troviamo una minuziosa descrizione della Daucus carota, in particolare<br />
nel Corpus Hippocraticum o Collectio Hippocratica: si tratta<br />
di una raccolta di 72 libri, divisi a seconda del contenuto, fra i quali<br />
uno interamente dedicato alle proprietà delle piante ed ai loro poteri<br />
come rimedio delle malattie. Catone “il vecchio”, nel suo trattato De<br />
re rustica, cita 120 piante medicinali che egli stesso coltivava nel suo<br />
giardino, fra cui la carota selvatica impiegata come sfiammante. Plinio<br />
il Vecchio e il greco Galeno ne parlano nelle loro opere e l’influenza di<br />
questi ultimi due autori sarà duratura quanto quella di Ippocrate. La<br />
sua diffusione dall’area mediterranea all’Europa Occidentale avviene<br />
tuttavia solamente a partire dal 1300, come afferma il noto botanico H.<br />
Banga nei suoi scritti. La produzione penetra lentamente in Francia e in<br />
Germania, dove la carota veniva utilizzata come dolcificante per cibi e<br />
bevande, giungendo nel 1600 in Olanda. Qui, come evidenziano alcuni<br />
dipinti conservati nei musei olandesi, si seleziona, con grande anticipo<br />
rispetto al resto d’Europa, la cultivar dal colore arancio in onore della<br />
dinastia regnante, gli Orange. Una trasformazione che non è avvenuta<br />
in laboratori, come per le moderne “modificazioni genetiche”, ma nei<br />
verdi campi olandesi, per selezione successiva, partendo da un seme<br />
di carota proveniente dall’Africa del nord. Solo dopo un paziente lavoro<br />
di selezione nel corso dei secoli si è giunti a ottenere le varietà dolci<br />
e arancioni più in uso oggi, che soltanto a partire dal XIX secolo hanno<br />
acquistato quella percentuale di betacarotene che le rende di un<br />
bell’arancione vivo che oggi le identifica.<br />
Francesca Filippi
10<br />
Come mille splendidi soli<br />
L’uvetta non è solo la dolce protagonista del Carnevale, ma un perfetto abbinamento<br />
per i piatti di tutte le stagioni. In viaggio tra sapori e leggenda<br />
Da pochi giorni il Carnevale<br />
è terminato, portandosi via<br />
maschere, sfi late, feste e<br />
golosità. Finite le scorpacciate<br />
di crostoli, castagnole<br />
e frittelle, sparito l’odore<br />
dolciastro che fi no a pochi<br />
giorni fa inondava case,<br />
strade, panifi ci e pasticcerie<br />
traboccanti di prelibatezze<br />
carnevalesche tradizionali e improbabili diavolerie dolciarie. Troppe<br />
da alcuni anni le varianti delle tradizionali e tanto amate frittelle, piene di mostruose<br />
creme, vendute accanto a vassoi preconfezionati di galani, fritti chissà<br />
come e chissà quando. Quanto sono migliori invece le frittelle classiche,<br />
semplicemente caserecce, quelle che odorano di grappa o sono un po’ unte,<br />
ricoperte di zucchero semolato che graffi a le gengive e ci regalano la morbi-<br />
dezza dell’uvetta, vera regina<br />
della ricetta di questi<br />
dolci tentazioni. L’uvetta o<br />
uva sultanina ricorre spessissimo<br />
in pasticceria, da<br />
Natale a Carnevale, ma<br />
è presente in tante interpretazioni<br />
gastronomiche<br />
nazionali e regionali tutto<br />
l’anno in tutta Italia. Si presta<br />
alla preparazione di biscotti (zaleti), dolci (pinza, presnitz, putizza, treccia,<br />
pandolce), buccellati, pani, budini, ripieni (strudel). La si può introdurre in marmellate<br />
e gelatine, mettere sotto spirito e usare in molte preparazioni salate, basti<br />
pensare a piatti famosi della cucina veneta (sarde in saor, Coniglio alla Valleogrina<br />
ecc.), napoletana (polpette al sugo), calabrese (baccalà) e siciliana (pasta<br />
con le sarde). Ma perché la chiamiamo così? Il suo nome sembra sia legato alla
parola Sultano, sovrano durante l’Impero Ottomano,<br />
dove Izmir è sempre stata vocata alla coltivazione di<br />
una particolare varietà di vite. Oltre alla sultanina, piccola,<br />
senza semi, adatta anche a molti piatti salati, sul<br />
mercato esistono altre tipologie, dal colore più o meno<br />
biondo, dorato o addirittura bluastro. Come quella di<br />
Corinto, esposta ai potenti raggi del sole greco, portata<br />
direttamente dall’Oriente esattamente come l’uvetta<br />
che giunse a Venezia, forse da Smirne, dove le viti<br />
donano ancor oggi grappoli dagli acini grandi che rimangono<br />
tali anche dopo l’essicazione. Restando nel<br />
Mediterraneo, troviamo un’uva passa chiara, di grande<br />
pregio e dimensioni a Malaga, mentre in Cile una varietà<br />
a chicchi grandi, ambrati e dal gustomolto particolare.<br />
Mai però come quello dell’uva abjosh proveniente<br />
da Herat, Afganistan ottenuta da viti coltivate con<br />
coraggio e diffi coltà, divenuta Presidio Slow Food e<br />
recentemente inclusa nell’Arca del Gusto. La Fakhery<br />
è la cultivar base di quest’uva presente solo a Herat e<br />
Kandahar. Le talee di questo tipo di vite vengono coltivate<br />
da 500 anni allo stesso modo in trincee profonde<br />
2 metri, spinte dai contadini nel terreno umido con i<br />
piedi. Prima dell’essicazione i grappoli bianchi o rosati<br />
si immergono in acqua bollente per pochi istanti, affi nché<br />
si formino piccole fessure sulle bucce che tuttavia<br />
non danneggiano il prodotto.<br />
Al contrario, con<br />
questo processo detto<br />
abjosh si accorciano i<br />
tempi di essicazione e<br />
l’uvetta risulta dorata,<br />
morbida al tatto e in bocca.<br />
Grazie al Presidio si<br />
sono garantiti la valorizzazione<br />
dei metodi di<br />
lavorazione tradizionali<br />
e la preservazione delle<br />
varietà locali. Dagli anni<br />
‘70, infatti, l’Afganistan<br />
ha lentamente perso il<br />
suo primato di produt-<br />
Uno scorcio della fortezza di Herat<br />
tore di uvetta di qualità. Prima di allora, la produzione<br />
di questo paese ricopriva il 60% del mercato mondiale<br />
e si caratterizzava in 120 varietà. Di queste oggi ne<br />
restano 72, di cui 7 di qualità superiore. Avviando una<br />
collaborazione con l’Università di Herat, il Presidio ne<br />
ha catalogate 27, diverse per consistenza, colore e utilizzo.<br />
Con il Perennal Horticulture Developent Project<br />
(PHDP) di Kabul sta contribuendo al miglioramento del<br />
reddito agricolo, all’organizzazione di corsi destinati<br />
agli agricoltori, al recupero dei germoplasma e alla<br />
catalogazione di nuove varietà. Nella cucina afgana, a<br />
dire il vero, l’uvetta non è particolarmente presente, ma<br />
trionfa nel quabeli pilau, piatto tradizionale a base di<br />
riso, carne di agnello o pollo, zafferano, cipolla e carote<br />
e nello sher berinj, delicato budino di riso. All’ultimo Salone<br />
del Gusto di Torino la potevate trovare e degustare<br />
ad un minuscolo stand, sorvegliata dagli occhi liquidi<br />
e penetranti di un produttore afgano, che la esponeva<br />
quasi con gelosia in capienti ciotole come se si trattasse<br />
di un tesoro. E forse la sua uvetta lo era per davvero.<br />
Da custodire, ma necessariamente da vendere, in mille<br />
chicchi dorati, morbidi e pieni, pieni anche del dramma<br />
e della disperazione di una terra e dei suoi uomini. Mille<br />
come gli splendidi soli che lo scrittore afgano Khaled<br />
Hosseini nel suo celebre romanzo paragona, con im-<br />
mensa nostalgia, ai luccichii<br />
e ai rifl essi dorati<br />
che, in tempo di pace,<br />
vedeva provenire dalle<br />
cupole della sua città.<br />
E se è vero che il cibo<br />
sa evocare e trasmettere<br />
emozioni, credo non<br />
basterebbero mille parole<br />
per esprimere quello<br />
che si prova mentre<br />
si assapora anche un<br />
singolo chicco dell’uva<br />
passa di Herat.<br />
Sarina Vaccarella
12<br />
Asparagi su Marte<br />
Il Gruppo Ristoratori Bassanesi ospita la NASA nella città del Brenta.<br />
A quando la coltivazione sul pianeta rosso?<br />
Nell’Anno Internazionale dell’Astronomia, il Gruppo Ristoratori Bassanesi<br />
ospita nella città sulle rive del Brenta i tecnici NASA - l’agenzia aerospaziale<br />
americana - responsabili del successo della missione della sonda<br />
spaziale Phoenix che nello scorso anno, giunta sul Pianeta Rosso dopo un<br />
viaggio di dieci mesi, ha confermato che la terra di Marte è adatta alla coltivazione<br />
dell’asparago. I ristoranti bassanesi, associazione che fa parte<br />
dell’UMCE di Bassano del Grappa, hanno nel bianco turione, annoverato<br />
di diritto fra le meraviglie gastronomiche d’Italia e del mondo, il simbolo<br />
della loro attività: l’Asparago Bianco di Bassano rappresenta il legame con<br />
il territorio e il prodotto di stagione “a chilometri zero” per eccellenza. L’occasione<br />
per ospitare una delegazione di scienziati americani, per discutere<br />
dei risultati dell’ultima e più diffi cile avventura marziana del Jet Propulsion<br />
Laboratory (NASA) e della possibilità di coltivare gli asparagi su Marte sarà<br />
quindi la data d’inizio della rassegna enogastronomica “Asparagi e Vespaiolo”,<br />
il prossimo 19 marzo.<br />
“Non c’è nulla che precluda la vita - spiegava lo scorso giugno lo scienziato<br />
NASA Samuel Kounaves, commentando i risultati dell’analisi del campione<br />
di terriccio marziano prelevato dalla sonda Phoenix - quello di Marte<br />
è il tipo di suolo che potrebbe essere trovato nel vostro giardino, ricco cioè<br />
di sostanze alcaline. Un suolo su cui potrebbero crescere gli asparagi”. A<br />
Kounaves faceva immediata eco il Consorzio per la Tutela dell’Asparago<br />
Bianco di Bassano a Denominazione di Origine Protetta: “Saremmo felici<br />
che su Marte si piantasse l’asparago, perché siamo certi che il patrimonio<br />
genetico di queste piante, che le famiglie bassanesi si tramandano<br />
da secoli di generazione in generazione, sia tanto valido da meritare una<br />
discendenza extraterrestre”.<br />
Gli scienziati americani hanno quindi accettato di relazionare e commentare<br />
a Bassano, la terra dell’asparago per eccellenza, i risultati della straordinaria<br />
missione e la possibilità di coltivare i bianchi turioni bassanesi<br />
sul Pianeta Rosso, davanti a un piatto di Asparagi Bianchi e a un calice<br />
di Breganze DOC Vespaiolo. La delegazione NASA in riva al Brenta sarà<br />
guidata da Barry Goldstein, responsabile del progetto Phoenix. “Siamo<br />
onorati di avere come ospiti scienziati tanto illustri come i rappresentanti<br />
del JPL, che con il loro lavoro di ricerca danno lustro all’intera umanità – fa<br />
sapere la presidenza del Gruppo Ristoratori Bassanesi - Noi cerchiamo di<br />
dare con il nostro lavoro altrettanto lustro alla gastronomia, e crediamo di<br />
riuscirci: impiegando prodotti del territorio, in collaborazione con il Consorzio<br />
dell’Asparago Bianco DOP di Bassano”.<br />
Oscar Santo Nastasio
L’Associazione Professionale Cuochi Italiani al<br />
Carnevale del Caffè Pedrocchi<br />
La carica dei 101 cuochi all’VIII Rassegna Nazionale.<br />
E dopo la competizione la formazione: Cos’è il Finger Food?<br />
Volti, non solo maschere! All’VIII Rassegna Competitiva Nazionale di Cucina, Pasticceria e Sculture Artistiche, indetta<br />
ed organizzata dall’Associazione Professionale Cuochi Italiani, con il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole,<br />
della Regione Veneto, della Provincia, Camera di Commercio e Comune di Padova. Un esercito gioioso di Cento e Uno<br />
cuochi - chiamati a raccolta intorno alla Table d’Or, ha portato in dono cento e più ricette sul palcoscenico di un grande<br />
Teatro del Gusto, come lo storico Caffè Pedrocchi.<br />
Gli chef, provenienti da tutta Italia, hanno esposto i loro piatti da concorso di Cucina o Pasticceria: alta ristorazione che<br />
ha costituito un grande spettacolo e che ha messo in scena il livello delle capacità professionali raggiunto da cuochi<br />
e pasticceri. Il prestigioso contesto è stato impreziosito dal Salone delle Sculture Artistiche: cioccolato, margarina,<br />
vegetali, zucchero, si trasformano in vere e proprie opere d’arte.<br />
Ad affiancare i grandi piatti portati in scena, i vini di Giancarlo Aneri che ha consegnato a nome del Caffè Pedrocchi lo<br />
speciale premio “Il cucchiaio di Pantagruel” ai piatti ritenuti più creativi ed originali. Sono state assegnate medaglie di<br />
bronzo, d’argento e d’oro e premi del valore di € 3.000 ai primi tre classificati: Giuseppe Spina (Napoli) - per la cucina,<br />
Simone Bortolus (Venezia) - per la pasticceria e Mario Ragona (Palermo) - per le sculture artistiche.<br />
L’Associazione Professionale Cuochi Italiani ha premiato giornalisti orgoglio del made in Italy agroalimentare: Vincenzo<br />
Beni, inviato dell’agenzia Ansa, Morello Pecchioli caposervizio dell’Arena, Nereo Pederzolli inviato della Rai e collaboratore<br />
di Slow Food e Gambero Rosso.<br />
L’importanza della Rassegna, è stata avvalorata da uno Speciale Corso di Aggiornamento Professionale sul tema “Finger<br />
Food”, organizzato in collaborazione con Sirman, Consorzio Zafferano e Tecnobar&Food - Padovafiere. Il corso, tenuto<br />
da: Roberto Carcangiu – R&D Cooking Director, Gianluca Tomasi, plurimedagliato chef di fama internazionale, Marco<br />
Valletta, chef esperto di enogastronomia, e dal barman Angelo Borrillo, si è tenuto nella meravigliosa cornice del Caffè<br />
Pedrocchi. Prestigiosa straordinaria edizione di aggiornamento professionale che ha permesso a tutti i professionisti del<br />
settore di avere un’importante occasione di approfondimento, in preparazione dell’ attesissima II edizione del Campionato<br />
Italiano di Finger Food “Chef in Punta di dita”, in programma dal 7 al 10 febbraio 2010 presso la fiera Tecnobar&Food.<br />
Altro che la solita minestra!<br />
Sonia Re<br />
Dall’alto: Gruppo chefs Caffè Pedrocchi con gli elaborati; 1° Classificato Cucina - Spina Giuseppe;<br />
1° Classificato Sculture - Ragona Mario - Zucchero - Glamour; ° Classificato Pasticceria - Bortolus Simone<br />
13
14<br />
Cos’e il Finger Food?<br />
CROCCHETTA DI RISO ALLO ZAFFERANO CON PORRO, MOUSS<br />
DI POLLO AL CURRY E SALSA DI PEPERONE ALLO ZENZERO<br />
Ingredienti per n° 10 persone:<br />
100 g riso vialone nano<br />
50 g porro<br />
20 g vino bianco<br />
20 g parmigiano grattugiato<br />
20 g burro<br />
n°1 bustina zafferano<br />
100 g petto di pollo<br />
30 g burro<br />
30 g panna<br />
100 g peperone giallo<br />
20 g cipolla<br />
brodo vegetale,olio extravergine d’oliva, sale,curry,zenzero, q.b.<br />
pane grattugiato, farina, uova, mandorle, q.b.<br />
’<br />
u Procedimento:<br />
Bollire per 10 minuti circa il petto di pollo nel brodo vegetale. Tagliare a pezzetti<br />
e mettere nel mixer, frullare aggiungendo 30 g di burro morbido, la panna<br />
ed il curry,ottenere una massa soffice.<br />
In una casseruola con poco olio, rosolare leggermente il porro tagliato sottile,<br />
aggiungere il riso, fare tostare, bagnare con il vino, lasciare evaporare ed unire<br />
il brodo poco alla volta, aggiungere lo zafferano.Terminata la cottura mantecare<br />
con il burro ed il formaggio. Intiepidire il risotto e versare su un foglio<br />
di carta alluminio imburrata. Avvolgere, premendo bene le due estremita’in<br />
modo da formare un cilindro di 3 cm di diametro, e raffreddare. Togliere dalla<br />
carta e tagliare il cilindro in dischi di 1/cm di spessore, passare prima nella<br />
farina, poi nell’uovo battuto ed infine nel pane grattugiato. In una casseruola<br />
con poco olio, rosolare 20 g di cipolla tritata, aggiungere il peperone tagliato<br />
a pezzetti, insaporire e aggiungere poco brodo. Terminata la cottura, frullare<br />
con il mixer ad immersione e passare la salsa al setaccio. Regolare eventualmente<br />
di densita’ ed aggiungere lo zenzero in polvere. Friggete le crocchette<br />
di riso, asciugare con carta assorbente, salare, mettere sopra ad ognuna la<br />
mousse di pollo con il sacco a poche, fare cadere sopra un cucchiaino di salsa<br />
di peperone e guarnire con del porro croccante e mandorle tostate.<br />
lo raccontano le ricette dello Chef Gianluca Tomasi<br />
BRISE’ AL PEPERONE CON INSALATINA DI FINOCCHIO E ROTOLO<br />
DI MERLUZZO CON GAMBERI MARINATI ALL’ARANCIO<br />
Ingredienti:<br />
200 g pasta brise’ al peperone<br />
40 g finocchio<br />
100 g filetto di merluzzo<br />
n° 5 code di gambero<br />
30 g panna<br />
buccia di arancio, aneto, bacche rosa,<br />
maionese, olio extra vergine d’oliva, q.b.<br />
u Procedimento:<br />
Tirare la pasta brise’ dello spessore di ½ cm. e ricavare dei dischi di 3 cm di diametro,<br />
forare ed infornare a 160° per 10 min.circa. Frullare il filetto di merluzzo<br />
con la panna ed insaporire.Condire le code di gambero con la buccia di arancio<br />
grattugiata e aneto tritato. Con il sacco a poche mettere la farcia di merluzzo<br />
sopra a della carta da forno inumidita e leggermente oleata, posizionate le code<br />
di gambero allineate, ricoprire con altra farcia ed avvolgere. Mettere poi il tutto<br />
sopra ad un foglio di carta alluminio ed avvolgere bene premendo nelle due<br />
estremita’. Cuocere in forno a vapore raggiungendo la temperatura al cuore di<br />
60°. Raffreddare velocemente, togliere le carte e tagliare in tranci regolari di 1<br />
cm. Tagliatre il finocchio sottile e condire. Mettere sopra ad ogni disco di brise’<br />
poca maionese aromatizzata con l’aneto, l’insalatina di finocchio, il medaglione<br />
di merluzzo, e guarnire con una bacca rosa e dell’aneto.<br />
Pasta brise’ al peperone:<br />
250 g farina<br />
125 g burro<br />
n°1 uovo<br />
50 g purea di peperone rosso<br />
3 g sale<br />
u Procedimento:<br />
Disporre la farina a fontana, mettere nel centro il burro morbido, la purea di<br />
peperone, l’uovo ed il sale. Amalgamare bene tutti gli ingredienti ed incorporare<br />
la farina fino ad ottenere un impasto omogeneo.
C I A L D A D I M A I S C O N F O N D U T A D I A S I A G O ,<br />
RADICCHIO TREVIGIANO E PUREA DI ZUCCA<br />
Ingredienti:<br />
100 g fonduta di asiago<br />
50 g radicchio trevigiano<br />
100 g zucca pulita<br />
20 g gherigli di noci<br />
polenta di mais di Marano,brodo vegetale, olio extravergine<br />
d’oliva, aceto, q.b.<br />
u Procedimento:<br />
Tagliare in quadrati di 6 cm molto sottili la polenta,<br />
disporre su stampi circolari di silicone e renderli croccanti<br />
in microonde. Tagliare la zucca in piccoli cu-<br />
betti, mettere in una ciotola con poco brodo, coprire<br />
e cuocere nel microonde. Passare poi al setaccio ed<br />
insaporire.Tagliare il radicchio in listarelle sottili, scottare<br />
in padella con poco olio, insaporire e bagnare con<br />
poco aceto. Scolare ed asciugare con carta assorbente.<br />
Mettere con il sacco a poche la fonduta e la purea<br />
di zucca su ciascuna cialda, mettendo nel centro il radicchio<br />
e le noci tagliate sottili.<br />
Fonduta di asiago:<br />
100g di asiago dop<br />
100 g latte<br />
20 g burro<br />
20 g farina<br />
Sale<br />
u Procedimento:<br />
In una casseruola sciogliere il burro, unire la farina mescolando<br />
velocemente, quindi unire il latte bollente, il<br />
sale e lasciar bollire per alcuni minuti. Togliere dal fuoco<br />
ed aggiungere il formaggio tagliato in piccoli cubetti.<br />
Mescolare fi no a quando sara’ completamente fuso.
16<br />
Breganze e la ricerca<br />
del Terroir<br />
Presentato il pluriennale lavoro di zonazione della zona DOC Breganze. Un’area con una forte<br />
identità qualitativa che da sempre crede che lo sviluppo dei propri vini risieda nella loro tipicità<br />
Dopo un’accurata ricerca durata alcuni anni, è arrivato alle stampe il “Manuale<br />
d’uso del territorio” della Zona DOC di Breganze. È il frutto del lavoro pluriennale<br />
di zonazione, realizzato da Veneto Agricoltura in collaborazione con la<br />
Provincia di Vicenza il Consorzio di tutela vini DOC di Breganze e la Cantina<br />
Beato Bartolomeo.<br />
Alla base della zonazione viticola vi è il concetto che il territorio di origine abbia<br />
un’infl uenza fondamentale nel determinare le caratteristiche del prodotto<br />
fi nale. La zonazione è pertanto un lavoro scientifi co in cui si studiano in modo<br />
approfondito, integrato e interdisciplinare i vari fattori che legano un vitigno<br />
all’ambiente.<br />
Il manuale d’uso del territorio che ne è seguito non è un semplice resoconto<br />
dei risultati, ma un utilissimo strumento per i viticoltori che lo potranno consultare<br />
per trovare pratici spunti per migliorare<br />
la conduzione dei vigneti per un miglioramento<br />
qualitativo dell’uva e dell’espressività del vino.<br />
Il professor Attilio Scienza, coordinatore scientifi<br />
co del progetto e massimo esperto di zonazione<br />
in Italia, nel corso della presentazione del<br />
lavoro a Breganze ha tenuto a sottolineare che<br />
“la zonazione è anche un processo culturale;<br />
rappresenta l’evoluzione colturale viticola ed<br />
enologica che rinnova, ma non rinnega, le tradizioni”.<br />
La zonazione di Breganze aiuterà a defi nire<br />
meglio l’identità dell’area e a strutturarne la<br />
Attilio Scienza - Ordinario di Vitivinicoltura all’università statale di Milano<br />
tipicità. Vinifi cando razionalmente<br />
uve di diversa provenienza all’interno<br />
dell’area si ottengono profumi<br />
e gusti specifi ci. Ciò rende i vini di<br />
Breganze, oltre che di qualità, anche<br />
“tipici” ossia specifi ci di un luogo<br />
di produzione, quindi riconoscibili e<br />
non riproducibili altrove.<br />
Le ricadute sono molteplici e di indubbia<br />
utilità pratica. Con la zonazione<br />
si aumentano le conoscenze<br />
tecniche di una zona di produzione<br />
ottimizzando i fattori che determinano<br />
la qualità di un vino, evidenziando<br />
le situazioni ambientali che consentono<br />
l’espressione della tipicità, con<br />
un aumento della professionalità e<br />
consapevolezza dei viticoltori.<br />
Evidenziare e comunicare gli elemen-<br />
ti tipici di un vino aumenta l’appeal del prodotto e diventa strategico per offrire<br />
a curiosi e (giustamente) sempre più esigenti consumatori, prodotti originali<br />
che si distinguono nell’omologazione della produzione di massa. Valorizzando<br />
appezzamenti con diversa dislocazione, la zonazione può essere anche<br />
strumento urbanistico per guidare con maggior consapevolezza lo sviluppo<br />
generale di un’area.
La zonazione dell’area di Breganze rappresenta quindi<br />
un punto di partenza importante di sviluppo della viticoltura<br />
dei prossimi anni. La scientifi ca vocazionalità emersa<br />
per questa zona DOC storica può ridimensionare il<br />
pericoloso e disinvolto allargamento della coltivazione<br />
della vite in altri ambienti meno vocati, o verso vitigni<br />
meno espressivi anche se più appetiti dal mercato.<br />
Sviluppare questa cultura del territorio darà a noi consumatori<br />
il piacere di poter degustare vini di ancor maggior<br />
qualità e soprattutto tipicità.<br />
Alberto Brazzale<br />
PUNTARE A “VINI DI TERRITORIO”<br />
(ANCHE (ANCHE DA VITIGNI INTERNAZIONALI)<br />
La globalizzazione del mercato ha evidenziato la distinzione tra “vini di vitigno”<br />
e “vini del territorio”. I primi, molto spesso promossi dalle nuove zone<br />
di di produzione, nascono principalmente valorizzando le caratteristiche organolettiche<br />
del vitigno. I secondi, “i vini del territorio”, vengono prodotti con<br />
la consapevolezza che i loro profumi, profumi, sapori e colori siano espressione non<br />
solo del del vitigno di provenienza, ma soprattutto di tutti tutti gli gli altri elementi che<br />
condizionano la produzione: terreno, clima, pratiche agronomiche e anche anche<br />
tradizioni storiche di vinifi cazione. cazione.<br />
La cultura francese francese defi nisce l’insieme di di tutti questi questi fattori con il termine<br />
terroir. terroir<br />
Molti vini francesi (vedi: Borgogna, Champagne, Bordeaux) sono<br />
di eccezionale qualità anche perché frutto di secoli di studio e ricerca del terroir da cui nascono. L’Italia anche<br />
se con un’immensa potenzialità e tradizione vitivinicola ha - per molti motivi - avuto meno attenzione e<br />
consapevolezza verso i propri territori, anche se fortunatamente la mentalità negli ultimi anni è in decisa controtendenza.<br />
Il consumatore riconosce “i vini del territorio” oltre che nel bicchiere anche dalla semplice lettura<br />
dell’etichetta in quanto molto spesso questi vini sono denominati con il nome del luogo di produzione (ad<br />
esempio: Barolo, Valpolicella, Soave, ecc).<br />
La tipicità non è peraltro una caratteristica esclusiva dei vitigni autoctoni. I vini del territorio possono essere prodotti<br />
anche con vitigni internazionali, purchè essi abbiano delle caratteristiche originali ed esclusive indotte da<br />
un territorio. La questione fondamentale risiede sull’origine e non sulla varietà: infatti le Denominazioni di Origine<br />
dovrebbero distinguersi per la zona e non per le varietà, che in molti casi sono le stesse.
18<br />
La squadra italiana che si è aggiudicata l’argento<br />
Pasticceri<br />
Foto Ufficio Stampa Coupe du Monde <strong>2009</strong> - Fotografo Michel Godet<br />
quasi mondiali<br />
Medaglia d’argento per la nazionale italiana alla Coppa<br />
del Mondo di Pasticceria. Oro ai cugini francesi<br />
Oro alla Francia, argento all’Italia e bronzo al Belgio: il 20° anniversario della<br />
Coppa del Mondo di Pasticceria di Lione ha visto un podio tutto europeo.<br />
Lunedì 26 gennaio presso il Sirha di Lione - Salone internazionale della ristorazione,<br />
dell’industria alberghiera e dell’alimentazione - le 22 nazioni fi naliste<br />
si sono disputate il titolo di Campioni del Mondo, vinto dalla Francia. L’Italia è<br />
stata ancora una volta protagonista nel settore alimentare e ha primeggiato nella<br />
classifi ca di degustazione. La squadra, composta da Alessandro Dalmasso,<br />
Giancarlo Cortinovis e Domenico Longo, guidati dal commissario tecnico Luigi<br />
Biasetto, ha conquistato il podio grazie alla capacità di abbinare con maestria<br />
e spirito d’innovazione i sapori tradizionali. I nostri connazionali hanno vinto fra<br />
i dolci al piatto con una interpretazione moderna dello strudel, che ha saputo<br />
conservarne l’equilibrio di aromi e consistenze. Nel cioccolato hanno trionfato<br />
i sapori puliti di mandorla, nocciola e amarena e nel gelato è stata premiata<br />
la capacità tecnica di saper ricreare l’estetica di un ciuffo di panna montata. I<br />
dolci sono stati accompagnati da tre pezzi artistici rigorosamente commestibili,<br />
realizzati sul fi lo conduttore de La Divina Commedia: l’inferno in zucchero di<br />
Alessandro Dalmasso, il purgatorio in cioccolato di Giancarlo Cortinovis e gli<br />
angeli di ghiaccio del paradiso di Domenico Longo. Il Giappone si è distinto per<br />
la parte artistica dimostrando<br />
capacità tecnica,<br />
fantasia e gusto<br />
estetico di alto livello.<br />
Un paradosso fa rifl ettere:<br />
se il ministro belga e<br />
l’ambasciatore thailandese<br />
hanno accompagnato<br />
personalmente la<br />
propria squadra, così come numerose altre autorità internazionali, per l’Italia è<br />
stato il calore dei tifosi a sopperire all’assenza di autorità istituzionali. Questo<br />
fa pensare ancor di più in un momento storico in cui il settore alimentare è un<br />
bene prezioso da difendere e da promuovere. Sarebbe un compito facile per<br />
l’Italia, capace di offrire sapori inconfondibili: 5 squadre in gara hanno utilizzato<br />
il mascarpone, fra cui la Thailandia che ha presentato un confi t al gusto di pomodoro,<br />
con basilico e mascarpone. L’augurio di Luigi Biasetto è che “manifestazioni<br />
come questa ci insegnino a saper valorizzare un patrimonio di sapori e<br />
di conoscenze tecniche che il resto del mondo guarda con ammirazione”.
20<br />
Cooks Happy Day<br />
Due giorni di festa, formazione e cultura all’Extra Cooking di Thiene.<br />
Ottima occasione d’incontro fra vecchi amici, ma soprattutto<br />
di aggiornamento professionale<br />
Oggi come oggi per un ristoratore di successo è sempre<br />
più importante la professionalità, i rapporti interpersonali<br />
e la comunicazione tra i colleghi. Con questa fi losofi a<br />
vincente Gianni e Paolo Lievore della Extra Cooking Systems<br />
di Thiene, in collaborazione con importanti aziende<br />
del settore ha organizzato Cooks Happy Day, una<br />
due giorni di formazione, cultura e comunicazione, bella,<br />
piacevole ed interessante proprio perché pensata come<br />
momento di festa.<br />
Già arrivare e trovare un sorriso del team organizzativo<br />
che ti invita a una ricca colazione con fragranti brioche,<br />
pasticcini e deliziosa caffetteria, curata da Stefano<br />
Penzo, presente con le attrezzature della Cimbali più<br />
all’avanguardia nel mondo della caffetteria, è un ottimo<br />
inizio.<br />
Sin dal mattino l’incontro è stato una festa, un ritrovarsi<br />
tra vecchi e nuovi amici che hanno percorso assieme<br />
la splendida sala dimostrazioni della Extra Cooking<br />
Systems, dove, tra le più prestigiose e moderne attrezzature<br />
presenti nel panorama tecnico ristorativo, hanno<br />
trovato risposte competenti ad ogni curiosità e quesito<br />
posto ai tecnici commerciali presenti per tutta la manifestazione.<br />
Non poteva non saltare all’occhio degli intervenuti<br />
la “Ferrari” delle cucine: il centro cottura Ambach<br />
posta al centro della sala come una Dea, straordinaria<br />
per tecnica e raffi nata qualità, bella, elegante e pratica.<br />
Insomma: il sogno di ogni cuoco.<br />
Non è stata una fi era e nemmeno una esposizione, voglio<br />
ribadire, ma una bella festa, ben organizzata con un susseguirsi<br />
di eventi pensati appositamente per l’occasione,<br />
con bravi cuochi messi a disposizione dalla Lainox (forni,<br />
abbattitori) e dalla Orved (macchine per sottovuoto) che<br />
per tutto il tempo hanno dato informazioni, suggerimenti,<br />
consigli sul miglior uso e sul vantaggio delle cotture<br />
innovative e molto vantaggiose realizzate a bassa temperatura<br />
in sottovuoto. Dimostrazioni pratiche, realizzate<br />
con le materie prime messe a disposizione da Euroservice<br />
Catering, presente con la sua ampia gamma di prodotti<br />
tipici e tradizionali per la pizzeria e la ristorazione,<br />
hanno permesso di realizzare una genuina e gustosa<br />
Sergio Prebianca riceve il premio da Gianni Lievore<br />
Valter Voltolini<br />
Penzo Stefano
informazione, realizzando,<br />
al contempo, un ricco buffet<br />
sempre a disposizione degli<br />
intervenuti. Quando si parla<br />
di buon cibo, naturalmente,<br />
non si può non pensare ad<br />
un buon vino. Ecco allora<br />
entrare sul palcoscenico la<br />
cantina Beato Bartolomeo<br />
da Breganze, presente con<br />
la sua gamma Bosco Gran-<br />
de: una linea riservata alla ristorazione. Ottimo il il Vespaiolo<br />
Extra Dry DOC servito come aperitivo, perfettamente<br />
abbinati il Pinot Grigio ed il Cabernet con il<br />
buffet, delizioso il Torcolato servito con le Tentazioni di<br />
Angela (dessert prodotti a cura dell’Euroservice Catering).<br />
Interessante anche la degustazione permanente<br />
curata ed assistita per tutto il tempo dai professionisti<br />
della Cantina Beato Bartolomeo, a disposizione degli<br />
intervenuti per elargire consigli, storia, cultura ed informazioni<br />
sul terroir di Breganze.<br />
Dopo un buon espresso Cimbali, ecco che le tante stoviglie<br />
e bicchieri utilizzati per il buffet si devono lavare.<br />
Non c’è di meglio che utilizzare un centro lavaggio<br />
Winterhalter, che con l’occasione ha dimostrato come<br />
con questi specifi ci impianti le stoviglie vengano perfettamente<br />
lavate, garantendo anche una perfetta<br />
asciugatura dei bicchieri senza la formazione di fastidiose<br />
gocce e macchie, risparmiando tempo e denaro.<br />
Nel pomeriggio molto interessanti i due interventi<br />
realizzati dall’ULSS 4 di Thiene, uno sulla cucina salutistica<br />
tenuto dall’Operatore Tecnico Franco Zampieri<br />
e l’altro con il Tecnico della Prevenzione Valter Voltolini<br />
sulle normative igieniche e HACCP, che hanno<br />
catalizzato l’attenzione dei tanti intervenuti tra cui gli<br />
allievi dell’istituto alberghiero di<br />
Asiago, appositamente venuti<br />
per l’occasione, accompagnati<br />
dal docente Riccardo Cunico.<br />
É pomeriggio inoltrato quando<br />
entra in scena la Berkel con le<br />
sue famigerate affettatrici, a<br />
dimostrare che con un colpo<br />
di manovella si possono creare<br />
dei trionfi di salumi con fette<br />
perfette e preservate nel gusto,<br />
proprio perché utilizzando la tecnologia Berkel non si<br />
“cuoce” l’affettato.<br />
Il percorso si completa con la refrigerazione e la<br />
conservazione degli alimenti rappresentate da due<br />
aziende leader del mercato: la MBM, presente con la<br />
linea top di frigoriferi e tavoli refrigerati ed una friggitrice<br />
a vasca pulita, e la Moduline con i suoi sistemi<br />
per rigenerare, mantenere e conservare gli alimenti.<br />
Bella l’idea di Gianni Lievore di invitare gli ospiti a “registrarsi”,<br />
utilizzando poi il modulo per un sorteggio<br />
di una planetaria Kenwood, aggiudicata a Sergio Prebianca<br />
e Giuseppina Orsato del ristorante La Villa di<br />
Valdagno (VI). Alla consegna della Planetaria Sergio,<br />
oltre al stupore di essersi aggiudicato il premio, ha<br />
dimostrato vera gratitudine, proprio perché è una attrezzatura<br />
ideale per il suo laboratorio personale.<br />
Su questa bella due giorni è calato il sipario ma non<br />
si sono spente le luci. Lo Staff dell’Extra Cooking<br />
Systems, in collaborazione con queste e tante altre<br />
aziende del settore, rimane a disposizione del<br />
mondo della ristorazione per offrire sempre risposte<br />
concrete ad ogni problema, per progettare e<br />
trovare assieme le giuste soluzioni, per rincontrare<br />
anche domani tanti amici e clienti soddisfatti.<br />
Franco Zampieri<br />
21
22<br />
Tel chi el milanes<br />
Gli agriturismi milanesi ospiti dei colleghi vicentini.<br />
Due giorni per promuovere l’enogastronomia e il<br />
territorio meneghino<br />
Il presidente di Terranostra Vicenza, Elio Spiller<br />
Alcuni piatti tipici della cucina lombarda<br />
sono conosciuti in tutto il mondo: quando<br />
si si pensa a pietanze italiane, subito dopo dopo<br />
la pizza e la pasta pasta al sugo viene senza<br />
dubbio la famosa Cotoletta alla MilaneMilanese; questo è tuttavia solo l’elemento più<br />
famoso di una cucina regionale saporita<br />
e piuttosto piuttosto calorica che per due giorni è<br />
sbarcata nella nostra provincia. A seguito del grande successo della cucina<br />
vicentina nel Milanese, che ha visto protagonisti quaranta giornalisti delle<br />
maggiori testate di turismo, enogastronomia e di riviste femminili a livello<br />
nazionale, conquistati dai piatti tipici della cucina vicentina e delle proposte<br />
più curiose di micro-vacanza a km zero, è arrivato infatti il turno della cucina<br />
meneghina in terra vicentina: uno scambio<br />
enogastronomico che ha visto gli chef milanesi<br />
impegnati ai fornelli dei colleghi berici. Un connubio<br />
di sapori, per far conoscere la cucina della<br />
città di Sant’Ambrogio e tradurre in gusto ciò che<br />
fi nora si è letto soltanto nei libri di cucina. A cimentarsi<br />
nell’esperienza sono stati gli chef degli<br />
agriturismi La Cascinetta di Pogliano Milanese e<br />
La Bullona di Pontevecchio di Magenta, ospitati<br />
il 29 gennaio negli agriturismi Palazzetto Ardi di<br />
Gambellara e Dai Colombari di Sarcedo ed il 30<br />
Az. Agr. Palazzetto Ardi<br />
gennaio negli agriturismi Da Sagraro di Mossano e Rivagranda di Molvena.<br />
Un’occasione importante questo scambio enogastronomico, che ha dato la<br />
possibilità ai vicentini di scoprire sapori e tradizioni d’un tempo, così come<br />
solo i “veri” agriturismi sanno fare. Se la ristorazione deve imparare ad essere<br />
sempre più ambasciatrice del territorio, accanto alla proposta enogastronomica,<br />
però, non si deve dimenticare l’opportunità offerta dagli agriturismi,<br />
che consentono di effettuare vere e proprie vacanze lampo a contatto con la<br />
natura. “Le micro vacanze - ha spiegato il presidente di Terranostra Vicenza,<br />
Elio Spiller - consentono di staccare dalla quotidianità per concedersi 48<br />
ore a contatto con la natura, riappropriandosi dei ritmi della vita. I prodotti<br />
portati in tavola dagli agrituristi, rappresentano inoltre un ulteriore valore<br />
aggiunto, e non di poco conto, che consente a chi desidera sperimentarlo,<br />
di sposare tranquillità e cultura del cibo alla scoperta di sentieri e luoghi<br />
incantevoli della provincia berica”.<br />
Noi di <strong>Gustolocale</strong> abbiamo avuto modo di provare<br />
le specialità proposte dagli agrituristi milanesi<br />
nella serata organizzata a Palazzetto Ardi:<br />
il salame Milano tradizionale, il risotto alla milanese,<br />
il Grana Bella Lodi e il Gorgonzola, senza<br />
dimenticare la tradizionale Meneghina al rhum. Il<br />
tutto, naturalmente, bagnato con i vini del territorio<br />
dell’Oltrepò Pavese.<br />
Il salame Milano, con il suo profumo caratteristico<br />
ed il sapore dolce e delicato, è uno dei più noti
Agriturismo Rivagranda<br />
Agriturismo Da Sagraro<br />
Agriturismo Dai Colombari<br />
salumi italiani, ottenuto da un impasto macinato di carne<br />
suina e bovina, ove le carni magre di suino e bovino e<br />
il grasso corposo di suino (pancetta) vengono tritati in<br />
modo che le parti di grasso e di magro magro rimangano ben<br />
distinte, insaporito con sale, sale, pepe e aglio. Il salame cotto,<br />
che ci è stato proposto accompagnato dai nervetti in<br />
insalata, insalata, con fagioli e sottili fette di cipolla, è la conferma<br />
che che del del maiale maiale non non si si butta butta via via niente. niente. I I contadini contadini infatti infatti<br />
impiegavano i tagli migliori per per produrre prosciutti prosciutti e salusalumi crudi mentre i ritagli e le rifi rifi lature, lature, servivano per confezionare<br />
cotechini e e salami cotti. Come “contorno” una<br />
preparazione antica, di di cui troviamo notizie negli scritti di<br />
cuochi del XVI e e XVIII XVIII secolo: i pessit in carpion, deliziosi<br />
pesciolini di acqua dolce fritti e poi poi messi messi a marinare con<br />
odori e aceto.<br />
Immancabile quando si parla di cucina milanese è il risotto<br />
allo zafferano, una preparazione di cui Bartolomeo<br />
Scappi ci parla già nella metà del ‘500, come “vivanda di<br />
riso alla Lombardia”: riso bollito, composto a strati con<br />
uova, zucchero, cannella, scervellata (tipico insaccato<br />
milanese insaporito con lo zafferano) e petti di cappone;<br />
fu soltanto all’inizio dell’800 che nacque il risotto alla milanese<br />
come lo conosciamo.<br />
Come secondo è stato proposto un piatto che attinge<br />
le sue origini nei giorni più bui per l’economia locale,<br />
quando i macellai recuperavano i rimasugli attaccati<br />
alle ossa ed alle pelli del bestiame macellato: i bruscitt;<br />
senza dubbio una della specialità più tipiche della tra-<br />
dizione gastronomica altomilanese, frutto della secolare<br />
esperienza contadina. La carne, sminuzzata fi nemente,<br />
va fatta cuocere a lungo con fi nocchio selvatico, servita<br />
con polenta di farina integrale e funghi.<br />
Se è vero, come è vero, che la boca no la xe straca se<br />
no la sa da vaca, vaca non potevano mancare i formaggi che<br />
contraddistinguono questa terra: il Grana Bella Lodi e il<br />
Gorgonzola, vere espressioni della cultura casearia lombarda.<br />
A concludere il dolce Meneghina al Rhum e biscotti<br />
oss de mord, ossa da mordere, biscotti durissimi<br />
ma friabili che venivano preparati tradizionalmente per il<br />
giorno dei morti.<br />
Paolo Gasparin
24<br />
Il ristorante Villa Conte Mastai Ferretti entra a far parte dell’“Unione Ristoranti<br />
Buon Ricordo”. Una tradizione di lungo corso per la famiglia Bonotto<br />
Villa Conte Mastai Ferretti è una splendida costruzione del XVIII secolo, posta<br />
tra le colline di Molvena, immersa in un bellissimo parco secolare. Vanni Bonotto,<br />
suo patron, con l’esperienza maturata nei 25 anni d’attività a Bassano<br />
del Grappa, si sta impegnando con successo in un nuovo progetto di Ristorazione<br />
di Qualità.<br />
Nell’accogliente sala mansardata ha ricavato un grazioso ed elegante ristorante,<br />
poliedrico, caratterizzato da ampi spazi (può contenere sino 200 persone),<br />
ma nel contempo intimo e romantico, ideale anche per una cenetta a<br />
lume di candela. Il ristorante si affaccia<br />
sulla grandiosa terrazza posta a dominare<br />
la pianura vicentina per offrire agli<br />
ospiti un fantastico panorama. Ma è anche<br />
un luogo ideale per manifestazioni,<br />
eventi e, perché no, per una tenera serata<br />
estiva coccolati dalla fresca brezza<br />
che scende dalle colline, una vacanza<br />
di charme e relax ospitati nelle esclusive<br />
camere dell’albergo, per una passeggiata<br />
romantica nell’incantevole parco<br />
per farsi rapire da emozioni indimenticabili.<br />
Insomma un luogo unico nel suo<br />
genere, dove Vanni Bonotto propone al<br />
Ristorante un menù equilibrato, svilupsvilup- pato rispettando le<br />
stagioni, la tradizione<br />
e il territorio.<br />
Con tanta bellezza,<br />
bontà ed esperienza<br />
Villa Mastai<br />
Ferretti non poteva<br />
passare inosservata<br />
alla Fondazione<br />
Italiana del Buon<br />
Ricordo, che, con<br />
il piatto baccalà e<br />
verdurine al cartoccio,<br />
lo ha inse-<br />
rito nella guida ai sapori e ai valori della cucina italiana.<br />
Una vera tradizione che continua per la famiglia Bonotto: già nel 1967 il papà<br />
Antonio, titolare del Ristorante Castello superiore di Marostica, ne entra a far<br />
parte, e viene poi confermato quando si sposta al Ristorante Belvedere di<br />
Bassano del Grappa. Oggi, a garanzia di tanta professionalità, storia e tradizione,<br />
Vanni è stato riconfermato a Villa Mastai Ferretti.<br />
Con vera gioia ha annunciato l’entrata uffi ciale del Ristorante nell’unione<br />
del Buon Ricordo, presentandosi al grande pubblico del Touring Club<br />
con un pranzo dedicato alla presentazione della pietanza e della ceramica.
Il pranzo<br />
Un pranzo elaborato con un menù raffi nato ed elegante,<br />
fatto di buon gusto ed esperienza.<br />
Ricevuti gli ospiti nel salone della villa con aperitivi<br />
stuzzichini e sfogliatelle, il pranzo si è aperto con una<br />
composizione all’insegna della tradizione: polenta,<br />
morlacco e radicchio brasato con padellata di sopressa<br />
al balsamico. A seguire una crema di zucca con spuma<br />
allo yogurt e mandorle salate: una crema morbida,<br />
con un dolce piacevole e non stucchevole contrastato<br />
dall’agretto dello yogurt e completata dal croccante<br />
delle mandorle a gratifi care la masticazione. Un piatto<br />
elegante, raffi nato, dove la tradizione ha incontrato con<br />
ragionevolezza l’innovazione. Il risotto con piccole verdure<br />
e gamberi speziati, di ottima fattura e perfetta cottura,<br />
ha entusiasmato per il perfetto equilibrio di profumi<br />
e sapori ben accompagnati da Pino & Toi di Maculan.<br />
Il piatto principe è stato chiaramente il Baccalà e verdurine<br />
al cartoccio. Il merluzzo dissalato e rosolato con<br />
aglio e rosmarino e le verdurine di stagione avvolte nella<br />
carta fata, all’apertura del cartoccio hanno emanato<br />
tutto il loro avvolgente profumo. Un piatto semplice,<br />
pulito, leggero, pieno d’armonia, che potrà essere proposto<br />
nelle varianti stagionali con punte d’asparago,<br />
funghi, radicchio, carciofi , o altre verdurine di stagione.<br />
A chiudere il pranzo il semifreddo al miele su composta<br />
di mele verdi e cannella: il gusto profumato della mela<br />
verde ha sposato perfettamente il semifreddo all’uovo<br />
e miele coinvolto nell’ensable del profumo speziato<br />
della cannella. Vanni Bonotto accompagnato dalla moglie<br />
Cecilie e dai fi gli Asia, Antonio e Anna, circondati<br />
da tutta la brigata di cucina, sono stati lungamente<br />
applauditi dai tanti soci Touring Club presenti per l’ottima<br />
cucina ed il perfetto servizio. Ma soprattutto per la<br />
riconferma della famiglia Bonotto a Ristorante del Buon<br />
Ricordo con una pietanza che ricorda la tradizione, legata<br />
alla stagionalità, rispettando i canoni più moderni<br />
di leggerezza, cottura e presentazione.<br />
É con piacere che la tradizione continua…<br />
Roberto Gasparin<br />
BACCALA’ E VERDURINE AL CARTOCCIO<br />
Ingredienti per 4 persone:<br />
Merluzzo fresco e salato 500g; Burro 40 ml; Sale; Olio;<br />
Aglio 1 spicchio, Rosmarino 1 rametto; Patata bollita<br />
200g; Spinaci freschi 100g; Foglio di carta fata<br />
Preparazione<br />
Dissalare il merluzzo in acqua corrente per quasi<br />
2 ore.<br />
Ritirare, asciugare su carta e predisporne in tranci<br />
da circa 120 gr (si ricorda di non salare).<br />
Cottura<br />
Scaldare in una padella il burro con lo spicchio<br />
d’aglio e il rametto di rosmarino.<br />
Disporvi i fi letti e rosolarli 2 minuti per parte.<br />
Nel frattempo predisporre su carta fata le patate<br />
tagliate a rondelle, gli spinaci al naturale e altre<br />
verdure in base la stagione (per esempio punte<br />
d’asparagi bolliti…), salare e pepare. Aggiungere<br />
i fi letti, peparli e distendervi un fi lo d’olio, quindi<br />
chiudere la carta a fagottino con spago da forno.<br />
Infornare a 180° per 7 minuti. La legatura va tolta<br />
davanti al cliente.
26<br />
Quando qualità<br />
fa rima con velocità<br />
Le vinacce per la produzione di grappa devono essere fresche e ben conservate.<br />
Solo così si ottiene un prodotto di qualità<br />
Quando di parla di vinaccia una premessa è d’obbligo:<br />
bisogna distinguere le vinacce provenienti da<br />
uve bianche, da quelle rosate e da uve rosse.<br />
Le vinacce bianche vengono consegnate alla distilleria<br />
appena separate dal mosto e quindi completamente<br />
prive di alcol: per questo si dicono “vergini”<br />
e non sono ovviamente distillabili senza preventiva<br />
fermentazione. Le vinacce provenienti da vini rosati<br />
o da vini rossi leggeri sono chiamate “semifermentate”<br />
in quanto, nelle prime fasi della vinifi cazione,<br />
sono tenute insieme al mosto. Nel caso, infi ne di<br />
vinifi cazione in rosso, le vinacce subiscono il processo<br />
fermentativo con il mosto e quindi, esaurendo insieme ad essi gli zuccheri,<br />
si dicono “fermentate”. Le vinacce devono essere fresche poiché le<br />
bucce degli acini d’uva si alterano facilmente e molto velocemente: bastano<br />
pochi giorni di sosta nei silos delle cantine in attesa di essere trasportate<br />
alla distilleria per fare la differenza. Dannoso per la bontà della vinaccia è la<br />
fermentazione a cappello emerso, ossia la conduzione dell’operazione con la<br />
massa delle bucce galleggianti sul mosto e non immerso in esso.<br />
Distillare vinacce fresche vuol dire porle in alambicco entro poche ore dalla<br />
separazione dal vino: insilamenti (ossia conservazioni in apposite strutture<br />
dette silos) della durata di alcuni giorni possono mutare la composizione delle<br />
vinaccia con conseguente riduzione qualitativa. Gran parte della vinaccia oggi<br />
viene conservata per un periodo più o meno lungo: da pochi giorni ad alcuni<br />
mesi. I metodi di conservazione sono molteplici: in sacchi di plastica, utilizzati<br />
soprattutto per partite particolari per pregio o per fonte produttiva, privati della<br />
maggior quantità possibile di aria; in contenitori di piccole dimensioni chiusi<br />
con coperchio; in contenitori chiusi di cemento o acciaio inox in atmosfera<br />
modifi cata (saturazione con anidride carbonica) oppure in contenitori aperti<br />
di cemento: questi ultimi possono essere vasconi interrati o sopraelevati e,<br />
una volta riempiti di vinaccia, vanno coperti con teloni di nylon sui quali viene<br />
disposta sabbia o altri pesi per mantenere il telo di copertura aderente alla<br />
massa presente. È chiaro, a questo punto, che è il tempo trascorso che fa la<br />
differenza qualitativa, che si ripercuoterà poi sulla resa del prodotto fi nito.<br />
(Fonte: Grappa, Analisi sensoriale e tecnologica)<br />
Anag sezione di Vicenza<br />
Sede presso Bruno Cavalieri<br />
Via Strasburgo, 21 - 36100 Vicenza<br />
Tel. 0444.922928 - Cell. 338.6048617<br />
e-mail: federicaborato@alice.it
Questione di eling<br />
Elegante e attraente il nuovo dispenser da tavolo dalle mille funzioni.<br />
Adatto per qualsiasi locale, non necessita di manutenzione<br />
Feeling è un nuovo dispenser da tavolo fi rmato Celli. Un oggetto dal design innovativo,<br />
ispirato ad un grande bicchiere, bicchiere, che consente di spillare birra, birra, vino, cole, cole,<br />
succhi di frutta e altre bevande in modo pratico e simpatico. Caratterizzato da<br />
una linea pulita e funzionale, è in grado di adattarsi a numerosi utilizzi, grazie alla<br />
possibilità di servire bevande sia fresche che a temperatura ambiente. Questo è<br />
possibile grazie al pratico contenitore in ghiaccio in esso inserito, che all’occorrenza<br />
può essere asportato aumentando così la sua<br />
capità dai 3,5 ai a 4,2 litri.<br />
Il suo look semplice ma elegante lo rende un<br />
articolo attraente (su richiesta possono essere<br />
inseriti dei LED superiori per illuminare<br />
il prodotto) adatto per qualsiasi locale,<br />
dall’albergo al pub: ideale per servire succhi per la prima colazione, tè freddo,<br />
ma anche per aggregare in allegria gruppi di giovani che trovano più simpatico<br />
ed informale servirsi da soli direttamente al tavolo aperitivi, birra e qualsiasi<br />
altro genere di bevanda.<br />
Feeling, una volta portato sul tavolo, può essere ruotato per posizionarsi<br />
frontalmente al cliente. Una nuova soluzione che unisce funzionalità ed<br />
estetica garantendo di lavorare con la massima praticità nelle operazioni<br />
di rifornimento, assicurando inoltre un elevato grado di igienicità in quanto<br />
il prodotto non viene manipolato in nessun modo ma erogato di volta in<br />
volta mantenendone inalterate le caratteristiche organolettiche. Molto facile<br />
sia da usare che da pulire,<br />
non necessita mai di alcuna<br />
manutenzione tecnica, grazie<br />
alla sua caratteristica di<br />
raffreddare la bevanda manualmente<br />
senza l’utilizzo di<br />
un impianto frigorifero. I contenitori<br />
(bevanda e ghiaccio)<br />
sono completamente lavabili<br />
in lavastoviglie.
28<br />
Un Pomerol tra i colli t t vigiani<br />
Il Baùsk di Luca Ricci è un merlot di stile francese.<br />
Sfi da di un vigneron in terra di Prosecco<br />
Luca Ricci è una persona che sa bene ciò che vuole. Una persona abituata<br />
a puntare in alto in tutto ciò che fa. Se son sogni tanto vale esagerare.<br />
Ma uno dei suoi sogni sta diventando pian piano realtà. Ereditata dal<br />
padre l’azienda agricola Le Fade, nelle colline di Susegna nel trevigiano,<br />
decide di gestire le vigne con maggiore attenzione. La zona è famosa<br />
oramai in tutto il mondo per la produzione del Prosecco di Conegliano e<br />
Valdobbiadene Doc ma, da queste parti anche i rossi danno delle sorprese<br />
inaspettate. Dopo una passeggiata in vigneto con un amico italo francese,<br />
Silvio Fanton, viene a sapere che uno dei migliori vini del mondo è<br />
proprio un Merlot (Petrus n.d.a.).<br />
Amante delle sfi de, sente nascere dentro di sé l’idea di voler produrre<br />
un vino sullo stile dei cugini d’oltralpe. Certo una sfi da impegnativa, ma<br />
che spinge giorno per giorno Luca Ricci a una continua ricerca. Agli inizi<br />
del 2000 inizia così una coltura più consapevole nei confronti di questo<br />
vitigno con maggiori diradamenti fi no ad ottenere 40 q.li per ettaro di<br />
uva. Un’attenzione quasi maniacale in vigna e grande cura in cantina.<br />
Luca Ricci ci spiega come il suo obiettivo, parzialmente conseguito, sia<br />
quello di far raggiungere alla pianta un suo equilibrio vegetativo affi nché<br />
l’intervento dell’uomo sia sempre più limitato. Uva vendemmiata al limite,<br />
in questo senso le previsioni meteo sono di grande aiuto, quest’anno il 2 di<br />
novembre per riuscire ad ottenere tutto ciò che la vite è in grado di donarci.<br />
L’affi namento avviene per due anni in barrique e successivamente in botte<br />
grande. Il percorso fi n qui svolto ha prodotto un vino di notevole interesse<br />
tanto da chiederci se veramente la vocazione per quelle zone sia proprio<br />
esclusivamente per i vini bianchi, quando si assaggiano dei Merlot di tale<br />
fi nezza ed eleganza. Il Baùsk (fascina in dialetto), questo il nome attribuito<br />
a questo vino, ha già ottenuto dei riconoscimenti a concorsi nazionali che<br />
lo collocano tra i migliori Merlot d’Italia. Di notevole interesse anche il primo<br />
esperimento del fi glio Federico appena ventenne che, dopo un’esperien-<br />
Federico Ricci<br />
Luca Ricci<br />
za di vendemmia in Francia, dà vita al suo vino, l’Apaiolo, così chiamato<br />
perché al momento della vendemmia è attorniato di api. Un vino di grande<br />
personalità che rappresenta un bel punto di partenza per un ragazzo così<br />
giovane ma già dotato di sensibilità ed attenzione verso la sua vigna. Apaiolo,<br />
fi glio del Baùsk. La sfi da rimane a questo punto tra padre e fi glio.<br />
Giampaolo Giacobbo
CuoKing<br />
QUANDO IL VIGNERON È GENTLEMAN CHEF<br />
Emozioni Da’Mare<br />
Incontri di Cultura Enogastronomica<br />
Riprende il percorso enogastronomico di CuoKing con una interessante cena<br />
didattica sul palcoscenico del Ristorante L’Altro Penacio di Altavilla Vicentina,<br />
che propone per l’occasione un menù a base di pesce realizzato dalle abili<br />
mani dello Chef Enzo Gianello, un palcoscenico che vedrà anche la partecipazione<br />
straordinaria di Fausto Maculan, che per una volta vestirà i panni del<br />
Cuoco presentando la ricetta con cui nel 1985 vinse il concorso di cucina<br />
per cuochi non professionisti dal titolo “Gentleman Chef per la cucina mediterranea”,<br />
il cui presidente di giuria era niente popò di meno che Gualtiero<br />
Marchesi: “Capesante ai due modi in crema di piselli”. Un’occasione ghiotta,<br />
che permetterà di assistere alla preparazione del menù direttamente al tavolo,<br />
permettendo così di entrare in sinergia con gli Chef nella realizzazione delle ricette,<br />
scrutandone i movimenti, per carpirne tecniche e segreti… Tutto questo<br />
interagendo direttamente con Enzo Gianello e Fausto Maculan, che curerà anche<br />
l’aspetto vini, raccontandone con la sua famigerata verve, caratteristiche<br />
organolettiche, profumi, aromi, sentori e sfumature… senza tralasciare storia,<br />
fi losofi a e curiosità del terroir breganzese e della sua premiata Cantina.<br />
Un modo nuovo, piacevole e diverso per vivere tutti i sensi l’emozione di <strong>Gustolocale</strong>.<br />
Mercoledì 25 marzo ore 20,00<br />
Ristorante L’Altro Penacio<br />
Via Tavernelle 1/A - Altavilla Vicentina (VI)<br />
Menù<br />
Dorato di calamaretti spillo su insalata frisè al Parmigiano Reggiano<br />
con tradizionale di Modena Stravecchio<br />
Perenzo 2008 IGT Veneto Sauvignon e Tai<br />
Capesante ai due modi in crema di piselli (Premiata ricetta di Fausto<br />
Maculan) Costadolio 2008 Rosato Veneto IGT Merlot<br />
Spuma di formaggio avvolta in pasta fi llo croccante su battuta di<br />
pomodorini e pinoli con salsa basilico<br />
Ferrata 2007 Chardonnay Veneto IGT<br />
Sfoglia e Taleggio con seppie nella sua pasta<br />
Palazzotto 2006 Cabernet Sauvignon Breganze DOC<br />
Mantecato di crema alle bacche di vaniglia su saba<br />
Madoro 2004 Passito Veneto IGT Marzemino e Cabernet<br />
Cena didattica € 50,00<br />
Posti limitati, prenotazione obbligatoria:<br />
Ristorante L’Altro Penacio 0444.371391<br />
Per aderire e/o informazioni Redazione <strong>Gustolocale</strong> 0445.500201<br />
29
30<br />
di Amedeo Sandri<br />
abconsiderazioni<br />
Mater Familiae<br />
Implicazioni sociali e pedagogiche della fi gura materna<br />
nell’ambito familiare. Un ruolo da riconoscere e tutelare<br />
Al di là di quello che dicono i media e degli episodi di cronaca nera, continuo<br />
ad avere grande fi ducia nei giovani. Lo dico da privilegiato, da persona<br />
che lavora tutti i giorni in mezzo agli adolescenti nella scuola e che<br />
“raccoglie” continue informazioni sul loro modus vivendi. Presi uno per<br />
uno sono splendidi, generosi, altruisti, persino educati e rispettosi. Quando<br />
però sono in branco, “armati” di telefonino, si trasformano in bulli capaci<br />
di qualsiasi cosa, anche la più efferata.<br />
Che cosa manca a questi ragazzi? Quali sono i loro punti di riferimento?<br />
Come mai sembrano e sono così svogliati? Queste e, naturalmente, molte<br />
altre domande, mi pongo tutti i giorni. Una piccola conclusione credo<br />
di averla tratta, la grande funzione sociale della famiglia: padre e madre.<br />
Oggi, la fi gura del padre è quasi assente e quella della madre è una fi gura<br />
del tutto protettiva e ben poco obiettiva. Viviamo in un’epoca in cui per<br />
sopravvivere bisogna lavorare in due, oppure in uno, a patto che questo<br />
uno abbia un alto reddito o faccia almeno due lavori. I fi gli vanno prima al<br />
nido, poi all’asilo e quindi a scuola. A casa raccontano le loro verità alla
mamma, sapendo in partenza di venire protetti e difesi, anche nel caso in cui<br />
il il padre non fosse fosse del tutto d’accordo.<br />
Che cosa succedeva, non secoli, ma qualche decennio decennio fa? I bambini bambini sino<br />
all’età scolare, per la maggior parte, stavano con la madre, che prima li<br />
allattava, allattava, poi poi li li svezzava svezzava a a panà e passati di verdura dell’orto, quindi stava<br />
delle ore con con loro, loro, a partire dai dai quattro anni, per per insegnare dapprima a fare fare<br />
le “aste”, poi le vocali vocali e da da ultime le consonanti. All’età di di sei anni il bambino<br />
iniziava la scuola, andandoci accompagnato dalla madre la prima settimana<br />
e poi poi da da solo, a piedi, con la cartella. Spesso, come nel mio caso, aveva già<br />
servito Messa, quella delle 6 6 del mattino, mattino, celebrata celebrata in latino dal parroco e,<br />
subito dopo, dopo, con con la sporta e il libretto aveva fatto la spesa dal casolin. Alle<br />
8 tutti in fi fi la, tutti uguali nel grembiule nero nero con colletto bianco, preceduti preceduti<br />
dal capoclasse e e dalla dalla maestra, anche lei lei di nero nero vestita, anche lei con la<br />
cartella. In classe classe niente cancellini cancellini o penne colorate, ma solamente la tavola<br />
inclinata, inclinata, inchiostro, pennini e carta assorbente. Ricreazione Ricreazione a metà mattina<br />
con panino panino farcito di sopressa o lardo, lardo, qualche volta volta mortadella, il venerdì venerdì fi -<br />
letti di sgombro sott’olio o fettina di formaggio “latte intero”. Da bere graspia<br />
o vin picolo in bottiglietta da quarto in vetro, piatta, con tappo in ceramica e<br />
guarnizione in gomma.<br />
La maestra si concentrava sull’insegnamento dell’italiano, dell’aritmetica,<br />
della geografi a e della storia, stabilendo giorni fi ssi per ciascuna materia e<br />
facendo fare tutti i giorni i compiti a casa. Gli indisciplinati maschi ricevevano<br />
qualche scappellotto sulle mani, le femmine sul sedere. Pianti a scuola e poi a<br />
casa, quando si raddoppiavano gli scappellotti dopo il racconto di quanto ac-<br />
Mater Familiae<br />
caduto il mattino. Poi la lezione, con la mamma vicino a fare da insegnante di<br />
sostegno, con la stessa rigidità della maestra mattutina. Finalmente merenda<br />
e sfogo all’oratorio con infuocate partite a pallone fra lupetti ed aspiranti, con<br />
il cappellano giovane a fare da arbitro. La sera, dopo aver lavà la rogna, cena a<br />
base di caffellatte o minestra, poi le preghiere, tutti insieme, inginocchiati sulle<br />
sedie di paglia e poi al “cinema bianchini”, sotto coperte e cuscini.<br />
Mia madre ha allevato allo stesso modo quattro fi gli, seguendoli passo passo<br />
nello studio, fi no alla maturità, riferendo ogni sera a mio padre i fatti della giornata,<br />
sentendosi realizzata e godendo per un bel voto che sentiva anche suo.<br />
Allevava conigli, galline, anatre e piccioni, coltivava l’orto, dal quale ricavava<br />
il fabbisogno per la famiglia, sapeva cucinare, cucire e ricamare e cantava<br />
benissimo. È morta senza percepire una lira di pensione e senza lamentarsi<br />
per questo, felice di aver cresciuto e sposato quattro fi gli e di essere diventata<br />
nonna. Io credo che una democrazia vera e lungimirante, dovrebbe far tesoro<br />
dell’altissima funzione sociale di una madre, anche e soprattutto oggi, e riconoscerle<br />
un compenso per questo suo “servizio”. La donna del terzo millennio<br />
deve essere messa nella condizione di poter liberamente scegliere se lavorare<br />
fuori casa o fare la madre e la moglie a tempo pieno, sapendo che la grande<br />
famiglia, lo Stato, le riconoscerà per questo una ricompensa adeguata per il<br />
servizio sociale svolto. E fi nalmente vi sarebbe una vera giustizia sociale, probabilmente<br />
si salverebbero anche molti matrimoni e i ragazzi avrebbero punti<br />
di riferimento certi ai quali guardare con fi ducia.<br />
Amedeo Sandri
32<br />
Amarone Amaro<br />
L’anteprima Amarone 2005 si è chiusa con molte ombre sul presente e futuro di<br />
questo vino. Ma qualche luce lascia ben sperare<br />
E così abbiamo archiviato anche l’Anteprima Amarone 2005. Cosa dire, al<br />
di là delle polemiche che in questi giorni stanno riempiendo un po’ tutti i<br />
siti ed i blog specializzati su cos’è o, meglio, quale dovrebbe essere l’Amarone<br />
vero ed autentico, chi è il depositario della verità in tema di appassimento<br />
delle uve e chi più ne ha, più ne metta? Da dire, a mio giudizio c’è<br />
molto, tutto opinabile per carità, a cominciare dalla collocazione dell’Anteprima.<br />
Non intendo la collocazione logistica, anche se il trasferimento<br />
dal Palazzo della Gran Guardia a Palazzo Giusti ha penalizzato non poco<br />
la manifestazione con i suoi spazi angusti. Mi riferisco, piuttosto, alla data<br />
della manifestazione. Capisco tutte le motivazioni commerciali, capisco<br />
la necessità di anticipare sempre il mercato, ma che senso ha collocare<br />
l’Anteprima di un Amarone a poco più di tre anni dalla vendemmia se poi<br />
tutti riconosciamo che, forse sì, qualche mese in più in botte e in bottiglia<br />
non avrebbe fatto male al vino? Soprattutto se consideriamo che l’80%<br />
di coloro che frequentano l’anteprima dell’Amarone non sono in grado di<br />
cogliere le potenzialità di un vino ancora immaturo. E quindi comincio con<br />
una provocazione che, sono il primo ad ammetterlo, rischia di rimanere un<br />
puro esercizio di retorica: saltiamo un anno e riprendiamo nel 2011 con<br />
Amarone 2006! Certo questo presupporrebbe anche una rivisitazione del<br />
disciplinare di produzione e tante altre cose ma, alle volte, bisogna anche<br />
avere il coraggio di affrontare la realtà.<br />
La realtà<br />
Bei numeri quelli forniti dal Consorzio della Vapolicella: otto milioni e mezzo<br />
di bottiglie di Amarone vendute nel 2008 non sono noccioline. E ancora:<br />
l’intenzione di arrivare a sedici milioni di bottiglie in pochi anni, l’aumento,<br />
dal 1997 al 2008, della produzione delle uve destinate a Recioto e Amarone<br />
da 8,2 a 29,8 milioni di chili (ma la produzione totale delle uve in Valpolicella,<br />
nello stesso periodo, è passata “solo” da 49,8 a 71,8 milioni di<br />
chili) sono numeri da far tremare i polsi. Siamo proprio sicuri che il mercato<br />
potrà assorbire questo aumento produttivo?<br />
E se lo farà come reagiranno i prezzi? Non è che rischiamo di invadere un<br />
mercato, che sicuramente non brilla per capacità ricettiva, con un’offerta<br />
eccessiva che potrebbe comportare una riduzione dei prezzi ben sotto i<br />
costi di produzione (che, ricordiamo, per l’Amarone sono molto alti) a tutto
svantaggio dei piccoli produttori per i quali l’Amarone è alle volte l’unico<br />
prodotto e non un fiore all’occhiello da esibire all’interno di una vasta<br />
gamma produttiva? Se poi passiamo dalla quantità alla qualità le luci e<br />
le ombre (ahimè, queste ultime purtroppo ben più numerose delle prime)<br />
permangono.L’anteprima dell’Amarone è stata l’occasione di degustare<br />
alla cieca 64 prodotti che danno uno spaccato sicuramente non esaustivo<br />
(mancavano alcuni mostri sacri, mancavano alcuni produttori che non hanno<br />
ritenuto pronto il loro vino) ma significativo dell’Amarone 2005. Quali<br />
conclusioni trarre?<br />
Le ombre<br />
L’annata sicuramente non facile non ha aiutato i produttori, ma la sensazione<br />
è che in generale l’annata c’entri poco con la decisione di virare decisamente<br />
verso quello che fra addetti ai lavori viene definito il “gusto internazionale”.<br />
Proprio così: la sensazione che ho avuto durante la degustazione è che molti<br />
produttori stiano decisamente veleggiando verso quella muscolosità, quei<br />
tannini legnosi, quei residui zuccherini alti che fanno tanto prodotto internazionale<br />
ma poco Valpolicella. Ecco quindi che ben dieci prodotti degustati<br />
non hanno raggiunto quel punteggio che mi aspetto da un Amarone e che,<br />
pertanto, ho relegato fra i non classificati. Tralascio, per amor di Amarone, di<br />
commentare quei prodotti che mi hanno colpito per la loro poca territorialità.<br />
Purtroppo, oltre ai dieci non classificati, un’altra ventina di prodotti mi hanno<br />
lasciato perplesso: legno, legno e ancora legno. E poi zuccheri, quasi se<br />
questi vini non avessero ancora deciso cosa faranno da grandi: il Recioto o<br />
l’Amarone. E poi ancora muscolosità. Insomma tutto il contrario di ciò che mi<br />
aspetto da un Amarone: eleganza, finezza, austerità. E poi, ancora, colori da<br />
Valpolicella, non impenetrabili inchiostri come mi è capitato di vedere, profu-<br />
mi complessi ed equilibrati, non monocordi aromi di tostatura e vaniglia.<br />
Le luci<br />
Per fortuna di luci ne ho trovate: almeno dodici prodotti erano eccellenti e<br />
rispecchiavano quella ricerca di eleganza e finezza che accennavo. Tralascio<br />
di esporre le schede di questi vini, tutti comunque fra gli 85/100 ed i 92/100,<br />
ma vale la pena di citarli: F.lli Fabiano Spa - Amarone Classico 2005 Nicola<br />
Fabiano; Accordini Stefano Az. Agr. s.s. - Amarone Classico 2005 Acinatico;<br />
Vini Armani A. - Amarone Classico 2005 Cuslanus - Monte Cariano - Amarone<br />
Classico 2005; Monte del Frà - Amarone Classico 2005 Tenuta Lena di<br />
Mezzo; Monteci s.s. - Amarone Classico 2005; Buglioni - Amarone Classico<br />
2005; Giuseppe Campagnola Spa - Amarone Classico 2005; Terre di Leone<br />
Srl - Amarone Classico 2005; Zenato Srl - Amarone Classico 2005; Tenute<br />
Galtarossa - Amarone Classico 2005. Poi ancora, fra le luci, un’altra ventina<br />
di prodotti che erano lì, con le loro potenzialità alle volte inespresse (peccato<br />
di gioventù) ma sicuramente da riprovare fra qualche tempo perché la stoffa<br />
e le premesse ci sono. Vini che permettevano di capire la loro origine, da<br />
quale valle provenivano e soprattutto dove volevano andare. In conclusione<br />
e a mio giudizio, ancora un’occasione perduta per l’Amarone, vino sicuramente<br />
ancora alla ricerca di una sua strada, ma che ha anche un dovere<br />
di responsabilità verso i milioni di acquirenti, non necessariamente esperti<br />
di Amarone e che rischiano di rimanere disorientati comprando bottiglie di<br />
diversi produttori e trovando, al loro interno, vini che in comune hanno solamente<br />
il nome.<br />
Mauro Pasquali<br />
33
34<br />
Lo sai che…<br />
… la De.Co<br />
è la carta<br />
d’identità<br />
del Sindaco?<br />
Cerchiamo sempre più prodotti affi dabili, del territorio, desideriamo avere sulle<br />
nostre tavole il meglio di una produzione, quella delle nostre terre, la più vicina<br />
ai nostri gusti ed alle nostre tradizioni.<br />
Il grande intuito di Luigi Veronelli fece nascere, alla fi ne degli anni ‘90 un sistema<br />
per proteggere e salvaguardare i prodotti locali. Questo grande gastronomo ed<br />
enologo aveva visto come si dovesse combattere il “global” con un’operazione<br />
di marketing territoriale che censisse e facesse conoscere a tutti quei beni della<br />
produzione agricola che ogni territorio porta con sé.<br />
Da qui l’idea base della De.Co. Denominazione Comunale.<br />
Cosa è, in defi nitiva, la De.Co?<br />
Sono le “carte d’identità” dei prodotti di un territorio, per cui, un bene così identifi<br />
cato è un bene di un limitato territorio, che nessuno potrà imitare; frutto della<br />
terra, frutto della tradizione, anche di abilità manuale; è un bene defi nito anche<br />
con dei confi ni. Ciò che è dentro ai confi ni “è”, ciò che è fuori “non è”.<br />
La De.Co non è un marchio di qualità che si aggiunge ai marchi di origine europea,<br />
qui il Sindaco certifi ca solo che il prodotto è del suo territorio. È, insomma,<br />
una dichiarazione di provenienza del prodotto che si identifi ca, nella quasi totalità<br />
dei casi, con un marchio di qualità.<br />
Grandi problemi si frappongono a questo progetto, d’ordine burocratico,<br />
anche per una opposizione della Comunità Europea, perfi no con minacce ai<br />
Sindaci, e per la diffi coltà di far capire quanto interesse vi sia nella tutela di<br />
questi beni identitari.<br />
Nel 1999 uscì in Italia una ricerca, fatta sulla metà dei Comuni italiani (4.000)<br />
sulla base di studi di Veronelli che aveva come obbiettivo il censimento dei prodotti<br />
gastronomici all’interno di ogni Comune. Indicando solo ¾ dei prodotti per<br />
Comune si arrivò a quasi 15.000 prodotti per mezza Italia.
Da questa rilevazione è nata l’idea di Veronelli di far conoscere quello<br />
che lui inizialmente chiamava “giacimento gastronomico”, qualcosa di<br />
prezioso da salvaguardare. Ci si rese subito conto che le reperibilità e le<br />
riconoscibilità erano difficili per un patrimonio immenso da preservare e<br />
garantire. Fu durante il Vinitaly del 1999 che fu scelto il nome De.Co.<br />
Allo stato attuale abbiamo Luca Zaia fortemente interessato a questo<br />
progetto che dichiara essere “di cultura e di colture e si sta<br />
studiando la possibilità di chiamare De.Co. anche prodotti non gastronomici.<br />
In un mondo globalizzato, ha dichiarato, si devono valorizzare<br />
le specificità”<br />
In effetti (è chiamata, questa, la teoria dei cru) la posizione di terra migliore<br />
all’interno di un terreno vocato ed ogni posizione di terra è diversa<br />
da quella che le sta accanto. Accettato questo principio lo è anche, per<br />
logica, quello delle De.Co.<br />
E Vicenza? Un importante lavoro è stato fatto da Vicenza È che ha sempre<br />
creduto nell’iniziativa e nella validità della offerta, seguendo passo<br />
passo il lavoro dei Comuni per ottenere la De.Co. Ben 12 Comuni hanno<br />
depositato prodotti: dal radicchio rosso di Asigliano al mais di Marano,<br />
dai fagioli di Posina alla patata di Rotzo, dal vino Clinto di Villaverla al<br />
broccolo fiolaro di Creazzo. Ed altri Comuni si stanno dando da fare:<br />
sanno De.Co. i bisi di Lumignano, il formaggio di Altissimo e la mostarda<br />
vicentina di Montecchio Maggiore.<br />
Il tutto per far riconoscere la validità dei nostri prodotti, la radice delle<br />
buone cose delle nostre tavole, in quest’Italia che ha nelle differenze il<br />
valore principale.<br />
Alfredo Pelle
36<br />
luce Diamo<br />
ombre<br />
L’antica bottega dei fratelli Giorgio ed Enrico Galla, in centro a Vicenza, ha ospitato<br />
una verticale di un vino tra i più interessanti del panorama Amarone della<br />
Valpolicella. Condotta con eleganza e simpatia dal fi duciario Slow Food di<br />
Vicenza, Mauro Pasquali, si è rivelata un momento informale e vivace dove il<br />
vero protagonista, il “Moropio”, presentato dall’artefi ce Pierpaolo Antolini, ha<br />
catalizzato i sensi degli intervenuti.<br />
Antolini, azienda giovane gestita con passione e professionalità da Pierpaolo e<br />
Stefano nel pieno rispetto della tradizione e del territorio, produce vini “veri”.<br />
Solo 5 le annate di “Moropio” poste in commercio e degustate: 2000, 2001,<br />
2003, 2004, 2005, prodotte<br />
con uve da vigne molto vecchie,<br />
allevate a pergola e messe<br />
a dimora sulle marogne e<br />
con larghi sesti d’impianto,<br />
come si usava in origine. Poste<br />
nei pendii nella valle di Marano,<br />
a 350 m/slm su terreno<br />
argilloso-tufaceo, con microclima<br />
caratterizzato da forti<br />
alle ombreVicentino<br />
Da Galla Gustosità una verticale di Amarone “Moropio” Antolini di Marano di<br />
Valpolicella. Azienda giovane ma inserita nel solco della tradizione<br />
ombre<br />
escursioni termiche, i fratelli Antolini le allevano in modo da ricavarne una resa<br />
massima di 100 quintali per ettaro.<br />
I vini, in assaggio:<br />
2005: ancora giovane e fresco,<br />
anche se un po’ scontroso è ricco di<br />
personalità ed è fremente di maturare<br />
per diventare un buon Amarone.<br />
2004: pieno, fruttato, ricco, avvolgente.<br />
Amarone piacevolissimo<br />
di ottima beva, caratterizzato dal<br />
legno di ciliegio in affi namento che<br />
lo rende un Amarone di tendenza,<br />
internazionale.<br />
2003: straordinario, elegante ed<br />
austero ricco di frutta fi ori e spezie,<br />
Pierpaolo Antolini
TERROIR AMARONE<br />
Mauro Pasquali<br />
si evidenzia in una nota alcolica<br />
che lo caratterizza. Un grande grande<br />
amarone da meditazione da destinare<br />
all’invecchiamento.<br />
2001<br />
2001: amarone fi ne, elegan-<br />
te, fruttato, compagno ideale di<br />
spiedi e arrosti a base di selvaggina<br />
di piuma.<br />
2000<br />
2000: è il primo Amaro-<br />
ne prodotto da Antolini, un<br />
bell’Amarone, prodotto senza<br />
incertezze, preserva la frutta matura,<br />
la complessità delle spezie,<br />
la maturazione evoluta.<br />
Dulcis in fundo Pierpaolo ha sorsorpreso tutti con un fuori programma: un “raro” Recioto della Valpolicella 2006,<br />
frutto della tradizione, come in pochi sanno fare. Di colore granato intenso,<br />
il profumo coinvolgente delle marasche e delle spezie, il sapore della frutta<br />
fresca, di giusta sapidità e freschezza, lo rendono un Recioto dolce ma non<br />
stucchevole, ricco ma non sfacciato.<br />
Un recioto che riporta tutta la storia della tradizione in Valpolicella.<br />
Il social forum Terroir Amarone<br />
L’Amarone della Valpolicella ha il suo Social Network.<br />
Un progetto ambizioso e molto interessante, opera di un gruppo di<br />
blogger veronesi, che merita di essere seguito con attenzione. Un<br />
luogo di discussione online aperto a produttori, comunicatori e consumatori,<br />
pensato per aprire un confronto utile a migliorare la conoscenza<br />
dei prodotti e dei territori della Valpolicella, individuando<br />
e segnalando quei produttori che vinifi cano con uve autoctone al<br />
100% di proprietà dell’azienda e i loro prodotti, georeferenziando su<br />
Google Maps i vigneti e i cru aziendali.<br />
www.terroiramarone.ning.com<br />
Cottura<br />
Freddo<br />
Lavaggio<br />
Pizzeria<br />
Preparazione<br />
Aspirazione<br />
Bar<br />
Lavanderia<br />
Accessori
Il popolo di Facebook difende il bere responsabile<br />
Alberto DeFilippi ha fondato on line un gruppo contro la proposta di legge<br />
dell’onorevole Valducci. 200 mila iscritti in due mesi<br />
Alberto DeFilippi ha dato al suo gruppo un titolo più<br />
che chiaro: No al ritiro patente con tasso alcolico a 0.2<br />
per cento. “Non è un gruppo dove sbevazzoni sconsiderati<br />
difendono il diritto di mettersi alla guida ubriachi<br />
- spiega DeFilippi - ci sono persone normalissime che<br />
sanno di non essere ubriache se bevono un bicchiere<br />
a cena con gli amici, con la famiglia, con i propri figli.<br />
E, personalmente, difendo anche l’economia di un territorio,<br />
che sull’economia del vino vive. L’idea di avviare<br />
l’iniziativa proprio su Facebook è nata perché questo<br />
si è dimostrato uno strumento di democrazia per far<br />
sentire la voce del comune cittadino non iscritto ad alcun<br />
partito, quale sono io, ai politici e in questo caso<br />
ai parlamentari, L’onorevole Valducci (estensore della<br />
proposta di legge per abbassare i limiti di alcol nel sangue<br />
di chi si mette al volante ndr) ha pubblicato ben<br />
due video in risposta alla mia iniziativa, ed è stata possibile<br />
una trasmissione radiofonica in cui si è discusso<br />
del problema e ci siamo confrontati con il presidente<br />
della Commissione Trasporti. Il gruppo su Facebook è<br />
nato alle 17.30 del 15 dicembre: lo stesso giorno in cui<br />
il presidente della commissione trasporti della Camera,<br />
Mario Valducci del Pdl, aveva annunciato la proposta<br />
di abbassare a 0.2 grammi per litro il limite d’alcol per<br />
mettersi alla guida. Ricorderei che un’alcolemia di 0.2<br />
per cento si raggiunge con lo sciroppo per la tosse o un<br />
paio di cioccolatini al liquore. Cosa facciamo? Vietiamo<br />
la guida a chi ha la tosse continuando a non controllare<br />
se chi guida si è drogato?. Da qui è partita una vera<br />
e propria valanga di adesioni: meno di 24 ore dopo la<br />
fondazione, gli iscritti al gruppo erano 5mila ed oggi, a<br />
poco più di 2 mesi sono più di 200mila, un risultato davvero<br />
incredibile! Ci tengo a dire che non sono ragazzini<br />
sballati: l’età media è attorno ai trent’anni, e sono tutte<br />
persone che difendono il diritto di bere un bicchiere<br />
di vino senza essere considerati pirati della strada. Se<br />
non lo fossero, il gruppo non sarebbe stato contattato<br />
proprio dal presidente della Commissione Trasporti. Il<br />
sottosegretario scrive al popolo del vino su Internet e<br />
ovviamente difende le misure restrittive. Nessuno può<br />
negare il problema della sicurezza stradale. Ma gli incidenti<br />
non succedono per due bicchieri di vino, una birra<br />
media o un cuba libre. I dati Istat confermano che l’alcol<br />
nel 2007 ha causato il 3.1 per cento degli incidenti,<br />
mentre l’alta velocità il 45 per cento. E oggi anche<br />
le utilitarie possono viaggiare a 200 all’ora. Parecchie<br />
sono le reazioni politiche alla nostra iniziativa: Matteo<br />
Salvini ci appoggia a nome del gruppo della Lega Nord<br />
alla Camera, Beatrice Lorenzin del Pdl non ci appoggia,<br />
Francesco Laratta del Pd, invece, ci appoggia. Noi,<br />
da parte nostra, abbiamo aperto la discussione, poiché<br />
riportare in vita il proibizionismo rischia di avere l’effetto<br />
opposto di quello ricercato: i giovanissimi berranno<br />
senza misura sapendo di rischiare comunque”.
Leggenda e storia del gelato<br />
Si dice che Alessandro Magno, durante le sue marce verso l’India, gustasse<br />
miele, frutta e spezie impastati con neve che si faceva portare<br />
dai suoi veloci corrieri. Una storia, quella del gelato, che si confonde<br />
nella leggenda. Esistono alcuni dati certi: a Firenze, ad esempio, il gelato<br />
ha avuto due padri, Ruggeri e Buontalenti. Il Buontalenti, fra l’altro,<br />
era un abilissimo chimico che, nel 1565, dovendo il Duca ricevere una<br />
delegazione spagnola, fu incaricato di organizzare una sontuosa festa<br />
e fra le cose che egli approntò c’era il gelato: grazie alle sue conoscenze<br />
di chimica, preparò una miscela simile a quella usata oggi per<br />
produrre il ghiaccio artifi ciale, che ottenne un immediato successo. Secondo<br />
un’altra versione, invece, il gelato nacque, sempre a Firenze, ad<br />
opera di un certo Ruggeri, un contadino allevatore di polli, che partecipò<br />
ad una gara culinaria con miscuglio congelato di zabaione, panna e<br />
frutta. Andato a Parigi, divenne rapidamente ricco e famoso. Il gelato,<br />
comunque, nel diffondersi per l’Europa, assunse, soprattutto nei paesi<br />
Nordici, il signifi cato di un vero e proprio alimento e gli “artigiani”<br />
produttori si ingegnarono nell’ideare una vasta gamma di prodotti. Un<br />
successo che perdura fi no ai nostri giorni: i consumi italiani sono inferiori<br />
a quelli del resto del mondo, ma in costante aumento: anche in<br />
Italia il gelato non é più il premio “una tantum”, ma un alimento.<br />
Ecco una semplice ricetta per ottenere del gustoso gelata al miele<br />
Latte intero: g1000 • Panna 35%: g100 • Miele di acacia: g150<br />
Zucchero: g150 • Destrosio: g20 • Latte magro in polvere: g50<br />
Neutro addensante emulsionante: g8 • Pizzico di sale<br />
Pastorizzare a 85% e aggiungere il miele prima di mantecare,<br />
variegare con fi li di miele.<br />
Michele Ballestrin Consulente pasticcere-gelatiere
40<br />
Il senso del vino<br />
Una serata polisensoriale per<br />
cercare di spiegare il nettare di<br />
bacco. Interpretazioni diverse<br />
di un unico protagonista<br />
Da sx: Antonio Bonaldi, Ugo Moro, Giampaolo Giacobbo, Stefano Bertoncello Collanego e Roberto Cipresso.<br />
Un contenitore che contenga altri contenitori. Partendo da questo assunto<br />
Roberto Cipresso ha voluto spiegare la sua visione del mondo<br />
del vino. Come se tutto il mondo fosse formato da un numero infi nito<br />
di scatole che contengano ciascuna qualcosa di diverso. A noi il<br />
compito di scovarle e aprirle una ad una attraverso un percorso che si<br />
chiama ricerca. Così inizia una nuova avventura per l’enologo scrittore.<br />
Non è possibile, secondo Cipresso e i suoi collaboratori, limitare alla<br />
mera analisi sensoriale quel che si coglie in un bicchiere. Ciò avrebbe<br />
rappresentato l’enunciazione di un concetto non condivisibile.<br />
L’espressione del vino non può rimanere isolata, ma necessita di uno<br />
scambio vicendevole con altre forme di comunicazione come la musica,<br />
la scultura, la pittura. Sarebbe come pensare alla fi losofi a isolandola<br />
dalla psicoanalisi, dalla logica, dalla teologia, dalla pedagogia,<br />
dalla sociologia e da altre scienze umane: non è possibile! Non solo<br />
analisi sensoriali, quindi, ma un progetto multiculturale, trasversale.<br />
Un passaggio necessario perché le sensazioni del vino hanno un loro<br />
ritmo, un loro colore e una loro forma.<br />
Un sogno condiviso da tempo da chi scrive e che si è potuto realizzare<br />
solo dopo aver dato vita a una sorta di “band” che vede Ugo Moro al
pianoforte, Antonio Bonaldi alla creta e Stefano Bertoncello Collanega<br />
ai pennelli.<br />
Il ristorante Villa Palma di Casoni di Mussolente si è trasformato per<br />
una sera in una sorta di teatro in cui gli spettatori-commensali si sono<br />
trovati protagonisti dell’evento. Un pubblico formato dai soci del Lions<br />
Club Bassano Host. Il Presidente dell’associazione bassanese, l’architetto<br />
Alberto Fracca e il suo direttivo, ha creduto da subito in questo<br />
progetto piuttosto singolare e non ha esitato di proporlo ai propri<br />
associati. I racconti del vino di Roberto Cipresso e le descrizioni del<br />
sottoscritto si sono alternate alle musiche di Ugo Moro che, con fraseggi<br />
improvvisati, interpretava le sensazioni del dolce, salato, acido<br />
e amaro. Nel contempo, Bonaldi e Bertoncello davano sfogo alla loro<br />
fantasia per esprimere gli stessi concetti attraverso la loro arte. Situazioni<br />
vissute in condizioni ambientali diverse. Gli invitati sedevano al<br />
loro tavolo con i propri bicchieri a degustare i vini proposti, prima a<br />
lume di candela poi con una luce intensa, mentre la musica cercava di<br />
esaltare ogni sensazione.<br />
Al termine della serata i quadri e i vasi prodotti hanno destato fortissimo<br />
interesse tra i presenti che li hanno visti nascere sotto i propri<br />
occhi. Opere espressione di un vino degustato e di cui si è udito il<br />
suono. Alcune opere saranno saranno conservate a Montalcino, altre<br />
a Bassano del Grappa, unite da quel fi lo invisibile che da sempre tiene<br />
legato Roberto Cipresso alla sua città.<br />
Gianpaolo Giacobbo
42<br />
Antico e misterioso,<br />
sicuramente divino<br />
L’idromele è forse il fermentato più antico del mondo.<br />
Soppiantato dal vino, si cerca oggi di recuperarne il consumo<br />
Non si hanno notizie certe sul periodo in cui l’uomo imparò a produrre l’idromele,<br />
ma si suppone che l’origine sia antichissima. Abbiamo notizie della sua<br />
produzione nell’antico Egitto, nell’Inghilterra celtica, nella Scandinavia vichinga<br />
e da parte degli antichi slavi.<br />
L’idromele aveva una grande importanza nella cultura norrena precristiana;<br />
nella letteratura e nella mitologia viene rappresentata come la bevanda dei re,<br />
la preferita del dio Odino e di altre creature sovrumane (come la mitica fi era<br />
Ofi ulco). La tradizione vuole che due nani abbiano ucciso il vate Kvasir e dal<br />
suo sangue abbiano ricavato l’idromele, capace di dare sapienza e poesia.<br />
Era tradizione che le coppie appena sposate bevessero idromele per il periodo<br />
di una luna dopo il matrimonio per ottenere un fi glio maschio. Da lì sembra<br />
provenire la tradizione della “luna di miele”.<br />
Si presume che la sua diffusione in Italia sia avvenuta in tempi assai remoti<br />
grazie ai Celti. Sembra che fosse comune soprattutto nell’arco alpino, dove<br />
spesso si ripropongono citazioni alla produzione ed al consumo di idromele,<br />
una bevanda di facile realizzazione con un buon tenore alcolico (13/17°) ottenuta<br />
dalla fermentazione di miele, acqua e lieviti. Il suo consumo si sviluppò in<br />
particolar modo dove non era possibile la coltivazione della vite. Ogni famiglia<br />
aveva la sua personale ricetta con percentuali diverse di acqua e tipologie<br />
di miele, spesso arricchita con frutta macerata come frutti di bosco, mele o<br />
ciliegie, o spezie come cannella e chiodi di garofano.<br />
Nel tempo, a causa della diffusione della vite, il vino andò sostituirsi sempre
più all’idromele e oggi la sua produzione è assai rara: solo<br />
pochi appassionati lo producono e per lo più per consumo<br />
personale. Nel resto d’Europa ci sono ancora luoghi dove<br />
viene regolarmente consumato. Lo possiamo trovare in Bretagna,<br />
in Repubblica Ceca, in Slovacchia, in Polonia, nei paesi<br />
scandinavi e in tutti i paesi nordici.<br />
Alcune curiosità<br />
Oggi con la riscoperta della cultura Celtica, e in particolare in<br />
occasione di feste Celtiche, riemerge il consumo e la diffusione<br />
della bevanda degli dei. Per questo abbiamo voluto incontrare<br />
Achille Vaccari del Silicon Kafe di Thiene, promotore del Venigallia<br />
Celtic Festival, che ci ha spiegato molte cose sull’idromele.<br />
La sacralità dell’ape quale animale messaggero del cielo,<br />
che trasforma il sole in miele, e l’acqua vista come la linfa<br />
vitale che scorre nelle vene della madre terra, rendono<br />
l’Idromele sacro presso i Celti, come essenza del divino<br />
nell’unione fra cielo e terra. Nella mitologia indoeuropea<br />
l’Idromele è la bevanda tipica dell’aldilà.<br />
Nell’Europa celtica (IX°-I° sec. a.C.) era bevuto dai Druidi e dalle<br />
tribù nelle cerimonie sacre che scandivano il ritmo delle stagioni.<br />
Si consumava nelle feste di Samonios (l’odierno Ognissanti<br />
a novembre) capodanno celtico, ad Imbolc (il giorno della Candelora<br />
a febbraio) festa di fi ne inverno e rinascita della natura, a<br />
Beltane (maggio) festa propiziatoria di fertilità durante la quale<br />
venivano celebrati i matrimoni, a Lugnasad (agosto) festa di ringraziamento<br />
per i doni della stagione agricola, ed infi ne agli equinozi di autunno e<br />
primavera e nei solstizi d’estate e d’inverno. L’uso era fi nalizzato ad ottenere<br />
l’ebbrezza alcolica per potersi avvicinare al divino fi no ad incontrarlo.<br />
In molte tombe principesche dell’Europa del VI°-IV° secolo a.C., sono stati<br />
trovati recipienti con resti d’Idromele quale riserva del defunto per il Sidhe,<br />
l’aldilà celtico.<br />
“Ecco il perché nella nostra festa “Venigallia” abbiamo voluto riproporlo - ci<br />
spiega Vaccari - il problema era reperirlo in commercio. Ci siamo dati da fare<br />
girando per mezza Europa fi nché, scovata un’azienda polacca che produce<br />
un ottimo prodotto, grazie alla collaborazione dell’importatore Nicola Manes<br />
siamo riusciti avere il nostro Idromele Venigallia.”<br />
“Su come berlo e a quali cibi accompagnarlo - continua Vaccari - ognuno può<br />
sbizzarrirsi con la propria creatività. Sulla base della mia esperienza vi consiglio di<br />
servirlo sempre fresco (10° - 12°), per un brindisi fra amici, con della pasticceria<br />
secca, come aperitivo, o nel dopo pasto con i dolci, proprio<br />
come per i vini bianchi dolci, fermi o spumanti. Ben si accompagna<br />
ai nostri formaggi di montagna, meglio se erborinati e<br />
saporiti, ma è ottimo anche se riscaldato per ottenere una specie<br />
di vin brulè.”<br />
Roberto Gasparin<br />
Ricetta:<br />
La ricetta base richiede semplicemente miele, acqua e lievito,<br />
ma vi sono innumerevoli varianti, ciascuna con il proprio<br />
nome: braggot (miele e malto) melomel (miele e frutta), metheglin<br />
(miele e spezie).<br />
Strumenti e ingredienti<br />
• Bottiglione da 5 litri circa in vetro.<br />
• Tappo con gorgogliatore<br />
• 2 kg di miele.<br />
• 3 litri di acqua minerale.<br />
• Lievito<br />
• 2 sorbe (opzionale)<br />
Può andar bene anche il lievito di birra ma per raggiungere<br />
un maggior grado alcolico è necessario utilizzare lieviti da<br />
vinifi cazione.<br />
Preparazione<br />
Sciogliere il miele nell’acqua calda, fino a formare un liquido<br />
uniforme. È opportuno mantenere la miscela ad 80-90 °C per qualche<br />
minuto in modo da inattivare i lieviti selvaggi. Lasciare raffreddare<br />
e versare la miscela dentro il bottiglione. Attivare il lievito diluendolo in<br />
acqua tiepida e versarlo dentro la bottiglia. Se si decide di utilizzare le<br />
sorbe questo è il momento di aggiungerle intere; servono a rilasciare<br />
acido malico, che conferisce freschezza. Tappare il bottiglione e mettere<br />
l’acqua nel gorgogliatore. Lasciare 4 settimane a gorgogliare.<br />
Dopo 4 settimane di fermentazione imbottigliare in bottiglie di vetro scuro,<br />
ermetiche, e riporre in una cantina fresca. Per evitare scoppi, è consigliato<br />
provvedere alla sfiatatura delle bottiglie di tanto in tanto. Dopo<br />
circa 3-4 mesi sarà appena pronto per il consumo, ancora molto dolce e<br />
“acerbo” ma già gradevole. Da quel momento, ogni mese passato in cantina<br />
ad invecchiare non farà altro che migliorarne il sapore, rendendolo<br />
più secco e più alcolico.
44<br />
IL TRINCIANTE<br />
ovvero la meraviglia della professionalità<br />
La biblioteca La Vigna ristampa un prezioso volume della fi ne del XVI secolo.<br />
Vi si narra l’arte di organizzare banchetti nel tardo Rinascimento<br />
Lo scorso 10 febbraio, è stata presentata alla<br />
Biblioteca La Vigna di Vicenza la ristampa anastatica<br />
de Il Trinciante, di Vincenzo Cervio, completato<br />
alla sua morte da Fusoritto da Narni,<br />
succedutogli alle dipendenze del Cardinal Farnese.<br />
Una tiratura limitata su carta di pregio con<br />
il contributo della Fondazione Monte di Pietà di<br />
Vicenza, per un’opera dedicata a un reverendissimo<br />
princeps e già nata per interessare addetti<br />
ai lavori, di cui la Biblioteca possiede un prezioso<br />
originale del 1622 (terza edizione di una<br />
prima veneziana del 1581) oggi inserito nel Servizio<br />
Bibliotecario Nazionale. Potenza della comunicazione,<br />
coscienza di ciò che merita di fare<br />
storia.<br />
Nata dalla penna di chi aveva cognizioni di mestiere<br />
ad arte nell’organizzare banchetti per autorevoli<br />
prelati e signori, accompagna liste di<br />
vivande straordinarie alla cronaca delle accoglienze<br />
e degli apparati scenografici allestiti. La<br />
promessa del titolo di trovarvi tavole che illustrino i contenuti resta purtroppo<br />
disattesa, ma non si poteva pretendere di avere nel tardo Rinascimento<br />
una sorta di guida step by step di tutto quel ben di Dio di prepa-<br />
rativi e presentazioni, che la minuzia descrittiva<br />
verbale raffigura comunque in modo efficace. La<br />
lettura del solo indice parla all’immaginazione dei<br />
cuochi e dei maestri di sala di un’atmosfera fatta<br />
di professionalità, garbo, cura per l’ospite - da<br />
sempre il sovrano - in cui aleggia la poetica della<br />
meraviglia, in questo caso mossa dalla performance<br />
dal vivo del trinciante che opera sotto gli<br />
occhi dei diretti interessati. Oggi questi concetti<br />
scenografici si fondono con altri che toccano la<br />
trasparenza e l’igienismo: i carrelli mobili di sala<br />
e le grandi vetrate o le telecamere in cucina ce<br />
lo confermano. Far stupire qualcuno alla nostra<br />
tavola con qualcosa di inaspettato è dargli in realtà<br />
proprio ciò che più profondamente si attende,<br />
e persino il più svogliato dei clienti che varca<br />
la porta del nostro locale con queste aspettative<br />
sopìte potrebbe alfine uscire a maggior ragione<br />
confortato. Le banalità non premiano né ristoratore<br />
né cliente. Ma gli effetti speciali non sono<br />
strettamente necessari: la semplicità ottiene gli effetti più disarmanti. Ratatouille<br />
docet!<br />
Michela Cariolaro<br />
promessa del titolo di trovarvi tavole che illustrino i contenuti resta pur- strettamente necessari: la semplicità ottiene gli effetti più disarmanti. Ra-
IL BROCCOLO FIOLARO<br />
DI CREAZZO<br />
Editore: Terra Ferma<br />
Testi di: Antonio Di Lorenzo e Vladimiro Riva<br />
Collana: Tecete<br />
Pagine: 100<br />
Immagini: 50 a colori<br />
Prezzo di copertina: € 10,00<br />
La storia del broccolo fi olaro di Creazzo, da modesto ortaggio<br />
a rischio di estinzione a protagonista di trasmissioni televisive<br />
nazionali e internazionali, ha dell’incredibile. Questo<br />
volume-ricettario ne ripercorre le vicissitudini e ne è al contempo<br />
testimonianza con le sue ricette, più di 30, tutte a base<br />
di broccolo fi olaro. Sì, perché il broccolo, oltre a fare bene<br />
grazie ai suoi antiossidanti, è anche una verdura versatile,<br />
adatto a creme, timballi, sughi e farce. I cuochi di Creazzo,<br />
piccolo paese appena fuori Vicenza, lo hanno dimostrato e<br />
lo dimostrano tuttora, rinnovando ogni anno con successo il<br />
loro impegno a promuovere il prodotto anche grazie alla fi era<br />
che si tiene nel mese di gennaio.
LUNGA VITA AL RE<br />
Pubblicato un libro per celebrare la storia di sua maestà baccalà.<br />
Il riscatto di un pesce da sempre considerato povero<br />
È uscito da pochi mesi un libro del grande Livio<br />
Cerini di Castegnate, gastronomo di “lungo<br />
corso” ed esteta della tavola. Il titolo è di per<br />
sé un programma: “Grande libro del baccalà”<br />
(Idea Libri 19 euro). Tuttavia per capire questo<br />
libro si deve partire da un assunto: il baccalà<br />
non è un pesce. È un mangiare a sè stante e<br />
senza eguali. Una volta capito questo tutto viene da sé. Il libro ti fa intraprendere<br />
un viaggio fatto di ricette ma non solo, dove la storia si mescola alla leggenda e<br />
la tradizione si fonde con la scoperta. Ed il protagonista è sempre lui: il baccalà.<br />
Come spesso accade con i veri personaggi svela mille sfaccettature e decine<br />
di sfumature. Chiarita la distinzione tra baccalà e stoccafisso si vivono le storie<br />
di uomini di mare che sulla rotta dei merluzzi hanno speso la vita, le ricette delle<br />
regioni italiane e le confraternite (compresa quella Venerabile del Bacalà alla<br />
Vicentina) che, non suoni strano, dedicano festeggiamenti e rispettose celebrazioni.<br />
Insomma questo “grande libro” supera di molto il taglio di un ricettario<br />
(pur contenendo una più che esaustiva selezione di preparazioni) per divenire<br />
un volume di etnografia del gusto. E, qua e là, si trova poesia. Salterete da un<br />
capitolo all’altro seguendo la millenaria storia di questo pesce celebrato come<br />
povero ma che ha saputo conquistare buongustai e borghesi che avevano capito<br />
che non si trattava di un piatto di ripiego. Compaiono anche consigli per la<br />
preparazione ed i confronti con le tradizioni degli altri paesi (Francia, Spagna e<br />
Portogallo) anche se, è ovvio, la maggiore attenzione è dedicata alle ricette tradizionali<br />
italiane che sono, nel tempo, divenute un mito. Troverete il mantecato<br />
veneziano e, per quanto riguarda il bacalà alla vicentina, ben 21 pagine sono<br />
dedicate a varie ricette (6, oltre al modo di riscaldarlo il giorno dopo, storie, poesie,<br />
stupenda quella di Adolfo Giuriato) con una profondità di analisi da lasciare<br />
veramente meravigliati. Ma, d’altra parte, come si fa a considerare il bacalà alla<br />
vicentina una ricetta fra mille quando il poeta dice:<br />
“Ciò co sto balsamo<br />
co sto bonbon<br />
anche le moneghe<br />
perde el timon” ?<br />
Alfredo Pelle
Appuntamenti del mese<br />
- 3 Marzo: Villa di Bodo serate di degustazione.<br />
Verticale 6 annate Chianti<br />
Classico Riserva Lucarello, Tenuta<br />
Borgo Salcetino, Radda in Chianti.<br />
Annate 96. 97, 98, 99, 2001, 2004.<br />
Villa di Bodo - Enoteca con cucina<br />
- Via S. Pietro 1 Sarcedo (VI) tel.<br />
0445.344500<br />
- 6 marzo: A Tavola con Merlin Cocai.<br />
RISTORANTE AL PIOPPETO Sacro<br />
Cuore di Romano d’Ezzelino (Vi) -<br />
Info: 0424.570502 - DE ARTE ADVO-<br />
CATORVM<br />
- 6 - 9 marzo: 3a edizione di Olio Capitale.<br />
Trieste Fiera. L’evento organizzato<br />
in collaborazione con l’Associazione<br />
Nazionale Città dell’Olio si sta<br />
confermando sempre più come la<br />
vetrina ideale per la presentazione del<br />
meglio della tipicità e qualità degli oli<br />
italiani in particolare verso i Paesi del<br />
Centro-Est Europa, per raggiungere i<br />
quali Trieste risulta sede ideale e riconosciuta.<br />
- 8 marzo: Banco d’assaggio del Bardolino<br />
e del Chiaretto 2008 a Lazise.<br />
Più di cento vini in degustazione, suddivisi<br />
fra rossi e rosati: è la prima volta<br />
che la nuova annata viene presentata<br />
in anteprima nella storia quarantennale<br />
del Consorzio di tutela del Bardolino.<br />
La manifestazione si svolge nello<br />
storico edificio della Dogana Veneta.<br />
- 8 marzo: Gara del salame - Rosà Tel.<br />
0424.585866<br />
- 19 marzo: Serata di degustazione<br />
enogastronomica con prodotti tipici<br />
Presso il Ristorante Costa, A Selva di<br />
Trissino, ore 20. Menù con gnocchi<br />
di patate di Selva di Trissino, vini di<br />
Gambellara e Trissino. Sei portate di<br />
gnocchi con sughi diversi + antipasto,<br />
sorbetto, dolce, caffè, 10 vini. Necessaria<br />
prenotazione entro e non oltre il<br />
16 marzo. Costo euro 28 a persona.<br />
Chiamate per conoscere il gustoso<br />
menù! 0445.960295. Comitato Festa<br />
del Gnocco, Strada del Recioto e Vino<br />
di Gambellara, Associazione Coldiretti<br />
Vicentina, Comune di Trissino.<br />
- 24 Marzo: Villa di Bodo serate di degustazione.<br />
Borgogna. Verticale Pommard<br />
Grand Clos des Epénots Grand<br />
cru, Domaine De Courcel.<br />
Villa di Bodo - Enoteca con cucina<br />
- Via S. Pietro 1 Sarcedo (VI) tel.<br />
0445.344500<br />
- 19-29 marzo: 102^ Festa di<br />
S.Giuseppe (specialità quaglia) - Castegnero<br />
Tel. 0444.638221<br />
- 22 marzo: 1^ Bevilonga di Villa Angarano<br />
- Bassano del Grappa Tel.<br />
0424 503086<br />
- 24 Marzo: Villa di Bodo serate di<br />
degustazione. Borgogna. Verticale<br />
Pommard Grand Clos des Epénots<br />
Grand cru, Domaine De Courcel.<br />
Villa di Bodo Enoteca con cucina<br />
Via S. Pietro 1 Sarcedo (VI) tel.<br />
0445.344500<br />
- 28 marzo: 32° PROCESSO ALLA<br />
VECIA FILA Monte di Malo C/o Piazza<br />
Don Montanaro ore 20.30 La Vecia<br />
Fila accusata di ispirare tutte le<br />
malefatte accadute nel paese, e non<br />
solo, nell’anno appena trascorso<br />
viene condannata al rogo da un tribunale<br />
popolare nella pubblica piazza<br />
dopo un processo dibattuto in<br />
chiave satirica tra accusa e difesa.<br />
- 27-30 marzo: Salone della meccanizzazione<br />
integrale in Viticoltura<br />
- Lonigo Tel. 0444.720236<br />
- 28-29 marzo: Rassegna vini tipici<br />
DOC Breganze - Palazzo Bonaguro<br />
- Bassano del Grappa - Tel.<br />
0424.521345<br />
- 28 marzo: Visita in cantina. Slow<br />
Food Valleogra organizza una visita<br />
all’Azienda Vinicola Dal Maso in<br />
Contrà Selva, 62 a Montebello. Ci<br />
si ritrova presso la pasticceria Dolci<br />
Pensieri di Schio alle 15:00 per raggruppare<br />
le macchine e preparare il<br />
corteo, è comunque possibile andare<br />
indipendentemente e dunque in-<br />
contrarci presso la cantina per una<br />
Passeggiata nel vigneto “Ca’ fischele”<br />
(se le condizioni meteo lo permettono).<br />
Visita completa delle cantine,<br />
Degustazione di 4/5 vini, piccolo<br />
buffet di pane, formaggio e salumi<br />
locali. Comunicare la partecipazione<br />
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n° 30 - Marzo - <strong>2009</strong><br />
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Paolo Gasparin<br />
Redazione - amministrazione<br />
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Direttore responsabile:<br />
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Abbonamento Postale D.L.<br />
353/2003 (Convertito in legge<br />
27/02/2004 n°46) art.1, com.1, Dr VI<br />
Stampa: Industrie Grafiche Vicentine<br />
Srl - Costabissara (VI)<br />
Hanno collaborato:<br />
Paolo Gasparin<br />
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Paolo Terragin<br />
Alfredo Pelle<br />
Alberto Brazzale<br />
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Angelo Nicoletti<br />
Davide Cocco<br />
Francesca Filippi<br />
Giampaolo Giacobbo<br />
Giulia Marruccelli<br />
Luca Corato<br />
Matteo Baldini<br />
Mauro Pasquali<br />
Michela Cariolaro<br />
Oscar Santo Nastasio<br />
Sarina Vaccarella<br />
Sonia Re<br />
Stefano Beber<br />
Terenzio Panozzo<br />
Tutte le immagini, articoli, contenuti di questo<br />
giornale sono ad uso esclusivo di Pierregi di<br />
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senza previa autorizzazione scritta da parte<br />
nostra saranno perseguiti a norma di legge.<br />
Le Collaborazioni in testi o foto sono gratuite.<br />
L’editore garantisce la massima riservatezza dei<br />
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da sopra a norma ce. prezzo interessante,<br />
cm 180. Tel. 339.1632262<br />
• Vendo in blocco attrezzatura di pasticceria;<br />
completa di arredamento negozio<br />
e laboratorio (completo)-accessori<br />
(frullino,microonde,stampi,coltelli,tortier<br />
e ecc) Michele, Asolo, Tel. 348.4072808<br />
VENDO Varie<br />
• Vendo arredamento per bar (completo)<br />
in legno di castagno massicccio<br />
(5 anni di attività). perfetto. Valdagno,<br />
Per info Tel. 347.4628824<br />
• Usato vende: flipper ,calcetti ,videogiochi,<br />
juke box ,biliardi e ping pong.<br />
telefonare al mattino allo 0424.504834<br />
sig. Giulio<br />
OFFRO Varie<br />
• Enoteca Munari di Marano Vic. organizza<br />
un corso di avvicinamento al vino<br />
di ottimo livello. Il corso avrà una durata<br />
di 10 serate durante le quali saranno<br />
trattati argomenti che vanno dalla storia<br />
della vite alle tecniche di conservazione.<br />
inizio corso giovedì12 marzo. Per iscrizione<br />
e info varie contattare Sara o Roberto.<br />
Posti limitati, Tel. 0445 621239